RIVISTA DELL'ARBITRATO
RIVISTA DELL'ARBITRATO
Anno XXV Fasc. 4 - 2015
ISSN 1122-0147
Xxxxxx Xxxxxxx
LA CONSULENZA TECNICA NEL GIUDIZIO ARBITRALE: ALLA RICERCA DI STANDARD CONDIVISI NEL RISARCIMENTO DEL DANNO CONTRATTUALE
Estratto
Milano • Xxxxxxx Editore
La consulenza tecnica nel giudizio arbitrale:
alla ricerca di standard condivisi nel risarcimento del danno contrattuale (*)
XXXXXX XXXXXXX
1. Il problema della consulenza tecnica nel giudizio arbitrale.
In un corso di lezioni, destinate alla formazione degli arbitri internazio- nali che ho atteso ormai anni or sono a Parigi presso la Corte Internazionale di Arbitrato, Xxxxx Xxxxxxxx — allora decano degli arbitri internazionali — propose, non senza destare una certa sorpresa nell’uditorio, un catalogo di regole di comportamento, talora di buon senso talora controintuitive, cui l’arbitro si deve attenere; al vertice ha posto il principio che — oggi posso anche io dire — deve sempre conformare il comportamento dell’arbitro: il tribunale arbitrale non deve mai sorprendere le parti, deve al contrario imporsi di essere prevedibile, sia nelle scelte e decisioni interinali, sia nel lodo.
Quest’insegnamento ritengo sia particolarmente fruttuoso nella materia della consulenza tecnica (d’ora in poi anche per brevità ‘CT’) nell’arbitrato. Ciò a maggior ragione se si considera che la (mi pare) crescente centralità della consulenza tecnica nel giudizio arbitrale (1) deriva dal fatto che l’opzione di devolvere ad arbitri la soluzione d’una controversia rappresenta una scelta ragionevole ed efficiente, e poi frequentemente praticata, proprio nei settori nei quali la componente tecnica del giudizio è predominante su quella giuri- dica (ovverosia in quegli stessi casi ove, se affidati al giudice togato, l’istru- zione probatoria rappresenta costantemente un punto problematico, atteso che giusrealisticamente la scelta prevalente si orienta verso singoli professio- nisti, legati a rapporti di conoscenza e fiducia diretta con il giudice, ma non
sempre adatti a risolvere problemi complessi).
(*) È il testo della Relazione svolta al Convegno “La consulenza tecnica nel giudizio arbitrale: il caso del danno da inadempimento contrattuale”, organizzato da Università di Roma III, Unidroit e Camera Arbitrale di Milano e svoltosi a Roma il 17 aprile 2015.
(1) In questo senso già X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxx e consulenza tecnica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, p. 616; X. XXXXXXXX, Arbitrato e consulenza tecnica, in questa Rivista, 1993, p. 185. Recentemente, G.F. XXXXX, Xxxxxxxxx e consulenza tecnica: questioni vecchie e nuove, ivi, 2013, p. 622.
Forse (anche) per questo, nell’esperienza del giudizio arbitrale, segnata- mente in quello domestico, la consulenza tecnica configura sempre più spesso un epicentro problematico.
Questo accade anche per due ulteriori concorrenti ragioni.
A) Le norme sulla liquidazione del danno contrattuale hanno un valore precettivo debole, propongono regole aperte, appaiono incapaci d’orientare in maniera univoca la scelta del giudice e/o di consegnare al consulente tecnico una direttrice d’azione (2).
Gli è che sussiste un’asimmetria tra il carattere ‘aperto’ della norma e la complessità delle regole tecniche che possono alternativamente essere invo- cate in sede di liquidazione del danno.
D’altra parte, ciascun enunciato normativo inerente al danno risarcibile problematicamente s’interpreta in termini meramente empirici o naturalistici, ma richiede d’essere collocato in un quadro di riferimento teorico, che in ultimo si ‘aggancia’ al problema di vertice della funzione del risarcimento del danno e della tutela dell’affidamento contrattuale (3).
Tra la vaghezza delle regole giuridiche, che ci consegna il codice civile, e le regole tecniche e aziendalistiche, che saranno poi chiamate a valutare e quantificare il pregiudizio patrimoniale, v’è dunque uno spazio nel quale può diffusamente esercitarsi la discrezionalità — quando non l’arbitrio — di chi è chiamato a decidere.
B) Dall’altro, l’esito della valutazione peritale non è suscettibile di rimedi in sede d’impugnazione, specie ora che i casi di nullità sono ristretti a vizi formali e tipizzati.
Si pensi al caso in cui il lodo, accertato il fatto causativo del danno, con un salto logico-motivazionale, si limiti a recepire il calcolo operato dal consulente: ebbene, in questo caso estremo — ma per il vero non proprio infrequente — non si dà possibilità d’impugnazione, salvo percorrere la strada segnata dell’art. 829, comma 3, c.p.c., ove le parti o la legge abbiano esteso l’impugnazione al merito della controversia, ma sul presupposto — pure sostenibile, ma certo non scontato — che siano « regole di diritto » quelle che presiedono alla scelta delle regole tecniche di quantificazione, in quanto coerentemente desumibili dal danno giuridicamente risarcibile (4).
