il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative
- il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative
Gen. - Feb. 2005
Il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative
da parte delle pubbliche amministrazioni: limiti e sanzioni
SOMMARIO: 1. Premessa: attualità del tema e delimitazione dell’esposizione – 2. Inapplicabilità alle pp.aa. del lavoro a progetto introdotto dal d.lgs. 276/2003 –
3. Le collaborazioni coordinate e continuative: una forma particolare di lavoro autonomo – 4. Limiti legislativi alla stipula di incarichi di collaborazione coordi- nata e continuativa da parte delle pp.aa. – 5. I limiti alla stipula di incarichi di collaborazione nelle pronunce della giurisprudenza – 6. In particolare: l’oggetto dell’incarico di collaborazione – 7. Il ricorso agli incarichi di collaborazione: in- dicazioni operative – 8. La gestione concreta dei rapporti di collaborazione: indi- cazioni operative e recenti pronunce giurisprudenziali.
1. Premessa: attualità del tema e delimitazione dell’esposizione L’argomento del ricorso da parte delle pubbliche amministra- zioni ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa è di stretta attualità. Questo di tipo di rapporti, negli ultimi anni, ha trovato nei comparti pubblici una diffusione eccessiva (1), troppo spesso non rispettosa dei limiti posti dall’ordinamento. Tale diffusione contra legem, come si vedrà meglio, ha causato un aumento delle pronunce di condanna delle pp.aa. da parte della magistratura, anche quella contabile (2), varie misure limi- tative da parte del legislatore (3) e l’intervento del Dipartimen-
(1) Si veda i risultati della recente ricerca di XXXXXXXXXX, XXXXXXXXXXXXXX, XXXXXXXX 2004, e, in precedenza, quella di X. XX XXXXX, X. XXXXXXXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, 0000.
(2) Tra le pronunce di condanna più recenti, per quanto attiene al giudice conta- bile, si veda per la sua chiarezza, Corte Xxxxx, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8.1.2003, reperibile, al pari di tutte le altre che saranno citate nel prosieguo, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx; per la condanna di una p.a. al versamento dei con- tributi previdenziali all’Inps, si veda Cass., sez. lav., 25.10.2004, n. 20669, di cui si dà notizia in xxxx://xxx.xxxxx-x-xxxxxxxxx.xx. Del resto, anche Xxxx e sindaca- ti hanno esplicitato la necessità di “superare” il ricorso alle collaborazioni, anche valorizzando l’uso dei contratti di lavoro flessibile: si veda la premessa al titolo I del C.c.n.l. per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali successivo a quello dell’1.4.1999, stipulato il 14.9.2000.
(3) Da ultimo, l’art. 3, comma 65, l. 350/2003, finanziaria per il 2004, ha con- fermato il limite del 90% della spesa media sostenuta nell’ultimo triennio, già previsto dall’articolo 34, comma 13, l. 289/2002. La recentissima legge n. 191 del 30 luglio 2004, poi, ha confermato quel tetto massimo di spesa per gli enti locali ed ha meglio precisato alcuni limiti nel ricorso ai rapporti in oggetto.
di
Xxxxxxx Xxxxxxx
C’è stato un uso eccessivo delle collaborazioni coordinate
e continuative nelle
p.a. e questo ha fatto sì che le ultime finanziarie limitassero le spese per questi contratti
Gen. - Feb. 2005
Le norme introdotte dal d.lgs. 76/2003 sul lavoro a progetto non riguardano le pp.aa.
Le pp.aa. devono quindi attenersi alle leggi riguardanti le xx.xx.xx. rispettando i limiti posti
al loro utilizzo
to della funzione pubblica con una specifica circolare, la n. 4/ 2004.
L’argomento è attuale, inoltre, perché alcuni enti richiedono chiarimenti sulla applicabilità o meno alle pp.aa. del nuovo isti- tuto del lavoro a progetto, introdotto dal d.lgs. n. 276/2003. Su questo punto non possono esservi dubbi: come si dirà meglio nel paragrafo che segue, le norme sul lavoro a progetto – e più in generale tutte quelle contenute nel d.lgs. 276, salvo poche ecce- zioni – non riguardano le pp.aa.
In questo scritto, quindi, dopo aver dato conto proprio della inapplicabilità alle pp.aa. del nuovo lavoro a progetto, si cercherà di fornire un quadro riassuntivo dei vari limiti generali che le ammini- strazioni devono rispettare nell’utilizzo delle collaborazioni coordi- nate e continuative, soprattutto con riferimento alle più recenti pro- nunce di condanna emesse dalla magistratura contabile, ordinaria e amministrativa. Considerando che le collaborazioni coordinate e continuative costituiscono una forma particolare di lavoro autono- mo, per ragioni sistematiche e per comodità di esposizione quei limiti saranno trattati distinguendo tra:
a) limiti alla possibilità di stipulare contratti di lavoro autonomo, quali si ricavano, oltre che dalla giurisprudenza in materia, innanzitutto dalle norme generali dell’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 110, comma 6, d.lgs. 267/2000 (non sa- ranno invece esaminate altre norme che prevedono la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione coordinata e continuati- va in ipotesi specifiche) (4);
b) limiti alla gestione concreta dei rapporti di collaborazione una volta instaurati.
Al lettore interessato a ricevere indicazioni di taglio pratico, si consiglia in prima battuta la lettura degli ultimi due paragrafi, omettendo gli altri.
(4) Ad esempio si pensi alle norme sugli uffici di staff dei ministri (art. 14, comma 2, d.lgs. 165/2001) o dei sindaci e presidenti di provincia (art. 99, comma 1, d.lgs. 267/2000), o quelle che incidono sulla materia degli incarichi di progetta- zione (su cui si veda ampiamente GRECO, 2001).
Gen. - Feb. 2005
2. Inapplicabilità alle pp.aa. del lavoro a progetto introdotto dal d.lgs. 276/2003
Come accennato il tema del ricorso da parte delle pp.aa. alle col- laborazioni coordinate e continuative è di attualità anche a se- guito dell’introduzione con il d.lgs. n. 276/2003 del nuovo isti- tuto del lavoro a progetto, nonostante tali norme con tanta evi- denza non riguardino le pp.aa.
Procedendo con ordine, va detto che con il d.lgs. 276, nell’am- bito di una più generale riforma del mercato del lavoro, il legisla- tore è intervento anche sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, disciplinando appunto il lavoro a progetto. Preci- samente, il legislatore ha agito in due direzioni: ha innanzitutto sancito l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coor- dinata e continuativa (con limitate esclusioni) ad un “progetto, programma di lavoro o fase di esso” (art. 61); in secondo luogo ha introdotto una serie di tutele minime a favore dei nuovi “collabo- ratori a progetto”. La prima direttrice di intervento può essere giudicata come la più rilevante, perché nelle intenzioni del legisla- tore l’indicazione del progetto dovrebbe contribuire a ridurre il fenomeno delle collaborazioni usate fraudolentemente per dissi- mulare rapporti di lavoro subordinato.
È bene sgombrare il campo da ogni dubbio: il d.lgs. 276/2003 non trova applicazione nei confronti delle amministrazioni pub- bliche. Questo è vero per la generalità delle norme in esso conte- nute – salvo pochi istituti che, per espressa previsione del decreto stesso, si applicano anche alle pp.aa., quali ad esempio la sommi- nistrazione di lavoro a tempo determinato ed il contratto di inse- rimento, ma quest’ultimo solo agli enti pubblici di ricerca –, ed è vero in particolare in riferimento alla nuova disciplina del con- tratto a progetto. L’esclusione delle amministrazioni è infatti af- fermata chiaramente dall’art. 1, comma 2 (che riprende la norma dell’art. 6 della legge-delega, n. 30/2003) che recita: “Il presen- te decreto non trova applicazione per le pubbliche amministra- zioni e per il loro personale”. Per quanto attiene, in particolare, alla disciplina del lavoro a progetto, anche il Dipartimento della
Il d.lgs. n. 276/2003 ha introdotto il nuovo istituto del lavoro a progetto riconducendo
i rapporti di collaborazione coordinata
e continuativa ad un “progetto, programma di lavoro o fase di esso” e tutelando i nuovi
“collaboratori a progetto”
Il suo articolo 1, comma 2
afferma chiaramente l’esclusione del lavoro a progetto per le p.a.
Gen. - Feb. 2005
Questa esclusione fa discutere sia sul piano giuridico che su quello delle opportunità
funzione pubblica ha ribadito in più occasioni, relative al tema delle collaborazioni coordinate e continuative nelle pp.aa. l’inap- plicabilità delle nuove norme ai comparti pubblici: vedi il parere
n. 189/2004 e, da ultimo, la circolare n. 4/2004, pp. 3 e 4. La scelta di escludere le pubbliche amministrazioni fa discutere (5), sia dal punto di vista dell’opportunità, sia dal punto di vista della legittimià costituzionale.
