CRONO-DISPENSA
CRONO-DISPENSA
- Il pegno
- Contratto autonomo di garanzia e polizza fideiussoria
- Le c.d. lettere di patronage
xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
Il pegno nel Diritto romano
(di Xxxxxx Xxxxxx)
Massima
La figura paradigmatica del pegno trova nel diritto romano un proprio percorso evolutivo che – da originario diritto di natura real-fiduciaria – lo vede trascendere verso l’ambito della “realità” pura, e dunque della opponibilità “erga omnes” della garanzia che lo compendia; il tutto in un contesto di progressivo sviluppo diacronico in cui proliferano via via i possibili patti aggiunti e la connessa tutela del creditore pignoratizio talvolta espansa, talaltra contingentata, ma sempre orientata alla concreta realizzazione proprio di quella causa di garanzia che è al medesimo peculiarmente consustanziale.
Articolo
Nel diritto romano il pegno si configura - accanto ad altri contratti come il mutuo, il deposito, il comodato e così via – quale contratto reale (pignus datum) che ha come presupposto la datio della res (oggetto di pegno) dal debitore al creditore pignoratizio. Esso è l’istituto giuridico paradigmatico in tema di diritti reali di garanzia su cose altrui, potendo privilegio ed ipoteca – nella sostanza - considerarsene delle varianti successive.
In origine, la garanzia del credito trova tuttavia realizzazione attraverso un meccanismo di tipo arcaico al nel cui contesto al creditore viene trasferita, da parte del debitore, la proprietà della res oggetto della garanzia e non già solo la relativa materiale disponibilità: nella mancipatio fiduciae causa (o fiducia cum creditore), la “res data” passa dunque nella proprietà del creditore pignorante, che deve restituirla al debitore - laddove questi adempia - sulla scorta della mera fides, vale a dire di un contegno ispirato a lealtà.
A partire più o meno dal III secolo a.C. la datio della res non ha più ad oggetto la proprietà della cosa stessa (sovente oggetto di mancata restituzione, e dunque di abusi, da parte del creditore pignorante divenutone proprietario), ma la sola materiale disponibilità della stessa, che rimane di proprietà del debitore il quale, una volta adempiuto, può attivare la rei vindicatio: prende foggia l’istituto del “pegno”, che si sgancia dunque dalla fiducia (cum creditore) per assumere una fisionomia e un regime giuridico suoi propri.
In particolare, il Pretore attribuisce al creditore pignoratizio, che è mero detentore e non già possessore della res data in pegno, una tutela analoga a quella del possessore, estendendogli la tutela interdittale, fondata cioè sui c.d. interdetti possessori.
* * *
Dal punto di vista processuale, e dunque della tutela delle parti, mentre il creditore xxxxxxxxxxxx viene considerato possessore “ad interdicta”, al debitore viene concessa – al fine di ottenere la restituzione della res una volta esauritane la funzione di garanzia – l’actio pigneraticia in personam, che è dunque un azione personale restitutoria intentabile solo nei confronti del creditore pignoratizio che abbia trattenuto la res senza “causa”.
Col passare dei decenni si affianca al pignus datum, come contratto “reale” che presuppone la datio della res oggetto della garanzia, il c.d. pignus conventum, che si configura come contratto consensuale nel cui contesto la cosa che deve garantire il creditore resta, nondimeno, nella disponibilità del debitore (inizi del II secolo a.C.): si tratta di una fattispecie in cui il pignus si collega ad una locazione di immobili, nel cui contesto il creditore del canone (proprietario dell’immobile) può vantare una garanzia, per
l’appunto, “conventa” sugli schiavi, gli animali, gli attrezzi, le masserizie e gli arredi portati sul proprio fondo (c.d.“invecta et illata”) dal conduttore, che restano nella disponibilità del conduttore medesimo, ma che – stante la additabilità di questi come debitore del canone di locazione – costituiscono appunto, attraverso un peculiare meccanismo, la garanzia del locatore-creditore.
Se infatti il conduttore-debitore non paga il canone al locatore-creditore, egli non può asportare gli invecta et illata dall’immobile laddove il creditore (pignoratizio) vi si opponga: in queste ipotesi il Pretore non gli concede il c.d. interdictum de migrando, configurandosi dunque una indiretta tutela del locatore- creditore che diviene invece diretta laddove l’immobile locato sia un fondo rustico, poiché in questo caso – almeno a partire dal I secolo a. C. – al locatore creditore viene concesso, così equiparandolo ad un possessore, un interdetto c.d. Xxxxxxxxx (forse dal nome del Pretore che per primo lo introduce, Xxxxxxx) contro il conduttore-debitore inadempiente che voglia clandestinamente sottrarre dal fondo gli invecta et illata
.
* * *
Fino a questo momento, il pegno si configura come diritto personale, e non già come diritto reale: in particolare, il creditore pignoratizio può agire (avvalendosi della tutela interdittale, anche “Xxxxxxxx”) nei confronti del solo debitore xxxxxxxxx, ma non anche nei confronti di terzi nella cui sfera di disponibilità sia per avventura entrata la res oggetto della garanzia.
E’ proprio questa esigenza di “sequela” della res oggetto della garanzia che – in tema di pignus conventum (nel pignus datum la res è infatti nella disponibilità del creditore pignoratizio) – sospinge il sistema alla volta di una integrazione della tutela giusta creazione di un’apposita azione reale o actio in rem, attivabile erga omnes e dunque anche nei confronti dei terzi che avessero ottenuto la disponibilità degli invecta et illata: si tratta dell’actio Serviana, così definita perché probabilmente suggerita dal giurista Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxx, ovvero così nominata dal Pretore che primo la concesse.
La necessità di approntare una tutela analoga per ogni caso di pignus conventum – e non già solo nella specifica ipotesi della locazione di fondo rustico – implica successivamente l’estensione in via “utile” dell’actio Serviana a tutte le altre ipotesi di pegno non assistito dal consegna della res (conventum appunto), dando così l’abbrivio all’actio quasi Serviana o actio hypothecaria.
Per conseguenza, da questo momento il pignus sia datum che conventum – che peraltro può trovare la propria fonte, oltre che nella volontà delle parti, anche in atto del magistrato (c.d. pegno giudiziale) o, in forza della specifica posizione rivestita da taluni creditori (Fisco, donne, pupilli), anche ex lege (c.d. pegno legale) - compendia un vero e proprio diritto reale, con possibilità per il creditore di seguire la res oggetto della garanzia giusta opponibilità del pegno medesimo erga omnes.
* * *
Al pegno sono collegati tutta una serie di patti che ne arricchiscono la disciplina, massime a garanzia delle ragioni del creditore, ma anche dello stesso debitore.
Così, se la res data in pegno è fruttifera, il creditore che faccia propri i frutti deve scomputarli dagli interessi e poi dal capitale: in particolare, la percezione da parte del creditore dei frutti della cosa pignorata è talvolta oggetto di un apposito accordo detto “patto anticretico” o anticresi. Sotto altro profilo, il creditore stesso – che in origine può solo trattenere la cosa presso di sé (in caso di pignus datum) fino all’intervenuta soddisfazione del proprio interesse – acquisisce in seguito (età classica) uno ius distrahendi con funzione satisfattoria: in caso di inadempimento del debitore, egli ha facoltà di vendere la cosa data in pegno e di soddisfarsi sul ricavato, salvo l’obbligo di restituire al debitore l’eventuale residuo, detto hyperocha, dapprincipio sulla scorta di una speciale convenzione detta pactum de distrahendo pignore, giusta il quale il debitore autorizzava all’uopo esplicitamente il creditore.
Dopo l’età dei Severi il pactum de distrahendo pignore, capace di attribuire il ius vendendi al creditore, è talmente generalizzato da essere ormai divenuto un naturale negotii, vale a dire un elemento accessorio naturale di ogni convenzione pignoratizia: in conseguenza della vendita - su iniziativa del
creditore - della cosa pignorat ad un terzo, quest’ultimo acquista il dominio sulla res oggetto della garanzia, dal momento che il creditore vende sulla base di un pactum, e dunque avvalendosi del consenso, esplicito o (sempre di più) implicito, del debitore.
Altro patto che può essere aggiunto al pignus è quello commissorio (lex commissoria), onde - affermandosi vieppiù nella pratica negoziale la figura del pignus in termini di garanzia reale autonoma - esso diviene, quale patto normalmente accessorio alla compravendita (empio-venditio: il contratto è efficace solo quando il compratore ha pagato il prezzo della res), una clausola accidentale rispetto al pignus conventum, giusta la quale le parti convengono che la cosa oggetto del pegno resti in proprietà del creditore pignoratizio in caso di inadempimento del debitore pignorato. Tale clausola viene alfine vietata da Xxxxxxxxxx al fine di proteggere il debitore pignorato da possibili abusi di natura usuraria.
Il pegno si estingue, già in diritto romano classico, per adempimento del debitore (e conseguente estinzione del credito garantito); per perimento della res oggetto della garanzia; per sovrapposizione tra soggetto creditore pignoratizio e soggetto titolare della proprietà della res (confusione soggettiva); per remissione da parte del creditore; per prescrizione.
* * *
Nel periodo post-classico e tardo imperiale, fa la sua comparsa la figura del c.d. pignus Xxxxxxxxx, che si configura quando il creditore garantito sia stato soddisfatto rispetto al credito originariamente garantito dal pegno, ma vanti altri crediti nei confronti del medesimo debitore, al quale – laddove quegli chieda la restituzione della cosa data in pegno – può opporre l’exceptio doli generalis.
Nel diritto giustinianeo il pignus – che può essere disposto anche mortis causa - tende ormai ad identificarsi con una figura di diritto reale di garanzia nel cui contesto la res entra nel possesso del creditore (soprattutto beni mobili), mentre l’omologa hypotheca riguarda quei beni, soprattutto immobili, la cui disponibilità (possesso) resta nelle mani del debitore fino alla scadenza dell’obbligazione garantita.
Per quanto concerne il ius distrahendi ed il ius vendendi, in epoca giustinianea invale il principio onde, se nessun compratore si presenta per acquistare la res oggetto della garanzia, il creditore insoddisfatto può chiedere all’Imperatore l’attribuzione della cosa (impetràtio domìnii), salvo il diritto del debitore di riscattarla entro due anni.
Collegamenti
Fiducia – Possesso e tutela possessoria – Detenzione – Collegamento negoziale - Ipoteca
Bibliografia essenziale
Xxxxxxxxxx C., Istituzioni di diritto romano, 1996, 275 e ss; 334.
Il pegno tra “realità reale” della garanzia e foggia obbligatoria della sostanza.
(di Xxxxxx Xxxxxx)
Massima
Da sempre traguardato come prototipo del diritto reale di garanzia, il pegno è andato via via perdendo quel connotato di rigida e materiale inerenza alla res che lo ha per secoli contraddistinto, lasciando intravedere meglio la più autentica funzione che lo compendia, vale a dire la tutela del creditore pignoratizio: non si tratta allora di un “diritto reale che tutela il creditore”, quanto piuttosto della tutela del creditore – e del diritto di credito del quale è portatore – secondo connotati di peculiare inerenza ad una certa res; la quale ultima garantisce in via privilegiata la soddisfazione dell’interesse a quel credito sotteso non già di per sé stessa, quanto piuttosto attraverso il “valore” che essa esprime, rimanendo ormai sovente – proprio in quanto res – nella piena disponibilità di chi (debitore), nell’esercizio dell’impresa, la utilizza per creare ulteriore “valore”.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
La codificazione liberale disciplina il pegno c.d. civile nel libro III dedicato ai contratti, definendolo per l’appunto come un contratto tipico con il quale il debitore dà al creditore una cosa mobile per sicurezza del credito, da restituirsi in natura dopo l’estinzione del credito medesimo (art.1878).
1882
Il codice di commercio disciplina una figura di pegno di tipo “commerciale”, diversa da quella disegnata dal codice civile del 1865, agli articoli 454 e 460, con particolare riguardo al pegno di cambiali o altri titoli all'ordine, di azioni o obbligazioni di società, di merci depositate nei magazzini generali. Un pegno speciale è poi quello che ha per oggetto le navi, detto anche ipoteca navale perché attuato mediante un sistema di pubblicità analogo a quello dell'ipoteca, cioè mediante l'iscrizione in un pubblico registro, e garantendosi in tal modo al debitore pignoratizio il vantaggio di rimanere in possesso della nave (art. 485 cod. di comm.).
1942
Il codice civile disciplina il pegno agli articoli 2784 e seguenti, delocalizzandolo rispetto alla disciplina dei contratti tipici per collocarlo, assieme all’ipoteca tra le norme che disciplinano la responsabilità patrimoniale del debitore: in ciò si differenzia da quanto aveva fatto il codice del 1865, facendo dire a parte della dottrina che il pegno non è più un contratto e che può anzi essere costituito per atto unilaterale del debitore, anche se non esiste una norma espressa analoga a quello che per l’ipoteca è l’art.2821, comma 1; in contrario si osserva tuttavia che mentre l’ipoteca (e la fideiussione) sono integralmente vantaggiose per il creditore, il pegno implica per il medesimo tutta una serie di obblighi (ad esempio, l’obbligo di compiere atti conservativi della res, l’obbligo di custodia e così via) che non possono che avere alla base un consenso da parte del creditore, e dunque un contratto con il debitore. Sui mobili
registrati (navi, aeromobili, automobili) non è più prevista la costituzione del pegno, che viene sostituito dall’ipoteca. Il codice prevede anche la fattispecie del c.d. pegno irregolare all’art.1851 in ambito di contratti bancari, onde se, a garanzia di uno o più crediti, sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla banca (creditrice) la facoltà di disporre, la banca deve restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l'ammontare dei crediti garantiti, l’eccedenza dovendo determinarsi in relazione al valore delle merci o dei titoli al tempo della scadenza dei crediti. Particolarmente importante – in tema di pegno regolare - l’art.2787 onde, quando il credito garantito eccede la somma di lire 5000, la prelazione del creditore pignoratizio è subordinata alla condizione che il pegno risulti da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito garantito e della cosa pignorata. Importante anche l’art.2810, comma 2, laddove prevede ormai – come accennato - capaci di ipoteca (e non più possibile oggetto di pegno) i beni mobili c.d. registrati: navi, aeromobili ed autoveicoli.
1983
Il 9 agosto esce la sentenza della Cassazione n.5334 che, occupandosi di insolvenza e di revocatoria fallimentare, lambisce anche la figura del pegno rotativo: si tratta di un patto (c.d. di “rotatività”) che le parti possono legittimamente stipulare in via accessoria rispetto al pegno: tuttavia gli effetti della sostituzione del bene oggetto della garanzia – massime proprio nell’ottica della revocabilità del pertinente atto – non possono assumersi retroagire al momento della costituzione in garanzia del bene sostituito. In sostanza, per la Cassazione non si tratta di una operazione di garanzia unitaria (e frazionata solo sul piano materiale), quanto piuttosto di tanti rapporti di garanzia (autonomamente revocabili) quante sono le sostituzioni dei beni dati in pegno di volta in volta operate sull’accordo delle parti, ciascun avvicendamento della res pignoraticia dovendo assumersi nuova ed autonoma costituzione di garanzia, con effetti propri (specie in termini di pertinente revocabilità) decorrenti dalla singola consegna sostitutiva del bene. L’iniziale rapporto di garanzia, attraverso la sostituzione della res data in pegno, viene novato ad ogni effetto, facendo luogo ad un “nuovo” diritto di pegno. Un arresto che si inserisce in un filone pretorio al quale si uniformerà la successiva giurisprudenza di merito fino al 1998.
1985
Il 24 luglio viene varata le legge n.401, recante norme in tema di costituzione di pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata, il cui articolo 1 prevede una ipotesi di contratto di pegno senza spossessamento, giusta il quale l’imprenditore del settore mantiene la disponibilità delle cosce fresche di maiale, con la possibilità per il creditore pignoratizio di poter apporre, in qualunque fase della lavorazione, un contrassegno indelebile (in modo da rendere conoscibile ai terzi la garanzia), ferma restando l’annotazione del vincolo su appositi registri, vidimati annualmente. La ratio della costituizione di garanzie reali su beni mobili in assenza dello spossessamento viene ravvisata nella necessità di mantenere la destinazione dei beni (strumentali o materiali) all’esercizio dell’attività imprenditoriale.
1991
Il 12 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 7794, onde la sufficiente indicazione del credito garantito dal pegno deve assumersi come uno dei requisiti cui l'art. 2787, comma terzo, c.c. subordina l'opponibilità ai terzi della prelazione derivante dal pegno medesimo; in proposito, la Corte precisa come, perché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorra che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva del pegno, in tutti i relativi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi idonei a consentirne l'identificazione.
1993
*Il 21 luglio esce una sentenza di merito del Tribunale di Roma che, in tema di pegno rotativo, ribadisce come si tratti di un patto che le parti possono legittimamente stipulare in via accessoria rispetto al pegno: tuttavia gli effetti della sostituzione del bene oggetto della garanzia – massime proprio nell’ottica
della revocabilità del pertinente atto – non possono assumersi retroagire al momento della costituzione in garanzia del bene sostituito. In sostanza, non si tratta di una operazione di garanzia unitaria (e frazionata solo sul piano materiale), quanto piuttosto di tanti rapporti di garanzia (autonomamente revocabili) quante sono le sostituzioni dei beni dati in pegno di volta in volta operate sull’accordo delle parti, ciascun avvicendamento della res pignoraticia dovendo assumersi nuova ed autonoma costituzione di garanzia, con effetti propri (specie in termini di pertinente revocabilità) decorrenti dalla singola consegna sostitutiva del bene.
1995
Il 15 maggio esce la sentenza della VI sezione penale della Cassazione n.507 onde e’ invalido il sequestro (nell’occasione si trattava di un sequestro conservativo, ma il dato non appare rilevante la giurisprudenza successiva applicando il relativo principio ad ogni tipo di misura cautelare reale il cui scopo sia la successiva definitiva privazione del bene in danno dell’avente diritto a titolo ablatorio da parte dello Stato) che sia stato disposto su titoli ed obbligazioni non più di proprietà dell’imputato perché in precedenza vincolati da lui a favore di una banca, a garanzia dei crediti dalla stessa vantati nei confronti del predetto, a titolo di pegno (non già regolare, ma) irregolare ai sensi dell’articolo 1851 c.c.. Ne consegue, sul crinale processual-penalistico, la legittimazione della banca creditrice, quale persona giuridica titolare di un diritto di proprietà sulla cose sequestrate (articolo 318 c.p.p.), all’impugnazione del provvedimento di sequestro.
Il 24 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7163 onde, al fine di assolvere il requisito – fondamentale per l’opponibilità del pegno e per l’operatività della prelazione che esso incorpora
– della sufficiente indicazione del credito garantito, l'eventuale ricorso a dati esterni all'atto di costituzione del pegno richiede che l'atto contenga un indicazione di collegamento da cui possa desumersi l'individuazione dei menzionati dati, onde non vi è luogo alla prelazione se, per effetto della estrema genericità dalle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato soltanto mediante l'ausilio di ulteriori elementi esteriori, come nel caso in cui sia fatto solo riferimento alle "linee di credito accordate" dalla banca, anche se risulti poi che contestualmente alla costituzione del pegno la banca stessa abbia concesso un'apertura di credito in conto corrente, o come nel caso di riferimenti al solo conto corrente bancario, senza che si possa poi far ricorso al "libro-fidi" tenuto dalla banca, oppure al concreto svolgimento del rapporto, al fine di ritenere l'atto riferito ad uno o più specifici rapporti.
*Il 30 ottobre esce una sentenza di merito della Corte d’Appello di Roma che, in tema di pegno rotativo, ribadisce come si tratti di un patto che le parti possono legittimamente stipulare in via accessoria rispetto al pegno: tuttavia gli effetti della sostituzione del bene oggetto della garanzia – massime proprio nell’ottica della revocabilità del pertinente atto – non possono assumersi retroagire al momento della costituzione in garanzia del bene sostituito. In sostanza, non si tratta di una operazione di garanzia unitaria (e frazionata solo sul piano materiale), quanto piuttosto di tanti rapporti di garanzia (autonomamente revocabili) quante sono le sostituzioni dei beni dati in pegno di volta in volta operate sull’accordo delle parti, ciascun avvicendamento della res pignoraticia dovendo assumersi nuova ed autonoma costituzione di garanzia, con effetti propri (specie in termini di pertinente revocabilità) decorrenti dalla singola consegna sostitutiva del bene.
1996
Il 01 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6969 che riconosce l’ammissibilità del pegno di cosa futura: la cosa che si vuol dare in pegno ancora non è venuta ad esistenza (cosa futura), ma le parti – debitore o terzo datore da un lato, creditore dall’altro – possono accordarsi con data certa e sufficiente indicazione del credito che si vuole garantire con la res futura: si è cospetto di un contratto ad effetti obbligatori che si perfeziona quando la res futura, venuta finalmente ad esistenza, viene consegnata al creditore. Alla dottrina che vede nella figura un contratto preliminare obbligatorio (pegno di cosa futura) cui si avvince un contratto definitivo reale (pegno su cosa ormai esistente), la Cassazione risponde come si tratti di una ricostruzione poco in linea con la realtà giuridica del fenomeno
(oltre che inutilmente complicata): si è in realtà in presenza semplicemente di una fattispecie a formazione progressiva in cui ad un accordo, che manifesta la volontà perfetta delle parti quando la cosa ancora non esiste, segue la materiale venuta ad esistenza della res e la relativa, materiale consegna al creditore che completa la fattispecie.
*Il 7 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.9727 che ribadisce il proprio orientamento onde, al fine di assolvere il requisito – fondamentale per l’opponibilità del pegno e per l’operatività della prelazione che esso incorpora – della sufficiente indicazione del credito garantito, l'eventuale ricorso a dati esterni all'atto di costituzione del pegno richiede che l'atto contenga un indicazione di collegamento da cui possa desumersi l'individuazione dei menzionati dati, onde non vi è luogo alla prelazione se, per effetto della estrema genericità dalle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato soltanto mediante l'ausilio di ulteriori elementi esteriori, come nel caso in cui sia fatto solo riferimento alle "linee di credito accordate" dalla banca, anche se risulti poi che contestualmente alla costituzione del pegno la banca stessa abbia concesso un'apertura di credito in conto corrente, o come nel caso di riferimenti al solo conto corrente bancario, senza che si possa poi far ricorso al "libro- fidi" tenuto dalla banca, oppure al concreto svolgimento del rapporto, al fine di ritenere l'atto si riferito ad uno o più specifici rapporti.
1997
*Il 4 febbraio esce una sentenza di merito del Tribunale di Rovigo che, in tema di pegno rotativo, ribadisce come si tratti di un patto che le parti possono legittimamente stipulare in via accessoria rispetto al pegno: tuttavia gli effetti della sostituzione del bene oggetto della garanzia – massime proprio nell’ottica della revocabilità del pertinente atto – non possono assumersi retroagire al momento della costituzione in garanzia del bene sostituito. In sostanza, non si tratta di una operazione di garanzia unitaria (e frazionata solo sul piano materiale), quanto piuttosto di tanti rapporti di garanzia (autonomamente revocabili) quante sono le sostituzioni dei beni dati in pegno di volta in volta operate sull’accordo delle parti, ciascun avvicendamento della res pignoraticia dovendo assumersi nuova ed autonoma costituzione di garanzia, con effetti propri (specie in termini di pertinente revocabilità) decorrenti dalla singola consegna sostitutiva del bene.
1998
Il 28 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5264, che – in tema di pegno rotativo – assume indispensabile al fine di riconoscere unitarietà alla complessiva operazione di garanzia divisata dalle parti (e fino ad ora negata dalla giurisprudenza) la esistenza di una convenzione scritta tra le parti medesime, nella quale sia stata espressamente prevista la possibilità di sostituire la res oggetto del pegno (c.d. clausola di rotatività): in difetto di tale convenzione accessoria scritta, il pegno rotativo deve assumersi invalido. In sostanza, per la Corte è legittimo il c.d. "pegno rotativo", che si realizza quando nella convenzione costitutiva della garanzia le parti prevedano la possibilità di sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia, con la conseguenza che la sostituzione posta non determina effetti novativi sul rapporto iniziale, a condizione che risulti da atti scritti aventi data certa, che avvenga la consegna del bene e che il bene offerto in sostituzione abbia un valore non superiore a quello sostituito.
Il 24 giugno viene varato il decreto legislativo n.213, recante disposizioni per l'introduzione dell'EURO nell'ordinamento nazionale, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 17 dicembre 1997, n. 433, il cui art.34, comma 2, prevede una figura di pegno rotativo in materia di strumenti finanziari dematerializzati.
