DELL’«ANATRA ZOPPA»
73. L’arbitrato dei consumatori e la sindrome dell’ «anatra zoppa», in Rivista dell’Arbitrato, 1/2011, II, 127
Xxxxxx Xxxxxxxx L’Arbitrato dei consumatori e la sindrome
DELL’«ANATRA ZOPPA»
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Un approccio cauto all’arbitrato dei consumatori. - 3. Il quadro di riferimento comunitario. - 4. Arbitrato e clausole vessatorie nella prospettiva del recepimento della direttiva comunitaria 93/13. - 5. Le opinioni della dottrina e della giurisprudenza. - 6. Il codice del consumo e l’occasione mancata. - 7. Arbitrati amministrati nei settori dei servizi bancari e finanziari. - 8. Il ruolo delle Camere di Commercio. - 9. Arbitrato dei consumatori e Corte di Giustizia UE.
1. PREMESSA.
L’arbitrato nelle controversie dei consumatori appare come “un’anatra zoppa”, nel senso che in questo contesto non può dispiegare appieno le sue potenzialità.
Da un lato, infatti, secondo una diffusa opinione la clausola compromissoria inserita nei contratti con il consumatore sarebbe potenzialmente una clausola abusiva, come tale inefficace poiché colpita dalla c.d. nullità di protezione che presidia l’asimmetria sostanziale della posizione contrattuale del consumatore rispetto a quella del professionista.
Da altro lato, la previsione di una clausola compromissoria nella materia considerata configgerebbe con il c.d. principio di libertà che presidia il diritto di adire la giurisdizione competente per la risoluzione della controversia, garantito senza eccezioni dall’art. 6 CEDU.
L’opzione arbitrale sarebbe percorribile soltanto qualora il consumatore la accetti esplicitamente, in piena conoscenza di causa ed in una fase posteriore all’insorgere della controversia.
Da ciò consegue che la stipulazione di un compromesso arbitrale per la risoluzione di una controversia tra un professionista ed un consumatore sarebbe tendenzialmente ammissibile (ma l’ipotesi si avvicina di più al caso di scuola che all’esperienza reale), mentre l’operatività di una clausola compromissoria è assai problematica.
Queste prime constatazioni sono sufficienti a dare conto delle difficoltà operative in cui si colloca il fenomeno dell’arbitrato nel diritto dei consumatori.
La difficoltà di utilizzare lo strumento arbitrale per la risoluzione delle controversie dei consumatori è una constatazione apparentemente sorprendente.
Il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione ordinaria per la gestione delle controversie dei consumatori, infatti, sembrerebbe essere la soluzione più appropriata, in quanto i costi e soprattutto la durata del processo civile ordinario costituiscono in molti ordinamenti (e certamente nel nostro, secondo unanime opinione) un serio ostacolo ad una efficace tutela delle ragioni del consumatore.
Ma i pur innegabili vantaggi che il ricorso a procedure di arbitrato per la risoluzione delle controversie dei consumatori tenderebbe ad assicurare devono essere attentamente riconsiderati alla luce dell’innegabile squilibrio delle posizioni in conflitto, essendo evidente che consentire al soggetto economicamente più forte (il professionista) di imporre negozialmente al consumatore il ricorso a procedure di arbitrato, con esclusione dell’accesso alla giustizia ordinaria, potrebbe comportare un significativo e non auspicabile vantaggio per il contraente più forte.
2. Un approccio cauto all’arbitrato dei consumatori.
Per le ragioni sinteticamente enunciate in precedenza i legislatori hanno avvertito la necessità di un approccio molto cauto alla materia dell’arbitrabilità delle controversie tra professionisti e consumatori, giungendo in talune esperienze a negarla ed in altre a regolamentarla in una prospettiva di adeguata tutela degli interessi della parte economicamente più debole.
Il difficile contemperamento degli interessi in gioco ha comportato l’adozione di soluzioni assai diverse tra loro, tutte connotate peraltro da una particolare attenzione alla peculiarità del rapporto possibile oggetto di arbitrato.
Il punto nodale è costituito, evidentemente, dalla vincolatività (o meno) della clausola compromissoria introdotta dal professionista nei contratti standard sottoscritti per adesione dai consumatori.
Soltanto nell’esperienza statunitense, a quanto consta, l’introduzione di clausole compromissorie nei contratti standard con i consumatori è ritenuta ammissibile senza l’adozione di particolari cautele, diverse da quelle previste per gli ordinari contratti commerciali (questa è peraltro la posizione della Corte Suprema Federale, riferita quindi a rapporti che presentino caratteristiche di inter statualità, mentre il panorama dei singoli ordinamenti statali sembrerebbe essere piuttosto variegato)1.
1 Per una sintetica – ma efficace – illustrazione della evoluzione dell’ordinamento nord-americano in tema di arbitrabilità delle controversie tra produttori e consumatori x. XXXXXXX, Xxxxxxxx compromissoria e contratti dei consumatori, in Riv. Arb., 2006, 57 ss., spec. 63 ss.
In Europa, invece, quanto meno nell’ambito dei Paesi appartenenti all’Unione Europea, i singoli ordinamenti, che pure adottano diverse soluzioni quanto all’arbitrabilità delle controversie tra professionisti e consumatori, risentono indiscutibilmente gli effetti della politica comunitaria in materia che è particolarmente cauta nella prospettiva di non pregiudicare una effettiva ed efficace tutela dei diritti dei consumatori2.
Anche l’ordinamento italiano, come si cercherà di illustrare sinteticamente nel prosieguo, riflette il difficile contemperamento delle esigenze in conflitto in tema di arbitrabilità delle controversie dei consumatori e non offre soluzioni appaganti.
3. Il quadro di riferimento comunitario.
Per quanto rileva ai fini dell’indagine in tema di arbitrabilità delle controversie dei consumatori, e senza pretesa di completezza, l’illustrazione del quadro di riferimento comunitario può prendere le mosse dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e dai risultati del coevo Libro verde “L’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico” COM (93) 576 del 16 novembre 1993.L’art. 3, n. 1, della menzionata direttiva dispone che: “una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto”.