Sul piano delle valutazioni di opportunità, alcuni ritengono che giustamente il nuovo limite dell’obbligo di indicare il progetto non è stato sancito per le pp.aa., poiché esso sarebbe inutile con- siderando che la legge già limita in maniera penetrante la possibi- lità di stipulare contratti di collaborazione. Xxxx, a ben vedere, i limiti già previsti per le pp.aa. sono molto simili a quelli intro- dotti dal legislatore con il d.lgs. 276/2003 (6): il Dipartimento della funzione pubblica ha rilevato, nella citata circolare n. 4/ 2004, che “anche le pubbliche amministrazioni sono profonda- mente orientate da logiche programmatorie […] Pertanto, an- che alla luce dei principi contenuti nel decreto legislativo 30 lu- glio 1999, n. 286, in materia di controllo, la motivazione che sottende l’attivazione della collaborazione dovrebbe far riferi- mento a programmi, progetti o fasi di essi” (p. 10). Non manca- no, comunque, coloro i quali, all’opposto, auspicano una esten- sione dei nuovi limiti anche al settore pubblico, ritenendo che ciò comporterebbe un positivo ulteriore inasprimento dei limiti già esistenti in quest’ultimo (7).
(5) In generale, con riferimento alla norma contenuta nella legge-delega n. 30/ 2003, si vedano le considerazioni di BELLAVISTA, 2003, p. 707.
(6) ZOPPOLI, 2003, 9, ritiene che l’estensione dell’obbligo dell’indicazione del progetto sarebbe “una inutile complicazione” e c’è addirittura chi teme che la scelta di estendere le norme sul lavoro a progetto potrebbe avere effetti dannosi, nel senso di avallare le prassi distorte seguite dalle amministrazioni (BORGOGELLI, 2004, 47). XXXXXXXX, 2003, 1107, ritiene invece che la scelta di escludere le amministrazioni pubbliche dall’obbligo del progetto sia priva di “alcuna reale giustificazione”, proprio in considerazione del fatto che i requisiti del lavoro a progetto sono quelli già richiesti dall’art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001 per il conferimento di incarichi di collaborazione da parte delle pp.aa.
(7) Così XXXX, 2004, 31, che nota come le norme già esistenti nel pubblico si siano rivelate, finora, inadatte a frenare l’uso fraudolento degli incarichi esterni.
Gen. - Feb. 2005
Da un punto di vista giuridico si discute, invece, della legittimità costituzionale della scelta di non estendere ai collaboratori di amministrazioni pubbliche le nuove tutele – per quanto esse ab- biano un contenuto innovativo piuttosto ridotto –, ritenendo che ciò sia fonte di una disparità di trattamento ingiustificata tra settore pubblico e settore privato (8).
Va segnalato, infine, che modifiche del quadro legislativo attua- le, e quindi eventuali estensioni delle norme del lavoro a proget- to, potrebbero derivare dalla “armonizzazione” prevista dallo stesso decreto (9). Finora, però, questo processo di armonizza- zione si è concretizzato soltanto nell’adozione di un atto di indi- xxxxx nei confronti dell’Aran da parte dell’organismo di coordi- namento dei comitati di settore. Con specifico riferimento al la- voro a progetto, l’atto di indirizzo ha demandato esclusivamente alle parti sociali (10) il compito di prevedere “la possibilità e […]
L’autore rileva, in modo condivisibile, che molto dipenderà da come sarà interpre- tato nella prassi l’obbligo dell’indicazione del progetto o programma di lavoro, che “può assumere, a seconda di come venga inteso, connotati anche molto restrittivi”, oppure, al contrario – come sembrerebbe in verità emergere dalla cir- colare n. 1/2004 del Ministero del lavoro, piuttosto vaga sul punto – anche molto poco restrittivi: su questo aspetto non resta che attendere le interpretazioni fornite dalla giurisprudenza. Qualche dubbio sul fatto che l’estensione delle norme sul lavoro a progetto possa contribuire alla diminuzione del fenomeno delle collabora- zioni illegittime nelle pp.aa. può sorgere se si considera che, nel disegno del d.lgs.
n. 276/2003, la funzione antifraudolenta dell’obbligo di indicare il progetto si lega ad una sanzione molto forte: l’art. 69, comma 1, infatti, prevede che i rapporti di collaborazione privi dell’individuazione del progetto “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”. Questa sanzione, però, non potrebbe comunque mai trovare applica- zione dei confronti delle pp.aa. (si veda paragrafo conclusivo).
(8) In questo senso è ZOLI, 2004, 34. Anche XXXXXXX, 2003, 9, rileva l’irragio- nevolezza della mancata estensione delle tutele ai collaboratori delle amministra- zioni pubbliche, ma ritiene che “in ultima analisi, tali garanzie sono agevolmente ricavabili da un’interpretazione appena appena estensiva di norme costituzionali come l’art. 36 o l’art. 32”.
(9) L’art. 86, comma 8, d.lgs. n. 276/2003 prevede che “Il ministro per la funzione pubblica convoca le organizzazioni sindacali maggiormente rappresen- tative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del presente decreto legislati- vo entro sei mesi anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia”.
(10) Più ampiamente, sul ruolo preponderante della contrattazione collettiva nell’armonizzazione delle regole del d.lgs. 276/2003 nel settore pubblico, RUSSO, 2004.
Eventuali estensioni delle norme del lavoro a progetto potrebbero derivare dalla “armonizzazione” prevista dallo stesso decreto
Gen. - Feb. 2005
le modalità di estensione della disciplina del lavoro a progetto alle pubbliche amministrazioni, anche con riguardo ad alcuni fon- damentali diritti di natura sindacale” (par. 3.4).
Comunque sia, salvo gli eventuali interventi, ai quali si è fatto cenno, delle parti sociali ovvero di pronunce di illegittimità co- stituzionale della normativa, entrambi poco probabili almeno nel breve periodo, deve ribadirsi che il d.lgs. 276/2003, in partico- lare per quanto attiene alle norme sul lavoro a progetto, non si applica alle pubbliche amministrazioni.
I principali articoli che definiscono le caratteristiche delle xx.xx.xx.
3. Le collaborazioni coordinate e continuative: una forma particolare di lavoro autonomo
Non esiste una legislazione organica sulle collaborazioni coordi- nate e continuative, o c.d. rapporti di parasubordinazione. Le disposizioni principalmente utilizzate per definire le caratteristi- che di questi rapporti sono: l’art. 409, n. 3, c.p.c., come modifi- cato nell’ambito della riforma del codice del rito attuata con l. 533/1973 (11); l’art. 50, comma 1, lett. c-bis) del d.P.R. 917/ 1986, in materia fiscale, come aggiornato con il d.lgs. n. 344/ 2003 e la l. 350/2003. Da queste disposizioni si ricava che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa costituisco- no una particolare forma di rapporti di lavoro autonomo, che trovano il loro referente principale nell’art. 2222 c.c. (12), e sono caratterizzati da tre elementi distintivi (13):
– la coordinazione. È la caratteristica che vale a distinguere que- sti rapporti da quelli di lavoro subordinato. Mentre in questi ul- timi il lavoratore è inserito nell’organizzazione produttiva del datore di lavoro che esercita il potere direttivo e disciplinare, nel
(11) Sui precedenti storici di questa definizione (già utilizzata dalla c.d. xxxxx Xxxxxxxxx, n. 741/1959) e sull’esistenza nell’ordinamento di varie nozioni di parasubordinazione, vedi da ultimo PEDRAZZOLI, 2004.
(12) Ma non solo, perché possono integrare gli estremi della parasubordinazione anche rapporti derivanti da “altre fattispecie tipiche, le più disparate: […] anche contratti associativi, cooperativi, o di associazione in partecipazione” (così PEDRAZZOLI, 2004, 664, con riferimenti giurisprudenziali).
(13) Sulla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative e su quella del lavoro a progetto, si veda anche XXXXX, 2004.
Gen. - Feb. 2005
caso della collaborazione il collaboratore esercita la prestazione in autonomia, senza essere soggetto al potere direttivo e discipli- nare, pur essendo tenuto a svolgerla “in modo da assecondare le esigenze del committente” (14).
– la continuatività, che la giurisprudenza individua nel perdu- rare nel tempo della prestazione, per il soddisfacimento di un interesse non transitorio del committente (Cass. 3485/2001). Dunque essa sussiste quando la stessa prestazione sia ripetuta più volte o anche quando prestazioni diverse si susseguano l’una all’altra. In alcuni casi, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente la continuatività anche a fronte di un’unica presta- zione, ma protratta per un certo tempo (Cass. 360/1984; in precedenza, in argomento, Cass. 11436/1990); oppure a fron- te di esigenze del committente non aventi carattere di ecce- zionalità (Cass. 2120/2001, in riferimento ad un incarico af- fidato da un comune).
– la prevalente personalità della prestazione. Secondo la giuri- sprudenza deve trattarsi di una prestazione per lo svolgimento della quale l’attività del collaboratore deve essere qualitativamente prevalente sugli altri fattori della produzione, ossia rispetto al- l’utilizzo di una struttura materiale o della prestazione di altri soggetti.
A favore dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa il legislatore ha previsto, dagli anni ’70 in poi, l’applicabilità di alcune discipline proprie del lavoro subordina- to, ed in particolare, negli anni più recenti: la tutela pensionistica complementare e obbligatoria (d.lgs. 124/1993; l. 335/1995); la tutela della maternità e dell’assegno del nucleo familiare e di malattia in caso di degenza ospedaliera (l. 449/1997); la tutela contro gli infortuni sul lavoro (d.lgs. 38/2000); la disciplina dei redditi da lavoro subordinato (d.P.R. 917/1986 e s.m.i.). Ciò in considerazione di una affinità tra collaboratore coordinato e con-
(14) PEDRAZZOLI 2004, 667. Cfr. anche, per maggiori approfondimenti, AA.VV.,
Lavoro pubblico e flessibilità: manuale operativo, Formez, 2004, 211.