2. I quesiti più frequenti.
Vi sono una serie di problemi che il tribunale arbitrale deve affrontare nel procedimento che conduce a una decisione fondata su un elaborato peritale.
Si rifletta, a titolo d’esempio, su questi interrogativi:
(2) Sono regole quelle dei codici civili che, al fondo, visualizzano, quali antecedenti della norma, Realtypen oggi superati.
(3) X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, p. 86 ss.
(4) Cfr. G.F. XXXXX, Arbitrato e consulenza tecnica: questioni vecchie e nuove, cit., p. 640.
a) se addivenire (o non) alla consulenza tecnica, potendo il collegio farsi integralmente carico della valutazione tecnica: ciò che sottende l’interroga- tivo, allora anche d’opportunità oltre che giuridico, se e quando la nomina d’un consulente debba ritenersi necessaria all’adempimento del mandato (ai sensi degli artt. 1708, comma 1, e 1717, comma 1, c.c.) (5);
b) quando, in relazione all’onere della prova incombente sulla parte, possa dirsi ammissibile la CT percipiente volendosi così indicare — a con- fronto di quella deducente — quella fondata sull’allegazione di un fatto costitutivo, sì che la prova viene a formarsi nel contraddittorio delle parti (6);
c) se possa aversi una CT su una materia segreta, il che sottende il disvelamento (solo) parziale ad una parte del materiale messo a disposizione del consulente scelto dal collegio e sul quale, solo una volta formato l’elabo- rato, i consulenti di parte sono chiamati a esprimersi;
d) se, e allora quando, il consulente tecnico possa, di propria sponte, acquisire (7) e/o richiedere ulteriori documenti alle parti;
e) cos’accada quando il consulente non risponde a taluni quesiti;
f) se il collegio possa convocare il consulente per richiedere spiegazioni o schia- rimenti, senza che siano presenti le parti o i consulenti da esse nominati (8);
g) quali siano le regole che governano l’interazione tra consulente e le parti dopo la consegna dell’elaborato peritale, nei casi ad esempio in cui siano da una o entrambe le parti richiesti integrazioni o chiarimenti (9);
h) chi debba adempiere, eventualmente in solido, al compenso spettante al CTU in ragione del fatto che si tratta d’un ausiliario scelto dal collegio (artt. 1715, 1719 c.c.) (10), e secondo talune prospettazioni di cui anche il collegio arbitrale risponde (11);
(5) X. XXXXXXX, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, 2002, p. 351 ss.; F. XXXX, Il ruolo del consulente tecnico nel processo arbitrale, in questa Rivista, 2012, p. 730.
(6) X. XXXXXXXX, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., p. 190 s.
(7) Sul punto, G.F. XXXXX, Xxxxxxxxx e consulenza tecnica: questioni vecchie e nuove, cit., p. 627.
(8) X. XXXXXXXX, La ricerca della verità nel processo civile: profili evolutivi in tema di prova testimoniale, consulenza tecnica e atto notorio, in Riv. dir. proc., 2011, p. 120 ss.
(9) X. XXXXXXX, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, cit.,
p. 346 s.; X. XXXXXXXXXX, Contraddittorio e consulenza tecnica, in questa Rivista, 1994, p. 767 s.
(10) Secondo quanto statuito da una recente pronuncia del Tribunale di Massa, 4 dicembre 2013, n. 732, « [...]il diritto di credito del consulente tecnico d’ufficio [trova] fonda- mento, per quanto chiarito nelle convenzioni compromissorie sottoscritte dalle parti del lodo, nell’attività espletata su incarico dell’arbitro e nel provvedimento di liquidazione del compenso emesso da quest’ultimo. Non può quindi aversi riguardo alla disciplina dei cd. debiti ex mandato prevista dall’art. 1720 c.c., ai sensi del quale “il mandante deve rimborsare le anticipazioni con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte”. Ed infatti, per espressa previsione patrizia, le parti interessate demandarono espressamente all’arbitro il potere di regolare le spese della procedura arbitrale ponendole a carico di taluna di esse o di entrambe, di guisa che la liquidazione operata dall’arbitro libero è a tutti gli effetti espressione della volontà delle medesime parti e quindi efficace nella loro sfera giuridica ». V. il commento di F. XXXX, Considerazioni in ordine al soggetto tenuto a corrispondere il compenso al consulente tecnico nel
i) quali siano le regole di responsabilità avverso il CTU, nei casi nei quali assolva in modo infedele il proprio mandato ovvero senza la perizia e la diligenza necessaria (art. 1715 c.c.), situazione che taluni predicano come indissociabile dalla responsabilità del collegio.
3. Cosa significa disporre d’uno standard.
A fronte dei quesiti appena evocati, rispetto ai quali le regole del mandato possono offrire una prima (e non sempre definitiva) risposta, ritengo debba mettersi l’accento su un aspetto tutt’affatto diverso.