L’allegato alla direttiva contiene un elenco indicativo delle clausole che possono essere dichiarate abusive. Tra queste, il n. 1, lett. q), dell’allegato annovera le clausole che hanno per oggetto o per effetto di
“sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra parte del contratto”.
L’indicazione, da parte del legislatore comunitario, nell’elenco delle clausole che possono essere dichiarate abusive di quelle che obbligano “il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche” ha posto e pone tuttora delicati problemi interpretativi ai quali le diverse legislazioni nazionali, in sede di recepimento della direttiva, hanno dato soluzioni difformi.
2 Le diverse opinioni che in tema di arbitrabilità delle controversie dei consumatori sono state accolte nell’ambito degli ordinamenti dei Paesi aderenti all’Unione Europea sono richiamate in MARENGO, op. cit., passim.
Alcuni ordinamenti nazionali, tra i quali quello italiano, non hanno preso direttamente in considerazione tale indicazione, mentre altri hanno positivamente legiferato in materia di arbitrato delle controversie dei consumatori.
Rinviando al prosieguo l’esame della normativa interna italiana in materia, può completarsi il sintetico e non esaustivo richiamo al quadro di riferimento comunitario in materia ricordando la Raccomandazione della Commissione delle Comunità Europee del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo e la Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 25 maggio 2000, relativa ad una rete comunitaria di organi nazionali per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo.
Emerge con evidenza dal sintetico richiamo degli orientamenti comunitari in materia un preciso indirizzo di politica legislativa che, pur consapevole degli innegabili vantaggi per i consumatori derivanti dalla previsione di strumenti extra giudiziali di risoluzione delle controversie di consumo, sottolinea nel contempo l’esigenza di non vincolare il consumatore al ricorso esclusivo a tali strumenti alternativi di risoluzione delle controversie se non successivamente all’insorgenza di esse e nella piena consapevolezza delle implicazioni che ne derivano sotto il profilo della rinuncia alla tutela giurisdizionale dei diritti.
Si tratta di indirizzi dell’azione comunitaria a tutela dei consumatori che non assurgono al rango di fonte del diritto, ma che tuttavia non possono essere ignorati.
La direzione verso la quale sembra muovere l’azione comunitaria è nel senso di consentire, a certe condizioni (e cioè con il rispetto dei principî ai quali si è fatto cenno in precedenza), il ricorso a procedure extra giudiziali di risoluzione vincolante delle controversie in materia di consumo e quindi di ammettere in astratto anche il ricorso a procedure di arbitrato, fermo restando peraltro il divieto di vincolare ex ante il consumatore a ricorrere esclusivamente a tale strumento di tutela delle proprie ragioni.
Nello sforzo di ricercare un punto di equilibrio tra benefici e rischi della incentivazione del ricorso a procedure extra giudiziali di risoluzione delle controversie in materia di consumo (ritenute maggiormente efficienti, ma suscettibili di pregiudicare la tutela del consumatore, parte debole del rapporto) gli organi comunitari sembrano suggerire una soluzione asimmetrica: da un lato il ricorso alla procedura extra giudiziale potrebbe essere vincolante per il professionista ma, dall’altro, non dovrebbe esserlo per il consumatore.
Quest’ultimo avrebbe la facoltà, dopo l’insorgenza della lite, di optare per la procedura extra giudiziale (purché assistita dalle garanzie enunciate nei principi in precedenza richiamati) oppure di adire direttamente l’autorità giudiziaria.
Si tratta, come è evidente, di una soluzione che presenta rilevanti difficoltà applicative e che può comportare seri ostacoli alla diffusione delle ADR in materia, ma che tuttavia ha trovato riscontro da parte dei legislatori nazionali, ivi compreso quello italiano, come si accennerà nel prosieguo.
4. Arbitrato e clausole vessatorie nella prospettiva del recepimento della direttiva comunitaria 93/13.
Con legge 6 febbraio 1996 n. 52 è stata recepita nell’ordinamento italiano la direttiva 93/13 introducendo nel codice civile gli artt. da 1469-bis a 1469-sexies destinati a disciplinare i contratti del consumatore.
Per quanto in questa sede rileva l’art. 1469-bis n. 18) non ha riprodotto il testo della direttiva (o meglio dell’allegato ad essa) che qualifica come abusive le clausole che obbligano il consumatore “a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche”, ma ha invece considerato abusiva la clausola che sancisca “deroghe alla competenza dell’Autorità Giudiziaria”.
Il mancato esplicito richiamo, nel novero delle clausole che si presumono abusive sino a prova contraria, della clausola compromissoria ha posto la questione della corretta interpretazione da assegnarsi alla locuzione “deroghe alla competenza dell’Autorità Giudiziaria”.
Che la disposizione in esame non fosse intesa a sancire l’abusività delle clausole di deroga alla competenza territoriale dell’Autorità Giudiziaria era reso evidente dal successivo numero 19 dell’art. 1469-bis, il quale appunto si riferiva esplicitamente alle deroghe alla competenza territoriale, che attribuissero la controversia ad un foro diverso da quello in cui il consumatore aveva residenza o domicilio elettivo.
L’ambiguità del testo normativo consentiva diverse interpretazioni quanto alla abusività della clausola compromissoria eventualmente inserita in un contratto standard tra professionista e consumatore.
Deve infatti considerarsi che il recepimento della direttiva non aveva inciso sulla disciplina codicistica delle condizioni generali di contratto (art. 1341 cod. civ.) nel cui ambito, come è noto, si dispone che in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che, tra l’altro, stabiliscono “clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’Autorità Giudiziaria”.
Il testo dell’art. 1341 cod. civ. sembrava dimostrare che il legislatore ritenesse distinte le clausole di devoluzione della controversia ad arbitrato e quelle di deroga alla competenza dell’Autorità Giudiziaria, rendendo di fatto ambigua la scelta operata in sede di recepimento della direttiva in cui, come detto, le clausole compromissorie e più in generale il ricorso all’arbitrato non sono menzionate tra le clausole presuntivamente abusive.