Tre i principali elementi che le caratterizzano: la coordinazione, la continuità e la prevalente personalità della prestazione
Ai collaboratori coordinati e continuativi si applicano alcune discipline proprie del lavoro subordinato
Gen. - Feb. 2005
tinuativo e lavoratore subordinato, se si considera che il collabo- ratore, pur essendo un lavoratore autonomo, può trovarsi in una condizione di sostanziale dipendenza dal committente, simile a quella propria del lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro.
Concludendo, è bene comunque ribadire che la stessa discipli- na legislativa, in primo luogo la norma di cui all’art. 409, n. 3,
c.p.c. (15), colloca questi rapporti nell’area dell’autonomia, poi- ché in essi manca il vincolo della subordinazione. Quando in concreto sia ravvisabile la sussistenza del vincolo di subordinazione, il rapporto dovrà considerarsi di lavoro subor- dinato, con applicazione della relativa disciplina come vedremo meglio nell’ultimo paragrafo.
Il datore di lavoro pubblico a differenza di quello privato
è stato da sempre limitato nella possibilità di assumere personale
4. Limiti legislativi alla stipula di incarichi di collaborazio- ne coordinata e continuativa da parte delle pp.aa.
In quanto rapporti di lavoro non subordinato, le amministrazio- ni possono stipulare contratti di collaborazione solo nel rispetto dei limiti in cui l’ordinamento consente loro di concludere con- tratti di lavoro autonomo.
Si deve osservare, al riguardo, che il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, è stato da sempre limitato nella pos- sibilità di assumere personale. Infatti, fin dall’inizio della storia del pubblico impiego, le pubbliche amministrazioni sono state vincolate a svolgere i loro compiti con il personale c.d. di ruolo, individuato quantitativamente e qualitativamente nel cosiddetto organico. Mentre il datore di lavoro privato era ed è libero di decidere come strutturare il proprio personale, e quindi era ed è libero anche di scegliere se ricorrere o meno al lavoro autono- mo, le pp.aa. come regola generale dovevano avvalersi solo del personale individuato nell’organico. La possibilità di ricorrere a personale non di ruolo ovvero a rapporti di lavoro autonomo era
(15) Sulla natura autonoma dei rapporti cui fa riferimento l’art. 409, n. 3, c.p.c., vedi PERSIANI, 1998.
Gen. - Feb. 2005
prevista da varie norme di carattere autorizzatorio, entro limiti stringenti (16). Gli schemi contrattuali diversi dal tipico rapporto di ruolo erano i più vari, così come la terminologia usata per indicarli: avventizi, contrattisti, trimestrali, incaricati, supplenti, interini, straordinari (17). I limiti previsti da queste leggi di carat- tere autorizzatorio per le amministrazioni dello Stato sono stati ulteriormente precisati nell’applicazione giurisprudenziale, soprat- tutto da parte della Corte dei Conti. Essi inoltre sono stati estesi anche alle amministrazioni diverse dallo Stato con vari provvedi- menti normativi a partire dagli anni ’70 (18).
Su questa situazione è intervenuta la c.d. privatizzazione del rap- porto di pubblico impiego. In particolare, con i decreti legislativi degli anni 1997-1998 (la c.d. seconda privatizzazione) le pp.aa. sono state parzialmente equiparate ai datori di lavoro privati. Precisamente, la legge attuale consente loro di avvalersi di tutti i contratti di lavoro subordinato c.d. flessibili o atipici, superan- dosi le varie norme ed i vari schemi contrattuali esistenti nel set- tore pubblico, ovviamente nel rispetto del principio del concor- so pubblico. Non solo: dalla pianta organica si approda alle dota- zioni organiche ed alla programmazione dei fabbisogni di perso- nale (19): ad ogni amministrazione viene rimesso il compito di
(16) Si pensi che già la legge 11 giugno 1897, n. 182, che all’art. 9, comma 1 poneva il divieto di assunzioni oltre il limite dell’organico, “salvo nel caso di lavori di carattere puramente straordinario per sopravvenienze eccezionali alle quali sia dimostrato di non potervi sopperire col personale delle amministrazioni competenti”.
(17) In particolare, per quanto attiene al ricorso a persone estranee all’ammini- strazione per lo svolgimento di compiti di studio e soluzione di specifiche problematiche, ma solo “qualora agli stessi sia notoriamente riconosciuta la spe- cifica competenza richiesta”, si veda l’art. 380 del testo unico degli impiegati civili dello Stato.
(18) In precedenza per il ricorso a contratti di lavoro autonomo da parte degli enti diversi dallo Stato non erano previste particolari formalità (cfr. DE FELICE 1986). Va detto, del resto, che il fenomeno del ricorso a questi contratti di lavoro “atipici” da parte delle pp.aa. è stato quantitativamente poco rilevante fino agli anni ’70, quando iniziò ad aumentare a causa “della dimensione e dei compiti degli enti pubblici nello Stato sociale – con la conseguente rapida trasformazione degli stessi da enti d’ordine ad enti gestori di servizi – cui ha fatto riscontro la difficoltà di ricorrere a personale stabile” (XXXXXX, 1993, 143-144).
(19) Si veda in particolare l’attuale art. 6, comma 7, d.lgs. n. 165/2001: “Per la
La possibilità di ricorrere a personale non di ruolo è prevista da varie norme
di carattere autorizzatorio, entro limiti stringenti
Gen. - Feb. 2005
Dotazioni organiche
e programmazione dei fabbisogni di personale: ad ogni amministrazione viene rimesso il compito
di definire di quanto personale ha bisogno, ma il ricorso a rapporti di lavoro autonomo deve essere fatto in via del tutto eccezionale
definire di quanto personale ha bisogno, di quali contratti di la- voro subordinato intende avvalersi (a tempo indeterminato; a tempo determinato; a tempo parziale; contratti formativi; somministrazione di lavoro) (20), ed anche di regolare la materia del reclutamento nell’ambito dei rispettivi ordinamenti nel ri- spetto dei principi generali (art. 70, comma 13, d.lgs. 165/2001). Per quanto attiene al ricorso al lavoro autonomo, invece, anche dopo la privatizzazione resta la differenza con i datori di lavoro privati: le pp.aa. possono ricorrere ai rapporti di lavoro autono- mo non a loro piacimento ma in via di eccezione. Questa diffe- renza, nell’opinione corrente si veda Xxxxxxxx 2000 e, in passato, Xxxxxxxx 1958, 507-508. Per pronunce giurisprudenziali recenti che confermano indirizzi risalenti si veda il paragrafo successivo si giustifica in quanto il principio di buon andamento sancito dall’art. 97 Cost. impone alle pp.aa. di avvalersi per lo svolgi- mento delle loro funzioni del personale alle loro dipendenze, scelto mediante la regola del concorso pubblico a presidio del canone dell’imparzialità dell’azione amministrativa. La possibili- tà di avvalersi di lavoratori autonomi, scelti su base fiduciaria, ha dunque carattere eccezionale, o, detto altrimenti, residuale ri- spetto all’utilizzo del personale già in servizio.
A questo punto si può profilare un dubbio. Si è detto che, secon- do l’opinione corrente, i principi costituzionali impongono alle pp.aa. di ricorrere al lavoro autonomo solo in subordine rispetto all’impiego del personale in servizio. Ma si è anche detto che la seconda privatizzazione ha imposto a ciascuna amministrazione
ridefinizione degli uffici e delle dotazioni organiche si procede periodicamente e comunque a scadenza triennale, nonché ove risulti necessario a seguito di riordi- no, fusione, trasformazione o trasferimento di funzioni. Ogni amministrazione procede adottando gli atti previsti dal proprio ordinamento” (corsivo mio).
(20) Sulla novità rappresentata dal passaggio dalla pianta organica alle dotazioni organiche, vedi XXXXXXX, 1999. Sulla rilevanza della definizione delle dotazioni organiche in tema di ricorso ai contratti flessibili e di responsabilità della dirigen- za, vedi ALES, 2002. Peraltro, bisogna evidenziare che negli ultimi anni il disegno della seconda privatizzazione è stato “congelato” dai vari provvedimenti di bloc- co delle assunzioni di personale, adottati con le leggi finanziarie, che hanno ri- guardato anche i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
Gen. - Feb. 2005
di programmare il proprio fabbisogno di personale, decidendo in autonomia se, e in che misura, fare ricorso ad assunzioni di personale a tempo indeterminato oppure all’assunzione – o al- l’impiego – di personale con i contratti di lavoro c.d. flessibili. Se è così, ci si può chiedere se la seconda privatizzazione non abbia ristretto ulteriormente la possibilità di ricorrere al lavoro auto- nomo: si potrebbe ritenere, infatti, che rispetto al passato, il ri- corso al lavoro autonomo sarebbe ora possibile solo in quanto conforme alla programmazione del fabbisogno di personale, in- teso come personale a tempo indeterminato o anche personale “flessibile”. In altri termini, si può ritenere che anche il ricorso alle collaborazioni sarebbe ora condizionato alla preventiva de- terminazione in tal senso conenuta nel quadro della program- mazione del fabbisogno di personale (21). Oppure – ed è questa la posizione che si sostiene in questa sede – si può ritenere, pro- vocatoriamente che il ricorso alle collaborazioni è fuori dalla pro- grammazione del fabbisogno personale, ma è possibile solo in ipotesi-limite.