Si tratta d’un profilo che — a mio avviso — in termini giusrealisti distingue la CT nel giudizio rimesso ad arbitri da quello invece affidato al giudice togato (12).
Gli è, infatti, che il consulente tecnico, quando ausiliario del giudice togato, è destinatario d’un ufficio non declinabile e — nel processo decisionale
— alimenta direttamente il proprio comportamento dal legame fiduciario con il giudice (13).
Al contrario, nel giudizio arbitrale il consulente scelto dal collegio è destinatario di un mandato professionale, liberamente assunto e oggetto d’un possibile confronto dialettico con i mandanti (che poi sono il collegio e indirettamente le parti), proiezione del contraddittorio che costituisce la pietra angolare del procedimento che conduce al lodo (14).
Il problema cui alludo, e che (mi) pare di centrale rilievo, è quello di assicurare un’effettiva condivisione e un confronto sostanziale nel processo di formazione della consulenza, prima in ordine ai presupposti tecnici e scientifici su cui la decisione si basa; poi, una volta che l’elaborato tecnico è reso, nel dialogo e confronto interno al collegio e, poi, tra il collegio e le parti.
Provo a schiarire, nelle premesse logiche e fattuali, quanto appena ora affermato.
Non alludo al fatto — sostanzialmente scontato — di garantire il rispetto del principio del contraddittorio in senso formale, che secondo la giurispru- denza è comunque assicurato qualora si consenta alle parti di controvertere ed esprimersi sui risultati dell’elaborato peritale (15).
procedimento arbitrale, in questa Rivista, 2014, p. 823 ss.; X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxx e consulenza tecnica, cit., p. 626. Cfr., X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2012, p. 270, nota 280. In giurisprudenza v. TAR Lazio, 11 giugno 2002, n. 5432.
(11) In una recente pronuncia della Cassazione, sez. I, 21 marzo 2014, n. 6736, in Foro it., 2014, I, c. 1790 ss., con nota di X. X’XXXXXXXXXX, può leggersi che il consulente tecnico al quale non sia stato corrisposto il compenso ha il diritto di rivalersi sugli arbitri. Quest’ultimi, in quanto conferenti l’incarico, secondo la Corte, sono gli unici tenuti al pagamento.
(12) In generale X. XXXX, Il ruolo del consulente tecnico nel processo arbitrale, cit., p. 725 ss.
(13) G.F. XXXXX, Xxxxxxxxx e consulenza tecnica: questioni vecchie e nuove, cit., p. 623.
(14) X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxx e consulenza tecnica, cit., p. 622 ss.; E.F. XXXXX, Contro l’istruzione probatoria segreta nel giudizio arbitrale, in Riv. dir. proc., 1969, p. 703 ss.
(15) Si veda, per tutte, Cass., sez. I, 29 gennaio 1992, n. 923, in Foro it., 1992, I, c. 1385
Il problema è, piuttosto, di tipo sostanziale e concerne l’individuazione d’uno standard condiviso che garantisca un forma corretta d’interazione e dialogo con il consulente designato, e poi dell’elaborato peritale, nel collegio e tra il collegio e le parti in ordine ai contenuti e prima ai presupposti dell’elaborato medesimo.
Si pensi alla situazione, tutt’altro che eccezionale, nel quale una parte (e sovente l’arbitro da quella parte scelto) contesti radicalmente l’esito della CT sia per quanto concerne il danno (che avrebbe dovuto essere risarcito) sia per quanto concerne il metodo di calcolo: a quali condizioni il tribunale arbitrale può, coerentemente e — come s’è detto — prevedibilmente, rinnovare la consulenza tecnica, eventualmente affidandosi a un diverso consulente?
Al fondo che uno standard comportamentale — intimamente imbricato all’assolvimento dell’onere della prova — già esista lo dimostra il confronto tra le regole comportamentali in cui si sostanzia l’arbitrato domestico a confronto di quello internazionale: nel primo il ricorso alla CT è considerato fisiologico e accettabile, anche quando si tratta di far di conto (cosa che il collegio potrebbe non troppo disagevolmente fare in proprio) ovvero, con un processo che si dice allora percipiente, integrare una prova non compiuta- mente assolta da una parte.
Al contrario, nell’esperienza arbitrale internazionale il ricorso alla CT è molto raro e le parti devono allegare, per assolvere all’onere della prova, i fatti costitutivi accompagnati da un convincente e affidabile elaborato peritale.
Una differenza rilevante si riscontra a questo riguardo, anche nell’arbi- trato domestico, tra la tradizione di common law e quella di diritto continen- tale, in particolare franco-italiana.
Nella prima gli arbitri dedicano un’attenzione assai significativa alla selezione delle poste risarcibili e poi alla giustificazione del metodo di com- misurazione.