Le evidenti difficoltà interpretative connesse alla ambigua formula legislativa riferita genericamente alle deroghe alla competenza dell’Autorità Giudiziaria si sono
inevitabilmente riflesse sia in sede dottrinale che giurisprudenziale, nei termini di cui si farà sinteticamente cenno qui di seguito3.
5. Le opinioni della dottrina e della giurisprudenza.
Pur non essendo possibile in questa sede dare conto in modo esauriente delle variegate opinioni che si sono affacciate in dottrina in ordine alla abusività o meno delle clausole compromissorie inserite nei contratti dei consumatori a fronte dell’ambiguo testo legislativo di recepimento della direttiva, è peraltro possibile indicare schematicamente tre indirizzi fondamentali4.
Secondo un primo indirizzo tutte le clausole compromissorie, siano esse rituali o irrituali, sono da considerarsi abusive5.
Un secondo orientamento circoscrive invece l’abusività alle sole clausole compromissorie per arbitrato irrituale6.
Un terzo orientamento, infine, che propende per la vessatorietà delle clausole compromissorie all’esito di un’indagine da effettuarsi caso per caso, ferma restando la possibilità per il professionista di dimostrare che l’introduzione di tali clausole è stata oggetto di una specifica trattativa con il consumatore7.
Le ragioni che sorreggono gli orientamenti sopra indicati si rinvengono, quanto al primo orientamento, nella necessità di una interpretazione della norma di recepimento in coerenza ai principî ispiratori della direttiva che indurrebbero a ritenere comunque presuntivamente abusive tutte le clausole compromissorie in quanto potenzialmente svantaggiose per il consumatore; quanto al secondo orientamento, nella netta distinzione, nel nostro ordinamento, tra arbitrato rituale ed irrituale, quest’ultimo non disciplinato da regole legislative e come tale confliggente con l’indirizzo comunitario che considera abusive le convenzioni arbitrali non regolate da norme giuridiche; quanto, infine, al terzo orientamento, nella constatazione che l’orientamento del legislatore comunitario tende a favorire, per quanto possibile, la soluzione extra giudiziale delle controversie dei consumatori e quindi nella necessità di verificare in ogni singola situazione se effettivamente vi sia uno squilibrio delle posizioni con conseguente necessità di proteggere il consumatore.
Ulteriore linfa al dibattito dottrinale sul punto è stata poi apportata da un lato dal noto orientamento della Suprema Corte che ascrive il fenomeno arbitrale alla sfera
3 Per una interessante ed efficace sintesi delle complesse questioni che si agitano intorno al tema della arbitrabilità delle controversie dei consumatori x. XXXXXXX XXXXX XXXXXXX, in AA.VV. Arbitrato, Commentario diretto da X. XXXXX, XXx Xx., Bologna, 2007, sub. Art. 806 c.p.c., 93 ss.
4 Secondo la ricostruzione rinvenibile in ALPA, Le clausole arbitrali nei contratti dei consumatori, in Riv. Arb., 2006, 619 ss., spec. 623.
5 DE NOVA, Le clausole vessatorie”, Milano, 1996, p. 26; più recentemente, MARENGO, op cit., p. 73.
6 XXXXXXXXX, Xxxxxxxx compromissoria e contratti per adesione, in Riv. Dir. Civ., 1993, 1555 ss.; CONSOLO e DE CRISTOFARO, Clausole abusive e processo, in Corr. Xxxx., 1997, p. 468.
7 ALPA, op. cit., p. 623.
dell’autonomia privata, tanto con riferimento all’arbitrato rituale quanto a quello irrituale, e, da altro lato, dalla recente novella legislativa in tema di arbitrato (d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40) che invece sembra ricondurre il ricorso all’arbitrato rituale ad una vera e propria deroga alla competenza dell’Autorità giudiziaria.
A fronte degli orientamenti dottrinali ai quali si è fatto rapido cenno in precedenza, la posizione della giurisprudenza edita risulta maggiormente omogenea nell’affermare l’abusività delle clausole compromissorie inserite nei contratti dei consumatori, siano esse riferite all’arbitrato rituale ovvero a quello irrituale.
Il Tribunale di Roma, ad esempio, sin dal 1998 si è espresso nel senso che la clausola compromissoria riveste natura vessatoria in quanto diretta a sancire a carico del consumatore “deroghe alla competenza dell’Autorità Giudiziaria” e lo stesso Tribunale si è ancora recentemente espresso nel senso che “si presume vessatoria la clausola che prevede la devoluzione a arbitrato irrituale delle controversie insorgende relativamente ad un contratto di servizi di investimento stipulato tra un privato ed un intermediario finanziario”8.
In senso sostanzialmente conforme si sono pronunciati altri Giudici di merito.
Particolarmente interessante si rivela la recente decisione della Corte di Appello di Genova del 30 gennaio 2008 (in Nuova Giurisprudenza Ligure, 2008, 5 ss.), che a quanto consta è la seconda decisione di secondo grado edita in materia (l’altra è App. Roma 7 maggio 2002, in Foro It., 2002, I, 2823 ss.).
Si legge nella menzionata decisione, in punto vessatorietà della clausola compromissoria quanto segue:
“L’art. 1469 bis x.x., xxxxx xx xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx XX x. 00/00, considera tra l’altro al n. 18 vessatorie sino a prova contraria (e pertanto inefficaci per effetto dell’art. 1469 quinquies c.c.) le deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria. L’espressione si discosta alquanto dal testo della direttiva che considera abusive le clausole che obbligano il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato; ma non par dubbio che essa vada interpretata in senso estensivo, comprensivo anche delle clausole compromissorie che demandino ad un arbitrato, sia esso rituale o irrituale, la cognizione di una controversia che dovesse sorgere tra le parti.
Anche la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, infatti, implica la rinunzia preventiva, sia pure temporanea, alla tutela giudiziaria del consumatore; il che è contrario allo spirito della direttiva che si propone l’obiettivo di rimuovere la situazione di inferiorità del medesimo cui vengono imposte clausole onerose”.