In questa prospettiva che, dopo la seconda privatizzazione, il ri- corso al lavoro autonomo da parte delle pp.aa. potrebbe aver luogo, solo per il tempo necessario a modificare la programma- zione del fabbisogno di personale, inserendovi la previsione delle forme flessibili di lavoro subordinato che l’amministrazione ri- tenga più vantaggiose per fronteggiare l’esigenza transitoria che le si è manifestata (sempre che, è ovvio, il mercato del lavoro locale consenta di reperire quella professionalità che serve alla
p.a. indifferentemente con un contratto di lavoro autonomo o con un contratto di lavoro subordinato: in altri termini, sempre che vi siano persone, dotate della elevata professionalità richie- sta, disposte a lavorare anche con un contratto di lavoro non autonomo ma bensì subordinato). In questa prospettiva, il superamento del ricorso alle collaborazioni mediante l’utilizzo dei contratti di lavoro subordinato flessibili, non sarebbe più sol-
(21) Così ALES, 2004.
Ci si chiede se la seconda privatizzazione non abbia ulteriormente ristretto la possibilità di ricorrere al lavoro autonomo
Gen. - Feb. 2005
La giurisprudenza della Corte dei Conti è ferma nel ritenere che necessario presupposto per il ricorso agli incarichi di collaborazione è che l’amministrazione si trovi a dover fronteggiare un’esigenza straordinaria e imprevista
tanto auspicabile (22), ma costituirebbe un vero e proprio obbli- go per le pp.aa.: esse, infatti, sarebbero chiamate, per legge, ad adoperare fin all’estremo le nuove possibilità offerte dai contratti flessibili di lavoro subordinato, e solo in subordine sarebbero autorizzate a ricorrere al lavoro autonomo. Un comportamento diverso da questo sarebbe, quindi, illegittimo e sanzionabile in primis dalla magistratura contabile sotto il profilo della necessità per l’ente di motivare per quali ragioni, nel caso specifico, abbia fatto ricorso al lavoro autonomo e non ai contratti di lavoro su- bordinato flessibili.
Ad ogni modo, anche se non si condivide questa impostazione, non si dovrebbe negare che le pp.aa. sono già obbligate a ricor- rere ai contratti flessibili, piuttosto che alle collaborazioni, ogni qual volta si tratti di fronteggiare esigenze che comunque hanno carattere periodico o prevedibile: la giurisprudenza della Corte dei Conti, come vedremo, è infatti ferma nel ritenere che neces- sario presupposto per il ricorso agli incarichi di collaborazione è che l’amministrazione si trovi a dover fronteggiare un’esigenza straordinaria e imprevista. Se, quindi, l’esigenza è prevedibile, il suo carattere non stabile ma transitorio obbliga le pp.aa. a pre- vedere nella programmazione dei fabbisogni il ricorso a con- tratti flessibili. Anche il dipartimento della funzione pubblica ha richiamato l’attenzione sull’obbligo, gravante sulle ammini- strazioni, di “individuare i fabbisogni duraturi o frequenti nel- l’ambito di provvedimenti di analisi e programmazione triennale dei fabbisogni, nonché tramite l’aggiornamento periodico dei profili professionali in relazione ai mutamenti istituzionali e ai nuovi fabbisogni quando vengano ad assumere un carattere per- manente” (23).
Comunque sia, ritornando al dato positivo, il carattere eccezio-
(22) Come hanno fatto Xxxx e sindacati nella premessa al titolo I del C.c.n.l. per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali successivo a quel- lo dell’1.4.1999, stipulato il 14.9.2000, cui si è accennato nella nota 2.
78
(23) Circolare n. 4/2004, p. 6. (corsivo mio). Nella citata circolare si richiama l’attenzione anche sull’opportunità di “verificare la possibilità e la convenienza di formare o aggiornare personale interno sottoutilizzato o da riconvertire”.
Gen. - Feb. 2005
nale del ricorso al lavoro autonomo è affermato anzitutto dall’art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001, valevole per tutte le amministra- zioni, che prevede che possono essere conferiti incarichi indivi- duali ad “esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della colla- borazione” solo per esigenze che le pp.aa. non possono fronteg- giare con il personale in servizio (24).
Per le autonomie locali, poi, i limiti contenuti nell’art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001 sono ulteriormente inaspriti dall’art. 110, comma 6, d.lgs. 267/2000, a norma del quale è necessario che sia il regolamento dell’ente a prevedere la possibilità, “per obiet- tivi determinati e con convenzioni a termine”, di collaborazioni esterne “ad alto contenuto di professionalità” (25).
Schematizzando, per affidare incarichi a soggetti esterni all’am- ministrazione, la legge richiede quindi che:
– la p.a. si trovi a dover fronteggiare un’esigenza, senza essere fornita al proprio interno delle competenze professionali neces- sarie a soddisfarla;
– la p.a. dovrà quindi rivolgersi, logicamente, a collaborazioni
(24) Bisogna poi aggiungere altri tre limiti generali previsti da altre disposizioni di legge. In particolare:
– ai sensi dell’art. 9, comma 30, l. 415/1998, i dipendenti in rapporto di lavoro a tempo parziale “non possono espletare, nell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza, incarichi professionali per conto di pubbliche amministrazioni […] se non conseguenti ai rapporti di impiego”;
– ai sensi dell’art. 25, l. 724/1994, al personale che cessa volontariamente dal servizio avendo “il requisito contributivo per l’ottenimento della pensione di anzianità […] non possono essere conferiti incarichi di consulenza, collaborazio- ne, studio e ricerca da parte dell’amministrazione di provenienza o di ammini- strazioni con le quali ha avuto rapporti di lavoro o di impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio”;
– se, infine, l’incarico deve essere affidato ad un dipendente pubblico, occorre rispettare la specifica normativa in tema di incompatibilità e di cumulo di impie- ghi: cfr. AA.VV., cit., 2004, 206-208.
(25) L’art. 110, comma 6, d.lgs. 267/2000, interpretato alla luce dei principi generali sopra richiamati, sembra essere norma speciale rispetto a quella dell’art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001, perché aggiunge al contenuto di quest’ultima la necessità della previsione da parte del regolamento dell’ente. Si dovrebbe ritene- re, quindi, che in mancanza della previsione nel regolamento, salvo le norme che regolano casi specifici (ad es. la costituzione di uffici di staff del sindaco o del presidente della provincia, ovvero il conferimento di incarichi di progettazione), l’ente locale non potrebbe avvalersi di rapporti di lavoro autonomo.
Per le autonomie locali i limiti contenuti nell’art. 7, comma 6 del d.lgs. 165/2001 sono ulteriormente inaspriti dall’art. 110
Gen. - Feb. 2005
esterne “ad alto contenuto di professionalità”, di “esperti di pro- vata competenza”;
– l’esigenza da soddisfare dovrà avere carattere transitorio, e dun- que la p.a. sarà in grado di determinare preventivamente la dura- ta della collaborazione;
– inoltre, proprio in quanto la p.a. avrà verificato in relazione all’esigenza che si è profilata, la mancanza di personale idoneo al proprio interno, sarà in grado di determinare preventivamente anche i caratteri della collaborazione che cerca all’esterno, ed in particolare il luogo, l’oggetto ed il compenso.
Da ultimo, la recentissima legge n. 191 del 2004 (di conversione del d.l. n. 168/2004), ha sancito che “l’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materia e per oggetti rientranti nelle com- petenze della struttura burocratica dell’ente, deve essere adegua- tamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari. In ogni caso va preventivamente comunicato agli organi di controllo e a quelli di revisione di ciascun ente. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito di- sciplinare e determina responsabilità erariale.
La legge prevede la possibilità
dell’amministrazione di ricorrere all’esterno solo se nella sua struttura manchino
le competenze necessarie a fronteggiare una data situazione
5. I limiti alla stipula di incarichi di collaborazione nelle pronunce della giurisprudenza
Vediamo ora come sono interpretati i limiti legislativi nelle pro- nunce giurisprudenziali più recenti.
Anzitutto, si è visto come la legge preveda la possibilità dell’am- ministrazione di ricorrere all’esterno solo se nella sua struttura manchino le competenze necessarie a fronteggiare una data si- tuazione. Questa regola è costantemente ribadita dalla giurispru- denza contabile, secondo la quale l’incarico può essere affidato solo quando si verifichino: “a) la straordinarietà e l’eccezionalità delle esigenze da soddisfare; b) la mancanza di strutture e di ap- parati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presen- za di detta organizzazione, la carenza, in relazione all’eccezio-
Gen. - Feb. 2005
nalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo” (26).
In altri termini, il ricorso agli incarichi esterni è legato “alla straordinarietà del caso che, in quanto tale, esuli dalle comuni conoscenze dell’ufficio, nonché alla circostanza che le strutture di cui questo disponga siano manifestamente assenti o insuffi- cienti rispetto alle eccezionali esigenze da soddisfare”. Se è così la p.a. deve necessariamente individuare “settori particolari d’in- tervento […] ovvero specifici programmi di attività da supportare con cognizioni tecniche di livello superiore a quello riscontrabile nell’apparato amministrativo” (27).