Nell’esperienza domestica, al contrario, per solito il tribunale arbitrale non svolge di regola alcun particolare approfondimento sul rapporto tra teoria del danno risarcibile e metodo aziendalistico di calcolo (16).
In questa materia, pertanto, l’opportunità di trovare uno standard comu- nemente accettato appare particolarmente opportuna e può tradursi in una procedura, informalmente condivisa o formalizzata, cui le parti o gli arbitri fanno rinvio.
Naturalmente sia il condiviso riconoscimento d’uno standard sia l’esi-
ss. In linea con l’orientamento giurisprudenziale, X. XXXXXXXX, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., p. 190; in senso critico, X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 271; X. XXXXXXXX, La prova, in Arbitrato, ADR conciliazione, diretto da X. Xxxxxx-Xxxxxxxxxx, Bologna-Roma, 2009, p. 756.
(16) Ciò si può dire anche dell’esperienza francese, come attesta X. XXXXXXXXX, L’éva- luation du préjudice par l’arbitre: Rapport introductif, in Rev. arb., 2015, p. 350 ss. In tema, Y.-X. XXXXXXXX, Les règles juridiques relatives à l’évaluation du préjudice contractuel (droit anglais, droit français, droit suisse), ivi, p. 378 ss.
stenza d’una procedura formalizzata, a esempio nel regolamento d’una ca- mera arbitrale, individuano un paradigma di normalità dalle quali il CTU e poi gli arbitri possono sempre discostarsi.
4. Le possibili fonti di disciplina.
I problemi appena richiamati, anche quelli che invocano la necessità d’uno standard, possono trovare soluzione:
i) nella clausola compromissoria (o nel regolamento della camera arbi- trale richiamato dalla clausola compromissoria);
ii) nel verbale di costituzione del collegio sottoscritto dai procuratori e dalle parti;
iii) nell’ordinanza che dispone la CT e dà l’incarico al perito.
Giova essere consapevoli che le risposte possibili seguono itinerarî, teorici e pratici, in radice diversi a seconda che si ritenga che la CT sia: a) una (mezzo di) prova; b) un procedimento.
Nel caso a) in cui si ritenga una prova (17), è sempre necessario il consenso delle parti per disciplinare o escludere la stessa consulenza (salvo quando ciò è impedito dalla legge, come ad es. nel caso disposto dagli artt. 2700 e 2739 c.c.).
Se — com’appare preferibile e come argomentato dalla dottrina (18)— la consulenza tecnica costituisce un momento (endo)procedimentale nel pro- cesso istruttorio e decisionale che conduce al lodo, ciò significa che:
b1) alle parti è consentito disporre del procedimento, nei limiti non derogabili del rispetto del contraddittorio.
A tale stregua, le parti possono sicuramente scegliere di escludere il ricorso alla CT dal processo decisionale (19), com’è parimenti ammissibile l’arbitrato su documenti, che limita il potere istruttorio degli arbitri ai soli documenti prodotti.
Questa istruzione, secondo la regola che può trarsi dalla disciplina del mandato, conforma il potere degli arbitri, a condizione che non impedisca l’assolvimento del loro incarico e sempre che una norma inderogabile non disponga diversamente.
Nella risposta a quest’interrogativo, a ben vedere, si legge in filigrana il limite — per così dire tipologico — nel ricorso diretto o analogico alle regole sul mandato.
ss.
(17) X. XXXXX, Perizie, nullità processuali e contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1967, p. 395
(18) Cfr. X. XXXXXXX, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente
tecnico, cit., p. 341 ss.; ID., L’istruzione probatoria mediante consulente tecnico nell’arbitrato rituale, in Riv. dir. proc., 2002, p. 1124 ss.
(19) X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 270. V. i rilievi critici di X. XXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato. Artt. 806-840, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di X. Xxxxxxxxx, Bologna-Roma, 2014, sub Artt. 816-ter, p. 445; X. XXXXXXX, L’istruzione probatoria, in Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di X. Xxxxx, Torino, 2000, p. 213; X. XXXXXXXX, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., p. 186 s.
È, infatti, evidente che se il modello normativo di riferimento è esemplato sul dovere di rendere giustizia, il mandato delle parti agli arbitri difficilmente tollera limitazioni che possano precludere o inibire l’accertamento della verità (sì che, ad esempio, in modo estremamente limitativo si dovrà interpretare l’esclusione della CT) (20).
Al contrario, se a essere assorbente è il profilo della disponibilità del diritto come conformato dalla clausola compromissoria, il potere degli arbitri è invalicabilmente definito dal mandato delle parti.
b2) Gli arbitri governano, ai sensi dell’art. 816-bis c.p.c., il procedimento e hanno il potere — nel rispetto del principio del contraddittorio — di stabilire le regole dell’acquisizione della consulenza tecnica.
In questo quadro, può trovare soluzione il problema inerente a(i limiti di) ammissibilità della consulenza su materia segreta (perché a es. costituisce un know-how aziendale), che può essere sciolta positivamente ove il materiale messo a disposizione della parte sia direttamente valutato dal collegio e, sia pure con l’ausilio di un consulente, tradotto in un elaborato sottoposto al contraddittorio delle parti.