Non constano, per quanto è dato conoscere, decisioni in sede di legittimità che risolvano il nodo interpretativo relativo alla inclusione o meno nella locuzione “deroghe alla
8 Cfr. rispettivamente Trib. Roma 8 maggio 1998 in Foro It., 1998, I, 1989 e Trib. Roma, 18 agosto 2006 in Banca, Borsa, Tit. Cred. 2008, 110 ss.
competenza dell’Autorità Giudiziaria” delle clausole compromissorie inserite nei contratti dei consumatori.
Una recente decisione della Suprema Corte, per la verità, ha sfiorato l’argomento giudicando in tema di clausole inserite nei contratti assicurativi che devolvono ad una perizia contrattuale la formulazione di un apprezzamento tecnico che le parti si impegnano ad accettare (cfr. Cass. Sez. III, 22 maggio 2007 n. 11876 in Foro It., 2008, 1164 ss).
Nella citata decisione i giudici di legittimità, dopo aver ricordato che la clausola che prevede una perizia contrattuale non ha carattere compromissorio o comunque, derogativo della competenza del giudice ordinario, per cui non rientra fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c., ed aver rilevato che tali clausole hanno natura sostanziale e non processuale, hanno ritenuto non applicabile comunque ratione temporis la disciplina sui contratti dei consumatori, in quanto il contratto oggetto della controversia era stato stipulato anteriormente all’entrata in vigore della legge di recepimento della direttiva comunitaria.
Manca quindi, allo stato, un precedente giurisprudenziale di legittimità al quale fare riferimento; tuttavia non può non rilevarsi che l’orientamento assolutamente prevalente dei giudici di merito (anche di secondo grado) è fermo nel ritenere la vessatorietà delle clausole compromissorie introdotte nei contratti dei consumatori, senza porre alcuna distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale.
6. Il codice del consumo e l’occasione mancata.
Nel 2005, come è noto, è stato emanato il Codice del Consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) che ha accorpato la normativa in tema di tutela dei consumatori, abrogando tra l’altro le disposizioni sui contratti dei consumatori introdotte un decennio prima nel Codice Civile.
Per quanto riguarda la materia in esame l’art. 33 comma 2 lett. t) del Codice del Consumo riproduce fedelmente le disposizioni previste dall’abrogato art. 1469-bis n. 18 di cui si è trattato in precedenza (supra §5).
Ricordato incidentalmente che la sanzione riferita alla clausole abusive, a suo tempo consistente nella inefficacia di esse, viene ridefinita quale nullità (di protezione) rilevabile anche d’ufficio al solo vantaggio del consumatore (art. 36 comma 3 del Codice), si osserva che la definizione normativa è rimasta immutata sul punto e che conseguentemente si reputano nulle (nel senso sopra precisato) le clausole che comportano “deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria”.
Si ripropongono quindi le medesime problematiche già esaminate in precedenza con riferimento alla legge di recepimento della direttiva comunitaria.
Si è persa peraltro l’occasione per fare chiarezza sulla sorte delle clausole compromissorie eventualmente inserite nei contratti standard destinati a regolare i rapporti tra professionisti e consumatori.
Altri ordinamenti, come è noto, hanno nel tempo provveduto a chiarire, in un senso o nell’altro, la disciplina delle clausole compromissorie nei contratti dei consumatori (spesso sottoponendole a particolari prescrizioni e limitazioni), mentre il nostro legislatore è rimasto inerte pur a fronte di un panorama disomogeneo di opinioni nella dottrina, circostanza che certamente avrebbe reso auspicabile un chiarimento legislativo.
Ma la situazione, pur essendo rimasta immutata la previsione normativa, si è arricchita di spunti problematici che ne rendono difficile la decifrazione.
Il legislatore, infatti, ha introdotto nel Codice del Consumo specifici riferimenti agli orientamenti comunitari in tema di risoluzione extra giudiziale delle controversie dei consumatori (sui quali v. supra §2) evidentemente condividendo l’opinione che valuta positivamente l’incentivazione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie dei consumatori.
L’art. 141 del Codice del Consumo, infatti, intitolato alla “composizione extra giudiziale delle controversie”, ipotizza la formazione di un elenco di organi di composizione extra giudiziale delle controversie in materia di consumo, reputando senz’altro di ascrivere tra questi quelli costituiti presso le Camere di Commercio ai sensi dell’art. 2 comma 4 della L. 29/12/1993 n. 580, il quale dispone che le Camere di Commercio possono “promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti”.
Il citato art. 141 del Codice dispone altresì la non vessatorietà delle clausole inserite nei contratti dei consumatori che prevedano il ricorso ad organi di composizione extra giudiziale istituiti in conformità alle previsioni del medesimo articolo.
Ma il 5° comma dell’art. 141 prevede che il consumatore non possa essere privato in nessun caso del diritto di adire il giudice competente qualunque sia l’esito della procedura di composizione extra giudiziale.
Il complesso delle disposizioni in precedenza richiamate evidenzia, ancora una volta, l’ambiguità del legislatore che da un lato sembra voler promuovere il ricorso a metodi alternativi di risoluzione delle controversie dei consumatori (tra i quali si annovera senza dubbio l’arbitrato) e, da altro lato, introduce una disposizione dirompente quale quella di cui al comma 5 dell’art. 141, secondo cui all’esito della procedura extra giudiziale resta fermo il diritto di adire il giudice competente.
Per la verità quest’ultimo principio è fatto proprio anche a livello di orientamenti comunitari, sia pure non dotati di efficacia normativa, come si è già ricordato in precedenza (supra §4).
Ma la codificazione di un orientamento, che come tale è ancora passibile di rimeditazione a livello comunitario, è suscettibile di inficiare l’obiettivo che in altra parte della medesima disposizione si vuole perseguire: è evidente infatti che la previsione di non vincolatività dell’esito della procedura extra giudiziale rende poco plausibile la diffusione di sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.