*Il 27 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8517 che ribadisce l’ammissibilità del pegno di cosa futura: la cosa che si vuol dare in pegno ancora non è venuta ad esistenza (cosa futura), ma le parti – debitore o terzo datore da un lato, creditore dall’altro – possono accordarsi con data certa e sufficiente indicazione del credito che si vuole garantire con la res futura: si è cospetto di un contratto ad effetti obbligatori con fattispecie che si perfeziona quando la res futura, venuta finalmente ad esistenza, viene consegnata al creditore (fattispecie a formazione progressiva).
1999
Il 7 giugno esce la sentenza della Cassazione n. 5562 onde il requisito della sufficiente indicazione della cosa data in pegno ben può ritenersi soddisfatto, nel caso di pegno di titoli di credito al portatore, dalla semplice menzione della natura del titolo a dell'ammontare del credito in esso incorporato, senza necessità di ulteriori specificazioni di tutti gli elementi occorrenti per l'esatta identificazione del documento, assunte superflue rispetto all'interesse tutelato.
*Il 27 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.10685 che – in tema di pegno rotativo – assume indispensabile al fine di riconoscere unitarietà alla complessiva operazione di garanzia divisata dalle parti la esistenza di una convenzione scritta tra le parti medesime, nella quale sia stata espressamente prevista la possibilità di sostituire la res oggetto del pegno (c.d. clausola di rotatività): in difetto di tale convenzione accessoria scritta, il pegno rotativo deve assumersi invalido. In sostanza, per la Corte è legittimo il c.d. "pegno rotativo", che si realizza quando nella convenzione costitutiva della garanzia le parti prevedano la possibilità di sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia, con la conseguenza che la sostituzione posta non determina effetti novativi sul rapporto iniziale, a condizione che risulti da atti scritti aventi data certa, che avvenga la consegna del bene e che il bene offerto in sostituzione abbia un valore non superiore a quello sostituito.
2000
Il 26 giugno vede la luce la Circolare ABI in tema di condizioni generali nei rapporti banca-cliente, il cui art.10 costituisce la clausola-tipo del c.d. pegno “omnibus”, onde la banca è da assumersi titolare del diritto di pegno e del diritto di ritenzione sui titoli e sui valori di pertinenza del cliente comunque detenuti dalla banca stessa, e che pervengano ad essa successivamente, a garanzia di qualunque credito essa vanti nei confronti del cliente, anche laddove illiquido e non esigibile, ed anche se assistito da altra garanzia reale o personale, sia che si tratti di credito già esistente, sia che si tratti di credito che in futuro dovesse sorgere in capo alla banca verso il cliente. La clausola pone evidenti problemi di indeterminatezza, tanto sul crinale del credito garantito, quanto sul versante dei beni (valori) che concretamente lo garantiscono.
2001
Il 27 marzo viene varata la legge n.122, il cui articolo 7 prevede un’altra ipotesi di pegno mobiliare senza spossessamento, afferente ai prodotti lattiero-caesari, che ha la medesima ratio del pegno mobiliare non possessorio (in capo al creditore) già previsto dalla legge 401.85 in tema di prosciutti.
2003
Il 20 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4079 che, nel ribadire la piena ammissibilità del pegno di cosa futura come fattispecie a formazione progressiva, ne conferma tale ammissibilità anche quando si tratti di cose fungibili che già esistono in natura, ma che il soggetto costituente il pegno non ha ancora acquistato. Sempre per la Corte – sotto altro profilo - va distinta la nullità del pegno dalla diversa ipotesi di inopponibilità del medesimo agli altri creditori del debitore pignoratizio. Mentre la validità del pegno tra le parti non è condizionata da particolari forme, la scrittura con l’individuazione del credito garantito e dei beni sottoposti a garanzia è necessaria solo per l’opponibilità ai terzi della prelazione (come del resto evincibile dallo stesso art.2787 c.c., il cui comma 3 parla di prelazione, e non di validità del pegno).
Il 3 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5111 che, occupandosi del pegno irregolare di cui all’art.1851 c.c., lo riconduce alla figura della compensazione, quale strumento di realizzazione concreta e tipica della garanzia che esso configura. Per la Corte il pegno regolare presenta un meccanismo satisfattivo del creditore assai più complesso, che è strutturalmente inapplicabile al pegno irregolare, dove opera per l’appunto il più agile congegno della compensazione: quando scade l’obbligazione garantita, laddove essa non venga adempiuta dal debitore, scatta per l’appunto la compensazione tra quanto dovuto dal debitore al creditore e quanto costui – quale creditore pignoratizio
irregolare – deve al debitore a titolo di restituzione del tantundem ricevuto. Si tratta, come chiosa la dottrina, di compensazione legale quando l’oggetto del pegno e quello della prestazione dovuta sono omogenei, mentre è volontaria in caso di disomogeneità tra questi due parametri.
L’11 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.16914 in tema di pegno c.d. rotativo, secondo la quale il patto di rotatività – giusta il quale le parti prevedono sin dall'origine la sostituzione totale o parziale dei beni oggetto della garanzia, assunti non nella loro specifica individualità, ma per il relativo valore economico - dà luogo alla formazione di una fattispecie progressiva che trae origine dall'accordo delle parti medesime e che si perfeziona con la sostituzione dell'oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori pattuizioni e, quindi, nella continuità del (sostanzialmente unitario) rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in pegno. La Corte precisa che la consegna del bene sostitutivo costituisce un elemento di detta fattispecie a formazione progressiva traente origine dall'accordo originariamente stipulato con il patto di rotatività: la pertinente volontà delle parti è già perfetta al momento dell'accordo e l'eventuale sostituzione dei beni oggetto della garanzia pignoratizia si pone – per la Corte - come elemento meramente materiale della complessiva operazione e dell’unitario rapporto di garanzia divisato dalle parti medesime.
2004
Il 19 marzo esce la sentenza della Cassazione n.5561 che si occupa della clausola c.d. omnibus: secondo la Corte, i crediti della banca (garantiti da pegno) possono assumersi sufficientemente indicati laddove vi siano previsti (anche aliunde) elementi idonei a consentire la concreta identificazione di detti crediti; in sostanza, non occorre specificare in modo analitico di quali crediti si tratta, essendo sufficiente la rintracciabilità, anche fuori della scrittura costitutiva del pegno, di un criterio di collegamento che consenta di identificarli con certezza. La Corte rammenta come la sufficiente indicazione del credito garantito sia uno dei requisiti cui l'art. 2787, comma terzo, c.c. subordina l'opponibilità ai terzi della prelazione derivante dal pegno medesimo, rammentando di avere già altre volte precisato che, perché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva del pegno, in tutti i relativi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi idonei a consentirne l'identificazione (Cass., 12 luglio 1991, n. 7794), aggiungendo peraltro come, a tal fine, l'eventuale ricorso a dati esterni all'atto di costituzione del pegno richieda che l'atto contenga un indicazione di collegamento da cui possa desumersi l'individuazione dei menzionati dati, onde non vi è luogo alla prelazione se, per effetto della estrema genericità dalle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato soltanto mediante l'ausilio di ulteriori elementi esteriori, come nel caso in cui sia fatto solo riferimento alle "linee di credito accordate" dalla banca, anche se risulti poi che contestualmente alla costituzione del pegno la banca stessa abbia concesso un'apertura di credito in conto corrente, o come nel caso di riferimenti al solo conto corrente bancario, senza che si possa poi far ricorso al "libro-fidi" tenuto dalla banca, oppure al concreto svolgimento del rapporto, al fine di ritenere che l'atto si riferiva a uno o più specifici rapporti (vengono richiamati i precedenti 9727.96 e 7163.95). Per la Corte, poi, il diverso requisito dalla sufficiente indicazione della cosa data in pegno ben può ritenersi soddisfatto, nel caso di pegno di titoli di credito al portatore, dalla semplice menzione della natura del titolo a dell'ammontare del credito in esso incorporato, senza necessità di ulteriori specificazioni di tutti gli elementi occorrenti per l'esatta identificazione del documento, assunte superflue rispetto all'interesse tutelato (viene richiamata la sentenza n. 5562.99).
*Il 5 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4520, che – in tema di pegno rotativo – assume indispensabile al fine di riconoscere unitarietà alla complessiva operazione di garanzia divisata dalle parti l’esistenza di una convenzione scritta tra le parti medesime, nella quale sia stata espressamente prevista la possibilità di sostituire la res oggetto del pegno (c.d. clausola di rotatività): in difetto di tale convenzione accessoria scritta, il pegno rotativo deve assumersi invalido. In sostanza, per la Corte è legittimo il c.d. "pegno rotativo", che si realizza quando nella convenzione costitutiva della garanzia le parti prevedano la possibilità di sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia, con la conseguenza che la sostituzione non determina effetti novativi sul rapporto iniziale, a condizione che risulti
da atti scritti aventi data certa, che avvenga la consegna del bene e che il bene offerto in sostituzione abbia un valore non superiore a quello sostituito (Vengono richiamati i precedenti 10685.99 e 5264.98). Ciò che è decisivo – prosegue la Corte - perché possa realizzarsi una simile situazione e perché possa riconoscersi l'unitarietà della fattispecie negoziale, é dunque, anzitutto, l'esistenza di una convenzione che preveda un siffatto meccanismo di sostituzione dei beni dati in pegno, ferme poi restando le ulteriori suindicate condizioni.
Il 21 maggio viene varato il decreto legislativo n.170, recante attuazione della direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria, il cui articolo 5, comma 3, prevede una esplicita ipotesi di pegno rotativo con riguardo alle garanzie finanziarie, onde la ricostituzione della garanzia equivalente non comporta costituzione di una nuova garanzia e si considera effettuata alla data di prestazione della garanzia originaria.
Il 24 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10000 che esclude la frizione tra il meccanismo satisfattivo che caratterizza il pegno irregolare ed il divieto del patto commissorio ex art.2744 c.c.: ciò in quanto – stando all’art.1851 c.c. e coerentemente con l’intento perseguito dal legislatore di scongiurare indebite locupletazioni del creditore pignoratizio, laddove il debitore non adempia è consentito al creditore di divenire proprietario definitivo solo della somma corrispondente al credito garantito, compensandola con il corrispondente tantundem che compendia il proprio debito restitutorio, e ciò nel legittimo esercizio del proprio diritto di prelazione (il pegno irregolare, appunto), senza necessità di alcuna richiesta di assegnazione al giudice dell’esecuzione.
2006
Il 26 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1532 alla cui stregua - agli effetti dell'art. 2787, comma 3, c.c. - in tema di prelazione del creditore pignoratizio, perché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato nella scrittura costitutiva del pegno in tutti i relativi elementi oggettivi, palesandosi sufficiente che la scrittura medesima contenga elementi che comunque portino alla relativa identificazione, presenti all'interno della scrittura o anche ad essa esterni, purché il documento contenga indici di collegamento utili alla individuazione del credito e della cosa. Resta, invece, inopponibile la ridetta prelazione se, per la genericità delle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato solo con l'ausilio di ulteriori elementi esterni, ancor più se non preesistenti o almeno coevi alla formazione della scrittura, la cui insorgenza solo dopo la convenzione, tanto più se lontana da essa, compendia un pegno costituito in previsione di indeterminate ed eventuali operazioni creditizie, con conseguente difetto degli imprescindibili caratteri di accessorietà ed inerenza, venuti ad esistenza solo ex post. La Corte parla di opponibilità: il pegno resta valido, ma non opera la prelazione in quanto esso, in caso di difetto di sufficiente indicazione del credito garantito, non può essere opposto agli altri creditori del debitore pignoratizio.
Il 10 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5290 onde ai fini della diagnosi differenziale fra l’una figura di pegno (regolare) e l’altra (irregolare), l’elemento semeioticamente decisivo e’ proprio la possibilità che il creditore ha di soddisfarsi direttamente sul bene datogli in garanzia della obbligazione gravante sul debitore. Il pegno di danaro o altro bene mobile rappresentativo di un valore concesso in favore di un istituto di credito si configura infatti come pegno irregolare soltanto quando sia conferita espressamente alla banca la facoltà di disporre direttamente del bene in questione, mentre si rientra nella disciplina del pegno regolare nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà al creditore pignoratizio.
2008
Il 01 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2456, che – in tema di pegno irregolare – afferma la relativa natura giuridica implicare che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano - diversamente dall'ipotesi di pegno regolare - di proprietà del creditore stesso, che ha diritto di soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo di cui agli artt. 2796 - 2798 cod. civ. (meccanismo che postula l'altruità delle cose ricevute in pegno), bensì direttamente sulla cosa, al di fuori
del concorso con gli altri creditori. La sentenza si occupa anche della figura del c.d. pegno rotativo, onde il patto di rotatività del pegno si attua mediante una fattispecie a formazione progressiva traente origine dall'accordo scritto e di data certa intercorso tra le parti, cui segue la sostituzione dell'oggetto del pegno senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti (retroattivi) risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, a condizione – precisa la Corte - che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente, e purché il bene offerto in sostituzione non abbia un valore superiore a quello sostituito; ne consegue, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare, l’importante conseguenza onde la continuità dei rinnovi fissa la genesi del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione originaria e non a quello - successivo - della sostituzione della res pignoratizia.
2010
Il 27 gennaio viene varato il decreto legislativo n.27, recante attuazione della direttiva 2007/36/CE, relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, il cui articolo 5, comma 1, abroga l’art.34 del decreto legislativo 213.98 in tema di pegno rotativo su strumenti finanziari dematerializzati.
Il 18 giugno esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n.23659 onde non può essere disposto né il sequestro preventivo, né la confisca per equivalente, cui il ridetto sequestro preventivo e’ prodromico, di beni costituiti in pegno irregolare a garanzia di una obbligazione dell’imputato, attesa la immediata acquisizione della proprietà da parte del creditore.
2013
*Il 10 dicembre esce la sentenza della I sezione penale della Cassazione n.49719, onde non può essere disposto né il sequestro preventivo, né la confisca per equivalente, cui il ridetto sequestro preventivo e’ prodromico, di beni costituiti in pegno irregolare a garanzia di una obbligazione dell’imputato, attesa la immediata acquisizione della proprietà da parte del creditore.
2014
Il 31 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2120 onde – preliminarmente - la natura di un rapporto giuridico non dipende dalla volontà delle parti ma dal relativo, concreto modo di atteggiarsi anche a dispetto del nomen che contrattualmente gli sia stato attribuito; con espresso riferimento al pegno, per la Corte va precisato che, sebbene le parti, nella relativa autonomia negoziale, abbiano il potere di determinarne l’oggetto, la durata ed, eventualmente, la possibilità di sostituzione mediante il meccanismo cosiddetto rotativo, le stesse non hanno anche la facoltà di qualificare, con efficacia vincolante, il pegno come regolare o irregolare, discendendo tale conseguenza giuridica non dalla volontà delle parti medesime, ma dalle norme del codice civile in tema di diritti reali di garanzia opponibili a terzi, che hanno carattere indisponibile.
Il 5 marzo esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n.10471 onde deve distinguersi da quella del portatore del pegno irregolare la posizione del titolare di un diritto reale di garanzia (tradizionalmente ipoteca e pegno) il quale, sebbene sia assistito dal cosiddetto diritto di sequela, non e’ però legittimato a chiedere la revoca della misura cautelare, non essendo la relativa posizione giuridica assimilabile a quella del titolare del diritto di proprietà, la cui sussistenza (come accade appunto nella diversa ipotesi del pegno irregolare) – essendo giuridicamente incompatibile con la pretesa ablatoria dello Stato – comporta l’immediata restituzione del bene ai sensi dell’articolo 321 c.p.c., comma 3.
2015
*Il 01 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13508, che torna ad occuparsi del pegno rotativo assumendo come il relativo patto (c.d. di rotatività) faccia luogo ad fattispecie a formazione progressiva traente origine dall'accordo scritto e di data certa delle parti, al quale segue la sostituzione dell'oggetto del pegno senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti risalenti alla consegna dei
beni originariamente dati in pegno; ciò tuttavia, per la Corte, a condizione che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente, e purché il bene offerto in sostituzione non abbia un valore superiore a quello sostituito; ne consegue, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare, che la continuità dei rinnovi fissa la genesi del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione originaria e non a quello successivo della sostituzione.
Il 22 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.25796 onde il c.d. "patto di rotatività" - con cui le parti convengono "ab origine" la variabilità dei beni costituiti in pegno, considerati non nella relativa individualità quanto piuttosto in relazione al loro valore economico - si connota come fattispecie a formazione progressiva, nascente da tale accordo originario e caratterizzata dalla sostituzione, totale o parziale, dell'oggetto della garanzia, senza necessità di ulteriori stipulazioni, pur nella continuità del rapporto originario, i cui effetti devono assumersi risalire alla consegna dei beni inizialmente dati in pegno. Il trasferimento del vincolo pignoratizio in tal modo attuato, per la Corte, non richiede dunque una nuova e distinta manifestazione di volontà delle parti (né che l'indicazione dei diversi beni risulti da un atto scritto avente data certa), rivelandosi piuttosto sufficiente che la descritta sostituzione sia accompagnata dalla specifica indicazione dei beni sostituiti e dal riferimento all'accordo ab ovo, così consentendosi il collegamento con l'originaria pattuizione. Nel caso di specie, la Corte ha assunto valido il permanere di una siffatta garanzia in favore di una banca che aveva venduto, alla scadenza, i titoli originariamente ricevuti in pegno, utilizzandone il controvalore, benché depositato temporaneamente sul conto corrente ordinario del cliente, per acquistarne, con il relativo consenso, altri da immettere in pegno sul conto deposito a garanzia di quest'ultimo.
2016
L’11 marzo esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n.19500 che, richiamando la giurisprudenza delle sezioni civili, rinvia ai giudici di merito una vertenza in tema di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità di un istituto creditizio, al fine di verificare se si tratta nel caso di specie di pegno irregolare (che garantirebbe la riconsegna dei beni alla banca) ovvero regolare (che tale consegna impedirebbe). Per la Corte, la caratteristica principale del pegno irregolare, caratteristica peraltro assunta determinante ai fini della definizione della controversia, e’ la circostanza onde – diversamente da quanto si verifica nel caso del pegno regolare, nel quale la titolarità del bene permane in capo al debitore ed il creditore consegue esclusivamente il possesso del bene pignoratizio, di tal che, laddove il creditore intenda conseguire il credito che gli e’ dovuto, egli non può direttamente rivalersi sul bene datogli in garanzia dovendo invece procedere nelle forme di cui agli articoli 2796 e 2797 c.c., ad attivare una forma di vendita pubblica – il creditore pignoratizio “irregolare” consegue al momento della conclusione del contratto la titolarità (proprietà) della cosa data a pegno e, secondo la previsione di cui all’articolo 1851 c.c., espressamente disciplinante il pegno irregolare concesso a garanzia di un’anticipazione bancaria, l’istituto di credito dovrà restituire solamente la somma, ove sia stata data a pegno una somma di danaro, ovvero la parte di merci o di titoli, ove questo sia l’oggetto del contratto di garanzia, nella misura in cui essa ecceda l’ammontare dei crediti garantiti, potendo direttamente soddisfarsi sul valore dei beni dati in pegno, avendone conseguito non il mero possesso ma piuttosto la piena titolarità dominicale.
Il 3 maggio viene varato il decreto legge n.59, recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione, il cui articolo 1 prevede una nuova e generalizzata figura di pegno non possessorio per i beni che ineriscono all’esercizio dell’impresa.
