DOTTORATO DI RICERCA
Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA
Diritto dei contratti
Ciclo XXIV
Il Leasing D’Azienda
Settore scientifico disciplinare di afferenza
IUS/01 DIRITTO PRIVATO
Presentata da Dott.ssa Xxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxx
Coordinatore Dottorato Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx
Tutor/Relatore Xxxx. Xxxxx Xxxxxx
Esame finale anno accademico 2011 - 2012
A chi ogni giorno, anche con un piccolo gesto, rende la mia vita migliore.
Indice
Introduzione
Capitolo I
Il Contratto di Leasing e l’Azienda: profili generali I
1 Introduzione al Leasing 1
2 Le fonti del Leasing 2
3 La natura giuridica del Leasing 5
4 La struttura oggettiva e soggettiva del Leasing 9
5 La formazione del contratto 11
6 Il contenuto minimo del contratto 13
7 Patti principali e accessori al contratto di Leasing 14
8 Le vicende funzionali e patologiche del contratto di Leasing: introduzione 15
9 Segue L’inadempimento dell’Utilizzatore 16
10 Segue L’inadempimento del Concedente (Società di Leasing) 18
11 Segue Sugli effetti dell’invalidità e/o scioglimento del contratto alla luce del collegamento negoziale 20
12 Leasing e fallimento 21
13 Tipologie di Leasing 23
Capitolo II
Il Contratto di Leasing e l’Azienda: profili generali II
1 Introduzione all’azienda 27
2 Nozione di azienda tra codice civile e principi generali 28
3 Brevi cenni sulle teorie sull’azienda 30
4 Azienda, impresa e imprenditore 32
5 Xxxxx Xxxxxxx e imprenditore. Titolarità e personalità giuridica dell’azienda 33
6 I beni 34
7 Tipologie di azienda 36
Capitolo III
Il Contratto di Leasing e l’Azienda: profili generali III
1 I beni immateriali 37
2 Segue L’avviamento 40
Capitolo IV
La Circolazione dell’Azienda
1 Introduzione 43
2 I principi della circolazione dell’azienda 44
3 Le vicende della circolazione dell’azienda 46
4 Segue Il momento perfezionante la vicenda circolatoria dell’azienda 51
5 La tutela del terzo nella vicenda circolatoria dell’azienda 51
6 I singoli contratti d’azienda: premessa. La circolazione dell’azienda mortis causa 52
7 Segue La circolazione dell’azienda inter vivos 53
8 L’usufrutto e l’affitto d’azienda 55
Capitolo V
Il leasing d’azienda: configurabilità.
1 Introduzione al leasing d’azienda 61
2 Sulla configurabilità astratta del leasing d’azienda 61
3 Segue. La configurabilità del leasing d’azienda secondo la dottrina e la giurisprudenza 65
4 Segue. La configurabilità del leasing d’azienda secondo la dottrina e la giurisprudenza straniera 67
5 Sulla configurabilità astratta del leasing di beni immateriali 69
6 Sulla configurabilità concreta del leasing d’azienda e di beni immateriali 72
Capitolo VI
Il leasing d’azienda: struttura e problematiche
1 Il leasing d’azienda: nozione e elementi. Profili strutturali oggettivi 79
2 Segue La determinazione del canone di leasing. Rinvio 83
3 Segue. Il patto di opzione 84
4 Segue. Il patto di riacquisto 85
5 Il contratto di leasing: profili soggettivi. Il Fornitore 86
6 Segue Il Concedente o Società di Leasing 88
7 Segue. La figura dell’Utilizzatore 92
8 Brevi cenni all’attività istruttoria e alla due diligence 98
9 Segue La valutazione dell’azienda 100
10 Disciplina applicabile. Profili generali 103
11 Segue La successione nei contratti 104
12 Segue La successione nei crediti 109
13 Segue La successione nei debiti 112
14 Segue Il divieto di concorrenza 117
15 Segue Le autorizzazioni amministrative 119
16 Le vicende del leasing d’azienda 119
17 Leasing d’azienda e fallimento 121
18 Il regime del leasing d’azienda al decorrere del termine finale di efficacia 122
19 La retrocessione: struttura 123
20 Segue La retrocessione: effetti 123
21 Segue. L’immissione del possesso e lo status dell’azienda nelle more tra la retrocessione e il nuovo contratto di leasing. Rinvio 126
22 Leasing d’azienda e tutela dell’operazione negoziale: la figura del Garante dell’operazione 127
23 Segue La natura giuridica della figura del Garante dell’operazione 131
24 Leasing d’azienda, alternanza gestionale dell’azienda e tutela dei terzi: la creazione
di un regolamento di utilizzo dell’azienda 133
25 Profili contabili e fiscali del leasing d’azienda 135
Conclusioni: Il caso pratico 139
Bibliografia
Introduzione
Leasing e azienda a confronto verso una nuova modalità di circolazione dell’azienda: il
leasing d’azienda.
La sempre maggiore diffusione del leasing nella prassi commerciale e l’esigenza sempre più insistente di elaborare e /o rinvenire nuove forme di circolazione dell’azienda, che consentano altresì un incremento dell’attività produttiva, fungendo da input per l’iniziativa privata, rendono necessario vagliare la possibile configurabilità giuridica e concreta applicabilità del leasing d’azienda.
Tematica di grandissima attualità per i profili di rilevanza sia giuridica che economica.
Il crescente numero di modelli contrattuali predisposti nella prassi dalle imprese stipulanti e la conseguente formazione di una disciplina prevalentemente consuetudinaria di incerta qualificazione hanno determinato una tipizzazione prettamente sociale del leasing tradizionale. Peraltro, si evidenzia l’applicazione del contratto di leasing prevalentemente in riferimento a beni corporali, sia mobili che immobili; solo pochissimi cenni, per nulla esaustivi, si rinvengono in merito ai beni immateriali e alle universalità di beni (di fatto o di diritto).
Ulteriormente, la disciplina sulla circolazione dell’azienda è assai scarna, la realtà aziendale è caratterizzata da mutevolezza oltre ad essere costituita di beni non solo materiali ma persino immateriali nonché di rapporti giuridici di vario genere che necessitano di essere gestititi costantemente. Si tenga pure in considerazione che la circolazione dell’azienda ha effetti non solo verso le parti, xxxxx e avente causa, ma anche verso i terzi, direttamente o indirettamente individuabili.
Ciò precisato, ci si interroga sulla possibile configurabilità, sia astratta che, soprattutto, concreta, del leasing d’azienda.
L’assenza di una disciplina normativa e persino di una prassi dell’istituto del leasing finanziario d’azienda impone che il primo passo verso una sua compiuta analisi e regolamentazione sia rappresentato dalla valutazione della possibilità di configurare nel nostro ordinamento la circolazione d’azienda mediante la locazione finanziaria, con particolare riferimento ai beni immateriali, quali l’avviamento, il marchio, l’insegna, la ditta e le opere dell’ingegno.
Proprio perché il legislatore sinora ha previsto, a tal fine, l’esclusivo utilizzo della figura dell’usufrutto e dell’affitto dell’azienda, occorrerà analizzare se sia concretamente possibile prevedere la costituzione di diritti di godimento diversi da quelli finora disciplinati e sopra menzionati ed aventi ad oggetto l’azienda nel suo complesso.
In particolare, sarà da stabilire se il leasing possa applicarsi solo ed esclusivamente a singoli beni aziendali, mobili ed immobili, o al contrario possa essere esteso anche ai beni incorporali, comunque facenti parte dell’azienda, e ancora se possa darsi luogo a un unico
leasing avente ad oggetto l’azienda come universitas o se debba procedersi alla stipulazione di tanti distinti contratti di leasing per ogni singolo bene aziendale.
Il problema della configurazione si pone, soprattutto, avuto riguardo al caso in cui l’utilizzatore al termine del contratto di locazione finanziaria decida di non acquistare l’azienda, bensì di restituirla alla società di leasing. In questa ipotesi, infatti, si pone l’interrogativo circa la sorte dell’azienda stessa (la società di leasing non ha alcun interesse alla gestione del compendio aziendale, essa svolge unicamente una funzione di intermediazione all’interno dell’operazione negoziale), e ciò dovrà essere studiato specialmente sotto il profilo del rischio d’azienda, della sorte dei contratti, dell’inadempimento contrattuale, della clientela, della cedibilità dei crediti e dei debiti, delle garanzie e della concorrenza. Se l’azienda viene restituita alla società di leasing, si pone anche la questione di individuare il centro di imputazione dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dalla gestione della stessa come effettuata dall’utilizzatore, e di come questi verranno attribuiti all’utilizzatore stesso oppure alla società di leasing o ad un altro eventuale e successivo utilizzatore e/o terzo soggetto. Medesimi interrogativi sorgono in relazione alle ipotesi di risoluzione anticipata del contratto, di inadempimento dell’utilizzatore e di fallimento di uno dei soggetti dell’operazione negoziale.
Inoltre, ci si chiede se la gestione dell’azienda da parte di vari utilizzatori debba essere considerata in maniera continua, senza soluzione di continuità, oppure sia da ritenersi frazionata in riferimento a ciascun periodo di gestione individuale.
Infine, si palesa la necessità di individuare quale regime giuridico ed economico possa ritenersi applicabile all’azienda in una situazione di “giacenza” presso la Società di Leasing, in mancanza di un successivo utilizzatore disponibile.
Laddove si riesca a dare una risposta soddisfacente a tali interrogativi e si accerti la configurabilità e fattibilità del leasing d’azienda, ci si dovrà soffermare, nel dettaglio, sulla struttura dell’operazione e sulla concreta incidenza dello stesso nella vita dell’impresa e dovrà valutarsi quale sia la sua utilità sociale nell’ambito economico produttivo.
Ebbene, in sintesi, obiettivo principale di tale lavoro e della sottostante attività di ricerca, sia dottrinale che giurisprudenziale, è rappresentato dall’analisi di una configurazione giuridica-pratico del leasing d’azienda, in considerazione non solo della immaterialità di beni incorporali che compongono l’azienda, ma anche dei profili funzionali (struttura dell’operazione, modalità applicative), e dalla conseguente elaborazione di un dettagliato quadro di riferimento dell’istituto in relazione agli aspetti ritenuti principali.
Il presente lavoro, pertanto, sarà articolato in una parte generale, dedicata agli istituti di riferimento (contratto di leasing, azienda, beni immateriali e circolazione dell’azienda), e una parte speciale, dedicata all’approfondimento del leasing d’azienda, con trattazione di tutte le sue problematiche.
Nel dettaglio, nella parte dedicata al leasing, fatto un breve cenno alle origini della tipologia negoziale e alle sue fonti, s’intende analizzare il contratto con riferimento ai suoi elementi essenziali (nozione, causa, forma e oggetto); ai soggetti che prendono parte al rapporto; ai rapporti che intercorrono tra di loro (ponendo l’accento sulla circostanza per cui accanto ad
un rapporto principale di leasing possono essere previsti vari rapporti accessori –patto d’opzione, patto di riacquisto, fideiussione, assicurazione-), il tutto mettendo in rilievo la specifica disciplina applicabile. Successivamente si esamineranno i profili della responsabilità contrattuale, degli effetti che scaturiscono dalla risoluzione e dalla nullità del contatto. Brevi cenni verranno, infine, dedicati alla molteplicità di tipologie di leasing esistenti e ad eventuali profili di diritto comunitario e comparato.
Nella parte dedicata all’azienda, premesse alcune riflessioni sulla nozione di azienda, sulla distinzione e il legame intercorrente con l’impresa e l’imprenditore, e sulle varie teorie inerenti alla configurazione e qualificazione dell’azienda, si procederà a porre l’accento sui beni costituenti la stessa.
Particolare attenzione verrà dedicata ai beni immateriali e ai principi, vicende e modalità della circolazione d’azienda, con note di dettaglio sull’affitto e sull’usufrutto.
Alla luce delle riflessioni e del dato normativo e regolamentare esposto nelle prime due parti, si procederà ad analizzare la possibilità di configurazione di un leasing d’azienda.
Preliminarmente, verrà vagliata sia la configurabilità astratta sia la concreta applicazione di una tale operazione negoziale. Supporto argomentativo verrà rinvenuto nella dottrina e giurisprudenza sia italiana che straniera, oltre che negli unici riferimenti normativi esistenti.
In secondo luogo, si passerà ad esaminare nello specifico il contratto di leasing d’azienda, discernendo tra il profilo statico, quello dinamico - esecutivo e quello conclusivo di tale complessa fattispecie negoziale.
In particolare, si analizzeranno, mettendo in luce le problematiche più rilevati e facendo riferimento alla prassi commerciale contrattuale, i profili strutturali oggettivi (nozione, oggetto, causa, forma, patti accessori - il patto di opzione e il patto di riacquisto-) e soggettivi (il Fornitore, il Concedente o Società di Leasing, l’Utilizzatore), l’imprescindibile attività istruttoria (la cosiddetta due diligence) e la valutazione dell’azienda; le vicende effettuali e quindi la disciplina applicabile in tema di successione nei contratti, crediti, debiti aziendali, e di divieto di concorrenza; le vicende patologiche del leasing d’azienda (la risoluzione del contratto: ipotesi e disciplina); gli effetti del fallimento di uno dei soggetti intervenienti nell’operazione negoziale; il regime del leasing d’azienda al decorrere del termine finale di efficacia e quindi la retrocessione – struttura ed effetti – , l’immissione nel possesso e lo status dell’azienda nelle more tra la retrocessione e l’eventuale nuovo contratto di leasing; i profili contabili e fiscali del leasing d’azienda.
Centralità verrà riservata alla descrizione accurata della peculiare figura del Garante dell’operazione (modalità di costituzione, funzioni e natura giuridica) e del regolamento di utilizzo dell’azienda, entrambi peculiari e indispensabili strumenti di tutela dell’operazione negoziale (tutela dal cd. rischio d’investimento) e dei terzi.
Nota conclusiva sarà dedicata all’esame del caso pratico, tratto dalla prassi contrattuale commerciale.
Le rilevanti implicazioni teoriche e pratiche, sia giuridiche che economiche, conducono ad auspicare che il leasing d’azienda sia oggetto di maggiore studio e sperimentazione nella prassi commerciale.
Un sincero ringraziamento al professor Xxxxx Xxxxxx, responsabile di questo lavoro, e a tutti coloro che hanno prestato il loro prezioso contributo.
Il presente lavoro è stato realizzato grazie al contributo della Fondazione del Banco di Sardegna.
Capitolo I
Il Contratto di Leasing e l’Azienda: Profili generali I
Sommario: 1 Introduzione al Leasing; - 2 Le fonti del Leasing; - 3 La natura giuridica del Leasing; - 4 La struttura oggettiva e soggettiva del Leasing; - 5 La formazione del contratto; - 6 Il contenuto minimo del contratto; - 7 Patti principali e accessori al contratto di Leasing; - 8 Le vicende funzionali e patologiche del contratto di Leasing: introduzione; - 9 Segue L’inadempimento dell’Utilizzatore ; - 10 Segue L’inadempimento del Concedente (Società di Leasing); - 11 Segue Sugli effetti dell’invalidità e/o scioglimento del contratto alla luce del collegamento negoziale; - 12 Leasing e fallimento; - 13 Tipologie di Leasing.
1 Introduzione al Leasing1.
Il leasing2, meglio conosciuto, nel nostro ordinamento, come locazione finanziaria, rappresenta la fattispecie negoziale di concessione in godimento di un bene con possibilità per il conduttore-utilizzatore di acquistarne la proprietà al termine del contratto.
Contratto atipico molto diffuso nella recente prassi commerciale3, in forza del quale un soggetto, denominato Concedente (Società di Leasing) o lessor, concede ad un altro soggetto,
1 Sull’argomento ALBANESE M.-XXXXXX A., Leasing e factoring, Edizioni FAG, Milano, 2006. ALBANESE M.-ZEROLI A., Leasing, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, in Diritto privato nella giurisprudenza a cura di Xxxxx Xxxxxx, vol XIII, pag. 132 ss. BISINELLA I.-NESSI M.-TRABALLI A., Leasing, lease back, factoring, Napoli 2004. XXXXXXXXX V., La locazione finanziaria, 2008, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx X. e Messineo F., Xxxxxxx Editore. BUSSANI M., XXXXXX P., I contratti nuovi. Casi e materiali di dottrina e giurisprudenza. Leasing Factoring, Franchising, Xxxxxxx Editore, 1989. BUSSANI M., Contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing., in Trattato di Diritto Civile diretto da Xxxxxxx Xxxxx, vol. IV, I singoli contratti, Torino, 2004. CAGNASSO O., COTTINO G., I contratti commerciali, in COTTINO G., Trattato di diritto commerciale, Cedam, 2000, vol IX. CASELLI G., Xxxxxxx, in Contratto e Impresa, 1985, pag. 213 ss. XXXXXXXXX X., voce Leasing (diritto privato), in Enc. Giur. Treccani CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, UTET,1989. CLARIZIA R., La Locazione finanziaria, in Nuova Giurisprudenza civ. comm., 1985, II, pag. 35 ss. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, Torino, 2002. DE NOVA G., Leasing, in Digesto Disc. Priv., pag. 462 ss. DE NOVA G., Il contratto di leasing con sentenze e altri materiali, in Collana di diritto ed economia, diretta da Xxxx X., Xxxxxxx Editore, 1995. DE NOVA G., Identità e validità del lease back, in Riv. It. Leasing, 1989, fasc. 3, pag.471 ss. DENOZZA F., La Cassazione e la risoluzione del leasing, in Giur. comm., 1991, I, pag. 845 ss. DE ROSA M. L., Xxxxx Back e patto commissorio, in Riv It. Leasing, 1989, fasc.1, pag. 213 ss. XXXXXXXX A., Spunti critici sui recenti sviluppi in tema di leasing, in Riv It. Leasing, 1987, pag. 39 ss. XXXX X., I contratti di finanziamento dell’impresa. Leasing e factoring, Xxxxxxx Editore, 1997. XXXXXXX X., Disciplina giuridica dell’impresa, Milano, 1950. LA TORRE M. R., Un precipitato storico: il leasing usufrutto, in Riv. It. Leasing, 1989, fasc.2, pag. 449 ss. LA TORRE M.R., Effetti del fallimento Utilizzatore sul contratto di locazione finanziaria, in Riv. It. Leasing, 1985, pag. 189 ss. LUMINOSO A., Natura del leasing e oggetto dello scambio, in Riv. It. Leasing, 1989, pag. 525 ss. LUPI, Disciplina applicabile al leasing finanziario, in Società, 1993, pag. 773 ss. XXXXXXXX X., Aspetti civilistici del lease back, in Riv. It. Leasing, 1989, fasc.3, pag.477 ss. XXXXXXXX, Leasing di godimento e leasing traslativo, in Contratti, 1999, pag. 692 ss. XXXXXXXX, Xxxxxxx (diritto tributario), in Enciclopedia giuridica Treccani. XXXXXXX D., I problemi di struttura del leasing, in Riv. It. Leasing, 1987, pag. 543 ss. TROVATO M., Progetto leasing, 1981, Etas libri. XXXXXXX N., La problematica del leasing finanziario come tipo contrattuale, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 000 xx. XXXXXXXXX G., Osservazioni sulla giurisprudenza della Cassazione del 1989 in merito all’applicabilità dell’art. 1526 x.x. xxxx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxx, xx Xxx. Xx. Leasing, 1990, pag. 289 ss. ZANNELLA G.M., Xxxxxxx, in Il diritto privato nella giurisprudenza a cura di Xxxxx Xxxxxx, vol. III, La colpa nella responsabilità civile, Torino, 2006.
2 Denominazione di origine inglese, derivante dal verbo to lease, che si significa concedere in affitto.
denominato Utilizzatore o lessee, il godimento di un bene determinato, dietro pagamento di un corrispettivo, denominato canone, e con diritto di opzione d’acquisto dell’Utilizzatore da esercitarsi alla scadenza del contratto e previa corresponsione di un prezzo definito in base ad un predeterminato numero di canoni.
Il bene, sia esso mobile, immobile o mobile registrato, può risultare già nella piena disponibilità del Concedente (Società di Leasing) oppure quest’ultimo deve all’uopo provvedere ad acquistarlo o costruirlo o farlo costruire da un terzo, anch’esso, in genere, precedentemente scelto dall’Utilizzatore medesimo.
Fattispecie contrattuale che, mancante di una compiuta disciplina di diritto positivo, è oggetto di discussione dottrinale e d’interpretazione giurisprudenziale con riferimento ai suoi molteplici profili, tra i quali si annoverano la struttura (si discute sulla struttura trilaterale o di collegamento contrattuale del leasing), i requisiti soggettivi e le vicende contrattuali tipiche (risoluzione e invalidità negoziali). Senza considerare che il largo utilizzo nella prassi contrattuale e commerciale ha comportato il sorgere di molteplici varianti, spesso tra loro eterogenee, in cui il leasing si presenta (Leasing operativo, Leasing finanziario, Lease back ect.).
2 Le fonti del Leasing.
Il leasing nasce negli Stati Uniti d’America intorno agli anni cinquanta4, e inizia a diffondersi pian piano anche negli altri ordinamenti, tra i quali l’Italia, solo dagli anni settanta.
Fonte primaria di questa fattispecie negoziale, nonché primaria ipotesi di tipizzazione della stessa, è rappresentata dall’Uniform Commercial Code, che prevede una compiuta disciplina del leasing tanto da dedicargli addirittura un’intera sezione (9 – 1 e 5)5. Proprio sulla base di
3 Fattispecie molto utilizzata nella prassi con la quale vengono identificate una diversità di operazioni, dal Leasing di vacanze al Leasing di mano d’opera al Leasing d’utero ect.
4 Nel 1952 un imprenditore californiano, un tale Xxxxxxxxxx, costituì la prima Società di Leasing immobiliare.
5Si riporta di seguito il contenuto sommario della disciplina prevista nell’U.C.C.: “article 2a – leases:part
1. general provisions.§ 2a-101. short title.; § 2a-102. scope; § 2a-103. definitions and index of definitions; § 2a-104. leases subject to other law; § 2a-105. territorial application of article to goods covered by certificate of title; § 2a-106. limitation on power of parties to consumer lease to choose applicable law and judicial forum; § 2a-107. waiver or renunciation of claim or right after default; § 2a-108. unconscionability. § 2a-109. option to accelerate at will; part 2. formation and construction of lease contract . § 2a-201. statute of frauds; § 2a-202. final written expression: parol or extrinsic evidence; § 2a-203. seals inoperative; § 2a-204. formation in general; § 2a-205. firm offers; § 2a-206. offer and acceptance in formation of lease contract;
§ 2a-208. modification, rescission and waiver; § 2a-209. lessee under finance lease as beneficiary of supply contract; § 2a-210. express warranties; § 2a-211. warranties against interference and against infringement; xxxxxx'x obligation against infringement; § 2a-212. implied warranty of merchantability; .§ 2a-213. implied warranty of fitness for particular purpose; § 2a-214. exclusion or modification of warranties; § 2a-215. cumulation and conflict of warranties express or implied; § 2a-216. third-party beneficiaries of express and implied warranties. § 2a-217. identification; § 2a-218. insurance and proceeds. § 2a-219. risk of loss; § 2a-220. effect of default on risk of loss: § 2a-221. casualty to identified goods. part 3. effect of lease contract. § 2a-301. enforceability of lease contract; § 2a-302. title to and possession of goods; § 2a-303. alienability of party's interest under lease contract or of lessor's residual interest in goods; delegation of performance; transfer of rights; § 2a-304. subsequent lease of goods by lessor; § 2a-305. sale or sublease of goods by xxxxxx.; § 2a-306. priority of certain liens arising by operation of law; § 2a-307. priority of liens arising by attachment or xxxx on, security interests in, and other claims to goods; § 2a-308. special rights of creditors. § 2a-309. xxxxxx'x and xxxxxx'x rights when goods become fixtures; § 2a-310. xxxxxx'x and xxxxxx'x rights when goods
questa disciplina il leasing ha iniziato a svilupparsi anche negli altri ordinamenti, pur assumendo, a volte, conformazioni e varianti diverse da quella tipica6.
Tuttavia, venendo ad analizzare più da vicino l’evoluzione del leasing nel nostro ordinamento, si può affermare che si sogliono generalmente distinguere tre principali fasi di xxxxxxxx0: una prima fase di diffusione e conoscenza dell’istituto avvenuta negli anni settanta circa; una seconda fase di specializzazione delle Società di Leasing e una terza fase di utilizzo e diffusione di tale nuova fattispecie contrattuale nella prassi soprattutto commerciale8.
Nessuna fase di tipizzazione e regolamentazione normativa si è, sinora, verificata.
Manca ancora oggi una vera e propria opera di recepimento normativo della stessa, tanto che il leasing si presenta per il nostro ordinamento come contratto atipico.
Alcuni sporadici riferimenti si rinvengono in alcune leggi, ma l’apporto maggiore deve riconoscersi alla dottrina e alla giurisprudenza, senza omettere il prezioso contributo della prassi commerciale contrattuale.
Innanzitutto, espresso riferimento deve essere fatto all’art. 17 della Legge 2/05/1976 n. 183, (“Interventi straordinari nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980"), il quale si mostra di fondamentale importanza posto che, per la prima volta, compare nel panorama
become accessions; § 2a-311. priority subject to subordination. part 4. performance of lease contract: repudiated, substituted and excused § 2a-401. insecurity: adequate assurance of performance. § 2a-402. anticipatory repudiation. § 2a-403. retraction of anticipatory repudiation. § 2a-404. substituted performance. § 2a-405. excused performance. § 2a-406. procedure on excused performance. § 2a-407. irrevocable promises: finance leases. part 5. default a. in general. § 2a-501. default: procedure. § 2a-
502. notice after default. § 2a-503. modification or impairment of rights and remedies. § 2a-504. liquidation of damages. § 2a-505. cancellation and termination and effect of cancellation, termination, rescission, or fraud on rights and remedies. § 2a-
506. statute of limitations. § 2a-507. proof of market rent: time and place. b. default by lessor. § 2a-508. xxxxxx'x remedies. § 2a-509. xxxxxx'x rights on improper delivery; rightful rejection. § 2a-510. installment lease contracts: rejection and default. § 2a-
511. merchant xxxxxx'x duties as to rightfully rejected goods. § 2a-512. xxxxxx'x duties as to rightfully rejected goods. § 2a-513. cure by xxxxxx of improper tender or delivery; replacement. § 2a-514. waiver of xxxxxx'x objections. § 2a-515. acceptance of goods.
§ 2a-516. effect of acceptance of goods; notice of default; burden of establishing default after acceptance; notice of claim or litigation to person answerable over. § 2a-517. revocation of acceptance of goods. § 2a-518. cover; substitute goods. § 2a-519. xxxxxx'x damages for non-delivery, repudiation, default, and breach of warranty in regard to accepted goods. § 2a-520. xxxxxx'x incidental and consequential damages. § 2a-521. xxxxxx'x right to specific performance or replevin. § 2a-522. xxxxxx'x right to goods on xxxxxx'x insolvency. c. default by lessee. § 2a-523. xxxxxx'x remedies. § 2a-524. xxxxxx'x right to identify goods to lease contract. § 2a-
525. xxxxxx'x right to possession of goods. § 2a-527. xxxxxx'x rights to dispose of goods. § 2a-528. xxxxxx'x damages for non- acceptance, failure to pay, repudiation, or other default. § 2a-529. xxxxxx'x action for the rent. § 2a-530. xxxxxx'x incidental damages. § 2a-531. standing to sue third parties for injury to goods. § 2a-532. xxxxxx'x rights to residual interest”.
6 Il leasing, infatti, come disciplinato nell’UCC, è un contratto prettamente commerciale-imprenditoriale, avente ad oggetto esclusivamente beni immobili funzionali all’attività d’impresa del leasea. Ebbene, da tale principale forma negoziale sono state mutuate tutta una serie di altre fattispecie di leasing aventi ad oggetto beni immobili, beni mobili, finanche beni immateriali anche per uso semplicemente personale (Leasing del consumatore o di beni di consumo). Si precisa, inoltre, che il leasing americano non prevede l’opzione di acquisto, elemento tipico nelle fattispecie negoziale degli altri ordinamenti, compreso quello italiano.
Si noti anche la diversa nozione di proprietà dei paesi di civil law rispetto a quelli di common law. Il lease, infatti, prevede un diritto reale sulla cosa in capo al conduttore, a differenza della locazione che configura il diritto del locatore come diritto personale di godimento.
Per maggiori dettagli in merito alla struttura del leasing nei sistemi di common law, si veda De Vita A., Lease, in Digesto disc. civ., pag. 443 ss.
7 Per un quadro storico sulla diffusione del leasing in Italia, si veda Caselli G., op. cit., pag. 213 ss.
8 Per approfondimenti sul mercato italiano del leasing si veda CARRETTA A., DE LAURENTIS G., Manuale del leasing, in AA.VV., Banche e mercati finanziari, EGEA, 1998, pag. 27 ss.
normativo italiano una definizione, anche se non esaustiva, di locazione finanziaria9. Grazie a tale norma viene dato espresso riconoscimento a tale tipologia contrattuale e vengono definite la struttura e le peculiarità del contratto di leasing. Si ritrovano, infatti, gli elementi caratterizzanti dell’istituto: la trilateralità, l’assunzione di tutti i rischi da parte dell’Utilizzatore, l’opzione finale di acquisto. Invero, si statuisce: “Per operazioni di locazione finanziaria s’intendono le operazioni di locazione di beni mobili e immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà di quest’ultimo di divenire proprietario dei beni al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito”. Si precisa, però, che si tratta di una mera norma di carattere definitorio, totalmente estranea ad un eventuale processo di tipizzazione10.
Secondariamente, si menzionano le seguenti disposizioni normative, nelle quali è presente un qualche riferimento alla locazione finanziaria: il D.L. 3/5/1991 n. 143 come modificato dalla L. 5/6/1991 n. 197; la L. 17/2/1992 n. 154; l’art. 18 L. 29/12/1990 n. 428; il Dlgs 27/1/1992 n. 87; l’art. 106 Dlgs /09/1993 n.385; il Dlgs 626/1994; l’art. 000 xxx xxx Xxxx00/00/0000 x. 000; l’art. 72 quarter della L. Fallimentare; la L. 10/10/1975 n. 517; la L. 21/5/1981 n. 240; la L. 10/1/1981 n. 416; la L. 19/12/1983 n. 696 e la L. 11/12/1984 n.
848; la L.108/1996; la L. 178/1993; gli artt. 91 e 196 del Codice della Strada.
Altre importanti fonti legislative sono, poi, rappresentate dal Testo Unico Bancario, soprattutto con riguardo agli artt. 106, 197, 113, 117, 118 e 119, nonché dalla normativa sugli intermediari finanziari (posto che la Società di Leasing viene considerata, alla luce del collegamento contrattuale, quale semplice intermediario finanziario) e da quella sul credito al consumo, nelle ipotesi in cui il bene concesso in leasing sia un bene definibile come di consumo (beni standardizzati) e/o l’Utilizzatore possa essere considerato quale consumatore in base alla disciplina del Codice del Consumo.
Senza dimenticare, infine, l’art. 1341 c.c. sulle condizioni generali di contratto, l’art. 1342
c.c. sul contratto concluso mediante formulari, oltre che le disposizioni dettate in materia di contratto in generale e quelle riguardanti il contratto di locazione e di vendita con riserva di proprietà, previa verifica di compatibilità tra tipi negoziali.
L’apporto significativo della dottrina11 e della giurisprudenza si rinviene sopratutto con riguardo a determinati profili, quali quello del nomen iuris, della definizione dell’operazione contrattuale e della natura giuridica della stessa e quello del rapporto diretto tra Fornitore e Utilizzatore.
Si rileva anche che il primo contributo della dottrina risale agli anni 1969, mentre l’intervento della giurisprudenza si palesa con il cosiddetto sestetto binario della Corte Cassazione dell’anno 198912, con il quale viene data una svolta alla concezione del leasing, distinguendo le due tipologie del leasing di godimento e del leasing traslativo; distinzione
9 Termine italiano usato per indicare la fattispecie negoziale atipica del leasing.
10 Clarizia, Luminoso, La Torre in XXXXXXXXX V., op. cit., pag. 14 e 15. In particolare, un autore nega la portata definitoria di tale norma anche in senso lato. Un altro autore, invece, afferma che la norma in esame contiene la definizione solo del sottotipo del leasing agevolato. Vedi De Nova in CASELLI G., op. cit., pag. 215.
11 Riferimenti dottrinali in XXXXXXXXX V., op. cit., pag. 37 ss.
12 Vedi infra.
utilizzata per risolvere alcune problematiche principali dell’istituto in questione riguardanti la disciplina applicabile.
Per ciò che concerne gli usi e la prassi contrattuali, oltre alla modellistica in uso, degno di nota, per la sua alta valenza esplicativa dell’istituto, è la raccolta di usi della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Milano13, in cui il leasing viene disciplinato in maniera precisa e dettagliata.
Cenno conclusivo deve essere rivolto al codice deontologico elaborato dall’Assilea14 e alle fonti sopranazionali, quali i Principi di UNIDROIT15 e le diverse direttive comunitarie esistenti in materia.
3 La natura giuridica del Leasing.
Se vi è concorde opinione in dottrina e giurisprudenza circa l’atipicità del contratto di Leasing, la stessa considerazione non può essere estesa anche alla natura giuridica dell’istituto16.
Diversi, infatti, sono gli orientamenti in merito, i quali possono essere ricondotti essenzialmente a tre.
Il primo orientamento17 considera il leasing come contratto trilaterale di finanziamento, giustificando, in questo modo, sia il rapporto diretto tra Utilizzatore e Fornitore sia l’assunzione in capo all’Utilizzatore dei rischi discendenti dalla vendita del bene concesso in godimento.
Diverse sono, però, le obbiezioni e critiche che vengono mosse a tale tesi.
In primo luogo, si mette in evidenza l’assenza di una comunione di scopo18 e la presenza di un’unicità contrattuale di fatto19; tutti elementi che escludono la plurilateralità del
13 Si riporta di seguito il contenuto “analitico” della raccolta di usi. “LEASING MOBILIARE. Definizione Art. 1. Scelta del Fornitore e del bene Art. 2. Forma del contratto Art. 3. Ordine al Fornitore Art 4. Consegna Art 5. Versamento del corrispettivo. Art 6.Assicurazione . Art 7.Uso, ubicazione ed identificazione del bene. Art 8.Divieto di cessione e vincoli. Art 9.Facoltà di scelta al termine del contratto Art 10. LEASING DEL FORNITORE O DIRETTO. Definizione. Art. 1. LEASING IMMOBILIARE. Definizione Art. 1. Forma del contratto. Art 2. Acquisto di fabbricato esistente Art. 3. Consegna del fabbricato Art 4. Fabbricato da costruire: area-progetto. Art 5. Fabbricato da costruire: edificazione Art 6. Consegna del fabbricato Art 7. Indicizzazione del canone Art 8. Pagamento del corrispettivo Art 9. Assicurazioni Art 10. Uso dell’immobile ed oneri relativi Art 11. Facoltà di scelta al termine del contratto Art 12. LEASE – BACK. Definizione Art.1”.
14 Si veda BUSSANI M., XXXXXX P., op. cit., pag. 171 ss.
15 Unica fonte giuridica recante una completa disciplina del leasing.
16 Per riferimenti giurisprudenziali in merito, si veda XXXXXXX F., Diritto civile e Commerciale, Cedam 2004, Vol II, pag. 162 ss.
17 Xxxxxxx in CAGNASSO O. - COTTINO G., op. cit. Vedi anche CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 70 e Caselli e Mottura in CASELLI G., op. cit., pag. 218 e 220. Vedi anche Cass. civ. 4367/1997. Un autore considera il leasing come contratto di finanziamento con garanzia reale. Ferri in CAVAZZUTI F., op. cit., pag. 3.
18 Il leasing non può essere configurato quale contratto plurilaterale, pur se nell’operazione economica intervengono più di due parti, in quanto, si sostiene, difetta del “conseguimento di uno scopo comune”. Vedi G. DE NOVA, Leasing, cit., 473.
contratto20 e depongono, invece, a favore della tesi maggioritaria del collegamento negoziale21. Sempre che, ovviamente, per comunione di scopo non s’intenda il collegamento contrattuale, che deve essere noto a tutti i partecipanti all’operazione di leasing.
Si rileva, inoltre, che alla luce soprattutto del dato soggettivo, si discorre di operazione economica e non semplicemente di contratto e, pertanto, pur volendo sostenere che la struttura dell’operazione ha natura tutt’altro che bilaterale, salvo si tratti di leasing operativo o di lease back, la trilateralità del rapporto, si afferma, ha rilevanza squisitamente economica e non giuridica22.
In secondo luogo, si osserva che la presenza nel leasing, come sostenuto dalla dottrina maggioritaria23, di una causa di finanziamento non è sufficiente al fine di una tale qualificazione.
Il contratto di finanziamento ha, infatti, una struttura differente rispetto a quella del contratto di leasing. Esso postula la presenza di un rapporto originario di credito e di un risarcimento del danno a carico del soggetto finanziato in caso di vizi patologici del contratto, requisiti che non ricorrono, neanche in minima parte, nel contratto di leasing.
Nel leasing, invero, il credito ha ad oggetto esclusivamente il pagamento di canoni e sorge solo in forza della stipulazione del contratto. Il risarcimento del danno, invece, consegue all’inadempimento di una delle parti, sia essa Concedente (Società di Leasing) o Utilizzatore.
Tuttavia, prescindendo da tali obiezioni e critiche, si evidenzia come dal contratto di leasing, quale contratto di finanziamento, si faccia discendere la qualifica del leasing come contratto d’impresa. Si afferma24, infatti, che unici soggetti che possono stipulare detto contratto sono gli intermediari finanziari, con riguardo alle Società di Leasing, e che il bene oggetto di leasing deve essere necessariamente un bene strumentale all’attività svolta dall’Utilizzatore, ragion per cui anche quest’ultimo, si sostiene, non può non essere un imprenditore.
Il secondo orientamento25, invece, prende le mosse dall’analisi della struttura dell’operazione contrattuale, la quale si costituisce di un contratto principale, il leasing, e di un
19 Nel leasing ricorrono due contratti tra loro separati e distinti, ma collegati sul versante applicativo, dal costituire un’operazione economica unitaria; unicità che trova espressione nel rapporto diretto tra Utilizzatore e Fornitore del bene.
20 In merito si consideri anche una pronuncia del Tribunale di Milano, nella quale si afferma che “il contratto di leasing è qualificabile come struttura negoziale complessa ma essenzialmente unitaria”. Trib. Milano 11 Aprile 2000, n. 7100.
21GHIA X., op. cit., pag. 5 ss. e pag. 15 ss.
22 Deve distinguersi tra finanziamento economico e finanziamento giuridico. Vedi XXXXXXX D., op. cit., pag. 543ss. Vedi anche CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 70. Cfr. LABIANCA
- M. PARENTE F., Garanzia e autonomia privata nel leasing e nel factoring, Editore Jovene Napoli, 1981.
23 GHIA L., op. cit., pag. 6. Cfr. CASELLI G., op. cit, pag, 230.
24 CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 70 xx. x xxx. 000 xx.
00 XXXX X., op. cit., pag. 6. CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 70 ss. e pag. 110 ss. La Cassazione ha, in merito, affermato che “sotto la formula contratto di leasing finanziario si cela un’operazione complessa, la quale (…) è il frutto di un collegamento funzionale volontario di due distinti negozi: la vendita e la locazione finanziaria in senso proprio” Xxxx. Civ., 5 settembre 2005, n. 17770, in Impresa, 2006, 3, 480 ss. Cfr. Cass. civ.
contratto accessorio, la vendita o l’appalto, per affermare la presenza di un collegamento contrattuale.
Secondo i fautori di tale tesi ricorre una connessione funzionale, di scopo, tra i due contratti, i quali sono volti al perseguimento di un’unica operazione contrattuale, rappresentata dal finanziamento dell’Utilizzatore.