Evidentemente sarà necessario – e non dovrebbe risultare difficol- toso – motivare la ragione del conferimento dell’incarico, nel sen- so di aver individuato una esigenza da soddisfare, di aver constata-
(26) Corte Xxxxx, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8 gennaio 2003. Negli stessi termini, tra le più recenti, Corte Conti, sez. Puglia, n. 18 del 10.1.2003: il prin- cipio di buon andamento “postula la necessità che l’agire pubblico debba essere improntato a criteri di legalità, economicità ed efficienza, da cui discende la ne- cessaria conseguenza che la p.a., per l’assolvimento dei propri compiti istituziona- li, deve, in via prioritaria, avvalersi del proprio personale e delle proprie strutture burocratiche. Uniche deroghe a tale divieto sono ammesse per ragioni ecceziona- li, in relazione alle finalità da perseguire; più precisamente, quando l’esigenza da soddisfare abbia il carattere, appunto, della eccezionalità e straordinarietà e quando, nell’apparato burocratico dell’ente interessato, non vi siano figure professionali preordinate al soddisfacimento di tali esigenze, ovvero tali figure siano carenti da un punto di vista qualitativo o quantitativo”. Nel caso di specie la Corte ha quin- di condannato la p.a. per aver conferito incarichi relativi alla comunicazione in- terna ed esterna a mezzo stampa e comunicazione di massa, essendo già presente nel comune un apposito ufficio stampa. Vedi anche, tra le tante, Corte Xxxxx, sez. II giur. centrale, n. 137 del 22.4.2002: “ogni ente pubblico, dallo Stato all’en- te locale, deve provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione e il pro- prio personale […] La possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa se, nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda, od anche […] quando sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e imprevi- ste, di natura transitoria”. Pertanto T.A.R. Puglia, sez. II Bari, n. 2535/2003 ha annullato una deliberazione di giunta che conferiva un incarico di consulenza legale ad un avvocato esterno, in presenza di un apposito ufficio contenzioso nella struttura comunale. Corte Xxxxx, sez. giur. Veneto, n. 1124 del 3.11.2003, ha invece ritenuto legittimo un incarico ad un ingegnere esterno di coordina- mento generale e di raccordo tra gli organi di vertice dell’università, la divisione servizi tecnici e l’esterno, trattandosi di compiti distinti da quelli spettanti ad altro ingegnere previsto dall’organico dell’ente, escludendo quindi che si trattas- se di una duplicazioni di compiti.
(27) Corte Conti, sez. giur. Toscana, n. 258 del 2.4.2003. Sull’oggetto dell’in-
carico vedi il paragrafo che segue.
È necessario per l’amministrazione motivare la ragione del conferimento dell’incarico
Gen. - Feb. 2005
Avendo un contenuto estremamente specifico, l’incarico non potrà che essere a tempo determiniato
to che quella esigenza non può essere soddisfatta con il personale in servizio (né, come sembra corretto a chi scrive, con una modi- fica della programmazione del personale), di aver quindi cercato all’esterno della struttura le competenze richieste e di averle indi- viduate proprio nella persona destinataria dell’incarico.
È bene chiarire, fin da ora, che la Corte dei Conti svolge il pro- prio sindacato su tutti questi momenti logici; resta escluso sol- tanto il primo anello della catena poiché la legge (l’art. 3, l. 639/ 1996) vieta alla Corte di sindacare nel merito le scelte operate dall’amministrazione (28).
Dovendo avere un contenuto estremamente specifico, perché diretto a fronteggiare un’evenienza che la struttura dell’ente non è in grado di affrontare, l’incarico non può che essere a tempo determinato, come del resto espressamente stabilito dalla legge. Ciò proprio in quanto l’esigenza da soddisfare è straordinaria, altrimenti essa si configurerebbe come stabile e l’ente dovrebbe logicamente procedere all’assunzione di personale stabile (29). La proroga è considerata una fattispecie assolutamente eccezio- nale (30).
In quanto limitato nel tempo e determinato nell’oggetto, la giu- risprudenza evidenzia che l’incarico non può comportare impe- gni di spesa particolarmente rilevanti per l’ente (31).
La giurisprudenza afferma poi costantemente che l’aver conferi- to incarichi di collaborazione in violazione dei limiti legislativi
(28) Si veda Corte Conti, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8.1.2003: il principio che vieta il sindacato sul merito delle scelte operate dall’amministrazione, previ- sto dall’art. 3, l. 639/1996, “si sostanzia nel divieto per il giudice di sostituirsi agli organi di amministrazione attiva per l’individuazione degli scopi da perse- guire, ma non può giungere all’esclusione della verifica della sussistenza dei pre- supposti obiettivi per l’adozione del provvedimento riconducibile alla compe- tenza dell’organo agente”, quali, nel caso di specie, i principi e le norme giuridi- che che disciplinano l’affidamento di convenzioni. Con identiche parole anche Corte Xxxxx, sez. giur. Calabria, n. 273 dell’8.4.2004.
(29) Corte Xxxxx, sez. Puglia, n. 18 del 10.1.2003 afferma che la p.a. può richie- dere soltanto lo “svolgimento da parte del consulente di un incarico non conti- nuativo, determinato e non particolarmente gravoso sul piano finanziario”.
(30) Corte Conti, sez. xxxxx. xxxx, x. 00 xxx 00.0.0000.
(31) Corte Conti, sez. giur. Toscana, n. 258 del 2.4.2003 e Corte Conti, sez. Puglia, n. 18 del 10.1.2003.
Gen. - Feb. 2005
configura un errore non scusabile e quindi ritiene sussistente l’ele- mento soggettivo della colpa grave nelle persone responsabili dell’affidamento dell’incarico (32). Nella maggior parte dei casi, infatti, non possono esserci dubbi circa la illegittimità dell’incari- co che si vuol conferire, a fronte di un dettato legislativo e di una giurisprudenza costante assolutamente chiari (33).
Resta da dire che la Corte dei Conti, in pronunce recenti, ha avuto modo anche di respingere la difesa di alcuni convenuti che, in considerazione dei vantaggi comunque conseguiti dal- l’amministrazione a seguito delle prestazioni rese dal collabora- tore, chiedevano una riduzione della somma da pagare, richia- mandosi all’art. 3, p. 1, lett. a) della l. 639/1996. La Corte ha così avuto modo di puntualizzare che per l’applicazione di quella norma il giudice deve attenersi ai seguenti criteri: accertamento dell’effettività dell’utilitas conseguita; medesimo fatto generato- re determinante sia il danno sia il vantaggio in relazione ai com- portamenti tenuti; appropriazione dei risultati stessi da parte della p.a.; soprattutto, rispondenza della stessa utilitas ai fini istituzio-
(32) Si veda Corte Conti, sez. II giur. centrale, n. 137 del 22.4.2002: “La con- sapevolezza che l’ordinamento non consentiva il conferimento di incarichi di generica collaborazione […], integra gli estremi della colpa grave nel comporta- mento degli appellanti. Il giudizio di grave colpevolezza coinvolge il sindaco e i membri della Giunta, ma anche il capo di gabinetto, il segretario generale e i capi della ripartizione del personale, che hanno confortato col loro parere favorevole la messa in atto di un sistema non consentito dall’ordinamento dell’ente al cui servizio prestavano la loro opera”. Vedi anche Corte Conti, sez. III, n. 2137 del 21.10.2003, che ha ritenuto sussistente la colpa grave nei confronti di xxxxxx- xxxxxxxx che avevano affidato incarichi concernenti l’assolvimento dei normali compiti amministrativi. Rari i casi di esclusione della colpa grave, tra cui Corte conti, sez. giur. Marche, n. 489/2003 del 3.7.2003 e Corte Xxxxx, sez. giur. Basilicata, n. 229/2004 del 16.9.2004. In quest’ultima pronuncia, la Corte ha ritenuto legittimo il comportamento dei convenuti che, in conformità al princi- pio di ragionevolezza e a modelli di gestione economica e manageriale dell’am- ministrazione, avevano affidato un incarico esterno piuttosto che ricorrere ad assunzioni, con un risparmio finanziario per la p.a. Si tratta però, com’è evidente, di un caso abbastanza singolare, poiché di solito il ricorso ad un lavoratore auto- nomo comporta, ovviamente, un costo più elevato rispetto a quello di un lavora- tore subordinato.
(33) Vedi, limpidamente, Corte Xxxxx, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8.1.2003: “non si rinvengono […] situazioni e circostanze legate a regole di difficile e controversa interpretazione, quale evidenziata, soprattutto, da contrasti giurisprudenziali, assolutamente inesistenti […] in materia”.
L’incarico inoltre non può comportare impegni di spesa particolarmente rilevanti per l’ente
La giurisprudenza afferma che l’aver conferito incarichi di collaborazione in violazione dei limiti legislativi configura un errore non scusabile e quindi ritiene sussistente l’elemento soggettivo della colpa grave nelle persone responsabili
Gen. - Feb. 2005
nali della p.a. che li riceve (34) (dunque, può essere valutato al fine di ridurre la condanna pecuniaria non qualunque vantaggio, ma solo quello che sia qualificato dalla sua inerenza ai fini istitu- zionali della p.a. (35)).