4.1. Provo a trarre qualche sintetica conclusione dalle premesse che ho indicato.
È necessario il consenso delle parti (manifestato nella clausola compro- missoria o in altro momento) per: (a) escludere la possibilità di ricorrere alla consulenza tecnica; (b) imporre la scelta tra un numero di consulenti già selezionato ovvero in possesso di determinati requisiti.
A sua volta la clausola compromissoria potrebbe opportunamente chia- rire e confermare quanto già deriva dalle regole generali: i) in tema di debenza in ordine al pagamento del consulente; ii) quanto alla responsabilità diretta del consulente nei confronti delle parti, quale submandatario.
4.2. Il potere degli arbitri di dare impulso alla procedura che si mani- festa nell’ordinanza di costituzione del collegio (meglio, allora, se sottoscritta dai procuratori e dalle parti) può utilmente esercitarsi:
a) per porre — in quanto certamente spesa di funzionamento — quale condizione di procedibilità il pagamento del consulente a cura delle parti, ai sensi dell’art. 816-septies c.p.c.;
b) per chiarire che grava direttamente sulle parti ai sensi dell’art. 1719
c.c. l’obbligazione inerente ai costi di funzionamento del collegio;
c) per declinare la responsabilità diretta del consulente nei confronti delle parti, come peraltro già può desumersi dagli artt. 1715 e 1717 c.c.
4.3. Per quanto concerne l’organizzazione e lo svolgersi dei lavori peritali, il collegio può:
(20) X. XXXXXXXXX, Due questioni in tema di delibazione del lodo straniero e ordine pubblico, in questa Rivista, 1991, p. 813 s.
A) al momento della fissazione dei termini delle memorie illustrative chiedere alle parti — come avviene tipicamente nell’esperienza degli arbitrati internazionali — di depositare già nei primi scritti difesivi una consulenza tecnica (ovvero di direttamente prendere posizione su talune tematiche tec- niche).
Opzione che si raccomanda particolarmente in tutte le vicende che riguardano la liquidazione di un danno, anche per evitare una soverchia concentrazione del dialogo processuale sul tema dell’an, relegando la deter- minazione del quantum a un ruolo quasi ancillare.
In particolare, può essere particolarmente utile fissare talune premesse che attengono ai criteri di calcolo del danno, che è tema in radice diverso da quello inerente alla definizione del danno giuridicamente rilevante.
Altro è, infatti, perimetrare l’area delle poste giuridicamente suscettibili di essere risarcite, altro è calcolare tali poste e scegliere — tra i possibili — un criterio che consenta una misurazione.
Lo stesso bene, infatti, ha un valore molto diverso se ne si consideri il valore d’uso, di scambio o di sostituzione. Un monitor o un computer hanno un ciclo di vita commerciale molto breve e tuttavia, anche se tecnologicamente obsoleto — come il computer portatile su cui sto scrivendo, che oggi non è più in produzione — può avere un valore in quanto perfettamente funzionante e importare il costo di un computer nuovo (e obiettivamente più evoluto) se esso deve essere sostituito.
B) Nell’ordinanza che dispone la CTU, chiedere al consulente nominato dal collegio di chiarire preventivamente al momento dell’accettazione dell’in- carico (eventualmente di fronte al collegio e in contraddittorio con i consu- lenti delle parti):
i) la letteratura scientifica che pone a fondamento della propria valuta- zione tecnica;
ii) le regole di esperienza tecnica e le teorie scientifiche che ritiene attendibili;
iii) i casi, giurisprudenziali e non, che ritiene rilevanti;
iv) di dare conto di tali criterî nelle conclusioni assunte ovvero se questi si sia scostato dalle medesime.
È fin troppo evidente che in talune materie due, o più, teorie si conten- deranno il campo: tuttavia, una discussione preventiva che coinvolga le parti e il collegio può servire a individuare quale sia l’opinione personale del consulente, verificare il consenso o il dissenso delle parti su tali teorie, richiedere al consulente di rappresentare gli esiti delle proprie analisi in ragione delle varie premesse teoriche possibili.
Il confronto preventivo che si propone ha anche il pregio di prevenire un’esperienza ricorrente nell’arbitrato domestico, che vede i due consulenti di parte assumere tesi estreme e irriducibili, lasciando al consulente scelto dal collegio il compito di un percorso solitario (situazione che si vorrebbe gover- nare imponendo anche ai consulenti di parte l’adesione ad un codice etico, che affermi la slealtà processuale di siffatti comportamenti).
C) Proporre al consulente tecnico di adottare un formato di redazione dell’elaborato e di presentazione delle risposte che partitamente distingua nell’esposizione:
i) l’accertamento dell’an (che potrebbe già essere fermato da un lodo parziale ovvero assunto nelle premesse ipotetiche), del nesso di causalità, dei dati spaziali e temporali rilevanti del fatto produttivo del pregiudizio;
ii) la teoria del danno — quella che la letteratura anglosassone definisce
theory of harm — che si accoglie;
iii) i metodi e criteri di misurazione adottati;
iv) il calcolo vero e proprio.