Indici della presenza di un tale collegamento negoziale tra la vendita o l’appalto, da una parte, e il leasing, dall’altra, si riscontrano sia nella volontà delle parti manifestata nei due contratti sia nel dato oggettivo che emerge dall’intera operazione economica.
Invero, (1) la vendita26 viene stipulata al solo fine di reperire il bene da concedere in leasing a un determinato Utilizzatore; (2) al momento della stipulazione del leasing l’Utilizzatore, e non già il Concedente (Società di Leasing) - acquirente, assume su di sé tutti i rischi connaturati alla consegna, ai vizi, all’evizione, al perimento del bene e gode di un’azione diretta nei confronti del Fornitore, salvo quella di risoluzione del contratto di vendita che permane in capo al Concedente (Società di Leasing); (3) il Fornitore consegna il bene direttamente all’Utilizzatore; (4) il leasing non è suscettibile di esecuzione nel caso in cui la vendita non venga perfezionata.
Conseguenza diretta del collegamento contrattuale, come si vedrà meglio in seguito, è rappresentata dalla circostanza per cui le vicende dell’un contratto influiscono sull’altro, tale che i due contratti, come si suole dire, simul stabunt simul cadent. Pertanto, le vicende di invalidità e/o inefficacia del contratto di vendita si ripercuotono sul contratto di leasing, incidendo sulla validità e/o efficacia del medesimo.
Si anticipa, però, che il tipo di collegamento che si viene a creare nella fattispecie del leasing è un collegamento cosiddetto unilaterale, posto che se le vicende del contratto di vendita incidono sulla validità ed efficacia del contratto di leasing, in qualità di presupposto di efficacia e validità di quest’ultimo, le stesse considerazioni non possono sostenersi nel senso inverso. Tali affermazioni logicamente fanno salvo un eventuale patto contrario delle parti27.
Il terzo orientamento,28 infine, qualifica il leasing come contratto di scambio e individua la prestazione e controprestazione rispettivamente nella concessione del godimento, quale forma di finanziamento, e nel pagamento dei canoni pattuiti, quale restituzione del finanziamento concesso.
Alcuni autori ritengono, invece, che il leasing sia “uno strumento alternativo in funzione di garanzia”29, ovvero una garanzia per l’accesso al credito nella media e piccola impresa.
412/1998 e 854/2000; Cass. 20 Luglio 2007 n. 16158; Cass. 27 luglio 2006 n. 17145 e Cass. 25 maggio 2004 n.
10032.
26 Ogni riferimento alla vendita deve essere esteso anche all’appalto, salvo l’espressa applicazione di norme sulla vendita o la trattazione di aspetti peculiari della stessa, che verranno indicati di volta in volta.
00 XX XXXX X., Xxxxxxx, cit., pag. 473.
00 XX XXXX X., Xxxxxxx, cit., pag. 468 ss. Vedi anche Xxxx. 8222/2002, 10926/1998; Cass. Civ 20592/2007.
29 BERLINGUER A., Finanziamento e internazionalizzazione di impresa, Giappichelli Editore, Torino, 2007, pag. 65 ss.
Altre tesi minoritarie sono quelle che riconducono il leasing alla figura del contratto misto30 oppure alla locazione31 o alla vendita con riserva della proprietà32 o, infine, alla vendita con patto di riservato dominio33.
Le peculiarità di tale operazione contrattuale non consentono, però, un inquadramento così preciso e diretto dello stesso34.
Infatti, sebbene il leasing abbia mutuato dalla locazione la terminologia di canoni periodici, di concedente e di concessione in godimento, e quantunque siano quasi identici gli obblighi dell’Utilizzatore e del conduttore e l’assunzione del rischio che l’Utilizzatore e il conduttore si accollano su di sé, tuttavia la presenza di un patto di opzione e di un rapporto diretto tra l’Utilizzatore e il terzo Fornitore, escludono il totale inquadramento della fattispecie in questione in quella della locazione.
Inoltre, la vendita con riserva di proprietà prevede un pagamento rateale del prezzo e solo con il pagamento dell’ultima rata l’acquirente acquista definitivamente e automaticamente la proprietà del bene compravenduto, senza bisogno di manifestazione di volontà ulteriore. Al contrario, nel leasing l’acquisto del bene è solo una mera eventualità, potendo l’Utilizzatore, in alternativa all’opzione di acquisto, decidere di restituire il bene ovvero di stipulare un nuovo contratto di leasing; è necessaria una nuova manifestazione di volontà, questa volta avente ad oggetto la volontà di esercitare l’opzione di acquisto del bene concesso in leasing; l’Utilizzatore, poi, deve versare un ulteriore prezzo, non essendo sufficiente l’ammontare dei canoni versati. Xxxxxx si mostra anche l’estensione al leasing dell’art. 1526 terzo comma c.c. in caso di inadempimento dell’Utilizzatore35.
Dunque, appare impossibile considerare il contratto di leasing come una tipica vendita con riserva di proprietà.
La tesi del contratto misto36, invece, non potrebbe ricorrere posta la presenza di due distinti contratti, vendita e/o appalto e leasing, che vengono stipulati tra soggetti diversi (parti della vendita sono Concedente - Società di Leasing - e Fornitore; parti del leasing sono Concedente - Società di Leasing - e Utilizzatore e si noti che il Fornitore non prende parte al
30 De Nova e Vailati in CAVAZZUTI F., op. cit., pag. 3.
31 Mirabelli, Xxxxx, Xxxxxxxxx e altri in CAVAZZUTI F., op. cit., pag. 3. Vedi anche XXXXXXXXXX E., op. cit.
32 Vedi Cass. Civ. 5552/2003, in cui si afferma che il leasing configura una forma di vendita con riserva di proprietà in quanto l’effetto traslativo prevale sulla funzione di godimento del bene.
33 La seppur breve analisi di tali posizioni e la messa in evidenza delle differenze che intercorrono tra il leasing e la vendita con riserva di proprietà e la locazione, si mostrano necessarie ai fini della determinazione della disciplina applicabile. Si discute, infatti, se il leasing debba essere assoggettato alla disciplina dell’uno o dell’altro contratto tipico. Ebbene, si afferma che se la volontà dell’Utilizzatore, come emerge dal dettato contrattuale, è solo quella di ottenere il godimento del bene, la disciplina applicabile sarà certamente quella della locazione, nel caso in cui, invece, l’Utilizzatore abbia interesse all’esercizio dell’opzione di acquisto del bene, dovrà ritenersi operante senz’altro la disciplina della vendita con riserva di proprietà. Vedi Cass. civ. 28 novembre 1983 n. 6390.
34 Tribunale di Milano 15 Maggio 1978, in Contratto e Impresa, II, 1499 e Corte d’Appello di Milano 16 Novembre 1979 n 1504.
35 Come verrà meglio esplicitato in seguito. Vedi infra.
36 In merito, si veda l’opinione di un autore, il quale discorre di elasticità del leasing e di impossibilità di ricorrere ad una classificazione dello stesso come semplice contratto misto. CASELLI G., op. cit., pag. 232.
leasing). Resta salva, però, l’ipotesi in cui il contratto venga qualificato come contratto trilaterale con funzione di finanziamento37.
4 La struttura oggettiva e soggettiva del Leasing.
Dopo quanto premesso, si mostra necessario esaminare nel dettaglio l’istituto in questione.
Innanzitutto, il contratto di leasing è un contratto atipico38, di durata, a prestazioni corrispettive, a titolo oneroso e ad effetti prevalentemente obbligatori39.
L’atipicità della fattispecie contrattuale comporta l’applicazione dell’art. 1322 c.c.40 e quindi si rende necessario, pena l’invalidità, che il leasing, quantunque possa avere una qualsiasi causa e struttura, persegua interessi meritevoli di tutela. Interesse, in tal caso, prevalentemente rappresentato dalla necessità “di un soggetto di disporre di determinati beni in via immediata pur senza poter o volere distrarre dalla sua tesoreria i corrispondenti mezzi finanziari”41.
Ciò nonostante, riguardo alla causa negoziale, è concordemente individuata in dottrina42 e giurisprudenza, una causa di finanziamento; anzi qualche autore43, proprio alla luce della struttura del leasing, enuclea la figura dei contratti di credito o di finanziamento. La presenza di una tale causa viene giustificata sulla base di precisi elementi: provvista di mezzi finanziari tra le parti; realizzazione di investimenti per un’azienda; arricchimento collegato ad un depauperamento, anche se temporaneo; obbligo di restituzione del finanziamento ricevuto in capo all’Utilizzatore44.
Alcuni autori, invece, rinvengono una semplice causa di scambio. Si afferma, infatti, che il leasing altro non è che scambio di godimento di un bene contro il pagamento di canoni; la medesima causa propria del contratto di locazione.
37 Solo in questo caso il leasing potrebbe essere qualificato come contratto di finanziamento.
38 In tal senso, Cass. 17 marzo 1991 n. 5571, in Giust. Civ., 1991, I, pag. 2973. Cass. 26 Novembre 1987 n. 8766, in Mass. Foro It., 1987. Cfr. Cass. 6 maggio 1986 n. 3023, in Foro It., 1986. Si veda anche l’opinione di chi ritiene che il leasing non debba essere tipizzato, costituendo, questo, una sorta di cristallizzazione dell’operazione economica che si scontra con l’elasticità del leasing e la molteplicità di varianti tra loro eterogenee. CASELLI G., op. cit., pag. 232 ss. Si osserva, inoltre, come il largo utilizzo nella prassi fanno del leasing un tipo sociale. Xxxxxxx autore, invece, ritiene che il leasing sia un contratto tipico pur se non disciplinato in maniera organica, completa e unitaria. Clarizia in DE NOVA G., voce Leasing, cit., pag. 465. Un autore afferma trattarsi di un semplice contratto di concessione atipica di godimento.
39 Cass. 6390/1983; Cass. 3023/1986; Cass. 8766/1987 e Cass. 5623/1988.
40Si veda la sentenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx , 00 ottobre 1995 n. 10805. Cfr. Cass. 22 Marzo 1994 n. 2743. Cfr. Trib Vigevano 14/12/1972, Trib Ancona 21/01/1981 e Trib Milano 15/02/1982 in De Nova, Leasing, cit., pag. 466.
41 XXXXXXXXX F., Il leasing d’azienda; in Banca Borsa Titoli di Credito, I, 2010.
42Baccigalupi, Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx in CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 28 ss.
43 Xxx in CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 29.
44 Il bene concesso in leasing costituisce garanzia del finanziamento erogato: è attraverso la vendita dello stesso che la Società di Leasing recupera le risorse finanziarie erogate e non restituite dall’Utilizzatore . Tuttavia, la Società di Leasing si accolla il rischio dell’obsolescenza del bene e, dunque, il rischio di vedere lo stesso deprezzato. Vedi LABIANCA - M. PARENTE F., op. cit., pag. 37 ss.
Con riguardo all’oggetto del contratto si può affermare che lo stesso si mostra a dir poco vario.
Il leasing può avere ad oggetto sia beni mobili, che beni immobili, che beni mobili registrati. Si può concedere in leasing un bene materiale oppure un bene immateriale, così come singoli beni, una pluralità di beni, un’universalità di beni.
Con riferimento alla forma, infine, è discusso in dottrina e giurisprudenza se sia richiesta la forma scritta ad substantiam.
Secondo alcuni autori ricorre il principio della libertà della forma e dunque il contratto può essere stipulato nella forma che le parti ritengono più opportuna sulla base dei loro interessi.
Secondo altri autori, invece, la forma scritta è richiesta proprio sulla base degli artt. 115 e 117 TUB, al fine precipuo di garantire la trasparenza delle operazioni contrattuali.
Si può, comunque, affermare che la forma del contratto di leasing deve essere ricondotta, da una parte, alle disposizioni dettate in materia di vendita e, dall’altra, a quelle di cui all’art. 1350 c.c. Se il tipo di concessione, con riguardo al bene, rientra nelle previsioni di cui all’art. 1350 c.c. allora sarà necessaria la forma scritta, altrimenti potrà essere adoperata una qualsiasi altra forma.
Per ciò che concerne la durata si può asserire che la stessa varia a seconda della vita tecnico-economica del bene e in base al fabbisogno dell’Utilizzatore . In ogni caso il leasing si presenta per la maggiore come un contratto a termine.
Quanto al profilo soggettivo45 si può ben asserire che soggetti dell’operazione economica in questione sono rappresentati dal Concedente o Società di Leasing , dall’Utilizzatore e dal Fornitore del bene.
Al riguardo, occorre distinguere tra il profilo interno e il profilo esterno. Ciò logicamente dipende da come viene qualificato il leasing, ovvero se rileva un collegamento contrattuale o un contratto trilaterale, in quanto solo nel primo caso la sopraindicata distinzione ha una qualche valenza.
Per l’appunto, dal punto di vista del profilo interno, soggetti del leasing sono esclusivamente rappresentati dal Concedente (Società di Leasing) e dall’Utilizzatore, mentre nel profilo esterno è considerato soggetto dell’operazione contrattuale di leasing anche il Fornitore.
Si deve, altresì, precisare che mentre i primi due soggetti sono comuni a tutte le fattispecie e varianti di leasing, il terzo soggetto riveste un ruolo essenziale solo nel caso di leasing finanziario o traslativo, mentre manca sia nel leasing operativo che nel lease-back in quanto, rispettivamente, l’Utilizzatore o il Concedente (Società di Leasing) sono anche fornitori del bene.
45 Per maggiori dettagli si rinvia alla trattazione di cui al capitolo specifico sul leasing d’azienda.
5 La formazione del contratto.
Con riferimento alla formazione del contratto si deve preliminarmente osservare come le modalità siano altamente discrezionali, posta l’assenza di un quadro normativo certo46.
Tuttavia, considerata la varietà tipologica del contratto di leasing, possono individuarsi cinque principali modalità di contrattazione:
1. La Società di Leasing contratta con il Fornitore l’acquisto del bene richiestogli dall’Utilizzatore e, precedentemente, contestualmente o successivamente47, stipula il contratto di leasing con l’Utilizzatore. In tale ipotesi qualche autore48 ritiene operante un’ipotesi di mandato e, pertanto, per la regolamentazione dei rapporti tra Utilizzatore e Società di Leasing , rinvia alle norme previste per tale fattispecie contrattuale (artt. 1703 ss. c.c.).
2. L’Utilizzatore, scelto il bene di cui necessita, definisce le condizioni di vendita direttamente con il Fornitore e successivamente procede alla pattuizione del leasing con il Concedente (Società di Leasing).
3. Allorquando l’Utilizzatore decide di ottenere un bene in leasing, la struttura del contratto, oltre che come collegamento contrattuale, potrebbe essere congeniata come convenzione quadro, ovvero come una sorta di contratto trilaterale a schema aperto. Convenzione quadro, nota anche come leasing convenzionato, che prevede l’impegno all’acquisto e alla concessione in godimento del bene per la Società di Leasing , l’impegno al riacquisto eventuale del bene e alla responsabilità solidale con l’Utilizzatore da parte del Fornitore. L’Utilizzatore aderisce alla convenzione a norma dell’art. 1341 c.c. Unico atto, due contratti, due rapporti negoziali. L’iniziativa per la stipulazione di una convenzione quadro può partire anche dallo stesso Fornitore, il quale intraprende delle trattative con una Società di Leasing, che si impegna nei confronti diretti del Fornitore ad acquistare il bene e a concederlo successivamente in godimento all’Utilizzatore o agli Utilizzatori indicati dal Fornitore medesimo49.
4. L’Utilizzatore si rivolge ad una Società di Leasing , la quale ha già la proprietà del bene richiestogli, e il contratto di leasing viene stipulato secondo le modalità generali fissate dal codice civile.
46 Qualche autore afferma che il contratto di leasing è strutturato sulla falsa riga dell’art. 1341 c.c., oltre la contrattazione di qualche singola clausola afferente, per la maggiore, alla scelta e alla caratteristiche del bene da concedere in godimento. XXXXXXXXXX E., op. cit., pag. 80 ss.
47 Nell’ipotesi in cui il contratto di vendita sia stato concluso successivamente alla stipulazione del contratto di leasing, la vendita si considera quale adempimento di quello che qualche autore chiama pactum de contrahendo cum tertio. DE NOVA G., Leasing, cit., pag. 275.
48 XXXXXXXXX V., op. cit., pag. 108.
49 L’iniziativa per la stipulazione di un contratto di leasing può provenire sia dall’Utilizzatore che dal Fornitore ovvero dalla stessa Società di Leasing anche mediante un’offerta al pubblico.
5. L’Utilizzatore si rivolge ad una Società di Leasing e stipula con la stessa sia un contratto di vendita che un contratto di leasing (lease back), ipotesi che si verifica nel caso in cui il bene sia di proprietà dell’Utilizzatore.
Da tale esposizione emerge come ruolo preminente nell’operazione di leasing è svolto dall’Utilizzatore, il quale determina le condizioni contrattuali principali, e dal Fornitore, il cui inadempimento compromette l’efficacia del contratto di leasing medesimo. La Società di Leasing è un semplice intermediario50.
Ciò premesso, si afferma che, nonostante la complessità dell’operazione negoziale, anche con riferimento al contratto di leasing è possibile distinguere tra una fase precontrattuale di mere trattative e una fase contrattuale vera e propria.
La fase precontrattuale del contratto di leasing concerne l’iniziativa delle trattative, che generalmente è riposta in capo all’Utilizzatore, e la determinazione delle condizioni sia di concessione sia di acquisto del bene da concedere in godimento da soggetti terzi.
In tale fase dovere di tutte le parti, pena un’eventuale responsabilità precontrattuale, è rappresentato dall’informazione, di tutti i partecipanti alle trattative, dell’esistenza di un collegamento contrattuale funzionale tra la vendita e/o l’appalto e il contratto di leasing, e dalla determinazione della rilevanza di detto collegamento con riferimento alle posizioni contrattuali di tutti i partecipanti.
Qualora sorga una responsabilità precontrattuale ai sensi del disposto di cui all’art. 1337 c.c., questa, oltre ad essere basata sul collegamento contrattuale e dar luogo al tipico risarcimento del danno, è volta principalmente a tutela dell’Utilizzatore51.
Una volta che viene determinata nel dettaglio la tipologia di operazione negoziale da attuare e conclusa, quindi, la fase delle trattative, la Società di leasing stipula prima la vendita con il Fornitore, acquistando così la proprietà del bene, poi, contestualmente o in momento successivo, provvede alla stipulazione del contratto di leasing con l’Utilizzatore, in questo modo concedendo il godimento del bene compravenduto52. Si precisa, però, che il periodo di godimento del bene, dunque l’efficacia del contratto di leasing, inizia a decorrere dal momento della sottoscrizione da parte del Fornitore e dell’Utilizzatore del verbale di avvenuta consegna del bene.
50 Xxxxxxxx Xxxxxxxx in CAVAZZUTI F., op. cit., pag. 2.
51 La responsabilità precontrattuale sorge principalmente per inadempimento degli obblighi di informazione circa il collegamento contrattuale tra vendita e leasing e dei rispettivi obblighi e diritti in capo a ciascuna parte (si pensi all’errata comunicazione delle condizioni di vendita pattuite dall’Utilizzatore e poi riferite alla Società di Leasing ). Ricorre poi sempre la violazione del dovere di buona fede. La struttura e natura del contratto di leasing impongono, inoltre, ai fini del sorgere di una responsabilità precontrattuale, una concezione non vincolante delle trattative, la necessità di una partecipazione attiva alle stesse e la presenza di effettivo danno. In merito di veda Xxxx. Civ., 26 febbraio 1992, n. 2335, in Foro It., 1992, I, 1766; Cass. Civ., 17 gennaio 1981, n. 430, in Rep.
Foro It., 1981, voce Contratto in genere, 112; Cass. Civ., 10 gennaio 1988, n. 340, ivi, 1988, 267; Cass. Civ., 11 settembre 1989, n. 3922, ivi, 1989, 255. Si rammenta anche il dovere di diligenza che le parti devono utilizzare nell’adempimento di tutte le obbligazioni contrattuali discendenti dal leasing. Dovere di informazione circa l’avvenuta consegna e circa le condizioni del bene. Vedi Cass. 5 luglio 2004 n. 12269.
52 È prassi frequente la stipulazione prima del contratto di leasing e solo successivamente del contratto di compravendita dell’azienda.
6 Il contenuto minimo del contratto.
In mancanza di una disciplina normativa del contratto, il contenuto minimo viene determinato mediante un’analisi dei modelli contrattuali usati nella prassi, oltre il dovuto riferimento alla raccolta di usi della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Milano.
Preliminarmente, si suole affermare che il contratto si articola generalmente in tre parti:
1. “Premesse”, in cui sono indicate le informazioni iniziali e generali costituenti il fondamento e il presupposto del rapporto, dalle quali emerge l’essenza stessa del rapporto. Si menzionano il ruolo delle parti, il rapporto tra loro, la relazione che intercorre tra le stesse e il bene oggetto del contratto.
2. “Condizioni generali”, nelle quali si determinano gli elementi peculiari del leasing, di solito comuni a tutti i modelli contrattuali di leasing e coincidenti con il cosiddetto contenuto minimo del contratto di leasing.
3. “Condizioni particolari”, le quali definiscono con maggior precisione il bene oggetto del contratto, la durata, la decorrenza, le modalità di pagamento e le ipotesi di variazioni dello stesso.
Contenuto minimo del contratto di leasing è rappresentato da:
− Concessione in godimento di un bene individuato da parte dell’Utilizzatore quanto a caratteristiche oggettive e soggettive, ritenute dallo stesso idonee e necessarie per l’uso cui deve essere assoggettato;
− Condizioni generali d’acquisto, ovvero tutte quelle condizioni attinenti all’acquisto del bene o all’appalto per la costruzione del medesimo da parte del Concedente (Società di Leasing). Esse possono essere determinate direttamente dall’Utilizzatore , per cui il Concedente (Società di Leasing) è un mero esecutore dell’atto di vendita e/o appalto, oppure possono essere determinate dal Concedente (Società di Leasing) sempre sulle indicazioni ricevute dall’Utilizzatore (visto il collegamento funzionale tra vendita e leasing);
− Piano di ammortamento dei canoni con indicazione, alternativamente, di un maxicanone o di un prezzo residuo;
− Accollo da parte dell’Utilizzatore di tutti i rischi inerenti al pacifico godimento del bene, quindi esonero della Società di Leasing da ogni responsabilità, e la previsione di un’azione diretta dell’Utilizzatore verso il Fornitore per eventuali vizi del bene consegnato;
− Previsione in capo all’Utilizzatore della facoltà di scelta, al termine del rapporto di leasing, di tre alternative: restituzione del bene, rinnovazione del contratto di leasing, magari a canone ridotto, o esercizio dell’opzione di acquisto del bene.
Oltre al contenuto minimo si rinvengono anche tutta una serie di statuizioni che, seppur diffuse nella prassi, necessitano di un’espressa pattuizione in tal senso da parte dei
contraenti53. Possono annoverarsi tra di esse: la consegna del bene direttamente dal Fornitore all’Utilizzatore; il divieto di qualsiasi cessione o sublocazione del bene concesso in leasing; la necessaria strumentalità del bene concesso in leasing rispetto all’attività svolta dall’Utilizzatore; la cessione del contratto di leasing a terzi; l’applicazione dell’art. 1526 c.c. in caso di risoluzione per inadempimento da parte dell’Utilizzatore, anche fuori dei casi ammessi dalla giurisprudenza; la responsabilità dell’Utilizzatore per i danni cagionati nell’uso del bene concesso in leasing; la clausola penale.
7 Patti principali e accessori al contratto di leasing.
Una seppur breve riflessione necessita di esser dedicata al diritto di opzione e agli altri patti accessori al contratto di leasing.
Mentre per la trattazione del patto di opzione finale d’acquisto e del patto di riacquisto si rinvia a quanto si dirà nello specifico nel capitolo sul leasing d’azienda54, ora si procederà all’analisi degli altri due patti accessori, generalmente previsti all’interno di un’operazione negoziale di leasing.
Un particolare strumento di garanzia per le Società di Leasing è rappresentato dal rilascio di fideiussioni da parte di terzi, persone fisiche o giuridiche, contro il rischio di insolvenza dell’Utilizzatore , il cui ammontare è pari solitamente alla somma dei canoni maggiorata degli interessi di mora.
Le fideiussioni sono di norma contemplate attraverso l’inserimento nel contratto di una clausola “solve et repete”, che preclude al fideiussore garante di opporre qualsiasi contestazione o difesa nel giudizio promosso dal beneficiario per ottenere il pagamento55.
Si tratta di fideiussioni a prima richiesta e l’oggetto è generalmente costituito dai canoni dovuti dall’Utilizzatore. A tal riguardo risulta discusso se l’oggetto debba essere espressamente determinato nel contratto di fideiussione o se possa essere semplicemente determinabile per relationem.
53 Con riferimento a dette clausole si discute se alcune di esse possano essere reputate come vessatorie. Analisi, questa, che deve essere svolta in maniera differente a seconda che l’Utilizzatore sia un’impresa o un semplice consumatore, posto che la disciplina si mostra essere diversa. Risultano differenti, infatti, non solo la base normativa (art. 1341 c.c. o Codice del Consumo), ma anche le varie ipotesi che possono essere ricondotte ad esse. Per maggiori dettagli si veda XXXXXXXXX V., op. cit., pag. 169 ss e 172 ss. e ID., Cassazione e leasing: riflessioni sulla giurisprudenza dell’ultimo quinquennio, in Contratti e impresa, 1994, pag. 176 ss. Vedi Cass. 3 maggio 2002 n. 6369 e Xxxx. 11 febbraio 1957 n. 1266.
54 Per maggiori dettagli si rinvia alla specifica trattazione nel capitolo sul leasing d’azienda. Vedi infra.
55 Cass. 29 marzo 1996 n. 2909, Foro It., 1996, 1622. Tuttavia, la giurisprudenza ha dato una lettura restrittiva dell’ambito e della portata di tali clausole, sostenendo che il fideiussore potrebbe, comunque, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’Utilizzatore , chiedere l’applicazione sia dell’art. 1526 c.c., e acquisire, pertanto, i canoni versati a titolo di indennità, sia dell’art. 1384 c. c., relativo all’obbligo dell’Utilizzatore di pagare i canoni successivi a titolo di risarcimento del danno. Più in generale, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che, nell’ambito del contratto di leasing, il fideiussore ha la possibilità di opporre al creditore tutte le eccezioni spettanti al debitore principale, con l’unico limite dell’inopponibilità di quelle derivanti da incapacità dei soggetti. Vedi Cass. Civ., 29 marzo 1996, n. 2909, in Foro It., 1996, 1622.
Un altro patto accessorio al contratto di leasing è rappresentato dal contratto di assicurazione56, con il quale la Società di Leasing si tutela contro i rischi di perimento del bene, indisponibilità ovvero deterioramento dello stesso, oltre che da un’eventuale responsabilità civile per i danni cagionati dalla cosa, nei limiti di una somma pari al valore del bene al momento dell’evento. La ratio di tale patto risiede nel fatto che il bene rappresenta per la Società di Leasing una garanzia sia del finanziamento operato a favore dell’Utilizzatore sia, quale sua conseguenza, del pagamento dei canoni.
Si noti che la polizza è spesso stipulata dall’Utilizzatore a favore del Concedente (Società di Leasing) con compagnie assicurative suggerite dal Concedente (Società di Leasing) medesimo e che di solito il Concedente (Società di Leasing) richiede all’Utilizzatore la rinuncia preventiva al recesso dal contratto di assicurazione prima della scadenza naturale del contratto di leasing. In tali casi è prevista la sottoscrizione di detta clausola ai sensi dell’art. 1341 secondo comma c.c. e solitamente l’Utilizzatore rimane vincolato all’assicurazione anche dopo il termine del contratto di leasing57. Più raramente è la stessa Società di Leasing a stipulare direttamente la polizza; il relativo costo è allora ricompreso nel canone pagato dall’Utilizzatore58.
8 Le vicende funzionali e patologiche del contratto di Leasing: introduzione.
Altro profilo che necessita di essere analizzato concerne gli aspetti funzionali e patologici del contratto di leasing, soprattutto con riferimento alle ipotesi di scioglimento e di invalidità del contratto e alla luce del collegamento negoziale.
Quanto alle vicende funzionali del contratto di leasing, rilevano le ipotesi di cessione del contratto e di vendita del bene da parte della Società di Leasing .
La cessione del contratto di leasing richiede, sempre e necessariamente, il consenso dell’Utilizzatore ovvero del Concedente (Società di Leasing) ceduto, a seconda del soggetto che conclude la cessione del contratto medesimo, come discende dalla disciplina generale di cui agli artt. 1406 ss. c.c.
Alcun problema di sorta è previsto, invece, per la cessione del diritto di opzione di acquisto del bene concesso in godimento da parte dell’Utilizzatore59.
La vendita del bene e la cessione dei crediti derivanti dal contratto di leasing, al contrario, non possono avvenire se non congiuntamente al contratto di leasing, al fine di consentire all’Utilizzatore l’esercizio dell’opzione di acquisto.
Con riguardo all’aspetto patologico del contratto di leasing, si rileva che lo scioglimento del contratto, come noto, può avvenire in tre precise modalità: consensuale o per mutuo
56 Sul punto, x. XXXXXXXX M. – XXXXXX A., op. cit., pag. 42-43. Il patto di assicurazione risulta molto frequente nel caso di leasing automobilistico.
57 Cass. 23 febbraio 1994 n. 1783, G C, 1994, I, 2552.
58 Questa soluzione è particolarmente frequente nel leasing di auto. Vedi BISINELLA-NESSI-TRABALLI, op. cit., pag. 18 e 19.
59 In senso contrario Xxxx. 27 novembre 2006 n. 25125.
consenso/dissenso60; risoluzione per inadempimento (si menziona sia la risoluzione giudiziale sia la risoluzione di diritto nelle forme di della diffida ad adempiere, del termine essenziale e della clausola risolutiva espressa), per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione61.
Tralasciando tutte le altre ipotesi di scioglimento del contratto, non risultando una congrua prassi in merito, si necessita soffermare maggiormente l’attenzione sull’ipotesi di scioglimento del contratto per inadempimento. E nell’esaminare tale tipologia, occorre distinguere le ipotesi di inadempimento sotto il profilo soggettivo e quindi discernere a seconda che l’inadempimento sia riferibile all’Utilizzatore o al Concedente (Società di Leasing) oppure al Fornitore.
Nessuna nota di dettaglio necessita, invece, la casistica di nullità del contratto di leasing e di vendita, posta l’applicazione indubbia della disciplina generale, salvo che con riguardo agli effetti della nullità di un contratto sull’altro, come conseguenza dell’esistenza di un collegamento negoziale.
9 Segue L’inadempimento dell’Utilizzatore.
L’inadempimento dell’Utilizzatore si sostanzia principalmente nel mancato pagamento dei canoni di xxxxxxx00 e nella mancata restituzione del bene al termine del contratto.
Carattere preminente di questa tematica è rappresentato dalla problematica circa la disciplina applicabile63.
Dottrina e giurisprudenza64, infatti, si trovano divise nell’applicazione al contratto di leasing dell’art. 1458 c.c., come previsto dalla disciplina generale dei contratti, o dell’art. 1526 c.c., dettato con specifico riferimento alla vendita con riserva di proprietà. Problematica che discende dalla concezione della natura giuridica dello stesso contratto come locazione o vendita65.
60 Cass. S.U. 3 dicembre 1990 n. 11549 e Cass. 27 novembre 2006 n. 25126.
61 Unica pronuncia è quella della Corte D’Appello di Catania, 18 Settembre 1985, in Foro Pad., 1986, I, 68.
62 È prassi consolidata la risoluzione del contratto per il mancato pagamento da parte dell’Utilizzatore di un solo canone e quella di inserire nel contratto una clausola risolutiva espressa dello stesso tenore. In merito a tale ultima clausola risulta discusso se trovi applicazione o meno il disposto di cui all’art. 1525 c.c. La tesi maggioritaria è favorevole. Altrettanto in uso si mostrano le clausole penali che prevedano la corresponsione di una somma indennitaria predefinita dalle parti o il diritto di ritenzione dei canoni percetti da parte della Società di Leasing.
63 Si afferma che essa dipende dal tipo di configurazione del leasing. Se si concepisce quale contratto atipico, si applicherà la disciplina generale di cui agli artt. 1454 ss c.c. Se si considera quale vendita, si farà riferimento al disposto del 1526 c.c. Se si considera come locazione, troveranno applicazione gli artt. 1571 ss c.c. Resta salva, in ogni caso, la disciplina convenzionalmente determinata.
64 Per una panoramica circa le varie posizioni di dottrina e giurisprudenza si veda CHINDEMI D., L’art. 1526 c.c. non è applicabile al contratto di leasing, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1995, pag. 734 ss.
65 La questione circa l’applicazione dell’una piuttosto che dell’altra disciplina nasce sia da un problema di qualificazione del contratto di leasing (locazione o vendita) sia dalla necessità di riequilibrare i patrimoni dei due soggetti dell’operazione economica (Società di Leasing e Utilizzatore ), quindi dall’esigenza di evitare un ingiustificato arricchimento a carico di una delle due parti, sia dalla considerazione per cui il leasing ha una causa
La differenza tra le due discipline è di non scarso rilievo.
Se si ritiene applicabile il disposto di cui all’art. 1458 c.c., la risoluzione, nei casi di contratti a prestazioni corrispettive di durata, fa salve le prestazioni già eseguite e quindi gli effetti si producono irretroattivamente tra le parti (ex nunc) e la risoluzione opera per le sole prestazioni successive.
Applicato ciò allo scioglimento del contratto di leasing, si afferma che in conseguenza della risoluzione del contratto, mentre l’Utilizzatore deve provvedere alla restituzione del bene concessogli in leasing e non dovrà più corrispondere i canoni, la Società di Leasing , invece, lucra i canoni versati sino a quel momento.
Se, invece, si ritiene applicabile il disposto di cui all’art. 1526 c.c.66, alla risoluzione del contratto, in quanto avente efficacia retroattiva (ex tunc), corrisponde la restituzione non solo del bene concesso in godimento, ma anche dei canoni sino a quel momento pagati. Tuttavia, si precisa che l’inadempimento dell’Utilizzatore comporta il diritto della Società di Leasing ad un equo compenso per l’uso della cosa e al risarcimento del danno cagionato, sempre che le parti non convengano la ritenzione da parte della Società del leasing di tutte le rate riscosse dall’Utilizzatore a titolo di compenso per il godimento concesso. Anche in tale ultimo caso la pattuizione eventualmente squilibrata, e pertanto svantaggiosa per l’Utilizzatore, potrà essere ricondotta ad equità su intervento del giudice, qualora si ritenga applicabile la disciplina in materia di clausole penali (art. 1382 c.c.).
Xxxxxx, sono palesi le differenze soprattutto con riferimento alla posizione dell’Utilizzatore, il quale risulta nettamente svantaggiato in caso di applicazione del disposto di cui all’art. 1458 c.c.
Tuttavia, detta discordanza tra dottrina e giurisprudenza è stata sanata con la pronunzia della Corte di Cassazione, meglio conosciuta con il termine di “sestetto binario”, risalente agli anni 90’67.
di finanziamento e pertanto dall’esigenza di tutela della Società di Leasing dal rischio di non vedersi restituire quanto prestato a favore dell’Utilizzatore. A tal proposito un autore ha messo in evidenza che, quantunque si ritenga sussistente in capo alla Società di Leasing un diritto di ritenzione di tutti i canoni percepiti sino alla risoluzione del contratto, nel caso in cui tale diritto comporti un ingiustificato arricchimento della stessa società, è configurabile un intervento del giudice volto alla riduzione della somma spettante alla Società di Leasing sulla falsariga di quanto previsto per la penale all’art. 1384 c.c. BUSSANI M. - XXXXXX P., op. cit., pag. 50 ss. e 59.
66 L’applicazione degli artt. 1523 e 1526 c.c. pone anche un problema di decadenza dal beneficio del termine con riguardo al pagamento dei canoni periodici. Due sono gli orientamenti. Secondo alcuni autori la decadenza dal beneficio del termine è conseguenza diretta dell’essere il contratto di leasing un contratto di finanziamento. Secondo altri, invece, non si ha una decadenza dal beneficio del termine, ma una semplice trasformazione della vendita da vendita con riserva di proprietà a vendita semplice. Vedi GHIA L., op. cit. In merito, si precisa altresì che la decadenza dal beneficio del termine attiene esclusivamente ai canoni scaduti non ancora corrisposti al momento della risoluzione del contratto e non anche agli ulteriori canoni che l’Utilizzatore deve corrispondere, magari a titolo di penale o indennità. Con riferimento alle rate scadute, però, il beneficio del termine, come espresso dal disposto in esame, opera non per una sola rata non pagata, ma qualora le rate non pagate siano più di una o comunque superiori a un’ottava parte dell’intero prezzo. Tuttavia, il tutto è ricompreso nella penale eventualmente pattuita. DE NOVA G., Leasing, cit., pag. 480.
67 Cass. 6390/983; Cass. 3023/1986; Cass. 8766/1987; Cass. 5623/1988; Cass. 13 dicembre 1989 n. 5569 e 5574. Tale posizione è stata di recente confermata dalla Cassazione 9417/2001. Si tenga presente anche la posizione della Cassazione S.U. 658/1993 e Cass. 8919/1993. Si vedano anche Xxxx. 2083/1992, Cass. S.U.
La Suprema Corte, infatti, per risolvere detto empasse suole discernere due precise ipotesi di leasing: il leasing di godimento e il leasing traslativo68. Tale distinzione si fonda sul rapporto tra il valore iniziale e il valore finale del bene. Invero, se al termine del contratto il bene concesso in godimento conserva esclusivamente un valore residuale, tale che il bene ha una durata di vita pari alla durata del contratto si avrà un Leasing puro o di godimento (in tal caso l’Utilizzatore sarà raramente interessato all’acquisto del bene a seguito di opzione), nel caso in cui, invece, il bene conserva ancora un suo valore, che va oltre la durata del contratto, tale che, anche alla cessazione del rapporto di leasing, il bene può essere variamente e pluralmente utilizzabile, ricorre la fattispecie del Leasing traslativo (in tale ipotesi l’Utilizzatore, essendo il bene ancora suscettibile di una qualche utilità, sarà più propenso all’esercizio dell’opzione di acquisto)69.
Ebbene, la Suprema Corte ha affermato che se si tratta di un leasing traslativo si applicherà l’art. 1526 c.c.70; se, invece, si tratta di un leasing di godimento troverà applicazione l’art. 1458 c.c.71, con le relative conseguenze che ne discendono in capo alle parti.
10 Segue L’inadempimento del Concedente (Società di Leasing).
L’inadempimento della Società di Leasing si configura nella mancata attuazione dell’obbligo di consegna, nella presenza di vizi72 o di evizione del bene.
65/1993, Cass. 4855/2000, Cass. 24 Giugno 2002 n. 9161 in Rass. Foro It., 2002; Cass. 23 Febbraio 2000 n.
2069 in Vita Not., 2000, pag. 870; Cass. 7 Febbraio 2001 n. 1715 in Foro Pad., 2001; Cass. 4 Agosto 2000 n. 10265. Cfr. Cass. 3 settembre 2003 n. 12823. In senso contrario si esprime qualche autore il quale evidenzia la netta distinzione e la differenze che intercorrono tra leasing e vendita con patto di riscatto. Vedi pure VISENTINI G., op. cit., pag. 289 ss.
68 La dicotomia tra disciplina generale e disciplina della vendita con riserva della proprietà si presenta anche con riguardo ai casi di risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Si discute, infatti, se si applichi gli artt. 1463 e 1465 c.c. oppure direttamente l’art. 1523 c.c. La soluzione è la medesima, sopra illustrata, differenza tra leasing traslativo e leasing di godimento. La distinzione riveste importanza anche con riguardo alla disciplina fallimentare del leasing.