E’ probabile che il legislatore avesse in mente procedure extra giudiziali di natura conciliativa e non decisorie, ma resta la constatazione che se questo era l’obiettivo, esso è stato perseguito in modo confuso.
Non si vuole qui sottovalutare la delicatezza dei problemi connessi all’arbitrabilità delle controversie dei consumatori, che rendono arduo un contemperamento degli interessi in gioco, ma occorre pur prendere atto che il legislatore non è riuscito ad uscire da una ambiguità che non giova ad una efficace tutela degli interessi dei consumatori.
7. Arbitrati amministrati nei settori dei servizi bancari e finanziari.
Nel delicato settore dei servizi finanziari e bancari, Il percorso di avvicinamento del nostro legislatore a sistemi alternativi di risoluzione delle controversie relative ai contratti dei consumatori si è recentemente arricchito di novità interessanti.
In attuazione della delega prevista dalla L. 28/12/2005 n. 262, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, è stato recentemente emanato il D.lgs. 8/10/2007 n. 179, finalizzato alla istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato e a un sistema di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori.
Il decreto istituisce presso la CONSOB una Camera di conciliazione e arbitrato per l’amministrazione dei procedimenti promossi per la risoluzione di controversie tra i risparmiatori e gli intermediari finanziari per la violazione da parte di questi ultimi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori.
Il regolamento della Camera è stato adottato dalla Consob nel dicembre 2008 e lo Statuto è stato approvato nel marzo 20109.
9 Il regolamento è stato adottato dalla CONSOB con delibera n. 16763 in data 29 dicembre 2008. In data 22 marzo 2010 sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale (n. 67) le deliberazioni CONSOB n. 17204 e
n. 17205 recanti rispettivamente l’approvazione dello Statuto della Camera di Conciliazione e Arbitrato ed il Codice Deontologico dei conciliatori e degli arbitri CONSOB. I commenti sulla disciplina della Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso la CONSOB sono già numerosi. Senza alcuna pretesa di completezza cfr, da ultimo, BASTIANON, La tutela dell’investitore (non professionale) alla luce delle nuove disposizioni in materia di conciliazione ed arbitrato presso la CONSOB, in Resp. Civ. Prev., 2010, 4 ss.; NASCOSI, La nuova Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso la CONSOB, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2009, 963 ss.; in argomento v. altresì CARPI, Servizi finanziari e tutela giurisdizionale, in Giur. comm., 2008, p. 1049 ss.; XXXXXXXXX, La Camera di conciliazione e di arbitrato della Consob: “prima lettura” del d.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, in Riv. società, 2007, p. 1445 ss.; COLOMBO, La Consob e la soluzione extragiudiziale delle controversie in materia di servizi di investimento, in Società, 2007, p. 8 ss.; GUERINONI, La conciliazione e l’arbitrato per le controversie nell’intermediazione finanziaria, in Xxxxxxxxx, 2008, p. 301 ss.: XXXXXXXXX, Funzioni e poteri della Consob “nouvelle”, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, p. 137 ss.: CUOMO XXXXX, La camera di conciliazione di arbitrato istituita presso la Consob, in Contratti, 2008, p. 1178 ss.; ENRICQUES, Il ruolo delle Autorità di vigilanza sui mercati mobiliari nelle controversie economiche, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, p. 705; SOLDATI, La camera arbitrale presso la Consob per le controversie tra investitori ed intermediari, in Contratti, 209, p. 423 ss.; XXXXXX, Gli strumenti di tutela di risparmiatori e investitori
Per quanto riguarda specificamente l’arbitrato amministrato dalla CONSOB il decreto dispone che il regolamento disciplini la procedura di arbitrato tenendo conto delle norme dettate in tema di arbitrato societario (artt. 34, 35 e 36 D.lgs. 17/1/2003 n. 5).
Il procedimento arbitrale avrà natura rituale ed il relativo lodo sarà sempre impugnabile per violazione di norme di diritto.
Ma gli aspetti più interessanti ed innovativi del decreto in esame sono altri.
L’art. 3, infatti, nel prevedere, in caso di inadempimento dell’intermediario, il riconoscimento di un indennizzo a favore del risparmiatore sulla base di criteri predefiniti dalla CONSOB con proprio regolamento, fa salvo il diritto del risparmiatore di adire l’autorità giudiziaria ordinaria anche per il riconoscimento del risarcimento del maggior danno subito in conseguenza dell’inadempimento. Ai fini della determinazione dell’indennizzo potrà procedersi anche mediante lodo non definitivo.
Il lodo, per acquistare efficacia, dovrà conseguire il visto di regolarità formale della CONSOB oltre al decreto di esecutività di cui all’art. 825 cod. proc. civ..
Un secondo profilo di particolare interesse concerne la previsione dell’art. 6 del decreto, intitolato “Clausola compromissoria”, secondo cui la clausola compromissoria inserita nei contratti stipulati con gli investitori (risparmiatori), compresi i contratti di gestione collettiva del risparmio, è vincolante solo per l’intermediario, a meno che questo non provi che sia frutto di una trattativa diretta.
Per quanto possa apparire macchinosa, la disciplina del procedimento arbitrale (di recente attivazione) nei rapporti tra risparmiatori e intermediari finanziari disegnata dal decreto n. 179/2007 sembra effettivamente rispettosa degli orientamenti comunitari in materia.
Il caposaldo della tutela del consumatore rispetto alle clausole compromissorie si rinviene, secondo i citati orientamenti comunitari, nella constatazione che il diritto di ricorrere all’autorità giudiziaria, riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è incomprimibile, con la conseguenza che in tanto la rinuncia all’azione giudiziale è valida, in quanto essa sia espressa successivamente all’insorgere della lite.