Infine, alcune segnalazioni quanto al procedimento da seguire per il conferimento dell’incarico.
La giurisprudenza amministrativa si è recentemente pronunciata nel senso che la competenza sia del dirigente, non dell’organo politico: “La decisione infatti di affidare un incarico di progettazione all’ester- no della struttura dell’ente, configurando valutazioni sorrette da elementi esclusivamente tecnici, non costituisce un atto di indirizzo politico, riservato per legge agli organi collegiali di natura politica, ma rientra nelle attribuzioni dei dirigenti, in quanto responsabili della attività procedimentale e di gestione dell’ente” (36).
Peraltro, è bene notare che il dirigente può essere chiamato a rispondere anche quando non abbia direttamente conferito l’in- carico, e tuttavia non abbia coadiuvato come avrebbe dovuto il soggetto decisore. Ad esempio, la Corte ha condannato un coor- dinatore amministrativo di Usl, che in virtù della sua posizione “avrebbe dovuto procedere ad una adeguata istruttoria e fornire [ai due amministratori straordinari succedutisi nel tempo] il ne- cessario supporto tecnico non solo nella gestione dell’appalto, ma anche nella determinazione e corretta formulazione dell’in- carico al professionista esterno” (37).
(34) Così, Corte Xxxxx, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8.1.2003 e, con parole quasi identiche, Corte Xxxxx, sez. giur. Calabria, n. 273 dell’8.4.2004.
(35) La circolare 4/2004 del Dipartimento della funzione pubblica, giustamen- te, evidenzia, sulla scorta della giurisprudenza costante della Corte dei Conti, che “il parametro di valutazione della c.d. “utilità gestoria” non può essere auto- maticamente equiparato a quello meramente civilistico, ma deve tenere conto dei parametri fissati dalla legge a tutela dei preminenti interessi pubblici” (p. 15).
(36) T.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 1641 del 19.7.2004. Del resto, che la com- petenza spettasse al dirigente e non all’organo politico (es. giunta comunale) era già stato rilevato da alcuni commentatori: vedi GRECO, 2001.
(37) Corte Conti, sez. giur. Toscana, n. 258 del 2.4.2003. Corte Conti, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8.1.2003 ha condannato il direttore generale, un diri- gente di settore e il direttore amministrativo di una azienda ospedaliera, per il conferimento di un incarico dal contenuto assolutamente generico a favore del precedente direttore amministrativo.
Gen. - Feb. 2005
La finalità di una maggiore trasparenza dell’azione amministrati- va può suggerire all’amministrazione di procedere con avvisi pub- blici alla scelta del contraente. Al riguardo, il Consiglio di Stato (sez. V, n. 667/2004), sembra incoraggiare tale scelta, puntualizzando che se la p.a. si è vincolata alla comparazione dei curricula pervenuti, il candidato escluso non potrà vantare alcu- na altra pretesa, a parte la dimostrazione che tale comparazione vi è stata effettivamente. Se la p.a. dimostra che ciò è avvenuto, la scelta del contraente in concreto effettuata non potrà essere sin- dacata, poiché si tratta comunque di una scelta fiduciaria, non assimilabile a quella concorsuale che invece necessita di criteri oggettivi e predeterminati ed è imposta solo per il reclutamento di lavoratori subordinati.
6. In particolare: l’oggetto dell’incarico di collaborazione L’incarico, essendo diretto a fronteggiare esigenze straordina- rie e quindi ben definite, non potrà mai presentare carattere di generalità e astrattezza. In questo senso, anche se una certa professionalità è assente nella struttura dell’ente, per essere le- gittimo l’incarico dovrà comunque avere ad oggetto una attivi- tà specifica. Ad esempio, la Corte (38) ha da ultimo condannato l’amministrazione che aveva affidato un incarico ad un legale esterno dal contenuto assolutamente indeterminato, pur non sussistendo nel comune un ufficio legale: l’incarico, infatti, non aveva i caratteri della straordinarietà, essendo stato richiesto al legale non di intervenire su problematiche specifiche, ma di redigere pareri su questioni preventivamente nemmeno ipotizzate. Sono stati ritenuti illegittimi anche incarichi c.d. di “consulenza globale”: così, ad esempio, quando l’ente ha affi- dato l’incarico di consulenza su “problematiche relative alla gestione dell’Azienda nei casi ritenuti opportuni o necessari da questa d.g.” (39).
(38) Corte Xxxxx, sez. Liguria, n. 912/2003 del 6.11.2003.
(39) Corte Xxxxx, sez. III giur. d’appello, n. 9 dell’8.1.2003.
Per una maggiore trasparenza è bene che l’amministrazione proceda con avvisi pubblici alla scelta
del contraente
Per essere legittimo l’incarico deve essere ad oggetto, un’attività specifica. Non può quindi mai avere carattere di generalità e astrattezza
Gen. - Feb. 2005
La prestazione oggetto della collaborazione non può avere ad oggetto attività che rientrano nei compiti propri del personale con qualifica dirigenziale
Sembra opportuno segnalare, poi, che il giudice contabile pone in essere un esame particolarmente attento dell’attività in con- creto resa dal collaboratore: ad esempio, in un caso specifico la Corte, esaminando i pareri resi da una persona destinataria di un incarico di consulenza legale, ha rilevato che per la maggior par- te si era trattato di pareri rientranti nella ordinaria amministra- zione, e che l’attività di consulenza si era esplicata in compiti di segreteria o di mera amministrazione. Pertanto, la Corte ha rite- nuto di emettere una sentenza di condanna (40).
Sempre in base alla legge, la prestazione oggetto dell’incarico esterno non potrà consistere in attività di carattere prevalente- mente manuale o esecutivo, come ad esempio la manutenzione del verde pubblico o la conduzione di scuolabus, dovendo trat- tarsi, piuttosto, di attività che richiedono una professionalità “ele- vata”, quindi generalmente di tipo intellettuale, altamente quali- ficate e specializzate (41).
Infine, è opportuno segnalare che la prestazione oggetto della collaborazione non potrà mai avere ad oggetto attività che rien- trano nei compiti propri del personale con qualifica dirigenzia- le (42). Ad avviso del Dipartimento della funzione pubblica, inol- tre, a meno che non vi sia una precisa ed espressa procura, il collaboratore neppure “potrà mai agire per conto dell’ammini- strazione” (43).
(40) Corte Xxxxx, sez. giur. Calabria, n. 273 dell’8.4.2004.
(41) Si veda la circolare 4/2004 del Dipartimento per la funzione pubblica, p. 6, e AAVV., cit., 2004, 205.
(42) Si veda Consiglio di Stato, 5.3.2003, n. 1212, che, in riferimento alle colla- borazioni di cui all’art. 110, comma 6, d.lgs. n. 267/2000, afferma: “… Si trat- ta, peraltro, di forme di collaborazione esterna ad alta specializzazione, mirate al conseguimento di obiettivi particolarmente qualificati (ad esempio, sotto il pro- filo progettuale, organizzativo ecc.), tra le quali non può essere fatto rientrare il conferimento di taluni delimitati ed episodici compiti riconducibili all’ordinaria sfera di competenza del dirigente; ché, altrimenti, avvalendosi di tale disciplina, le competenze dirigenziali potrebbero essere, di volta in volta e a seconda delle contingenze, parcellizzate e destrutturate in modo tale di snaturare, di fatto, la funzione stessa della disciplina in questione, che mira a valorizzare le responsabi- lità dirigenziali sotto un profilo manageriale, tendenzialmente unitario, e non a frammentarle”.
(43) Dipartimento della funzione pubblica, circolare n. 4/2004, p. 7.
Gen. - Feb. 2005
7. Il ricorso agli incarichi di collaborazione: indicazioni operative
A questo punto, è possibile tentare di riassumere, in via estrema- mente schematica, le tappe del ricorso agli incarichi di collabora- zione coordinata e continuativa, in un’ottica di rispetto della le- galità e di convenienza per l’amministrazione:
– preliminarmente, ogni singola amministrazione, in relazione alle attività svolte, ai beni ed ai servizi erogati alla collettività, deve curare costantemente la programmazione del proprio fabbisogno di personale subordinato. Ciò comporta:
– il costante aggiornamento dei profili professionali;
– la scelta di una strategia occupazionale che valorizzi le poten- zialità del ricorso a rapporti di lavoro subordinato flessibili;
– per adempiere correttamente al punto precedente, ogni ammi- nistrazione può dotarsi delle procedure selettive che ritenga più idonee alle proprie esigenze;
– qualora si manifesti un’esigenza straordinaria e imprevista, che non può essere soddisfatta con personale in servizio, e può essere soddisfatta mediante un incarico di lavoro autonomo, la p.a. può ricorrere alla facoltà che la legge eccezionalmente le riconosce;
– per finalità di maggiore trasparenza, la p.a. può anche procede- re con un avviso pubblico, obbligandosi soltanto a valutare i curricula pervenuti;
– una volta individuato il contraente, il conferimento dell’incari- co dovrà avvenire con forma scritta e dovrà contenere i seguenti elementi:
– adeguata motivazione in relazione ai seguenti punti:
• descrizione dell’esigenza transitoria e imprevista che l’ente, nell’ambito della propria discrezionalità, ritenga di dover soddi- sfare;
• descrizione delle caratteristiche professionali richieste per sod- disfare quell’esigenza;
• assenza nella struttura di personale in possesso di quelle deter- minate caratteristiche;
• sussistenza nella persona esterna, individuata a criteri che l’en-
Le tappe del ricorso agli incarichi
di collaborazione cooordinata
e continuativa
Gen. - Feb. 2005
te deve esternare, delle caratteristiche richieste, risultanti dal
curriculum.
