Federazione Nazionale della Stampa Italiana
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IL LAVORO GIORNALISTICO:FLESSIBILITA’ E PRECARIATO. PROPOSTE DI INTERVENTO
Il settore dell’editoria stampata e radio teletrasmessa è regolato, per quanto riguarda le prestazioni dei giornalisti, da tre contratti collettivi: il primo (storicamente il più antico nella storia sindacale) stipulato con la Fieg, regola i rapporti di lavoro dei giornalisti nelle aziende che editano quotidiani, periodici e agenzie di stampa. Lo stesso contratto sia applica all’emittenza radiotelevisiva di ambito nazionale. Il secondo, stipulato con Aeranti-Corallo, regola i rapporti di lavoro dei giornalisti nelle aziende dell’emittenza radiotelevisiva di ambito locale. Il terzo, (più recente) stipulato con l’Uspi, regola specifiche figure lavorative tipiche della piccola editoria. Già questa suddivisione dimostra come il sindacato unico e unitario dei giornalisti si sia da tempo reso conto della opportunità di articolare in maniera diversa la contrattazione collettiva sulla base della specificità produttiva e delle capacità economiche dei diversi segmenti del mondo editoriale.
Anche nell’ambito del contratto principale, che viene applicato alla grande maggioranza dei giornalisti, sono state introdotte forme importanti di flessibilità, al fine di adeguare la normativa nazionale alle esigenze delle singole realtà imprenditoriali. Forme di flessibilità, che rimandano agli accordi aziendali, riguardano l’utilizzo e i limiti della contrattazione a termine, l’organizzazione del lavoro multimediale e multitestata, l’introduzione di innovazioni tecnologiche, l’utilizzazione di sinergie editoriali.
È da aggiungere, anche, che nel settore dell’editoria di informazione, soprattutto nelle grandi aziende della carta stampata e radiotelevisive, è consuetudine consolidata la stipula di accordi integrativi aziendali che tengono presenti le singole realtà produttive. Peraltro, si deve ricordare che proprio in occasione della sottoscrizione del rinnovo biennale del vigente Cnlg le parti, “convinte della necessità di realizzare un sistema di relazioni industriali atto a creare condizioni di competitività, produttività e miglioramento degli standard del giornalismo negli ambiti dell’industria dell’informazione, che tengano presenti le specificità aziendali e favoriscano l’occupazione e la qualificazione delle professionalità”, hanno deciso di avviare “un lavoro comune perché, con li rinnovo del contratto, si renda più efficace lo sperimentato strumento della contrattazione aziendale di secondo livello” a tale scopo le parti intendono individuare “specifiche materie delegabili, da regolamentare secondo le specificità dei contesti produttivi aziendali”.
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Sempre sul terreno della flessibilità occorre ricordare che sono storicamente presenti nel contratto collettivo di lavoro giornalistico figure come quella del collaboratore fisso e del corrispondente, che svolgono il loro lavoro con assoluta flessibilità negli orari, nelle prestazioni e anche nei compensi. Si tratta di figure che, pur con un alto contenuto di flessibilità, sono comunque inquadrate come rapporti di lavoro subordinato, con le conseguenti tutele di legge e di contratto (stabilità, tredicesima mensilità, maturazione del TFR). Nel corso del tempo queste figure, presenti e utilizzate dalle aziende, sono andate scemando a causa del ricorso imprenditoriale a figure di lavoro atipico la cui utilizzazione è stata facilitata da norme di legge non sempre chiare e spesso confuse.
L’alterazione del mercato del lavoro realizzatasi negli ultimi anni ha, di conseguenza, determinato anche nel settore giornalistico lo sviluppo delle forme di contrattazione atipiche. Alcuni dati possono chiarire meglio l’andamento del fenomeno: i rapporti di lavoro subordinati che nel 2000 erano 13.731 sono passati nel 2009 a 18.567, mentre i rapporti di lavoro autonomo che nel 2000 erano 9.374 sono saliti nel 2010 a 33.282. Esaminando nel dettaglio la popolazione giornalistica interessata al lavoro autonomo, se dai 33.282 rapporti eliminiamo coloro che hanno una doppia posizione e coloro che non versano regolarmente i contributi, si ricava il numero residuo di 15.411, corrispondente a quello dei giornalisti italiani che vivono di solo lavoro autonomo.
Possiamo anche distinguere all’interno di questo numero tra freelance e xx.xx.xx.: i primi sono 9.449, i secondi 4.295. Ci sono anche 1.667 giornalisti che possiamo definire “misti”, ovvero che sono sia freelance che xx.xx.xx..