In questa prospettiva la previsione secondo cui la clausola compromissoria inserita nei contratti tra risparmiatori e intermediari è vincolante solo per questi ultimi, a meno che non si provi che essa è frutto di una trattativa diretta, è rispettosa dei principi ispiratori dell’azione comunitaria in tema di risoluzione extra giudiziale delle controversie dei consumatori.
istituiti presso la Consob: procedure di conciliazione e arbitrato, sistema di indennizzo, fondo di garanzia, in Aa.Vv., Disciplina dei mercati finanziari e tutela del risparmio, a cura di Xxxxxxxxx x Xx Xxxx, Xxxxxx, 0000, p. 361 ss.; XXXXXXXXXX, Le controversie bancarie e finanziarie, in I Contratti, n. 4/2010, 422 ss. e ivi un raffronto tra la conciliazione specialistica in materia finanziaria e il sistema ordinario di conciliazione).
La norma, infatti, consente al consumatore di aderire o meno, successivamente all’insorgere della controversia, alla procedura arbitrale nel convincimento che così operando il consumatore eserciti consapevolmente la rinuncia ad adire l’autorità giudiziaria ordinaria, potendo soppesare gli effetti positivi e negativi che tale scelta può comportare.
Anche per le controversie in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari è stato previsto un sistema alternativo di risoluzione delle controversie.
L’art. 29 del D.Lg.vo del 2005 n. 262, infatti, ha introdotto all’interno del T.U. bancario (D.Lg.vo 1 settembre 1993 n. 385) un nuovo art. 128bis che ha delegato il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) d’intesa con la Banca d’Italia la determinazione dei criteri procedurali di risoluzione delle controversie nella materia de qua e di composizione dell’organo decidente finalizzate ad assicurare la rapidità, l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela.
In attuazione della delega il CICR, con delibera 29 luglio 2008 n. 275, ha dettato la disciplina procedimentale e la Banca d’Italia, a sua volta, con comunicato in data 18 giugno 2009 ha dettato ulteriori profili regolamentari e disciplinato i relativi profili organizzativi dando vita così al nuovo organismo denominato Arbitro Bancario Finanziario (ABF).
L’Arbitro Bancario e Finanziario è divenuto operativo in data 15 ottobre 2009 ed è destinato ad occuparsi, nella materia relativa ad operazioni e servizi bancari e finanziari, delle controversie:
(i) relative all’accertamento di situazioni giuridiche (divieti, obblighi e facoltà) qualunque sia il valore della controversia;
(ii) relative all’adempimento di diritti di credito aventi ad oggetto una somma di denaro non superiore a € 100.000,00.
Questo nuovo istituto rischia di sovrapporre le proprie competenze, almeno in parte, con quelle attribuite alla Camera di Conciliazione e Arbitrato presso la CONSOB, di cui in precedenza si è fatto cenno.
Ciò è tanto vero che si prevede la stipulazione di un protocollo di intesa tra i due organismi al fine di precisare quali controversie possano essere sottoposte all’uno o all’altro10.
Non è possibile in questa sede affrontare nel dettaglio la normativa regolamentare dell’arbitrato bancario e finanziario.
Ciò che preme sottolineare è che la configurazione di tale nuovo organismo lo colloca certamente al di fuori del fenomeno della conciliazione stragiudiziale delle controversie
10 Sulle competenze e sulla struttura dell’Arbitro Bancario Finanziario v. SOLDATI, L’Arbitrato Bancario Finanziario della Banca d’Italia (ABF), in I Contratti, 2009, 853; BRUSCHETTA, Le controversie bancarie finanziarie in I Contratti, 2010 422, ss.; XXXXXXXX-RUSSO, L’arbitro bancario finanziario, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2010, 475 ss.; X.XXXXXXX, L’arbitro bancario finanziario, in Banca, Borsa Tit. Cred., 2010, 325 ss..
poiché il relativo procedimento da un lato prevede, quale condizione di procedibilità della domanda, il preventivo esaurimento della fase di reclamo avanti all’ufficio reclami dell’intermediario finanziario interessato e, dall’altro, qualora il reclamo non abbia avuto esito soddisfacente per il cliente, l’organismo, attraverso le sue emanazioni territoriali, provvede a decidere il ricorso con soluzione aggiudicativa.
Ove l’intermediario non si adegui alla decisione, l’inadempienza viene resa pubblica secondo le modalità stabilite dalla Banca d’Italia.
Si tratta quindi di una creatura ibrida che vorrebbe coniugare la conciliazione e la risoluzione con formula aggiudicativa delle controversie e che invece, per come è stata concepita, non coglie nessuna delle due opportunità.
Da un lato non promuove affatto la conciliazione tra cliente ed intermediario finanziario, rinviandola eventualmente nell’ambito della fase del reclamo presso quest’ultimo e, da altro lato, il procedimento sfocia in una decisione priva di effettività, essendo rimesso alla mera volontà dell’intermediario l’adempimento o meno ad essa.
Non si tratta quindi né di conciliazione, né di arbitrato.
8. Il ruolo delle Camere di Commercio.
Indipendentemente dagli interventi legislativi che interessano singoli settori (quali quello del risparmio a cui si è fatto cenno in precedenza), l’arbitrato nei contratti dei consumatori offre alle Camere di Commercio un significativo spazio di intervento, assegnando ad esse un ruolo fondamentale.
Si è visto infatti che il Codice del Consumo reputa legittimati ad amministrare procedure di arbitrato e conciliazione nelle controversie dei consumatori gli organismi che le Camere di Commercio possono a tal fine istituire ai sensi dell’art. 2 comma 4 della L. 29/12/1993 n. 580.
E’ allora auspicabile che le Camere di Commercio assumano un ruolo attivo procedendo alla istituzione degli organismi destinati ad amministrare l’arbitrato e la conciliazione in questa materia, ispirando la loro regolamentazione ai principî regolatori chiaramente enunciati nella raccomandazione della Commissione del 30 marzo 1998, riguardanti i principî applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extra giudiziale delle controversie in materia di consumo.
Rinviando a quanto in precedenza si è riferito in ordine a tali principî (supra §2) si può osservare che, allo stato, soltanto questi organismi istituiti presso le Camere di Commercio sembrano compatibili con le previsioni dell’art. 141 del Codice del Consumo, che infatti li menziona.