Il 30 giugno viene varata la legge n.119 che, nel convertire il decreto legge n.59, modifica la disciplina del pegno non possessorio d’impresa di cui al relativo articolo 1, secondo il cui definitivo assetto gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti concessi a loro o a terzi, presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell'importo massimo garantito, laddove si tratti di crediti inerenti all'esercizio dell'impresa. Si è al cospetto di un istituto che ha il palese obiettivo di favorire i finanziamenti alle imprese consentendo
una garanzia sui mezzi di produzione ed anche sulle merci: viene infatti consentito il c.d. "revolving", ovvero il trasferimento del pegno dalla materia prima al prodotto finito ed al ricavato della vendita, così vieppiù istituzionalizzando ex lege il c.d. pegno rotativo. Si tratta di una garanzia che, sul crinale dell’oggetto, assiste genericamente i crediti inerenti all'esercizio dell'impresa, essendo riferito sia a quelli presenti che a quelli futuri, determinati o determinabili, ed in tal modo richiamando la figura del c.d. pegno “omnibus”, con un ambito di applicazione molto più ampio di quello tipico del finanziamento. Più precisamente, secondo il comma 1 del decreto legge 59.16, come risultante dalle modificazioni operate dalla legge di conversione, gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti - concessi a loro o a terzi - presenti o futuri (questi ultimi se determinati o determinabili e con la previsione dell'importo massimo garantito), inerenti all'esercizio dell'impresa; il comma 2 precisa poi che il pegno non possessorio può essere costituito su beni mobili, anche immateriali, destinati all'esercizio dell'impresa e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio (ad esclusione tuttavia dei beni mobili, anche immateriali, registrati); i beni mobili possono essere esistenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o piu' categorie merceologiche o a un valore complessivo ed ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno e' autorizzato a trasformare o alienare, nel rispetto della relativa destinazione economica, i (o comunque a disporre dei) beni gravati da pegno, in tal caso il pegno trasferendosi, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti peraltro la costituzione di una nuova garanzia; la norma precisa che se il prodotto risultante dalla trasformazione ingloba, anche per unione o commistione, più beni appartenenti a diverse categorie merceologiche e oggetto di diversi pegni non possessori, le facoltà previste dal successivo comma 7 (in termini di escussione della garanzia) spettano a ciascun creditore pignoratizio con obbligo da parte sua di restituire al datore della garanzia, secondo criteri di proporzionalità, sulla base delle stime effettuate con le modalità di cui al comma 7, lettera a), il valore del bene riferibile alle altre categorie merceologiche che si sono unite o mescolate; l’ultima parte del comma 2 aggiunge che è fatta salva la possibilità per il creditore di promuovere azioni conservative o inibitorie nel caso di abuso nell'utilizzo dei beni da parte del debitore o del terzo concedente il pegno. Dal punto di vista della struttura, il pegno non possessorio ha alla base un negozio (contratto) dalla natura non già reale, come nel pegno ordinario, quanto piuttosto consensuale, da ricondursi secondo la dottrina più avvertita ai negozi formali ai sensi dell’art. 1350 c.c., e ad un tempo consensuali ex art. 1372, comma 1, c.c.. Dal punto di vista della forma, la costituzione del pegno non possessorio presuppone l’atto scritto sotto pena di nullità (ad substantiam), con la necessaria presenza di talune indicazioni: sono elementi dell’atto costitutivo che devono puntualmente essere indicati e risultare per iscritto le parti (creditore e debitore o terzo concedente); il bene oggetto di garanzia e il credito garantito, con l’indicazione dell’importo massimo garantito; la specifica individuazione del bene dato in pegno, ogniqualvolta si tratti di pegno non possessorio a garanzia di finanziamento per l'acquisto da parte dell’imprenditore di un bene determinato. Sul crinale della pubblicità – particolarmente rilevante proprio perché in questo modello di pegno difetta lo spossessamento del debitore – occorre l’iscrizione nel nuovo Registro dei pegni non possessori, tenuto presso l’Agenzia delle Entrate (le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso tale registro, gli obblighi a carico di chi effettua le ridette operazioni, le modalità di accesso al Registro in parola, sono demandate ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia). Il Registro ha lo scopo di opporre il pegno ai terzi ed è dunque funzionale non alla validità del pegno, ma alla relativa operatività in termini di prelazione massime rispetto agli altri creditori: se in una prima fase la dottrina ha pensato ad una pubblicità di tipo costitutivo, l’orientamento prevalente è invece ora nel senso della pubblicità dichiarativa, sul modello della trascrizione immobiliare; dalla data di iscrizione nel Registro dei pegni non possessori discende la priorità di soddisfazione sul ricavato della vendita del bene e l’opponibilità nei confronti dei terzi, onde tale iscrizione disciplina anche, proprio sul versante della opponibilità, le ipotesi eventuali di pluralità di contestuali atti costitutivi. Nella disciplina del pegno ordinario, laddove il valore della res pignoratizia ecceda quello del credito garantito, è ammessa la costituzione di pegni successivi sul medesimo bene, ma il primo creditore pignoratizio (o il terzo custode),
che entra nel possesso del bene pignorato, deve formalmente assentire a ritenere la cosa in custodia anche nell’interesse del creditore pignoratizio successivo: nel pegno ordinario infatti il conflitto tra creditori viene disciplinato sulla base della priorità del conseguimento della disposizione sulla res pignorata. Nel pegno non possessorio l’anteriorità riguarda invece l’iscrizione nell’apposito Registro, onde prevale chi iscrive per primo il pegno; tuttavia il comma 5 dell’art.1 del decreto legge 59.16 stabilisce che il pegno su un bene, seppure anteriormente costituito ed iscritto nel Registro, non è opponibile a chi abbia finanziato l’acquisto di tale bene determinato che è destinato all’esercizio dell’impresa e che è garantito da riserva di proprietà sul bene medesimo; né è opponibile ad un pegno, anche non possessorio, successivo sul medesimo bene (purché in quest’ultimo caso il pegno non possessorio sia iscritto nel registro in conformità al sesto comma dello stesso art. 1, e che al momento della relativa iscrizione il creditore ne informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente): questo significa – in sostanza - che l’anteriorità della iscrizione del pegno non possessorio nel relativo Registro non sempre garantisce la piena opponibilità del pegno a determinati creditori “finanziatori”, financo in ipotesi di iscrizioni successive che possono prevalere su quelle anteriori (una previsione che, nell’ottica della effettiva funzionalità di questo tipo di pegno, ha suscitato critiche in dottrina). L'iscrizione del pegno nel Registro istituito all’uopo ha durata di 10 anni ed è rinnovabile se la successiva iscrizione viene operata anteriormente alla scadenza del decimo anno; per quanto invece concerne la cancellazione dell’iscrizione, essa può essere richiesta di comune accordo dal creditore pignoratizio e dal datore del pegno, ma può anche essere fatta oggetto di domanda giudiziale. Sul versante della escussione della garanzia pignoratizia, la nuova disciplina prevede un preliminare preavviso da parte del creditore pignoratizio a chi ha costituito il pegno non possessorio (debitore o terzo datore), nonché agli altri eventuali titolari di pegno non possessorio iscritto successivamente; a seguito di tale preavviso ha luogo l’attuazione vera e propria della garanzia, onde: a) se il pegno ha ad oggetto dei crediti, essi potranno essere escussi fino a concorrenza del credito garantito; b) se il pegno ha ad oggetto beni, essi possono essere venduti dal creditore con trattenimento del corrispettivo a soddisfazione del proprio credito, nei limiti dell’importo garantito, dovendosi peraltro cautelare tanto il debitore quanto gli altri creditori che vantino diritti sul residuo valore del bene coattivamente venduto; la vendita deve avere luogo tramite procedure competitive adeguatamente pubblicizzate (non è ammessa la trattativa privata e occorre massima trasparenza, informazione e favor partecipationis, con forme di pubblicità della gara modulate a seconda del valore dei beni da vendere, ferma in ogni caso la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche ex art.490 c.p.c.) volte a ricavare il miglior importo da restituire al costituente (è possibile avvalersi di esperti per la redazione di specifiche stime, designati sull’accordo delle parti o, in difetto, dal giudice), con obbligo per il creditore di informare immediatamente per iscritto il debitore della somma ricavata e di restituirne contestualmente l'eccedenza; c) se il pegno ha ad oggetto beni – laddove sia previsto nel contratto di pegno ed iscritto nel registro delle imprese – il creditore pignoratizio può anche locare il bene a terzi con imputazione dei canoni fino a concorrenza dell’importo garantito, dovendosi specificamente prevedere i criteri di definizione del canone, con onere per il creditore pignoratizio di darne immediata comunicazione scritta al datore della garanzia; d) se il pegno ha ad oggetto beni, il creditore non possessore può anche appropriarsi (e dunque divenire proprietario) dei medesimi, dovendo peraltro il creditore comunicare immediatamente per iscritto al datore della garanzia il valore attribuito al bene; si tratta di una deroga al divieto di patto commissorio che presuppone che il contratto di pegno sia stato iscritto nel registro delle imprese, abbia esplicitamente consentito tale possibilità ed abbia stabilito i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita. Dinanzi a questa articolata e variegata procedura di escussione, il legislatore ha previsto una specifica tutela – per equivalente o in forma specifica – in capo al debitore escusso: a) ai sensi dell’art. 1, comma 9, del decreto legge 59.16, quando il diritto di escussione del pegno in capo al creditore non sia controverso, ma si sia verificata frizione tra la procedura scolpita dallo stesso articolo per l’escussione del pegno e la concreta escussione della garanzia da parte del creditore, con vendita del bene ad un prezzo non corrispondente a quello di mercato, il debitore ha 3 mesi per agire in giudizio ed ottenere il risarcimento del danno dal creditore, a sanzionare un illecito la cui natura giuridica sembra predicabile come “contrattuale”; b) ai sensi dell’art. 1,
comma 7.bis, del decreto legge 59.16 (inserito dalla legge di conversione del decreto legge), laddove il debitore abbia adempiuto alla obbligazione garantita, ovvero nel caso in cui individui una modalità alternativa di estinzione del pertinente debito, egli (o l’eventuale terzo concedente il pegno) possono invece fruire della tutela giurisdizionale piena dando l’abbrivio – entro 5 giorni dall’intimazione (termine giudicato dalla dottrina eccessivamente breve) - al procedimento giurisdizionale di opposizione all’intimazione medesima, proponendo per l’appunto opposizione nei modi e nelle forme del ricorso disciplinato dal Libro quarto, Titolo I, Capo III-bis, c.p.c., ed instando al fine di ottenere gli opportuni provvedimenti, anche di natura cautelare, potendo peraltro il giudice, su istanza dell’opponente e nei casi più gravi, financo inibire in via di urgenza al creditore di procedere a norma del precedente comma 7. Dal punto di vista delle procedure concorsuali, il pegno senza spossessamento viene poi espressamente equiparato a quello tradizionale in ordine all’applicazione della disciplina della revocatoria fallimentare (articoli 66 e 67 del r.d. 267.42).
Questioni intriganti
Cosa compendia il pegno (tradizionale)?
a) dal punto di vista della fonte, tradizionalmente (ed escluse le nuove ipotesi di pegno c.d. “senza spossessamento”) un contratto reale, nel cui contesto la consegna della res (cosa materiale o documento che incorpora il diritto) perfeziona il contratto e ad un tempo fa acquistare al creditore il corrispondente diritto reale;
b) dal punto di vista del prodotto, un diritto reale di garanzia assoluto, inerente alla res
che ne forma oggetto e tale da attribuire al creditore un ius distrahendi erga omnes;
c) dal punto di vista della forma, si tratta di un diritto per la cui costituzione non è necessaria la forma scritta, essendo sufficiente la consegna della res o del documento che incorpora il diritto; la forma scritta (indicazione del credito garantito e dei beni che lo garantiscono) è necessaria solo per risolvere i conflitti tra creditore pignoratizio ed altri creditori, e dunque per poter opporre a questi ultimi il pegno stesso (e la connessa prelazione);
d) dal punto di vista dei soggetti, il pegno può essere costituito tanto dal debitore quanto da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio: in quest’ultimo caso la struttura e la funzione del pegno restano quelle tipiche rispetto al creditore, pur al cospetto di accordi che disciplinano il rapporto tra debitore e terzo datore di pegno, le cui clausole non sono comunque idonee ad incidere sulla validità ed efficacia del pegno quale diritto reale di garanzia; nei rapporti tra debitore e terzo, la costituzione del pegno può avvenire a titolo gratuito ovvero oneroso, e se il pegno viene concesso dal terzo al creditore contestualmente al sorgere del credito garantito nei confronti del debitore, ai fini della revocatoria la costituzione del pegno va assunta a titolo oneroso (art.2901, comma 2, c.c.);
e) dal punto di vista della tutela, poiché il creditore pignoratizio è nel possesso del bene datogli in pegno, può ottenere che il debitore o il terzo gli rilascino la res qualora ne siano nuovamente entrati nella disponibilità; può spiccare nei confronti di chiunque le azioni possessorie di spoglio e di manutenzione, funzionali al recupero del possesso eventualmente perduto; può opporsi ad ogni pretesa orientata ad ottenere da lui la consegna del bene che è in relativo possesso a scopo di garanzia; se il debitore o il terzo datore sono titolari di azione di rivendicazione, essa spetta anche al creditore pignoratizio (art.2789 c.c.), che dunque agisce in nome del proprietario della res, restando salvi i diritti eventualmente acquistati da terzi in buona fede sulla res medesima (si tratta di un’azione surrogatoria anomala, in quanto il creditore pignoratizio può spiccarla anche se il pegno è stato dato da un terzo in luogo del debitore, e non presuppone l’inerzia del debitore, né il pregiudizio per il creditore stesso)
Cosa può essere oggetto di pegno?
a) beni mobili;
b) universalità di mobili;
c) crediti;
d) diritti aventi ad oggetto beni mobili del debitore;
e) deve in ogni caso trattarsi di un singolo bene, di un singolo credito, di una singola universalità di mobili e così via (se i beni dati a pegno sono molteplici, non essendo ammissibile un pegno collettivo si hanno tanti pegni quanti sono i beni coinvolti);
f) dovendo garantire il creditore – anche se il credito garantito è divisibile (e parzialmente adempiuto), ed anche se la res tradita è divisibile – il pegno come diritto reale resta indivisibile fino a completa soddisfazione del creditore garantito;
Il pegno ha necessariamente alla base un contratto reale?
a) si: la consegna della res (o del documento) è imprescindibile, ed in relativo difetto non si ha pegno (dottrina tradizionale);
b) no: è configurabile anche un contratto consensuale di pegno con effetti obbligatori, onde la realità (consegna) è imprescindibile per la costituzione del diritto reale a valle, ma non a monte per la configurabilità di un contratto obbligatorio di pegno (tesi dottrinale);
c) no, come dimostra anche la figura, ormai istituzionalizzata del c.d. xxxxx “non possessorio” o “senza spossessamento”.
Cosa occorre rammentare della c.d. accessorietà del pegno?
a) il pegno – come diritto reale - è strettamente connesso, e dunque accessorio, rispetto all’obbligazione che garantisce;
b) se, quando esso viene costituito, il credito cui accede è già stato estinto dal debitore, il pertinente contratto deve assumersi nullo per difetto strutturale di causa;
c) se, una volta costituito il pegno, il titolo che ha dato la stura al credito garantito viene annullato, viene dichiarato nullo, ovvero diviene inefficace, lo stesso (contratto di) pegno diviene nullo per difetto funzionale di causa;
d) se si estingue il credito garantito, si estingue anche l’accessorio diritto reale di pegno;
e) se il credito che il pegno deve garantire non è ancora sorto (credito futuro), il pegno può comunque essere costituito, purché si tratti di crediti determinabili nel momento in cui il pegno viene costituito, come nel caso di pretese che possano scaturire da un rapporto già esistente, ovvero di pretese sottoposte a termine iniziale o a condizione di efficacia (dottrina prevalente);
f) se la cosa che si vuol dare in pegno ancora non è venuta ad esistenza (cosa futura), le parti – debitore o terzo da un lato, creditore dall’altro – possono accordarsi con data certa e sufficiente indicazione del credito che si vuole garantire con la res futura: si è cospetto al di un contratto ad effetti obbligatori che si perfeziona quando la res futura, venuta finalmente ad esistenza, viene consegnata al creditore (fattispecie a formazione progressiva).
g) se il creditore viene pagato con surrogazione (art.1204 c.c.), il pegno non si estingue, ma occorre il consenso del debitore per il passaggio del possesso della res dal vecchio al nuovo creditore;
h) se il credito garantito viene ceduto (art.1263 c.c.), il pegno non si estingue, ma occorre il consenso del debitore per il passaggio del possesso della res dal vecchio al nuovo creditore;
i) la novazione soggettiva ed oggettiva dell’obbligazione garantita (articoli 1232 e 1235 c.c.) estinguono il pegno, salvo che il debitore o il terzo che lo hanno costituito dichiarino espressamente di mantenerlo;
j) le vicende modificative dell’obbligazione dal lato soggettivo passivo (delegazione, espromissione ed accollo: art.1275 c.c.) estinguono il pegno, salvo che il debitore o il terzo che lo hanno costituito dichiarino espressamente di mantenerlo;
Cosa occorre rammentare del c.d. spossessamento?
a) si tratta dell’effetto della consegna (traditio) della res, ovvero della consegna del documento che incorpora il diritto oggetto di pegno (art.2786 c.c.);
b) come tale, è costitutivo del diritto reale di pegno;
c) reca l’ulteriore effetto di pubblicizzare il vincolo creato sulla res tradita, e dunque rende opponibile erga omnes la pertinente garanzia;
d) costituisce la disponibilità esclusiva del creditore garantito sulla res tradita;
e) dal punto di vista strutturale, si compendia nel collocamento della res (o del documento) presso il creditore ovvero – laddove il debitore garantito voglia assicurarsi la propria cooperazione per l’esercizio del c.d. ius distrahendi - nella custodia di entrambe le parti, ovvero ancora nella custodia di un terzo designato da entrambe le parti medesime (debitore e creditore);
f) dal punto di vista funzionale, si compendia in un possesso permanente della res tradita presso il creditore o presso il terzo designato dalle parti; il possesso senza soluzione di continuità produce effetti pubblicitari rispetto ai terzi con riguardo al vincolo che grava sulla res, ed è dunque condizione di efficacia della prelazione (art.2787 c.c.);
g) qualora dopo la costituzione del pegno il debitore contragga un’altra obbligazione con il creditore che scade prima dell’adempimento del debito originariamente garantito, se il pegno è stato costituito dal debitore medesimo (e non anche da un terzo), è il possesso della res data in pegno a garantire al creditore il diritto di ritenzione, come forma eccezionale di autotutela privata (c.d. pegno Gordiano, art.2794, comma 2, c.c.);
h) l’acquisto del possesso in capo al creditore pignoratizio implica per lui: h.1) effetti negativi: obbligo di custodire la res pignoratizia ed obbligo di compiere gli atti conservativi del bene, sia materiali che giuridici, incorrendo altrimenti nella responsabilità connessa alla perdita o al deterioramento della res medesima (art.2790, comma 1, c.c.); h.2) effetti positivi: diritto al rimborso delle spese di conservazione del bene; in caso di cosa pignoratizia fruttifera, diritto di far propri i frutti imputandoli dapprima alle spese e agli interessi ed infine al capitale (ma è possibile il patto contrario che, se espresso, consente dal creditore pignoratizio di far propri i frutti, o altrimenti comunque di considerarli accessori della res pignoratizia e dunque facenti un tutt’uno con essa).
In cosa consiste il pegno c.d. irregolare?
a) si tratta di un contratto reale, che si perfeziona dunque con la consegna;
b) tale negozio ha causa di garanzia di un credito;
c) il debitore (o un terzo) consegna al creditore denaro o altre cose mobili fungibili
(merci);
d) con la consegna, viene trasferita al creditore garantito la proprietà del denaro o delle altre cose mobili consegnate;
e) se l’obbligazione garantita viene adempiuta, il creditore è tenuto a restituire il
tantundem rispetto a quanto ricevuto in proprietà;
f) se l’obbligazione garantita non viene adempiuta (inadempimento del debitore), il creditore può conservare quanto ricevuto in proprietà con causa di garanzia (meccanismo di compensazione);
g) in ipotesi di adempimento parziale del debitore (o di valore del pegno irregolare maggiore rispetto a quello della prestazione garantita), il creditore deve restituire al debitore o al terzo l’eccedenza rispetto a quanto ancora dovutogli (ovvero rispetto a quanto riscosso in adempimento della prestazione che poteva esigere);
h) si tratta di una alienazione in garanzia, il cui assetto definitivo in termini di proprietà in capo al creditore è condizionato all’inadempimento dell’obbligazione garantita;
i) si tratta dunque di un caso di proprietà temporanea, della quale la giurisprudenza ha escluso la frizione (pur astrattamente configurabile) con il divieto del patto commissorio ex art.2744 c.c..
Quali problemi pone il c.d. pegno omnibus?
a) dal punto di vista della fonte, la clausola “omnibus” può essere stipulata in via accessoria rispetto ad un rapporto di conto corrente tra banca e cliente; ovvero può accedere ad uno specifico contratto di finanziamento. In entrambi i casi, l’operare della garanzia si estende a macchia d’olio oltre i rapporti, rispettivamente, di conto corrente o di finanziamento ab origine divisati; ed infatti
b) la garanzia ha ad oggetto, in modo del tutto indeterminato ed indistinto, tutti i valori (beni: come ad esempio i titoli) di pertinenza del cliente che pervengano nella disponibilità della banca anche dopo che la clausola “omnibus” sia stata stipulata: si tratta di oggetto del pegno sostanzialmente generico ed indeterminabile a priori;
c) la garanzia assiste qualunque credito che la banca vanta o che vanterà nei confronti del cliente dopo la stipula della clausola “omnibus”: si tratta di un monte-crediti garantito sostanzialmente generico ed indeterminabile a priori;
d) si tratta allora di clausola che entra in rotta di collisione con quanto disposto dall’art.2787, comma 3, c.c., onde quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58, la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa: una norma che non esclude la validità ed operatività del pegno, quanto piuttosto la prelazione a favore del creditore che ne beneficia.
Cosa compendia il c.d. pegno rotativo?
a) è ormai una figura tipica di pegno, prevista dalla legge e nella disponibilità dell’autonomia privata;
b) le parti stipulano, in via accessoria rispetto al pegno e per iscritto, un apposito patto
detto “patto di rotatività”;
c) il rapporto di garanzia connesso al diritto di pegno assume una fisionomia, dal punto di vista causale, dinamica e non più solo statica;
d) la caratteristica è la unitarietà funzionale del rapporto di garanzia, con frazionamenti temporali connessi alla possibilità di sostituire il bene oggetto della garanzia, non più dunque ineluttabilmente fisso;
e) il rapporto di garanzia resta dunque unitario e non subisce alcuna novazione, pur mutando nel tempo l’oggetto materiale, la res che svolge la concreta funzione di garanzia del creditore;
f) l’oggetto del pegno muta e viene sostituito nel tempo, ma ogni mutamento non implica la necessità di compiere ogni volta le formalità e le modalità richieste per la costituzione del vincolo di garanzia, che è unitario e che trova la propria unica fonte nel rapporto di garanzia originariamente sorto tra le parti;
g) tanto il diritto di prelazione del creditore, quanto le eventuali condizioni di revocabilità della garanzia (revocatoria ordinaria o fallimentare) vanno temporalmente ricondotti al momento di originaria costituzione del vincolo di garanzia;
h) si configura attraverso il patto accessorio rotativo una sorta di surrogazione (convenzionale: si basa sull’accordo delle parti) reale, che cioè ha ad oggetto la cosa oggetto della garanzia pignoratizia, senza che ogni volta sorga un nuovo diritto di garanzia;
i) prendendo come punto di riferimento il tipo codicistico, il modello rotativo di pegno ha causa del pari di garanzia, ma si atteggia allora in modo diverso, in quanto il vincolo
di indisponibilità può via via cadere, in via sostitutiva, su beni diversi rispetto a quelli originariamente divisati, pur rimanendo ad ogni effetto (specie revocatorio) lo stesso vincolo di garanzia (originario) unitario;
j) il rapporto negoziale che complessivamente si configura è unitario, ed il mutamento della res che corrisponde al concreto (ed immediato) oggetto della garanzia del creditore implica mera modalità esecutiva, materiale ed attuativa di tale complessivo rapporto negoziale siccome originariamente divisato dalle parti, e nel cui contesto il vero (ancorché mediato) oggetto della garanzia del creditore è un determinato valore, rappresentato in successione da diversi beni in xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxx xxx xxxxx.
Il contratto autonomo di garanzia e la polizza fideiussoria nel Diritto romano
(di Xxxxxx Xxxxxx)
Massima
Anche se non è possibile predicare in senso tecnico l’esistenza nel sistema giuridico romanistico di un contratto autonomo di garanzia, né tampoco della c.d. polizza fideiussoria, si è tuttavia nel vero se si afferma che la garanzia personale nasce nel diritto romano “autonoma”, per poi divenire progressivamente accessoria, come testimonia ab origine il ruolo e la funzione processuale dei praedes e dei vades e, successivamente, l’assetto giuridico via via assunto dalla fideiussio.
Articolo
Tanto il contratto autonomo di garanzia, quanto la c.d. polizza fideiussoria, sembrano compendiare figure coniate dal diritto contemporaneo, e che dunque non trovano precisi addentellati in ambito romanistico; ad un più attento esame, è tuttavia possibile rintracciare riferimenti ad istituti che ne richiamano precipuamente la disciplina, specie in tema di autonomia dell’obbligazione del garante rispetto a quella del debitore garantito.
Fin dall’età arcaica fanno la loro comparsa i praedes e i vades, figure entrambe di garanti processuali, dovendosi rammentare come nel diritto romano sia la tutela processuale ad anticipare il successivo isolamento di istituti di diritto sostanziale: mentre i praedes garantivano – nella legis actio sacramenti in rem – che il convenuto nel possesso della cosa controversa la restituisse, in caso di soccombenza, all’attore, i vades garantivano la stessa comparsa in giudizio del convenuto, citato in giudizio dall’attore.
In entrambi i casi, affiora una evidente scissione tra debito - gravante in capo al debitore convenuto
- e responsabilità, gravante in capo ai ridetti xxxxxxx e vades, i quali ultimi compendiano in origine dei veri e propri “ostaggi” nel potere (personale) dell’attore-creditore, facendo luogo – come ha osservato acuta dottrina
– al massimo di autonomia immaginabile per una garanzia.
Successivamente, altra figura di obbligazione di garanzia in qualche modo autonoma si rintraccia nel mandatum pecuniae credendae: il soggetto A dà mandato al soggetto B di mutuare al soggetto C una determinata somma di denaro o una data quantità di beni fungibili, nel contesto di un meccanismo in cui il debitore (principale) della somma mutuata è il soggetto C che l’ha ricevuta, mentre il garante del creditore
(B) è il soggetto A mandante, al quale il creditore può comunque rivolgersi per l’appunto quale garante, ma anche come mandatario danneggiato, laddove il debitore mutuatario non provveda alla restituzione della somma mutuatagli in esecuzione del mandato.
Ancora, d’interesse è la figura del receptum argentarii: un banchiere si impegna a pagare ad un terzo il debito con lui contratto da un proprio cliente, divenendo dunque garante del cliente stesso. Si tratta di una specie del c.d. costitutum debiti alieni (tutelato dal Pretore), e dunque dell’assunzione del debito di un terzo, che si caratterizza proprio per una peculiare forma di autonomia dell’obbligazione di garanzia, dal momento che il banchiere (argentarius) – al contrario di quanto in genere accadeva nelle ipotesi di constitutum – diveniva obbligato “autonomo”, prescindendosi dunque dall’obbligazione (garantita) a suo tempo assunta dal cliente.
* * *
Un discorso a parte merita proprio la figura della fideiussio, quale specifica tipologia di adpromissio, dovendosi intendere quest’ultima come generale forma di obbligazione di garanzia forgiata dal sistema giuridico romanistico.
Più nello specifico, sin dall’epoca arcaica è possibile per un terzo intervenire accanto al debitore principale, a tutela del creditore, mediante assunzione dello stesso debito (“idem debitum”) in via genericamente accessoria: in questo consiste la adpromissio, protagonista soggettivo della quale è l’adpromissor, la cui obbligazione è la stessa assunta dal debitore principale (idem), non potendo essere più gravosa di quella né dal punto di vista dell’oggetto o della natura, né sul crinale delle specifiche modalità della prestazione che la compendia (l’adpromissor non poteva dunque obbligarsi “in duriorem causam” rispetto al debitore principale).
Le più antiche forme di adpromissio sono la sponsio e la fideipromissio, entrambe accessorie rispetto ad obbligazioni nate da contratti verbali; hanno anche in comune il periodo di durata predefinito (2 anni) e la non trasmissibilità agli eredi, oltre al fatto che entrambe sono promesse solenni in cui muta solo il verbo utilizzato per coniarle (“spondes? Spondeo”; “fideipromittis? Fideipromitto”).
Una volta raggiunta la stabilità sistematica, a valle di un periodo che coincide approssimativamente con l’età della Repubblica, sia la sponsio che la fideipromissio presentano dei tratti comuni precisi, ulteriori rispetto a quelli già illustrati: in presenza di più garanti, l’obbligazione non è solidale, ma parziaria (e dunque divisa tra i vari garanti ridetti); il garante che abbia pagato può agire in regresso nei confronti del debitore garantito, e nel caso di più garanti il regresso verso il debitore garantito è “pro rata”, onde ciascun garante agisce nei confronti del debitore garantito per la quota parte di prestazione adempiuta.