69 Cass. 25 gennaio 2011 n. 1748; Cass. 14 novembre 2006 n. 24214 e Cass. 28 novembre 2003 n. 18229.
70 Cass. 27 settembre 2011 n 19732. Cfr. Cass. 8 gennaio 2010 n. 73; Cass. 23 maggio 2008 n. 13418; Cass. 2
marzo 2007 n. 4969.
71 La soluzione adottata dalla Suprema Corte non è stata esente da critiche. Si afferma, più nel particolare, l’impossibilità pratica di un tale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, posta la genericità e non obbiettività dei criteri a presidio della stessa. Da ciò si fa conseguire che l’applicazione dell’uno o dell’altra norma non può che venire determinata caso per caso. Inoltre, si precisa, il rischio dell’ingiustificato arricchimento a danno della società Concedente (Società di Leasing) potrebbe esser evitato attraverso l’applicazione del disposto di cui all’art. 1526 c.c., temperato con le particolarità del singolo contratto di leasing. Si veda in merito CHINDEMI D., op. cit., pag. 732 ss. LUPI, Disciplina applicabile al leasing finanziario, in Società, 1993, pag. 773 ss. XXXXXXXX, op. cit., pag. 692 ss. DENOZZA F., op. cit., pag. 845 ss.
72 Nell’ipotesi in cui l’inadempimento si concretizzi nella presenza di vizi del bene consegnato all’Utilizzatore, la disciplina dettata in materia di garanzia dei vizi nel contratto di vendita trova applicazione anche al leasing , ma solo in certi casi. Infatti, mentre l’art. 1492 c.c. trova applicazione solo nel caso di mandato conferito dal Concedente (Società di Leasing) all’Utilizzatore (si ricordi che alcuna azione di risoluzione o riduzione del prezzo può essere esperita direttamente dall’Utilizzatore nei confronti del Fornitore, azione che
Anche in tale frangente devono distinguersi due ipotesi.
Qualora il bene sia nella disponibilità della Società di Leasing, il verificarsi di una di tali ipotesi comporta un inadempimento contrattuale, dal quale discende, secondo la disciplina generale dei contratti, la risoluzione del contratto di leasing con i relativi obblighi restitutori e il risarcimento del danno.
Al contrario, nel caso in cui il bene non sia nella diretta disponibilità della Società di Leasing, l’Utilizzatore assume su di sé tutti i rischi inerenti al bene e gode di azione diretta, e si badi bene non surrogatoria, nei confronti del venditore-Fornitore con riferimento a qualsiasi vicenda che colpisca il bene. È, pertanto, diritto dell’Utilizzatore agire direttamente nei confronti del Fornitore73per la consegna del bene, per ottenere la riparazione o sostituzione ovvero l’eliminazione dei vizi del bene, nonché per la declaratoria dell’inesistenza di altri diritti di terzi sullo stesso oltre che per il risarcimento del danno74.
Tuttavia, nessuna azione che incida sulla validità o efficacia del contratto di vendita può essere esperita da parte dell’Utilizzatore avverso il Fornitore, salvo l’eventuale clausola di delega espressamente prevista dalle parti, e l’Utilizzatore non può neppure sospendere il pagamento dei canoni nei confronti della Società di leasing75.
L’Utilizzatore, però, potrebbe richiedere la risoluzione del contratto di vendita, a mio parere, nell’ipotesi in cui la stessa venga stipulata quale contratto a favore del terzo ai sensi dell’art. 1411 c.c.
In ogni caso, può essere concessa all’Utilizzatore l’azione di ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c.76
L’azione di risoluzione della vendita spetta, infatti, esclusivamente alla Società di Leasing.
spetta esclusivamente al Concedente -Società di Leasing-), l’art. 1495 c.c., invece, risulta applicabile qualora alla vendita acceda un’espressa garanzia di buon funzionamento.
73 La giurisprudenza della Corte di Cassazione afferma che “In caso di leasing finanziario, atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che si ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza, l’Utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre al risarcimento del danno conseguentemente sofferto, nonché a sentire accertare quale sia l’esatto corrispettivo spettante allo stesso Fornitore”. Cass. 16 Novembre 2007 n. 23794. Cfr. Cass. 16 novembre 2007 n. 23794; Cass. 27 luglio 2006 n. 17145; Cass. 1 Ottobre 2004 n. 19657; Cass. 26 aprile 204 n. 7516; Cass. 1 ottobre 2004 n. 19657; Cass. 13 Dicembre 2000 n. 15762; Cass. 26 Gennaio 2000 n. 854 in Foro It. 2000, I, c 2269 e Cass. 2 Novembre 1998 n. 10926.
74 L’Utilizzatore può procedere in via diretta a richiedere al Fornitore il risarcimento del danno subito a seguito della consegna di un bene viziato e pertanto non utilizzabile solo dopo lo scioglimento del contratto di vendita. L’Utilizzatore, invece, può procedere a richiedere il risarcimento del danno da disagio creato dal ritardo nel ricevimento dell’esatta prestazione, successivamente all’avvenuto adempimento dell’obbligo di consegna, ma solo in forza di un’azione promossa dalla Società di Leasing. Vedi Cass. 12 gennaio 2011 n. 534.
75 Si tratta di un profilo molto discusso. Da una parte, c’è chi sostiene l’inammissibilità dell’azione di risarcimento del danno, di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo della vendita per vizi del bene o per mancata consegna dello stesso in quanto, si afferma, l’Utilizzatore è un terzo rispetto al contratto di vendita del bene concesso in leasing. Dall’altra parte, c’è chi affermando la natura trilaterale del contratto di leasing o comunque la sua natura complessa, ritiene che tali azioni possano essere validamente esercitate anche dall’Utilizzatore . Xxxx XXXXX X., Xxxxxxxxx e mercato, in Principi regole e sistemi, Biblioteca di diritto privato a cura di Xxxxx X., Xxxxxx A. e De Cristiofo G., Giappichelli Editore, 2006, pag. 346 ss. Vedi Cass. 27 luglio 2006 n. 17145; Cass. 1 ottobre 2004 n. 19657 e Cass. 2 novembre 1998 n. 10926.
76 Vedi CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit.
A tal proposito si evidenzia che, nell’eventualità in cui la Società di Leasing , pur ricorrendone i presupposti, non richieda la risoluzione della vendita o appalto (logicamente in mancanza di una delega all’Utilizzatore per l’esperimento dell’azione di risoluzione del contratto di vendita), si profila una responsabilità della stessa, la quale viene variamente ricondotta o a una violazione contrattuale, si pensi all’ipotesi di un’espressa previsione in tal senso nel contratto di leasing, o alla violazione di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c. e, quindi alla violazione dei canoni di correttezza e diligenza nell’adempimento del contratto, oppure, infine, alla violazione del disposto di cui all’art. 1375 c.c., e dunque al dovere di buona fede nell’esecuzione di un contratto. Responsabilità che indubbiamente espone la Società di Leasing al risarcimento del danno cagionato all’Utilizzatore e ravvisabile nel quantum dei canoni corrisposti e nella perdita di eventuali chance.
Nessuna responsabilità per mancata consegna può essere imputata alla Società del Leasing in quanto a lei non personalmente imputabile, salvo il caso in cui il Fornitore si consideri un suo ausiliario; in tale ipotesi trova applicazione il disposto di cui all’art. 1228 c.c.77
11 Segue Sugli effetti dell’invalidità e/o scioglimento del contratto alla luce del collegamento negoziale.
In generale, alcun problema di sorta si pone nell’affermare che l’invalidità o l’inefficacia del contratto di vendita esplica effetti diretti sul contratto di leasing, il quale generalmente diviene a sua volta inefficacie per impossibilità della prestazione della Società di Leasing78 (posto che la vendita e/o l’appalto79 sono presupposto per l’efficacia totale del contratto di leasing , il quale in mancanza non è suscettibile di attuazione alcuna).
Nel dettaglio, focalizzando l’attenzione sull’ipotesi di mancata consegna del bene (art. 1476 e 1575 c.c.)80, si afferma che il contratto di vendita si risolve comportando il consequenziale scioglimento del contratto di leasing, con ripetizione dei canoni eventualmente già versati da parte dell’Utilizzatore ai sensi e con le modalità di cui all’art. 2033 c.c. Infatti, se la Società di Leasing assume l’obbligo di acquisto del bene, ma a causa della sopravvenuta impossibilità della prestazione non corrisponde alcun prezzo al Fornitore o il prezzo eventualmente corrisposto viene restituito a seguito della risoluzione del contratto di vendita, alcun finanziamento a favore dell’Utilizzatore viene erogato e pertanto nessun canone è dovuto dall’Utilizzatore o se già versato deve essere prontamente restituito.
77 Xxxxxxxxx e De nova in CASELLI G., Leasing, in Contratto e Impresa, 1985, pag. 221.
78 Sulla nullità del contratto di leasing a seguito di nullità contratto di vendita cfr. XXXXXXX D., La locazione finanziaria- Leasing, Padova, 1998, 183 e CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa, cit., 291. I due citati autori, pur partendo da tesi differenti (il leasing come contratto plurilaterale per il primo, il leasing come fenomeno di collegamento negoziale per il secondo), giungono sul punto alle medesime conclusioni.
79 Ogni riferimento effettuato alla vendita deve essere esteso anche all’appalto, salvo l’espressa applicazione di norme sulla vendita o la trattazione di aspetti peculiari della stessa, che verrà indicata di volta in volta.
80 Si tratta delle ipotesi di mancata consegna derivante da sopravvenuta impossibilità o dal fatto che la vendita non è stata ancora perfezionata.
Tuttavia, nell’ipotesi di vicende che colpiscono il solo contratto di vendita, queste non necessariamente influenzano la sorte del contratto di leasing, ben potendo le parti e in particolare la Società di Leasing, addivenire alla stipulazione di un altro e successivo contratto di vendita o appalto con altro soggetto purché vengano rispettati i requisiti richiesti dall’Utilizzatore per il bene. Si prospetta, altresì, una causa di nullità parziale del contratto di leasing nella parte in cui è previsto il riferimento a quel determinato contratto di vendita invalido81.
Problemi si pongono sugli effetti dell’invalidità o inefficacia del leasing sul contratto di vendita e/o appalto e, dunque, sull’intero collegamento negoziale82.
Secondo alcuni autori83, tra i due contratti ricorre un collegamento cosiddetto univoco o unilaterale, di tal guisa che alcuna influenza subisce la vendita e/o l’appalto dalle vicende che colpiscono il contratto di leasing. Tesi basata soprattutto sull’interesse del venditore, il quale non assume alcuna importanza nel contratto di leasing.
A mio parere, poiché il contratto di vendita e/o appalto è stato stipulato con la precisa finalità di attuazione del contratto di leasing, il venir meno di detta possibilità potrebbe essere considerato quale condizione risolutiva tacita, tale che la sopravvenuta mancanza del contratto di leasing comporterebbe una risoluzione della vendita e/o appalto.
Sarebbe possibile anche far ricorso all’istituto della presupposizione e considerare il contratto di vendita e/o di appalto caducato.
Infine, può profilarsi una risoluzione del contratto di vendita per impossibilità sopravvenuta della prestazione, posto che con lo scioglimento del contratto di leasing viene a mancare il soggetto Utilizzatore, al quale deve essere consegnato il bene compravenduto. Più precisamente si tratta dell’impossibilità di adempimento dell’obbligo di consegna.
Tali problemi logicamente non si pongono neanche in minima pare allorquando le parti, Fornitore e Società di Leasing, pattuiscano un patto di riacquisto o retrovendita del bene in caso di mancata attuazione del leasing, ovvero una clausola risolutiva espressa o una qualche altra forma di risoluzione del contratto di vendita.
Si potrebbe pure prospettare una risoluzione consensuale della vendita ovvero la stipulazione di un nuovo contratto di leasing collegato al precedente contratto di vendita.
12 Leasing e fallimento.
Ora si rende necessario analizzare il profilo della sorte giuridica del contratto di leasing, laddove una delle parti del contratto fallisca nelle more dell’esecuzione dello stesso.
81 Vedi CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 97. Cfr. GHIA L., op. cit., pag. 40.
82 Non necessariamente le vicende di un contratto devono ripercuotersi sull’altro contratto collegato. In senso contrario si veda GIORGIANNI F., Riflessioni sul contratto di leasing e fallimento dell’Utilizzatore , in Riv. it. leasing, 1986, 77; XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giust. Civ., 1954, I, 261; XXXXXXXXX, Collegamento e connessione tra i negozi, in Riv. dir. comm., 1955, I, 357.
83 Vedi CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 96.
Grazie alla riforma del diritto fallimentare avvenuta nel 200684, il legislatore ha sancito una disciplina ad hoc per il contratto di leasing, rappresentata dall’art. 72 quater L. Fall., con la quale si statuisce la continuazione del rapporto di leasing, di qualsiasi natura esso sia (di godimento o traslativo), anche durante il fallimento85.
Nel caso di fallimento della Società di Leasing, il contratto prosegue anche durante il fallimento e l’Utilizzatore non perde il diritto all’opzione di acquisto, ma semplicemente questo potrà essere esercitato nei confronti del curatore fallimentare, subentrato nella posizione giuridica della Società di Leasing.
Nell’ipotesi di fallimento dell’Utilizzatore, troverà applicazione la disposizione generale di cui all’art. 72 L. Fall. e, pertanto, l’esecuzione del contratto rimarrà sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di sciogliersi o di subentrare nel rapporto di leasing86. Non è, comunque, opponibile alla curatela la clausola che prevede, in caso di fallimento dell’Utilizzatore, la risoluzione del contratto e che preclude, così, al curatore fallimentare di subentrare all’Utilizzatore nel rapporto contrattuale87.
Più precisamente, qualora il curatore decida di sciogliere il contratto, la Società di Leasing ha diritto alla restituzione del bene concesso in godimento mediante la presentazione di un’istanza di rivendica e/o restituzione del bene ai sensi dell’art. 103 L. Fall., oltre al credito maturato per canoni88, per il quale potrà insinuarsi nello stato passivo del fallimento dell’Utilizzatore. La Società di Leasing è anche tenuta a versare alla curatela l’eventuale differenza tra la somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene nel mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. Per quanto riguarda i canoni o le somme, in genere, percepite dalla Società di Leasing, in esecuzione del contratto, troverà applicazione il terzo comma lettera a) dell’art. 67 L. Fall., che ne esclude la possibilità di revocatoria.
Se, invece, il curatore dovesse decidere di continuare nell’esecuzione del rapporto, allora la Società di Leasing non potrebbe che far valere nello stato passivo del fallimento il suo
84 Prima della riforma dottrina e giurisprudenza sostenevano opinioni contrastanti circa la sorte del rapporto, soprattutto riguardo all’ipotesi del fallimento dell’Utilizzatore. Secondo una tesi minoritaria, il fallimento sarebbe stato istituzionalmente causa di interruzione e di chiusura del rapporto di leasing, in quanto mero rapporto di debito-credito ex art. 55.2 l. fall. Così CHIOMENTI F., Il leasing, il Tribunale di Milano, e Xxxxx Xxxxxxxx, in Riv. dir. comm., 1980, 280. Altri ritenevano invece che il fallimento dell’utilizzatore non impedisse al leasing di proseguire regolarmente il suo corso, in applicazione analogica dell’art. 80.2 l. fall. Ciò avrebbe consentito anche di far salvi i canoni riscossi dal concedente fino allo scioglimento del contratto. Sul punto x. XXXXXXXXX V., Leasing, in NSS. D. I, Appendice IV, Torino 1983, 797 ss., 810. La giurisprudenza assolutamente prevalente aveva infine sostenuto l’applicazione della disciplina fallimentare della vendita, posta dagli artt. 72 ss. l. fall., e quindi la sospensione del contratto in attesa della scelta del curatore tra subentro e scioglimento. Cfr. XXXXXXXXXXXX X., Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, sub artt. 72-83, in BRICOLA F. – XXXXXXX X. - SANTINI F., Comm. Scialoja e Branca alla legge fall. artt. 00-00, Xxxxxxx-Xxxx, 1979, 112.
85 Si veda anche l’art. 7 della Legge 354/2003.
86 In tal senso Trib. Napoli 22 gennaio 1992, in Fall.,1992, 1040.
87 L’atto negoziale con il quale si pone fine al rapporto (es., xxxxxxx ad adempiere) sarebbe, secondo una parte della giurisprudenza, revocabile ad opera del curatore.
88 Trattasi di un credito chirografario afferente al periodo precedente alla sospensione del contratto a seguito di fallimento sino alla decisione del curatore di risolvere lo stesso. In tale senso ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 5573 in DE NOVA G., Leasing, cit., pag. 471.
credito. Invece, per l’acquisto dell’azienda da parte del fallimento, sembrerebbe trovare applicazione, secondo la giurisprudenza, la norma più favorevole di cui all’art. 73 L. Fall.
Quanto alla revocatoria fallimentare, mediante un’interpretazione del disposto di cui all’art. 67 secondo comma X. Xxxx., si giunge ad affermare che il contratto di leasing è revocabile solo se stipulato entro sei mesi dalla dichiarazione di fallimento. Ipotesi difficilmente verificabile nella prassi considerato che le Società di Leasing generalmente cessano di stipulare nuovi contratti e di concludere nuove operazioni già prima dell’apertura della procedura concorsuale, in quanto la crisi dell’impresa non si manifesta mai improvvisamente89.
Parimenti, oggetto dell’azione revocatoria può essere la risoluzione del contratto intervenuta in forza di un accordo tra le parti, sempre che il curatore sia in grado di dimostrare che la Società di Leasing conosceva lo stato di crisi dell’Utilizzatore al momento dell’anticipato scioglimento del rapporto.
Dubbiosa si mostra, invece, l’ammissibilità della revocatoria della risoluzione del contratto di leasing verificata in conseguenza di diffida ad adempiere o in forza di una clausola risolutiva espressa; dottrina e giurisprudenza prevalenti si sono comunque espresse in senso favorevole90.
Ancora, secondo il dettame del terzo comma dell’art. 67 L. Fall., come prima affermato, sono esclusi dalla revocatoria fallimentare “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio di attività d’impresa nei termini d’uso”, tra i quali potrebbero essere ricompresi i canoni di leasing dovuti e versati dall’Utilizzatore, relativi a beni effettivamente strumentali all’esercizio dell’impresa.
Infine, rimangono ancora profili non espressamente disciplinati e di dubbia regolamentazione.
Si discute, ad esempio, sulla possibilità di applicare la disciplina dettata dall’art. 72 quater X. Xxxx. anche ai contratti di leasing risolti prima del fallimento. Problema che si pone soprattutto per quelle ipotesi che presentano forti profili di identità con la fattispecie considerata dalla norma: si pensi, ad esempio, al caso del contratto risolto nell’imminenza del fallimento dell’Utilizzatore, in cui il bene non sia stato ancora restituito dal curatore.
Si auspica, in merito, un tempestivo intervento chiarificatore del legislatore o quanto meno della dottrina e della giurisprudenza.
13 Tipologie di Leasing.
Un cenno conclusivo deve essere dedicato all’analisi, seppur breve, delle varie tipologie di leasing esistenti nel nostro ordinamento.
89 Cfr. ALBANESE M.. - XXXXXX A., Leasing e factoring, cit., 111 ss.
90 Sul punto v. Trib. Milano, 4 luglio 1985, in Fall. 1986, 208; Trib. Milano, 8 giugno 1989, in Fall. 1990,
291.
In linea generale, i criteri di distinzione sono principalmente tre: l’oggetto, i soggetti e la struttura91.
In base all’oggetto, si sogliono distinguere, in primo luogo, il leasing di beni mobili, di beni immobili, di beni immateriali, di universalità di beni. In secondo luogo, si distingue tra leasing di software, di opere d’arte, di autoveicoli, d’azienda, leasing aeronautico.
Secondo i soggetti si discerne tra leasing pubblico e leasing privato.
Infine, in base alla struttura si differenzia tra leasing finanziario, leasing operativo e sale and lease-back.
Tralasciando le altre distinzioni, si pone necessario focalizzare l’attenzione sull’ultima.
Il leasing finanziario è quello sinora esplicitato. Si tratta di un’operazione trilaterale (contratto trilaterale o collegamento negoziale tra due contratti); il Fornitore del bene è terzo rispetto alla Società di Leasing e all’Utilizzatore ; il canone è stabilito in proporzione al valore del bene; la durata del contratto è in genere medio - lunga; oggetto del contratto può essere qualsiasi bene; l’Utilizzatore ha diritto di opzione d’acquisto del bene, ma non può recedere dal contratto medio tempore; la causa principale di tale tipologia è rappresentata dal finanziamento dell’Utilizzatore.
Nel leasing operativo92, invece, il Fornitore coincide con la Società di Leasing e la stessa assume di conseguenza gli obblighi di manutenzione del bene e di garanzia per vizi e perimento del bene per cause non imputabili all’Utilizzatore; l’operazione negoziale è principalmente bilaterale; il canone è determinato in base al valore dell’uso del bene; la durata è generalmente da uno a tre anni; oggetto del contratto possono essere esclusivamente beni standardizzati o beni a rapida obsolescenza che siano però strumentali all’attività svolta dall’Utilizzatore; l’Utilizzatore ha diritto di recesso prima della scadenza naturale del contratto; la funzione principale dell’operazione negoziale è quella di ovviare all’obsolescenza dei beni; manca il diritto di opzione di acquisto in capo all’Utilizzatore.
91 Una distinzione alquanto singolare è stata prevista da un autore, il quale distingue tre principali tipologie di leasing in base al bene oggetto del contratto: 1) scambio di beni con corrispettivo; 2) scambio di godimento verso corrispettivo; 3) scambio di “valore di consumazione” di un bene verso corrispettivo, laddove si tratti di bene soggetti a rapida obsolescenza. Alla luce di tale classificazione, poi, vengono individuati quattro sottotipi di leasing: 1) il leasing con “scambio del valore consumativo del bene”, che ha ad oggetto beni, in genere mobili, a rapida obsolescenza tecnologica, che vengono concessi dalla Società di Leasing per una durata correlata alla presumibile vita economica dello stesso e con la pattuizione di un’opzione d’acquisto per un prezzo nominale o comunque molto basso; 2) il secondo sottotipo è assimilabile al primo, ma con la previsione di un prezzo di opzione consistente; 3) il terzo sottotipo è il leasing “con scambio del valore d’uso del bene”, che ha ad oggetto un bene, in genere immobile, concesso per una durata non commisurata alla sua vita economica, per cui al termine del rapporto lo stesso bene conserva un valore economico rilevante tale da giustificare un prezzo d’opzione consistente; 4) il quarto sottotipo è il leasing “con scambio del valore capitale del bene”, che ha le stesse caratteristiche del terzo ma con prezzo d’opzione nominale o molto basso. LUMINOSO X., op. cit., pag. 525 ss. Questa impostazione è stata sottoposta a molte critiche: si guardi ad esempio XXXXXXX N., op. cit., pag. 643 ss.
92 Secondo un autore nel leasing operativo trova applicazione diretta la disciplina della locazione come esplicitata agli artt. 1571 ss. c.c. Xxxx XXXXX X., op. cit., pag. 333 ss.
Anche il sale and lease back93 ha una struttura bilaterale, l’Utilizzatore svolge la funzione anche di Fornitore del bene, anzi il bene viene, in un primo momento, venduto alla Società di Leasing e, successivamente, da quest’ultima concesso in godimento all’Utilizzatore; l’Utilizzatore ha sempre il diritto di opzione di acquisto; la funzione principale dell’operazione è rappresentata dal finanziamento dell’Utilizzatore, il quale mediante la vendita ottiene la liquidità necessaria alla sua impresa, e con il leasing continua a godere del bene compravenduto, che non cessa mai di far parte del complesso aziendale.
Infine, una forma particolare di leasing è rappresentata dal leasing adossé, il quale si costituisce di un iniziale lease back, poi seguito da una serie di singoli contratti di leasing. Accade, infatti, che un produttore, specie di beni standardizzati, individuata una fascia di soggetti utilizzatori, stipuli un iniziale contratto di sale and lease back con una Società di Leasing e successivamente provveda alla concessione in leasing di detti beni ai singoli utilizzatori. Caratteri principali sono: doppio contratto di leasing, beni standardizzati, iniziativa del produttore, collegamento negoziale tra i due contratti di lease back e i successivi contratti di leasing, doppio finanziamento.
93Le problematiche manifestate da tale operazione negoziale ineriscono alla sua struttura che, come congeniata, può essere facilmente utilizzata e ricondotta ai fini della violazione del divieto di patto commissorio e pertanto viziata di nullità per contrarietà a norme imperative e per essere un contratto in frode alla legge. Vedi in tal senso Cass. Civ. 21 gennaio 2005, n. 1273, Cass. 8 aprile 2009 n. 8481 e Cass. 21 gennaio 2005 n. 1573. Secondo un altro orientamento della Cassazione, la valutazione circa la violazione del soprannominato divieto non può essere effettuata a priori, ma caso per caso, verificando la sussistenza di alcuni indici di riferimento oggettivi, tra i quali l’esistenza di una situazione di credito, la situazione debitoria dell’Utilizzatore e le sue difficoltà economiche, la sproporzione tra il credito/debito e il valore del bene concesso in sale and lease back. Vedi Cassazione civ. 14 marzo 2006 n. 5438. Cfr. anche Cass. 10805/1995 e Cass. 4095/1998. Vedi anche Xxxxxxxxx, Patto commissorio, Enciclopedia del diritto, Milano 1982, XXXII, pag. 501. Per contro si arriva ad affermare che il lease back è valido solo in presenza dei seguenti requisiti: insussistenza di un rapporto creditizio tra le parti, veridicità della vendita stipulata, investimento della somma di denaro ricavata dalla vendita da parte dell’Utilizzatore nell’acquisto di nuovi impianti o comunque nello svolgimento dell’attività di impresa, diritto di opzione in capo all’Utilizzatore -venditore. Per una dettagliata panoramica delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza in merito alla validità del sale and lease back si veda CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 184 ss. Un autore precisa che nel lease back si ha una vendita a scopo di leasing e non un vendita a scopo di garanzia, non sussiste alcun debito, almeno sino a prova contraria e a priori, e nessuna vendita per scopi estranei al mero scambio di cosa contro prezzo. L’A. afferma che la valutazione del lease back alla luce dell’art. 2744 c.c. è la valutazione che deve essere fatta per qualsiasi contratto. DE ROSA M. L., op. cit., pag. 213 ss. Vedi anche DE NOVA G., Identità e validità del lease back, cit., pag.471 ss. Cfr. XXXXXXXX L., op. cit., pag.477 ss. In tal senso Cass. 9 marzo 2011 n. 5583. Si precisa anche che le parti possono ben utilizzare lo schema negoziale del sale and lease back al fine di stipulare un patto marciano, in questo caso, però, a differenza del patto commissorio, lecito.
Capitolo II
Il Contratto di Leasing e l’Azienda: profili generali II
Sommario: 1 Introduzione all’azienda; - 2 Nozione di azienda tra codice civile e principi generali; - 3 Brevi cenni sulle teorie sull’azienda; - 4 Azienda, impresa e imprenditore; - 5 Segue Azienda e imprenditore. Titolarità e personalità giuridica dell’azienda; - 6 I beni; - 7 Tipologie di azienda.
1 Introduzione all’azienda94.
“L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”95. Così recita l’art. 2555 c.c., unica norma, peraltro non esaustiva, che tenta, con formula alquanto generica, di dare una definizione di azienda.
Invero, l’ordinamento italiano prevede una disciplina assai scarna di tale istituto tanto che alla stessa vengono dedicati esclusivamente una decina di articoli, contenuti nel titolo VIII, libro V del codice civile intitolato “Del Lavoro”.
Si tratta di norme di rilevanza generale, concernenti per lo più le vicende di circolazione dell’azienda stessa. Si disciplinano, in modo particolare, i profili del divieto di concorrenza, delle imprese soggette a registrazione, dei crediti relativi all’azienda, delle vicende successorie e di circolazione (affitto e usufrutto di azienda) e dei segni distintivi.
Manca, però, una specifica definizione di azienda tanto che da quella fornita dall’art. 2555
c.c. si ricava semplicemente il legame intercorrente con l’impresa e l’imprenditore, nulla viene precisato in merito al tipo di beni ed all’organizzazione aziendale.
94 Sull’argomento ASCARELLI T., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Xxxxxxx Editore, 1960. XXXXXXX X., voce Azienda (diritto commerciale), in Enc. Giur. Treccani. XXXXXXX X., Alienazione dell’azienda e divieto di concorrenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, 1223 ss. XXXXXXX X., SALANITRO N., Diritto commerciale, Xxxxxxx Editore, 2006. XXXXXXXX X. - XXXXXXX X., L’imprenditore, in COTTINO G., Trattato di diritto commerciale, Cedam, 2000, vol I. BORTOLUZZI A., Il trasferimento d’azienda, UTET, 2010. CAMPOBASSO G. F., Manuale di Diritto Commerciale, UTET, 2004. XXXXXXXX X., Studi sulla teoria dell’azienda, Xxxx, 0000. COTTINO G., Diritto Commerciale, 1993, CEDAM. COTTINO G., Diritto Commerciale, CEDAM, 2000. FERRARA F., La teoria giuridica dell’azienda, Firenze, 1949. FERRARI B., voce Azienda (diritto privato), in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Xxxxxxx Editore, Milano, 1959, pag. 692 ss. XXXXXXXX, Impresa e imprenditore (diritto tributario), in Enciclopedia giuridica Treccani. XXXXXXXXXXXXX X., Sui beni immateriali, in Riv. Dir. Ind., 1956, I, 381 ss. XXXXXXX F., Diritto civile e Commerciale, Cedam, 2004. XXXXXXX F., Diritto commerciale. Edizione compatta, L’imprenditore. Le società, Zanichelli Editore, 2010. XXXXXXX X., Disciplina giuridica dell’impresa, Milano, 1950. XXXXXXXXX F., L’azienda, in Trattato di diritto commerciale, fondato da Xxxxxxxxx e diretto da Xxxxx, Torino, Giappicchelli Editore, 2010. MESSINETTI D., Voce: Beni immateriali, in Enciclopedia giuridica Treccani. OPPO, Impresa e Imprenditore, in Enciclopedia giuridica Treccani. PRESTI G. - XXXXXXXX M., Corso diritto commerciale, Vol. I, Zanichelli Editore, 2006. XXXXXXXXX E., Voce: Affitto, in Enciclopedia giuridica Treccani. TRIGOGNA R., La circolazione d’azienda, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, in Diritto privato nella giurisprudenza a cura di Xxxxx Xxxxxx, vol XIII, pag. 379 ss. XXXXXXXX A., Osservazioni sulla successione nei contratti relativi all’azienda ceduta, in Riv. soc., 1965, pag. 539 ss.
95Così anche Cass. 27 febbraio 2004 n. 3973 e Cass. 21 gennaio 2004 n. 877.
Proprio la necessità di definire in modo più specifico cosa debba intendersi per complesso aziendale ha comportato il nascere di una ragguardevole opera di studio ed elaborazione di teorie di varia natura da parte della giurisprudenza e della dottrina. Soltanto attraverso tali studi è possibile arricchire la definizione di azienda come fornita dal legislatore e determinare nel concreto cosa essa effettivamente rappresenti.
2 Nozione di azienda tra codice civile e principi generali.
Al fine di poter formulare una definizione di azienda che possa essere la più precisa possibile, è necessario analizzare più da vicino la fattispecie di azienda come normativamente prevista. Per tale ragione logica, si reputa d’obbligo partire dall’analisi del dettato normativo per poi esaminare brevemente le varie teorie che la dottrina ha elaborato in merito a tale istituto.
L’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come un “complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’attività di impresa”.
Pertanto, perché possa configurarsi un’azienda sono necessari due precisi elementi:
1. Un elemento materiale, rappresentato da un complesso di beni che, pur essendo caratterizzati dall’eterogeneità, sono tra loro uniti da un vincolo teleologico, costituito dall’attività produttiva imprenditoriale;
2. Un elemento formale, rappresentato dall’organizzazione96. Si afferma, infatti, che l’azienda è “un’organizzazione di strumenti personali per l’esercizio di un’attività produttiva di servizi o di beni destinati allo scambio”97 e che “l’azienda è l’unità economica nella quale si svolge il processo produttivo. Gli elementi fondamentali della sua attività sono i fattori produttivi da essa impiegati, il prodotto che risulta da tale impiego e il reddito, ossia la differenza tra il valore del prodotto (ricavo) e il valore dei fattori (costi)”98. Tuttavia, quanto ora esplicitato deve essere analizzato avuto riguardo all’art. 2082 c.c., norma cardine in materia di definizione di impresa e imprenditore, cui lo stesso art. 2555 c.c. fa riferimento e che consente di
96 L’organizzazione di cui trattasi altro non è che la funzione economica in forza della quale è creata e formata l’azienda. È in base al tipo di organizzazione che si individua il collegamento economico, ovvero la connessione teleologica che deve ricorrere tra i beni aziendali, e che si determina il contenuto dell’azienda e che si individua la disciplina applicabile. In particolare, l’organizzazione può essere analizzata sotto un duplice profilo. Se si considera il profilo patrimoniale, ci si riferisce al legame tra i beni aziendali, mobili e immobili; se si analizza il profilo personale, si ha riguardo ai rapporti di lavoro che ineriscono all’attività aziendale e imprenditoriale. Se si esamina il profilo dinamico, infine, si mette in evidenza l’attività produttiva che l’azienda è chiamata a svolgere. E sotto tale ultimo profilo ricorre un’unicità tra impresa e azienda. È in base all’organizzazione che si distinguono i beni in strumentali e complementari, a seconda che si reputino essenziali o accessori alla finalità produttiva dell’azienda, e che si discorre di beni con destinazione ovvero di beni economicamente complementari. Inoltre, è grazie all’organizzazione che si discorre di variabilità del contenuto dell’azienda, ma anche di continuità aziendale. Tutto ruota, infatti, attorno al tipo di attività produttiva cui il complesso aziendale è preordinato.
00 XXXXXXXX X., op. cit., pag. 11.
98 Napoleoni, in Dizionario di economia politica in COTTINO G., Diritto Commerciale, 2000, cit., pag. 224.
arricchire di elementi ulteriori la stessa definizione di azienda, inquadrandola all’interno di un’attività produttiva (scopo di esistenza dell’azienda stessa).
Alla luce del dettato normativo sopra analizzato la dottrina maggioritaria99 ha tentato di enucleare i caratteri principali dell’azienda. Ebbene peculiarità dell’azienda sono:
a) Eterogeneità degli elementi costitutivi e vincolo funzionale o di destinazione. L’azienda si compone di tutta una serie di beni e servizi tra loro eterogenei, pur se tra loro complementari perché legati dal vincolo unitario del perseguimento e svolgimento dell’attività d’impresa. Vincolo unitario di destinazione e funzionalità che viene impresso e determinato dall’imprenditore mediante l’organizzazione e che consente la creazione di un complesso organico di beni100;
b) Mutabilità. L’azienda è sottoposta ad un continuo mutamento circa i suoi beni costitutivi in base alle esigenze che si palesano durante la vita e l’utilizzo della stessa. Al riguardo si suole distinguere tra elementi essenziali, i quali connotano l’azienda e sono destinati a durare nel tempo, ed elementi non essenziali, i quali mutano in base al progresso tecnico, al mercato, alle nuove esigenze aziendali e d’impresa, alla congruità al fine aziendale, allo stato di conservazione degli stessi beni (consumabilità dei beni, deterioramento a seguito di utilizzo);
c) Continuità aziendale. La compagine aziendale deve essere tale da assicurare all’imprenditore che la utilizzi, e comunque all’impresa in cui la stessa è inserita, un flusso continuo di reddito, un assiduo standard di qualità della produzione, in definitiva una continuità aziendale al servizio dell’annessa attività imprenditoriale101;
d) Perseguimento di uno scopo economico ben preciso102;
e) Interdipendenza con le figure dell’impresa e dell’imprenditore103. Tant’è vero che seppur l’azienda può presentarsi separatamente sia dall’impresa che dall’imprenditore, potendo, per esempio, rimanere inutilizzata o temporaneamente senza un titolare ben identificato, tra l’impresa, l’imprenditore e l’azienda ricorre un rapporto di reciproca dipendenza, come verrà chiarito in proseguo. È mediante il riferimento all’impresa e all’imprenditore che l’azienda viene qualificata e definita sul piano pratico, e ciò alla luce del fatto che elemento unificante è rappresentato proprio dall’organizzazione, la quale altro non è che la pianificazione di un’attività economica, ovvero di un’attività finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e servizi, e quindi di un’attività di impresa della quale l’azienda ne costituisce mezzo di esecuzione.
A titolo di mera completezza del discorso sinora svolto, si evidenzia che una nozione d’azienda che sia ben precisa è importante anche e soprattutto al fine dell’individuazione del momento di costituzione ed estinzione dell’azienda stessa.
99 X. XXXXXXX, voce Azienda, cit., pag. 1 ss. Cfr. XXXXXXXX X., op. cit.
100 Destinazione dei beni che viene determinata e impressa mediante l’organizzazione, quale elemento unificante l’azienda. Vedi Cass. 28 aprile 1998 n. 4319 in COTTINO G., Diritto Commerciale, 2000, cit. Cass. Civ. 15 maggio 2006 n. 11130, in Giust. Civ. Mass., 2006, 5 e Cass. 29 settembre 1993 n. 9760.
101 Ciò viene garantito proprio grazie ai beni essenziali.
102 Lo scopo economico si determina in base a relazioni di mercato e agli interessi e scopi dell’imprenditore.
103 Vedi infra.
Difatti, si suole asserire che l’azienda si costituisce nel momento in cui ricorre un insieme o complesso di beni tra loro economicamente collegati e lo stesso possa essere utilizzato per lo svolgimento di una determinata attività d’impresa.
L’estinzione, invece, è ricollegata non al mancato utilizzo dei beni quanto al venir meno del legame funzionale intercorrente tra i beni e proiettato al perseguimento dello scopo economico prefissato.
Ad ogni buon conto si evidenzia che l’azienda altro non è che un centro di interessi pubblici, privati, individuali e collettivi.
3 Brevi cenni sulle teorie sull’azienda.
Diverse sono anche le teorie formulate dalla dottrina inerenti sia alla possibile configurazione dell’azienda sia alla natura giuridica della azienda stessa104, le quali possono essere così brevemente riassunte:
- Teoria immaterialistica105, la quale definisce l’azienda come cosa incorporale, soggetto e
oggetto di diritti distinti da quelli afferenti ai singoli beni. Infatti, l’azienda è considerata come un’unità economica volta al soddisfacimento di bisogni superindividuali o trasversali rispetto a quelli che vengono soddisfatti dai singoli beni. Pertanto, l’azienda vive di vita propria, distinta e separata dai singoli beni che la compongono.
− Teoria atomistica106, la quale trova la sua base normativa nel dettato di cui all’art. 2556
c.c. e concepisce l’azienda come insieme di cose, qualsiasi esse siano.
− Teorie unitarie107, le quali rinvengono il loro fondamento nel precetto normativo di cui agli artt. 2555 c.c. e 670 c.p.c. e configurano l’azienda come cosa complessa.
All’interno di tale ultima branca di teorie si distinguono le concezioni di universitas rerum e universitas iuris.
a) Le teorie dell’universitas iuris108 concepiscono l’azienda come complesso di diritti e, dunque, fanno riferimento, dal punto di vista concreto, a un complesso non solo di beni, siano essi mobili o immobili, ma anche di servizi, rapporti di lavoro, situazioni giuridiche soggettive di vario genere e beni immateriali.
b) La teoria dell’universitas rerum109, invece, mediante un’interpretazione del disposto di cui all’art. 816 c.c., qualifica l’azienda come insieme di beni e,
104 Al riguardo occorre distinguere, da una parte, l’azienda in senso giuridico, cui fanno riferimento le varie teorie che verranno, di seguito enunciate, seppur brevemente, e, dall’altra parte, l’azienda in senso economico, la quale viene sempre intesa in modo unitario.