5. Il risarcimento del danno contrattuale: le poste rilevanti.
Il caso del risarcimento del danno contrattuale ben si presta a questo esercizio, atteso che per definizione l’inadempimento del contratto interrompe un programma prospettico, generatore di ricchezza maggiore rispetto alla posizione iniziale di entrambe le parti (quindi, detto in altri termini, capace di realizzare un miglioramento paretiano), programma sul quale la parte adem- piente ha fatto affidamento (21).
Lo stesso può dirsi per la risoluzione del contratto per inadempimento, nel quale dovrà altresì valutarsi quale ruolo giochino le prestazioni eventual- mente già rese da entrambe le parti.
In termini generali, il risarcimento del danno mira a collocare la parte adempiente sulla stessa curva d’indifferenza su cui sarebbe stata se l’adempi- mento si fosse verificato. Ciò avviene ‘assegnando’ al rapporto contrattuale, attraverso il risarcimento del danno, un valore pecuniario (22).
Punto di partenza di qualsiasi analisi è, pertanto, il prezzo stabilito dalle parti per acquistare un determinato bene o prestazione (per semplicità del discorso qui non si considerano i problemi connessi all’abuso di dipendenza economica o ai problemi di asimmetria nel potere contrattuale delle parti) (23).
In tale prospettiva, il prezzo assolve la fondamentale funzione di hedging delle pretese, in quanto fissa necessariamente il perno intorno al quale ruota ogni considerazione sul danno da inadempimento.
5.1. A questo punto, è necessario chiarire qual è la teoria del danno che si ritiene applicabile e quali sono le poste risarcibili e, in concreto, risarcite. Provo, in estrema sintesi e con molta semplificazione, a illustrare il percorso che conduce, accertato l’inadempimento, a dare un prezzo al valore
di un contratto.
(21) Si v. X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., p. 83 ss.
(22) X. XXXXXX e M.A. XXXXXXXXX, Damages for Breach of Contract, in Cal. L. Rev., 73 (1985), p. 1432 ss.
(23) J.W. FLUME, Der monetäre Wert des (Kauf-)Vertrags. Zur Bedeutung von Wert und Zeit für die Bestimmung des Nichterfüllungsschadens, in AcP, 215 (2015), p. 282 ss.
Una volta che il giudice abbia risolto il problema dell’imputazione dell’inadempimento, ma prima che un danno sia concretamente misurabile, è necessario fissare talune premesse conoscitive.
Tali assunzioni possono riguardare fatti, astratti o concreti, ed eventi che non si sono prodotti e che, sovente, non sono più suscettibili di prodursi o replicarsi.
Oggetto di stima sono gl’effetti negativi che ciascuna parte ritiene di avere subìto per effetto dell’interruzione del rapporto, a iniziare dal « lucro cessante » che per definizione costituisce una posta virtuale —; parimenti si deve stabilire qual è l’orizzonte temporale all’interno del quale gl’effetti dell’inadempimento si producono.
Infatti, nello sciogliere il problema in astratto e nel guardare progressi- vamente alla vicenda concreta che è sotto gli occhi del giudice, togato o laico che sia, si profila una sequenza di problemi preliminari, che invocano certa- mente l’applicazione di regole giuridiche, ma pure d’un’indagine tecnica indispensabile nel processo di concretizzazione del precetto normativo.
È, infatti, necessario individuare:
(a) il momento temporale rilevante dell’inadempimento, che sicuramente rappresenta l’antecedente logico d’una serie di risposte ulteriori;
(b) il mercato di riferimento (si pensi, ad esempio, al problema più banale, che è quello dei costi di trasporto delle merci);
(c) il criterio con il quale il prezzo si determina nel mercato;
(d) la differenza di prezzo tra il valore convenuto e il prezzo di mercato. (È, peraltro, evidente che, quando si tratti di beni idiosincratici, è necessario formulare ulteriori assunzioni di principio; lo stesso riguarda i beni senza valore di mercato, ovvero i pezzi unici, come nel caso della vendita di un’opera d’arte).
5.2. Una volta accertato l’an, nel senso più ampio della struttura del fatto storico causativo del danno contrattuale, si tratta di selezionare la teoria del danno che si ritiene applicabile.
A questo riguardo, è affermazione giusrealisticamente fondata quella in ordine alla quale nel nostro — ma non solo nel nostro — ordinamento convivono teorie del danno eterogenee.
Basti pensare alla scelta tra il risarcimento dell’interesse positivo, dell’in- teresse negativo, del c.d. risarcimento in forma specifica.
In termini generali, le norme positive che si leggono agli art. 1218 ss. x.x. xxxxxxxxx x’xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxx dell’interesse positivo
— che concretamente significa garantire gli effetti economici del contratto adempiuto.