Altri organismi deputati alla amministrazione di procedure arbitrali nella materia dei contratti dei consumatori, istituiti su base volontaria e sotto forma associativa, non sembrano compatibili con le preclusioni che derivano dall’art. 141 Codice del Consumo.
In ogni caso essi rischiano di ricadere nell’ambito delle “giurisdizioni di arbitrato non disciplinate da disposizioni giuridiche” con la conseguenza che le clausole compromissorie che ad essi si riferiscano potrebbero ritenersi vessatorie ai sensi del n. 1 lett. q) dell’Allegato alla Direttiva 93/13.
In tal senso si è recentemente espresso un giudice di merito, con riferimento ad una clausola compromissoria che deferiva l’amministrazione dell’arbitrato al regolamento arbitrale della Camera di Commercio di Milano, che non è un organismo istituito ai sensi dell’art. 2 comma 4 della Legge n. 580 del 1993 (cfr. Trib. Roma, 18 agosto 2006, cit.).
9. Arbitrato dei consumatori e Corte di Giustizia UE.
In epoca recente il tema della arbitrabilità delle controversie in materia di consumo è stato posto - sia pure in modo indiretto - alla attenzione dei giudici comunitari dai quali ha ricevuto una risposta che, pur avendo sollevato qualche perplessità in ragione delle peculiarità della fattispecie, deve essere presa in attenta considerazione.
Si tratta della vicenda nota come caso Xxxxxxx riferita ad un rinvio pregiudiziale operato dai giudici spagnoli11.
La controversia che ha dato origine al rinvio pregiudiziale riguardava il caso di una consumatrice che, avendo stipulato un contratto di abbonamento ad una linea di telefonia mobile, non ne aveva poi rispettato i termini di durata.
La società fornitrice del servizio aveva attivato la clausola compromissoria contenuta nel contratto che devolveva le controversie ad un arbitrato amministrato.
La consumatrice non si era avvalsa del termine assegnatole dalla istituzione arbitrale per rifiutare l’arbitrato e si era difesa nel merito; l’arbitrato si era poi concluso in senso a lei sfavorevole. Impugnato il lodo da parte della consumatrice che sosteneva la nullità della clausola compromissoria in quanto essa avrebbe assunto carattere abusivo, la competente autorità giudiziaria spagnola da un lato reputava effettivamente abusiva la clausola compromissoria de qua, ma dall’altro lato rilevava che secondo la disciplina dell’arbitrato vigente all’epoca dei fatti il giudice dell’impugnazione del lodo non avrebbe potuto rilevare ex officio la nullità dell’accordo compromissorio non eccepita nelle prime difese nell’ambito del procedimento arbitrale.
Di qui il rinvio pregiudiziale incentrato sulla conformità o meno al diritto comunitario di tale preclusione processuale con riferimento ai contratti dei consumatori.
Nel decidere la questione pregiudiziale la Corte ha innanzitutto ricordato che spetta soltanto al giudice nazionale determinare se una clausola contrattuale possiede i
00 Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX 26 ottobre 2006 C-168/05, che può leggersi in Riv. Arb., 2006, 673 ss., con nota di X’XXXXXXXXXX, Sui rapporti tra la sentenza Xxxxxxx - Xxxxx e gli artt. 817, comma 2, ed 829, n. 1, c.p.c.. Per un approfondimento, x. XXXXXXXX, La Corte di Giustizia sulla clausola arbitrale nei contratti dei consumatori: riflessioni sull’ordine pubblico comunitario e sull’impugnazione dei lodi, in Riv. Dir. Proc. Civ., 2008, 701 ss.
requisiti per essere qualificata abusiva ai sensi della direttiva sulla protezione dei consumatori ed ha constatato, nel contempo, che effettivamente il giudice del rinvio aveva accertato il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta nel contratto concluso dalla consumatrice.
Poiché il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse la Corte, richiamando alcuni suoi precedenti, ha ritenuto che la facoltà per il giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola è necessaria per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli, quali ad esempio i costi che un’azione giudiziaria comporterebbe.
La direttiva comunitaria in materia di contratti dei consumatori dispone che le clausole abusive “non vincolano il consumatore” e tale norma deve essere considerata di natura imperativa in quanto volta ad assicurare un equilibrio sostanziale e non soltanto formale tra le parti.
La natura imperativa di tale disposizione consente, anche alla luce del principio di effettività (che non tollera limitazione che rendono impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti previsti dall’ordinamento comunitario), di affermare che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, indipendentemente dalle preclusioni processuali a tale rilievo eventualmente previste dall’ordinamento nazionale.
La decisione della Corte si pone quindi su di un piano più propriamente processuale, evocando il concetto di ordine pubblico comunitario il cui rispetto non tollera preclusioni, e non affronta ex professo la questione se la clausola compromissoria costituisca una clausola abusiva (circostanza presupposta dal giudice del rinvio pregiudiziale).
Ciò nonostante si avverte fra le righe della motivazione un orientamento tendenzialmente sfavorevole alla devoluzione in arbitrato delle controversie dei consumatori, motivato dalla preoccupazione – più volte ribadita – che la rinuncia all’esercizio dei propri diritti davanti all’autorità giudiziaria da parte del consumatore possa derivare da ignoranza delle conseguenze potenzialmente negative di un ricorso alla procedura di arbitrato: è possibile che questo tendenziale disfavore per l’arbitrato trovi giustificazione negli orientamenti degli organi comunitari ai quali si è fatto cenno in precedenza.
Più recentemente la Corte di Giustizia è stata chiamata ad affrontare, sempre in via di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, un delicato profilo relativo alla facoltà per il giudice nazionale dell’esecuzione di rilevare d’ufficio la nullità di una clausola compromissoria abusiva.
Si tratta della vicenda Xxxxxxxx, originata anche in questo caso da un rinvio operato dai giudici spagnoli12.
La vicenda trae origine da una controversia nell’ambito della quale la società Asturcom Telecomunicaciones ha proposto ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definivo che condannava una cliente al pagamento di somme dovute in esecuzione di un contratto di abbonamento alla telefonia mobile.