E’ proprio avendo presente questo regime che è possibile apprezzare il diverso assetto giuridico della fideiussio, la più recente forma di adpromissio apparsa nel percorso giuridico romanistico: anche in questo caso si tratta di una promessa solenne e verbale (“fideiubes? Fideiubeo”), che tuttavia può accedere anche ad obbligazioni sorte da contratti non verbali, ed è anzi idonea a garantire qualsiasi tipo di obbligazione; la relativa efficacia non è temporalmente limitata; la garanzia si trasmette agli eredi del garante. Si tratta di una obbligazione solidale, onde il creditore può, secondo la propria scelta, convenire in giudizio il fideiussore anche prima dello stesso debitore principale.
Quello che tuttavia è maggiormente importante qui ratione materiae è che in origine la fideiussio non prevedeva il regresso, né verso il debitore principale, né verso altri eventuali fideiussori, così configurando una accessorietà decisamente labile se non, piuttosto, una forma di vera e propria garanzia autonoma.
Solo successivamente – all’epoca dell’Imperatore Xxxxxxx - viene introdotto il beneficium divisionis tra i confideiussori (con possibilità di agire in regresso nei confronti di questi ultimi da parte del fideiussore che avesse pagato) ed il beneficium cedendarum actionum, onde il fideiussore che ha pagato si fa cedere dal creditore soddisfatto l’azione che a questi spetta nei confronti del debitore (principale garantito); infine, con Xxxxxxxxxxx, l’unica forma di adpromissio resta la fideiussio (spariscono la sponsio e la fideipromissio) e viene introdotto il c.d. beneficium excussionis onde il creditore deve prima rivolgersi al debitore principale e solo successivamente può chiamare in giudizio il fideiussore per l’eventuale credito (o porzione di credito) rimasto insoddisfatto.
In sostanza la fideiussio nasce come obbligazione di garanzia autonoma e solo in epoca giustinianea, dopo uno sviluppo lento e progressivo, diviene obbligazione di garanzia pienamente accessoria rispetto all’obbligazione principale.
Collegamenti
Mandato di credito – Fideiussione – Contratti bancari
Bibliografia essenziale
Xxxxxxxxxx C., Istituzioni di diritto romano, 1996, 299 e ss; Xxxxxxx V., Questioni di diritto, Milano, 2007, 118 e ss
Contratto autonomo di garanzia e polizza fideiussoria: non voglio un clone, cerco un garante “altro”
(di Xxxxxx Xxxxxx)
Massima
In tema di garanzie personali, la fideiussione – sulla cui natura effettivamente contrattuale affiora peraltro più di un dubbio – ha da sempre costituito il punto di partenza “tipico” per l’articolato esplicarsi dell’autonomia negoziale: una sorta di “supporto morfologico” che nel corso dei lustri ha consentito ai contraenti – anche sulla scorta della progressiva concretizzazione della causa del contratto – di forgiare figure atipiche più aderenti alla tutela dei rispettivi interessi, con particolare riguardo alla possibilità per il creditore di rendere più certa e più celere l’esazione del proprio credito nei confronti del debitore principale giusta escussione di un terzo garante sempre meno “accessorio” e sempre più “autonomo” (seppure in guisa “relativa”) rispetto al rapporto di debito-credito ab origine divisato dalle parti.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
La codificazione liberale disciplina la fideiussione agli articoli 1898 e seguenti.; in particolare, all’articolo 1907 il codice Xxxxxxx Xxxxxxxxx - inserendosi nel solco della tradizione romanistica, ed in particolare giustinianea (che non prevede alcuna presunzione di solidarietà tra l’obbligazione del fideiussore e quella del debitore principale) – assume necessario un esplicito accordo tra debitore e fideiussore per disporre la solidarietà tra le due obbligazioni, con conseguente rinuncia da parte del fideiussore che sottoscriva questo esplicito patto al beneficio della preventiva escussione del debitore principale (accettare la solidarietà significa infatti correre il rischio che il creditore si rivolga al fideiussore prima che allo stesso debitore). La natura ex lege non solidale delle due obbligazioni depone per una certa autonomia strutturale delle stesse l’una rispetto all’altra, ma in senso sfavorevole al creditore, che è normalmente costretto a rivolgersi prima al debitore principale.
Il 20 marzo viene poi varata la legge n.2248, allegato F, il cui art.332 prevede nella sostanza che se l’aggiudicatario della competizione per la realizzazione di un’opera pubblica non stipula il contratto definitivo nel termine fissato nel c.d. atto di deliberamento (l’aggiudicazione appunto), la PA può trattenere le somme depositate per la sicurezza dell’asta e procedere ad un nuovo incanto a spese dell’aggiudicatario inadempiente.
1882
Il codice di commercio non disciplina la fideiussione, che dunque viene vista ancora quale
istituto tipicamente civilistico, e non ancora commerciale.
1942
Il codice civile (21 aprile), agli articoli 1936 e seguenti disciplina la fideiussione come “tipo” – è dubbio se effettivamente “contrattuale” (viene definito soggettivamente il fideiussore, e non oggettivamente la fideiussione), ancorché inserita nell’ambito della disciplina dei c.d. contratti tipici –
prevedendo in particolare l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore rispetto a quella principale del debitore garantito, potendo la prima dirsi sussistente solo nei limiti in cui esiste l'obbligazione garantita cui accede, come si evince in particolare dagli articoli 1939 (la fideiussione è valida solo se è valida l'obbligazione principale), 1941 (la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose, mentre può – all’opposto - prestarsi per una parte soltanto del debito o a condizioni meno onerose; la fideiussione eccedente il debito principale o contratta a condizioni più onerose è valida nei limiti dell'obbligazione principale) e 1945 (il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore principale). L’art.1944 prevede poi – a differenza di quanto accadeva nel codice previgente - il vincolo (automatico) della solidarietà tra l’obbligazione principale garantita e quella di garanzia fideiussoria. Particolare importanza riveste l’art.1957 - per le questioni che porrà con riguardo ad una deroga delle parti implicita nella configurazione della garanzia come autonoma – secondo il quale il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il creditore entro 6 mesi (da tale scadenza) abbia proposto le relative istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate (disposizione applicabile anche al caso in cui il fideiussore abbia espressamente limitato la propria fideiussione allo stesso termine dell'obbligazione principale, eventualità nella quale, tuttavia, l'istanza contro il debitore deve essere proposta dal creditore entro 2 mesi); l'istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore.
1943
Il 9 luglio esce la sentenza della Cassazione che abbraccia la ricostruzione – in seguito disattesa - volta a riconoscere natura essenzialmente assicurativa alla fattispecie della c.d. polizza fideiussoria.
1957
Il 17 giugno esce la sentenza della Cassazione n.2299 secondo la quale le c.d. polizze fideiussorie
vanno inquadrate tout court nell'ambito della fideiussione.
1963
L’8 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.221, onde - sia pure nell'ambito dell'orientamento applicativo delle norme sulla fideiussione di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. - la polizza fideiussoria costituisce un sottotipo innominato di fideiussione, giudicandosi decisivo a tal fine il permanere della funzione di garanzia dell'adempimento di una altrui obbligazione, pur in presenza di elementi caratteristici idonei a distinguerla all'interno della fattispecie tipica della fideiussione come disciplinata dal codice (l'assunzione, cioè, della garanzia secondo modalità tecnico-economiche tipiche dell'assicurazione).
1975
Il 9 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.1709, che pone l'accento sul carattere decisamente atipico della polizza fideiussoria, separando la questione della determinazione della disciplina applicabile al contratto da quella dell'individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sé riconducibile - ma circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria (entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti restano tuttavia, per la Corte, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c..
*Il 9 giugno esce la sentenza della Cassazione n.2297, che - sia pure nell'ambito dell'orientamento applicativo delle norme sulla fideiussione di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. - assume la polizza fideiussoria costituire un sottotipo innominato di fideiussione, giudicando decisivo a tal fine il permanere della funzione di garanzia dell'adempimento di una altrui obbligazione, pur in presenza di elementi caratteristici idonei a distinguerla all'interno della fattispecie tipica della fideiussione come disciplinata dal codice (l'assunzione, cioè, della garanzia secondo modalità tecnico-economiche tipiche dell'assicurazione).
1978
*Il 14 marzo esce la sentenza della Cassazione n.1292, che pone l'accento sul carattere decisamente atipico della polizza fideiussoria, separando la questione della determinazione della disciplina applicabile al contratto da quella dell'individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sé riconducibile - ma circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria (entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti restano tuttavia, per la Corte, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c..
1979
Il 29 gennaio viene varato il D.p.R. n.30 che aggiunge al D.p.R. n.633 del 1972 in tema di IVA un articolo 38.bis disciplinante i rimborsi a favore del contribuente: il relativo comma 5 prevede un’ipotesi di polizza fideiussoria a garanzia del rimborso da parte dell’Amministrazione finanziaria.
1982
*Il 17 novembre esce la sentenza della Cassazione n.6155, che - sia pure nell'ambito dell'orientamento applicativo delle norme sulla fideiussione di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. - assume la polizza fideiussoria costituire un sottotipo innominato di fideiussione, giudicando decisivo a tal fine il permanere della funzione di garanzia dell'adempimento di una altrui obbligazione, pur in presenza di elementi caratteristici idonei a distinguerla all'interno della fattispecie tipica della fideiussione come disciplinata dal codice (l'assunzione, cioè, della garanzia secondo modalità tecnico-economiche tipiche dell'assicurazione).
1984
*Il 25 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.5450, che pone l'accento sul carattere decisamente atipico della polizza fideiussoria, separando la questione della determinazione della disciplina applicabile al contratto da quella dell'individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sé riconducibile - ma circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria (entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti restano tuttavia, per la Corte, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c..
1987
Il 01 ottobre esce la sentenza delle SSUU n.7341, secondo la quale la clausola di “pagamento a prima richiesta e senza eccezioni”, inserita nel contratto, è sufficiente a far ritenere configurabile nel caso di specie un contratto autonomo di garanzia; ciò discende dal fatto che per definire il rapporto accessorio serve la definizione di quello principale. In altri termini, il contratto autonomo di garanzia non è ammissibile in senso assoluto, ma sempre prendendo a parametro di riferimento il rapporto principale, onde il mero inserimento della clausola pertinente consente di ritenere inconfutabilmente sussistente nel caso di specie un contratto autonomo di garanzia. La dottrina sarà critica nei confronti di questa pronuncia, affermando che l’inserimento della clausola di “pagamento a prima richiesta e senza eccezioni” può considerarsi solo un indizio, e non una inconfutabile prova, della volontà delle parti di fare luogo ad una garanzia realmente autonoma rispetto all’obbligazione principale, stante anche il proteiforme atteggiarsi dei diversi contesti contrattuali in cui la clausola medesima viene inserita, con connessa, potenziale pluralità di funzioni che essa assolve (in particolare, potrebbe alternativamente configurarsi l’ipotesi della fideiussione con clausola solve et repete, a mero rilievo processuale).
1992
Il 24 ottobre esce la circolare Isvap che opera una definizione della c.d. polizza fideiussoria, assumendola quale contratto assicurativo che assolve la medesima funzione giuridico-economica della
cauzione avente ad oggetto denaro o altri beni, ovvero di una garanzia fideiussoria: il contraente è tenuto a costituirla a favore del creditore beneficiario di una prestazione della quale egli è debitore; la garanzia assiste obbligazioni pecuniarie future, ovvero l’inadempimento di obblighi già assunti, ovvero ancora l’obbligo di risarcire i danni o l’obbligo di versare delle penali.
1994
Il 24 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2827 onde, nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale ma al relativo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza (6 mesi) previsto dall'art. 1957 c.c..
*L’11 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.8295, che pone l'accento sul carattere decisamente atipico della polizza fideiussoria, separando la questione della determinazione della disciplina applicabile al contratto da quella dell'individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sé riconducibile - ma circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria (entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti restano tuttavia, per la Corte, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c..
1995
Il 01 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7345 alla cui stregua laddove le parti abbiano fatto luogo ad un contratto (atipico) di garanzia autonoma, e non dunque ad una fideiussione tipica, deve assumersi implicita la volontà di deroga all’art.1957 c.c., non essendo dunque l’escussione del garante autonomo da parte del creditore subordinata alle richieste da parte del creditore medesimo della prestazione al debitore entro 6 mesi dalla relativa scadenza (ed al fatto che egli abbia coltivato diligentemente tali istanze al debitore).
1996
*Il 19 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6520 che ribadisce come nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale ma al relativo, integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza (6 mesi) previsto dall'art. 1957 c.c..
1998
Il 6 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 3552 secondo la quale al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale) - caratterizzato dall'assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo - sono applicabili le disposizione della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. Per la Corte, più in specie, riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, la clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni": in tal caso infatti, in deroga all'art. 1945, è preclusa al fideiussore l'opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale, restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario "l'exceptio doli", nel caso in cui la richiesta di pagamento immediato risulti "prima facie" abusiva o fraudolenta. La pronuncia sembra pertanto porsi nella scia di quell’orientamento pretorio che assume l’inserimento della c.d. clausola di pagamento a prima richiesta quale indizio non necessariamente di una garanzia autonoma pura (contratto autonomo di garanzia), ma potenzialmente anche di una fideiussione atipica e derogatoria.
Il 15 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. n. 10188, che qualifica la garanzia fideiussoria di cui all’art.38.bis del D.p.R. 633.72 in tema di rimborsi Iva c.d. xxxxxxxxxx, assumendola quale
contratto autonomo di garanzia indipendente dal rapporto principale (tra Fisco creditore e contribuente debitore), con conseguenti, notevoli limiti ai quali soggiacciono le eccezioni opponibili dal garante (autonomo) al Fisco creditore in punto di estinzione dell’obbligazione tributaria. L’azione di rivalsa del garante autonomo nei confronti del contribuente debitore deve assumersi appartenere, per la Corte e sotto altro profilo, alla giurisdizione del GO, e non alla giurisdizione tributaria.
1999
Il 3 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.917 che si occupa dei casi in cui il garante autonomo può (e deve, se vuole salvaguardare il proprio regresso nei confronti del debitore garantito) spiccare nei confronti del creditore la c.d. exceptio doli per comportamento doloso, mala fede o comunque per abuso manifesto da parte del creditore medesimo, in veste di beneficiario della garanzia autonoma. Si tratta in primo luogo della ipotesi in cui risulti palmare, prima facie, il già avvenuto adempimento da parte del debitore principale; della ipotesi in cui risulti, del pari prima facie, l’inadempimento del creditore beneficiario (che tuttavia pretende fraudolentemente l’adempimento da parte del garante); della ipotesi in cui in effetti il debitore principale sia inadempiente, ma lo sia per palese fatto dello stesso creditore beneficiario della garanzia; della ipotesi in cui il rapporto principale di valuta sia stato risolto per fatto non imputabile al debitore garantito; più in generale, delle ipotesi in cui il creditore beneficiario della garanzia agisce intenzionalmente a danno del debitore principale, o comunque abusando del proprio diritto di credito.
Il 21 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 3964, onde, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia, oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l'impiego o meno delle espressioni "a semplice richiesta" o "a prima richiesta del creditore", ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione principale e l'obbligazione di garanzia. Per la Corte la caratteristica fondamentale che distingue il contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione è l'assenza dell'elemento dell'accessorietà della garanzia, insito nel fatto che viene esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall'art. 1945 cod. civ. La Corte decide peraltro su una fattispecie in tema di polizza fideiussoria cauzionale: i giudici di merito, con consonanti decisioni avevano qualificato in termini di autonomia la convenzione di garanzia stipulata, valorizzando la clausola secondo cui la società garante avrebbe dovuto pagare entro un breve termine dalla richiesta del creditore, dopo semplice avviso al debitore principale, di cui non era richiesto il consenso e che nulla avrebbe potuto eccepire in merito al pagamento, anche in sede di rivalsa del garante, e opinando, in particolare, che la stessa apposizione di un termine breve precludesse a priori qualsiasi possibilità, per il garante, di sollevare eccezioni in ordine al rapporto sottostante, non essendo immaginabile, in tempi estremamente ristretti, lo svolgimento delle necessarie indagini per l'accertamento in concreto dell'inadempimento dell'appaltatore e della legittimità della richiesta dell'Amministrazione garantita. Infine, la Corte rivede il proprio orientamento in tema di deroga delle parti all’art.1957 c.c. ritenendo che laddove le parti abbiano voluto un contratto autonomo di garanzia (atipico) in luogo di una fideiussione, tale circostanza non può implicitamente recare seco tale deroga, occorrendo l’esplicito accordo delle parti in difetto del quale occorrerà che il creditore coltivi la propria pretesa verso il debitore garantito entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione. Infine, la Corte si occupa dei casi in cui il garante autonomo può (e deve, se vuole salvaguardare il proprio regresso nei confronti del debitore garantito) spiccare nei confronti del creditore la c.d. exceptio doli per comportamento doloso, mala fede o comunque per abuso manifesto da parte del creditore medesimo, in veste di beneficiario della garanzia autonoma. Si tratta in primo luogo della ipotesi in cui risulti palmare, prima facie, il già avvenuto adempimento da parte del debitore principale; della ipotesi in cui risulti, del pari prima facie, l’inadempimento del creditore beneficiario (che tuttavia pretende fraudolentemente l’adempimento da parte del garante); della ipotesi in cui in effetti il debitore principale sia inadempiente, ma lo sia per palese fatto dello stesso creditore beneficiario della garanzia; della ipotesi in cui il rapporto principale di valuta sia stato risolto per fatto non imputabile al debitore garantito; più in generale, delle ipotesi in cui il creditore beneficiario della garanzia agisce intenzionalmente a danno del debitore principale, o comunque xxxxxxxx
del proprio diritto di credito. Nelle ipotesi in cui il garante (relativamente) autonomo può opporre al creditore l’exceptio doli, ed in particolare in quelle riconnesse al c.d. abuso del diritto di credito da parte del medesimo, per la Corte, il contegno del ridetto creditore deve risultare in modo palmare, prima facie, fraudolento, doloso, abusivo, non in modo presuntivo ma in modo documentato e manifesto (c.d. prove “liquide”, ovvero certe e non contestate): solo in simili circostanze, per la Corte, il rifiuto di adempiere da parte del garante autonomo può dirsi compatibile con la natura, per l’appunto, “autonoma” della garanzia.
Il 01 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10864, che si occupa in particolare della causa della c.d. clausola negoziale di garanzia “a prima richiesta e senza eccezioni”: in forza della medesima, il creditore può esigere dal garante il pagamento immediato del credito che egli vanta verso il debitore, senza che quegli possa eccepirgli né l’eventuale già avvenuto adempimento da parte del debitore principale medesimo, né l’eventuale giustificazione del relativo inadempimento per fatto della controparte creditoria medesima. Per la Corte si è al cospetto di una valida espressione di autonomia negoziale, che configura una fideiussione atipica nella quale vi è una chiara deroga al principio della accessorietà, ma che in ogni caso non fa venire meno (dal punto di vista causale) la connessione tra il rapporto di garanzia ed il rapporto principale (quello di valuta tra creditore e debitore), dovendosi l’autonomia del contratto di garanzia assumersi non già assoluta, quanto piuttosto relativa. Quando poi il creditore escuta la garanzia dal garante autonomo in presenza dei presupposti che facoltizzano quest’ultimo a spiccare l’exceptio doli, in realtà per la Corte il garante ha l’onere di spiccare tale eccezione, riconducibile al principio di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., in quanto titolare di un dovere di protezione nei confronti del debitore principale, nei cui riguardi – in caso di mancata eccezione – perde il diritto di rivalsa (o di regresso), residuandogli solo l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti del creditore beneficiario (in una con l’eventuale azione di risarcimento del danno).
2000
Il 23 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.8540, che si occupa della c.d. controgaranzia: in questa fattispecie, per la Corte, il contratto autonomo si configura come un coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il destinatario della prestazione (creditore beneficiario della garanzia), il garante (normalmente una banca estera), il controgarante - quale soggetto non necessario di per sé all’operazione e che normalmente si identifica in una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera – ed il debitore della prestazione, detto “ordinante”.
2001
Il 17 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6757 che si occupa della c.d. controgaranzia. In particolare, per la Corte deve ritenersi ammissibile tanto il contratto di garanzia autonoma (Performance bond) – con obbligo per il garante di eseguire la prestazione a semplice richiesta del creditore garantito e senza la possibilità di opporre al creditore medesimo eccezioni attinenti alla validità ed all’efficacia del rapporto principale (salva la sola exceptio doli) - quanto il contratto di controgaranzia autonoma, che configura un collegamento a catena di contratti di garanzia nel cui contesto il controgarante garantisce al medesimo modo il garante principale (mentre questi garantisce il creditore).
Il 18 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 6823 onde la cosiddetta assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è contraddistinta dall'assunzione dell'impegno, da parte (di una banca o) di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente (che ne è il debitore). E', poi, caratterizzata, dalla stessa funzione di garanzia del contratto di fideiussione, per cui è ad essa applicabile la disciplina legale tipica di questo contratto, ove non derogata dalle parti.
*Il 19 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 8324, onde, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia, oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l'impiego o meno delle espressioni "a semplice richiesta" o "a prima richiesta del creditore", ma
la relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione principale e l'obbligazione di garanzia. Per la Corte la caratteristica fondamentale che distingue il contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione è l'assenza dell'elemento dell'accessorietà della garanzia, insito nel fatto che viene esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall'art. 1945 cod. civ. La Corte decide peraltro su una fattispecie in tema di polizza fideiussoria cauzionale: i giudici di merito, con consonanti decisioni avevano qualificato in termini di autonomia la convenzione di garanzia stipulata, valorizzando la clausola secondo cui la società garante avrebbe dovuto pagare entro un breve termine dalla richiesta del creditore, dopo semplice avviso al debitore principale, di cui non era richiesto il consenso e che nulla avrebbe potuto eccepire in merito al pagamento, anche in sede di rivalsa del garante, e opinando, in particolare, che la stessa apposizione di un termine breve precludesse a priori qualsiasi possibilità, per il garante, di sollevare eccezioni in ordine al rapporto sottostante, non essendo immaginabile, in tempi estremamente ristretti, lo svolgimento delle necessarie indagini per l'accertamento in concreto dell'inadempimento dell'appaltatore e della legittimità della richiesta dell'amministrazione garantita.
2002
Il 25 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2742 che ribadisce come una deroga all’art.1957 c.c. non può assumersi implicita nella clausola di pagamento “a prima richiesta” inserita dalle parti nel contratto di fideiussione (che così viene reso atipico contratto autonomo di garanzia), ovvero di altra equivalente, dovendosi indagare la concreta volontà delle parti per acclarare se esse abbiano esplicitamente previsto che il creditore è esonerato dal proporre azione giudiziaria nei confronti del debitore nei 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione, potendo rivolgersi direttamente con istanza scritta al garante autonomo.
Il 7 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3326 che si occupa dei rapporti tra il contratto autonomo di garanzia e la nullità del rapporto garantito: allorché tale rapporto sia nullo per illiceità della causa o per contrarietà a norme imperative, tale nullità non si estende direttamente ed automaticamente al rapporto di garanzia, che può predicarsi nullo (con conseguente propagazione della nullità dal rapporto di valuta garantito a quello di garanzia) solo allorché il rapporto di garanzia venga stipulato o venga eseguito strumentalmente, onde perseguire il medesimo fine cui è orientato il rapporto di valuta vietato dal sistema giuridico. In queste ipotesi, il vizio di nullità che affetta il rapporto di valuta garantito si propaga al rapporto di garanzia e quando il garante autonomo lo eccepisce al creditore (exceptio doli), può farlo perché si tratta di un vizio proprio anche del rapporto di garanzia che lo lega al creditore medesimo, per essersi ad esso, per l’appunto, propagato.
Il 2 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4637 onde - dopo la generale premessa secondo cui il contratto atipico di garanzia autonoma si differenzia dalla fideiussione per la mancanza dell'elemento dell'accessorietà, nel senso che il garante si impegna a pagare al beneficiario, senza opporre eccezioni fondate sulla validità o efficacia del rapporto di base – va escluso, nella specie, che valgano a snaturare il contratto tipico di fideiussione ed a qualificarlo come garanzia autonoma le diverse previsioni contrattuali di un termine per il pagamento decorrente dalla richiesta, dell'esclusione del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, della non necessità del consenso di quest'ultimo al pagamento da parte del garante, del divieto per il garantito di sollevare obiezioni sullo stesso pagamento. Secondo la Corte in particolari rapporti, specie quelli di appalto, nella pratica da tempo è invalso l'uso che l'appaltatore, per evitare l'immobilizzazione di somme dovute a scopo cauzionale, presti al committente garanzie bancarie o assicurative di pagamento incondizionato ed irrevocabile di quanto è da lui dovuto: ciò – per la Corte - consente all'appaltatore di non versare la cauzione e garantisce il committente che conseguirà le somme ad esso dovute a semplice richiesta, purché siano rispettate le forme previste, specificandosi, subito dopo, che questo risultato, peraltro, può essere realizzato anche attraverso una fideiussione, quando il contratto è articolato in modo atipico, prevedendo, ad esempio, deroghe diverse rispetto alla disciplina della fideiussione, come quella dell'esclusione del beneficio della
preventiva escussione, ex art. 1944 cod. civ. , oppure quella dell'esclusione per il fideiussore di opporre al creditore principale le eccezioni appartenenti al debitore principale, ex art. 1945 c.c.