– caratteristiche dell’incarico:
• durata (è necessario indicare il termine finale);
• definizione puntuale dell’oggetto della prestazione (non può trattarsi né di attività prevalentemente manuali, come ad esem- pio la conduzione di scuolabus; né di attività rientranti nei com- piti dei dirigenti);
• compenso;
• luogo della prestazione;
• obiettivo che la p.a. persegue con il conferimento dell’incari- co, in rapporto, com’è ovvio, all’esigenza che la p.a. si propone di soddisfare.
8. La gestione concreta dei rapporti di collaborazione: pro- nunce giurisprudenziali e indicazioni operative
Nella gestione concreta dei rapporti di collaborazione le pp.aa. sono ovviamente tenute a tutti gli adempimenti previsti dalla legge in tema di trattamento economico e normativo dei collaboratori, come da ultimo evidenziati dalla circolare n. 4/2004 del Dipar- timento della funzione pubblica (44).
Qui si vuole soltanto richiamare l’attenzione sul fatto che, nei comportamenti concreti, l’amministrazione che gestisce un rap- porto di collaborazione deve sempre avere presente che quello che ha stipulato è un rapporto di lavoro autonomo, non subor- dinato. Diversamente si avranno sentenze di condanna da parte del giudice del lavoro. Ma andiamo con ordine.
In quanto titolare di un rapporto di lavoro autonomo (45), il
(44) Bisogna segnalare, in particolare, che le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, sono tenute a comunicare con cadenza semestrale al Dipartimento della funzione pubblica “l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono affidati incarichi di consulenza, con l’indicazione della ragione dell’incarico e dell’ammontare dei compensi corrisposti”.
(45) Xxxx, più ampiamente, la circolare n. 4/2004 del Dipartimento della fun- zione pubblica e il volume AA.VV., cit., 2004. Cfr. anche l’ampia rassegna critica di XXXXX, 2004.
Gen. - Feb. 2005
collaboratore non può essere assoggettato ai tipici poteri che un datore di lavoro esercita in un rapporto di lavoro subordinato. In particolare:
– la p.a. non potrà esercitare il potere direttivo che esercita nei confronti dei suoi dipendenti. In base al contratto il collaborato- re esegue personalmente e in piena autonomia la prestazione pro- fessionale dovuta, assumendosi la responsabilità del risultato. Il datore di lavoro committente può stabilire, in sede di contratto, meri criteri direttivi ed istruzioni relative all’adempimento del- l’obbligazione del collaboratore, per rendere la prestazione do- vuta utile e funzionale alla realizzazione del suo programma. Ne consegue che nei confronti del collaboratore non possono trova- re applicazione istituti tipici del lavoro subordinato. In particola- re, il collaboratore:
• non può essere assoggettato ad un preciso regime orario e al sistema di rilevazione delle presenze nel luogo di lavoro; il tem- po di lavoro viene gestito in modo autonomo dal collaboratore, salvo la fissazione di eventuali limiti orari ove necessari per coor- dinare utilmente la sua prestazione con l’organizzazione del com- mittente;
• non possono essere attribuiti giorni di ferie; il datore di lavoro non può pertanto programmare unilateralmente il periodo di ri- poso del collaboratore, ma deve concordare con lui la sospensio- ne della prestazione, onde assicurare il coordinamento con l’atti- vità, gli obiettivi e l’organizzazione;
• non ha diritto a ricevere buoni pasto (46);
– l’amministrazione non è titolare di un potere disciplinare nei confronti del collaboratore. In caso di inadempimento contrat- tuale da parte del collaboratore, la sola conseguenza possibile sarebbe quella del recesso del committente, secondo la generale disciplina civilistica (oltre alla generale azione per il risarcimento dei danni eventualmeente causati dal collaboratore);
(46) Il collaboratore ha diritto al rimborso delle trasferte, poiché, in questa ma- teria, il legislatore lo ha assimilato lavoratore dipendente (vedi a pag. 12 della circolare n. 4/2004).
In quanto titolare di un rapporto di lavoro autonomo
il collaboratore non può essere assoggettato ai tipici poteri che un datore di lavoro esercita in un lavoro subordinato
Gen. - Feb. 2005
– un potere di controllo limitato sussiste solo in relazione al ri- spetto da parte del collaboratore dei criteri direttivi e delle istru- zioni stabilite dalla p.a. in sede di contratto allo scopo di rendere la prestazione dovuta utile e funzionale alla realizzazione del pro- gramma dell’amministrazione. Solo in questo senso, l’ammini- strazione committente può sempre verificare e controllare in corso di rapporto la corrispondenza del risultato a quanto richiesto. Laddove le concrete modalità di svolgimento del rapporto si discostino da quelle elencate, il lavoratore potrebbe ottenere l’ac- certamento in giudizio che l’incarico di collaborazione ha dissi- mulato un rapporto di lavoro subordinato. È importante ricor- dare, infatti, che “nella pratica, alla qualificazione del rapporto di lavoro [come autonomo o come subordinato] si perviene muo- vendo non tanto dall’accertamento della volontà manifestata dalle parti, quanto dalla rilevazione della situazione materiale deter- minata dal loro comportamento e cioè dal rapporto considerato nella fase della sua attuazione” (47). In altri termini, in sede giudiziale la volontà delle parti ha sicuramente rilievo ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordi- nato, ma il giudice (tra le più recenti, Cass. 3200/2001) valuta anche il comportamento complessivo delle parti e le concrete modalità di svolgimento del rapporto, facendo prevalere, in ulti- ma istanza, i dati fattuali su quelli formali per evitare alle parti di “disporre, attraverso la mera qualificazione, delle tutele imperati- ve collegate al rapporto di lavoro subordinato” (48). Pertanto, com- portamenti diversi da quelli indicati in precedenza (ad esempio, si pensi alla fissazione, da parte della p.a., di un orario di lavoro per il collaboratore) possono concorrere al convincimento del giudice del lavoro che il rapporto, pur qualificato in sede contrattuale come di collaborazione, sia stato in realtà di lavoro subordinato.
Ciò detto, quanto al contenzioso eventualmente favorevole al lavoratore, bisogna segnalare:
(47) XXXXX, 0000, 69.
(48) AA.VV., cit., 2004, 209. Più ampiamente XXXXX, 0000, pp. 115-117.
Gen. - Feb. 2005
– in primo luogo che il lavoratore non potrà mai ottenere la costitu- zione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la p.a., in virtù del principio dell’accesso agli impieghi pubblici mediante concorso, ribadito per i contratti di lavoro subordinato flessibili dall’art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 (49);
– il lavoratore avrà diritto alla tutela prevista dall’art. 2126 c.c. In tale ambito avrà diritto a tutte le differenze retributive ed alla ricostruzione della posizione contributiva e previdenziale non- ché al risarcimento dell’eventuale maggiore danno che dimostri, anche nell’ammontare, di avere subito (50);
– a seguito dell’accertamento della natura subordinata del rap- porto, insorgerebbe la responsabilità dei dirigenti e dei funzio- nari che hanno dato luogo all’impiego contra legem del lavorato- re, essendo chiamati questi a rispondere delle somme che la p.a. sia stata condannata a pagare all’interessato.
A conferma di quanto detto circa la qualificazione del rappor- to da parte del giudice del lavoro, si deve segnalare una recen- tissima ed importante sentenza con la quale la Corte di
(49) Tale norma è stata di recente dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 89/2003, che ha respinto la questione prospettata sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori del settore privato e lavo- ratori del settore pubblico. Si veda, volendo, l’ampio commento di XXXXXX, 0000.
(50) Nel caso deciso da Tribunale di Napoli, 20 giugno 2000 (in http:// xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxx.xx) il giudice: a) ha accertato la natura subordinata del rap- porto di lavoro instauratosi con il collaboratore, esaminando elementi fattuali (ad esempio, al collaboratore era stato assegnato un teledrin per chiamata interna, vol- to “ad assicurare la continua reperibilità di questi durante la giornata lavorativa, al fine della indicazione al medico stesso delle quotidiane necessità ospedaliere, con conseguente costante individuazione delle modalità di disimpegno delle sue stesse energie lavorative”); b) Il giudice ha dichiarato essere stato costituito dall’ammini- strazione un rapporto di lavoro a tempo determinato, in violazione della disciplina di questa forma di assunzione flessibile del personale; c) ha affermato che in questa situazione, sulla base dell’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 il lavoratore non ha diritto (diversamente dal settore privato) alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la p.a. ma ha diritto al ristoro pecuniario pieno;
d) non si è pronunciato sul risarcimento del danno per mancanza di una richiesta del lavoratore in tal senso. Riesce difficile comprendere le critiche mosse a questa pronuncia da parte di una certa dottrina (A. M. XXXXXXXXX, Commento a Consiglio di Stato, sez. IV, 26.5.2003, n. 2837, in “GDA”, 2004, spec. 173), che addirittura sembrerebbe sostenere la prevalenza in ogni caso del nomen juris, cioè della quali- ficazione del rapporto data dalle parti in sede di contratto, sul comportamento effettivamente tenuto da queste nella fase esecutiva.