105 Maggiori esponenti sono Xxxxx, Xxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx.
000 Xxxgiori esponenti sono Scialoja e Xxxxxxx, Ferrara senior, Xxxxxxxxx, Auletta.
107 Maggiori esponenti sono Xxxxxxxxx, Rotondi, Cottino, Pugliatti, Carnelutti.
108 Xxxxx, DE Xxxxxxxx in VANZETTI A., op. cit., pag. 539 ss. Cfr. XXXXXXX X., SALANITRO N., op. cit., pag. 32 ss. Cfr. Cass. 11 agosto 1990 n. 8219.
109 La Lumia in VANZETTI X., op. cit., pag. 547.
pertanto, pone l’accento sulla natura mobiliare dell’azienda, sull’uniformità della stessa e sull’unicità del proprietario cui fa riferimento.
− Teoria dualistica110, che considera come complesso aziendale solo quei beni che garantiscono la continuità aziendale. In merito si distinguono gli elementi essenziali dagli elementi accessori e si afferma che l’azienda si compone esclusivamente dei primi, i quali garantiscono la continuità e trasferibilità dall’azienda medesima. Infatti, in tale teoria l’azienda viene definita con riguardo al regime di trasferibilità dell’azienda stessa. Il concetto giuridico di azienda che emerge dall’art. 2555 c.c. sarebbe più ristretto: debiti, crediti e contratti relativi all’azienda non sarebbero elementi costitutivi dell’azienda, e quindi del “complesso di beni organizzati”.Tale teoria è denominata anche teoria “organizzativa” o teoria della minima unità aziendale.
− Teoria omnicomprensiva, che considera l’azienda come insieme di beni, qualsiasi essi siano, mettendo l’accento sul legame tra azienda e impresa. Facenti parte di tale gruppo di teorie sono quelle che definiscono l’azienda come “istituzione o organizzazione di cose e diritti”111, ovvero come “blocco omogeneo di diritti puri”112.
− Teoria pertinenziale113 dell’azienda, secondo la quale ricorre una sorta di vincolo pertinenziale tra i singoli beni e l’azienda, tale che la disposizione dell’azienda comporta necessariamente la disposizione di tutti i singoli beni che la compongono. A tale teoria si obbietta però la circostanza per cui non è dato individuare una cosa principale e una cosa pertinenziale, come tipico del rapporto pertinenziale, e ciò alla luce anche del sistema circolatorio. Infatti, mentre la pertinenza circola unitariamente con il bene cui accede, nel caso dell’azienda, invece, la vicenda circolatoria può riguardare anche solo determinati rami dell’azienda, ovvero singoli beni purché ben determinati.
In appendice alle varie teorie finora esposte a grandi linee, bisogna mettere in evidenza come l’unitarietà dell’azienda viene in considerazione soprattutto al momento della circolazione dell’azienda114.
Varie sono pure le teorie115 in merito alla considerazione dell’azienda quale bene. Alcuni autori affermano che si tratti di un immobile fittizio; altri di un bene mobiliare costituito dall’avviamento; altri ancora asseriscono che non si tratti né di un bene mobile né di un bene
110 Per le varie posizioni in dottrina si vedano X. XXXXXXX, voce Azienda, cit., pag. 1 ss.; X. XXXXXXXX, Impresa e azienda, in Tratt. Vassalli, Torino, 1973, pag. 323 ss., che accolgono la “tesi onnicomprensiva”; sono fautori invece della “tesi organizzativa” COLOMBO G. E., L’azienda e il Mercato, in Tratt. Dir. comm., e di dir. pubblico dell’economia diretto da Galgxxx, XXX, Xxxxxx, 0000, xxg. 1 ss.; FERRARA F., op. cit., pag. 55 ss.; XXXXXXX F., Diritto commerciale, cit., pag. 65 ss.; XXXXXXX M., op. cit., pag. 156-196; XXXXXXXX X., L’affitto d’azienda, Edizioni FAG, Milano, 2008, pag. 17 ss.
111 Ferrara in CASANOVA M., op. cit., pag. 74.
112 XXXXXXXX X., xp. cit., pag. 76.
113 XXXXXXXX X., xp. cit.
114 In tal senso Xxxxxx in CASANOVA M., op. cit., pag. 121.
115 Per la giurisprudenza in materia, x. Xxxx. Civ. 14 luglio 2004 n. 13075, in Giust. Civ. Mass., 2004, pag. 7-8; Trib. Cagliari 31 marzo 1999, in Riv. giur. sarda, 441; Cass. Civ. 3 novembre 1998 n. 10992, in Giust. Civ. Mass., 1998, 2247.
immobile, ma di un tertium genus; per altri ancora, invece, la considerazione della natura di bene dipende dalla consistenza del complesso aziendale. Questi ultimi autori in particolare asseriscono che in caso di beni eterogenei l’azienda è da considerarsi sempre come bene immobile.
4 Azienda, impresa e imprenditore.
La considerazione per cui l’azienda altro non è che un insieme di beni eterogenei organizzati per l’esercizio di un’attività produttiva impone un’analisi del rapporto che intercorre tra l’azienda116, l’impresa117e l’imprenditore118.
Come prima precisato, il dettato normativo di cui all’art. 2555 c.c. rinvia necessariamente, ai fini interpretativi, al disposto di cui all’art. 2082 c.c. sulla nozione di impresa e di imprenditore.
Preliminarmente, a titolo meramente chiarificativo, si afferma che mentre l’imprenditore è il titolare dell’attività, l’impresa, invece, è l’attività economica e l’azienda, infine, è il complesso di beni119 funzionale ai primi due.
In primo luogo, mentre impresa e imprenditore sono tra loro inscindibili giacché l’impresa, quale attività produttiva, non potrebbe esistere senza un imprenditore, ovvero senza un soggetto che eserciti l’impresa e dunque l’attività produttiva120, l’azienda, al
116 Si badi bene che i concetti di impresa e azienda vengono utilizzati dal legislatore in maniera ambigua, a volte sono sinonimi, altre volte indicano concetti differenti, come verrà di seguito illustrato.
117 L’impresa può essere variamente considerata. In primo luogo essa rappresenta sempre e comunque una fattispecie di effetti giuridici, ovvero è la fattispecie sulla quale si riversano gli effetti dell’attività economica svolta all’imprenditore. Essa può essere considerata sia come atto, e quindi come organizzazione di beni, e in ciò non differisce in alcun modo dall’azienda, sia come attività, dunque come comportamento qualificato, ovvero come svolgimento di un’attività economica. Al fine di poter ritenere sussistente un’impresa è, però, necessario che l’attività, in cui si connatura, sia costituita e venga svolta secondo dei parametri ben precisi. L’attività deve essere economica, ovvero deve trattarsi di un’attività produttiva, avente ad oggetto la produzione e/o lo scambio di beni, e deve essere dotata della caratteristica della professionalità, che si esplica nella continuità, stabilità e essenzialità dell’attività economica svolta. L’impresa nasce nel momento in cui ricorre un’attività produttiva e una relativa organizzazione stabile di mezzi di produzione e, in maniera più precisa, nel momento in cui l’attività economica, dotata di tutti i requisiti sopra delineati, viene effettivamente esercitata (non è sufficiente una mera programmazione dello svolgimento di un’attività di impresa, a differenza dell’azienda che può sussistere anche nella forma prospettica). Vedi CAMPOBASSO G. F., Manuale di diritto commerciale, Torino, 2004, pag. 10 ss. Vedi Cass. 6 giugno 2003 n. 9102; Cass. 17 marzo 1997 n. 2321 e Cass. 29
gennaio 1973 n. 273.
118 L’imprenditore può essere definito quale persona fisica o giuridica esercente l’impresa e quindi come centro di imputazione soggettiva di tutta l’attività economica d’impresa e di tutti gli effetti che ne discendono dalla stessa. L’imprenditore è il soggetto responsabile dell’attività d’impresa, colui il quale è chiamato a rispondere nei rapporti interni ed esterni l’impresa dell’attività svolta; è colui il quale si assume il rischio d’impresa. Vedi CAMPOBASSO G. F., op. cit., pag. 10 ss.
119 Xxxxxxxxx in COTTINO G., Diritto Commerciale, 2000, cit., pag, 173.
120 L’impresa è sicuramente correlata con un imprenditore, per cui ogni volta che ricorre il rapporto azienda-impresa si palesa anche un legame con l’imprenditore. L’impresa, come attività produttiva, al contrario dell’azienda, necessita indubbiamente di un imprenditore, quale soggetto attivo e centro di imputazione dell’attività imprenditoriale.
contrario, può presentarsi anche separatamente dall’impresa e dall’imprenditore, potendo rimanere inutilizzata o temporaneamente senza alcun titolare bene identificato121, oppure può essere utilizzata da più imprese o da più imprenditori contemporaneamente.
A tal riguardo occorre, però, rimarcare che l’azienda sopravvive da sola senza un’impresa o imprenditore di riferimento solo fino a che la stessa conserva una sua qualche utilità, una qualche funzionalità all’esercizio d’impresa e dunque sino a quando può formare oggetto di un qualche negozio traslativo ed essere utilizzata al fine dell’esercizio di un’attività produttiva.
In secondo luogo, azienda e impresa rappresentano l’aspetto statico e l’aspetto dinamico dello stesso fenomeno.
Mentre l’azienda configura l’insieme dei beni necessari per lo svolgimento dell’attività produttiva, l’impresa, invece, non è altro che lo svolgimento stesso dell’attività produttiva secondo i canoni dell’organizzazione, economicità e produttività e attraverso l’ausilio del complesso aziendale. Mentre l’impresa rappresenta l’attività, l’azienda, invece, è non solo il mezzo materiale di esecuzione della stessa attività produttiva, ma anche il risultato che si persegue. Infatti, a tal ultimo proposito, si deve affermare che per l’esistenza di un’impresa è necessaria e sufficiente l’esistenza di un’azienda.
Tra l’impresa e l’azienda ricorre, quindi, un rapporto di reciproca dipendenza e diversi sono gli elementi di contatto.
Un primo elemento unificante è rappresentato dall’organizzazione. L’organizzazione è impressa all’impresa e si trasferisce all’azienda, determinandone le modalità di costituzione.
Altro elemento comune è rappresentato dai segni o mezzi di identificazione, tra i quali emerge la ditta, e che consentono di determinare il legame intercorrente tra impresa, azienda e imprenditore.
Infine, la riconduzione di un complesso aziendale ad una determinata impresa comporta altresì l’applicazione della disciplina tipica del tipo di impresa cui l’azienda si riferisce.
5 Xxxxx Xxxxxxx e imprenditore. Titolarità e personalità giuridica dell’azienda.
Come sostenuto precedentemente, l’azienda necessita, al fine di poter essere chiamata tale, di un qualche legame con l’impresa, tuttavia essa può esistere anche senza alcuna impresa di riferimento.
Si può, pertanto, affermare che il legame tra azienda e imprenditore può presentarsi anche in mancanza di un’impresa ben determinata, così come può ricorrere l’ipotesi di più imprenditori. Infatti, non sempre l’imprenditore è titolare di un’azienda e ciò accade soprattutto nelle ipotesi in cui lo stesso sia semplicemente titolare di un diritto di godimento su uno o alcuni beni del complesso aziendale.
121 Caso tipico è rappresentato dal periodo successivo alla sospensione dell’attività a seguito di morte, interdizione o fallimento del titolare dell’azienda stessa.
Tuttavia, allorquando l’azienda sia riconducibile a più imprenditori si pone il problema di divisibilità o indivisibilità dell’impresa e il problema della titolarità dell’azienda.
Con riferimento al primo problema si sostiene solitamente che l’azienda è indivisibile e che ricorre un’ipotesi di contitolarità.
Riguardo al secondo problema, invece, si asserisce che la titolarità dell’azienda non necessariamente deve essere ricondotta all’imprenditore di riferimento, sia esso pubblico o privato, ma può far capo anche ad un soggetto diverso. Titolare dell’azienda può essere anche semplicemente il titolare di un diritto di proprietà, o di un diritto di godimento su di uno o più beni facenti parte dell’azienda122.
Si precisa, altresì, che la titolarità dell’azienda non necessariamente incide sull’azienda stessa, a meno che la titolarità non si presenti quale elemento di mutamento dell’organizzazione aziendale, imponendo un mutamento dell’assetto organizzativo. L’azienda, infatti, generalmente muta se cambia la compagine aziendale e quindi se vengono modificati quelli che sono considerati beni essenziali della stessa.
Ci si chiede, inoltre, se l’azienda sia dotata di personalità giuridica propria o se, al contrario, debba essere considerata alla stregua di un qualsiasi altro bene, possibile oggetto di diritti per il suo titolare o per chi la utilizzi.
Ebbene la personalità giuridica, intesa quale centro di imputazione degli interessi che la riguardano, può essere riconosciuta solo ed esclusivamente alla società ovvero all’ente o persona fisica cui l’azienda fa riferimento ed è inserita.
6 I beni.
I beni sono entità giuridiche finalizzate a soddisfare dei bisogni. Essi rappresentano, accanto all’organizzazione, l’elemento portante dell’azienda. Essi, infatti, non sono altro che tutti quelli elementi materiali e immateriali che costituiscono l’azienda e che sono scelti in base alla loro attinenza con lo scopo economico che si intende perseguire.
Sono beni aziendali tutti quei beni strumentali all’attività imprenditoriale che deve essere svolta, complementari tra di loro, ma anche autonomi, e ciò sotto il profilo della circolazione, “surrogabili”, ovvero facilmente sostituibili, tale da garantire una certa continuità dell’azienda. Determinare quale tipologia di beni costituisce l’azienda si mostra di fondamentale importanza soprattutto al fine di poter individuare le regole circolatorie dell’azienda stessa.
Prescindendo dal tipo di teoria che si vuole seguire circa la concezione di azienda, ovvero a prescindere dalla teoria della universitas rerum o universitas iuris 123, si può ben affermare che i beni costituenti l’azienda possono essere così classificati:
122 Si discorre al riguardo di scissione tra proprietario titolare dell’azienda e soggetto che materialmente utilizza il complesso aziendale. Xxxxxxx, Ferrari, in CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 161. Vedi anche Xxxx. 28 Novembre 1981 n. 6361.
123 Due sono le teorie principali sui beni costituenti l’azienda. Secondo una prima teoria, cosiddetta restrittiva, fanno parte dell’azienda solo i beni definibili tali ai sensi dell’art. 810 c.c.; secondo l’altra teoria,
− Beni materiali;
− Beni immateriali;
− Diritti e situazioni giuridiche ad essi correlati124.
Prima di passare ad analizzare le singole categorie, si deve affermare che elemento necessario ed imprescindibile dei beni aziendali è rappresentato dalla strumentalità al perseguimento di uno scopo economico ben preciso. I beni, infatti, pur mostrandosi tra loro eterogenei, devono essere caratterizzati da un vincolo teleologico. Solo tale vincolo economico rende possibile la creazione di un’azienda. Vincolo che può essere non solo concreto, ma anche semplicemente potenziale o astratto125. In caso contrario, si avrebbe un mero insieme di beni tra loro distinti e separati, senza alcuna rilevanza e valore giuridico.
I beni materiali126 sono rappresentati da tutti quei beni corporali, mobili, immobili e mobili registrati, tra i quali si possono citare, a titolo esemplificativo, edifici, terreni, attrezzature varie, autoveicoli, macchinari, ect. Possono annoverarsi tra i beni materiali sia quelli consumabili che quelli non consumabili.
Dei beni immateriali si dirà più xxxxxx000.
Per quanto riguarda i diritti e le situazioni giuridiche correlate si fa riferimento ai rapporti di lavoro con i soggetti che si trovano a collaborare all’interno dell’azienda128, ai diritti di godimento e ai diritti di proprietà inerenti ai beni aziendali, ai rapporti negoziali di vario genere.
Fanno parte dell’azienda anche i diritti di credito a prestazioni future, le obbligazioni aziendali, ovvero tutte quelle situazioni debitorie e creditorie che discendono dallo svolgimento dell’attività aziendale, e i diritti di individuazione.
I beni, inoltre, possono essere ulteriormente classificati in:
cosiddetta estensiva, l’azienda si compone non solo dei beni individuabili in forza dell’art. 810 c.c., ma anche di servizi e di prestazioni d’opera. Si discute, altresì, se i beni aziendali debbano essere considerati, ai fini della loro qualificazione e individuazione, in senso giuridico (ossia come determinati ai sensi degli artt. 810 e 816 c.c.) ovvero in senso economico (ossia intendendo per bene aziendale qualsiasi componente dell’azienda, sia esso un bene che una qualsiasi altra situazione giuridica soggettiva ad essa afferente).
124 La natura di elemento costitutivo il complesso aziendale si ricava anche dall’insieme delle norme dettate per la circolazione dell’azienda ( cessione contratti, debiti e crediti aziendali). Ciò rispecchia la concezione unitaria dell’azienda. Cottino e Bonfante in TRIGOGNA R., op. cit., pag. 411.
125 Si vedano, per esempio, i beni aziendali potenziali. Vedi Cass. 11 giugno 2007 n. 13580. 126 La loro definizione è la medesima per tutti i beni, ovvero quella stabilita all’art. 810 c.c. 127 Vedi infra.
128 I collaboratori dell’imprenditore fanno parte del complesso aziendale in forza del vincolo di subordinazione e l’attività lavorativa da essi prestata è strumentale al perseguimento dell’attività e/o scopo aziendale. La loro essenzialità all’interno del complesso aziendale dipende dal tipo di attività produttiva che si prefigge l’impresa, ovvero se si tratta di un’attività che richiede o meno un apporto personale determinante. Oltre agli ausiliari subordinati, l’imprenditore si avvale anche di collaboratori autonomi, tra i quali rientrano i piazzisti e i mandatari. Si suole, inoltre, distinguere tra collaboratori con potere rappresentativo (institori e procuratori), collaboratori senza potere rappresentativo e semplici lavoratori a servizio dell’impresa. Si deve anche precisare che la categoria di collaboratori che rileva ai fini della circolazione aziendale è quella dei collaboratori senza poteri rappresentativi , purché non legati all’imprenditore da un vincolo di intuitu personae. In tale ipotesi il rapporto di lavoro cessa in occasione del trasferimento d’azienda. Vedi COTTINO X., Diritto Commerciale, 2000, cit., pag. 213.
− beni essenziali, ovvero quei beni caratterizzanti il complesso aziendale, i quali connotano la particolare attività aziendale. Un mutamento di tali beni comporta un mutamento della stessa azienda.
− beni accessori, ossia tutti quei beni complementari, accessori, e fungibili. Il mutamento o l’assenza di uno di questi non implica alcuna modifica all’interno dell’assetto aziendale.
Si discerne, altresì, tra beni a destinazione progettata e beni a destinazione eseguita. Della prima categoria fanno parte tutti quei beni la cui inclusione nel complesso aziendale è meramente prospettica, ovvero futura. Gli altri beni, invece, sono quelli che fanno già parte dell’azienda.
I beni possono essere anche a funzione unica o a funzione multipla. In modo particolare, in tale ultima categoria vi rientra quel tipo di beni che possono avere un’utilità aziendale contestuale o differita rispetto al loro inserimento nella stessa.
I beni, per di più, possono appartenere ad un solo soggetto, oppure possono essere nella titolarità di una pluralità di soggetti. Il vincolo di appartenenza al soggetto che usufruisce dell’azienda può, pertanto, essere non solo a titolo di proprietà, ma anche a titolo di diritti di godimento di qualsiasi genere (usufrutto, locazione, comodato, ect.).
Ulteriormente, fanno parte dell’azienda sia beni fungibili che beni infungibili, nonché sia beni fruttiferi che beni infruttiferi.
7 Tipologie di azienda.
Alla luce di quanto sinora esplicitato, si può passare ad analizzare l’azienda sotto il profilo tipologico.
La classificazione può avvenire sulla base di diversi criteri.
Si può far riferimento al tipo di attività economica per la quale l’azienda è stata creata, ovvero al tipo di beni che la compongono, oppure allo stato di composizione del complesso aziendale.
Si suole distinguere, infatti, tra azienda completa, azienda incompleta e azienda da completare, a seconda che la stessa sia completa o meno di tutti gli elementi necessari allo svolgimento dell’attività produttiva cui risulta finalizzata, ovvero manchino soltanto alcuni elementi non essenziali, da integrare anche successivamente all’inizio dell’esercizio dell’attività d’impresa.
Un’altra distinzione è quella tra azienda attuale e azienda prospettica, a seconda che l’azienda sia già costituita o risulti meramente potenziale.
Altre categorie, determinate in base all’attività imprenditoriale effettivamente svolta, sono rappresentate dall’azienda agricola, dall’azienda commerciale e dall’azienda societaria.
Capitolo III
Il Contratto di Leasing e l’Azienda: profili generali III
Sommario: 1 I beni immateriali; - 2 Segue L’avviamento.
1 I beni immateriali129.
I beni immateriali costituiscono quella categoria di beni che difetta del requisito della corporeità, il cui studio è maggiormente collegato alla necessità di individuare una tutela dell’interesse ad appropriarsi delle utilità derivanti dal loro uso130.
Si tratta131, più in particolare, delle invenzioni o opere dell’ingegno132, dei segni distintivi133, del software134, del know how135, dell’avviamento, comprensivo della clientela136, dei brevetti, dei
129 ASCARELLI T., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Xxxxxxx Editore, 1960. XXXXXXX X., voce Azienda (diritto commerciale), in Enc. Giur. Treccani. COTTINO G., Trattato di diritto commerciale, Cedam, 2000, vol I. XXXXXXXXXXXXX X., Sui beni immateriali, in Riv. Dir. Ind., 1956, I, 381 ss. GRECO P., I diritti sui beni immateriali: ditta, marchi, opere dell’ingegno, invenzioni industriali, Torino, Giappichelli Editore, 1948. MESSINETTI D., Voce: Beni immateriali, in Enciclopedia giuridica Treccani. Si rinvia inoltre a tutti i riferimenti bibliografici citati nella parte dedicata all’azienda. Vedi supra.
130 Si badi bene, infatti, che conflitti in materia di beni immateriali hanno ad oggetto viepiù la legittimazione all’appropriazione delle utilità derivanti dallo sfruttamento dei medesimi. Vedi MESSINETTI D., op. cit.
131 Alcuni autori sostengono che beni immateriali siano esclusivamente le invenzioni, le opere dell’ingegno e non anche i segni distintivi. Xxxxxx in XXXXXXXXXXXXX X., op. cit., pag. 389. Inoltre, soprattutto gli aziendali sogliono distinguere tra intangibles che hanno autonomo valore di mercato; intangibles privi di autonoma individualità, aventi un valore di mercato solo se negoziati assieme ad altri assets dell’azienda; intangibles che hanno un valore di mercato potenziale; intangibles che sono privi di alcun valore. Vedi BORTOLUZZI A., Il trasferimento d’azienda, Utet, 2010, pag. 58.
132 Le opere dell’ingegno si costituiscono di due diritti attinenti, l’uno, alla sfera personale del soggetto che le crea e, l’altro, al contenuto dell’opera stessa. Esse sono liberamente trasferibili. Al riguardo si vedano gli artt. 6, 12 e 107 della Legge sul diritto d’autore.
In particolare, l’invenzione è quel processo creativo caratterizzato da innovattività, esclusività e creatività. Essa può consistere sia in un prodotto che in un procedimento, e può essere sia principale che di perfezionamento. Il legislatore prevede una tutela dell’invenzione solo nell’ipotesi in cui sia stata brevettata. Il diritto di brevetto comporta il sorgere di un diritto di esclusiva sull’invenzione. L’invenzione brevettata è liberamente trasferibile; può essere fatta oggetto di usufrutto, di diritti personali di godimento, espropriazione forzata e per pubblica utilità. Oggetto di circolazione può essere sia l’invenzione che il brevetto. La circolazione dell’invenzione avviene mediante la cosiddetta licenza d’uso, la quale attribuisce al licenziatario un diritto assoluto di uso dell’invenzione limitato nel tempo e circoscritto territorialmente. Si vedano al riguardo gli artt. 20, 23 e 63 del Codice della proprietà industriale.
133 Tra i segni distintivi possono annoverarsi la ditta, il marchio e l’insegna, denominati anche nomi a dominio aziendale.
La DITTA è il nome che individua l’imprenditore e che lo stesso spende nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Essa può essa intesa in un duplice significato: in senso oggettivo, riferita all’attività imprenditoriale, e in senso soggettivo, riguardante l’imprenditore. Entrambi i profili vengono delineati dal legislatore e si trovano disciplinati, rispettivamente, agli artt. 2563 e 2565 del codice civile. Nella sua qualità di segno distintivo dell’attività aziendale, la ditta influisce sull’avviamento e sulla clientela, incrementandoli. Una precisazione d’obbligo è necessaria con riguardo al regime di trasferimento. La ditta in senso oggettivo, in
valori della ricerca, delle licenze, delle autorizzazioni, delle concessioni, dell’immagine aziendale, della creatività, del capitale umano, della localizzazione dell’azienda.
Loro peculiarità sono rappresentate, oltre che dall’assenza di corporalità, dall’originalità e novità137, e dalla riproducibilità138. Mentre il requisito dell’incorporalità è proprio di tutti i beni inquadrabili in detta categoria, gli altri due requisiti sono propri solo di alcuni.
Si tratta di beni che difettano del requisito della realità e, dunque, di beni non suscettibili di apprensione materiale diretta. Proprio a tale riguardo si dibatte se tale categoria di beni possa essere oggetto di diritti reali o di situazioni giuridiche soggettive, o se essi debbano essere considerati oggetto di diritto solo se affiancati o comunque connessi ad un bene
quanto elemento distintivo proprio di una realtà aziendale, non può che essere trasferita insieme all’azienda. Non è necessario che venga trasferita l’intera azienda, ma è sufficiente anche la cessione di un ramo di azienda o di una sola parte, benché piccola (Cass. 22 marzo 1994 n. 2755 in Giur Comm., 1995, II pag. 639). Ratio di tale regola di trasferimento è rappresentata dalla necessità di garantire l’identità di prodotti offerti e individuati con quella determinata ditta. Ciò si presenta come forma di tutela nei confronti dei terzi che usufruiscono dei prodotti offerti dall’azienda cui la ditta fa riferimento. Sulla definizione di dita si veda anche Xxxx. 10 marzo 2009 n. 16283; Cass. 17 gennaio 2007 n. 977 e Cass. 13 giugno 2000 n. 8034.
Il MARCHIO, disciplinato agli artt. 2569 ss. c.c. e dal DLgs 4/12/1992 n. 480, è il nome che contraddistingue il prodotto. Il diritto sul marchio è un diritto esclusivo e si acquista a seguito di registrazione o con l’uso, mentre si perde per scadenza, trasferimento, rinunzia o decadenza. Il trasferimento può avvenire anche indipendentemente dall’azienda e può essere per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato. La cessione, inoltre, può riguardare sia il diritto esclusivo che la semplice concessione della licenza d’uso, esclusivo o non, del marchio. Si precisa, inoltre, che, al fine di poter usare il marchio, è ritenuta necessaria la titolarità di una licenza d’uso.
L’INSEGNA è il segno distintivo del locale commerciale in cui viene esercitata l’attività aziendale. Essa richiama le indicazioni contenute nel marchio e nella ditta e, dunque, il riferimento all’imprenditore e ai beni e servizi prodotti. Vedi Cass. 23 aprile 1956 n. 1042.
134 Si tratta di programmi per calcolatori elettronici. Essi circolano per mezzo dei cosiddetti contratti informatici.
135 Il KNOW HOW è il bene immateriale comprensivo di tutte le informazioni, le tecniche di commercializzazione e quanto di più “intimo” riguardi una determinata attività imprenditoriale e che in quanto tale deve rimanere per quanto possibile segreto. La sua divulgazione potrebbe incidere, infatti, sia sull’avviamento che sulla clientela dell’azienda, soprattutto nell’ipotesi in cui dello stesso venga fatto uso da parte di terzi. Si sogliono generalmente distinguere due aspetti: il KH industriale, riguardante lo sfruttamento di tecnologie e invenzioni, e il KH commerciale, attinente al patrimonio di conoscenze pratico - organizzative di una realtà imprenditoriale. Esso viene tutelato mediante la pattuizioni di vincoli di segreto, riservatezza e non divulgazione apposti, di solito, nei contratti di trasferimento dello stesso. Per una definizione si veda la sentenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00 febbraio 1985 n. 1699. Peculiare è il contratto di KH, mediante il quale “si trasmettono ad altri, per lo più nella forma della licenza, i vantaggi derivanti dalle conoscenze, frutto di una propria tecnologia e di esperienze ed alle quali entrambe le parti riconoscono valore economico”. XXXXXXXX X., voce Know how, in Enc. Giur. Treccani, pag.6.
136 La CLIENTELA è il complesso di persone che acquistano o che si servono dei prodotti dell’attività aziendale, seppur solo occasionalmente, ovvero il flusso di domanda di prodotti aziendali. Si tratta della situazione economica dell’azienda che si esplica nella corrente di domande, servizi e corrispettivi. Si noti che la clientela è viepiù ricompresa all’interno dell’avviamento, del quale ne costituisce parte integrante. Tuttavia, alcuni autori discernono i due strumenti.
137 L’originalità e novità consistono nella peculiarità per cui i beni devono avere un’impronta di creatività e unicità.
138 La riproducibilità attiene alla possibilità di riproduzione in un numero indefinito e/o indeterminabile di esemplari. Tale requisito non è presente però nei segni distintivi.
corporale. È discusso, invero, se si tratti di beni a sé xxxxxx000, ovvero di elementi che assumono una loro configurazione solo in considerazione ed insieme all’azienda, senza essere sussumibili nelle categorie di cui all’art. 810 c.c.140, oppure, ancora, se siano qualificabili solo all’interno delle fattispecie di monopolio pubblico o privato. La ricostruzione prevalente in dottrina e giurisprudenza è, comunque, rappresentata dalla prima alternativa, giustificata sulla base dell’assunto per cui si tratta pur sempre di entità che, per quanto possano essere astratte, producono, dal loro utilizzo, una certa utilità che necessita in qualche modo di essere tutelata e che può, al pari di qualsiasi altra entità giuridica, costituire oggetto di una vicenda circolatoria.
Detti beni assumono, infatti, rilevanza all’interno dell’azienda in forza della concezione per cui “il bene viene a definirsi tale non tanto in rapporto alla sua realità quanto in rapporto alla sua suscettibilità di produrre nuove utilità”141; utilità che sono strumentali all’azienda e all’attività imprenditoriale svolta.
Si deve anche osservare come è vero che il bene immateriale si connota per l’utilità derivante dal suo utilizzo, ma è altresì vero che il bene immateriale si costituisce di un bene corporale rappresentato da quel bene, definibile ai sensi dell’art. 810 c.c., nel quale si estrinseca l’utilità derivante dal primo142. In tal senso si afferma che a ogni bene immateriale corrisponde sempre un bene materiale, pur se indiretto, che sia allo stesso complementare143.
Principalmente alla luce di ciò si ritiene possibile considerare i beni immateriali oggetto di diritti di qualsiasi tipo essi siano144. La non corporalità di tale categoria di beni non deve indurre a pensare che essi non possano esser fatti oggetto di diritti, semplicemente l’oggetto del diritto sarà mediato, ovvero ricadrà sull’utilità derivante dal loro utilizzo. Il godimento di tali beni si configura quindi come diritto di fruire dell’utilità derivante dal loro uso.
Si afferma, di conseguenza, che i beni immateriali possano circolare sia inter vivos che mortis causa, possano essere oggetto di diritti reali di garanzia, di espropriazione e anche di cessione solamente parziale.
Perplessità si palesano per i segni distintivi. Posta la loro valenza di “diritti di individuazione”145 dell’azienda, la loro circolazione deve essere tale da non trarre in inganno i terzi e proprio per questo è discussa una loro circolazione che non sia ancorata a quella dell’azienda o di un suo ramo.
139 Xxxxxxxxx, Greco, Xxxxxxx xx e Auletta vedi COTTINO G., Diritto Commerciale, 2000, cit., p 303. Cfr. XXXXXXXXXXXXX X., op. cit., pag. 381 ss. I beni immateriali vengono equiparati alle energie di cui gli art. 810
c.c. Xxxx XXXXXXXXXX E., op. cit.
140 Xxxxxxxxxxxxx e Xxxxxxxx vedi COTTINO G., Diritto Commerciale, 2000, cit., p. 303.
141 BORTOLUZZI A., op. cit., pag. 29.
142 Ricorre, pertanto, una sorta di personificazione del bene immateriale nel bene materiale in cui si presenta l’utilità derivante dal suo uso (uso del bene immateriale).
143 Eccezione è rappresentata dal know how.
144 In tale senso si veda ASCARELLI T., op. cit., pag. 309 ss.
145 Si precisa che la locuzione “diritti” deve essere utilizzata in senso atecnico. Si suole generalmente discorrere di strumenti di individuazione.
Tuttavia, la maggior parte dei beni immateriali costituenti l’azienda, tra i quali, come si vedrà anche in seguito, rientrano anche i segni distintivi, hanno “vita” autonoma rispetto al complesso nel quale sono inseriti. Si pensi al marchio, alle opere dell’ingegno, al know how.
Non mancano, però, delle eccezioni rappresentate dall’avviamento, comprensivo della clientela, e dalla ditta, nelle quali, per ragioni legate alla natura dei beni, come nei primi due casi (si tratta di beni inscindibilmente connessi all’attività aziendale), o per ragioni normative, come nel caso delle ditta, i beni immateriali devono necessariamente circolare congiuntamente con l’azienda.
Si deve, inoltre, precisare che il bene immateriale è generalmente considerato una creazione intellettuale tutelabile146 e il diritto di utilizzo dello stesso è connotato dall’assolutezza ed esclusività. Si evidenzia anche che il diritto di esclusiva spetta a titolo originario ed ex lege al soggetto da cui la creazione intellettuale promana e necessita che il bene venga utilizzato non per fini meramente personali, ma nei rapporti con i terzi147.
2 Segue L’avviamento.
Particolare trattazione deve essere necessariamente dedicata all’avviamento148, bene immateriale di fondamentale importanza all’interno dell’azienda149.
Esso rappresenta la capacità produttiva dell’azienda150, ovvero la sua attitudine a produrre utili, profitti ed è considerato elemento portante, tanto che si arriva ad affermare che dalla sua esistenza dipende quella dell’azienda medesima.
In generale, si suole definirlo come “attitudine oggettiva dell’azienda a produrre utili”151; “probabilità di conseguire, nell’esercizio di un’attività che abbia come strumento un complesso di beni, utili diversi dalla somma di quelli conseguibili attraverso l’utilizzazione isolata di ciascun componente del complesso”152.
146Si badi bene, però, che se i beni immateriali di solito si costituiscono dei due elementi della creazione intellettuale e dell’uso, non è necessario che un bene, per essere ritenuto tale, debba costituirsi anche dell’uso, potendo essere sufficiente la presenza di solo un processo intellettuale. ASCARELLI T., op. cit., 1960.
147 Logicamente salvo casi eccezionali. Si pensi alle invenzioni e alle prestazioni di lavoro, soprattutto nell’ambito del diritto industriale.
148 Diverse sono le nozioni di avviamento. Una prima teoria afferma che esso è l’effetto dell’organizzazione aziendale, ovvero la qualità che i beni aziendali assumono in forza del collegamento economico che li lega tra loro. Un’altra teoria identifica l’avviamento con la clientela. Un’altra ancora sostiene sia l’attitudine a conseguire fini di lucro. Un’altra ritiene si tratti semplicemente dell’organizzazione aziendale. FERRARI B., op. cit., pag. 692 ss. Cfr. voci avviamento, beni immateriali e azienda, in Enc. giur. Treccani.
149 Si afferma in dottrina che l’avviamento è una qualità non essenziale dell’azienda. Lo stesso può esserci come può mancare, ma ciò non inficia l’azienda. Semplicemente la sua presenza attribuisce una qualità in più all’azienda. Xxxx XXXXXXXX X., op. cit., pag. 27 ss. Si veda anche Cassazione 8/11/1983 n. 6608 e Cassazione 26/7/1978 n. 3754; Cassazione 18/02/1949 n. 280 e Cass. 2 agosto 1995 n. 8470.
150 Da intendersi in senso ampio e non in maniera riduttiva. Per maggiori precisazioni vedi infra. Vedi supra nota 148.
151 BORTOLUZZI A., op. cit., pag. 32.
152 Xxxxxxxxx in FERRARI B., op. cit., pag. 695.
Si discerne, inoltre, tra avviamento oggettivo153 e avviamento soggettivo154, a seconda che ci si riferisca al complesso aziendale oppure al suo titolare.
Altra distinzione, riferibile più da vicino al leasing d’azienda e ai casi di circolazione della stessa in generale, è quella tra avviamento originario e avviamento derivato155.
L’avviamento è influenzato dall’organizzazione aziendale, dagli altri beni che formano l’azienda, dalle modalità di utilizzo ed esercizio dell’attività aziendale, dalla cessione o disposizione di beni aziendali, dal potere rappresentativo del marchio, dalle qualità soggettive dell’imprenditore156, dal mutamento di titolarità dell’azienda, dalla concorrenza, dall’ubicazione dell’azienda e dal mercato.
A chiosa di tale trattazione si mette in luce come in dottrina e giurisprudenza si discute157 se l’avviamento, congiuntamente alla clientela, sia considerabile quale bene aziendale di natura immateriale, ovvero sia una qualità propria dell’azienda. In ogni caso, come ha giustamente notato un autore158, l’avviamento, qualunque sia la sua configurazione, si inserisce all’interno del bilancio aziendale quale valore patrimoniale.
153Si definisce “oggettivo” l’avviamento conseguente a fattori ed elementi insiti nel coordinamento tra i beni; l’acquirente lo acquista automaticamente con l’acquisto dell’azienda.
154Si definisce “soggettivo” l’avviamento dovuto all’abilità personale dell’imprenditore come operatore di mercato.
155 Si definisce avviamento “originario” quello derivante dalla gestione del complesso aziendale da parte di un imprenditore, alla cui attività imprenditoriale è riferibile; mentre costituisce avviamento “derivato” quello acquistato a titolo oneroso o gratuito e frutto della precedente gestione aziendale.
156 Esercizio della medesima attività aziendale o esercizio di un’attività simile tale da incidere sulla domanda di prodotti, dunque, sull’avviamento.
157 Vedi COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 237.
158 COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 237.
Capitolo IV
La Circolazione dell’Azienda
Sommario: 1 Introduzione; - 2 I principi della circolazione dell’azienda; - 3 Le vicende della circolazione dell’azienda;
- 4 Segue Il momento perfezionante la vicenda circolatoria dell’azienda; - 5 La tutela del terzo nella vicenda circolatoria dell’azienda; - 6 I singoli contratti d’azienda: premessa. La circolazione dell’azienda mortis causa; - 7 Segue La circolazione dell’azienda inter vivos; - 8 L’usufrutto e l’affitto d’azienda.
1 Introduzione159.
L’azienda, quale entità giuridica, pur nella sua complessità, è suscettibile di atti di disposizione da parte del suo titolare e, pertanto, si rende necessario esaminare le peculiarità delle vicende circolatorie ad essa riferibili.
Al riguardo, si evidenzia come unica definizione normativa di vicenda circolatoria è quella contenuta nel quinto comma dell’art. 2112 c.c., in materia di successione nei rapporti di lavoro a seguito di cessione d’azienda, in cui si afferma che “[…] si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano, altresì, al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
Per vicenda circolatoria deve intendersi, come affermato dai più autorevoli esponenti della dottrina in materia, non solo la cessione della titolarità dell’azienda o di un suo ramo160, ma anche la concessione del solo godimento, sia nel suo complesso che di singoli rami o beni afferenti al complesso aziendale161.
159 Per approfondimenti bibliografici, si rinvia supra alla parte sull’azienda. Il contratto di Leasing e l’Azienda: profili generali II e III.
160 Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697.