Il 27 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7712 – assunta in dottrina come "una inspiegabile rottura, o quantomeno una forzatura, rispetto al precedente indirizzo giurisprudenziale" - che compie un implicito passo avanti verso la automaticità dell'equazione tra polizza fideiussoria dell'appaltatore e Garantievertrag: secondo il decisum di questa pronuncia, ove sia prestata a garanzia dell'obbligazione dell'appaltatore, la polizza fideiussoria non è configurabile come fideiussione, bensì come garanzia atipica, in quanto l'insostituibilità della prestazione fa venire meno la solidarietà dell'obbligazione del garante e comporta che il creditore possa pretendere da lui soltanto un indennizzo o un risarcimento, che è prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto. Nel caso di specie, la Corte riconosce la validità della polizza fideiussoria a mezzo della quale una società assicuratrice aveva garantito l'adempimento delle obbligazioni dell'appaltatore sebbene la relativa stipulazione fosse stata addirittura posteriore al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligazione garantita. La dottrina commenterà la pronuncia osservando come quest'ultima ancori la propria ratio decidendi al sillogismo onde: 1) la polizza fideiussoria - a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore - assurge a garanzia atipica, a cagione dell'insostituibilità della obbligazione principale garantita (premessa maggiore); 2) il creditore può pretendere dal garante solo un indennizzo o risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (premessa minore); 3) la polizza fideiussoria è valida anche se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni garantite (conclusione), sillogismo del quale si dicono condivisibili le premesse (sia quella maggiore che quella minore), ma non la conclusione.
Il 4 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.10574, che ribadisce come in tema di estinzione della fideiussione per scadenza dell'obbligazione principale, la disposizione di cui all'art.1957 del c.c. è derogabile dalle parti – se del caso anche con deroga implicita, come quando la durata della fideiussione sia stata ricollegata dalle parti all'estinzione dell'obbligazione garantita, vale a dire alla liberazione del debitore principale – ma deve in ogni caso escludersi che una conseguenza siffatta costitusca conseguenza indefettibile dell'inserimento, nella fideiussione, di una clausola "di pagamento a prima richiesta" o di altra equivalente. In sostanza per la Corte la norma di cui all'art. 1957 cod.civ. - in base alla quale il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale a condizione che il creditore entro 6 mesi abbia proposto le proprie istanze avverso il debitore e le abbia continuate, è derogabile convenzionalmente dalle parti, ma all’uopo, pur non occorrendo una volontà esplicita per essere tale intento comune ricavabile in via interpretativa, non può comunque assumersi sufficiente la clausola c.d. “di pagamento a prima richiesta”.
Il 29 agosto esce la sentenza del Tribunale di Torino onde il Garantievertrag viene definito come un articolato coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il destinatario della prestazione (e beneficiario della garanzia), il garante (sovente una istituto di credito), e il debitore della prestazione (ordinante la garanzia atipica).
*Il 27 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.16758, che ribadisce come nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale ma al relativo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c.
2004
Il 16 gennaio esce la sentenza della Corte d’Appello di Milano che - al fine di valutare se la clausola di “pagamento a prima richiesta e senza eccezioni” configuri un vero e proprio contratto autonomo di garanzia – assume importante l’interpretazione del rapporto c.d. “di provvista” (normalmente un mandato) tra il debitore principale ed il terzo garante (normalmente una banca), onde verificare se la concreta volontà delle parti si orienti nel senso, appunto, della previsione di una garanzia autonoma pura. Normalmente il debitore conferisce una lettera di incarico alla banca mandataria (e garante), sulla cui scorta quest’ultima è tenuta ad operare il pagamento dietro semplice richiesta scritta del creditore comunque motivata e nonostante l’eventuale opposizione dell’ordinante medesimo, tanto da doversi assumere
sollevata financo dal preventivo avviso all’ordinante in parola dell’escussione della garanzia in corso, non potendo peraltro opporre al creditore beneficiario nessuna eccezione. Secondo la Corte l’interpretazione di questo mandato tra cliente debitore e banca mandataria garante è importante per verificare appunto se si è al cospetto di una vera e propria garanzia autonoma, secondo una impostazione opposta a quella – abbracciata da parte della dottrina – alla cui stregua per qualificare il rapporto di garanzia tra creditore e terzo garante occorre fare riferimento solo al testo che consacra tale rapporto (di garanzia), senza che possano avere rilievo le clausole degli altri negozi che compendiano la complessa operazione di credito garantito (compreso quello tra creditore e xxxxxxxx, giusta il quale il secondo è tenuto a procurare al primo il rilascio di una garanzia “a prima richiesta”).
Il 10 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2464, che – tra le altre cose - si occupa della causa del contratto autonomo di garanzia, identificandola nella traslazione del rischio economico inerente al contratto principale (e fonte del rapporto di valuta) tra creditore e debitore dalla sfera patrimoniale del creditore a quella del terzo garante (assuntore di tale rischio).
Il 15 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5239, che rammenta come ormai da tempo la fideiussione prevista dall'art. 38-bis d.P.R. n. 633 del 1972 per la copertura del rimborso accelerato IVA sia stata qualificata come garanzia autonoma, non accessoria all'obbligo tributario.
Il 01 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10486, onde al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall'assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. La clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni" riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, ed è clausola che - risultando incompatibile con detta disciplina della fideiussione - comporta l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c., consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/ creditore beneficiario.
2005
*Il 12 febbraio esce la sentenza della Corte d’Appello di Milano che ribadisce come la causa del contratto autonomo di garanzia sia nella sostanza da identificarsi nella traslazione del rischio economico inerente al contratto principale (e fonte del rapporto di valuta) tra creditore e debitore dalla sfera patrimoniale del creditore a quella del terzo garante (assuntore di tale rischio).
2006
Il 17 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.5997 onde nel contratto autonomo di garanzia, il garante assume per la Corte l’obbligo di effettuare il pagamento di una determinata somma di denaro in favore del creditore beneficiario della garanzia per il solo fatto che tale soggetto, allegando l'inadempimento dell'obbligazione principale, ne faccia richiesta; nell'assumere tale obbligo – prosegue la Corte - il garante rinuncia a opporre al creditore le eccezioni inerenti al rapporto che lo avvince al debitore principale, anche se dirette a far valere l'invalidità del contratto dal quale deriva tale rapporto, a meno che non siano fondate sulla nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, dovendosi ritenere che in questo ultimo caso l'invalidità del contratto presupposto si propaga al contratto di garanzia, rendendone la causa, del pari, illecita. Sotto altro profilo, la buona fede, nell'ambito dei rapporti obbligatori, opera per la Corte su di un piano di reciprocità, quale fonte integrativa degli effetti degli atti di autonomia privata, integrando ovvero restringendo – a seconda dei casi - gli obblighi letteralmente assunti dalle parti o derivanti da specifiche norme di legge, onde il garante autonomo - tenuto a prima richiesta e senza eccezioni - quando esistano prove evidenti (c.d. prove liquide) del carattere fraudolento o anche solo abusivo della richiesta di pagamento avanzata dal beneficiario della garanzia, può (e deve) rifiutare il pagamento richiesto. Più in particolare, quando il creditore escuta la garanzia dal garante
autonomo in presenza dei presupposti che facoltizzano quest’ultimo a spiccare l’exceptio doli, in realtà per la Corte quegli ha l’onere di spiccare tale eccezione, riconducibile al principio di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., in quanto titolare di un dovere di protezione nei confronti del debitore, nei cui riguardi – in caso di mancata eccezione – perde il diritto di rivalsa (o di regresso), residuandogli solo l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti del creditore beneficiario (in una con l’eventuale azione di risarcimento del danno).
Il 12 aprile viene varato il decreto legislativo n.163, c.d. codice degli appalti, i cui articoli 75 e 113 prevedono le ipotesi di cauzione provvisoria e di cauzione definitiva, anche nella forma della c.d. polizza fideiussoria (garanzia fideiussoria), per i partecipanti alle gare di appalto.
2007
Il 12 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.412 onde la clausola con la quale il fideiussore si impegni a soddisfare il creditore a semplice richiesta del medesimo configura una valida espressione di autonomia negoziale e dà vita ad un contratto atipico di garanzia, che pur derogando al principio dell'accessorietà, non fa venir meno la connessione tra rapporto fideiussorio e quello principale.
*Il 14 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3257 secondo la quale in tema di garanzia personale, la cosiddetta assicurazione fideiussoria o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale, è una figura intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è caratterizzata dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo in caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal terzo; poiché infatti le norme contenenti la disciplina legale tipica della fideiussione sono applicabili se non sono espressamente derogate dalle parti, portata derogatoria deve riconoscersi alla clausola legittima in virtù del principio di autonomia negoziale - con cui le parti abbiano previsto la possibilità per il creditore garantito di esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni", in quanto preclude al garante l'opponibilità al beneficiario delle eccezioni altrimenti spettanti al debitore principale ai sensi dell'art. 1945 c.c.. Siffatta clausola, risultando incompatibile con la disciplina della fideiussione, comporta l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c. , consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/ creditore beneficiario.
2008
Il 17 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.903 che ribadisce come la caratteristica precipua del contratto autonomo di garanzia si identifichi nella carenza dell’elemento di accessorietà dell’obbligo di garanzia rispetto all’obbligazione principale.
Il 31 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 2377, secondo la quale la polizza fideiussoria prestata a garanzia dell'obbligazione dell'appaltatore costituisce una garanzia atipica in quanto essa, non potendo garantire l'adempimento di detta obbligazione, perché connotata dal carattere dell'insostituibilità, può semplicemente assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del beneficiario compromesso dall'inadempimento, risultando, quindi, estranea all'ambito delle garanzie di tipo satisfattorio proprie delle prestazioni fungibili, caratterizzate dall'identità della prestazione, dal vincolo della solidarietà e dall'accessorietà, ed essendo, invece, riconducibile alla figura della garanzia di tipo indennitario - cosiddetta "fideiussio indemnitatis" -, in forza della quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto.
L’11 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3179 onde, nella misura in cui si accerti che le parti abbiano voluto stipulare un contratto autonomo di garanzia, il garante si impegna a pagare al beneficiario – creditore garantito - senza opporre eccezioni né in ordine alla validità né all’efficacia del rapporto di base, ivi compresa l’estinzione del rapporto. Non è necessario in simili ipotesi, per la Corte, che la formula “senza eccezioni” risulti dal titolo in modo espresso, in quanto tale clausola rientra nell’archetipo del contratto autonomo di garanzia. Peraltro, aggiunge la Corte, la posizione del
garante può essere ulteriormente rafforzata, su base convenzionale, mediante una controgaranzia autonoma giusta la quale il controgarante assume verso il garante il medesimo impegno di cui si fa carico quest’ultimo nei confronti del creditore, ossia di pagare al garante la somma prestabilita a prima richiesta, in conseguenza del mero inadempimento da parte del debitore principale; ne segue che al cospetto di una controgaranzia autonoma si configurano due garanzie “a prima richiesta” collegate a catena: il controgarante garantisce il creditore in modo intensamente pari al garante principale, onde il meccanismo dell'adempimento "a prima richiesta" tanto della "garanzia" che della "controgaranzia" scatta – per entrambe - a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione principale. Tale fattispecie viene anche definita garanzia autonoma complessa.
Il 21 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 4446 che opera una sorta di "sintesi" riepilogativa delle posizioni assunte dalla Corte medesima in tema di polizze fideiussorie, ed alla luce della quale: - al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall'assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. La clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni" riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, ed è clausola che - risultando incompatibile con detta disciplina della fideiussione - comporta l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c., consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/creditore beneficiario; - in tema di garanzia personale, la cosiddetta assicurazione fideiussoria o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale, è una figura intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è caratterizzata dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo in caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal terzo; poiché infatti le norme contenenti la disciplina legale tipica della fideiussione sono applicabili se non sono espressamente derogate dalle parti, portata derogatoria deve riconoscersi alla clausola legittima in virtù del principio di autonomia negoziale - con cui le parti abbiano previsto la possibilità per il creditore garantito di esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni", in quanto preclude al garante l'opponibilità al beneficiario delle eccezioni altrimenti spettanti al debitore principale ai sensi dell'art. 1945 c.c.. Siffatta clausola, risultando incompatibile con la disciplina della fideiussione, comporta l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c. , consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/ creditore beneficiario; - nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale ma al relativo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c.; - la clausola con la quale il fideiussore si impegni a soddisfare il creditore a semplice richiesta del medesimo configura una valida espressione di autonomia negoziale e dà vita ad un contratto atipico di garanzia, che pur derogando al principio dell'accessorietà, non fa venir meno la connessione tra rapporto fideiussorio e quello principale (Cass. 12/1/2007 n. 412).
Il 24 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.10652, che si occupa delle ipotesi in cui il garante (relativamente) autonomo può opporre al creditore l’exceptio doli, ed in particolare di quelle riconnesse al c.d. abuso del diritto di credito da parte del medesimo: per la Corte il contegno del ridetto creditore deve risultare in modo palmare, prima facie, fraudolento, doloso, abusivo, non in modo presuntivo ma in modo documentato e manifesto (c.d. prove “liquide”, ovvero certe e non contestate): solo in simili circostanze, per la Corte, il rifiuto di adempiere da parte del garante autonomo può dirsi compatibile con la natura, per l’appunto, “autonoma” della garanzia.
Il 21 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.13078, che si occupa della limitata funzione che può essere svolta da una clausola di pagamento a prima richiesta: essa può evitare al creditore la decadenza di cui all’art. 1957 non solo laddove quegli inizi l’azione giudiziaria verso il
debitore principale, ma anche quando soltanto rivolge al fideiussore la richiesta di adempimento; secondo la Corte peraltro l’inserzione nel contratto di tale clausola non comporta implicita deroga dall’art.1957 c.c., dovendo le parti in concreto manifestare la volontà di non subordinare la garanzia a beneficio del creditore all’inizio di un’azione giudiziaria su iniziativa di questi entro i 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione, per assumere sufficiente una mera richiesta scritta al garante (autonomo).
2009
Il 3 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5044 che si occupa dei rapporti tra il contratto autonomo di garanzia e la nullità del rapporto garantito ribadendo come allorché tale rapporto sia nullo per illiceità della causa o per contrarietà a norme imperative, tale nullità non si estenda direttamente ed automaticamente al rapporto di garanzia, che può predicarsi nullo (con conseguente propagazione della nullità dal rapporto di valuta garantito a quello di garanzia) solo allorché il rapporto di garanzia venga stipulato o venga eseguito strumentalmente, al fine di perseguire il medesimo fine cui è orientato il rapporto di valuta vietato dal sistema giuridico. In queste ipotesi, il vizio di nullità che affetta il rapporto di valuta garantito si propaga al rapporto di garanzia e quando il garante autonomo lo eccepisce al creditore (exceptio doli), può farlo perché si tratta di un vizio proprio anche del rapporto di garanzia che lo lega al creditore medesimo, per essersi ad esso, per l’appunto, propagato. La dottrina che assume il rapporto di garanzia trovare la propria giustificazione causale esterna – anche quando autonomo – nel rapporto di valuta garantito (tra debitore e creditore), assume per conseguenza che la nullità di tale rapporto per illiceità della causa o per contrarietà a norme imperative si estende sempre, in xxx xxxxxxxxxx, xx xxxxxxxx xx xxxxxxxx che in qualche modo “ne consegue”, pur rimanendone in gran parte autonomo.
2010
Il 18 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.3947 che si occupa del caso in cui in un contratto che ha ad oggetto una garanzia personale venga inserita la clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni”, sia che si tratti di un contratto additato come contratto autonomo di garanzia, sia che si tratti di una c.d. polizza fideiussoria. Dirimendo il pertinente contrasto di giurisprudenza, per la Corte si è al cospetto di una deroga assai consistente alla disciplina della fideiussione: il creditore può infatti pretendere dal terzo garante l’immediato pagamento di quanto dovutogli dal debitore, senza che occorra né provare, né comunque accertare l’intervenuto inadempimento del debitore principale. La Corte ribadisca dunque che in presenza di simili clausole va esclusa la presenza di una fideiussione, la quale presuppone quell’accessorietà che è incompatibile con clausole di tal fatta. Se si arriva a contenzioso, il creditore può essere certo della decisione giudiziaria – del tutto prevedibile – a proprio favore, mentre se rimanessero possibili intestizi interpretativi, il tutto creerebbe alea da un lato e potenziali disparità di trattamento tra creditori dall’altro. In sostanza per la Corte, al fine di garantire la certezza dei rapporti (finanziari e commerciali) tra le parti, l’inserimento nell’accordo di una simile clausola consente di presumere in modo assai consistente la presenza di una garanzia autonoma pura, restando tuttavia sempre possibile – sulla scorta del contenuto globale del contratto cui la clausola accede – disvelare una volontà delle parti in senso contrario, laddove affiori una palmare incompatibilità ed una irredimibile discrasia della medesima con la piena autonomia della garanzia siccome concretamente disposta. Per quanto più direttamente concerne la c.d. polizza fideiussoria, le SSUU chiariscono – con specifico riferimento allo schema applicato al contratto di appalto – come si sia al cospetto di un contratto a favore di terzo, in cui è il terzo (il committente dell’appalto, creditore) a richiedere allo stipulante (l’appaltatore, debitore) di stipulare con una banca o con un’assicurazione (in veste di promittente) detta polizza: in tal modo il promittente (banca o assicurazione) si obbliga a pagare una somma al terzo (il committente, spesso la PA) nel caso in cui lo stipulante (l’appaltatore) resti inadempiente ad obbligazioni contratte in seno al contratto di appalto. Anche se è il terzo (che è il committente dell’appalto) a promuovere la stipula della polizza fideiussoria (e, in qualche modo, ad imporla), esso resta per l’appunto terzo, e dunque estraneo rispetto ad un rapporto contrattuale del quale egli beneficia ai sensi dell’art.1411 c.c. (contratto a favore di terzo),
ma che intercorre tra stipulante (l’appaltatore) e promittente (la banca o l’assicurazione che rilascia la polizza): se, come terzo, dichiara di volerne profittare, lo stipulante non potrà più revocare né modificare (ex art.1411, comma 3, c.c.) la relativa previsione contrattuale. Si configura una variante a questo schema laddove il terzo (il committente dell’appalto e creditore garantito) partecipi anch’egli al contratto consacrato nella polizza fideiussoria, circostanza nella quale l’operazione acquisisce – anche formalmente, oltre che sostanzialmente – foggia trilaterale, ed in tal caso il terzo – in realtà divenuto parte contrattuale - non può rifiutare di volerne profittare. La Corte si sofferma anche, e più specificamente, sulla natura giuridica della polizza fideiussoria, sconfessando la precedente giurisprudenza ed escludendo, in primo luogo, che si tratti di una cauzione, in quanto difetta il versamento anticipato di una somma di denaro (scongiurandosi l’immobilizzazione di capitali) e, massime, la garanzia non viene prestata dallo stesso xxxxxxxx, ma da un terzo. In secondo luogo, non si è al cospetto di una fideiussione: la polizza fideiussoria non garantisce l’adempimento dell’obbligazione principale, ma di una obbligazione di tipo indennitario diversa (con esclusione della solidarietà) e collegata all’inadempimento di quella; la garanzia si atteggia allora ad assai più estesa di quella fideiussoria, e soprattutto collegata ad una unilateralità operativa in capo al creditore garantito che, una volta insindacabilmente accertato che ricorrono le condizioni per l’escussione della garanzia, procede in via “autoritativa-privata” ad un vero e proprio atto di autotutela compendiantesi nella richiesta della somma dovuta all’istituto bancario o assicurativo, sovente – e giusta apposita clausola all’uopo inserita – “a prima richiesta e senza eccezioni”, similmente a come farebbe in via reale con l’incameramento della cauzione depositata presso di sé. A differenza di quanto accade nel contratto di assicurazione – e pur dovendosi registrare nella prassi la frequenza con la quale la polizza fideiussoria viene stipulata con una compagnia assicuratrice – non si assiste ad una traslazione (o comunque ad una copertura) del rischio, la quale richiederebbe un preciso ed obbiettivo accertamento dei relativi presupposti di operatività (evento che concretizza il rischio traslato o coperto) da parte dell’assicuratore, mentre nel caso di specie l’escussione è demandata in via unilaterale ed insindacabile all’accertamento dello stesso creditore beneficiario della garanzia; la causa è invece quella di garanzia, il creditore beneficiario potendo escutere la polizza anche quando il debitore sia pienamente solvibile e non voglia adempiere la prestazione dovuta. La Corte rammenta di avere più volte sottolineato come le polizze fideiussorie concretino un rapporto in cui un soggetto (una compagnia di assicurazioni o un istituto bancario), dietro pagamento di un corrispettivo, si impegna a garantire in favore di altro soggetto l'adempimento di una determinata obbligazione assunta dal contraente della polizza, strumento contrattuale che, pur non essendo espressamente disciplinato dal codice del '42, è menzionato in molte leggi speciali che lo prevedono come forma di garanzia sostitutiva della cauzione reale, normalmente richiesta per chi stipula - come nel caso di specie - contratti con la P.A. Si tratta di una fattispecie (polizza fideiussoria) dove non si configura una astrazione assoluta dall’elemento causale e ciò in quanto, afferma la Corte, tra astrazione assoluta – da un lato – e accessorietà piena – dall’altro – si stagliano orizzonti che abbracciano diverse gradazioni di strutture negoziali che il legislatore di volta in volta legittima, secondo un giudizio di valore rispetto ai vari interessi coinvolti nella vicenda: l’accessorietà dell’obbligazione autonoma di garanzia rispetto al rapporto debitorio principale (di valuta) assume un carattere certamente più elastico, di semplice collegamento / coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare come si evince, da un lato, dalla rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il rapporto sottostante; e, dall’altro, dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse. Si tratta insomma, per la Corte, di una garanzia “autonoma” in senso relativo, e non assoluto. La Corte, a questo proposito, ritorna sul concetto di causa del contratto, per riaffermarne la relativa configurabilità non in senso astratto, ma in senso concreto: secondo la Corte infatti – che richiama quanto già condivisibilmente affermato dalla III sezione con la sentenza 10490/06 (in materia di contratto di consulenza professionale) e successivamente ribadito con le 4 pronunce dell'11 novembre del 2008, rese in tema di danno non patrimoniale – appare ormai predicabile una ermeneutica del concetto di causa che - sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che la configurava come strumento di controllo della utilità sociale del contratto che essa sottende - affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale
del negozio (che, a tacer d'altro, non spiega come un contratto tipico possa, al medesimo tempo, avere causa illecita), ricostruendo tale elemento (la causa appunto) in termini di “concreta” sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato): sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, precisa la Corte, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora oggettivamente iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, secondo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti – nel singolo caso di specie - adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale. E' innegabile pertanto - prosegue la Corte - che di causa negotii sia lecito discorrere, in termini di relativa concreta esistenza, anche con riferimento al contratto autonomo di garanzia ed alla polizza fideiussoria, ad esso assimilabile quoad effecta; ed è altresì innegabile, nel caso di specie, che la forma di garanzia prescelta dalle parti, in alternativa al deposito cauzionale in denaro o titoli, non sia stata quella della fideiussione, bensì quella della polizza fideiussoria, alternativa e, per l'effetto, sostituiva forma di prestazione della cauzione stessa, "consentita" (così, letteralmente, il testo negoziale rilevante in parte qua) dall'Amministrazione appaltante senza essere accompagnata da alcuna dichiarazione abdicativa di tutti gli altri poteri e facoltà spettantile sulla base della normativa di settore vigente ratione temporis. La funzione individuale del singolo, specifico negozio (id est della polizza fideiussoria) è stata dunque quella di sostituire la traditio del denaro tipica della cauzione con l'obbligazione di corrispondere una somma di denaro, da parte del garante, a richiesta del creditore, senza alcuna possibilità, per il primo, di invocare il meccanismo, tipicamente fideiussorio, di cui all'art. 1957 c.c.. La Corte conclude pertanto affermando il principio di diritto onde la polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore assurge a garanzia atipica, a cagione dell'insostituibilità della obbligazione principale, onde il creditore può pretendere dal garante solo un risarcimento o un indennizzo, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto. Con la precisazione, peraltro, della invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni garantite.