Se esaminiamo i livelli di reddito dei lavoratori autonomi constatiamo che: su 15.411 posizioni, 7.911 hanno un reddito inferiore a 3.000 euro all’anno e 7.500 giornalisti un reddito superiore. Il reddito medio di questi ultimi è pari a 17.484 euro all’anno.
Le difficoltà ad operare sul piano della contrattazione collettiva per la tutela del lavoro autonomo richiedono la necessità di interventi di carattere legislativo che possano individuare garanzie minime previdenziali e assistenziali oltre che riferimenti retributivi inderogabili, idonei ad assicurare livelli dignitosi di trattamento.
A nostro avviso si rende pertanto necessario intervenire con normative specifiche che riguardano le tre aree del precariato e del lavoro atipico: i contratti a termine, le collaborazioni coordinate e continuative (xx.xx.xx.), le prestazioni professionali libere, fermo restando che l’eliminazione tout-court della figura del collaboratore continuato e continuativo potrebbe, nel nostro settore essere più equamente sostituito da quella del collaboratore fisso, sopra illustrato.
Di seguito, riportiamo alcuni primi suggerimenti, che non esauriscono il campo degli interventi e che dovrebbero essere inseriti in un provvedimento legislativo a tutela del lavoro autonomo giornalistico.
I contratti a termine. Il legislatore è più volte intervenuto, con scarsi successi, per tentare di limitare il fenomeno della contrattazione a termine che delimita l’area
più specifica del precariato. Riteniamo che per ridurre il ricorso alla contrattazione a termine e riportarla nell’alveo della sua fisiologicità si debba intervenire con misure di carattere legislativo che possano garantire ai titolari di contratti a termine livelli più alti retributivi e contributivi rispetto ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Chiediamo, in altri termini, che la legge stabilisca che il lavoratore assunto con contratto a termine (quando non si tratti di assunzione per sostituzione temporanea di personale assente con diritto alla conservazione del posto) percepisca un trattamento retributivo maggiorato percentualmente rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva per il lavoratore a tempo indeterminato che svolga le stesse mansioni. All’ aumento retributivo dovrebbe essere aggiunto anche un aumento della percentuale contributiva ai fini previdenziali a carico del datore di lavoro. Operando sul binario retributivo-contributivo non si limiterebbe il diritto del datore di lavoro all’utilizzo della contrattazione a termine per le sue esigenze produttive, e parallelamente si garantirebbero al lavoratore trattamenti di miglior favore a compensazione della precarietà. Peraltro, la diversità di trattamento economico- contributivo tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato costituirebbe per i datori di lavoro un evidente incentivo a favorire l’assunzione a tempo indeterminato.
Utilizzando gli stessi criteri sul fronte dei disincentivi e degli incentivi riteniamo condivisibile e percorribile la proposta contenuta nel disegno di legge di iniziativa dei senatori Xxxxxxx e altri (atti Senato n. 2419) di prevedere incentivi fiscali alle aziende in presenza di assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato.
Sempre sul terreno legislativo si dovrebbe prevedere il divieto di assunzione con contratti a termine (salvi sempre i casi di sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto) per quelle aziende che ricorrono costantemente alla reiterazione di contratti a termine e che non abbiano trasformato a tempo indeterminato una percentuale (da definire) di contratti a termine precedentemente stipulati.
Le collaborazioni coordinate e continuative (xx.xx.xx.). La previsione legislativa, relativamente recente, di affiancare alla tradizionale distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo una nuova fattispecie, quella del lavoro parasubordinato, con lo scopo di introdurre elementi di flessibilità nel mercato del lavoro, ha contribuito a creare soltanto molta confusione nella distinzione tra una fattispecie e l’altra e nella individuazione dei trattamenti economici e normativi. Il decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 ha di fatto cancellato la fattispecie del xx.xx.xx. introducendo quella nuova del xx.xx.xxx. ovvero della collaborazione coordinata e continuativa a progetto, specificando che i contratti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere a termine e devono essere legati ad un progetto o ad un programma di lavoro specificato nel contratto di assunzione. Nella stessa norma di legge è stata prevista l’esclusione dall’applicazione della normativa sui xx.xx.xxx. qualora si eserciti una professione intellettuale per la quale è richiesta l’iscrizione in albi professionali. Ciò significa che la normativa sui xx.xx.xxx. non si
applica ai giornalisti, che, pertanto, possono essere assunti con contratti di xx.xx.xx., senza alcuna specifica garanzia. L’art. 63 del richiamato decreto legislativo stabilisce che i xx.xx.xxx. hanno diritto ad un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. Da questa previsione sono esclusi i xx.xx.xx. e quindi tutti i giornalisti.