161 Xxxx XXXXXXXX X., op. cit.; AULETTA G., op. cit.; FERRARI B., voce op. cit., pag. 692 ss. Si veda anche la giurisprudenza della Cassazione, la quale afferma che “Deve intendersi come cessione di azienda il trasferimento di una entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e consenta l'esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo. Al fine di un simile accertamento occorre la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell'eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nella avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, nell'eventuale trasferimento della clientela, nonché nel grado di analogia tra le attività esercitate prima e dopo la cessione. In particolare se non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l'azienda, deve tuttavia appurarsi che nel complesso di quelli ceduti permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri la loro attitudine all'esercizio dell'impresa, sia pur mediante la successiva integrazione da parte del cessionario. (Nella specie la sentenza impugnata è stata cassata per non essersi la società data carico di accertare se nella cessione di alcuno dei beni originariamente costituenti l'attività aziendale di una società fosse possibile cogliere un coordinamento e una
Si mostra, dunque, doveroso analizzare i principi e le vicende tipiche della circolazione e per poi soffermarsi sulle modalità in cui la stessa avviene.
2 I principi della circolazione dell’azienda.
Quantunque non esista una regola unitaria per la circolazione dell’azienda162, si può affermare che quattro sono i principi, enucleati da dottrina e giurisprudenza, a cui la stessa deve conformarsi:
1) Presenza di un complesso aziendale: individuazione dell’azienda e della sua consistenza163;
organizzazione tale da consentire di affermare che l'insieme degli stessi beni avesse conservato nel trasferimento una propria identità” Cassazione civile, sez. I, 09 ottobre 2009, n. 21481. Si veda in senso conforme anche la sentenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxx 00 marzo 1986 n. 24/1985, in Foro It., 89, IV, 11.
162 La circolazione d’azienda avviene, infatti, secondo le regole di circolazione dettate per ciascuna tipologia di bene che la costituisce. Vedi in merito XXXXXXX F., Diritto commerciale. Edizione compatta, L’imprenditore. Le società, Zanichelli 2010, pag. 41 ss.
163 Il primo principio regolatore implica la determinazione di tutti quei criteri necessari al fine di verificare se oggetto del contratto, costituente presupposto per la vicenda circolatoria, sia rappresentato dall’azienda. Invero, il complesso di beni, oggetto di un determinato contratto, non necessariamente deve costituire un’azienda, ben potendo essere un’associazione, anche casuale, di beni, senza relazione alcuna.
Entrando più nello specifico, si può affermare che esistono due ordini di criteri al fine di individuare se l’oggetto del contratto è rappresentato dall’azienda: un criterio oggettivo e un criterio soggettivo.
Il criterio oggettivo si riferisce alla presenza di un vincolo economico-funzionale tra i beni, all’esistenza di un progetto aziendale, e la sua applicazione inerisce agli elementi essenziali dell’azienda.
Il criterio soggettivo, invece, si riferisce alla volontà delle parti come espressa e manifestata attraverso il contratto. Più in particolare, indici di riferimento sono rappresentati dalla considerazione che le parti hanno del complesso di beni, ovvero se i beni vengono considerati singolarmente o come una universalità. E ciò può essere dedotto sia dalle modalità di identificazione dei singoli beni, sia dalla espressa indicazione della loro relazione teleologica, sia dalla stessa determinazione del prezzo (se effettuato per singoli beni o per il complesso aziendale). Altri indici sono rappresentati dal tipo di obblighi dedotti in contratto, come, per esempio, gli obblighi di trasferimento di notizie relative a clienti e fornitori, l’individuazione di ausiliari dell’imprenditore, l’obbligo di non concorrenza, l’obbligo di trasferimento dei contratti, il trasferimento delle situazioni debitorie e creditore aziendali.
Dall’interazione di questi due criteri si determina, oltre l’oggetto della cessione, anche la disciplina applicabile alla vicenda di trasferimento. Infatti, se i due criteri comportano una soluzione coincidente si applicherà o non si applicherà, senza dubbio, la disciplina sull’azienda; se invece la loro applicazione comporta soluzioni opposte verranno sicuramente applicate in ogni caso le norme a tutela dell’affidamento dei terzi (artt. 2557 e 2560 c.c.). Come prima precisato, l’identificazione dell’azienda comporta anche la relativa analisi della consistenza aziendale e dunque la verifica dell’effettività del complesso di beni.
Tale dato può essere, per esempio, ricavato dall’analisi di un inventario redatto dalle parti e allegato al contratto di cessione. Si deve, però, mettere in evidenza come il valore di un tale inventario si mostra di controversa interpretazione. Ci si interroga se lo stesso debba essere considerato quale elenco tassativo o quale elenco esemplificativo dei beni aziendali.
Si chiarisce, inoltre, che la determinazione della consistenza aziendale ha una rilevanza ai fini della sola determinazione del tipo di impresa, grande, media o piccola. Vedi Cass. 29 luglio 1966 n. 2714 e Cass. 23 maggio 1973 n. 1516. Per maggiori approfondimenti si rinvia alla trattazione sul leasing d’azienda.
In ogni caso, si precisa che ai fini della sussistenza di una valida circolazione d’azienda e del suo trasferimento non è necessaria l’indicazione analitica di tutti i beni costituenti il complesso aziendale, potendo gli stessi beni, secondo la dottrina dominante, essere individuati per relationem ai sensi dell’art. 2555 c.c., ovvero facendo
2) La circolazione dell’azienda comporta necessariamente il sorgere in capo alle parti di obblighi di fare di vario genere164, la successione nel complesso dei rapporti aziendali165 e il trasferimento congiunto della ditta e delle scritture contabili166;
3) La circolazione dell’azienda deve essere tale da mantenere costante l’avviamento;
4) La circolazione dell’azienda deve essere finalizzata alla continuazione dell’attività imprenditoriale da parte del nuovo imprenditore acquirente.
Xxxxxxx, tuttavia, fare alcune ulteriori precisazioni.
Invero, sebbene si ritenga che la circolazione dell’azienda comporti sempre un trasferimento e dunque una successione nell’impresa, la dottrina non si trova concorde al riguardo tanto che non tutti gli autori condividono tale assunto.
Si afferma, infatti, che non sempre il trasferimento di un’azienda comporta il subingresso nell’impresa, posto che non è condizione necessaria che il soggetto, che vi subentra, possieda la qualità di imprenditore, ovvero che abbia interesse a proseguire l’attività d’impresa, potendo semplicemente essere interessato all’acquisto dell’azienda a scopo, magari, di provvedere egli stesso, successivamente, al trasferimento della stessa a terzi167. Tanto ciò vero che, si asserisce, di successione può parlarsi solo ed esclusivamente con riferimento ai
riferimento a tutti i beni, i quali, in possesso o proprietà del cedente, siano orientanti all’esecuzione dell’attività produttiva d’azienda e siano per la stessa necessari (relatio formale e/o relatio sostanziale). Ciò che rileva è che l’oggetto sia determinato e/o determinabile ai sensi dell’art. 1346 c.c. Le parti devono solo necessariamente indicare i beni che eventualmente intendono escludere dal trasferimento dell’azienda, ciò, però, nei limiti secondo cui il compendio trasferito possa essere inteso e considerato quale azienda o ramo d’azienda. Si veda al riguardo XXXXXXX F., Diritto civile e Commerciale, cit., pag. 92 ss. Cfr. XXXXXXX F., Diritto commerciale. Edizione compatta, L’imprenditore. Le società, cit., pag. 41 ss Vedi anche Cass. 16 Giugno 1967 n. 1416 in Mass. Foro It., 1967 (con riguardo soprattutto all’affitto d’azienda). Cfr. Cass. 9 settembre 1979 n. 4094; Cass. 19 aprile 1996 n. 3627, in Mass., 1996; Cons. Stato 20 dicembre 2001 n. 6318, in Foro Amm., 2002; Cass. 15 ottobre 2002
n. 14647, in Dir. e Giust., 2002. Quanto appena affermato trova riscontro anche nella considerazione per cui l’azienda al momento del suo trasferimento ovvero della sua circolazione viene considerata in maniera unitaria. L’operazione di identificazione del complesso aziendale risulta necessaria, altresì, al fine di valutare se l’azienda durante le vicende circolatorie mantenga la sua potenzialità produttiva. COTTINO G., Diritto Commerciale, 1993, cit., pag. 249 e AULETTA G., op. cit., pag. 14. Cfr. Xxxxxxx in CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 162. Vedi anche Xxxx. 9 aprile 1982 n. 2198 e Cass. Civ. 28 Novembre 1981 n. 6361. Oltre a ciò, si tratta di un’operazione rilevante sia per la determinazione della disciplina applicabile sia per l’individuazione della relativa e necessaria tutela dei terzi, che, in qualche modo, risultano interessati da tale vicenda modificativa.
164 Si tratta in particolare dell’obbligo di consegna beni, dell’obbligo di non concorrenza, dell’obbligo di comunicazione dei segreti di fabbricazione, del know how e delle idee di organizzazione.
165 Vedi Cass. 19 novembre 2007 n. 23857; Cass. 13 giugno 2006 n. 13676 e Cass. 26 marzo 1996 n. 2714.
166 Si deve puntualizzare, a tal riguardo, che la ditta non necessariamente deve essere trasferita all’acquirente aziendale, ben potendo l’alienante riservarsi la titolarità della stessa. Nonostante ciò, nell’eventualità di trasferimento, questo (ovvero il trasferimento della ditta) è sempre associato alla cessione d’azienda. Si mette anche in evidenza come la giurisprudenza ha individuato nella forma scritta della cessione uno dei criteri da rispettare per l’efficacia del trasferimento. Vedi COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 322.
167 Vedi COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 249. Vedi anche Cass. civ., 22 gennaio 1983, n. 623, in Giust. civile, 1983, I, 3014.
rapporti giuridici che ne costituiscono l’azienda e che a questa sono correlati, mai riguardo all’impresa, la quale è pura e semplice attività168.
Senza dubbio alcuno, invece, la vicenda circolatoria dell’azienda conduce sempre al trasferimento non solo dei singoli diritti afferenti ai singoli elementi del complesso di beni, ma anche dei contratti, dei debiti e dei crediti aziendali169. Tale problema logicamente non si pone proprio nel caso in cui si avvalli la teoria dell’azienda come universitas iuris.
A conclusione di tale discorso, si evidenzia come il trasferimento è comunque tale solo se “l’acquirente sia messo nella condizione di godere della attitudine produttiva dell’organismo aziendale ceduto se non nelle condizioni in cui godeva l’alienante , almeno in parte”170.
3 Le vicende della circolazione dell’azienda.
Dopo averne analizzato i principi, occorre ora procedere ad analizzare nel dettaglio gli effetti della circolazione dell’azienda e dunque il fenomeno successorio, il quale può essere così schematizzato171:
a) Successione ipso iure nei contratti ai sensi dell’art. 2558 c.c.
Innanzitutto, la successione nei contratti172 riguarda i soli contratti in corso di esecuzione o ancora da eseguire, aventi prestazioni corrispettive173, stipulati per l’esercizio dell’azienda174, dunque pertinenti all’azienda, e non aventi carattere personale175. Laddove sia stata interamente eseguita la prestazione da parte di uno
168 L’avente causa non continua l’attività d’impresa del dante causa, ma acquista un diritto ex novo. Si discorre, infatti, di acquisto a titolo originario. XXXXXXX F., Diritto commerciale. Edizione compatta, L’imprenditore. Le società, cit., pag. 41 ss. cfr. XXXXXXX F., Diritto civile e Commerciale, cit., pag. 57 ss.
169 La cessione dell’azienda ha carattere globale e unitario. Vedi Cassazione 13 luglio 1973 n. 2031.
000 XXXXXXX X., op. cit., pag. 704. Vedi anche Xxxx. 9 ottobre 2009 n. 21481.
171 A tal riguardo si fa riferimento al dettame di cui agli artt. 2558 ss. c.c., i quali costituisco il cosiddetto “statuto d’azienda”. CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 162.
172 Un esempio di contratti nei quali è prevista una successione legale in caso di trasferimento di azienda sono i contratti di consorzio, come previsto all’art. 2610 c.c.
173 Cfr. Cass. Civ. 7 novembre 2003 n. 16724, in Guida al diritto, 47/2003, pag. 36.
174 Si suole discernere al riguardo tra contratti aziendali e contratti d’impresa. Mentre i primi solo quelli che vengono stipulati al fine della costituzione del complesso aziendale, nel caso in cui i beni, che ne sono oggetto, non siano di proprietà del titolare aziendale (si pensi, per esempio, ai contratti aventi ad oggetto il godimento di beni immobili e mobili), i secondi, invece, sono quelli stipulati per l’esercizio dell’attività produttiva perseguita (si pensi, per esempio, ai contratti per la fornitura di servizi, prodotti dall’attività d’impresa). La ratio di trasferimento dei contratti d’azienda risiede nell’esigenza di mantenere l’integrità del compendio aziendale e la sua idoneità allo svolgimento dell’attività d’impresa. La ratio della cessione dei contratti d’impresa, invece, è rappresentata dal mantenimento costante di clientela e avviamento. Si vedano in merito Cass. 8 Luglio 1987 n. 5938 e Cass. civ. 2 Marzo 2002 n. 3045. Cfr. Cass. Civ. 7 dicembre 2005 n. 27011, in Mass. Giur. it, 2005; Cass.
Civ. 12 aprile 2001 n. 5495, in Contratti, 2002, pag. 266. Cfr. Cass. 22 luglio 2004 n. 13651. In particolare, ad esempio, la cessione si verifica relativamente ai contratti di lavoro, ai contratti di fornitura, di agenzia, di assicurazione, di locazione, di edizione, di leasing, di consorzio, stipulati nell’esercizio dell’impresa.
175 Rivestono carattere personale quei contratti che si caratterizzano per individualità, insostituibilità del contraente. “Contratti a carattere personale ai sensi dell’art. 2558 c.c. sono quelli alla cui conclusione l’alienante dell’azienda si è determinato in base a scelta che oltre alla logica dell’impresa nel cui esercizio sono state assunte risalgono anche a ragioni
solo dei contraenti sussiste, invece, solo un debito o un credito, e, pertanto, trovano applicazione gli artt. 2559 e 2560 c.c.176
In secondo luogo, in deroga alla disciplina generale della cessione del contratto, come delineata all’art. 1406 c.c., la stessa, in caso di azienda, avviene in maniera automatica177, cioè di diritto, senza la necessità del consenso del contraente ceduto178. Si deve, comunque, mettere in evidenza come, proprio in conseguenza di tale deroga, il legislatore ha provveduto a tutelare il terzo, ossia il contraente ceduto, mediante la previsione, in suo favore, della facoltà di recesso per giusta causa179. In questo caso il terzo, oltre a recedere dal contratto, ha la possibilità di richiedere il risarcimento del danno nell’ ipotesi in cui provi che ricorra colpa o dolo in capo all’altro contraente che ha provveduto a cedere il contratto aziendale a terzi.
b) Successione nei debiti ai sensi dell’art. 2560 c.c.
Con il trasferimento dell’azienda, l’acquirente subentra nei debiti aziendali180, ovvero in tutti quei debiti contratti per l’organizzazione e la gestione aziendale. La successione nei debiti è, però, condizionata ad un espresso accordo con i creditori, i quali devono consentire al subingresso del terzo acquirente. In caso contrario, infatti, i debiti permangono solo in capo all’alienante, unico responsabile.
personali, ovvero a valutazioni di interesse dello stesso alienante che l’acquirente non può condividere” (Xxxx. 12 aprile 2001 n. 5495). In merito si veda anche l’art. 1429 n. 3 c.c.
176 Cfr. Cass. sez. lav. 2 marzo 2002 n. 3045, in Diritto e pratica delle società, n. 21/2002, pag. 63. V. anche CINTIOLI X. - X’XXXXX G. – XXXXXXXX A. – LATELLA D., Gli effetti legali del trasferimento, in I trasferimenti d’azienda, Xxxxxxx Editore, Milano, 2000, pag. 242.
177 La cessione, per contro, può essere evitata soltanto mediante la stipulazione di un patto di esclusione della stessa intercorrente tra i contraenti originari, salvo che ciò incida negativamente sulla fisionomia aziendale. La cessione è, comunque, esclusa ogni volta che la prestazione dedotta ad oggetto del contratto sia di carattere personale (per esempio, associazione in partecipazione, mandato, contratti bancari), oppure si tratti di contratti a titolo gratuito o con obbligazioni a carico di una sola parte. In tali ipotesi la cessione del contratto avviene in conformità alle regole generali e, dunque, solo in presenza del consenso del contraente ceduto. AULETTA G., op. cit., pag. 19.
178 Si discute, tuttavia, della natura di tale automaticità, ovvero ci si interroga se la stessa dipenda dal semplice dettato normativo di cui agli artt. 2558, 2121, 2610 c.c. o se possa essere individuato una sorta di legame di tipo accessorio tra il contratto e il complesso aziendale (rapporto giuridico in senso stretto). Si veda Cass. Civ. 19 febbraio 2004 n. 11318, in Giur. it., 2005, 81, in cui si statuisce che “in tema di affitto d’azienda, la disciplina legale considera come effetto naturale dell’affitto, salvo patto contrario, il sub ingresso dell’affittuario nei contratti inerenti al suo esercizio che non abbiano carattere personale […]. Ne consegue che, in presenza di detti presupposti (inerenza del contratto all’azienda; carattere non personale dello stesso), affinché si realizzi la successione dell’affittuario nel contratto, non è necessario dimostrare il consenso del terzo contraente”. Cfr. Cass. 15 settembre 2009 n. 19870.
179 Per il concetto di giusta causa si fa riferimento, per esempio, alla situazione patrimoniale dell’acquirente ovvero all’insufficienza di attrezzature e/o risorse per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
180 Si precisa che si fa riferimento ai c.d. “debiti puri”, che non derivano cioè da contratti a prestazioni corrispettive ancora ineseguiti da entrambe le parti. La norma si applica alla generalità dei debiti aziendali, fatta eccezione per i debiti di lavoro e per i debiti nei confronti di enti di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro ai quali si applica l’art. 15 D.P.R. 30.6.65 n. 1124. Per quanto riguarda poi i debiti di natura tributaria, la disciplina in esame deve essere integrata con quanto disposto dall’art. 14 del DLgs 472/1997 e dagli artt. 66 e 80 DPR602/1973. Sull’inapplicabilità dell’art. 2560 c.c., e in particolare dell’obbligo della conoscibilità contabile come limite alla responsabilità solidale dell’acquirente dell’azienda, ai debiti tributari, si veda la sentenza della Corte di Cass. sez. trib. 18 giugno 2008 n. 16473.
Allorquando avvenga il subingresso dell’acquirente, si afferma che sorge comunque in capo all’acquirente una responsabilità aggiuntiva a quella sussistente in capo all’alienante per ciò che concerne tutti i debiti aziendali anteriori al trasferimento (responsabilità solidale), salvo consenso dei creditori alla liberazione dell’alienante. In quest’ultima ipotesi, l’acquirente dell’azienda rimane unico responsabile per tutti i debiti aziendali presenti al momento del trasferimento181. Si deve, tuttavia, trattare di debiti conosciuti e/o conoscibili dall’acquirente con la dovuta diligenza e in caso di trasferimento di un’azienda commerciale ricorre una presunzione di conoscenza con riferimento ai debiti risultanti dai libri contabili182. Infatti, in tale ultimo caso, se i debiti non sono registrati ricorre la responsabilità del solo alienante183.
Si xxxxxxxxx, altresì, deroghe fondate su un accordo tra acquirente e creditori, ai sensi del primo comma dell’art. 2560 c.c., in forza del quale i singoli creditori possono liberare l’acquirente. Ratio di tale deroga è, da un lato, quella di tutelare l’acquirente, con la previsione della continuazione del vincolo in capo all’alienante; e dall’altro lato, quella di non sottrarre il patrimonio dell’alienante al soddisfacimento delle ragioni dei terzi creditori, tutelando così l’affidamento che i creditori hanno fatto sulla proprietà dell’azienda da parte dell’alienante al momento della conclusione del contratto. L’azienda, anche se trasferita, continua, quindi, in questo caso, a garantire i debiti aziendali184, fatta salva una responsabilità personale e sussidiaria dell’alienante.
In ogni caso, se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori, e se i creditori non consentono espressamente ad alcuna liberazione del cedente o del ceduto, la responsabilità dell’acquirente nei confronti dei creditori si aggiunge a quella dell’alienante185, senza sostituirsi ad essa. Permane, pertanto, sempre una responsabilità dell’alienante, salvo che ricorra una manifestazione di consenso del creditore ceduto186. Ecco perché, per la maggior parte degli autori187, ricorre, in tali ipotesi, un accollo cumulativo o liberatorio.
181 Cassazione 25 febbraio 1987 n. 1990.
182 Si tratta di una presunzione di conoscenza dei debiti da parte dell’acquirente, la quale fa salva la prova contraria. Si vedano le seguenti sentenze Cass. 20 marzo 1990 n. 2319 e Cass. 11 maggio 1976 n. 1658. Sulla inderogabile necessità, ai fini della successione, della conoscibilità contabile dei debiti, si vedano Cass. Civ. 20 giugno 2000 n. 8363; Cass. Civ. 29 aprile 1998 n. 4367, in Giust. Civ., I, 1857; Cass. Civ. 20 giugno 1998 n. 6173, in Gius., 1998, pag. 2567 ss.
183 Cassazione 25 gennaio 1961 n. 113. Cfr. CAss. 29 marzo 2010 n. 7517.
184 Così MANZINI G., La cessione dell’azienda: iscrizione nel registro delle imprese e successione nei contratti, cessione dei crediti e responsabilità per i debiti relativi all’azienda ceduta, in Contratto e Impresa, 3, Cedam Padova, 1998, pag.1284.
185 Sul punto la giurisprudenza è costante. Si veda su tutte Cass. Civ. 29 aprile 1998 n. 4367, in Giust. Civ., 1998, I, pag. 1857.
186 Si precisa che acquirente ed alienante sono obbligati solidalmente soltanto nei confronti dei creditori. Nel silenzio della legge in merito ai rapporti interni, si ritiene, infatti, che tra le parti non operi alcun tipo di solidarietà, e che debitore effettivo rimanga esclusivamente l’alienante; pertanto, l’acquirente che paga un debito pregresso dell’azienda ha diritto di agire in regresso nei confronti dell’alienante. La norma posta dall’art. 2560
c.c. non prevede, infatti, una successione nel debito, ma un’ipotesi, come già detto, di accollo interno ex lege.
c) Successione ipso iure nei crediti ai sensi dell’art. 2559 c.c.188
Il trasferimento dell’azienda189 comporta il subingresso dell’acquirente nei crediti inerenti all’azienda190, ovvero nei crediti relativi a beni e servizi necessari per l’attività aziendale191, senza che si renda necessaria l’accettazione o la notifica diretta al debitore ceduto192. Inoltre, la cessione dei crediti aziendali ha effetto nei confronti dei terzi dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese193. Il debitore ceduto è, comunque, liberato se paga in buona fede all’alienante.
Quando i crediti relativi all’azienda ceduta sono crediti vantati nei confronti di Pubbliche Amministrazioni o se si tratta di crediti tributari nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, la disciplina in esame deve essere integrata con le disposizioni dettate agli artt. 69 e 70 del RD 2440/23.
d) Successione ipso iure nei rapporti di lavoro inerenti all’azienda ai sensi degli artt. 2112 c.c. e 410, 411 c.p.c.194
Il lavoratore continua a svolgere le proprie mansioni sotto la direzione dell’acquirente, con applicazione del trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi in vigore al momento del trasferimento195. Acquirente e alienante sono obbligati solidalmente per i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento, salvo consenso del lavoratore alla liberazione dell’alienante. Anche in questa ipotesi è presente un accollo cumulativo o liberatorio su discrezionalità delle parti. Il lavoratore può far valere nei confronti dell’acquirente tutti i diritti che vantava nei confronti del datore di lavoro precedente (alienante). Il lavoratore, infatti,
Così X. XXXXXXX, Xxxxxxxx, affitto e restituzione d’azienda: brevi note sulla sorte di debiti e contratti, in Giur. it., 1, 2005, pag. 82.
187 Si discorre di accollo legale esterno. Si veda Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Auletta, Xxxxxx in PLASMATI M., Il leasing d’azienda, in Contratto e Impresa, 2007, pag. 381. Vedi anche XXXXXXX F., Diritto commerciale. Edizione compatta, L’imprenditore. Le società, cit., pag. 49.
188 Per quanto concerne la disciplina applicabile, qualche autore ritiene che trovi applicazione esclusivamente l’art. 2559 c.c. e non anche la disciplina generale di cui agli artt. 1260 ss c.c. COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 256.
189 Alcuni autori ritengono che la cessione dei crediti aziendali necessiti di un atto di cessione ad hoc. COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 255.
190 Si precisa che i crediti cui si riferisce la disposizione in esame sono i c.d. “crediti puri”, rispetto ai quali non è individuabile un debito corrispettivo; laddove tale debito esistesse, si rientrerebbe, infatti, nell’ambito di applicazione dell’art. 2558 c.c.
191 Si può anche trattare di crediti in moneta , come quelli verso i clienti dei prodotti.
192 Vedi Cassazione 4 marzo 1968 n. 707. Cfr. Cass. 13 giungo 2006 n. 13676. E’ evidente la volontà del legislatore di semplificare le formalità richieste per la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, rispetto alla disciplina generale della cessione del credito posta dagli artt. 1260 ss. c.c. Tuttavia, si rende necessaria o comunque preferibile la comunicazione ai debitori della cessione dell’azienda, onde evitare eventuali problemi in sede di individuazione del soggetto effettivo creditore.
193 La dottrina prevalente ritiene che l’iscrizione nel registro delle imprese valga a rendere efficace la cessione non soltanto verso i terzi, ma anche nei confronti del debitore ceduto, indipendentemente, quindi, dalla notifica del trasferimento o dalla sua accettazione. Così XXXXXXX X., op. cit.; SAVIOLI G., Le operazioni di gestione straordinaria, Xxxxxxx Editore, Milano, 2005, pag. 110.
194 Si veda anche l’applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 428 della Legge 29 dicembre 1990 n. 428.
195 Cass. 6 luglio 209 n. 15820 e Cass. 16 aprile 2009 n. 9012.
conserva, durante il trasferimento, uno “stato di diritto” costituito di stabilità o continuità dell’impiego, del trattamento economico, dell’attività di servizio o di quiescenza, delle ferie, della qualifica, delle mansioni da svolgere, della durata del rapporto di lavoro, se a termine.
Le parti, però, potrebbero prevedere lo scioglimento del rapporto di lavoro incardinato dall’alienante e la stipulazione di uno nuovo a nuove condizioni con l’acquirente.
Regime di continuità è previsto anche per l’osservanza dei contratti collettivi di lavoro196.
e) Divieto di concorrenza ai sensi dell’art. 2557 c.c.197
L’alienante deve astenersi dall’esercizio di una nuova attività d’impresa che sia tale da menomare la potenzialità produttiva dell’azienda trasferita e tale da sviarne la clientela. Tenendo sempre in considerazione tale enunciato, il divieto risulta essere circoscritto sia temporalmente, in quanto non può estendersi a più di cinque anni dall’avvenuto trasferimento, sia geograficamente, con riferimento alla zona di ubicazione della nuova attività imprenditoriale rispetto a quella ceduta, e sia merceologicamente riguardo al tipo di beni e servizi offerti. Il divieto si riferisce allo svolgimento di un’attività imprenditoriale sia diretta che indiretta (esercizio attraverso altri soggetti prestanome o esercizio per conto altrui).
Tuttavia, il divieto di concorrenza non deve essere tale da impedire al cedente l’azienda di poter esercitare un propria attività d’impresa. Sulla base di ciò si richiede che l’attività svolta dall’alienante si concretizzi in una “nuova impresa”, in tal modo ritenendo di non poter sussumere, all’interno del divieto in questione, lo svolgimento di un’attività imprenditoriale per mezzo di imprese già esistenti anteriormente al trasferimento. Unico limite è il non creare lo sviamento di clientela. In ogni caso è fatto salvo il patto contrario198.
In caso di violazione del divieto di concorrenza, il soggetto leso può tutelarsi scegliendo tra tre possibili alternative: può richiedere al giudice l’inibitoria del comportamento lesivo, può agire per ottenere il risarcimento del danno patito o può chiedere la risoluzione del contratto.
Dalla previsione del divieto di concorrenza discende in capo all’alienante l’obbligo di comunicazione all’acquirente di tutte le informazioni attinenti alla clientela e all’esperienza professionale maturata circa i rapporti commerciali afferenti all’azienda ceduta.
196 Art. 47 L. 29/12/1990 n. 428.
197 Esso è volto a garantire il pieno godimento della consistenza economica, della capacità produttiva, e in particolare dell’avviamento soggettivo dell’azienda e il mantenimento costante dell’avviamento e della clientela ceduti. Per approfondimenti vedi in particolare AULETTA G., Alienazione dell’azienda e divieto di concorrenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, pag. 1223 ss .Cfr. FERRARI B., op. cit., pag. 702 ss. Sul carattere di non eccezionalità si veda Xxxx. Civ. 23 aprile 1980 n. 2669, in Giur. comm., 1981, II, 11; Cass. Civ. 20 gennaio 1997 n.
549, in Giust. Civ., 1997, I, 1289. Cfr. Cass. 16 aprile 2008 n. 10062 e Cass. 19 novembre 2008 n. 27505.
198 Xxxx XXXXXXXX X., op. cit., pag. 358 ss.
f) Trasferimento dell’avviamento199 come conseguenza della cessione di debiti e crediti.
g) Il cedente l’azienda perde la qualifica di imprenditore, salvo che la cessione abbia ad oggetto un ramo d’azienda o lo stesso sia titolare di altre imprese e/o aziende e continui comunque ad esercitare l’attività imprenditoriale, nonostante l’avvenuta cessione.
Si precisa, infine, che la disciplina sopra analizzata è caratterizzata dalla derogabilità, tale che le parti possono prevedere una cessione dell’azienda con modalità diverse200.
4 Segue Il momento perfezionante la vicenda circolatoria dell’azienda.
Degno di analisi è il momento perfezionante la circolazione dell’azienda. Due sono i momenti cui si deve fare riferimento:
− la stipulazione dell’atto di trasferimento dell’azienda, momento in cui il trasferimento esplica efficacia esclusivamente inter partes;
− l’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese, ovvero la trascrizione dell’atto di trasferimento nei pubblici registri, quale discende dalla disciplina generale, momento in cui il trasferimento produce efficacia erga omnes.
5 La tutela del terzo nella vicenda circolatoria dell’azienda.
Prima di passare ad analizzare più nel concreto la circolazione dell’azienda, si pone d’obbligo trattare il profilo della tutela del terzo.
Con il termine “terzo” deve intendersi sia l’originario titolare del rapporto aziendale trasferito (debitore, creditore, lavoratore, altro contraente rimasto esterno alla cessione) sia, più in generale, qualsiasi soggetto che possa essere interessato dal trasferimento dell’azienda anche per via indiretta o riflessa.
A tutela delle ragioni della prima categoria di terzi il legislatore ha previsto il diritto di recesso, con relativo effetto dello scioglimento del contratto, oggetto di cessione.
Il recesso deve essere esercitato nel rispetto di tre principali condizioni:
− deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro il termine di tre mesi dalla notizia (diretta o indiretta) dell’avvenuto trasferimento;
− deve essere esercitato nei confronti di entrambi i contraenti dell’atto di trasferimento con la seguente duplice valenza (1) di manifestazione di volontà di sciogliere il rapporto, nei confronti dell’alienante, e (2) di efficacia meramente informativa, nei
199 Si tenga presente al riguardo la distinzione tra avviamento oggettivo e avviamento soggettivo. Oggetto di trasferimento sarà sicuramente l’avviamento oggettivo, mentre perplessità ricorrono per quello soggettivo, data la sua inerenza alle qualità dell’imprenditore cedente. Vedi infra.
200 Trattasi di una diversità di contenuto della vicenda di circolazione dell’azienda quanto a beni, diritti, contratti e situazioni giuridiche in genere da trasferire. Si veda Cassazione 15 febbraio 1979 n. 1001.
confronti dell’acquirente. Si tratta di una condizione di validità ed efficacia del recesso;
− deve ricorrere una giusta causa201, rappresentata da qualsiasi mutamento della situazione del terzo causato dal trasferimento (organizzazione aziendale successiva al trasferimento, condizioni patrimoniali, qualità soggettive ed esecuzione prestazione dal nuovo subentrante), tale da arrecare allo stesso un pregiudizio e tale che lo stesso non avrebbe stipulato il contratto o lo avrebbe stipulato a condizioni diverse.
Il recesso in questione è un recesso in senso tecnico, come previsto ai sensi dell’art. 1373 c.c., con effetti irretroattivi202.
In aggiunta al recesso, il terzo ha sempre la possibilità di richiedere il risarcimento del danno, posta la presenza di una responsabilità dell’alienante, come esplicitamente prevista dallo stesso dettato normativo di cui all’art. 2558 secondo comma c.c.203
Quanto ai debitori ceduti è prevista la generale regola della notificazione o comunque della funzione di pubblicità conseguente all’iscrizione dell’atto di cessione nel registro delle imprese.
Quanto ai creditori, come già argomentato, la tutela è rappresentata dalla necessità del loro consenso. Sono i creditori a decidere le modalità di esecuzione del trasferimento delle situazioni debitorie, potendo essere prevista una responsabilità aggiuntiva e solidale del cedente l’azienda e dell’acquirente ovvero una responsabilità in capo ad uno di essi con liberazione rispettivamente del cedente l’azienda o dell’acquirente.
A tutela delle ragioni della seconda categoria di terzi, invece, riveste fondamentale importanza la pubblicità derivante dall’iscrizione delle vicende circolatorie nel registro delle imprese degli atti di trasferimento. In tal modo si consente ai terzi non solo di venire a conoscenza della vicenda in sé, ma altresì di apprendere l’eventuale differente attività produttiva imprenditoriale svolta mediante l’azienda ceduta.
A tal fine si auspica che i soggetti dell’operazione pongano in essere anche iniziative pubblicitarie dirette, evitando il massimo possibile il crearsi di falsi o ingannevoli affidamenti204.
6 I singoli contratti d’azienda: premessa. La circolazione dell’azienda mortis causa.
La circolazione dell’azienda può avvenire sia mortis causa che inter vivos.
Nel primo caso troveranno applicazione le norme generali in materia di successione a causa di morte.
201 Si tratta di un concetto cosiddetto relativo in quanto viene determinato in base alla concreta valutazione e rapporto tra la situazione economica e soggettiva dell’acquirente e la situazione dell’alienante. FERRARI B., op. cit., pag. 723. Cftr. XXXXXXX X., voce Azienda (diritto commerciale), cit., pag. 19.
202 Si rammenta, però, che la natura retroattiva o meno di tale recesso è ancora oggi oggetto di discussione in dottrina e giurisprudenza.
203 XXXXXXX X., voce Azienda (diritto commerciale), cit., pag. 20.
204 Si pensi alla pubblicità nei locali commerciali o nei prodotti.
La dottrina, tuttavia, si è posta in merito alcuni interrogativi circa la compatibilità della disciplina delle successioni con la disciplina in materia di cessione d’azienda.
Innanzitutto, si è posto il problema concernente la gestione dell’azienda da parte del curatore, ovvero del chiamato all’eredità, prima della divisione della comunione ereditaria, qualora l’azienda ne costituisca un componente. La dottrina maggioritaria è giunta alla conclusione per cui la gestione provvisoria da parte del chiamato all’eredità può avvenire solo nel caso in cui l’interruzione dell’attività d’impresa comporti un danno irreparabile alla stessa.
Un’altra questione attiene al divieto di concorrenza, ovvero all’individuazione del soggetto destinatario del menzionato divieto, mancando, nel caso di successione per causa di morte, un imprenditore cedente l’azienda di riferimento205. Mentre nel caso di legato206, il divieto può trovare applicazione riferito agli eredi a titolo universale oltre che ai parenti o affini del de cuius; nel caso di successione a titolo universale, invece, il divieto potrà essere riferito ai coeredi e logicamente ai parenti e affini del de cuius. Tuttavia, i soggetti, nei confronti dei quali il divieto dovrà essere applicato, non potranno che essere individuati solo alla luce del caso concreto207.
Si rammenti, inoltre, l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1330 e 1722 n. 4 c.c., dettate in maniera specifica per il caso di morte dell’imprenditore.
7 Segue La circolazione dell’azienda inter vivos.
Il trasferimento dell’azienda inter vivos, modalità di circolazione dell’azienda più diffusa, avviene a mezzo di atti di autonomia privata, sia a titolo oneroso che a titolo gratuito.
In merito, deve precisarsi che il negozio di trasferimento dell’azienda si presenta come un negozio unico, sotto il profilo causale; misto o atipico, con riferimento alla disciplina applicabile; complesso, riguardo al suo contenuto, ad effetti sia reali che obbligatori.
Se tutti gli autori concordano nel ritenere che la cessione d’azienda sia l’unica causa del negozio avente ad oggetto un determinato complesso di beni, alcuni208 ritengono si tratti di un negozio misto, altri209, invece, partendo dal presupposto che sia pressoché impossibile individuare tipologie contrattuali anche marginali nel caso di cui ci si occupa, affermano che il contratto di cessione d’azienda è un contratto atipico ai sensi dell’art. 1322 c.c.
In ogni caso, la disciplina applicabile al singolo negozio risulta composita. In parte si applica la disciplina del contratto tipico concluso, in parte si applica la disciplina dell’azienda e in parte, infine, si applica la disciplina inerente alla singola prestazione dedotta. Si deve,
205 L’imprenditore cedente è il de cuius.
206 Occorrerà non solo un legato di azienda, ma anche un legato di contratto, con riguardo ai singoli elementi costituenti la stessa.
207 Non tutti i parenti e/o affini del de cuius, chiamati o meno all’eredità, possono avere un interesse allo svolgimento di un’attività imprenditoriale.
208 Xxxxxxxxx e Ferrari in FERRARI B., op. cit., pag. 702.
209 BORTOLUZZI A., op. cit., pag. 45 ss.
tuttavia, specificare che le norme sull’azienda prevalgono sempre sulle altre norme, eventualmente applicabili.
Con riguardo al contenuto del contratto è possibile individuarne gli elementi imprescindibili, soprattutto alla luce della prassi commerciale. Contenuto minimo è, infatti, rappresentato dalla descrizione dettagliata dei beni ceduti; dalla determinazione del prezzo; dalle dichiarazioni di scienza e garanzia della cessione da parte dell’alienante; dai riferimenti alla cessione di crediti, debiti e contratti in esecuzione al tempo del trasferimento. Ulteriore elemento imprescindibile è costituito dal sistema delle garanzie sia contrattuali ( caparra confirmatoria e/o penitenziale, clausola penale) che di pagamento (fideiussione, cambiali, riserva di proprietà, deposito fiduciario).
Infine, il contratto di cessione d’azienda deve avere una forma scritta come prevista ai sensi dell’art. 2556 c.c. Con riferimento alla tipologia di forma, poi, esclusa una forma ad substantiam, si discute se si tratti di una forma ad probationem210 o di una forma cosiddetta integrativa211. Ad ogni modo, viene fatta salva la forma richiesta dal particolare contratto che viene stipulato, dipendente dalla tipologia di beni che sono ricompresi nella compagine aziendale (ad esempio, beni immobili, per i quali è richiesta la forma scritta, pena l’invalidità del contratto medesimo).
Analizzando ancora più da vicino l’oggetto del negozio di trasferimento, si può sostenere che può essere prevista sia la cessione della titolarità dell’azienda o di un suo ramo, sia la semplice concessione del solo godimento.
Tra i negozi che trasferiscono la titolarità si possono annoverare la vendita d’azienda, la permuta, il conferimento in società, la fusione e scissione di società, la cessione di azioni212.