2012
Il 10 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.65, onde il negozio autonomo di garanzia – o polizza fideiussoria – con il quale si è garantita all’Amministrazione Finanziaria la restituzione delle somme indebitamente rimborsate da questa in sede di procedura di rimborso anticipato tramite conto fiscale (ex art.38.bis del D.p.R. n.633.72) è valido anche in ipotesi di inesistenza del soggetto apparente beneficiario del rimborso e pure in caso di colpa dell’Amministrazione erogante, salva la sola exceptio doli da parte del garante, sollevabile in caso di effettiva restituzione da parte del contribuente del rimborso indebito.
2014
*Il 19 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5239, che ribadisce come ormai da tempo la fideiussione prevista dall'art. 38-bis d.P.R. n. 633 del 1972 per la copertura del rimborso accelerato IVA sia stata qualificata come garanzia autonoma, non accessoria all'obbligo tributario.
2015
Il 29 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1724 onde la c.d. assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è contraddistinta dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente; peraltro, essendo caratterizzata dalla stessa funzione di garanzia della fideiussione, ad essa è per la Corte applicabile, ove non derogata dalle parti, la disciplina legale tipica di tale contratto.
Il 31 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.16213 secondo la quale il carattere distintivo del contratto autonomo di garanzia rispetto alla fideiussione è costituito dall’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà per il garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga alla regola essenziale posta per la fideiussione dall’art. 1945 cod. civ., e dalla conseguente preclusione della legittimazione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal detto rapporto principale, nonché della proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento da quest’ultimo effettuato. Ai fini della predetta qualificazione, la Corte territoriale ha ritenuto non decisiva la previsione dell’obbligo del garante di pagare “a semplice richiesta” o “a prima richiesta” del creditore, in tal modo conformandosi – per la Corte - ad un orientamento diffuso, secondo cui le predette espressioni possono riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà più o meno accentuato nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia infine a clausole il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, non già all’esclusione, ma a una deroga parziale della disciplina dettata dall’art. 1957 cod. civ., esonerando il creditore dall’onere di proporre tempestiva azione giudiziaria.
*Il 01 ottobre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 19609, che ribadisce come ormai da tempo la fideiussione prevista dall'art. 38-bis d.P.R. n. 633 del 1972 per la copertura del rimborso accelerato IVA sia stata qualificata come garanzia autonoma, non accessoria all'obbligo tributario.
2016
Il 18 aprile viene varato il decreto legislativo n.50, codice dei contratti pubblici, i cui articoli 93 e 103 prevedono ipotesi di garanzia fideiussoria in relazione – rispettivamente – alla presentazione dell’offerta nel contesto di una gara di appalto, ovvero alla stipula del pertinente contratto.
Il 14 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.12152 che inizia con il definire il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag) quale espressione dell’autonomia negoziale ex articolo 1322 c.c., con funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale; per la Corte la garanzia può afferire anche ad un facere infungibile (qual e’ l’obbligazione dell’appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui – stante la piena identità tra prestazione del debitore principale e quella dovuta dal garante – e presenta un causa concreta identificantesi nel trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole o meno; nella fideiussione, predicato indefettibile della quale è l’accessorietà, viene invece tutelato l’interesse del creditore all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva – per la Corte - che, mentre il fideiussore e’ un “vicario” del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, palesandosi non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, orientata come essa è ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore. Il contratto autonomo di garanzia si caratterizza pertanto - rispetto alla fideiussione - per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, non potendo il garante opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale in deroga all’articolo 1945 c.c.; al debitore è poi precluso chiedere al garante di opporre al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale (rapporto di valuta tra creditore e debitore), e gli è precluso spiccare tali eccezioni al garante successivamente al pagamento da quest’ultimo effettuato al creditore, là dove l’accessorietà tipica della garanzia fideiussoria postula, all’opposto, che il garante ha l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell’articolo 1952 c.c., comma 2, all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora si configurino eccezioni da far valere nei confronti del creditore medesimo. La Corte aggiunge che se l’inserimento - in un contratto di fideiussione - di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sè a qualificare il negozio come contratto autonomo di
garanzia - in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione (e salvo quando affiori un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale) – nondimeno, in presenza di elementi quali quelli in precedenza indicati che conducano comunque ad una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l’assenza di formule come quella anzidetta non e’ per la Corte elemento decisivo in senso contrario, rimanendo fermo che l’accertamento afferente alla distinzione, in concreto, tra contratto di fideiussione e contratto autonomo di garanzia e’, in ogni caso, questione riservata al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica ovvero per vizio di motivazione.
2017
Il 28 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7884 che muove dalla polizza fideiussoria di cui all’art. 00-xxx xxx x.X.X. x. 000 del 1972, il cui testo ha subito numerose modifiche negli anni, annoverandola quale uno degli strumenti per il finanziamento del cosiddetto conto fiscale, il quale è a sua volta una particolare modalità di regolazione dei rapporti debitori e creditori di natura tributaria. Tale disposizione, allo scopo di assicurare celerità nell’erogazione del rimborso da parte del Fisco al contribuente, prevede che l’Amministrazione finanziaria sia obbligata a posporre i controlli – notoriamente lunghi e farraginosi – ad un tempo successivo e ad accontentarsi, per procedere al rimborso stesso, della semplice richiesta del contribuente, purché corredata da alcuni minimi requisiti formali e da quello, invero determinante, della prestazione di una garanzia per il caso di non spettanza del rimborso eventualmente corrisposto. La finalità della ridetta polizza è allora quella di garantire all’Amministrazione finanziaria l’immediato recupero di eventuali rimborsi che, in occasione di un successivo approfondito esame della relativa richiesta, istituzionalmente posposto, risultino in tutto o in parte non dovuti con obbligo della società di assicurazione di versare le somme richieste dall’Ufficio fiscale, a meno che non vi abbia già provveduto il contribuente. È proprio in considerazione della particolare natura di detta polizza che – rammenta la Corte - la propria giurisprudenza ha già da molti anni riconosciuto simile contratto configurare un contratto autonomo di garanzia che, diversamente dal modello della fideiussione, è connotato dalla non accessorietà dell’obbligazione di garanzia rispetto a quella principale (così le Sezioni Unite con le sentenze 1° giugno 1992, n. 6607, e 15 ottobre 1998, n. 10188, nonché, più di recente, la Sezione Quinta con la sentenza 1° ottobre 2015, n. 19609). Da tale impostazione viene ritratta l’ulteriore conclusione onde l’autonomia dell’obbligazione del garante fa sì che, qualora al contribuente che abbia ottenuto il rimborso sia successivamente notificato avviso di rettifica che esclude il relativo diritto ed al garante venga domandata la restituzione delle somme rimborsate, questi non possa rifiutare l’adempimento in base al rilievo che l’imposta si sia caducata o sia estinta anche per condono, consentendogli tale evento soltanto di ripetere quanto versato ove l’obbligazione tributaria risulti effettivamente estinta.
Questioni intriganti
Quando e perché nasce il c.d. contratto autonomo di garanzia?
a) dal punto di vista della configurazione dottrinale, nasce dalla Pandettistica tedesca di fine 800, ed in particolare dagli studi del giurista e filosofo del diritto Xxxxxx Xxxxxxxx, con il nome di Garantievertrag;
b) dal punto di vista delle esigenze che intercetta, la figura si sviluppa per venire incontro alla necessità per il creditore di ottenere in via immediata e diretta l’escussione della garanzia in caso di inadempimento del debitore.
Quali sono le più diffuse figure di contratto autonomo di garanzia?
Si tratta fondamentalmente di un “bond”, vale a dire di una “obbligazione” nelle mani del creditore, e la pratica conosce più nel dettaglio:
a) il Payment Xxxx, o garanzia di mancato pagamento: è la garanzia con la quale normalmente una banca garantisce l’esportatore (venditore beneficiario) contro il rischio di mancato pagamento da parte dell’importatore (acquirente ordinante) alla scadenza prevista;
b) la Stand by Letter of Credit: è la garanzia - per il creditore/beneficiario - di ricevere l’importo della fornitura dietro presentazione al garante dei documenti previsti (fra i quali, in particolare, imprescindibile una dichiarazione di mancato pagamento) in caso di inadempimento del debitore/ordinante.
c) la Bid (o Tender) Xxxx o garanzia dell’offerta: è d’uso nelle gare d’appalto internazionali e nelle procedure ad evidenza pubblica per garantire il committente (massime se pubblico) in ordine alla serietà dell’impresa che presenta l’offerta e sulla effettiva volontà di sottoscrivere il contratto in caso di aggiudicazione della gara, allo scopo di scongiurare che siano alfine vanificati i costi della espletata procedura competitiva di selezione del contraente;
d) la Performance Bond, o garanzia di buona esecuzione: il terzo, normalmente una banca, garantisce il committente (massime se pubblico) circa la buona esecuzione delle prestazioni previste dagli obblighi contrattuali (realizzazione dell’opera; erogazione della fornitura e così via): in particolare la tempestiva consegna (dell’opera), la qualità della merce (nella fornitura), la corretta prestazione del servizio;
e) la Advance Payment Xxxx, o garanzia di rimborso: il garante assicura al committente il rimborso delle somme che ha anticipato all’appaltatore per le spese d’impianto del cantiere o per l’approntamento della fornitura, nel caso in cui quegli non porti a compimento i lavori o non proceda alla fornitura;
f) la Retention Money Bond, o garanzia di riserva: nei contratti aventi ad oggetto la realizzazione di opere o l’installazione di impianti, ad ogni stadio di avanzamento dei lavori, il committente trattiene una percentuale degli importi dovuti al fine di tutelarsi per spese impreviste, massime dovute a difetti occulti; tali importi verranno successivamente pagati - a collaudo avvenuto – all’appaltatore che dunque in questo caso figura come creditore (non come debitore) e che tuttavia può richiedere il pagamento integrale presentando alla banca presso la quale sono depositate queste somme, appunto, il retention money bond, così garantendosi il pagamento a prima richiesta da parte della banca medesima delle somme che altrimenti rimarrebbero ivi trattenute;
g) la Maintenance Bond o garanzia di manutenzione: il terzo assuntore, normalmente una banca, garantisce – a prima richiesta - un indennizzo al committente (massime se pubblico) nel caso in cui, a lavori ultimati o a fornitura erogata, l’appaltatore abbandoni il cantiere e non provveda ad eliminare i difetti non apparenti delle opere o dei prodotti.
In cosa si compendia il contratto autonomo di garanzia, o a semplice richiesta, o a prima richiesta?
a) coinvolge il creditore, il debitore, il terzo garante e talvolta un quarto controgarante;
b) l’operazione economica appare funzionalmente unitaria;
c) tuttavia il rapporto di garanzia (creditore-terzo garante) è separato, scisso, autonomo
rispetto al rapporto principale garantito o rapporto di valuta (creditore-debitore);
d) ricapitolando, l’obbligazione principale oggetto della garanzia nasce dal rapporto di valuta tra creditore e debitore;
e) un rapporto di provvista lega il debitore (principale) al terzo garante, impegnandosi il secondo a garantire l’obbligazione che il primo ha assunto in virtù del rapporto di valuta che lo lega al creditore;
f) un terzo ed autonomo rapporto – rapporto di garanzia - avvince il creditore (parte del rapporto di valuta con il debitore principale) ed il terzo garante (parte del rapporto di provvista con il debitore garantito): il terzo garante si obbliga – per il caso in cui il debitore principale non adempia – ad eseguire una prestazione a beneficio del creditore, sulla base di una semplice richiesta di quest’ultimo;
g) la natura “semplice”, o “a prima richiesta”, “a prima richiesta e senza eccezioni” della garanzia consente al creditore di chiedere al terzo garante la prestazione dovutagli dal debitore (rapporto di garanzia) senza correre il rischio di sentirsi opporre le eccezioni che quegli potrebbe opporre al debitore (rapporto di valuta); il creditore non ha infatti bisogno di provare i presupposti che lo legittimano a chiedere al terzo garante l’adempimento;
h) talvolta l’operazione annovera un quarto soggetto, il contro-garante, il cui rapporto è con il garante: laddove il garante venga escusso dal creditore, il controgarante si impegna a tenerlo indenne di quanto abbia eventualmente pagato al creditore (rapporti negoziali transnazionali; commercio internazionale).
Che cosa è la c.d. polizza fideiussoria?
a) si tratta di espressione polisemantica, che abbraccia diverse tipologie contrattuali della prassi, in una forbice che va dalla fideiussione (tipica) alla assicurazione del credito;
b) si parla a volte di polizza fideiussoria, altre volte di polizza cauzionale, altre volte ancora di cauzione fideiussoria, o di fideiussione assicurativa o, ancora, di assicurazione fideiussoria;
c) la causa muta da caso a caso, perseguendo le parti interessi diversi, che tuttavia esse consacrano in un documento con tali (variegati) nomi; si fa riferimento ad una causa “concreta”, o economico individuale, della operazione contrattuale di volta in volta divisata dalle parti; più nel dettaglio: c.1) al fine di scongiurare perniciose immobilizzazioni di capitali, il debitore – piuttosto che prestare al creditore una cauzione, che lo priverebbe delle pertinenti somme – stipula una assicurazione fideiussoria che parimenti garantisce al creditore la possibilità di auto-soddisfarsi in caso di relativo inadempimento; c.2) al fine di garantire al creditore due patrimoni a titolo di garanzia per l’eventuale inadempimento, il debitore stipula la polizza fideiussoria che ha allora il medesimo scopo pratico di una garanzia personale tipica (fideiussione) o atipica (contratto autonomo di garanzia);
d) vi è sempre coinvolta o un’impresa bancaria o un’impresa assicurativa;
e) l’obiettivo è la tutela del creditore, e la causa è dunque di garanzia;
f) in caso di inadempimento del debitore di una prestazione, la banca o l’assicurazione si obbligano infatti a corrispondere al creditore un importo determinato, cristallizzato in un documento detto appunto “polizza fideiussoria”;
g) terreno di elezione della polizza fideiussoria è il contratto di appalto, che vede come (terzo) creditore beneficiario il committente (compresa la PA in caso di appalto di opera pubblica): essa può garantire l’adempimento dell’obbligazione originariamente assunta dall’appaltatore, ovvero l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria scaturita dall’inadempimento o inesatto adempimento di detta originaria obbligazione, configurandosi non come fideiussione, ma come garanzia atipica (detta anche fideiussio indemnitatis) a cagione – massime con riguardo all’obbligazione originariamente assunta dall’appaltatore – della relativa infungibilità, con evidente inconfigurabilità di un rapporto solidale (tipico della fideiussione) tra l’obbligo originario dell’appaltatore-debitore garantito e l’obbligo indennitario del garante, tale per cui – in caso di inadempimento – il committente può pretendere dal garante non già la prestazione originariamente dovuta (erogabile solo dall’appaltatore), ma una riparazione meramente pecuniaria di soddisfazione; in tal modo il creditore ha a disposizione non già chi gli eseguirà la prestazione in caso di inadempimento del proprio debitore (fideiussione), ma chi in quella paventata ipotesi – solvibile – possa ristorarlo tenendolo indenne dal conseguente pregiudizio;
h) la polizza fideiussoria diviene allora il contenitore formale di una garanzia autonoma, configurando – a differenza della fideiussione tipica, quale garanzia di tipo satisfattorio, che rafforza il potere del creditore di ottenere il medesimo bene dovuto dal debitore, in forza del c.d. idem debitum che la contraddistingue, e dunque la soddisfazione di quel medesimo interesse che avrebbe dovuto soddisfare il debitore – una garanzia di tipo indennitario (fideiussio indemninatis), potendo il creditore, in caso di inadempimento del debitore, ottenere non già la soddisfazione del medesimo interesse che avrebbe dovuto soddisfargli il debitore laddove adempiente, quanto un interesse diverso, quello ad essere ristorato dal pregiudizio del perpetrato inadempimento, con funzione reintegratoria e latamente assicurativa.
Come si configura la c.d. garanzia autonoma complessa, o controgaranzia?
a) fa luogo ad una catena di contratti di garanzia autonoma;
b) riguarda per lo più i rapporti transfrontalieri;
c) il creditore X è dello Stato A e il debitore Y è dello Stato B;
d) il debitore (Y dello Stato B) si rivolge ad un soggetto della medesima nazionalità (banca Z dello stato B) per farsi garantire in via autonoma;
e) il garante prescelto (banca Z dello stato B) non presta direttamente la garanzia autonoma, ma chiede di farlo ad un omologo della medesima nazionalità del creditore (banca Z1 dello Stato A), divenendone controgarante;
f) il creditore (Y dello Stato A) viene garantito in via autonoma da un garante connazionale
(banca Z1 dello Stato A);
g) il garante autonomo connazionale del creditore (banca Z1 dello Stato A) viene a propria volta controgarantito – e dunque tenuto indenne, in caso di pagamento - da un soggetto omologo (banca Z dello Stato B) dello Stato del debitore ordinante (Y dello Stato B);
h) sul crinale dell’escussione, il creditore (X) si rivolge al proprio connazionale garante autonomo (banca Z1);
i) successivamente, il garante autonomo (banca Z1) si rivolge al proprio omologo controgarante di diversa nazionalità (banca Z), sicché dal punto di vista dell’escussione della garanzia l’aspetto transfrontaliero viene gestito da garante e controgarante, che normalmente sono due soggetti professionali (banche);
j) infine, il controgarante escusso (banca Z) si rivale nei confronti del debitore (Y).
Xxxx distingue il contratto autonomo di garanzia puro da altre figure, ed in particolare dalla fideiussione assistita dalla clausola del c.d. solve et repete?
Il problema nasce dalla sostanziale ambiguità della clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni”, che può essere inserita:
a) in una fideiussione vera e propria, in cui l’obbligazione di garanzia è pienamente accessoria rispetto all’obbligazione principale, e la clausola svolge solo la funzione – meramente processuale - di invertire l’onere della prova: il creditore procede de plano all’escussione (giudiziaria) del terzo garante (che nella sostanza è un fideiussore) senza dover provare nulla, ma il terzo garante può provare nel pertinente giudizio la insussistenza dei presupposti per l’escussione stessa, così opponendosi (nel processo) al pagamento;
b) in una fideiussione vera e propria, in cui l’obbligazione di garanzia è ancora accessoria rispetto all’obbligazione principale, e la clausola svolge solo la funzione – ancora una volta processuale - del c.d. solve et repete, obbligando il terzo garante (che nella sostanza è un fideiussore) a pagare in ogni caso su richiesta del creditore, senza potersi opporre al pagamento, ma fatta salva la possibilità poi di ripetere quanto pagato;
c) in un vero e proprio contratto autonomo di garanzia nel cui contesto, stando anche al complessivo assetto negoziale voluto dalle parti, si assiste ad una garanzia del tutto sganciata dal rapporto principale (e non già ad un mero congegno processuale che consente al creditore di ottenere subito il pagamento salva la successiva ripetizione); sia i criteri di interpretazione del contratto, sia lo stesso contratto interpretato e le previsioni negoziali che lo compendiano, sospingono in tal caso nel senso della volontà delle parti di far luogo ad un vero e proprio contratto autonomo di garanzia, la cui funzione è allora analoga a quella disimpegnata dal deposito cauzionale (che il creditore può incamerare in via immediata e diretta nel caso di inadempimento del debitore);
d) in un contratto autonomo (ed atipico) di garanzia, o in una fideiussione tipica, si garantisce una obbligazione altrui, ed esse intervengono direttamente tra terzo garante e creditore, potendo essere – rispetto al debitore garantito – a titolo oneroso come a titolo gratuito (con possibile operatività dell’art.1333 c.c. sul negozio rifiutabile tanto nei rapporti tra garante e creditore, quanto nei rapporti tra garante e debitore, ove appunto a titolo gratuito); mentre nella c.d. polizza fideiussoria il contratto lega il debitore (si pensi all’appaltatore di opera pubblica), in veste di stipulante, all’intermediario garante (banca o assicurazione), in veste di promittente mentre il creditore (si pensi alla PA committente), si configura come terzo beneficiario della prestazione (contratto a favore di terzo ex art.1411 c.c.); la polizza fideiussoria è peraltro necessariamente onerosa, essendo sempre prevista la corresponsione da parte del debitore (stipulante) di un premio all’assicuratore o alla banca (promittente).
Come funziona il contratto autonomo di garanzia quanto a relativa disciplina?
a) la disciplina della fideiussione entra in gioco solo in via analogica e nei limiti della compatibilità, dovendosi applicare (e, prima ancora, interpretare) la convenzione atipica intercorsa tra le parti, con particolare riguardo al regime delle eccezioni opponibili dal garante, essendo normalmente esclusa l’opponibilità delle eccezioni fondate sul rapporto di valuta (tra creditore e debitore garantito);
b) il debitore non adempie ed adempie il garante autonomo: il garante autonomo, che ha pagato il creditore, si surroga nei diritti del creditore verso il debitore garantito (surrogazione ex lege del soggetto che ha pagato il debito altrui ex art.1203, lettera e), c.c.); in applicazione analogica degli articoli 1949 e 1950 c.c., il garante autonomo che ha pagato il creditore vanta anche – alternativamente – un diritto di regresso nei confronti del debitore garantito; resta sempre salva la diversa previsione di cui al
rapporto di provvista (tra debitore e garante autonomo), laddove la garanzia sia stata assunta per spirito di liberalità o comunque in via gratuita, ovvero sia stata assunta nel contesto di un mandato in cui il debitore mandante si sia obbligato a somministrare al garante autonomo mandatario i mezzi, le spese ed il compenso per l’esecuzione del mandato;
c) adempie tanto il debitore quanto il garante autonomo: ciò può accadere massime laddove il garante autonomo ometta di denunciare al debitore garantito l’avvenuto adempimento a beneficio del creditore; in tali ipotesi scatta il principio generale scolpito
– a tutela del debitore garantito – all’art.1952 c.c., onde il garante autonomo (al pari del fideiussore, trattandosi di regola che prescinde dalla natura autonoma o accessoria della garanzia prestata) perde il diritto di regresso nei confronti del debitore garantito, potendo tuttavia ripetere quanto pagato (doppiamente) al creditore ovvero, secondo una tesi, potendo esercitare l’azione di arricchimento senza causa ex art.2041 c.c. proprio in forza della natura autonoma della propria obbligazione di garanzia;
d) se le parti nulla dicono nel contratto atipico di garanzia autonoma, si applica l’art.1957 c.c. che – nell’onerare il creditore a far valere le proprie ragioni nei confronti del debitore principale entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita – può assumersi applicabile tanto alla garanzia fideiussoria accessoria (tipica) quanto alla garanzia autonoma (atipica);
e) il pagamento viene effettuato dal garante autonomo al creditore beneficiario, ma successivamente a tale pagamento viene annullato il titolo che fonda il rapporto di valuta (tra creditore e debitore garantito): il garante autonomo può agire in rivalsa nei confronti del debitore principale garantito, il quale a propria volta può poi esperire azione di ripetizione di indebito nei confronti del creditore.
f) il garante autonomo non può opporre al creditore – esclusi i gravi casi di frode o di abuso del diritto - le eccezioni fondate sul rapporto tra debitore e creditore (rapporto di valuta), mentre può opporre le eccezioni fondate sul rapporto tra sé stesso e il creditore (rapporto di garanzia); in quest’ultimo caso, e.1) sia che si tratta di eccezioni “personali”; e.2) sia che si tratti di eccezioni afferenti alla validità del contratto di garanzia; e.3) sia che si tratti di c.d. eccezioni “letterali”, che riguardano cioè la lettera del contratto di garanzia, ciò che vi è scritto (la escussione della garanzia potrebbe essere subordinata ad un termine, ovvero alla presentazione di un documento da parte del creditore, ovvero ancora alla indicazione dei motivi sulla base dei quali, in concreto, la garanzia viene escussa);
g) il rapporto di garanzia è da intendersi (per dottrina e giurisprudenza maggioritarie) “relativamente” autonomo rispetto al rapporto di valuta, e non già autonomo in senso assoluto, i principi di correttezza e buona fede ed il canone causale fungendo da argine alla assoluta insensibilità del primo rispetto al secondo, e potendo (e dovendo, pena la perdita della rivalsa verso il debitore) in casi molto gravi il garante autonomo opporre al creditore la c.d. exceptio doli, nelle pertinenti fattispecie isolate dalla dottrina e dalla giurisprudenza: f.1) nullità del rapporto di valuta - per causa illecita o contrarietà a norme imperative – che si propaga al rapporto di garanzia; f.2) mala fede o abuso palese perpetrato dal creditore, quando esista la prova c.d. “liquida” (per palmare evidenza) di tale abuso: in questo caso, chi parla di implicazione naturale del principio di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. e chi, muovendosi sul crinale causale, ritiene che laddove cessino gli effetti del rapporto di valuta, deve assumersi insussistente l’interesse del creditore alla escussione della garanzia e, per conseguenza, privo di causa il rapporto (relativamente) autonomo di garanzia; in simili ipotesi, per dottrina e parte della giurisprudenza è possibile anche, per il debitore, agire in
via cautelare e preventiva (ex art.700 c.p.c.) al fine di impedire al garante autonomo il pagamento al creditore beneficiario, così scongiurando l’esercizio ex post delle azioni di ripetizione;
h) il pagamento viene effettuato dal garante autonomo al creditore beneficiario, ma non è dovuto e tuttavia non sussistono le condizioni per spiccare l’exceptio doli: il garante autonomo paga il creditore principale (senza possibilità di ripetere una volta pagato, altrimenti il relativo pagamento sarebbe provvisorio, configurerebbe una fideiussione con solve et repete ed escluderebbe la stessa configurabilità di un contratto autonomo di garanzia) ed esercita l’azione di regresso verso il debitore principale; è questi che può poi ripetere a propria volta la prestazione (non dovuta) al creditore, al quale è stata adempiuta dal garante autonomo pur non essendo (appunta) dovuta;
i) il pagamento viene effettuato dal garante autonomo al creditore beneficiario, ma non è dovuto, sussistono le condizioni per spiccare l’exceptio doli ed il garante autonomo non la oppone al creditore: si configura – da parte del garante autonomo – una violazione dell’obbligo di protezione del debitore in capo a lui gravante, che non gli consente di agire in regresso verso il debitore medesimo; secondo l’opzione maggioritaria della dottrina (che parte da una autonomia solo “relativa” del rapporto di garanzia rispetto al rapporto di valuta), gli spetta tuttavia l’azione di ripetizione di indebito nei confronti del creditore, mentre secondo la tesi minoritaria (tendente a ravvisare una autonomia più “assoluta” del rapporto di garanzia rispetto a quello di valuta tra debitore e creditore) gli spetta la sola azione di arricchimento senza causa verso il creditore;
j) il pagamento viene effettuato dal garante autonomo al creditore beneficiario, ma non è dovuto per cause afferenti al rapporto di garanzia (tra creditore e garante autonomo): non gli è consentito agire in regresso verso il debitore medesimo; secondo l’opzione maggioritaria della dottrina (che parte da una autonomia solo “relativa” del rapporto di garanzia rispetto al rapporto di valuta), gli spetta tuttavia l’azione di ripetizione di indebito nei confronti del creditore, mentre secondo la tesi minoritaria (tendente a ravvisare una autonomia più “assoluta” del rapporto di garanzia rispetto a quello di valuta tra debitore e creditore) gli spetta la sola azione di arricchimento senza causa verso il creditore.