A nostro avviso si rende necessario estendere legislativamente questa specifica tutela dei xx.xx.xxx. anche ai xx.xx.xx giornalistici, individuando come parametro di riferimento i livelli retributivi indicati per prestazioni professionali analoghe nella contrattazione collettiva di settore.
Contestualmente occorrerebbe intervenire relativamente agli aspetti previdenziali. Oggi i contributi dei giornalisti xx.xx.xx. sono versati alla gestione separata dell’Inpgi. E’ sempre più frequente che nell’arco della vita professionale di un giornalista si possano cumulare periodi di lavoro subordinato con periodi di collaborazioni continuative. Ciò nonostante, la contribuzione previdenziale continua ad essere separata e non produce il diritto alla formazione di un unico trattamento pensionistico. Riteniamo che questa sperequazione si possa e si debba eliminare, trasferendo la contribuzione previdenziale dei xx.xx.xx. dalla gestione autonoma alla gestione principale.
Anche per quanto riguarda gli aspetti assistenziali si ritiene opportuno, alla luce del confronto in corso con il Ministero del Lavoro e con l’Inail, valutare l’estensibilità dell’obbligo dell’assicurazione infortuni ai lavoratori subordinati e quindi anche ai giornalisti con contratto di collaborazione continuativa e coordinata.
Prestazioni professionali libere. Le scarse tutele legislative sul lavoro autonomo professionale inducono nel settore dell’editoria giornalistica ad un utilizzo molto esteso di forme contrattuali del tutto anomale prive di qualsiasi tipo di garanzia. Proprio per la specificità del lavoro giornalistico si ritiene pertanto opportuno intervenire sul piano legislativo operando, sempre con riferimento sia al profilo retributivo che a quello previdenziale. Premesso che troviamo condivisibile la proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati dagli onorevoli Moffa e altri (atto n. 3555) relativa all’istituzione di una commissione nazionale per la valutazione dell’equità retributiva del lavoro giornalistico, riteniamo che il punto fondamentale che occorrerebbe richiamare legislativamente dovrebbe essere quello di prevedere l’applicabilità, oggi esclusa, anche al lavoro autonomo del principio sancito dall’art. 36 della Costituzione laddove si stabilisce che ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Xxxxxxxxxx, infatti, questo semplice richiamo al principio costituzionale, per cancellare la prassi diffusa nel settore editoriale, oltre ogni limite di tollerabilità, di trattamenti economici assolutamente indecorosi.
Sul piano previdenziale, peraltro, mentre si condivide l’obiettivo della legge di iniziativa dei deputati Lopresti e altri, approvata recentemente dalle Camere in via definitiva, di elevare la quota contributiva a carico delle aziende utilizzatrici (oggi
pari al 2%, una percentuale estremamente bassa e assolutamente insufficiente), si rende necessaria una modifica legislativa che consenta alla numerosa platea dei collaboratori giornalisti con scarso reddito e con altrettanto scarsa contribuzione previdenziale di non vedere vanificati i loro stessi contributi. In base alla normativa vigente, infatti, qualora al momento del pensionamento la massa contributiva accumulata non consenta di percepire il trattamento previdenziale minimo, al giornalista interessato non viene erogato nulla e i suoi contributi rientrano nella gestione generale. Poiché in campo giornalistico questo fenomeno non è marginale, ma, anzi, prevalente, si chiede di prevedere anche nella gestione separata dell’Inpgi che (come accade nella gestione della previdenza complementare) quando la massa contributiva cumulata nel corso dell’attività lavorativa non sia sufficiente a garantire un trattamento minimo previdenziale e il lavoratore giornalista non abbia diritto a percepire la pensione sociale, la stessa venga liquidata come prestazione in capitale.
Contributi all’editoria. Oggi, come è noto, sulla base della legge 416/81 e delle successive leggi sull’editoria, il diritto delle aziende editoriali a percepire contributi pubblici diretti o indiretti è legato, tra l’altro, al requisito della regolarità contributiva, sulla base della documentazione rilasciata dagli istituti previdenziali tenuti a certificare la regolare applicazione dei contratti collettivi. Riteniamo che proprio alla luce della estensione dell’utilizzo del lavoro autonomo giornalistico debba essere introdotta una modifica di legge e regolamentare per subordinare l’erogazione dei contributi pubblici, non soltanto alla regolarità nell’applicazione della contrattazione riservata ai lavoratori subordinati, ma anche al rispetto delle normative legislative contrattuali poste a tutela dei lavoratori autonomi. In tal senso, peraltro, si muove la stessa citata proposta di legge presentata dagli onorevoli Xxxxx e altri che prevede il rispetto dei trattamenti retributivi dei freelance come requisito necessario per l’accesso a qualsiasi contributo pubblico a favore dell’editoria.
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