Si prospetta, altresì, l’acquisto dell’azienda per usucapione213. In tale ipotesi si deve, comunque, evidenziare che l’acquisto avviene singolarmente e distintamente (anche con riguardo al momento del perfezionamento della fattispecie) per ciascun bene aziendale e non è, invece, ipotizzabile, un usucapione complessivo ed unitario dell’azienda, salvo l’applicazione del disposto di cui all’art. 1160 c.c., nel caso in cui l’azienda sia costituita di soli beni mobili.
Tra i negozi che trasferiscono il solo godimento si menzionano l’affitto e l’usufrutto. A tal riguardo si suole distinguere tra godimento tipico, nell’ipotesi in cui ricorra un contratto di
210 Auletta in AULETTA G., voce Azienda (diritto commerciale), cit., pag. 10. CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 162. Cfr. XXXXXXX F., Diritto commerciale. Edizione compatta, L’imprenditore. Le società, cit., pag. 41 ss. Vedi anche Cassazione 29 aprile 1965 n. 772, Cassazione 11 dicembre 1990 n. 11767. Cfr. Cassazione 21 dicembre 1962 n. 3400.
211 La forma scritta sarebbe richiesta come necessaria al fine di poter eseguire la vicenda pubblicitaria del trasferimento, che avviene mediante l’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese. XXXXXXXXXX X., op. cit., pag. 73.
212 L’acquisto dell’azienda, infatti, può avvenire sia mediante il trasferimento del complesso aziendale sia mediante acquisto delle quote della società titolare dell’azienda. In quest’ultimo caso, riveste importanza non solo il complesso aziendale, ma altresì la società titolare dell’azienda e delle quote sociali. Xxxx XXXXXXXX X., op. cit., pag. 7.
213 XXXXXXX X., voce Azienda (diritto commerciale), cit., pag. 5.
concessione, e godimento atipico, nel caso in cui la concessione del godimento, avvenga semplicemente di fatto.
Una considerazione finale merita, poi, la possibilità per l’autonomia privata di contemplare fattispecie di circolazione dell’azienda, siano esse trasferimento di titolarità o del solo godimento del complesso aziendale, ulteriori e diverse rispetto a quelle espressamente disciplinate dal legislatore.
Pacifica risulta la possibilità di un diritto d’uso dell’azienda214, di un comodato d’azienda, così come del sequestro conservativo; dubbi permangono, invece, per la configurazione di un pegno d’azienda.
Ad ogni modo, si può affermare che la possibilità di una circolazione atipica dell’azienda è ammissibile ogni volta che ricorrano interessi meritevoli di tutela come prescritto dal precetto normativo di cui all’art. 1322 c.c.
Inoltre, per ciò che concerne la disciplina applicabile, mentre nelle ipotesi di trasferimento atipico della titolarità dell’azienda si farà riferimento alla disciplina dettata in materia di vendita d’azienda, in caso di godimento atipico, invece, il riferimento è alla disciplina in materia di usufrutto e affitto d’azienda.
In questo modo si garantisce una tutela del complesso aziendale come avuto di mira dallo stesso legislatore nella normativa all’uopo prevista.
8 L’usufrutto e l’ affitto d’azienda.
L’usufrutto215 e l’affitto216 rappresentano le uniche tipologie di concessione in godimento dell’azienda espressamente previste dal legislatore. Uniche ipotesi regolamentate in maniera
214 XXXXXXX X., voce Azienda (diritto commerciale), cit., pag. 33.
215 L’usufrutto è un diritto reale limitato su cosa altrui, espressamente disciplinato all’art. 978 ss c.c.
216 L’affitto, disciplinato agli artt. 1615 ss. c.c., è quel contratto consensuale con prestazioni corrispettive ed effetti obbligatori, in forza del quale viene costituito un diritto personale di godimento a favore di un determinato soggetto. Esso si distingue dalla locazione per la natura produttiva del bene che ne costituisce oggetto. Al riguardo si citano alcune sentenze della Suprema Corte in cui si chiarisce proprio la distinzione tra affitto d’azienda e locazione di un immobile, tematica, questa, di estremo rilievo posta la differente disciplina cui vengono assoggettati i due contratti. Si afferma che “ si ha locazione di immobile quando il bene concesso in godimento venga specificamente in considerazione nella sua effettiva consistenza, con funzione prevalente rispetto ad altri beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati fra loro da un vincolo che li unifichi ai fini produttivi. Si ha affitto d’azienda quando oggetto del contratto sia il complesso unitario di tutti i beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali, concessi in godimento in quanto organizzati unitariamente per la produzione di beni o servizi” Cass. Civ. 24 ottobre 1960 n 2877, in Giur. it., 1962, I, 1, 1129. Cfr. Cass. Civ. 24 marzo 1972 n. 908; Cass. Civ. 7 ottobre 1975 n. 3178, in Giur. it.
1976, I, 1 1148; Cass. Civ. 3 luglio 1980 n. 4210; Cass. Civ. 29 maggio 1980,n. 3547; Cass. Civ. 27 gennaio 1982
n 596; Cass. Civ. 9 marzo 1982 n. 1527. Cfr. Cass. Civ. 15 marzo 2007 n. 5989 e Cass. Civ. 17 aprile 1996 n. 3627. Criteri distintivi delle due fattispecie sono stati rinvenuti nella funzione rivestita dall’immobile oggetto di cessione di godimento, nel rapporto tra l’immobile e gli altri beni oggetto di trasferimento (accessorietà o pari importanza), nella modalità di indicazione dell’oggetto del contratto di cessione del godimento (l’immobile nella sua individualità ovvero quale elemento di un complesso teleologicamente orientato al perseguimento di una determinata attività aziendale). Vedi Cass. Civ. 16 aprile 209 n. 7532.
specifica in cui si verifica la scissione tra il nudo proprietario del complesso aziendale e l’attuale ed effettivo detentore dello stesso.
La circostanza per cui il legislatore abbia optato per una disciplina in parte unitaria delle due tipologie di concessione in godimento, visto il rinvio operato dall’art. 2562 x.x., xx xxxxxxx xx xxxxxxx, xxx’xxx. 0000 x.x., xx xxxxxxx di usufrutto, rende necessaria e più agevole una trattazione unitaria delle medesime217.
Tralasciando le nozioni e definizioni delle due singole tipologie, pare necessario porre l’accento sugli obblighi specifici che sorgono in capo all’usufruttuario e all’affittuario d’azienda218.
Preliminarmente, si chiarisce che così come unico è il contratto di costituzione dell’usufrutto/affitto, altrettanto unici sono gli obblighi che discendono in capo all’usufruttuario/affittuario. Non esiste un fascio di obbligazioni quanti sono i singoli beni aziendali, ma gli obblighi sorgenti dal rapporto in questione fanno riferimento all’azienda unitariamente considerata.
Si evidenzia, inoltre, come gli obblighi219, così come determinati nell’art. 2561 c.c., sono tutti incentrati sul mantenimento costante dell’avviamento e della clientela, nella loro qualità di elementi essenziali dell’azienda, e mirano alla tutela dell’identità aziendale. Essi si estrinsecano principalmente nel potere di godimento e di disposizione dei beni aziendali.
Al pari di quanto accade in qualsiasi altra vicenda circolatoria dell’azienda, l’usufruttuario/affittuario, come sancito dall’ultimo comma dell’art. 2558 c.c., subentra nei rapporti d’impresa, nei debiti e nei crediti e nelle relative situazioni giuridiche soggettive attive e passive aziendali, pur se a carattere temporaneo, ovvero limitatamente alla durata del rapporto di usufrutto/affitto220.
Tuttavia, si rileva che la successione nei debiti, crediti e contratti avviene, in deroga alla disciplina generale in materia di cessione d’azienda, solo se espressamente prevista dalle parti ed entro i limiti convenuti. Unica eccezione è stata prevista per i rapporti di lavoro: nel caso
Si precisa, inoltre, che non trova applicazione all’affitto d’azienda la disposizione circa l’indennità di avviamento di cui all’art. 34 della Legge 392/978, che riguarda le sole locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo (uso commerciale). Si veda PRESTI G. - XXXXXXXX M., op. cit., pag. 57.
217 In merito alla disciplina applicabile si deve affermare che trovano applicazione all’affitto d’azienda le disposizioni di cui agli artt. 2557, 2558, 2556, 2112, 2562 comma 2 e 3, 1619 1618, 1015 c.c. Al contrario non saranno applicabili all’affitto d’azienda gli artt. 2560 comma 2, 2559 comma 2, 1015, 1620, 1621, 1622, 1722 n. 4 c.c., i quali, invece, verranno applicati sicuramente all’usufrutto d’azienda.
218 Si rende, però, necessario mettere in evidenza che mentre l’affitto si caratterizza per essere a prestazioni corrispettive e il diritto nascente dal contratto è un diritto personale di godimento, l’usufrutto, al contrario, comporta obblighi e prestazioni per il solo usufruttuario e il diritto che lo stesso consegue è un diritto reale limitato di godimento.
219 Più che di obblighi, la dottrina maggioritaria discorre di doveri e poteri dell’usufruttuario e/o affittuario.
220 Un autore precisa che in caso di affitto la sostituzione soggettiva in debiti, crediti e contratti avvenga in forza delle disposizioni generali e non sulla base della disciplina in materia di circolazione d’azienda. NASTRI
M. P., L’affitto di azienda, in I quaderni della fondazione italiana per il notariato, Gruppo Sole 24 ore, 1/2010.
in cui l’azienda concessa in godimento comprenda anche rapporti di lavoro con dipendenti e/o lavoratori autonomi, l’usufruttuario/affittuario vi subentra ai sensi dell’art. 2112 c.c.221
A ogni buon conto, è necessario fare alcune precisazioni.
In primo luogo, sono presenti orientamenti divergenti in seno alla dottrina con riferimento alla sorte dei crediti in caso di affitto d’azienda.
Parte della dottrina esclude che la disciplina dettata dall’art. 2559 c.c. possa essere estensivamente applicata all’ipotesi di affitto dell’azienda. Tali autori222 ritengono allora che i crediti aziendali non passino automaticamente in capo all’affittuario dell’azienda, ma soltanto in conseguenza della notifica o dell’accettazione di quest’ultimo. In altre parole troverebbe applicazione la disciplina generale di cui agli artt. 1260 - 1267 c.c.: l’accordo tra cedente e cessionario ha effetto solo tra le parti, sino a quando non vengono adempiute le formalità previste dalla legge nei confronti del debitore ceduto.
Altra parte della dottrina sostiene, invece, l’applicabilità all’affitto della medesima disciplina prevista per l’usufrutto223.
In secondo luogo, si evidenzia che non ricorre in capo all’usufruttuario/affittuario alcuna responsabilità per i debiti precedenti alla costituzione del rapporto di usufrutto o di affitto.
L’opinione maggioritaria della dottrina e della giurisprudenza224 esclude un’applicazione estensiva dell’art. 2560 c.c. alle fattispecie che trasferiscono soltanto il godimento dell’azienda.
È necessario, tuttavia, segnalare anche una posizione dottrinaria minoritaria225, secondo la quale i debiti aziendali sarebbero regolati dalla medesima disciplina sia in caso di cessione dell’azienda sia in caso di affitto o usufrutto dell’azienda.
221 La Cassazione ha, infatti, sostenuto che, ai fini dell’applicazione della disciplina imperativa disposta dall’art. 2112 c.c., si considera “trasferimento d’azienda” anche la restituzione dell’azienda dall’affittuario all’affittante alla scadenza del contratto, purché quest’ultimo utilizzi i beni in funzione dell’attività di cui gli stessi sono strumento. Tale disciplina, sempre secondo la Cassazione, si applica anche laddove l’affittante, senza soluzione di continuità, sostituisca all’affittuario un nuovo soggetto nell’esercizio della stessa attività. Cfr. Cass. Civ. 7 luglio 0000 x. 0000, xx XXXX, 0000, XX, 000; Cass. Civ. 21 maggio 2002 n. 7458 in NGL, 2002, 64. Vedi BUFFA F. - DE XXXXX X.., Il lavoratore nel trasferimento di azienda, Halley Professionisti, 2006, pag. 115. Anche COSTA C., L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, UTET 2008, pag. 572, in cui si dice che “non rileva la retrocessione dell’azienda all’originale proprietario, laddove questi, per effetto di una successiva vicenda circolatoria, ne affidi la gestione temporanea ad altro soggetto, ciò in quanto l’eventuale spazio temporale non implicherebbe alcuna variazione organizzativa nell’utilizzo del complesso dei beni organizzati in funzione dell’esercizio dell’attività, cui essi erano, originariamente, destinati”.
222 Così XXXX XXXXXXXX R.-DE CANDIA G.-DE XXXX X., Il leasing azionario, su aziende e su marchi. Strumenti innovativi per il finanziamento delle imprese e per il made in Italy, Edibank, 2006, pag. 82.
223 Due sono le argomentazioni a sostegno di questo orientamento: in primo luogo, il generale rinvio alla disciplina dell’usufrutto d’azienda previsto dall’art. 2562 c.c.; in secondo luogo, la previsione per il contratto di affitto, come per l’usufrutto, dell’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese. X. XXXXXXXX X., op. cit., pag. 162 ss.; XXXXXXX, Diritto privato, Cedam, Padova, 1994; XXXXXXX G., op. cit., pag. 1281.
224 Vedi per tutti COLOMBO G. E., L’azienda, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia diretto da Xxxxxxx, XXX, Xxxxxx, 0000, pag. 284. Per la giurisprudenza Cass. Civ. 3 aprile 2002 n. 4726; Cass. Civ. 20 giugno 2000 n. 8363, in Il fall., 2001, 650.
225 Così FERRARA F. XX, La teoria giuridica dell’azienda, Xxxxxxx, 0000. XXXXXXXXX, Subingresso nel contratto e cessione d’azienda, in Giur. compl. Cass. Civ., 1946, II, 2, pag. 640 ss.
In terzo luogo, si rileva come in giurisprudenza e in dottrina226 si propende per un’interpretazione estensiva della disposizione dell’art. 2558 c.c. e, pertanto, si riconosce all’affittuario la successione nei contratti afferenti all’azienda e all’affittante o meglio al concedente, dopo l’estinzione del contratto di affitto, il subentro nei contratti sinallagmatici e non ancora interamente eseguiti, stipulati dall’affittuario nel corso della sua gestione. Una tale conclusione si ricaverebbe indirettamente altresì dal terzo comma dell’art. 2558 c.c., che applica le disposizioni dei commi precedenti, in tema di successione nei contratti, pure nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario, ma per la sola durata dell’usufrutto e dell’affitto227.
Occorre, però, dar conto di una tesi, fondata su un’isolata e risalente pronuncia della Cassazione228, secondo la quale, invece, l’affittante - concedente alla scadenza del contratto di affitto non subentrerebbe nella titolarità dei contratti conclusi dall’affittuario.
Infine, salvo espressa pattuizione delle parti di senso contrario, l’usufruttuario/affittuario risponde delle obbligazioni, di qualsiasi natura esse siano (contrattuali, extracontrattuali, crediti e debiti puri), che lo stesso contragga personalmente durante la gestione dell’azienda per tutto il periodo di durata del rapporto di godimento della stessa.
Quanto ai singoli obblighi si rinvia, per la loro trattazione, a quanto si dirà nello specifico nella parte riservata al leasing d’azienda229.
Tuttavia, qualora l’usufruttuario/affittuario non adempia agli obblighi sinora esposti il rapporto si estingue e trova applicazione il disposto di cui all’art. 1015 c.c.
La cessazione del rapporto di usufrutto o affitto comporta la retrocessione dell’azienda, la reintegrazione della compagine aziendale, se depauperata, i conguagli per le eventuali variazioni e/o miglioramenti apportati durante il periodo di durata della concessione in godimento.
Oltre a ciò, è previsto un divieto di concorrenza a carico del nudo proprietario. Se non espressamente previsto nel negozio di cessione del godimento, il divieto trova applicazione ai sensi dell’art. 1374 c.c.
Parte della dottrina230, inoltre, prevede il rispetto del divieto di concorrenza con riferimento all’azienda concessa in godimento anche a carico dell’usufruttuario/affittuario.
È discusso, infine, se all’usufruttario/affittuario spetti o meno un compenso per gli eventuali miglioramenti e/o incrementi aziendali.
226 XXXXXXXX D. V., op. cit., pag. 121 ss.; GRECO P., Corso di Diritto Commerciale, Impresa-Azienda, Seconda ed., Milano, 1975, pag. 344; XXXXXXXX G. – XXXXXXX X., L’imprenditore, cit., pag. 662 ss. Così anche Corte App. Bologna 23 settembre 1999, inedita; per la giurisprudenza più risalente, x. Xxxx. Civ. 29 gennaio 1979 n. 632, in Foro It., 1979, I, 1818; Cass. Civ. 14 febbraio 1979 n. 969, in Mass., 1979, 251.
227 Sul punto e sulle problematiche ad esso connesse, X. XXXXXXX, Cessazione del contratto di affitto di azienda e successione nei contratti da parte del locatore, in Giur. it., 2004, pag. 1204.
228 Vedi ancora Xxxx. Civ. 29 gennaio 1979 n. 632, nella quale la Suprema Corte ha negato la successione dell’affittante nei contratti stipulati dall’affittuario in caso di cessazione anticipata del contratto.
229 Vedi infra. In ogni caso le spese per la manutenzione del compendio aziendale e il costo del logorio dei singoli beni aziendali sono a carico dell’usufruttuario/affittuario.
230 COTTINO G., Diritto Commerciale, cit., pag. 262.
Secondo alcuni autori231 si potrebbe ipotizzare un compenso ex art. 985 c.c., da valutarsi mediante un’analisi dell’avviamento. Il compenso, però, è subordinato alla prova che ricorrano dei miglioramenti rispetto al momento costitutivo del rapporto, che gli stessi siano imputabili all’attività svolta dall’usufruttario/affittuario e che rientrino in quei miglioramenti definiti come indennizzabili.
Ad ogni buon conto, si ricorda che l’affitto e l’usufrutto possono essere sia a carattere temporaneo che a carattere perpetuo, a seconda delle esigenze del concedente, e che l’affitto d‘azienda richiede sempre la forma scritta ad probationem232.
Ad integrazione di quanto prescritto negli artt. 2561 e 2562 c.c., disciplina a carattere derogatorio, trovano, poi, applicazione, nello specifico, le disposizioni di cui agli artt. 981, 997, 998, 1005, 1006, 1009, 1015233, 1615, 1624 c.c.
231 Vedi NASTRI M. P., op. cit.
232 Secondo un autore la forma scritta svolge una finalità di mera pubblicità e opponibilità ai terzi. Vedi NASTRI M. P., op. cit.
233 Tale disposto normativo non trova applicazione nel caso di affitto di azienda.
Capitolo V
Il leasing d’azienda: configurabilità.
Sommario: 1 Introduzione al leasing d’azienda; - 2 Sulla configurabilità astratta di un leasing d’azienda; - 3 Segue. La configurabilità del leasing d’azienda secondo la dottrina e la giurisprudenza; - 4 Segue. La configurabilità del leasing d’azienda secondo la dottrina e la giurisprudenza straniera; - 5 Sulla configurabilità astratta del leasing di beni immateriali; - 6Sulla configurabilità concreta del leasing d’azienda e di beni immateriali.
1 Introduzione al leasing d’azienda.
Dopo aver analizzato separatamente sia il contratto di leasing sia l’azienda e le sue vicende circolatorie, occorre concentrare l’attenzione sulla possibilità di configurazione di un contratto di leasing d’azienda. Tematica di grande attualità e oggetto di disputa dottrinale e giurisprudenziale, soprattutto vista l’atipicità della fattispecie.
Si rende, pertanto, necessario verificare, attraverso un giudizio di compatibilità tra l’azienda e il contratto di leasing, se sia possibile per l’azienda essere oggetto di un contratto di leasing, soprattutto alla luce della presunta tipicità dei modi di circolazione della stessa. Nel caso di risposta positiva, occorrerà esaminare le prospettive applicative, sia sotto il profilo della disciplina applicabile sia sotto il profilo dell’incidenza che, dall’utilizzo di una siffatta fattispecie negoziale, possa conseguire rispetto all’azienda, con riferimento all’aspetto prettamente economico e a quello fiscale.
Problematiche, tutte, che si pongono con riguardo soprattutto alla concezione di azienda come universitas e quindi come complesso dotato di beni sia mobili che immobili, sia materiali che immateriali.
Preliminarmente, occorre vagliare per linee generali, la possibilità di una configurazione del leasing d’azienda, distinguendo tra il profilo astratto e il profilo concreto di una tale operazione negoziale.
In realtà, se non sorge alcun dubbio circa la configurabilità strettamente normativa, data l’ampia derogabilità delle norme sull’azienda e la stessa atipicità del contratto di leasing, problemi si pongono sul lato pratico, considerata sia la complessità del bene azienda e/o beni immateriali sia la presenza di centri d’interesse differenti.
Xxxxxxx, dunque, esaminare tale operazione negoziale, a partire dall’analisi, nel dettaglio, di tali due aspetti.
2 Sulla configurabilità astratta del leasing d’azienda.
In primo luogo, si rileva come il legislatore ha previsto una disciplina scarna in materia di azienda tanto che le uniche ipotesi di circolazione, espressamente disciplinate, sono
rappresentate dalla cessione della titolarità, mediante vendita, e dalla cessione in godimento, mediante affitto e usufrutto.
Scelta legislativa che si presta a varie interpretazioni.
Si può, infatti, ritenere che la circostanza per cui vengano disciplinate espressamente ed esclusivamente tali due modalità comporti che la circolazione d’azienda sia denotata da tipicità: il godimento dell’azienda può essere oggetto di circolazione solo mediante affitto e usufrutto, non ritenendosi ammissibili altre e diverse forme di circolazione.
Tuttavia, l’assenza di una qualsiasi norma che disponga la tipicità delle modalità di circolazione, così come l’assenza di una qualsiasi disposizione che vieti forme differenti da quelle disciplinate, deporrebbe a favore di una possibile configurazione di modalità atipiche di circolazione del godimento dell’azienda.
Le fattispecie previste sono solo “modelli guida” per l’autonomia privata nella determinazione della disciplina tipica dell’azienda. Il legislatore, considerata la complessità dell’istituto in questione, ha voluto semplicemente mettere in chiaro che l’azienda, qualora circoli, anche con riguardo al solo godimento, deve essere sottoposta a determinate regole a garanzia dei terzi e della certezza dei rapporti aziendali.
Tale affermazione (seconda interpretazione) trova sostegno nella disciplina di cui all’art. 1322 c.c., che sancisce il principio per cui l’autonomia privata è libera di provvedere alla creazione di tipologie contrattuali differenti da quelle tipiche purché nel rispetto della disciplina generale e sempre che l’operazione sia tale da poter essere ritenuta meritevole di tutela. Meritevolezza di tutela che sottintende che l’assetto negoziale predisposto sia sorretto da interessi riconosciuti tali dall’ordinamento, interessi posti nel rispetto dei principi dell’ordinamento non solo prettamente di matrice civilistica234.
La configurabilità di un leasing d’azienda, dunque, stante l’assenza di una base normativa più specifica, deve essere valutata proprio alla luce dell’art. 1322 c.c.
Ebbene, il leasing, anche qualora abbia ad oggetto un’azienda, rinviene comunque la sua causa giustificativa, come ormai ampiamente riconosciuto dalla dottrina e giurisprudenza dominante235, nella causa di finanziamento.
Un tale profilo causale è ampiamente ammesso nel nostro ordinamento.
Nessuna norma di senso contrario sancisce la nullità di una causa di finanziamento. Xxxx è pacifica sia la previsione di contratti di finanziamento, tra i quali si menziona lo stesso mutuo, sia lo stesso riconoscimento del leasing, oggigiorno dotato di tipicità quantomeno sociale.
234 È meritevole di tutela quell’interesse che non possa essere considerato illecito, dunque contrario alle norme imperative, al buon costume e all’ordine pubblico.
235 Cottino in CAGNASSO O., COTTINO G., I contratti commerciali, in COTTINO G., Trattato di diritto commerciale, Cedam, 2000, vol IX. Vedi CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 70 e Caselli e Mottura in CASELLI G., op. cit., pag. 218 e 220. Vedi anche Cass. civ. 4367/1997. Un autore considera il leasing come contratto di finanziamento con garanzia reale. Ferri in CAVAZZUTI F., op. cit., pag. 3. Cfr. Baccigalupi, Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx in CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, cit., pag. 28 ss.
Si pensi, inoltre, che qualora il leasing d’azienda venga utilizzato al fine di consentire la crescita ovvero lo sviluppo o il sorgere di nuove attività imprenditoriali, lo stesso contratto di leasing d’azienda sarebbe da considerarsi meritevole di tutela ai sensi dello stesso disposto costituzionale in materia di iniziativa privata.
L’art. 41 della Costituzione, infatti, tutela l’iniziativa economica privata. Unico limite è rappresentato dalla non contrarietà all’utilità sociale ovvero dal fatto che si tratti di iniziative economiche che non pregiudichino e quindi non arrechino danno alla sicurezza, libertà e dignità umana.
La causa di finanziamento del leasing ben si mostra compatibile, poi, con una logica imprenditoriale di costi-benefici, utili-perdite, quale quella dell’impresa in cui lo stesso si troverà ad operare.
Con la stipulazione di un contratto di leasing, difatti, l’imprenditore ottiene un notevole risparmio di risorse finanziare necessarie alla costituzione di un complesso aziendale, oltre che una riduzione di incombenti finanziari ed economici da non sottovalutare. In questo modo si agevola anche il sorgere di nuove attività imprenditoriali. Le medesime considerazioni devono essere estese poi all’ipotesi di imprenditori che necessitino di un’azienda per l’esercizio esclusivamente temporaneo dell’attività d’impresa, di breve e/o medio periodo. Quanto all’imprenditore che ha necessità di dismettere la propria azienda, oltre i vantaggi economici e fiscali di cui sopra, lucrerà sicuramente il vantaggio di una pronta o comunque non difficile allocazione dell’azienda sul mercato, così come si risparmierà le lungaggini di ciò e il periodo di stallo dell’azienda stessa. Inoltre, in tale ipotesi viene garantita all’azienda, ancora una volta, una qualche sua utilità economica e del suo valore se ne gioverà senz’altro l’Utilizzatore che vi subentra.
Secondariamente, deve tenersi in considerazione la natura atipica del contratto di leasing e, di conseguenza, la sua flessibilità, il suo agevole adattamento a qualsiasi interesse particolare delle parti, la sua possibilità di contemplazione di qualsiasi bene, finanche l’azienda.
Oggetto di leasing, infatti, può essere qualsiasi bene: non solo un bene mobile o immobile, ma, si ritiene, anche le universalità di beni.
Ulteriormente, si rammenta che il leasing è nato come contratto d’impresa e, più precisamente, come contratto per il finanziamento dell’impresa e, solo successivamente, è stato esteso ad altre ipotesi, quali il leasing al consumo. Tanto ciò vero che soggetti principali dell’operazione sono imprenditori e lo stesso bene deve essere strumentale all’attività d’impresa svolta dall’Utilizzatore.
Tali requisiti, ovverosia il soggetto imprenditore, l’esistenza di un’azienda e la strumentalità del bene, oggetto di leasing, con l’attività svolta dall’Utilizzatore, vengono perfettamente rispettati nel caso di leasing d’azienda.
Xxxxxx, soggetto interessato ad un godimento di un’azienda è sicuramente rappresentato da un imprenditore, a prescindere dalla circostanza per cui lo stesso sia una persona fisica o giuridica (qualsiasi tipologia di società). Inoltre, come si evince dallo stesso dettato dell’art. 2555 c.c., l’azienda non è altro che un complesso di beni organizzati per lo svolgimento di un’attività d’impresa; ed ecco la strumentalità dell’azienda all’attività svolta dall’Utilizzatore .
In terzo luogo, prendendo ora come punto di riferimento l’azienda, si afferma che elemento a sostegno della configurabilità del leasing è rappresentato dalla circostanza per cui, generalmente, colui che utilizza l’azienda per una propria attività imprenditoriale non necessariamente è titolare del diritto di proprietà dell’azienda o di tutti i suoi beni, potendo in capo a lui, invece, risultare solamente un semplice diritto di godimento sui beni.
Ebbene, con il leasing d’azienda l’Utilizzatore - imprenditore ottiene un diritto di godimento sul complesso aziendale (ovvero un diritto d’uso dello stesso). Non solo, l’Utilizzatore consegue anche la facoltà o diritto di acquistare l’azienda al termine del godimento, mediante esercizio dell’opzione di acquisto.
Non si comprende, quindi, quale differenza intercorra tra un imprenditore che abbia i singoli beni in godimento in forza di tutta una serie di singoli e specifici contratti, dall’imprenditore che, invece, acquista il diritto di godimento dell’intero complesso aziendale in forza di un unico contratto di leasing.
Oltretutto, la compatibilità con il leasing non può venir meno neanche riferendosi alla circostanza per cui l’azienda necessiti di un imprenditore di riferimento unico e fisso. L’azienda ha una vita indipendente sia dall’imprenditore che dall’impresa fino a che mostri o conservi una qualche utilità d’uso.
Quanto ad eventuali problematiche di regolamentazione dell’operazione negoziale, si consideri che non esiste un’unica norma di circolazione dell’azienda, ma la disciplina risulta alquanto composita. Trovano, infatti, applicazione non solo le disposizioni di cui all’art. 2555 ss. c.c., ma anche la disciplina propria del tipo contrattuale utilizzato dalle parti, la disciplina convenzionale pattuita, la disciplina particolare afferente a ciascun bene facente parte del complesso aziendale. Xxxx, solo in caso di dissonanza tra le varie discipline, troverà applicazione indiscussa la regolamentazione dell’azienda, ma pure in tale ipotesi non viene meno la possibilità per le parti di disporre forme di circolazione atipiche, posta la natura derogabile della disciplina.
Dunque, al leasing d’azienda troveranno applicazione sia la disciplina di cui agli artt. 2555
c.c. sia la disciplina del leasing, il tutto previa verifica di compatibilità. Si badi bene che ogni volta che le due discipline risultino tra loro compatibili e integrabili non si pone alcun problema di circolazione atipica dell’azienda. Viceversa, si avrà una prevalenza della disciplina dell’azienda in caso di problemi di compatibilità, ma ciò non influisce sulla configurabilità di un leasing d’azienda, posta la stessa natura atipica della fattispecie contrattuale.
Si evidenzia, però, come la natura particolare e complessa dell’azienda, considerando anche la sua mutevolezza nel tempo, da una parte, la peculiarità del contratto di leasing, dall’altra parte, e la diversità di interessi che rilevano (interessi dell’azienda, dell’Utilizzatore e della Società di Leasing ), dall’altra parte ancora, conducono ad affermare che sia impossibile un’applicazione pedissequa della disciplina dell’azienda e pertanto è necessaria una vera e propria commistione di discipline.
Tuttavia, la configurabilità del leasing d’azienda è pressoché pacifica se il leasing viene configurato come fattispecie a formazione progressiva, e dunque scomposto in una locazione con eventuale successiva vendita (in caso di esercizio del diritto di opzione).
In tal modo non si pone più alcun problema neanche con riferimento alla tipicità o atipicità dei modi di circolazione d’azienda e alla conseguente determinazione della disciplina applicabile. Al leasing d’azienda verranno applicate la disciplina dell’affitto d’azienda, come prevista all’art. 2259 c.c., e la disciplina della vendita d’azienda, come prevista dagli art. 2555 ss. c.c.
Si badi bene che una tale compatibilità può ravvisarsi anche a livello terminologico. Infatti, la denominazione italiana del contratto di leasing è individuata in “contratto di locazione finanziaria”. E sempre a tal fine si tenga presente che tra locazione e affitto ricorre un rapporto di genus a species, la cui differenza è rappresentata esclusivamente dalla tipologia di oggetto del contratto. Nel primo caso, un qualsiasi bene, mobile o immobile, nel secondo caso, un immobile.
Infine, sempre in tale ottica, una breve considerazione deve essere dedicata alla possibilità di vagliare una compatibilità del leasing con l’azienda alla luce della tipologia del leasing - usufrutto. Tematica, però, molto discussa in dottrina e difficilmente accolta ed applicata stante la diversità delle situazioni giuridiche e della struttura delle due fattispecie236.
In conclusione, alla luce di quanto sinora esposto e argomentato, pare potersi affermare con sicurezza un’astratta configurabilità del contratto di leasing con riguardo all’azienda.
3 Segue. La configurabilità del leasing d’azienda secondo la dottrina e la giurisprudenza.
A supporto delle sopra riportate riflessioni sulla possibile configurazione del leasing d’azienda, si rende necessario vagliare la posizione della dottrina e della giurisprudenza in merito.
Ebbene, salvo qualche posizione minoritaria discordante, dottrina e giurisprudenza si mostrano unanimi nel ritenere possibile una circolazione d’azienda mediante la fattispecie atipica del leasing.
236 Il leasing usufrutto non è altro che quel contratto di natura periodica che ha ad oggetto la cessione dell’usufrutto di un bene. Si tratterebbe di una sorta di usufrutto atipico che consentirebbe l’applicazione del leasing all’azienda facendo riferimento alla disciplina dettata dal legislatore per l’usufrutto d’azienda. Tuttavia, si evidenzia come i due istituti sono tra loro incompatibili quanto a presupposti e ad effetti. Infatti, mentre l’usufrutto è un diritto reale di godimento su cosa altrui, il leasing, invece, prevede la costituzione di un diritto personale di godimento. Inoltre il diritto di usufrutto costituto a favore di un soggetto non può essere oggetto di cessione a favore di terzi come accade invece per il diritto conseguente alla costituzione di un rapporto di leasing. Stante detta incompatibilità quindi il leasing usufrutto sarebbe una fictio iuris. Oltretutto una tale previsione costituirebbe una violazione del principio di tipicità dei diritti reali e il conseguente contratto di leasing usufrutto configurerebbe una specie di contratto in frode alla legge. In conclusione deve escludersi una tale costruzione applicativa. Si veda al riguardo CLARIZIA R., Il cosiddetto leasing usufrutto, in Riv. It. Leasing, 1986, pag.457. LA TORRE M. R., Un precipitato storico: il leasing usufrutto, in Riv. It. Leasing, 1989, fasc. 2, pag. 449 ss.
Argomenti a sostegno vengono individuati sia nell’atipicità del leasing sia nel potere riservato dall’ordinamento all’autonomia privata nella regolamentazione dei propri interessi sia nel giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., ponendo, in ogni caso, in rilievo l’analisi dell’effettiva volontà delle parti.
Alcuni autori237 evidenziano, inoltre, come il leasing d’azienda non configuri altro che un’ipotesi di scissione della proprietà dal godimento, rientrante perfettamente nei poteri del proprietario di disporre del proprio bene in conformità ai propri interessi e bisogni come discende dall’art. 822 c.c.
Si pone anche in evidenza come l’azienda, nonostante la sua complessità, è suscettibile di valutazione economica, può costituire oggetto di proprietà privata, ed è il bene strumentale all’esercizio dell’impresa per antonomasia; pertanto, sembra possibile risolvere positivamente il problema della ammissibilità giuridica di un contratto di locazione finanziaria d’azienda.
Degna di nota è, poi, la tesi238 secondo la quale il leasing d’azienda sarebbe configurabile se considerato come fattispecie contrattuale progressiva e bifasica. Si afferma, infatti, che “si realizza una doppia fase di circolazione del bene: la prima, che vede come effetto l’acquisto dello stesso da parte del Concedente (Società di Leasing) contro corrispettivo, che in nulla si differenzia da una normale compravendita, se non per la consegna diretta all’Utilizzatore e la traslazione convenzionale a suo carico dei rischi inerenti sia i vizi che il perimento del bene, ed una seconda, costituita, per l’appunto, dall’operazione di leasing, con la quale l’Utilizzatore acquisisce solo un diritto personale di godimento contro un canone, situazione che può tramutarsi nell’acquisizione definitiva solo in via eventuale e a seguito di una libera unilaterale manifestazione di volontà da parte sua”239.
Oltre a ciò, si asserisce che il leasing deve necessariamente essere esaminato sotto “una duplice prospettiva: o quella meramente effettuale, secondo la quale nella fase iniziale del rapporto il contenuto del diritto dell’Utilizzatore in nulla differisce da quello dell’affittuario, mentre nella fase successiva ed eventuale egli acquista la proprietà piena , trovandosi nell’identica situazione del compratore, onde dovrebbero essere applicate prima le norme che regolano l’affitto dell’azienda e poi quelle che ne disciplinano l’alienazione, in successione diacronica, o quella funzionale, che qualifica, in relazione al tasso di consumabilità del bene, l’operazione di leasing come contratto traslativo o come contratto di godimento, con la conseguenza di far applicare la disciplina dell’alienazione o quella dell’affitto in maniera alternativa o successiva”240.
Quanto alla posizione della giurisprudenza, sia di merito che della Corte di Cassazione, si rileva come la scarsa applicazione nella prassi ha dato luogo alla mancanza di pronunce in tal senso. Si rinviene solo qualche pronuncia che, solo de relato, si riferisce a detta struttura negoziale241.
237CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pag. 160 ss e pag.
374.
238MARTORANO F., il Leasing d’azienda, in Banca borsa titoli di credito, n. 1, gennaio febbraio 2010. Cfr.
PLASMATI M., Il leasing d’azienda, in Contratto e Impresa, 2007, pag. 578 ss.
239 XXXXXXXXX F., op. cit., pag. 2.
240 XXXXXXXXX F., op. cit., pag. 2.
241 Si vedano le seguenti pronunce.“L'acquisto di un immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria da parte del concessionario non può considerarsi cessione dell'azienda di cui l'immobile faccia eventualmente parte” Corte d’Appello di Roma 03 febbraio 2000. Ancora, “Nel corso della procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, e prima dell'omologazione del concordato medesimo, la possibilità del giudice delegato di autorizzare atti di disposizione, secondo la
4 Segue. La configurabilità del leasing d’azienda secondo la dottrina e la giurisprudenza straniera.
La configurabilità del leasing d’azienda si ricava persino alla luce del dato comparatistico.
Nella stragrande maggioranza dei paesi di civil e common law è ammessa e regolamentata una tale tipologia di operazione negoziale242.
Invero, l’ordinamento spagnolo, ha espressamente previsto il leasing d’azienda, con o senza opzione di acquisto per l’Utilizzatore243.
Anche l’ordinamento francese244 ritiene ammissibile una tale operazione negoziale seppur risulta di rara applicazione a seguito degli alti rischi connessi, tra i quali assume maggior importanza il rischio di non successiva allocazione dell’azienda nel mercato245.
previsione dell'art. 167 comma 2 l. fall., deve essere esclusa con riguardo ai contratti che implichino la definitiva perdita dei beni del debitore, non anche, pertanto, con riguardo ai contratti di vendita di prodotti o scorte, ovvero ai contratti inerenti alla utilizzazione degli immobili e degli impianti dell'azienda, che non ne sottraggano la titolarità al debitore, ma siano rivolti ad assicurare la continuazione dell'attività produttiva (leasing).” Cass. Civ., sez. I, 15 gennaio 1985 n. 64.
242 Per maggiori riferimenti si veda CREMONESE A., Il leasing in Francia, in Contratto e Impresa/Europa, 2004; FRIGNANI A., La locazione finanziaria negli ordinamenti di civil e common law, in Riv. It. Leasing, pag. 19 ss.; XXXXXXXXX M., Le crédit – bail (leasing) en Europe: développement et nature juridique, Paris, Librairies techniques, 1980; HARICHAUUX-RAMU M., Le transfer de garanties dans le crédit bail mobilier, in Rev. Trim. Droit comm., 1978, pag. 209 ss.; SBISA’ G. e VELO D., La giurisprudenza sul leasing in Europa, in Collana di diritto ed economia diretta da Velo D., Università degli studi di Pavia, Xxxxxxx Editore, 1983.