Cosa occorre rammentare del contratto autonomo di garanzia con riferimento alla causa?
a) in origine si è dubitato in ordine alla validità del contratto autonomo di garanzia, a fronte di una ventilata astrattezza della relativa causa (attribuzione patrimoniale del garante priva di giustificazione);
b) si tratta ormai di un contratto atipico di garanzia, nel cui contesto gli interessi fatti oggetto dell’autonomia privata negoziale sono riconosciuti meritevoli di tutela;
c) il creditore è posto nelle condizioni di soddisfare il proprio interesse, divisato nel rapporto di valuta con il debitore, con maggiore rapidità e con un più alto grado di certezza;
d) ciò in quanto, nell’ambito del rapporto di garanzia, il terzo garante non può opporgli le eccezioni che potrebbe opporgli, nell’ambito del rapporto di valuta, il debitore principale, stante appunto l’autonomia del rapporto di garanzia rispetto al rapporto di valuta;
e) il creditore può ottenere il medesimo risultato anche attraverso il c.d. deposito cauzionale, che può incamerare in caso di inadempimento del debitore (principale): questa figura reca tuttavia la controindicazione del lasciare immobilizzata la somma oggetto della garanzia, al contrario di quanto accade proprio con il contratto autonomo
di garanzia nel cui contesto la somma resta nella disponibilità del terzo garante fino alla escussione da parte del creditore;
f) dal punto di vista strutturale della causa, si distingue: f.1) chi assume trattarsi di un contratto a causa mista, in cui si intrecciano le cause rispettive del rapporto di valuta (tra creditore e debitore principale) e del rapporto di provvista (tra debitore principale e terzo assuntore garante); f.2) chi ritiene essersi al cospetto della seconda fase di una delegazione pura cumulativa “adattata”, nel cui contesto il terzo B che interviene assume la veste di garante (in luogo di quella di mero assuntore), obbligandosi verso il creditore C giusta esplicito richiamo al mandato conferitogli dal debitore B (prima fase) ed in modo autonomo rispetto al credito che quegli (C) vanta nei confronti del debitore (B), e dunque senza poter opporre a C le eccezioni che potrebbe opporgli il debitore mandante (principale) B; f.3) chi ritiene trattarsi di una promessa del fatto del terzo (art.1381 c.c.), in cui il garante C in sostanza promette l’adempimento del debitore principale B, assumendo su di sé il rischio del pregiudizio connesso all’inadempimento e paventato dal creditore C, obbligandosi a ristorarlo in caso di effettivo inadempimento di B; f.4) chi assume trattarsi di un contratto con causa esterna, nel cui contesto l’obbligazione assunta dal garante si giustifica attraverso l’esplicito richiamo ad un rapporto fondamentale (il rapporto di valuta tra debitore e creditore), con precipuo scopo di garanzia; i propugnatori di questa tesi vedono nelle due alternative ipotesi di exceptio doli, rispettivamente, una fattispecie di causa illecita “propagata” (quando il rapporto di valuta è a propria volta con causa nulla per illiceità), e una fattispecie di causa mancante o di difetto di causa (quando il rapporto di valuta perde effetto senza che ciò sia imputabile al debitore garantito); f.5) chi riconduce il contratto autonomo di garanzia ad una causa “di prevenzione”, o “causa cavendi”, onde, in presenza di un evento temuto, “garanzia” significa fondamentalmente sicurezza di non subire le conseguenze di tale evento laddove si verifichi, e in quest’ottica la funzione dell’obbligo assunto dal garante autonomo è quello di imputare al proprio patrimonio, traslandovele, le conseguenze dannose che in difetto ricadrebbero sul patrimonio del creditore, quale precipitato dell’inadempimento del debitore; da questo punto di vista, si assiste ad una causa di traslazione del rischio dalla sfera patrimoniale di colui sul quale naturalmente ricadrebbe (il creditore) a quella di colui che quel rischio si assume (terzo garante assuntore), che in tal modo garantisce un risultato economico che era lo scopo del negozio principale (fonte del rapporto di valuta tra il creditore ed il debitore), e che diversamente non verrebbe raggiunto; le parti (creditore e debitore) fanno luogo nel rapporto di valuta ad un determinato assetto negoziale, che corrisponde al rapporto principale oggetto della garanzia, e la cui causa giustificativa viene “esternalizzata” nel contratto autonomo di garanzia (tra creditore e terzo assuntore) che lo enuncia e richiama, l’attribuzione patrimoniale in esso prevista trovando giustificazione tanto nella garanzia propria del contratto autonomo medesimo, quanto nella causa propria del rapporto fondamentale cui si riconnette senza tuttavia “accedervi”, in forza di una sorta di “autonomia relativa” (dottrina e giurisprudenza maggioritarie, che in tal modo combinano tra loro le teorie della causa esterna, della causa mista e della traslazione del rischio).
Le lettere di patronage nel Diritto romano
(di Xxxxxx Xxxxxx)
Massima
Tanto la “intercessio” per un debito altrui, specie laddove necessariamente formale, quanto la “pollicitatio” ed il “votum” costituiscono figure della tradizione romanistica richiamabili in tema di c.d. lettere di patronage o di presentazione, xxxx nella tradizione anglosassone ed in particolare negli Stati Uniti.
Articolo
Rintracciare figure assimilabili alla c.d. lettera di patronage – la cui comparsa, tutt’affatto recente, è riannodabile alla tradizione giuridica anglosassone ed in particolare al diritto degli Stati Uniti - in seno al sistema romanistico sembra impresa impossibile: eppure la promessa unilaterale che vale obbligo, anche con funzione (causa) di garanzia non è del tutto priva di riscontri dal punto di vista del diritto romano; e ciò pur volendo prescindere dalle classiche figure riconducibili alla c.d. adpromissio (sponsio, fideipromissio e fideiussio).
All’epoca dell’Imperatore Xxxxxxx, nel 46 d.C. (secondo la datazione proposta dal Xxxxxxx), viene varato il Senatoconsulto c.d. Xxxxxxxxx, con il quale viene vietato alle donne – massime a cagione dell’inesperienza dal punto di vista degli affari, ad esse presuntivamente annessa – di intercedere per i debiti altrui. E’ proprio da questa figura generica di “intercessio” che muove la giurisprudenza per coniare per l’appunto l’istituto della intercessio per i debiti altrui, quale assunzione del debito di un terzo.
Si tratta di quello che nel diritto contemporaneo sarà l’accollo (ma anche, per certi versi, la delegazione e l’espromissione), e che già allora può atteggiarsi a promessa “privativa”, laddove l’intercedente si sostituisca al debitore originario, ovvero “cumulativa”, laddove l’obbligazione dell’intercedente si aggiunga a quella del debitore intercesso.
Una promessa obbligatoria che - a partire da Giustiniano - esige l’atto pubbico ad substantiam: proprio la natura formale assunta dalla intercessio per un debito altrui in epoca giustinianea – unita alla lata funzione di garanzia assolta - consente di accostare tale istituto alla moderna lettera di patronage.
* * *
Sul crinale della unilateralità della fonte, altrettanto interessante la c.d. “pollicitatio”, quale promessa (per l’appunto) unilaterale alla quale viene via via riconosciuta dal sistema giuridico romanistico efficacia obbligatoria, e che nasce da una consuetudine propria dei c.d. municipia: un cittadino promette formalmente di compiere un’opera di pubblico interesse, ovvero di versare una somma di denaro alla civitas di riferimento, in tal modo obbligandosi ad un facere o ad un dare.
In taluni casi specifici, l’obbligo assunto unilateralmente diviene coercibile nel c.d. processo (cognitio) “extra ordinem”, quando in particolare il cittadino promittente abbia iniziato l’opus divisato, ovvero quando abbia promesso il facere o il dare in connessione con una carica pubblica cui ambisce o che ha già conquistato (c.d. pollicitatio ob honorem).
Efficacia giuridica viene del pari annessa al “votum”, una promessa unilaterale sacrale di natura religiosa che un paterfamilias può fare a favore della divinità, e che assume efficacia obbligatoria tutelabile – nell’orbita del c.d. “fas” e su istanza dei sacerdoti - sempre attraverso la cognitio extra ordinem, laddove la divinità evocata abbia mostrato la propria benevolenza concedendo quanto richiesto con la
preghiera cui la promessa accede (una sorta di condizione sospensiva di efficacia della promessa medesima).
La struttura obbligatoria ed unilaterale, con foggia di promessa, tanto della pollicitatio quanto del votum consentono una assimilazione – dal punto di vista della fonte dell’obbligazione (quand’anche non specificamente di garanzia) – di entrambi gli istituti della tradizione romanistica alla c.d. lettera di patronage.
Collegamenti
Promessa unilaterale – Accollo
Bibliografia essenziale
Xxxxxxxxxx C., Istituzioni di diritto romano, 1996, 131 e ss; 200; 354. Carro V., La promessa unilaterale. Studio sulla formazione unilaterale del rapporto obbligatorio tra diritto romano, tradizione romanistica e prospettive future, Napoli, 2012;
Un “conforto” atipico per il creditore: le lettere di patronage
(di Xxxxxx Xxxxxx)
Massima
La prassi commerciale e finanziaria richiede sempre maggiori garanzie per i soggetti professionali (in specie le banche) chiamati ad erogare finanziamenti: è in questo contesto che vedono la luce le c.d. lettere di patronage, una sorta di “conforto” per chi presta denaro, al quale possono all’uopo giungere da terzi informazioni “interessate” (più o meno veritiere) sul soggetto finanziato, talvolta pienamente impegnative per chi le rende.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Nella codificazione liberale non si riscontra nessun accenno alle lettere di patronage, in coerenza con i sistemi di civil law per i quali fondamento dell’obbligazione può essere solo il consenso come incontro delle volontà, rilevando l’atto unilaterale, al più, come atto pre-contrattuale (proposta, accettazione).
1942
Il codice civile (21 aprile), disciplina da un lato la fideiussione agli articoli 1936 e seguenti, muovendo da una norma, l’art.1936 appunto, che – piuttosto che definire il contratto di fideiussione – definisce soggettivamente “il fideiussore” identificandolo in colui che – anche per iniziativa unilaterale (la fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza) - obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui. Il medesimo codice prevede all’art.1333 lo schema contrattuale del c.d. negozio rifiutabile, con obbligazioni a carico del solo proponente, e agli articoli 1987 e seguenti disciplina – indicandole quale numerus clausus rigorosamente tipico – le promesse unilaterali, le quali non producono effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge. Solo intorno agli anni Settanta, con derivazione dalla tradizione giuridica anglosassone e soprattutto degli USA, appariranno le prime formule negoziali riconducibili alle c.d. lettere di patronage. Importante un cenno all’art.2362, in tema di responsabilità del socio unico di società di capitali, ed in particolare di società per azioni: nella originaria versione codicistica, laddove la società versi in stato di insolvenza, per le obbligazioni sorte durante il tempo in cui la società ha avuto un unico socio, questo risponde illimitatamente e solidalmente con la società, con conseguente interesse per i soggetti finanziatori (in particolare le banche) ad ottenere una lettera di tipo informativo in cui un soggetto affermi di essere (magari in modo inveritiero) l’unico socio della società, con conseguente garanzia per la banca connessa ad una confessione. Importante anche un cenno da un lato alla c.d. responsabilità in contrahendo ex art.1337 (che lambisce il processo formativo della volontà delle parti contrattuali), e dall’altro all’art.1439, comma 2, laddove si prevede la legittimazione a chiedere l’annullamento del contratto per dolo del terzo. Infine, va rammentato anche l’art.1958 che prevede il c.d. mandato di credito, alla cui stregua se una persona si obbliga verso un'altra, che le ha conferito l'incarico, a fare credito a un terzo, in nome e per conto proprio, quella che ha dato l'incarico risponde come fideiussore di un debito futuro, specificandosi che colui che ha accettato l'incarico (di fare credito ad un terzo) non può rinunziarvi, ma chi l'ha conferito può revocarlo, salvo l'obbligo di risarcire il danno all'altra parte. Da non trascurare poi la definizione di “mediatore” cui fa cenno, ancora una volta solo sul crinale soggettivo (senza parlare di “contratto”),
l’art.1754 c.c., secondo il quale è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare , senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
1979
Il 4 ottobre esce la sentenza della Corte d’Appello di Roma onde - quando le dichiarazioni contenute in una lettera di patronage hanno un contenuto meramente informativo, concernendo l'esistenza di una posizione di influenza da parte del patronnant con funzioni di rassicurazione del creditore in ordine alle condizioni patrimoniali, economiche e finanziarie del debitore patrocinato, non può assumersene natura negoziale vincolante: non contiene l’assunzione di una obbligazione fideiussoria la lettera di patronage nella quale – ad esempio - una società riconosce che un’altra ne è sussidiaria controllata, in grado di mantenere puntualmente gli impegni finanziari assunti (peraltro previo proprio controllo), dichiarando di essere solita adottare i provvedimenti necessari a tal fine di controllo.
1983
Il 30 maggio esce la sentenza del Tribunale di Milano onde non può essere interpretata come avente natura negoziale vincolante la dichiarazione con la quale l’autore della lettera di patronage si limiti ad affermare l’esistenza di un proprio interesse al mantenimento in essere di linee di credito già concesse dalla banca al patrocinato. Laddove la lettera di conforto sia vincolante, per il patronnant si è al cospetto di un mandato di credito ai sensi dell’art.1958 c.c.: la dottrina critica tuttavia tale ricostruzione, in quanto nella fattispecie della lettera di patronage in realtà l’ente finanziatore non si obbliga nei confronti del patronnant ad erogare il divisato importo al patrocinato.
1985
Il 9 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2879 secondo la quale, con riguardo alle cosiddette lettere di 'patronage' che una società capogruppo o controllante indirizzi ad una banca affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata, l'indagine diretta a stabilire se le lettere medesime si limitino a contenere dati e notizie sulla situazione del gruppo o sul rapporto di controllo, rilevanti al solo fine di mettere la banca in condizione di valutare adeguatamente l'opportunità di riconoscere detto credito, ovvero implichino anche l'assunzione di garanzia fideiussoria per i debiti della società controllata, si traduce in un accertamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, se correttamente ed adeguatamente motivato. La Corte riconduce dunque potenzialmente la lettera c.d. impegnativa alla garanzia fideiussoria, e dunque alla fideiussione.
1992
Il 17 febbraio viene varata la legge n.154 che, nel modificare l’art.1938 c.c., prevede la necessità di specificare indefettibilmente l'importo massimo garantito per le obbligazioni future, nell’ambito della disciplina della fideiussione.
Il 12 novembre esce una sentenza del Tribunale di Milano che qualifica la lettera di patronage obbligatoria come promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.
1993
Il 12 ottobre esce una sentenza del Tribunale di Monza che qualifica la lettera di patronage obbligatoria come promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.; una presa di posizione che viene criticata dalla dottrina, la quale osserva come nella lettera di patronage vincolante il patronnant non promette il fatto del terzo, ma si obbliga in proprio.
1995
Il 22 giugno esce la sentenza del Tribunale di Milano onde, dal punto di vista della natura giuridica, la lettera di patronage non configura una promessa del fatto del terzo, quanto piuttosto un’obbligazione
assunta in proprio dal patronnant, costituente impegno giuridico vincolante di natura contrattuale e con finalità di garanzia. Il Tribunale chiarisce i contorni della c.d. lettera “forte” o impegnativa: per il tramite di essa il patronnant assume degli specifici obblighi (senza limitarsi a rendere mere informative) nei confronti del creditore finanziatore, che assumono la funzione di rafforzare il convincimento di quest’ultimo in ordine alla solvibilità del debitore patrocinato, al quale va concesso un credito ex novo, ovvero va mantenuto un fido già esistente, ovvero va estesa la linea di finanziamento del pari già esistente; normalmente l’oggetto dell’obbligo del patronnant concerne i propri rapporti con il debitore, che in genere è una società, da cui l’obbligo del patronnant di conservare la propria partecipazione nella società debitrice, l’obbligo di esercitare una attività di direzione e controllo della società debitrice, l’obbligo di adoperarsi a che la società conservi un livello patrimoniale tale da garantirne la solvibilità.
Il 27 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 10235, assai importante sul tema delle lettere di patronage (o di gradimento): la funzione tipica delle dichiarazioni in esse contenute non consiste propriamente nel “garantire” l'adempimento altrui, nel senso in cui tale termine viene assunto nella disciplina della fideiussione e delle altre garanzie personali specificamente previste dal legislatore; mentre infatti in queste ultime il garante assume l'obbligo di eseguire la medesima prestazione dovuta dal debitore principale, la funzione propria della lettera di patronage va piuttosto ravvisata nel tentativo di rafforzare nel creditore il convincimento che il debitore patrocinato farà fronte ai propri impegni, onde non si è al cospetto, per la Corte, di una forma di garanzia tipica, quanto piuttosto di una garanzia impropria. Tale peculiare natura – precisa tuttavia la Corte - non vale ad escluderne qualsiasi valore giuridico, palesandosi esse sovente collegate ad operazioni di notevole rilievo economico, non essendo pertanto ragionevole supporre che con il relativo rilascio le parti abbiano inteso dar vita ad impegni considerevoli solo da un punto di vista sociale. Per la Corte, quando la lettera di patronage ha contenuto meramente informativo, si è al cospetto di una lettera “debole”, laddove una eventuale responsabilità del patronnant può essere affermata solo alla stregua dei principi sanciti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. in tema di responsabilità precontrattuale, il patrocinante venendo ad inserirsi nello svolgimento di trattative avviate tra altri soggetti, proprio al fine di agevolarne la positiva conclusione e di rafforzare il convincimento del creditore, e così creando ragionevoli aspettative sul buon esito dell'operazione. Per la Corte, tale situazione è sufficiente a giustificare l'applicazione di quelle regole di diligenza, di correttezza e di buona fede dettate proprio al fine di evitare che gli interessi di quanti partecipano alle trattative possano essere pregiudicati da comportamenti altrui scorretti, e quindi in violazione dell’art. 1337 c.c., che impone alle parti l’osservanza della buona fede nelle trattative (prima ancora che nello svolgimento del contratto). Diversa è invece la rilevanza giuridica attribuibile alle lettere di patronage c.d. “forti”, in ordine alle quali può piuttosto assumersi per la Corte configurabile una ipotesi di autentica responsabilità negoziale a carico del patronnant: in questo diverso modello di lettere di gradimento c.d. “forti”, il patrocinante non si limita invero ad esternare la propria (rassicurante) posizione di influenza, assumendo piuttosto veri e propri impegni, quale ad esempio quello di salvaguardia della solvibilità della società controllata, o di futuro mantenimento della propria partecipazione nella medesima, dovendosene ritrarre la genesi di una vera e propria obbligazione di fonte negoziale avente ad oggetto un facere; il patronnant si obbliga a tenere una certa condotta, in modo che la controllata sia sempre in condizioni economiche tali da consentirgli di adempiere agli obblighi assunti con il soggetto (normalmente, una banca) che abbia concesso il finanziamento alla società garantita proprio sulla base di tale lettera di conforto. Dal punto di vista della natura giuridica, non si configura nondimeno – per la Corte - una promessa del fatto del terzo, quanto piuttosto un’obbligazione assunta in proprio dal patronnant, costituente impegno giuridico vincolante di natura contrattuale e con finalità di garanzia. Più in particolare, la lettera di patronage “forte” viene ricondotta nello schema negoziale delineato dall’art. 1333 c.c., una norma apparentemente riferibile ai soli contratti, e dunque non a negozi unilaterali, ma il cui schema può assumersi estendibile anche ad ogni promessa gratuita, con obbligazioni a carico del solo proponente come accade nella lettera di patronage, in quanto nella particolare ipotesi contemplata dall’articolo in esame, il rapporto può costituirsi senza bisogno di accettazione e quindi anche – strutturalmente - per effetto di un atto unilaterale. Per la Corte, lo schema delineato dall'art. 1333 c.c. si adatta perfettamente alle lettere di patronage, ed in
particolare a quelle che abbiano carattere impegnativo per il patronnant, non potendosi per tale via dubitare della relativa efficacia vincolante, posto che tali dichiarazioni si palesano pur sempre intese a rafforzare la protezione dei diritti del creditore e, quindi, a realizzare interessi certamente “meritevoli di tutela” secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322 comma 2 c.c.; resta però il fatto che, per la Corte, in caso di lettera di patronage dell’art.1333 c.c. viene mutuato il solo schema di raggiungimento dell’effetto giuridico, che va tuttavia ricondotto non ad un contratto, ma ad un negozio giuridico unilaterale impegnativo per il proponente.
1998
Il 21 gennaio esce la sentenza della Corte di Giustizia CEE in cause C-216/96 e 216/96 che chiarisce come – con la previsione della necessità di indicare l’importo massimo garantito in tema di fideiussione per obbligazioni future (art.1938 c.c., novellato dalla legge 154.92) il legislatore italiano si sia adeguato alle norme sovranazionali di cui, in particolare, agli articoli 85 e 86 del Trattato CEE.