Gen. - Feb. 2005
Cassazione (51) ha confermato la condanna di un comune al paga- mento di contributi all’Inps per un rapporto qualificato nel con- tratto come di collaborazione autonoma, ma svoltosi, invece, con le caratteristiche di un rapporto di lavoro subordinato (52).
La Suprema Corte ha richiamato il suo orientamento secondo il quale la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale che una diversa nuova volontà. Il comportamento delle parti andrebbe dunque considerato e valorizzato proprio perché idoneo a ren- dere manifesto il concreto assetto che esse hanno inteso impri- mere ai loro rapporti, a prescindere dal carattere confermativo o meno della originaria qualificazione da essi voluta, fermo restan- do il ruolo di questa nei casi, peraltro marginali, in cui ogni altra
(51) Cassazione sez. lavoro, n. 20669 del 25 ottobre 2004, Pres. Xxxxx, Rel. Xxxxxxxxx, di cui si dà notizia in xxxx://xxx.xxxxx-x-xxxxxxxxx.xx.
(52) Più precisamente, la vicenda, quale si ricava dal sito Internet citato, è la seguente. L’Inps, in seguito ad un’ispezione, ha chiesto al comune il pagamento dei contributi previdenziali sui compensi da questo versati ad un architetto, ad- detto al settore edilizio ed urbanistico negli anni 1993-1995. Nel giudizio che ne è seguito, davanti al Tribunale di Firenze, il comune ha sostenuto di non dover pagare i contributi previdenziali in quanto l’architetto aveva svolto la sua attività in esecuzione di un contratto di collaborazione autonoma. Il Tribunale di Firenze ha escluso l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, attribuen- do particolare rilevanza alla volontà, espressa nel contratto, di stabilire un rap- porto di collaborazione autonoma. Questa decisione è stata riformata dalla Cor- te di Appello di Firenze che ha ritenuto sussistente un rapporto di lavoro subor- dinato. In particolare la Corte ha messo in rilievo: che nel contratto esisteva una clausola che impegnava il collaboratore a rispettare lo stesso orario di lavoro osservato dai dipendenti di ruolo; che il compenso riconosciuto al professionista corrispondeva al costo precedentemente sopportato dal comune per il dipenden- te che aveva avuto la responsabilità del settore poi affidato al collaboratore; che all’architetto non si richiedeva di svolgere un’attività tipicamente professionale, quale la progettazione di nuove opere o di ristrutturazione, bensì un’attività amministrativa tipica dell’ente locale. Con riferimento alle modalità di svolgi- mento del rapporto, la Corte di Firenze ha ritenuto rilevanti, ai fini dell’esistenza della subordinazione, il fatto che il collaboratore avesse svolto la tipica attività istruttoria delle pratiche amministrative facenti capo al suo settore sino al loro esaurimento, osservando l’orario fissato per gli altri dipendenti e che nello svol- gimento dell’incarico ella rispondesse al dirigente dell’ufficio tecnico, anche se, per il carattere di “routine” delle pratiche, questi non aveva necessità di effettua- re controlli specifici e penetranti, essendo sufficiente la verifica del numero delle pratiche emesse e dei tempi di espletamento.
Gen. - Feb. 2005
circostanza complessivamente valutata non offra, ai fini della qua- lificazione del rapporto, elementi decisivi in un senso o nell’al- tro. Pertanto, la Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito che ha qualificato il rapporto come subordinato utiliz- zando criteri sussidiari avvalorati dalla giurisprudenza di legitti- mità, quali in particolare l’osservanza di un orario di lavoro e l’erogazione della retribuzione con cadenza e misura fissa, oltreché l’assenza di rischio (53).
In conclusione, le conseguenze pregiudizievoli alle quali posso- no andare incontro le amministrazioni pubbliche ed i loro sog- getti decisori, sia a causa dell’affidamento di incarichi esterni ille- gittimi già nel loro momento genetico, sia a causa di comporta- menti distorti nella fase dell’attuazione, spingono a richiamare l’attenzione, ancora una volta, sull’opportunità di fare maggior- mente ricorso ai contratti flessibili nell’ambito del lavoro subor- dinato. Si considerino, ad esempio, alcuni vantaggi che può reca- re il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato (fattispecie prevista dall’art. 20, comma 4, d.lgs. 276/2003, la cui applicabilità alle pp.aa. è sancita dall’art. 86, comma 9 dello stesso decreto): questo contratto è consentito a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, an- che se riferibili all’ordinaria attività dell’amministrazione; la p.a. utilizza la prestazione del lavoratore somministrato nei limiti delle proprie esigenze, ma della gestione concreta del rapporto di la- voro si occupa la società di somministrazione; non si pone il pro- blema del rispetto delle norme in tema di reclutamento del per- sonale, ma di scelta della società che fornirà i lavoratori; eviden- temente, infine, non può sorgere contenzioso circa la qualifica- zione del rapporto tra lavoratore e amministrazione, poiché il rapporto di lavoro subordinato intercorre tra lavoratore e società di somministrazione.
(53) Il comune aveva anche eccepito, per sostenere la natura autonoma del rap- porto, che non vi era stato esercizio di potere disciplinare. La Corte, però, ha rilevato che il mancato esercizio del potere disciplinare acquista rilievo solo in presenza di occasioni che tale esercizio avrebbero reso possibile, il che nella spe- cie non si è verificato.
Gen. - Feb. 2005
Bibliografia
AA.VV. (2004), Lavoro pubblico e flessibilità. Manuale operativo, Formez.
E. ALES (2002), La pubblica amministrazione quale imprenditore e datore di lavoro, Xxxxxxx, Milano.
A. ALES (2004), Relazione al seminario Paradigma del 15 giugno, Roma, dattiloscritto.
X. XXXXXXXXXX (2003), Alcune osservazioni sulla legge n. 30/2003, XX, 000 ss.
X. XXXXXXXXXX (2004), La nuova disciplina del mercato del lavoro e le pubbliche amministrazioni, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx” n. 36/ 2004, in xxxx://xxx.xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx.xxx
X. XXXXXX (2003), I contratti “flessibili” della p.a. e l’inapplicabilità del- la sanzione “ordinaria” della conversione: note critiche a margine della sentenza n. 89/2003 della Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, XXX, 000 ss.
X. XX XXXXXX (1986), L’assunzione senza concorso nel settore pubblico, RIDL, 600 ss.
D. DI XXXXX, X. XXXXXXXXXXXXXX, X. XXXXXXXX (2003), Gli istituti di lavoro flessibile nella pubblica amministrazione e nelle autonomie locali, Aran newsletter, inserto al n. 5.
X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXXXXX, X. XXXXXXXX (2004), Il lavoro flessibi- le nella pubblica amministrazione e nelle autonomie locali. Una indagine sui dati di conto annuale del Ministero economia e finanze - Ragioneria generale dello Stato anni 2000, 2001 e 2002, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx
X. XXXXX (2002), Diritto del lavoro, Xxxxxxx, Bari.
X. XXXXX (2001), La gestione degli incarichi professionali e di consulen- za nell’ente locale, Xxxxx.xx, n. 5.
X. XXXXXX (1993), Ruoli organici e lavoro temporaneo, in X. XXXXXXXX,
X. XXXXXXX (a cura di), Il lavoro pubblico, il Mulino, Bologna.
X. XXXX (2004), Analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: spunti di riflessione, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx” n. 42/2004, in xxxx://xxx.xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx.xxx
X. XXXXXXXX (2003), D.lgs. 10 settembre n. 276 e riforma del mercato del lavoro: l’esclusione del pubblico impiego, XXX, 0000.
X. XXXXX (2003), La giurisprudenza in tema di definizione e tutela delle collaborazioni coordinate e continuative alla luce della nuova disci- plina del lavoro a progetto, DLM, p. 729.
X. XXXXXXXXXX (2004), Il mondo variopinto delle collaborazioni coordi- nate e continuative, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 set- tembre 2003 n. 276, Zanichelli, Bologna, 663 ss.
X. XXXXXXXX (1998), Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collaborazione lavorativa, DL, I, 203 ss.
Gen. - Feb. 2005
X. XXXXX (2004), Le collaborazioni coordinate e continuative, in P. XXXXXX (a cura di), Lavoro e diritti dopo il d.lgs. n. 276/2003, Bari, Cacucci.
X. XXXXX (2004), Quale flessibilità per i lavori del settore pubblico: il problematico impatto del d.lgs. 276/2003, DLM, 97 ss.
X. XXXXXXX (1999), Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche (commento all’art. 6), in A. CORPACI, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche (d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni), 1105 ss.
X. XXXX (2004), Sub art. 1, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003 n. 276, Zanichelli, Bologna, 3 ss.
X. XXXXXXX (2003), Nuovi lavori e pubbliche amministrazioni (ovvero Beowulf versus Grendel, atto II), intervento al convegno Sviluppo e occu- pazione nel mercato globale, Napoli, 4-5 dicembre, dattiloscritto.