243 Ley 25.248 e art. 3.2 LAU de 1994. XxXX VALLEDEPAZ J., XXXX XXXXXXX A., El arrendamiento de empresa y su aplicaciòn en entornos economicos de alta incertidumbre, online; Contratto de arrendamiento de empresa, in xxxx://xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx. Vedi pure AGIFE, El arrendamiento de empresa, in xxxx://xxxxxxxxxx.xxxxx.xx. Cfr. Arrendamiento de empresa, industria o negocio, in xxxx://xxxxx-xxxxxxxx.xxx. XXXXXXXXX X. X. X., La empresa y los negocios juridicos sobre la empresa, in Introduccion al derecho mercantil a cura dell’Universidad de les Illes Balears, Campus Extens, online.
000 XXXXXXXX X., Xxxxxx-xxxx immobilière, in Répertoire commercial Dalloz; 2000. ID., Crédit-bail mobilière, in Répertoire commercial Dalloz; 2000. CREMONESE X., op. cit.; XXXXXXXXX M., op. cit.
245 Si rileva, infatti, che «L'utilisation du crédit-bail en ce domaine soulève en effet de nombreuses difficultés. D'une part, il s'agit d'un bien dont la valeur dépend essentiellement de sa bonne exploitation par le commerçant ou l'artisan. D'autre part, le régime légal de cette forme de crédit-bail n'est attrayant, ni pour le crédit-bailleur, ni pour le crédit-preneur. La valeur d'un bien d'équipement ou d'un immeuble est en principe indépendante de l'activité de son utilisateur. S'il est vrai que celui-ci peut détériorer le bien, cette attitude est en pratique assez rare car l'utilisateur du bien loué en est l'acquéreur potentiel. C'est pourquoi le droit de propriété procure une sécurité suffisante au crédit-bailleur d'un matériel ou d'un immeuble loué, en cas de non-paiement des loyers. Il en va différemment lorsqu'il s'agit d'un fonds de commerce. Celui-ci ne produit des revenus et ne conserve sa valeur que s'il est bien exploité. L'incurie ou le manque d'habileté du commerçant risque donc de réduire à néant la valeur du fonds. Le crédit-bailleur est ainsi totalement soumis aux aléas de la gestion du fonds par le crédit-preneur. Le droit de propriété ne lui confère aucune sécurité en cas de non-paiement des loyers d'autant moins que cette garantie sera en pratique mise en œuvre à un moment où le fonds aura perdu sa valeur. Ce sera notamment le cas lorsque le non-paiement des loyers n'est qu'un aspect de la cessation des paiements à l'origine d'une procédure de redressement ou de liquidation judiciaires de l'entreprise. En outre, en cas de restitution du fonds, le crédit-bailleur devra soit continuer l'exploitation et, conformément à l'article L. 122-12 du code du travail, reprendre les contrats de travail en cours, soit mettre le fonds en location-gérance ou consentir un nouveau contrat de crédit-bail. Ces deux dernières solutions seront néanmoins difficiles à mettre en oeuvre dès lors que la restitution du fonds aura souvent été causée par la faible rentabilité de celui-ci. […] le crédit-bail sur fonds de commerce, non seulement ne présente aucun avantage fiscal notable, mais, de plus, il rend le crédit-bailleur solidaire d'une partie des dettes contractées par le crédit-preneur pour l'exploitation du fonds. Aucun établissement financier ne propose donc de tels contrats à ses clients, sauf, peut-être, à titre exceptionnel. En fait, seuls les établissements financiers prenant la forme d'une SICOMI auraient pu proposer des contrats de crédit-bail pour le financement global d'un fonds de commerce et de l'immeuble commercial dans lequel ce fonds est installé, à condition que l'ensemble de l'opération puisse bénéficier du régime
Nel dettaglio, sia il terzo comma dell’art. 1 della Loi 2 luglio 1966 n. 66 e seguenti modificazioni sia il terzo comma dell’art. L. 313-7 del Code Monetaire et Financier246 (1) prevedono la possibilità di un leasing finanziario d’azienda, pur se limitatamente ai fonds du commerce et établissements artisanaux, ma escludono il lease-back per motivi legati al divieto di patto commissorio; (2) prevedono una responsabilità solidale della Società di Leasing con l’Utilizzatore per ciò che concerne i debiti contratti nell’interesse dell’azienda entro, però, il limite temporale dei sei mesi successivi alla stipulazione del contratto247. (3) Inoltre, la Società di Leasing è responsabile delle passività fiscali dell’Utilizzatore. Ancora, (4) l’Utilizzatore assume su di sé il rischio connesso alla gestione dell’azienda; (5) il diritto d’opzione, che può essere strutturato anche come promessa unilaterale di vendita della Società di Leasing, può essere fatto oggetto di cessione; (6) la Società di Leasing può riservarsi il diritto di vendita. Inoltre, (7) la disciplina è quella dell’affitto d’azienda (location-gérance), previo giudizio di compatibilità. Infine, (8) il leasing d’azienda può essere congeniato come leasing di azioni248 attraverso la creazione di una cosiddetta società di comodo249.
Modalità applicative del leasing, simili a quelle previste nell’ordinamento francese, si rivengono sia in Germania sia nei paesi angloamericani, pur se pare assente un qualche riferimento espresso al leasing d’azienda250.
Si rileva, tuttavia, che si tratta di un’operazione negoziale altamente rischiosa per tutti i soggetti coinvolti, tanto da essere scarsamente applicata nella prassi contrattuale straniera.
fiscal de faveur accordé à l'époque à ces sociétés». In tal senso XXXXXX R. N., Crédit-bail, in Enc. Dalloz, 2012. A ciò si aggiunga che non è prevista alcuna garanzia, salvo la possibilità per le parti di costituire un’ipoteca sui beni aziendali.
246 Si riporta il testo delle due citate disposizioni, che così recita: «Les opérations de location de fonds de commerce, d'établissement artisanal ou de l'un de leurs éléments incorporels, assorties d'une promesse unilatérale de vente moyennant un prix convenu tenant compte, au moins pour partie, des versements effectués a titre de loyers, a l'exclusion de toute opération de location a l'ancien propriétaire du fonds de commerce ou de l'établissement artisanal». Per maggiori precisazioni si veda AA. VV., Commentaire Code Monétaire et Financier, Dalloz, 2013.
247 In tal senso si veda l’art. L 144 – 7 Code de Commerce.
248 Si veda il quarto comma dell’art. 1 della Loi 2 luglio 1966 n. 66 e seguenti modificazioni.
249 Si veda, per esempio, la c.d. SICOMI, società di comodo creata e che opera nell’ambito del leasing immobiliare.
250 GIOVANOLI M., op. cit. XXXXXX R. - MOTTURA P. - XXXXXXX X., Leasing 80’, Xxxxxxx Editore, 1977, pag. 34 ss. XXXXXXX X., Il leasing moderna tecnica di finanziamento delle imprese, Milano, Pirola Editore, 1980. GALIMBERTI G. M., Il leasing industriale e il leasing immobiliare, Xxxxxxx Editore, 1983, pag. 24. CALOME F., Xxxxx cenni sui profili comparatistici in tema di locazione finanziaria immobiliare, in Riv. It. Leasing, 1987, pag. 000 xx. XX XXXX X., Xx Sale and Purchaise agreement: un contratto commentato, Giappichelli Editore, Torino, 2011. BERLINGUER A., Finanziamento e internazionalizzazione di impresa, Giappichelli editore, Torino, 2007. SBISA’
G. e VELO D., La giurisprudenza sul leasing in Europa, in Collana di diritto ed economia diretta da Velo D., Università degli studi di Pavia, Xxxxxxx Editore, 1983.
5 Sulla configurabilità astratta di un leasing di beni immateriali.
Accertata la possibile configurabilità del leasing con riferimento all’azienda nella sua complessità, occorre ora analizzare nel dettaglio la possibile configurabilità di tale fattispecie in riguardo alla tipologia dei beni immateriali.
Ci si interroga, in particolare, se sia possibile prevedere una concessione in godimento temporaneo nelle forme del leasing anche per tale categoria di beni, sia congiuntamente che disgiuntamente dall’azienda, data la loro peculiarità di entità incorporali.
Sicuramente, non risulta possibile una scissione dell’azienda in sede di circolazione, tale da escludere dalla medesima i beni immateriali. Si tratta di beni afferenti all’azienda, che ne seguono le vicende circolatorie; beni inscindibili dal complesso aziendale, in quanto il loro valore può essere compreso solo in forza del legame esistente con l’azienda stessa.
Dalla loro inscindibilità dal complesso aziendale discende perciò la loro compatibilità a formare oggetto di un contratto di leasing congiuntamente all’azienda.
Il nostro ordinamento, inoltre, prevede la possibilità di una titolarità giuridica disgiunta da quella economica251, ed è lo stesso legislatore che, con riguardo a determinati beni immateriali, sancisce una disciplina ad hoc per la circolazione anche individuale del loro godimento mediante la costituzione di un rapporto giuridico, denominato licenza.
Infatti, il Codice della proprietà industriale e la Legge sul diritto d’autore prevedono la libera circolazione di marchi, diritti nascenti da invenzioni, opere dell’ingegno e know-how, la quale risulta condizionata esclusivamente al requisito della forma scritta e alla necessità di apprestare una tutela nei confronti dei terzi252. In particolare, l’art. 23 del Codice della proprietà industriale sancisce che la circolazione del marchio deve essere tale da garantire la liceità dell’uso effettuato o da effettuare e la riferibilità dello stesso a beni simili o uguali a quelli riferibili al cedente, tale da rendere necessaria la determinazione di una finalità d’uso del segno distintivo.
251 Art. 22 Legge marchi.
252 Art. 23 e 63 Codice della proprietà industriale e art. 107 Legge diritto d’autore. Si riporta di seguito il testo delle richiamate disposizioni. “Art. 23. Trasferimento del marchio 1. Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali e' stato registrato.2. Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali e' stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari. 3. Il titolare del marchio d'impresa può far valere il diritto all'uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata; al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza e' concessa, al territorio in cui il marchio può essere usato o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati dal licenziatario. 4. In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico. Art. 63. Diritti patrimoniali 1. I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di essere riconosciuto autore, sono alienabili e trasmissibili. 2. Il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all'autore dell'invenzione e ai suoi aventi causa”.
Regime eccezionale è solo quello afferente alla ditta e all’insegna. L’art. 2565 c.c. sancisce la trasferibilità della ditta unitamente all’azienda e sempre che risulti il consenso dell’alienante. L’insegna, invece, segue sempre il trasferimento dell’azienda, anche nel silenzio della volontà delle parti. Ma se il leasing è configurabile per l’azienda, nessun problema si pone per la sua estensione anche al trasferimento della ditta e dell’insegna.
Appare dunque indubbia una configurazione del leasing di beni immateriali anche disgiunta dal complesso aziendale in cui sono inseriti, salvo qualche eccezione (ditta, insegna).
Unici requisiti richiesti sono la potenziale esistenza di un’utilità futura, la trasferibilità253 e la misurabilità254.
Ulteriore conferma si rinviene, poi, nella diffusa fattispecie contrattuale del leasing di azioni255, variamente applicato nella moderna realtà commerciale, così come del leasing di marchio256 e del leasing di software.
Oltre a ciò, la possibilità di una configurazione del leasing avente ad oggetto beni immateriali è contemplata anche dalla dottrina sia italiana257 che straniera258.
253 Ovvero l’assenza di divieti normativi e fattuali.
254 Ossia la suscettibilità di una stima del valore.
255 Con il leasing di azioni l’Utilizzatore acquista il godimento temporaneo di tutta una serie di diritti amministrativi e patrimoniali così come previsti nel contratto. Le parti e, in particolare, la società, hanno la possibilità di limitare i diritti trasferibili all’Utilizzatore , da valutare in base alle esigenze sociali e alla caratteristiche proprie dell’Utilizzatore stesso. Spettano, comunque, in esclusiva all’azionario concedente il diritto di voto, il diritto sui dividendi e il diritto di opzione.
256 Il leasing di marchio si caratterizza per il dovere dell’Utilizzatore di usare il marchio in modo non ingannevole per i terzi, nel rispetto di alcuni canoni d’uso prestabiliti, e per la presenza di un potere di controllo in capo al concedente, il quale, accertata l’inidoneità dell’uso non giustificata, ha la possibilità di far rivivere il proprio diritto di esclusiva, beneficiando di ogni possibilità d’uso sussistente in capo all’Utilizzatore. Si veda al riguardo TRIGOGNA X., op. cit., pag. 437 ss.
257 TRIGOGNA R., op. cit., pag. 379 ss. XXXXXXXXX V., La locazione finanziaria, cit. XXXXXXXX X. XXXXX L., Xxxx materiali e immateriali, Ammortamento Leasing Affitto d’azienda, in Temi di Reddito d’impresa diretto da
X. Xxxxxxxx, Ipsoa, 2008. XXXXXXXXX X., Leasing di beni immateriali, in Quaderni Assilea, pag. 6. Xxxxxxxx, Di Xxxxxxx in TRIGOGNA R., op. cit., pag. 394. XXXXXX X., La locazione finanziaria di beni immateriali tra vuoti legislativi e interpretazione analogica, in Rassegna Tributaria, 2002, I, pag. 614 ss. Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, cit. Tale ultimo autore afferma che non è possibile configurare un leasing di beni immateriali in quanto questi non possono essere ricompresi all’interno della nozione di bene di cui all’art. 810 c.c. In senso contrario, XXXX XXXXXXXXX, Il leasing di programmi per elaboratore elettronico, in Riv. It. Leasing, 1987, pag. 49 ss., il quale afferma che i beni immateriali, per come sono congeniati, possono essere concessi solo in godimento, senza possibilità di previsione di un’opzione di acquisto successivo. Infatti, osserva l’A., in primo luogo, i beni immateriali sono soggetti a un continuo mutamento tanto da non risultare possibile una cessione diversa da quella temporanea, data l’indeterminatezza dell’oggetto dell’eventuale contratto di cessione; in secondo luogo ,essi sono caratterizzati dalla riproducibilità, tale che l’Utilizzatore può sempre estrarne una copia, senza bisogna di acquistarlo.
258 Si veda al riguardo quello spagnolo. Nell’ordinamento francese, invece, nonostante la previsione di cui al Code Monetarie e financier e alla Loi 66 – 455 (prima citate), il leasing di beni immateriali, oltre che scarsamente praticato, è molto discusso in dottrina e giurisprudenza. Si afferma, infatti, con specifico a determinate ipotesi
«La possibilité de "crédit-bailler" un logiciel est controversée (V. E.-X. Xxx, Le financement des logiciels : Gaz. Pal. 1985, 2, doctr. p. 396. - X. Xxxxxx et X. Xxxxx, Droit de l'informatique : JCP E 1988, II, 15093). Le droit d'auteur ne fait pas l'objet du contrat. Seul le droit d'utilisation du logiciel peut être crédit-baillé (Cass. com., 27 janv. 1998 : RJDA 1998, n° 673, p. 487.
- CA Bourges, 28 mars 2000 : JurisData n° 2000-117565). Concevable, le crédit-bail d'actions n'est pas très développé (C.
Un autore, in particolare, afferma che “la costruzione di un’operazione leasing riguardante beni immateriali costituisce un problema di ordine esclusivamente contrattuale, di sapiente previsione delle clausole negoziali, di rispetto della legislazione speciale che interessa specificatamente quei beni” 259.
Un altro autore sostiene che “un bene immateriale può formare oggetto di un contratto di locazione finanziaria in quanto lo stesso viene acquisito in proprietà della società di leasing , la quale è, pertanto, titolare di diritti assoluti, validi erga omnes, e non di una semplice concessione d’uso”260.
Dunque, traslando il discorso appena svolto con specifico riferimento al leasing d’azienda, si può affermare che l’Utilizzatore acquista il diritto di godimento dei beni immateriali compresi nell’azienda (ditta, marchio, insegna, know how etc.)261o meglio delle utilità derivanti dagli stessi per un certo periodo di tempo. Utilità che consistono nell’incremento o decremento dell’attività imprenditoriale dallo stesso svolta. Solo al termine del leasing, l’Utilizzatore avrà la possibilità di acquistare un diritto di esclusiva sul bene immateriale stesso, sempre che ricorra il consenso espresso non solo della Società di Leasing, ma anche del venditore - Fornitore.
Quanto alla disciplina applicabile, oltre alle considerazioni svolte e da svolgere sulla circolazione dell’azienda in generale e mediante leasing, alle quali si rinvia, si fa riferimento a quella dettata in materia di licenza d’uso.
L’Utilizzatore sarà tenuto verso la Società di Leasing nei limiti e con le modalità previste per il licenziatario e, pertanto, secondo quanto già esposto e sancito dagli artt. 23 e 63 del Codice della proprietà industriale.
Un cenno conclusivo deve essere, poi, riferito alla cessione in leasing dell’avviamento.
Si rammenti, infatti, che l’avviamento, bene aziendale immateriale, deve essere mantenuto costante durante tutto il periodo di godimento in leasing e ciò non può avvenire senza una sua cessione all’Utilizzatore (ecco allora l’inscindibilità con l’azienda) e senza una cessione degli altri beni immateriali, tutti tra loro correlati.
La cessione d’azienda e la sua concessione in godimento comporta, quindi, anche la cessione dell’avviamento.
Sicuramente sarà trasferito all’Utilizzatore l’avviamento oggettivo e lo stesso, incrementato o diminuito, sarà oggetto della successiva retrocessione, posto che costituisce parte portante e integrante l’azienda e dalla stessa inscindibile.
Dubbi sussistono, invece, per quanto riguarda l’avviamento soggettivo.
In merito, si può affermare che esso è insito nella stessa cessione dei segni distintivi aziendali, essendo ricondotti ad un determinato imprenditore e alle sue qualità di gestione aziendale e produttiva.
Tuttavia, come contemperare l’avviamento soggettivo con il divieto di concorrenza, con la tutela dei terzi e con l’eventuale interesse del Fornitore a riottenere l’azienda?
Xxxxx et X.-X. Xxxx, Le crédit-bail d'actions : RD bancaire et bourse 1994, n° 42, p. 57)». In tal senso LEGEAIS D., Crédit-bail mobilier, in SCP Com., 2012, pag. 371 ss. Cfr. XXXXXX R. N., op. cit.
259 XXXXXXXXX X., op. cit., pag. 6.
260 CARRETTA A., DE XXXXXXXXX X., op. cit., pag. 162.
261 Vedi supra.
Se l’avviamento soggettivo non si cede, l’azienda viene trasferita con un valore minore e potrebbe subire gli effetti di una concorrenza indiretta e non voluta dal Fornitore.
Se l’avviamento soggettivo viene trasferito si creano, però, problemi di tutela dei terzi, i quali possono esser tratti in inganno per aver confidato nelle qualità personali dell’imprenditore-Fornitore, che, magari, in sede di attività imprenditoriale, non sono più garantite dall’Utilizzatore .
Si badi bene che, in ogni caso, la cessione dell’avviamento soggettivo dell’imprenditore Fornitore, costituente avviamento derivato, sommato all’avviamento soggettivo originario dei vari Utilizzatori, consente un maggiore e più sicuro mantenimento costante dell’avviamento complessivo, se non anche un suo incremento, ritenendo, pertanto, necessaria una sua cessione.
6 Sulla configurabilità concreta del leasing di azienda e del leasing di beni immateriali.
Sia l’azienda che i beni immateriali possono essere oggetto di un contratto di leasing.
Tuttavia, sul lato della concreta fattibilità sorgono problematiche di non scarso rilievo, in ragione della natura dell’operazione, dei soggetti e dei beni coinvolti.
L’operazione di leasing è esclusivamente un’operazione di finanziamento, incontro di centri di interesse differenti: da un lato, l’interesse dell’Utilizzatore al godimento del bene senza una distrazione considerevole di risorse economiche proprie, con la possibilità, in un futuro, più o meno prossimo, di acquisto del compendio aziendale e/o dei beni immateriali; dall’altro lato, l’interesse della Società di Leasing all’attività di finanziamento, ad ottenere l’integrale restituzione delle somme cedute e anticipate a favore dell’Utilizzatore e ad essere tenuta indenne da qualsiasi vicenda afferente al bene concesso in leasing.
La Società di Leasing, infatti, pur partecipando all’operazione esclusivamente come intermediario finanziario, si espone a rischi considerevoli, come in caso di inadempimento o di insolvenza dell’Utilizzatore, ovvero del Fornitore - cedente: la Società di Leasing rischierebbe, in questi casi, di trovarsi costretta a pagare i debiti anteriori alla locazione finanziaria e quelli relativi alla gestione aziendale dell’Utilizzatore, i debiti nei confronti dei dipendenti, eventuali debiti fiscali, spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e canoni di locazione ordinaria ancora dovuti dall’Utilizzatore insolvente.
Ma anche al di fuori di queste ipotesi “patologiche”, si pongono comunque dubbi e problemi laddove l’Utilizzatore, come è sua facoltà, non eserciti l’opzione di riscatto alla scadenza del contratto e non acquisti, quindi, la proprietà dell’azienda. La Società di Leasing, mero intermediario finanziario, si troverebbe, a questo punto, proprietaria di un complesso o di un ramo aziendale da gestire, sebbene tale attività gestionale esuli certamente dal suo oggetto sociale: la Società di Leasing non ha alcun interesse a svolgere l’attività imprenditoriale in un settore diverso da quello finanziario.
Senza contare, poi, la necessità di apprestare una qualche forma di tutela nei confronti dei terzi, i quali si trovano di fronte ad un’alternanza gestionale.
Né l’Utilizzatore, e tanto meno la Società di Leasing, si assumono il rischio d’investimento, ovvero il rischio che, successivamente al termine del leasing, non riuscendo in una successiva allocazione nel mercato del compendio aziendale e/o dei beni immateriali, lo stesso debba essere gestito, utilizzato, conservato.
Difatti, l’azienda rimane tale pur se inutilizzata, ma costituisce pur sempre un peso per il suo titolare quanto a debiti e rapporti pendenti di vario genere.
Inoltre, ritenendo applicabile al leasing dei beni immateriali la disciplina della licenza d’uso, l’art. 45 della Legge sul marchio stabilisce che, al termine della licenza, se il marchio non viene ceduto o comunque utilizzato entro un lasso di tempo pari a cinque anni lo stesso decade. Manca in questo caso anche una tutela minima. Addirittura il leasing di beni immateriali risulterebbe controproducente e svantaggioso.
Ma c’è di più. Se la Società di Leasing non è garantita dal rischio di investimento, difficilmente è propensa ad eseguire un tale tipo di operazione negoziale e ciò in considerazione soprattutto della complessità di tali beni e della loro rapida mutevolezza nel tempo. Si ricordi che la Società di Leasing ha una funzione di pura intermediazione e di erogazione di un finanziamento.
Non sempre, poi, sarà possibile un intervento “riparatore” del Fornitore, posto che, generalmente, la vendita dell’azienda o di un suo ramo è finalizzata ad una dismissione definitiva della stessa.
E’, allora, indispensabile prevedere sia strumenti idonei ad evitare che la Società di Leasing, rientrata nella disponibilità del complesso o del ramo aziendale, si trovi costretta a una gestione diretta dello stesso, sia meccanismi che, in generale, rendano meno rischiosa e meno onerosa l’operazione per tutti i soggetti coinvolti, e per la Società di Leasing, in particolare, nel caso in cui uno o più soggetti dell’operazione non riescano a far fronte agli impegni contrattuali assunti. Occorre, pertanto, procedere a valutare quali possibili rimedi possono essere adottati al fine di rendere effettivamente praticabile una tale operazione negoziale dai profili economici non indifferenti.
Ebbene, l’operazione negoziale deve essere rafforzata sia nel momento esecutivo che nel momento finale (scadenza termine finale di efficacia).
Il contratto di leasing deve essere sempre corredato di una fideiussione, con riferimento alle obbligazioni contratte dall’Utilizzatore sia verso la Società di Leasing che verso terzi, e di un’assicurazione, connessa ai vari rischi aziendali (gestione, diminuzione valore azienda)262. Grazie a tali due patti, infatti, la Società di Leasing si assicura da eventuali insolvenze dell’Utilizzatore e da eventuali danni che potrebbero essere cagionati all’azienda. Non solo, ma tali patti accessori, oltre alla funzione classica svolta nel tradizionale contratto di leasing, potrebbero essere utilizzati anche con riguardo alle obbligazioni derivanti dalla gestione dell’azienda. Una fideiussione potrebbe essere prestata da parte, per esempio, del gestore o curatore dell’operazione, di cui si dirà più avanti, soggetto nuovo e tipico del leasing d’azienda.
Oltre a ciò, potrebbe prevedersi l’inserimento in contratto di clausole penali per rafforzare la responsabilità dell’Utilizzatore e di una pattuizione convenzionale circa la determinazione
262 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento spagnolo.
del livello di responsabilità dell’Utilizzatore in merito all’esecuzione del contratto di leasing e alla gestione dell’azienda (ci si auspica anche per colpa lieve).
Di fondamentale importanza si mostrano, poi, sia l’attività istruttoria preliminare alla stipulazione del contratto, sia i controlli periodici e analitici durante tutta l’esecuzione del rapporto negoziale.
Oltre a ciò, a tutela della Società di Leasing concessionaria, la quale eroga il finanziamento, si ritiene necessaria la previsione di un cosiddetto “periodo di stabilità”, ossia di un periodo in cui l’Utilizzatore non può recedere dal contratto di leasing o esercitare l’opzione di acquisto. Detto periodo deve essere determinato in modo che la Società di Leasing veda garantito se non altro l’ottenimento del rimborso del finanziamento erogato al momento della stipulazione del contratto.
Per quanto concerne il momento finale, ovvero la situazione che si crea successivamente alla scadenza del termine finale del rapporto di leasing, ci si interroga sulle modalità per prevenire i possibili rischi di investimento, contemperando gli interessi di tutte le parti del rapporto, e sulla successiva sorte dell’azienda e/o dei beni immateriali.
Sicuramente la soluzione più logica e vantaggiosa, è quella secondo la quale l’Utilizzatore eserciti l’opzione263 di acquisto, divenendo il proprietario del compendio aziendale.
Al fine di limitare al massimo il rischio di non esercizio dell’opzione, le parti potrebbero convenire la determinazione del prezzo di opzione al momento del suo esercizio sulla base dell’effettivo valore dell’azienda, oppure un prezzo di opzione simbolico. In ogni caso, dovrà essere stabilito un canone mensile e un maxicanone di importo maggiore264 o comunque tali, complessivamente, da coprire l’importo del finanziamento erogato dalla Società di Leasing. L’azienda deve essere acquistata per il 90% mediante la corresponsione del canone periodico.
In tal modo si paleserebbe per l’Utilizzatore una sorta di obbligo di fatto di acquisto dell’azienda e/o dei beni immateriali concessi in godimento.
Parimenti, un obbligo di acquisto in capo all’Utilizzatore potrebbe essere previsto nel caso in cui, a seguito della sua gestione, l’azienda sia divenuta in perdita e quindi per nulla cedibile a terzi265.
In tale ultima ipotesi, però, se, da un lato, si responsabilizza maggiormente l’Utilizzatore nella gestione aziendale, dall’altro lato, è altamente probabile che lo stesso, data l’aleatorietà dell’attività d’impresa e dell’intera operazione, desista dalla stipulazione di un dato contratto.
Sempre in tale prospettiva, potrebbe prevedersi in capo all’Utilizzatore l’obbligo di indicare un suo sostituto in caso di mancato esercizio dell’opzione. I criteri di scelta del sostituto devono essere predeterminati in accordo con la Società di Leasing: il subingresso dovrà avvenire con il consenso della Società di Leasing e previo svolgimento di una breve ma
263 Si veda anche l’art. 9 della Convenzione UNIDROIT sul leasing finanziario internazionale, Ottawa 26 maggio 1988.
264 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento tedesco, spagnolo. SBISA’ G. e VELO D., op. cit. XxXX VALLEDEPAZ J., XXXX XXXXXXX X., op. cit.
265 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento tedesco.
mirata istruttoria in merito alle capacità organizzative, di gestione e finanziarie del sostituto. L’Utilizzatore rimarrà comunque responsabile per eventuali scelte inadeguate266.
Qualora non venga esercitata l’opzione di acquisto e quindi condizionata sospensivamente al mancato esercizio della stessa, soprattutto quando ricorrano i presupposti di ciò in itinere del contratto, potrebbe essere contemplato un diritto di vendita dell’azienda a terzi da parte della Società di Leasing, previa corresponsione all’Utilizzatore di un’indennità per la perdita del godimento, qualora ciò avvenga ante termine267. Il diritto di vendita a terzi, infatti, può essere paralizzato solo dall’offerta di esercizio dell’opzione di acquisto da parte dell’Utilizzatore.
Tali soluzioni, però, non fanno altro che potenziare le probabilità di esercizio dell’opzione o comunque di allocazione nel mercato dell’azienda.
Quindi come evitare ulteriormente che l’azienda rimanga sotto la titolarità e responsabilità della Società di Leasing?
Nelle more di un’allocazione a terzi, potrebbe essere prevista una semplice delega temporanea di gestione nei confronti dell’Utilizzatore. Un sorta di godimento gratuito dell’azienda da parte dell’Utilizzatore uscente, al fine di garantire una qualche continuità. Godimento gratuito (o con compenso per l’Utilizzatore ) che avrà luogo sino al momento in cui venga stipulato un nuovo contratto di leasing. Finanche questa soluzione è pur sempre temporanea e per nulla soddisfacente. Occorre valutare, infatti, se l’Utilizzatore ha ancora un qualche interesse alla prosecuzione della gestione aziendale. Si pongono, poi, problemi di arricchimento dell’Utilizzatore e degli effetti della gestione da lui svolta.
In aggiunta, si potrebbero attribuire poteri gestionali di mera conservazione del compendio aziendale in capo alla Società di Leasing. Ciò, però, sarebbe contrario alla stessa natura del contratto di leasing e all’oggetto della Società di Leasing.
Nella stessa ottica, è possibile prevedere un nuova figura. Una sorta di curatore o gestore di azienda che interviene, dietro compenso della Società di Leasing, nella gestione e conservazione dell’azienda in medio tempore, tra un leasing e un altro. Gli atti del curatore saranno limitati però a meri atti di conservazione del compendio aziendale come rilasciato dall’Utilizzatore. Tutte le situazioni giuridiche di tale periodo saranno imputate al curatore e quindi all’azienda. Ciò però imporrebbe costi maggiori (compenso curatore) difficilmente sostenibili da parte di una Società di leasing.
Si puntualizza che sarebbe meglio provvedere ad una personificazione dell’azienda, quale soggetto di diritti e obblighi, mediante la previsione di una specie di autonomia patrimoniale.
266 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento inglese e americano sia nel c.d. sale and purchaise agreement sia nel pickle leasing (in cui è prevista l’ulteriore opzione di replacemnt leasing). DE NOVA G., Il Sale and Purchaise agreement: un contratto commentato, cit., pag. 80 ss. Sul pickle leasing si veda CARRETTA A., DE LAURENTIS G., op. cit., pag. 373.
267 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento francese, tedesco e spagnolo e americano. Si veda XXXXXX X., MOTTURA P., XXXXXXX A., op. cit., pag. 4 ss. XXXXXXX G., op. cit., pag. 32 ss. XXXXXXXXXX G. M., op. cit. XXXXXXXXX M., op. cit. SBISA’ G. e VELO D., op. cit. XxXX VALLEDEPAZ J., XXXX XXXXXXX X., op. cit.
La Società di Leasing e l’Utilizzatore potrebbero pure convenire un mutamento del rischio del leasing268. Il rischio di investimento potrebbe essere accollato all’uno o all’altro soggetto, a seconda del tipo di azienda e di gestione determinata e a seconda delle capacità personali economico gestionali dei due.
Tuttavia, si tratta di una soluzione che rimarrebbe impraticata poiché nessuna delle parti è in grado di assumersi il completo rischio di investimento.
Si potrebbe pure congeniare un leasing d’azienda come leasing convenzionato con erogazione da parte della Società di Leasing di un doppio finanziamento: uno verso l’Utilizzatore e l’altro verso il Fornitore, iniziale proprietario dell’azienda.
È possibile anche la previsione di un semplice patto di riacquisto in capo al Fornitore.
Dette soluzioni, seppur consentano una sicura riallocazione del compendio aziendale e/o dei beni immateriali, sono difficilmente applicabili in concreto. L’imprenditore – Fornitore, salvo abbia esigenze temporanee di finanziamento, non ha interesse a riacquistare l’azienda precedentemente trasferita.
Tuttavia, si pensi alle ipotesi di trasferimento di un solo ramo d’azienda o alla sospensione temporanea dell’attività imprenditoriale, nelle quali sovente è presente in capo all’imprenditore - Fornitore un interesse all’ottenimento del finanziamento (prima) e al riacquisto dell’azienda (dopo). In questo modo, la Società di Leasing venderà l’azienda al Fornitore e, nel caso in cui si ripresenti l’occasione di un nuovo contratto di leasing, provvederà, solo in tale momento, alla stipula di un nuovo contratto di acquisto di un’azienda dallo stesso o da un altro imprenditore. In tale ottica, potrebbe anche darsi luogo a una sorta di regolamentazione dei rapporti tra Società di Leasing e imprenditore Fornitore mediante un patto di esclusiva, una convenzione avente ad oggetto una pluralità di contratti di leasing (in questo modo il Fornitore lucrerà sull’azienda) oppure una convenzione di leasing
– vendita a carattere periodico tra Società di Leasing e Fornitore. Il tutto dovrà avvenire sotto il rigido controllo delle caratteristiche soggettive e oggettive dei vari soggetti intervenienti. L’alternanza degli Utilizzatori dovrà essere sottoposta sempre e necessariamente al vaglio critico della Società di Leasing, che dispone il finanziamento di tutta l’operazione.
Altra soluzione potrebbe essere la creazione di una comunione d’azienda269.
Ulteriormente, potrebbe propendersi per la creazione di una società ad hoc270 per ciascuna operazione di leasing. Società ad hoc o di comodo alla quale la Società di Leasing partecipa con
268 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento tedesco. In tal senso si veda SBISA’ G. e VELO D., op. cit.
269 CINTIOLI F., X’XXXXX X., XXXXXXXX F., XXXXXXX D., I trasferimenti di azienda, coordinato da Xxxxxxxx F., appendice tributaria di Buccisano A., Milano, Xxxxxxx Editore, 2000, pag. 189 ss.
270 Riferimenti ad un tale soluzione si rinvengono nell’ordinamento francese, tedesco e spagnolo. Si veda XXXXXX X., MOTTURA P., XXXXXXX A., op. cit., pag. 4 ss. XXXXXXX G., op. cit. pag. 32 ss. GALIMBERTI
G. M., op. cit. XXXXXXXXX M., op. cit. SBISA’ G. e XXXX D., op. cit.. RI’OS VALLEDEPAZ J., XXXX XXXXXXX A., op. cit. Soluzione simile è offerta anche dall’ordinamento inglese e americano, oltre che dal diritto internazionale. Si prevede una sorta di locazione collegata ad un trust e a contratti di finanziamento dell’operazione (accanto al contratto di locazione si instaura un trust e l’operazione viene finanziata da finanziatori e/o investitori esterni). In tal senso CARRETTA A., DE LAURENTIS G., op. cit., pag. 363. Cfr. XXXXXXXXX M., op. cit.
quota azionaria maggioritaria. La cessione del godimento dell’azienda è trasferita all’Utilizzatore mediante cessione di quote sociali. Se l’Utilizzatore non acquista l’azienda, la partecipazione azionaria viene retrocessa alla società ad hoc, la quale continua nella sua gestione in qualità di proprietaria effettiva, unitamente o disgiuntamente alla Società di Leasing (a seconda che la partecipazione della Società di Leasing venga mantenuta o ceduta alla società di comodo che ne rimane unico titolare). In questo modo, non si verifica alcuna situazione di stallo dell’azienda, vengono tutelati tutti i soggetti dell’operazione e persino i terzi coinvolti dalle vicende aziendali, posto che la creazione di una società di comodo deve esser fatta oggetto di adeguata pubblicità. Al riguardo potrebbe essere utile la creazione di un trend e/o regolamento aziendale, come verrà prospettato nel prosieguo del presente lavoro271.
Tuttavia, detta soluzione si mostra troppo dispendiosa e per questo di difficile applicazione. Si rendono, infatti, necessarie nuove ed ulteriori risorse e soggetti disposti alla costituzione di società provvisorie con compiti di gestione e assunzione di tutti i rischi d’impresa e d’azienda.
Ultima, ma più importante, soluzione, in quanto più consona rispetto a tutti gli interessi rilevanti all’interno dell’operazione di leasing d’azienda, potrebbe essere la previsione, sin dalla stipulazione del leasing, di una cessione dell’azienda ad un terzo, denominato Garante dell’operazione.
Un soggetto che, sin dal momento perfezionativo dell’operazione, assuma su di sé le funzioni di controllo dell’operazione negoziale di leasing e di intervento nella gestione dell’azienda a garanzia di terzi (Società di Leasing e altri terzi coinvolti dai rapporti aziendali) e che acquisti l’azienda in situazioni di criticità (inadempimento dell’Utilizzatore, fallimento, scioglimento anticipato e così via), subentrando in tutti i rapporti aziendali. Una garanzia atipica che eviti il c.d. rischio d’investimento e consenta comunque una continuità nell’esecuzione dell’attività aziendale e nello svolgimento dei rapporti aziendali. Ma di questa soluzione verrà detto nel dettaglio nel proseguo del presente lavoro272.
Ad ogni modo, si precisa che una tale previsione, diffusa nella prassi contrattuale commerciale, consente una tutela sia dell’azienda che dei beni immateriali, contemperando tutti gli interessi presenti nell’operazione negoziale di leasing d’azienda (Società di Leasing, Fornitore, Utilizzatore).
271 Vedi infra.
272 Vedi infra.
Capitolo VI
Il leasing d’azienda: struttura e problematiche
Sommario: 1 Il leasing d’azienda: nozione e elementi. Profili strutturali oggettivi; - 2 Segue La determinazione del canone di leasing. Rinvio; - 3 Segue. Il patto di opzione; - 4 Segue. Il patto di riacquisto; - 5 Il contratto di leasing: profili soggettivi. Il Fornitore; - 6 Segue Il Concedente o Società di Leasing ; - 7 Segue. La figura dell’Utilizzatore; - 8 Brevi cenni all’attività istruttoria e alla due diligence; - 9 Segue La valutazione dell’azienda; - 10 Disciplina applicabile. Profili generali; - 11 Segue. La successione nei contratti; - 12 Segue La successione nei crediti; - 13 Segue La successione nei debiti; - 14 Segue Il divieto di concorrenza; - 15 Segue Le autorizzazioni amministrative; - 16 Le vicende del leasing d’azienda; - 17 Leasing d’azienda e fallimento; - 18 Il regime del leasing d’azienda al decorrere del termine finale di efficacia; - 19 La retrocessione: struttura; - 20 Segue La retrocessione: effetti; - 21 Segue L’immissione del possesso e lo status dell’azienda nelle more tra la retrocessione e il nuovo contratto di leasing. Rinvio; - 22 Leasing d’azienda e tutela dell’operazione negoziale: la figura del Garante dell’operazione; - 23 Segue La natura giuridica della figura del Garante dell’operazione; - 24 Leasing d’azienda, alternanza gestionale dell’azienda e tutela dei terzi: la creazione di un regolamento di utilizzo dell’azienda; - 25 Profili contabili e fiscali del leasing d’azienda.
1 Il leasing d’azienda: nozione e elementi. Profili strutturali oggettivi.
Vagliata a grandi linee la configurabilità astratta e concreta del contratto di leasing d’azienda, occorre ora analizzare, nello specifico, la compatibilità di tali due istituti, procedendo all’esame dei singoli aspetti e peculiarità.
Come si è detto, il leasing d’azienda non è altro che quel rapporto negoziale in forza del quale un soggetto, denominato Concedente o lessor, concede ad un altro soggetto, denominato Utilizzatore o lessee, il godimento di un’azienda o di un ramo273 di essa, dietro il pagamento di un corrispettivo, denominato canone, e con diritto di opzione d’acquisto dell’Utilizzatore da esercitarsi alla scadenza del contratto e previa corresponsione di un prezzo definito in base ad un predeterminato numero di canoni.