2001
Il 3 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4888 onde – sul presupposto della piena vincolatività delle lettere di patronage c.d. xxxxx (da ricondursi allo schema dell’art.1333 c.c.), l’insussistenza della partecipazione azionaria nella società controllata, falsamente assicurata dal patronnant al fine di rassicurare il finanziatore della ridetta controllata, incidendo sull’impegno da questi assunto ai sensi dell’art. 1333 c.c. nei confronti del destinatario della lettera, integra inadempimento contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. La Corte precisa come la funzione della lettera di conforto non sia tanto quella di “garantire” l’adempimento del debitore come nel caso della fideiussione – con assunzione dell’obbligo di eseguire la medesima prestazione promessa dal debitore principale – quanto piuttosto quella di rafforzare nel creditore che ne è il destinatario il convincimento che il debitore “patrocinato” farà regolarmente fronte agli impegni presi. La Corte torna altresì a chiarire i contorni della c.d. lettera “forte” o impegnativa: per il tramite di essa il patronnant assume degli specifici obblighi (senza limitarsi a rendere mere informative) nei confronti del creditore finanziatore, che assumono la funzione di rafforzare il convincimento di quest’ultimo in ordine alla solvibilità del debitore patrocinato, al quale va concesso un credito ex novo, ovvero va mantenuto un fido già esistente, ovvero va estesa la linea di finanziamento del pari già esistente; normalmente l’oggetto dell’obbligo del patronnant concerne i propri rapporti con il debitore, che in genere è una società, da cui l’obbligo del patronnant di conservare la propria partecipazione nella società debitrice, l’obbligo di esercitare una attività di direzione e controllo della società debitrice, l’obbligo di adoperarsi a che la società conservi un livello patrimoniale tale da garantirne la solvibilità. Per la Corte, nelle lettere c.d. “forti” il patronnant non promette il fatto del terzo (art.1381 c.c.), ma promette il fatto proprio, ovvero una prestazione di facere di natura atipica – dai contenuti variabili ed in parte sopra esplicitati – tendente a (latamente) garantire il creditore in ordine alla futura soddisfazione delle proprie pretese connesse all’erogato finanziamento.
Il 25 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11987, che torna a chiarire i contorni della c.d. lettera “forte” o impegnativa: per il tramite di essa il patronnant assume degli specifici obblighi (senza limitarsi a rendere mere informative) nei confronti del creditore finanziatore, che assumono la funzione di rafforzare il convincimento di quest’ultimo in ordine alla solvibilità del debitore patrocinato, al quale va concesso un credito ex novo, ovvero va mantenuto un fido già esistente, ovvero va estesa la linea di finanziamento del pari già esistente; normalmente l’oggetto dell’obbligo del patronnant concerne i propri rapporti con il debitore, che in genere è una società, da cui l’obbligo del patronnant di conservare la propria partecipazione nella società debitrice, l’obbligo di esercitare una attività di direzione e controllo della società debitrice, l’obbligo di adoperarsi a che la società conservi un livello patrimoniale tale da garantirne la solvibilità. In simili ipotesi, la qualificazione della lettera di patronage (c.d. forte) è quella di contratto con obbligazioni del solo proponente ex articolo 1333 c.c. (e dunque di contratto gratuito non liberale).
Il 23 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Cagliari che chiarisce cosa si intende per lettere di patronage “deboli” o informative: con esse il patronnant informa il destinatario (creditore ed erogatore del finanziamento) di fatti e circostanze pregresse o attuali che ineriscono al debitore patrocinato ed al relativo status, ed in particolare la relativa situazione patrimoniale e finanziaria, l’esposizione debitoria complessiva, gli standard di controllo interno adottati (particolarmente elevati e dunque rassicuranti), l’organizzazione societaria in genere; l’informazione può anche concernere i rapporti tra patronnant e patrocinato, come ad esempio la sussistenza di xxxxx xxxxxxxxxxx, di vincoli di partecipazione o contrattuali in genere e così via.
2003
Il 17 gennaio viene varato il decreto legislativo n.6 di riforma del diritto societario che modifica l’art.2362 c.c. in tema di responsabilità dell’unico socio di s.p.a., facendo grandemente scemare l’interesse della banche a ricevere una lettera informativa (debole, ma impegnativa perché confessoria) con la quale un soggetto (“patronnant”) affermi di essere il socio unico della società; il socio unico infatti non è sempre e comunque illimitatamente responsabile, ma lo è solo – estendendosi a lui il fallimento - allorché non abbia effettuato per intero i conferimenti ovvero non abbia adeguatamente pubblicizzato la propria posizione di socio unico nel registro delle imprese (socio unico “nascosto”), circostanza che per l’appunto ridimensiona l’interesse dei soggetti finanziatori ad ottenere la pertinente lettera informativa, potendo il socio unico sottrarsi con delle mere formalità alla ridetta responsabilità illimitata.
2006
Il 28 marzo escono le sentenze gemelle delle SSUU della Cassazione n.7029 e 7030 che riconoscono l’esistenza, nel caso di specie, di una fattispecie sostanziale di danno da esercizio dell’attività creditizia non conforme alle regole del “buon banchiere”, o danno da abusiva concessione di credito. Si tratta di pronunce importanti anche in termini di (generica) affermazione della necessità che non siano immesse nel mercato informazioni fuorvianti, specie se riconducibili ad un soggetto professionale particolarmente qualificato.
Il 19 giugno esce l’ordinanza del Tribunale di Milano onde la lettera di patronage deve essere interpretata adottando un criterio analitico, volto a desumere l’effettiva volontà di volta in volta perseguita dalle parti, e ciò in quanto l’inquadramento di un negozio atipico in una fattispecie tipizzata dall’ordinamento condurrebbe ad una vanificazione dell’autonomia privata, con conseguente astrazione dalla concretezza della prassi commerciale la quale mira, appunto, ad un rafforzamento della protezione dei diritti della banca finanziatrice e, quindi, a realizzare interessi certamente apprezzabili secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322, comma 2, c.c. Il Tribunale aggiunge che qualora la lettera di patronage contenga impegni precisi del garante-controllante tendenti a far fronte alla eventuale insolvibilità del patrocinato (o patronnè) al fine di assicurare, sia pure con una garanzia atipica, il buon fine del finanziamento e di fornire una maggiore protezione dell’interesse del creditore alla restituzione, sì da dar vita ad una vera e propria obbligazione di risultato, è possibile ricondurre tali pattuizioni alle obbligazioni di fare, qualificabili in termini di concreta attivazione affinché il patronnè soddisfi il proprio debito nei confronti della banca con conseguente applicazione delle regole generali di cui all’art. 1218 c.c.
2010
Il 26 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1520 alla cui stregua, innovativamente, l’art. 1938 cod. civ., come modificato dalla legge 17 febbraio 1992, n. 154, nel prevedere la necessità dell'importo massimo garantito per le obbligazioni future, nell’ambito della disciplina della fideiussione, pone un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico, valevole anche per le garanzie personali atipiche e, tra queste, quella di "patronage". Dal punto di vista della natura giuridica, la lettera di patronage è stata oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ed in particolare la giurisprudenza ha escluso per molti anni l’applicabilità alla lettera di patronage dei principi e dei limiti dettati in materia di fideiussione; ciò a fronte della mancanza, nella lettera di patronage, della
necessaria manifestazione espressa della volontà di prestare la garanzia, richiesta invece per la fideiussione dall’articolo 1937 c.c.; peraltro, la circostanza onde l’impegno sotteso alla presentazione della lettera di patronage riguarda esclusivamente le “linee di credito accordate” dalla banca e non tutte le obbligazioni del patrocinato, ha agevolato la giurisprudenza nel negare un diretto inquadramento dell’istituto nella figura delle fideiussioni omnibus, ovvero quelle prestate a favore di un istituto di credito per tutte le obbligazioni del debitore garantito derivanti da future operazioni bancarie, con conseguente inapplicabilità dei limiti di validità del negozio dettati dall’articolo 1938 c.c.. Con questa sentenza invece la Corte stabilisce l’applicabilità alla lettera di patronage del principio dettato dall’articolo 1938 c.c., così come modificato dalla legge n. 154 del 1992, che prevede la necessaria indicazione nel documento del limite massimo garantito per le obbligazioni future, precisando che quella dell’art. 1938 c.c. nel testo novellato (dalla legge 1992 n. 154 art. 10), pur essendo inserita nella disciplina tipica dell’istituto della fideiussione, introduce un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico, suscettibile di valenza generale anche per le garanzie personali atipiche e tra queste quelle di patronage. La conseguenza che ne ritrae la dottrina è che l’espressa indicazione del limite massimo dell’importo per il quale il patronnant rende la propria dichiarazione deve essere sempre inserita all’interno del documento, pena la nullità della lettera di patronage e del relativo contenuto.
2011
Il 30 dicembre esce la sentenza delle SSUU n.30174 che – pur occupandosi direttamente di una fattispecie in tema di solidarietà e di transazione – lambisce in modo interessante anche la questione delle lettere di patronage. Per la Corte, più in specie, nessuna violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti è dato riscontrare nel caso di specie, avendo la corte di merito con la gravata sentenza correttamente desunto dal chiaro tenore delle lettere di patronage, oltre che dal successivo comportamento delle parti, l'intenzione di una società di assicurazioni di assumere direttamente - nei confronti della banca creditrice - l'obbligazione di garanzia oggetto di causa, ed essendo ciò assorbente (sempre per la Corte) rispetto ad ogni altro profilo di censura dedotto nel ricorso, ivi compreso quello relativo alla necessità che l'assunzione dell'obbligo di garanzia risulti in modo espresso, poiché è proprio nelle espressioni adoperate nei testi contrattuali che la volontà di assumere un tale obbligo è stata inequivocabilmente individuata dalla corte di merito. La Corte soggiunge come non emergano lacune o contraddizioni nella motivazione dell'impugnata sentenza su punti che possano dirsi decisivi, mentre le critiche formulate nel motivo di ricorso investono aspetti dell'interpretazione data in concreto agli specifici contratti di cui si tratta, che rientrano nell'esclusiva competenza del giudice del merito e non sono suscettibili di riesame ad opera della Corte di Cassazione medesima; più nel dettaglio, risulta assodato che la società assicuratrice (patronnant), con le lettere di patronage prodotte in giudizio, s'impegnò verso la banca creditrice a garantire l'esposizione debitoria della società X, avente oggetto immobiliare, partecipata al 100% da altra società Y., a propria volta controllata dalla stessa società di assicurazione patronnant. Per la Corte deve assumersi non anomalo, in via di principio, che la società capogruppo si renda garante per le esposizioni debitorie di una o più delle sue controllate, nella misura in cui vi possa corrispondere un interesse del gruppo nel suo insieme e, di riflesso, un interesse della stessa controllante. Il prestare garanzia - soggiunge la Corte - in sè considerato, lungi dall'integrare gli estremi di un'attività commerciale incoerente ed incompatibile con l'oggetto sociale della garante (assicurazione), ben può configurarsi come un atto strumentale alla conservazione del valore della partecipazione azionaria di cui la stessa garante è titolare, e quindi condividere la medesima finalità cui è ispirata la detenzione della partecipazione.
2016
Il 9 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2539 onde, con riguardo alle cosiddette lettere di "patronage" - che una società capogruppo o controllante indirizzi ad una banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata - l'indagine diretta a stabilire se le lettere medesime si limitino a contenere dati e notizie sulla situazione del gruppo o sul
rapporto di controllo, rilevanti al solo fine di mettere la banca in condizione di valutare adeguatamente l'opportunità di riconoscere detto credito (c.d. lettere informative), ovvero implichino anche l'assunzione di garanzia fideiussoria per i debiti della società controllata, si traduce in un accertamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, se correttamente ed adeguatamente motivato. La sentenza, che richiama il principio di diritto di un remoto precedente del 1985, sembra ricondurre la lettera di patronage
c.d. impegnativa alla vera e propria fideiussione, ed alla garanzia tipica in essa insita.
Il 24 giugno esce la sentenza del Tribunale di Reggio Xxxxxx n.946 che, nel riconoscere pieno valore alle lettere di patronage a favore di una municipalizzata attiva nel settore delle rinnovabili, condanna il Comune di Correggio (patronnant) a pagare, a titolo di risarcimento, quasi 11 milioni di euro a una Banca per due mutui (del medesimo importo) concessi alla Srl all'epoca interamente partecipata dall'amministrazione. Secondo il Giudice, più in specie, il municipio non ha adempiuto agli obblighi di copertura assunti con due diverse delibere a favore della partecipata, ed è pertanto tenuto al risarcimento danni da responsabilità contrattuale.
Questioni intriganti
Che s’intende per lettera “di patronage” in ambito commerciale e finanziario?
a) l’espressione significa, in un dappresso, lettera “di conforto”;
b) si tratta di uno strumento di garanzia atipico e flessibile, funzionale alla soddisfazione di specifici interessi delle parti che ne sono coinvolte (causa concreta);
c) proprio perché strumento di garanzia, esso accede ad un rapporto tra un creditore e un debitore;
d) tale rapporto trova generalmente la propria fonte in un finanziamento (apertura di credito; mutuo e così via), ed agevola la concessione iniziale di detto finanziamento, il mantenimento del medesimo, ovvero il relativo ulteriore incremento;
e) l’autore della lettera - c.d. “confortante” o “patronnant” - è in qualche modo avvinto, più che al soggetto (creditore) che la riceve, che eroga il finanziamento e che è il beneficiario del “conforto”, soprattutto al soggetto debitore “patrocinato” o “patronnè” che riceve il finanziamento dal creditore “confortato”; si tratta di un soggetto (almeno all’apparenza) particolarmente serio, affidabile ed autorevole, potendo solo in tale veste ingenerare un affidamento positivo in capo al creditore “confortato”;
f) la forma della lettera è – per l’appunto – quella di una lettera, il cui tenore può essere: f.1) semplicemente informativo, con funzione di mero “conforto”; f.2) impegnativo per l’autore della lettera, con funzione di “conforto” di garanzia.
Come si distinguono tra loro le c.d. lettere di patronage?
a) lettere deboli o “informative”, che tuttavia possono in qualche modo comunque impegnare il patronnant;
b) lettere forti o “impegnative”, in cui si assiste alla nascita di un vero e proprio obbligo, con (lata) funzione di garanzia, in capo al patronnant; queste ultime si distinguono a propria volta in: b.1) lettere forti ed impegnative più calibrate sull’organizzazione interna del debitore patrocinato, che si muovono dunque in un’ottica ex ante di incisione sui rischi che potrebbero determinarne l’insolvenza ed il conseguente inadempimento (latamente assimilabili ad obbligazioni di mezzi): rientrano in questa ipotesi la lettera c.d. di divieto di svuotamento (obbligo di non pregiudicare la situazione finanziaria attuale della controllata), c.d. di mantenimento della posizione (obbligo di mantenere la posizione di influenza sulla società debitrice patrocinata per un dato periodo di tempo), c.d. di informata futura cessione (obbligo di comunicare al creditore confortato eventuali modifiche nel rapporto di controllo con la società debitrice patrocinata), c.d. di influenza o di vigilanza (obbligo di vigilare sulla società debitrice patrocinata in modo tale che essa onori l’obbligo di restituire al creditore confortato la somma finanziatale); b.2) lettere forti ed impegnative più calibrate sull’eventuale insolvenza ed il conseguente inadempimento del debitore patrocinato, che si muovono dunque in un’ottica di garanzia ex post, per l’ipotesi in cui si sia pervenuti ad una fase patologica, con garanzia di un “dare riequilibrativo” o comunque di una assunzione di responsabilità laddove tale fase patologica venga raggiunta (latamente assimilabili ad obbligazioni di risultato): rientrano in questa ipotesi la lettera c.d. di assunzione del rischio delle perdite (obbligo di scongiurare per il creditore finanziatore perdite connesse al credito concesso al debitore patrocinato);
c.d. di mantenimento della solvibilità (obbligo generico di tenere il debitore patrocinato nelle condizioni di poter essere solvibile e di poter mantenere i propri impegni nei confronti del creditore confortato); c.d. di mantenimento del capitale e del patrimonio (obbligo del patronnant di fare in modo che il debitore patrocinato mantenga una data consistenza di capitale e patrimonio).
Cosa occorre ricordare in particolare della responsabilità del patronnant in caso di c.d. lettere forti o obbligatorie?
a) certamente in questo caso il patronnant si è assume un preciso obbligo nei confronti del creditore finanziatore del debitore patrocinato;
b) si tratta di obbligo che nasce da una promessa del fatto del terzo ex art.1381 c.c.: il patronnant rassicura il creditore finanziatore sul fatto che il debitore patrocinato è solvibile e che restituirà l’importo finanziato, ovvero lo rassicura in ordine al fatto che la garanzia patrimoniale del debitore patrocinato verrà dallo stesso mantenuta intatta, o simili; da questo punto di vista, se il patronnant spiega lo sforzo diligente pertinente nei confronti del debitore patrocinato, e questi non onora quanto promesso dal patronnant medesimo (non restituisce la somma finanziata; diminuisce le garanzie patrimoniali e così via), il patronnant sarà tenuto ad un indennizzo nei confronti del creditore finanziatore; se invece non avrà spiegato tale sforzo diligente, sarà da assumersi inadempiente e dovrà risarcire il danno al creditore finanziatore; è la posizione della dottrina minoritaria, cui viene imputato di non tenere nel debito conto che – attraverso la lettera di patronage – si fa luogo ad un modello di garanzia atipico diverso da quello fideiussorio - nel quale ultimo il creditore può contare solidalmente sull’obbligo del debitore garantito e su quello, identico (ed omologo) del creditore garante – sicché non è ammissibile ricondurre la fattispecie della lettera di patronage “forte” ad uno schema nel quale il patronnant finisce comunque con il garantire al creditore finanziatore, in via immediata e diretta (oltre che solidale), la restituzione dell’importo finanziato sulla scorta di una sorta di traslazione del rischio dell’inadempimento del debitore patrocinato;
c) si tratta di obbligo che nasce da una promessa del fatto proprio ex art.1333 c.c.: la prestazione ha ad oggetto un facere di natura atipica che consente, in via indiretta, di garantire il creditore in ordine al soddisfacimento delle proprie pretese connesse al finanziamento erogato, mantenuto od esteso nei confronti del debitore patrocinato: è la posizione della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, alla cui stregua il facere atipico oggetto dell’obbligo assunto unilateralmente dal patronnant (per la soddisfazione di un proprio interesse di natura patrimoniale, onde si tratta di atto gratuito non liberale) si compendia di volta in volta nel rassicurare – obbligandovisi - il creditore in ordine al fatto che il patrimonio del debitore patrocinato non andrà disperso, ovvero che vi sarà comunque mantenuta la partecipazione del patronnant, ovvero ancora che il debitore conserverà una solvibilità generica o specifica e così via;
d) si tratta di obbligo assimilabile alla vera e propria fideiussione, seppure atipica, come sembra affiorare da talune recenti prese di posizione della Cassazione, anche sulla scia dell’applicabilità dell’art.1938 c.c. novellato in ordine all’importo massimo garantito in presenza di obbligazioni future;
e) in ogni caso, la responsabilità del patronnant è di tipo “contrattuale”, sussistendo un vincolo dal quale nasce il proprio obbligo di “garantire” il creditore finanziatore: l’onere della prova, ripartito tra le parti secondo i tradizionali canoni riconnessi all’art.1218 c.c., ha ad oggetto l’inadempimento ed il nesso causale tra l’inadempimento medesimo (imputabile al patronnant) ed il pregiudizio subito dal creditore finanziatore; un nesso causale la cui prova appare talvolta problematica, fondandosi su un giudizio ipotetico e controfattuale avente ad oggetto il comportamento del patronnant e la verifica di cosa sarebbe accaduto se egli, conformemente all’obbligo assunto con la lettera forte, avesse assunto il comportamento dovuto;
f) l’intero contesto di responsabilità del patronnant, anche sul crinale dell’oggetto della prova del relativo inadempimento, appare condizionato dalla natura – di mezzi ovvero
di risultato – che si xxxxxxx alla relativa obbligazione, consacrata nella lettera “forte”: f.1) è obbligazione di risultato: è sufficiente che il creditore finanziatore non recuperi le somme finanziate per predicare la responsabilità del patronnant, in disparte lo sforzo diligente di natura professionale in concreto da questi profuso (posizione assunta da chi punta sulla più estesa atipicità della lettera di conforto, lontana dallo schema della fideiussione); f.2) è obbligazione di mezzi: anche laddove il creditore finanziatore non rientri dell’erogato (o ampliato) finanziamento, ciò non è sufficiente a predicare la responsabilità del patronnant, che scatta solo in difetto di (provato) sforzo diligente, professionalmente qualificato, del patronnant medesimo (posizione assunta da chi tende ad avvicinare la lettera di conforto, pur atipica, al generale schema della fideiussione).
Cosa occorre ricordare in particolare della responsabilità del patronnant in caso di c.d. lettere deboli o informative?
a) il problema nasce quando le informazioni che vi sono contenute sono false o, comunque, in qualche modo inveritiere;
b) il diritto leso dalle dichiarazioni false è in primo luogo quello alla libertà di iniziativa economica privata, costituzionalmente presidiato (art.41 Cost.), ed alla connessa libertà di autodeterminarsi, o più genericamente alla libertà negoziale;
c) da una parte si colloca un operatore economico particolarmente qualificato (il patronnant), le cui asserzioni appaiono particolarmente affidabili sia per il ruolo svolto, sia per i rapporti che vanta (o dice di vantare) con il soggetto patrocinato;
d) dall’altro si colloca un mercato che deve essere veritiero, e nel cui ambito non vanno immesse dichiarazioni fuorvianti sullo stato di salute degli operatori economici che vi agiscono;
e) non vanno fornite informazioni false né quando si è assunto lo specifico obbligo di non fornirle (ipotesi di eventuale responsabilità “contrattuale”), né quando tale obbligo specifico non si è assunto, ridondando allora le eventuali informazioni false in responsabilità aquiliana;
f) se chi rende le dichiarazioni false è terzo rispetto alle parti che hanno concluso il contratto (come appunto accade tra finanziatore e debitore patrocinato), può scattare anche l’applicazione delle regole sulla c.d. responsabilità precontrattuale o in contrahendo (art.1337 c.c.), e ciò in quanto il patronnant si inserisce volontariamente nel processo formativo del contratto coinvolgente terzi incidendo sull’affidamento del destinatario delle proprie dichiarazioni inveritiere e condizionandone l’esito, giusta violazione dei canoni di correttezza e buona fede; la particolare qualificazione professionale del patronnant rende operativo l’art.1176, comma 2, c.c., e ne fa presumere la colpa, potendosi normalmente assumere avveduto in ordine alla reale consistenza patrimoniale e finanziaria del debitore patrocinato; la banca finanziatrice (e creditrice) dovrà invece provare il nesso (e l’adeguatezza) causale tra le dichiarazioni false e la concreta concessione del finanziamento (ovvero il mantenimento o l’estensione della linea di credito) al debitore patrocinato, potendo peraltro incorrere nel rigetto della domanda laddove – per essere essa stessa un operatore professionale - debba assumersi in colpa in ordine al controllo sulla veridicità delle informazioni rese dal patronnant; sul crinale della quantificazione risarcitoria, normalmente nei casi di responsabilità da interruzione delle trattative, non venendo concluso il contratto, la parte che non è approdata al divisato assetto contrattuale può invocare il risarcimento dell’interesse negativo (spese come danno emergente ed occasioni contrattuali perse come lucro cessante), mentre nel caso della lettera di patronage le parti sulle quali il patronnant ha influito sono giunte ad un contratto che è sconveniente per una di
esse, il finanziatore, il quale può invocare secondo la giurisprudenza sulla responsabilità precontrattuale “informativa” il danno da minor vantaggio ottenuto, ovvero da maggiore aggravio economico subito, in conseguenza dell’assetto contrattuale alfine raggiunto;
g) se chi rende le dichiarazioni false è terzo rispetto alle parti che hanno concluso il contratto (come appunto accade tra finanziatore e debitore patrocinato), può scattare anche l’applicazione dell’art.1439, comma 2, che legittima (la banca finanziatrice) a chiedere l’annullamento del contratto per dolo del terzo (il patronnant appunto), laddove appunto il terzo sia in dolo nel rendere le dichiarazioni false (si rappresenta la falsità delle proprie dichiarazioni e vuole ottenere il finanziamento del debitore patrocinato) e le proprie dichiarazioni raggiranti – note al patrocinato - siano idonee ad indurre in errore il creditore finanziatore.
Xxxx distingue (almeno teoricamente) la lettera di patronage dalla fideiussione?
a) entrambe rientrano nell’ambito delle garanzie personali, la fideiussione in senso più tecnico, la lettera di patronage in senso più ampio, come strumento di promozione del credito e di contestuale garanzia di affidabilità di chi lo riceve;
b) la prestazione del fideiussore, tuttavia, consiste nell’idem debitum del debitore garantito (medesima prestazione), mentre la prestazione del patronnant si compendia – quando la lettera è impegnativa – in un obbligo di dare o di facere che ha oggetto diverso rispetto al debito che grava sul debitore principale c.d. patrocinato (rimborso del credito ottenuto), e che si compendia – in caso di inadempimento del debitore medesimo – in un obbligo di risarcire i danni al creditore confortato;
c) l’orientamento giurisprudenziale inaugurato nel 2010 e tendente ad applicare il novellato art.1938 c.c. sul c.d. limite massimo garantito – esplicitamente dettato in tema di fideiussione – alle lettere di patronage c.d. impegnative, tende tuttavia a riaccostare decisamente le due figure.