Alla determinazione dell’interesse positivo può arrivarsi attraverso una sottrazione: secondo la Differenzhypotese, si deve confrontare il patrimonio della parte adempiente qual è (minuendo) e quello che sarebbe stato in presenza dell’adempimento (sottraendo).
La stessa operazione può compiersi con una addizione, considerando analiticamente le poste patrimoniali che avrebbero composto il patrimonio ove l’adempimento si fosse realizzato (ciò ad esempio avviene utilizzando il metodo di contribuzione, su cui dico nel prossimo paragrafo).
Alla scelta di considerare le poste patrimoniali positive in cui si compone il risarcimento del danno si accompagnano una pluralità di interrogativi (24): se le restituzioni debbano essere considerate quale addendo nel risarcimento; quale decomputo debba essere fatto dei frutti; se il danneggiato possa chiedere di vedersi attribuiti anche i profitti che il debitore inadempiente ha conseguito (secondo il modello americano del disgorgement che nei rapporti d’impresa l’art. 2391, comma 5, c.c. riconosce con una norma di valore direi generale, imponendo la restituzione delle opportunità dell’impresa che l’amministratore abbia sfruttato in proprio (25)).
L’opzione normativa per il risarcimento dell’interesse positivo non esclude che l’attore possa, in alternativa, domandare il ristoro dell’interesse negativo: nel primo caso il creditore chiede di essere collocato nella stessa posizione che avrebbe conseguito in ragione dell’avvenuto adempimento; nel secondo è la situazione patrimoniale nella quale il creditore si sarebbe trovato se avesse deciso di non contrattare (26).
In un mercato perfettamente elastico e in assenza di costi transattivi le due poste patrimoniali (tendenzialmente) coincidono.
Al contrario, quanto più ci si allontana da queste due premesse, tanto più esiste una differenza rilevante tra gli esiti della individuazione delle poste risarcibili.
La scelta per il risarcimento dell’interesse negativo può essere sorretta anche da un problema che attiene alla prova del danno subìto.
Proprio perché
(i) il riferimento ai valori del patrimonio, in presenza o assenza del- l’adempimento, può essere di difficile o impossibile prova, e
(ii) vi sono inadempimenti che non sono apprezzabili in termini di saldo patrimoniale (come nell’esempio della festa in cui non si presenta l’orchestra che doveva allietare gli invitati, di cui ci parlano sia Xxxxxx Xxxxxxx sia i giuseconomisti; o il caso ormai desueto — ma davvero paradigmatico nella giurisprudenza di molti ordinamenti — della vendita di una pellicola fotogra- fica difettosa che impedisce di serbare traccia d’un evento lieto e non repli- cabile, almeno con le stesse persone, come un matrimonio),
(24) Su cui v. in particolare X. XXXXX, Danno e risarcimento contrattuale, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, X, Xxxxxx - 0, Xxxxxx, 0000, spec. p. 894 ss.; X. XXXXXXXX, Obbligazioni restitutorie e risarcimento del danno nella risoluzione per inadempimento, in Giur. comm., 1990, I, p. 19 ss.
(25) X. XXXXXXXXX, Contratto e nuove frontiere rimediali. Disgorgement x. xxxxxxxx xxxx- xxx, Xxxx, 0000.
(26) Sull’interesse negativo quale formula per quantificare il risarcimento v. P. TRIMAR- CHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., p. 98 ss., ove si esclude la cumulabilità del risarcimento delle due tipologie di interesse, negativo e positivo.
il risarcimento del danno può indirizzarsi:
a) al valore di mercato della cosa cui l’inadempimento si riferisce;
b) alla definizione di un valore d’uso (si pensi a quanto costa locare nel mercato quel bene);
c) ai costi necessari per riparare la cosa o eliminare i difetti della prestazione ricevuta (secondo il modello del risarcimento del danno contrat- tuale in forma di equivalente pecuniario, che può talora superare quello che si determina per effetto del saldo patrimoniale).
Ne esce confermato quanto afferma una voce autorevole della dottrina — quella di Xxxxxx Xxxxxxxxx —: un’analisi compiuta del risarcimento del danno non può prescindere dal tipo d’inadempimento e dall’assetto di interessi rilevante (27).
6. La scelta del modello di liquidazione del danno.
A questo punto entra in gioco la scelta del modello di liquidazione del danno.
Qui l’opzione per l’uno o per l’altro sottende necessariamente l’adegua- tezza e la coerenza rispetto alla tipologia di danno risarcibile: la scelta deve (motivatamente) orientarsi in ragione d’un criterio di liquidazione e di calcolo attendibile. Non si dà, infatti, un modello di calcolo che non sottenda un presupposto implicito nella valutazione che deve, evidentemente, essere esso stesso giustificato.
Si pensi agli esiti molto distanti cui conducono i modelli aziendalistici più comunemente usati.
(a) Il calcolo di tipo strettamente patrimoniale (Asset Based Approach) consiste in un approccio analitico che individua il valore di ogni componente dell’attivo e ne fa la somma.