Oggetto del contratto è rappresentato dall’azienda o da un suo ramo, e quindi da un insieme di beni tra loro teleologicamente relazionati verso l’esercizio di un’attività d’impresa274.
In primo luogo, l’azienda può essere fatta oggetto di leasing solo nell’eventualità in cui venga intesa in maniera unitaria (universitas iuris). In caso contrario, infatti, si pone l’interrogativo circa la configurabilità di un leasing ad oggetto multiplo oppure di una stipulazione di una pluralità di contratti di leasing collegati tra loro; ciò che rileva è che venga,
273 La possibilità che soltanto un ramo dell’azienda sia oggetto del contratto consente di separare aree dell’azienda non sinergiche e a diversa redditività, isolando così eventuali rami in perdita, la c.d. bad branch. Ecco un altro motivo che condurre alla stipulazione del contratto di leasing.
274 Cass. Civ. 17 aprile 1996 n. 3627, in Mass.. 1996. Cass. civ. 25 ottobre 2002 n. 14647, in Diritto e Giustizia,
2002, f. 40, pag. 79. Cons. di Stato 20 dicembre 2001 n. 6318, in Foro Amm., 2002, pag. 118.
comunque, mantenuta una qualunque unitarietà funzionale275. Prospettive, entrambe, che non paiono incontrare nell’ordinamento nessun ostacolo di previsione e applicazione. Unica problematica è esclusivamente quella di natura prettamente pratica afferente ad un inutile dispendio di risorse.
In secondo luogo, l’azienda concessa in godimento deve essere compatibile e strumentale con l’attività imprenditoriale svolta dall’Utilizzatore. Non è sufficiente che oggetto del leasing sia un complesso di beni definibile tale, ma è necessaria una verifica concreta della compatibilità dell’azienda con l’effettiva attività imprenditoriale svolta dall’Utilizzatore: non tutte le aziende sono compatibili con tutte le attività imprenditoriali276.
Infine, si rileva come parte della dottrina277 afferma la necessità di una determinazione analitica del complesso aziendale mediante un’indicazione precisa e dettagliata di tutti i beni che lo costituiscono e che, pertanto, vengono concessi in godimento con il contratto di leasing. Ciò rendendosi necessario al fine di consentire una delimitazione certa del contenuto sia del diritto del riscatto da parte della Società leasing al termine del contratto sia del diritto di opzione di acquisto da parte dell’Utilizzatore, oltre a rendere possibile una valutazione dell’adempimento delle obbligazione contrattuali da parte dell’Utilizzatore (si pensi, per esempio, al caso dell’alienazione di beni e all’obbligo di reintegrazione del patrimonio aziendale).
Determinazione analitica che, per alcuni autori278, deve essere effettuata soprattutto con riferimento ai beni immateriali: in mancanza di una loro espressa indicazione, gli stessi non vengono concessi in godimento a titolo di leasing assieme all’azienda in quanto non costituenti beni giuridici in senso stretto ai sensi dell’art. 810 c.c., salvo il caso della ditta, per la quale la circolazione congiunta all’azienda o ad un suo ramo è prevista dalla legge. Le medesime considerazioni vengono estese anche a quei beni, quali eventuali concessioni o autorizzazioni amministrative, che, necessitando dell’attività di terzi soggetti (la Pubblica Amministrazione), prevedono, ai fini della loro circolazione, il sorgere di una mera obbligazione in capo al Concedente (Società di Leasing), che non può che essere fatta oggetto di un’espressa pattuizione contrattuale.
Tuttavia, si afferma279 che l’azienda si trasferisce in base al solo contratto di leasing ed è determinata facendo riferimento al complesso aziendale così come esistente in detto momento. Eventuali problemi circa la consistenza del complesso aziendale potrebbero essere definiti mediante la relatio formale o sostanziale ad un ulteriore dichiarazione, passata o futura, delle parti, tra le quali può annoverarsi l’inventario stilato dal precedente imprenditore o l’ultimo bilancio aziendale. Inoltre, in caso di alienazione di uno o più beni del complesso aziendale da parte della Società di Leasing o da parte del precedente imprenditore (Fornitore),
275 XXXXXXXX X., op. cit., pag. 296.
276 Tale profilo verrà meglio specificato quando si analizzerà la figura dell’Utilizzatore.
277 PLASMATI M., op. cit., pag. 589 ss.
278 CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pag. 163.
279 FERRARA F., op. cit., pag. 379. FERRARI B., op. cit., pag. 706. Xxxxxxxx in PLASMATI M., op. cit., pag.
591 ss.
il “conflitto” tra l’Utilizzatore e il terzo acquirente sarà di certo risolvibile mediante l’applicazione del principio delle trascrizioni o della data certa. Il bene sarà ritenuto parte costituente il complesso aziendale concesso in leasing nel caso in cui l’atto di alienazione sia posteriore alla data di stipulazione del leasing o alla trascrizione dello stesso. Si badi però che, oltre a tale requisito formale, il bene deve mostrare la sua inerenza al complesso aziendale.
Nondimeno, in mancanza di una determinazione analitica del complesso aziendale, il leasing potrebbe essere congeniato come contratto ad effetti obbligatori, sorgendo, in questo modo, in capo alla Società di Leasing o all’imprenditore-Fornitore, anche l’obbligo di provvedere alla determinazione dell’effettivo complesso aziendale in sede di concessione del godimento o di consegna dell’azienda.
Ad ogni modo, si nota che il medesimo risultato può raggiungersi anche attraverso la previsione di un leasing di azioni, o meglio delle azioni e quote sociali della società titolare del complesso aziendale in questione280. In tale ipotesi, il contratto di leasing avrebbe un oggetto immediato o diretto, costituito dalle azioni o quote sociali, e un oggetto mediato o indiretto, rappresentato dall’azienda.
Nonostante l’azienda in sé e per sé considerata rimanga comunque il nucleo centrale del leasing, essa non costituisce l’unico oggetto del contratto di leasing. È frequente che le parti provvedano alla cessione anche di altri contratti, afferenti all’organizzazione aziendale, i quali vengono allegati al contratto principale di leasing. Si tratta, per lo più, di contratti di leasing mobiliari, ad esempio, per la sostituzione di attrezzature obsolete, finalizzati a garantire un efficiente funzionamento dell’azienda, o ancora di contratti di leasing immobiliari, come quello per l’acquisizione dell’immobile in cui è posto il punto vendita, al fine di assicurare un più sicuro mantenimento dell’avviamento281.
La causa, come già affermato, è di finanziamento. Il leasing d’azienda, infatti, consente all’Utilizzatore di poter esercitare un’attività imprenditoriale senza dover distrarre cospicue somme di denaro dal bilancio aziendale per l’acquisto e/o la costituzione di un’azienda, che avviene grazie al finanziamento iniziale erogato dalla Società di Leasing.
Quanto alla forma, si deve ritenere che il leasing d’azienda debba essere concluso nel rispetto della forma scritta282. Forma scritta che si rende necessaria sia alla luce dell’art. 2556
c.c. e delle modifiche apportate allo stesso dall’art. 6 della l. n. 310 del 12 agosto 1993283, sia in considerazione della pacificità per cui il leasing segue la forma richiesta per i beni concessi in godimento. Il contratto di leasing, inoltre, al pari di tutti i contratti che realizzano il trasferimento in godimento dell’azienda, deve essere depositato, a cura del notaio rogante, entro 30 giorni dalla stipulazione, presso la Camera di Commercio, territorialmente competente, per consentirne l’iscrizione nel Registro delle imprese.
280 Soluzione adottata dalla maggior parte degli ordinamenti di common e civil law.
281 E’ evidente che il mantenimento nel tempo di una specifica localizzazione rappresenta spesso un elemento essenziale per il successo di un’attività imprenditoriale di natura commerciale.
282 Atto pubblico o scrittura privata autenticata.
283 “Norme per la trasparenza nella cessione di partecipazioni e nella composizione della base sociale delle società di capitali, nonché nella cessione di esercizi commerciali e nei trasferimenti di proprietà dei suoli”.
Per ciò che concerne i soggetti dell’operazione, premesso che essi variano a seconda della tipologia di leasing adoperata (leasing finanziario o lease back), si deve affermare quanto segue.
Soggetti indispensabili sono rappresentati dalla Società di Leasing e dall’Utilizzatore. Entrambi devono rivestire la qualifica di imprenditore, con la differenza che mentre per il primo sono previsti dei requisiti necessari a pena di invalidità delle contrattazioni effettuate (iscrizione in registro, requisiti soggettivi), per il secondo, invece, è ritenuto necessario semplicemente lo svolgimento di un’attività d’impresa. Nel leasing d’azienda del tipo locazione finanziaria, riveste, poi, una particolare rilevanza la figura del Fornitore.
Ulteriore soggetto che, come si vedrà più avanti, appare indispensabile è rappresentato dal Garante dell’operazione. Soggetto che consente il raggiungimento di un equilibrio tra i vari operatori negoziali oltre che una tutela sia dei terzi che dell’azienda.
Il contratto di leasing d’azienda ha una durata minima di 60 mesi. Più precisamente la durata non può essere inferiore alla metà del periodo di ammortamento dei beni facenti parte del complesso aziendale284, per consentire all’Utilizzatore la piena deducibilità fiscale dei canoni pagati.
Sotto il profilo strutturale, si evidenzia come il leasing d’azienda, al pari del tradizionale schema contrattuale, si presenta costituito di un collegamento contrattuale insistente tra una vendita d’azienda e un conseguente leasing. Il Concedente o Società di Leasing, in un primo momento, provvede all’acquisto dell’azienda o del ramo d’azienda a scopo di leasing, in questo modo acquisendo la proprietà dell’azienda e subentrando in tutte le posizioni giuridiche alla stessa afferenti (proprietà beni aziendali, contratti, debiti e crediti, rapporti di lavoro, avviamento aziendale), mentre, in un secondo momento, concede in leasing l’azienda all’Utilizzatore previamente individuato.
Al fine di apprestare una maggior tutela a tutti i soggetti intervenienti e al fine di una semplificazione dell’operazione economica stessa, sarebbe più congeniale stipulare prima il contratto di leasing e solo successivamente il contratto di cessione d’azienda.
Infatti, se si adottasse la prima formula (stipulazione della cessione d’azienda e successiva convenzione di leasing), il contratto di cessione vedrebbe la sua efficacia sottoposta alla duplice condizione, sospensiva o risolutiva, della consegna dell’azienda e della stipulazione del contratto di leasing. Ciò, inoltre, comporterebbe dei danni anche all’imprenditore - Fornitore, il quale risulterebbe inutilmente vincolato con il patrimonio aziendale.
Quanto alla tipologia di leasing che potrebbe essere utilizzata ai fini della circolazione dell’azienda, se si esclude a priori la possibilità di un leasing operativo, per ovvie ragioni di natura tipologica del bene, nessun problema deve porsi riguardo alla configurabilità sia di un leasing finanziario che di un lease back.
284 Desumibile dalla tabella dei coefficienti di ammortamento contenuto nel DM 31/12/1998. E’ opportuno stabilire la durata del contratto sulla base del bene con il coefficiente di ammortamento più basso, cfr. XXXX XXXXXXXX R.-DE XXXXXX X.-DE XXXX X., Il leasing azionario, su aziende e su marchi. Strumenti innovativi per il finanziamento delle imprese e per il made in Italy, cit., pag. 87.
2 Segue La determinazione del canone di leasing. Rinvio.
Un profilo alquanto problematico è rappresentato dalla determinazione del canone periodico di leasing, del maxicanone285 e del prezzo di opzione286, ovvero dall’elaborazione del
c.d. piano di finanziamento, determinato dalla Società di Leasing al momento della stipulazione del contratto.
I canoni hanno, di solito, periodicità mensile; deve essere versato287 un anticipo, il maxicanone, di ammontare minimo corrispondente al 5% del costo di acquisto. Lo stesso ammontare minimo è previsto per il valore di riscatto da corrispondersi al momento dell’esercizio del diritto di opzione.
Il canone, inoltre, può essere costituito sia da denaro (cessione in senso stretto) che da azioni o quote sociali (cessione per apporto)288.
Come noto, la determinazione del canone avviene mediante una valutazione economica del bene. I criteri sono, in genere, individuati nel valore economico del bene, nell’eventuale prezzo di vendita del medesimo, nella valutazione economica del solo godimento. Se ciò si mostra agevole nel caso in cui il leasing abbia ad oggetto un bene, mobile o immobile, qualsiasi, altrettanto non può dirsi per l’azienda. Ma di ciò si dirà più avanti289.
Ad ogni modo, considerata la mutevolezza della realtà aziendale e di conseguenza la mutevolezza del suo valore si potrebbe prevedere, a favore di tutti i soggetti dell’operazione negoziale, l’inserimento di una clausola di indicizzazione del canone, che sia correlata alle variazioni di valore dell’azienda. Ciò, però, implicherebbe spese maggiori, date dalla necessità di una costante attività di monitoraggio del valore dell’azienda.
285 La funzione principale del maxicanone è quella di tutelare la Società di Leasing nei casi in cui il contratto abbia ad oggetto beni che si deprezzano in misura significativa non appena vengono utilizzati (l’esempio tipico è quello dell’automobile); questo problema in effetti non si pone quando oggetto del contratto è un’azienda. La previsione e l’entità del maxicanone è rimessa in questa operazione più che in altre alla valutazione delle parti; accordarsi per un maxicanone elevato comporta comunque sempre una maggior tutela per la Società di Leasing , una riduzione delle rate, e la fissazione di un prezzo di riscatto più basso. Il prezzo fissato per l’acquisto costituisce un elemento essenziale dell’operazione, ed è influenzato dalla valutazione dell’avviamento.
286 Il prezzo di opzione è determinato sin dalla stipulazione del contratto di leasing sulla base del prezzo di vendita dell’azienda. Si noti, infatti, che la Società di Leasing, nella sua qualità di mero intermediario finanziario, non può lucrare la differenza tra il prezzo di vendita e il complessivo ammontare di opzione e canoni dovuti dall’Utilizzatore.
287 Il maxicanone potrebbe essere corrisposto al momento della stipulazione del contratto o versato in rate; potrebbe esser versato al momento dell’immissione in possesso dell’azienda; potrebbe prevedersi la dazione di un acconto al momento della stipulazione del contratto e il saldo al momento dell’efficacia del contratto ovvero al momento della consegna.
288 Xxxx XXXXXXXX X., op. cit., pag. 8.
289 Vedi infra.
3 Segue. Il patto di opzione.
Al contratto di leasing d’azienda, di solito, sono annessi altri patti accessori, tra i quali possono annoverarsi principalmente il patto di opzione di acquisto e il patto di riacquisto dell’azienda stipulato a favore del Fornitore.
Il patto di opzione finale d’acquisto, che può essere contenuto nello stesso contratto di leasing o in un altro patto aggiuntivo e accessorio, seppur inscindibilmente collegato al contratto principale, rappresenta l’elemento peculiare del leasing290, indice della natura di finanziamento della stessa operazione contrattuale. L’azienda, solo in rarissime ipotesi, si presenta quale bene a rapida obsolescenza, sovente è l’interesse dell’Utilizzatore ad un godimento temporaneo finalizzato all’acquisto definitivo del compendio e detta previsione consente, oltretutto, di attenuare il rischio d’investimento della Società di Leasing.
Orbene, nel momento in cui il contratto di leasing volge a termine, l’Utilizzatore può restituire il bene concessogli in godimento291, ovvero può richiedere un rinnovo o la stipulazione di un nuovo contratto di leasing afferente alla medesima azienda, oppure può esercitare il diritto di opzione ed acquistare la proprietà dell’azienda292. Sorge, pertanto, in capo alle parti un’obbligazione alternativa con diritto potestativo di scelta dell’Utilizzatore secondo le proprie esigenze economico-aziendali293.
Tuttavia, l’acquisto dell’azienda da parte dell’Utilizzatore non avviene in maniera automatica, bensì, come discende dallo stesso disposto normativo di cui all’art. 1331 c.c., necessita di un’ulteriore manifestazione di volontà da parte dell’Utilizzatore294. Oltre a ciò, elemento aggiuntivo di perfezionamento della fattispecie è rappresentato dalla corresponsione di un prezzo equivalente al versamento di un determinato numero di canoni di leasing.. Determinazione del prezzo di opzione che avviene entro margini di alta discrezionalità per il Concedente (Società di Leasing), sempre, però, nei limiti del valore
290 È discussa in dottrina e giurisprudenza la natura di elemento essenziale dell’opzione di acquisto. Si tratta di tesi minoritarie, fondate sull’atipicità del contratto di leasing e sulla necessità di valutare nel caso concreto l’interesse vero e proprio dell’Utilizzatore che stipuli un detto contratto. Si veda ZUDDAS G., L’opzione di acquisto nel contratto di leasing, in Riv. It. Xxxxxxx, 1987, pag.468 ss. degna di nota è anche al riguardo la sentenza Xxxx. 13 dicembre 1989 n. 5569.
291 In questo caso, il contratto di leasing cessa di avere efficacia. Non si ha una risoluzione di diritto del contratto per mancato esercizio dell’opzione di acquisto, ma questo costituisce termine atipico di efficacia del contratto.
292 L’opzione, pertanto, configura una sorta di prelazione convenzionale di acquisto del bene. DENOZZA F., op. cit., pag. 845 ss.
293 Dal punto di vista strettamente giuridico, l’opzione si presenta, comunque, come proposta irrevocabile pattizia di vendita del bene da parte del Concedente (Società di Leasing), cui corrisponde un diritto potestativo in capo all’Utilizzatore.
294 In merito la Corte di Cassazione afferma che l’interesse dell’Utilizzatore al proseguimento nel godimento del bene “può realizzarsi con l’espressione di una volontà di acquisto al prezzo di opzione nel caso che il gioco valga la candela, ovvero se, essendo venuto meno l’interesse all’impiego, sussista tuttavia ancora un valore commerciale del bene da realizzare con una vendita superiore al prezzo di opzione, con l’esercizio conseguente da parte sua o dell’opzione ovvero della cessione onerosa a terzi dell’opzione stessa”. X. Xxxx. Civ. 22 marzo 1994 n. 2473, in Fa, 1994, 1119.
residuale dell’azienda successivamente alla scadenza del contratto e fatto salvo il rinvio al disposto di cui all’art. 1474 c.c.
Ad ogni modo, si rileva che non sempre l’Utilizzatore ha interesse ad un successivo acquisto del complesso aziendale. Spesso si tratta di attività imprenditoriali a breve durata o temporanee oppure l’imprenditore non ha raggiunto, specie se ha iniziato l’attività d’impresa da pochissimo tempo, la stabilità finanziaria che si rende necessaria per far fronte a una distrazione di risorse di non scarso valore economico e con ripercussioni di non poco conto sull’attività d’impresa. In tali ipotesi, l’Utilizzatore non avrà sicuramente alcun interesse all’esercizio dell’opzione e, pertanto, l’azienda rimarrà in proprietà del Concedente (Società di Leasing), il quale potrà immetterla di nuovo nel mercato, concludendo nuovi contratti di leasing o vendendo la stessa, ovvero potrà procedere alla rinegoziazione del contratto nei confronti dell’Utilizzatore295.
In tutti gli altri casi, invece, si evidenzia come l’esercizio dell’opzione di acquisto comporti il trasferimento della proprietà dell’azienda e/o dei beni immateriali in capo all’Utilizzatore, consentendo di risolvere la problematica della situazione, per così dire, di “stallo” dell’azienda, specialmente qualora non venga previsto un patto di riacquisto da parte del Fornitore e la Società di Leasing non riesca a vendere l’azienda a terzi.
4 Segue. Il patto di riacquisto.
Altro patto è rappresentato dal patto di riacquisto296, il quale costituisce, invece, un elemento meramente accessorio del contratto di leasing, tipico soprattutto delle convenzioni quadro297, e in forza del quale il Fornitore si obbliga a riacquistare l’azienda dal Concedente
295 Si rinvia alla parte sulla configurabilità astratta del leasing.
296 La qualificazione giuridica di tale patto è piuttosto controversa in giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, il patto di riacquisto costituisce una garanzia atipica assimilabile a una fideiussione di tal guisa che il prezzo che il Fornitore si obbliga a pagare, sarebbe la somma del prezzo pattuito per l’opzione di acquisto, dei canoni scaduti e di quelli a scadere. Vedi sentenza Corte App. Torino 28 giugno 1988, in Riv. it. leasing, 1990, 439; Trib. Milano 5 novembre 1990, in Riv. it. leasing, 1990, pag. 439. Secondo un altro orientamento, invece, il patto in esame costituisce un contratto autonomo e più precisamente un negozio di retrovendita sospensivamente condizionato alla morosità o all’inadempimento dell’Utilizzatore , ovvero un negozio in cui la funzione traslativa sarebbe nettamente prevalente su quella di garanzia. Vedi sentenza Corte App. Firenze 22 gennaio 1994, in Riv. it. leasing, 1994, pag. 659; Cass. Civ. 28 agosto 1995 n. 9050, in BBTC, 1997, 267. Secondo un terzo orientamento, il patto di riacquisto configura una proposta irrevocabile da parte del Fornitore, mentre la Società di Leasing godrebbe di un diritto potestativo condizionato all’eventuale risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’Utilizzatore. Altri autori ancora, ma resta una posizione alquanto minoritaria, ritengono tale patto una semplice opzione di compera come disciplinata dall’art. 1331 c.c. Tuttavia, la stessa Suprema Corte ha più volte affermato la difficoltà di individuare una soluzione definitiva, dipendendo, l’inquadramento del patto di riacquisto, dallo specifico testo del contratto in cui lo stesso di volta in volta è inserito, quindi dalla specifica volontà espressa dalle parti nell’accordo. Vedi Cass. Civ. 19 luglio 1995 n. 7870, in BBTC, 1997, 267; Cass. Civ. 19 luglio 2005 n. 15199, in Corr. Xxxx., 8/2006, 1114, in cui si dice che “costituisce quaestio voluntatis stabilire se nel patto in oggetto sia da ravvisare un negozio di garanzia ovvero una nuova vendita”.
297 Xxxxxx conosciuto come leasing convenzionato. Vedi al riguardo ZANNELLA X. X:, op. cit., pag. 669; CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa, cit., 659.
(Società di Leasing), qualora il contratto di leasing si sciolga o cessi, per altre cause298, di avere efficacia, esclusa, solitamente, la cessazione per la scadenza del termine finale di efficacia.
Con tale pattuizione, inserita normalmente nel contratto di fornitura (vendita d’azienda), stipulato tra Fornitore e Concedente (Società di Leasing), il Fornitore si obbliga a intervenire per tenere indenne il Concedente (Società di Leasing)299 dal rischio derivante dall’inutilizzazione dell’azienda. Tanto ciò vero che il patto di riacquisto ricorre soprattutto nei casi in cui il contratto abbia per oggetto beni, quali l’azienda, che sono difficilmente ricollocabili nel mercato non solo mediante un nuovo contratto di leasing, bensì mediante un qualsiasi altro contratto.
La previsione di un tale patto consentirebbe oltretutto di eliminare o almeno di appianare i problemi di cui alla fase di “stallo” dell’azienda presso la Società di Leasing, in attesa di una successiva allocazione nel mercato. Proprio a tal riguardo si ritiene che il patto di riscatto venga viepiù previsto per le ipotesi di termine finale scaduto.
Patto di riscatto che, in tale ottica, potrebbe essere previsto, come si vedrà più avanti, non solo in capo al Fornitore, ma anche a favore del Garante dell’operazione.
Si precisa, comunque, che la previsione del patto di riacquisto risponde ad un interesse non solo del Concedente (Società di Leasing), ma anche del Fornitore300. È necessario che l’imprenditore – Fornitore abbia un interesse all’ottenimento del finanziamento (prima) e al riacquisto dell’azienda (dopo). In merito, si pensi, ad esempio, al caso in cui il Fornitore avesse l’esclusiva sulla vendita di determinati prodotti e la dismissione dell’azienda o di un suo ramo era solo temporanea.
5 Il contratto di leasing: profili soggettivi. Il Fornitore.
Il Fornitore è quel soggetto che, titolare di un’azienda o di un ramo della stessa, la trasferisce alla Società di Leasing mediante stipulazione di un contratto di vendita d’azienda ovvero di una convenzione quadro.
Quanto al lato prettamente soggettivo, sicuramente deve trattarsi di un imprenditore o di un soggetto titolare di un diritto di proprietà sull’azienda, altrimenti, in caso contrario, la cessione sarebbe inefficacie per mancanza di legittimazione.
Ma profilo rilevante in materia di leasing d’azienda, data la complessità della vicenda, e soprattutto con riguardo alla possibile previsione di un patto di riacquisto dell’azienda, è costituito dalla motivazione per cui tale soggetto conclude la vendita dell’azienda.
298 Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di inadempimento dell’Utilizzatore o anche all’ipotesi di mancato esercizio da parte dell’Utilizzatore del diritto di opzione.
299 Il patto di riacquisto assurge, infatti, ad una forma di garanzia del Concedente (Società di Leasing). Cfr.
XXXXXXXX G. M., op. cit., pag. 669.
300 X. Xxxx. Xxxxxx 0 marzo 1987, in Riv. it. leasing, 1987, pag. 751. Si noti, inoltre, come l’interesse del Fornitore viene ulteriormente tutelato. Infatti, qualora la Società di Leasing risolva tardivamente e senza giustificato motivo il contratto di leasing, il Fornitore, all’atto dell’esercizio dei diritti derivanti dal patto di riacquisto, può richiedere la riduzione del prezzo, salva l’applicazione dell’art. 1227 c.c.
Orbene, il Fornitore potrebbe essere un imprenditore in fallimento, o un’impresa in sede di dismissione dell’attività imprenditoriale, o ancora un imprenditore avente più aziende con necessità di un finanziamento temporaneo.
In ogni caso, il leasing consente, da un lato, di mantenere “in attività” l’azienda, non disperdendone le potenzialità produttive, e dall’altro lato, permette al Fornitore di lucrare un finanziamento dalla vendita della stessa.
Se l’imprenditore è in fallimento, il ricavato della vendita gioverà senz’altro alla massa di creditori. La vendita potrà avvenire, però, ad opera del curatore fallimentare e non direttamente da parte del fallito, salvo che venga effettuata poco prima del fallimento. Tuttavia, in tale ipotesi non sarà possibile pattuire, all’interno dell’operazione economica di leasing, un patto di riacquisto dell’azienda al termine del leasing.
Negli altri casi , invece, sussistono, almeno astrattamente, tutte le possibilità e i requisiti per la previsione di un patto di retrovendita, di tal guisa che il Fornitore otterrà dall’operazione di leasing un finanziamento esclusivamente temporaneo (con l’indubbio vantaggio della pronta liquidità), salvo lucrare ovviamente la differenza tra i due prezzi di vendita se la retrovendita è a titolo oneroso, mentre avrà un finanziamento “puro” in caso di retrovendita a titolo gratuito301.
Quanto al ruolo che tale soggetto svolge all’interno della complessa operazione economica, si deve affermare che il Fornitore (imprenditore cedente) ha una posizione più attiva rispetto a quella che discende dal tradizionale contratto di leasing.
Infatti, oltre alla stipulazione del contratto di cessione d’azienda con la Società di Leasing e alla consegna dell’azienda direttamente in capo all’Utilizzatore, il Fornitore partecipa alle operazioni aziendali collegate ai rapporti pendenti e da lui instaurati; rimane obbligato in solido con l’Utilizzatore e con la Società di Leasing per i debiti anteriori il trasferimento, per le spese sostenute dalla Società di Leasing e dall’Utilizzatore per operazioni dipendenti da rapporti da lui instaurati e non necessari per la gestione aziendale; è tenuto a manlevare l’Utilizzatore e la Società di Leasing da eventuali danni, azioni, pretese o richieste dipendenti dalla situazione aziendale precedente al trasferimento; garantisce l’uso dei beni aziendali ed è tenuto a rimborsare il valore di quei beni che risultino inutilizzabili per fatti estranei all’Utilizzatore o alla Società di Leasing.
Di contro, il Fornitore ha diritto alla corresponsione da parte dell’Utilizzatore e della Società di Leasing delle somme da loro incassate in forza dei rapporti aziendali pregressi.
Infine, alle volte il Fornitore è anche Garante della gestione dell’Utilizzatore nei confronti e a favore della Società di Leasing.
Dunque, nel leasing d’azienda il Fornitore continua a svolgere un ruolo importante nel meccanismo aziendale nonostante non abbia né la titolarità dell’azienda né la concreta disponibilità della stessa.
301 Ipotesi molto improbabile, considerato che la Società di Leasing deve recuperare l’intero finanziamento prestato all’Utilizzatore. Anche qualora il patto di riacquisto venga eseguito al termine del leasing, la cessione avrà luogo per la differenza, ovvero per il pattuito prezzo di opzione non corrisposto dall’Utilizzatore.
6 Segue Il Concedente o Società di Leasing.
Il Concedente o lessor, denominato, più specificatamente, Impresa o Società di Leasing, è generalmente un’impresa commerciale302 e, in particolare, una società di intermediazione finanziaria, vista la sua funzione di intermediario o mediatore tra Utilizzatore e Fornitore, come sostenuto dalla dottrina maggioritaria303.
Con riguardo alla struttura dell’impresa di leasing, si rileva che l’art. 161 TUB ha espressamente statuito la sottoposizione delle Società di Leasing alla disciplina dei “soggetti operanti nel settore finanziario” e che la base normativa è rappresentata sia dal disposto di cui all’art. 2195 n.2 c.c.304, sia dagli artt. 106305 e 132 TUBC che dal DLGS 385/1993, dal D. L. 143/1991, dall’art. 2 DM 6 luglio 1994306 e dall’art. 5 DLgs. 14/12/1992 n. 481.
L’impresa di leasing deve rivestire la forma di una società di capitali (sono da preferire le forme di SpA. o SAS o SRL.), deve svolgere attività di finanziamento e deve essere iscritta, a seguito dell’ottenimento della relativa autorizzazione (attestante la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge), in un apposito elenco degli intermediari finanziari307. Requisiti necessari, questi, al fine di poter esercitare l’attività di finanziamento, pena l’applicazione delle relative sanzioni di legge.
Con riguardo alla figura dei soci, il riferimento normativo è individuato negli artt. 108, 109 e 110 TUB, negli artt. 2377, 2381 e 2382 c.c., nonché nel D.L. 516/1998, oltre che in tutte quelle disposizioni in materia societaria e negli artt. 67 bis ss. del Codice del Consumo.
Nel dettaglio, i soci devono avere i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza come determinati dal Ministero dell’Economia di concerto con la Banca d’Italia, soprattutto con riguardo a coloro che svolgono attività di amministrazione e rappresentanza della società, pena l’esclusione dalla partecipazione all’attività sociale (diritto di voto su delibere che rivestono massima importanza per la società o altri diritti che consentono una, non irrilevante, influenza sulla società di intermediazione).
302 Vedi Cass. S.U. 10 gennaio 1992 n. 199.
303 Vedi supra.
304 Norma che discorre di intermediari nella circolazione di beni. Vedi Cass. S. U. 10 gennaio 1992 n. 199.
305 Tale norma fa riferimento ai concessionari di finanziamenti, di qualsiasi genere siano, nel quale può farsi rientrare anche la concessione di godimento di beni, come proprio del leasing, in quanto accompagnato da una causa di finanziamento.
306 Il disposto normativo rubricato “Attività di finanziamento sotto qualsiasi forma” recita: “Per attività di finanziamento sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma. Tale attività ricomprende, tra l'altro, ogni tipo di finanziamento connesso con operazioni di: a) locazione finanziaria; b) acquisto di crediti; c) credito al consumo, così come definito dall'art. 121 del testo unico, fatta eccezione per la forma tecnica della dilazione di pagamento; d) credito ipotecario; e) prestito su pegno; f) rilascio di fideiussioni, avalli, aperture di credito documentarie, accettazioni, girate nonché impegni a concedere credito. Fanno eccezione le fideiussioni e altri impegni di firma previsti nell'ambito di contratti di fornitura in esclusiva e rilasciati unicamente a banche e intermediari finanziari”.
307 Il Concedente (Società di Leasing) oggi deve essere una banca iscritta all’albo di cui all’art. 13 TU del credito (DLgs 385/1993), o un soggetto appartenente ai gruppi creditizi iscritti nell’albo di cui all’art. 64 TU del credito, o un intermediario iscritto nell’elenco generale di cui all’art. 106 o nelle sezioni speciali dell’elenco generale.
La Società di Leasing, inoltre, deve conformare la propria attività alla normativa in tema di trasparenza nelle operazioni e nei servizi bancari e finanziari, dettata agli artt. 115-119 del T.U.B., consentendo così all’Utilizzatore, in fase di trattative precontrattuali, di avere un quadro completo delle condizioni economiche praticate dalla società Concedente (Società di Leasing), con possibilità per lo stesso di confrontare le offerte praticate dalle diverse società, e di valutare, nel corso del rapporto, la conformità tra le condizioni effettivamente applicate e quelle pubblicizzate.
Infine, si rileva che la Società di Leasing presenta generalmente una struttura complessa che richiede l’espletamento di funzioni interne di vario genere, atte a limitare al minimo i rischi connessi con l’attività imprenditoriale svolta (rischio investimento, rischio credito, rischio bene, rischio fornitore)308. Si tratta della funzione di marketing, volta alla determinazione delle condizioni giuridiche e ambientali più soddisfacenti per un incremento della domanda di leasing; della funzione di finanziamento con capitale proprio o capitale di prestito; della funzione di bilancio volta all’ammortamento delle spese necessarie per la realizzazione di una tale operazione309.
Analizzato brevemente il profilo prettamente individuale e strutturale del Concedente (Società di Leasing), occorre esaminare il suo ruolo all’interno del contratto di leasing d’azienda, avuto riguardo all’intera operazione economica.
Obbligo principale della Società di Leasing, nonché caratterizzante lo stesso tipo contrattuale, è rappresentato dalla concessione in godimento dell’azienda all’Utilizzatore, come individuata in base all’attività imprenditoriale da svolgere. Il Concedente (Società di Leasing) deve principalmente porre in essere tutto quanto necessario e a lui possibile e strumentale per garantire il pieno godimento dell’azienda in capo all’Utilizzatore310.
Generalmente, in un normale contratto di leasing, si distinguono al riguardo due ipotesi. Qualora il bene da concedere in godimento sia nella disponibilità materiale del
Concedente (Società di Leasing), oltre a tale obbligo, sorge in capo allo stesso anche quello di consegna311.
Qualora il bene sia, invece, nella disponibilità di altri, il Concedente (Società di Leasing), al fine di adempiere al contratto di leasing, dovrà provvedere al reperimento del bene o costruendolo egli stesso sulla base delle direttive dell’Utilizzatore, ovvero mediante la stipulazione di un contratto di vendita con il terzo Fornitore. In tali ipotesi, la consegna avviene di solito direttamente da parte del terzo e, pertanto, mentre il Concedente (Società di Leasing) trasferisce il godimento, la disponibilità materiale viene trasferita dal terzo Fornitore312.
308 In tal senso vedi CARRETTA A., DE LAURENTIS G., op. cit., pag. 513 ss. 309 In tal senso DELL’ATTI V., L’azienda di Leasing, Cacucci Editore, Bari, 1996. 310 Vedi Cass. 6862/1993.
311 Si tratta però un’ipotesi di scuola in quanto, generalmente, la Società di Leasing provvede ad acquistare un’azienda solo quando sussiste una richiesta di leasing sul mercato, salvo che la stessa non sia in sua proprietà e disponibilità a seguito di precedenti contratti dello stesso genere.
312 Mentre, è indispensabile che il Concedente (Società di Leasing) provveda lui stesso al trasferimento del godimento, è irrilevante, invece, che la consegna avvenga da parte di terzi. Infatti, la consegna del bene da parte
Ebbene, nel caso di leasing d’azienda, la consegna avviene quasi sempre direttamente da parte del Concedente (Società di Leasing), unico proprietario, e ciò risulta giustificato anche dalle esigenze istruttorie, di cui si dirà più avanti, e dalla necessità di una maggior tutela dell’Utilizzatore, il quale dovrà verificare la corrispondenza tra tali beni e quelli da lui concordati con la Società di Leasing, e la loro conformità alle prescrizioni di legge.
Tuttavia, in un’ottica di celerità dell’operazione negoziale, sarebbe preferibile che la consegna avvenga direttamente da parte del Fornitore - imprenditore cedente all’Utilizzatore. È necessaria, però, oltre ad una espressa pattuizione in tal senso sia nel contratto di cessione d’azienda che nel contratto di leasing, la sussistenza di un rapporto accessorio e collegato di mandato intercorrente tra la Società di Leasing e l’imprenditore Cedente313. Sorgerà, così, un rapporto diretto Utilizzatore – Fornitore e la Società di Leasing sarà esonerata da qualsiasi rischio e questione afferente alla mancata, ritardata o viziata consegna dell’azienda.
Della consegna, ad ogni modo, dovrà essere redatto verbale, il quale dovrà essere sottoscritto da tutti i soggetti partecipanti all’operazione314.
Può anche accadere che l’azienda sia già nella disponibilità dell’Utilizzatore, in forza di un precedente contratto di affitto d’azienda intercorso con il Fornitore. In tale ipotesi non avrà luogo nessuna consegna, Fornitore e Utilizzatore scioglieranno il contratto d’affitto e l’Utilizzatore, stipulato il contratto di leasing, continuerà a godere dell’azienda, seppur a titolo e con obblighi differenti.
Altri obblighi del Concedente (Società di Leasing) sono rappresentati dall’obbligo di concludere il contratto di vendita dell’azienda, come prima visto, secondo le direttive ricevute e l’interesse dell’Utilizzatore; dall’obbligo eventuale di pattuire con il Fornitore la consegna diretta dell’azienda all’Utilizzatore e la legittimazione attiva di quest’ultimo in merito alle azioni a garanzia del compendio aziendale, considerato sia in maniera unitaria che in relazione ai singoli beni che lo compongono, instaurando, così, un rapporto diretto Fornitore-Utilizzatore; dall’obbligo di garantire l’Utilizzatore contro molestie nel godimento
del terzo è una conseguenza logica oltre che pratica del fatto che il bene sia nella disponibilità del Fornitore. In questo modo non si fa altro che snellire l’operazione economica, evitando doppi passaggi inutili e dispendiosi per tutti gli operatori interessati.
La consegna da parte del Fornitore, comunque, non fa venir meno il trasferimento in capo al Concedente (Società di Leasing) della proprietà del bene, acquistata regolarmente a seguito della vendita all’uopo perfezionata, poiché viene a verificarsi semplicemente una distinzione tra proprietà formale e proprietà sostanziale, ovvero tra dominium utile e dominium directum. Unico proprietario del bene è rappresentato dalla Società di Leasing, presupposto di validità dello stesso contratto di leasing; ciò trova conferma anche dal principio per cui un soggetto non può disporre a favore di terzi del godimento di un bene di cui non è titolare. Pacifico è in dottrina e giurisprudenza che la situazione giuridica facente capo all’Utilizzatore sia quella della detenzione e non della proprietà del bene concesso in leasing.
313 Alcuni autori, per giustificare tale rapporto diretto di consegna tra Utilizzatore e Fornitore, ipotizzano una sorta di doppio mandato ad acquistare. Ed invero si prevede che (1) l’Utilizzatore conferisca mandato ad acquistare alla Società di Leasing (si spiega anche la determinazione delle modalità di vendita da parte dell’Utilizzatore ) e (2) quest’ultimo, a sua volta, conferisca al Fornitore mandato a consegnare il bene all’Utilizzatore. Vedi XXXXXXXXX V., La locazione finanziaria, cit., pag. 83.
314 La mancata consegna comporta l’inefficacia di tutta l’operazione. La consegna, infatti, è condizione di efficacia del leasing d’azienda.