Il giudice spagnolo investito della domanda per l’esecuzione forzata del lodo arbitrale che aveva acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, rilevato che la clausola compromissoria contenuta nel contratto di abbonamento aveva carattere abusivo e constatato che la legge processuale spagnola non prevede alcuna disposizione relativa alla valutazione del carattere abusivo della clausola compromissoria ad opera del giudice competente a statuire su un ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo, dubitava della compatibilità della normativa nazionale con il diritto comunitario.
Investita della questione pregiudiziale, la Corte si è dovuta confrontare con tale peculiare situazione, in cui l’inerzia della consumatrice aveva determinato la formazione del giudicato sulla pronuncia arbitrale e il rilievo della abusività della clausola compromissoria era effettuato, d’ufficio, soltanto in fase di esecuzione forzata del lodo.
E’ evidente, in questa prospettiva, la diversità rispetto al caso Xxxxxxx, poiché in quella vicenda il rilievo d’ufficio della nullità della clausola compromissoria era stato sollevato in sede di esame della impugnativa del lodo arbitrale.
In questo caso, invece, si era in presenza di norme processuali interne che attribuivano l’autorità di cosa giudicata alla decisione arbitrale.
Nell’esaminare la vicenda la Corte ha innanzi tutto ribadito il principio secondo cui il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario. Ha tuttavia ricordato che tali norme non debbono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di diritti conferiti dall’ordinamento comunitario (principio di effettività).
Avendo constatato che le norme spagnole non violavano il principio di effettività, con riferimento al principio di equivalenza la Corte ha considerato che la tutela accordata al consumatore dall’art. 6 della direttiva 93/13 è posta da una norma imperativa, da assimilare alle norme di ordine pubblico dell’ordinamento interno di ciascun Stato membro.
12 Corte di Giustizia CE (Prima Sezione) 6 ottobre 2009, C-40/08, annotata da X. X’XXXXXXXXXX, La Corte di Giustizia sancisce il dovere, per il giudice, di rilevare d’ufficio l’invalidità della clausola compromissoria stipulata tra il professionista ed il Consumatore rimasto contumace nel processo arbitrale, in www.iudicium, 2010.
Da ciò consegue che, qualora un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale definitivo debba, secondo le norme procedurali interne, valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola compromissoria con le norme nazionali d’ordine pubblico, egli è parimenti tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo di detta clausola alla luce dell’art. 6 della direttiva 93/13, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.
In questa prospettiva la Corte ha quindi risolto la questione dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna. In tal caso, incombe a detto giudice di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da detta clausola.
La soluzione della Corte rafforza la tutela del consumatore nei confronti delle clausola compromissorie abusive e sottolinea l’importanza che, a livello comunitario, si xxxxxxx alla ricerca di un equilibrio sostanziale delle posizioni delle parti nelle controversie dei consumatori.
E se è vero, dal punto di vista formale, che la Corte assegna al giudice nazionale del rinvio (come del resto aveva fatto nel caso Xxxxxxx) l’esclusiva competenza a valutare l’abusività di una clausola compromissoria contenuta in un contratto sottoscritto dal consumatore, è tuttavia innegabile, dal punto di vista sostanziale, che fra le righe della motivazione può intravvedersi una particolare cautela dei giudici comunitari rispetto all’inserimento di clausole compromissorie nei contratti dei consumatori.
I casi in precedenza ricordati riguardavano, sia pure sotto specifici profili, il tema della arbitrabilità delle controversie con i consumatori.
Ma vi sono stati recenti interventi della Corte di Giustizia sul delicato tema del rilievo d’ufficio della abusività di clausole contrattuali che debbono essere ricordati.
Nel caso Pannon del 200913 la Corte ha ribadito l’obbligo per il giudice nazionale di rilevare d’ufficio l’abusività di una clausola contrattuale (nella specie, di foro convenzionale coincidente con quello del professionista) quando dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine.
Nel più recente caso Pènzügyi del 201014 la Corte si è spinta oltre, affermando che:
00 X.X. XX, Xxx. XX, 0 giugno 2009, causa c. 243/08, che può leggersi in Foro It., 2009, IV, 489 ss. con nota redazionale di X. XXXXXXXX)
14 X.X.XX, Grande Sezione, 9 novembre 2010, causa c. 137/2008 in I contratti, 2011, 113 ss. con commento di F.P. PATTI
“Il giudice nazionale deve adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare se una clausola attributiva di competenza giurisdizionale territoriale esclusiva contenuta nel contratto, che costituisce l’oggetto della controversia di cui è investito e che è stato concluso tra un professionista e un consumatore, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in caso affermativo, valutare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di una siffatta clausola”.
Anche in questo caso si discuteva in tema di foro convenzionale (diverso da, ma vicino a, quello della professionista), ma l’aspetto più rilevante della pronuncia è certamente quello che attribuisce al giudice nazionale l’obbligo di adottare d’ufficio misure istruttorie per verificare l’abusività di una clausola contrattuale.
A quanto consta è la prima volta che la Corte mette in discussione il principio dell’autonomia dell’ordinamento processuale di ciascun Stato membro, ritenuto recessivo rispetto al dovere del giudice di supplire ad una inadeguata attività processuale del contraente debole.
Qui il principio dell’effettività della tutela del consumatore è ritenuto prevalente su ogni altro e quindi idoneo a derogare al principio dispositivo delle prove, che in altre occasioni era stato invece considerato un ostacolo insuperabile.
Si tratta di una ulteriore espansione del concetto di ordine pubblico processuale comunitario già enunciato, da ultimo, nel caso Asturcom, che depone inequivocabilmente nel senso di una necessaria prevalenza (secondo la Corte) del diritto comunitario dei consumatori sugli ordinamenti processuali dei singoli Stati membri.
E’ una nuova prospettiva del rapporto tra diritto comunitario e normativa processuale degli Stati membri sulla quale occorre una approfondita riflessione.