Questo modello impone, evidentemente, in via preliminare la scelta del valore di riferimento dei beni (di mercato; di liquidazione; di rimpiazzo) e non considera la capacità di produrre reddito dei beni.
(b) Il calcolo fondato su multipli individua un valore in termini di ragionevole probabilità.
Si pensi al valore per metro quadro degli immobili, al prezzo al barile del greggio, all’EBITDA (Earnings before interest, taxes, depreciation, and amor- tization) e così via.
In questo caso è evidente che la scelta valutativa consiste nell’assumere l’omogeneità della comparazione, cosa che può ragionevolmente farsi nei contesti concorrenziali caratterizzati da standardizzazione significativa o co- munque adeguata.
(c) In alternativa, si fa solitamente riferimento ai flussi di tesoreria
(27) X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., p. 113 ss.
attualizzati — secondo il modello del Discounted Cash Flow —, che consente di valutare il valore dell’attivo in ragione della sua capacità di produrre reddito. Il che evidentemente espone chi valuta — e poi chi su quella valutazione si fonda — ad assunzioni ipotetiche che riguardano la prevedibi- lità degli scenari economici futuri.
6.1. Se guardiamo al danno contrattuale dal punto prospettico di osser- vazione dei metodi aziendalistici di calcolo, è agevole rendersi conto del valore debolmente precettivo delle formule adottate dal legislatore.
Se il valore d’un attivo è strettamente connesso alla sua capacità di produrre reddito, si dissolve la stessa distinzione, proposta dalle norme, tra lucro cessante e danno emergente, che al fondo propone una ipostasi formale e niente affatto vincolante.
Di qui il valore retorico e motivazionale del principio di ‘integrale riparazione del danno’, che se considerato operazionalmente — volendo usare un lemma dello strutturalismo che significa: in relazione alle operazioni di cui coonesta la correttezza — serve a dispensare il giudice da un ancoraggio a una specifica norma dettata per la liquidazione del danno.
Un buon esempio reputo possa essere costituito dal « margine di contri- buzione », misurato dalla differenza tra i ricavi e i costi variabili.
Si pensi alla situazione paradigmatica di valutare il danno che si produce tra due imprese, nel caso in cui un contratto non è stato esattamente adem- piuto alla scadenza.
Il danno risarcibile è misurato facendo riferimento alla differenza tra i ricavi e i costi (variabili) di produzione.
Si assume, infatti, che il danno contrattuale si risolva nel ‘contributo’ che l’adempimento del contratto avrebbe assicurato: i) alla copertura dei costi fissi (per la parte riferibile a quel contratto) e ii) alla produzione dell’utile (28).
Se un contratto è stato inadempiuto all’inizio del secondo anno, assu- miamo che i conti economici di un creditore (che nell’esempio non ha altri contratti in essere) nei due esercizi — rappresentati dalle due colonne di destra — siano i seguenti:
Anno 1 | Anno 2 | |
Ricavi (a) | 300 | 0 |
Costi variabili (b) | 180 | 0 |
Margine di contribuzione (c = a — b) | 120 | 0 |
Costi fissi (d) | 100 | 100 |
Risultato operativo (e = c — d) | 20 | (100) |
Il danno contrattuale risarcibile in questo caso è pari a 120, che rappre- senta appunto il margine di contribuzione garantito da quel contratto.
(28) Provo a spiegare con un esempio numerico di cui sono debitore a Xxxxxxxx Xxxxx.
7. Congedo sulle opzioni di politica del diritto dell’arbitrato.
Sono consapevole che la riflessione che, sia pure per punti e per assiomi, ho provato a tracciare (: la necessità di uno standard in materia di CT), si scontra con un tema rilevante di politica dell’arbitrato.
V’è, infatti, una forte insofferenza nei confronti delle prassi — molto diffuse a livello internazionale — che mirano a codificare regole di compor- tamento cui i tribunali arbitrali devono attenersi, che vulnererebbero — almeno secondo talune voci — la ragione stessa per le quali le parti scelgono di affidare a quegli arbitri la decisione della loro controversia.
Mi pare tuttavia che, da un lato, uno standard non impedisce mai al collegio e al consulente di (motivatamente) discostarsi e di fare diversamente, in ragione delle peculiarità del caso di specie o, più banalmente, della convinzione che lo standard sia fallace; al contempo, un tollerabile irrigidi- mento della procedura troverebbe una sua forte giustificazione nel maggiore grado di effettivo contraddittorio che sarebbe assicurato nella procedura arbitrale.
Soprattutto, mi pare che una riflessione aperta su questi temi abbia il pregio di sottrarre infingimenti e ogni forma d’ipocrisia.
Come ha risposto Lazareff, nella lezione parigina che ricordavo ad apertura di queste pagine, a una domanda che voleva essere provocatoria d’un avvocato americano: “Se accetto un invito al ristorante dall’avvocato o dalla parte durante un arbitrato che mi vede impegnato come arbitro? Dipende molto dalla qualità del ristorante”.