LA PRESUNZIONE DI INDEDUCIBILITA' DEI COSTI NEI CONTRATTI DI COMMISSIONE
LA PRESUNZIONE DI INDEDUCIBILITA' DEI COSTI NEI CONTRATTI DI COMMISSIONE
di Xxxxxxx Xxxxx (*)
Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx X. 0/0000, Xxx. 218
1. Premessa
Con riferimento al regime di indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti in Italia ed imprese domiciliate in Paesi a regime fiscale privilegiato, di cui all'articolo 110 Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir), particolarmente complesso si presenta il caso del soggetto italiano che agisce in qualità di commissionario per la vendita di prodotti per conto di un committente domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata. L'interposizione di carattere reale del commissionario tra il committente estero ed i clienti finali italiani pone il problema non solo dell'applicabilità in sé della norma ma anche quello dell'individuazione del soggetto destinatario di tale norma e, pertanto, tenuto ad assolvere l'onere probatorio previsto dal comma 11 dell'articolo 110 del Tuir(1). Ci si chiede, infatti, se il regime di indeducibilità, di cui all'articolo 110, comma 10, del Tuir, non sia tout court applicabile in un caso come quello esaminato ovvero trovi applicazione nei confronti del commissionario, del cliente finale o di entrambi. Da un lato, la formulazione letterale della norma porterebbe ad escludere la sua applicabilità sia al commissionario, in quanto il passaggio dei beni dal committente al commissionario non è una vendita, sia al cliente finale, in quanto il commissionario vende i beni al cliente finale in nome proprio. Dall'altro lato, è di tutta evidenza che l'interposizione di un mero schermo giuridico tra cedente estero ed acquirente nazionale non può aggirare la ratio della norma escludendone l'operatività per mancanza di un rapporto diretto.
La risoluzione ministeriale del 1 febbraio 2005 n. 12/E offre l'occasione per analizzare la reale portata applicativa della norma e pone in evidenza le difficoltà dell'interprete di fronte a quei casi concreti dove non vi è un'oggettiva applicabilità della norma.
2. Aspetti fiscali: presupposto oggettivo
L'articolo 110, comma 10, del Tuir sancisce espressamente l'indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti in Italia ed imprese domiciliate fiscalmente in Paesi, situati al di fuori dell'Unione Europea, aventi regimi fiscali privilegiati ed individuati da un apposito decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (la cosiddetta, black list) (2).
La norma, pertanto, contiene una presunzione relativa di indeducibilità dei costi derivanti dall'operazione che non opera se l'impresa residente fornisce la prova della sussistenza di una delle due esimenti previste dal successivo comma 11. In particolare, l'impresa residente deve dimostrare che:
(i) l'impresa domiciliata nel Paese a fiscalità privilegiata svolge in via prevalente un'attività commerciale effettiva; ovvero
(ii) le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico ed hanno avuto concreta esecuzione.
Peraltro, la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi è subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi importi da parte dell'impresa residente.
Tralasciando in questa sede l'analisi dei presupposti soggettivi e della dimostrazione della sussistenza delle condizioni esimenti, si vuole focalizzare l'attenzione sul presupposto oggettivo di applicazione della norma, il quale ha ad oggetto le "spese e gli altri componenti negativi di reddito" derivanti (vedremo se direttamente od anche indirettamente) da operazioni (idonee a generarli in capo all'impresa residente) intercorse con imprese fiscalmente domiciliate in Paesi inclusi nella Black list.
Il riferimento estremamente generico alle "spese" ed "altri componenti negativi di reddito" induce a svolgere un'indagine sulla reale portata applicativa della nozione di "spese ed altri componenti negativi di reddito"(3). Se l'espressione "spese" indica quelle poste di reddito che danno luogo ad un flusso di ricchezza in uscita dall'impresa, quella di "componenti negativi di reddito", al contrario, è di per sé più ampia. Conseguentemente, si pone la questione se i componenti negativi includono qualunque elemento diminutivo del reddito, indipendentemente dal fatto che tale elemento sia il risultato di uno scambio o di una valutazione, oppure solo quegli elementi che scaturiscono direttamente dall'operazione conclusa con l'impresa estera, in base ad un nesso di causalità diretto ed immediato (quali, a titolo esemplificativo, i componenti negativi derivanti dall'acquisizione di beni e servizi ovvero da un flusso finanziario).
La norma, in effetti, si presta ad essere interpretata sia in senso restrittivo che estensivo, a seconda di cosa si intenda per "operazioni intercorse" tra imprese residenti ed imprese localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata(4). Il legislatore ha voluto certamente includere tra i componenti negativi di reddito gli elementi derivanti direttamente dall'operazione ma non può automaticamente escludersi l'applicabilità della norma nel caso di componenti solo indirettamente derivanti da tali operazioni, in quanto anche in questa ipotesi é innegabile che una qualche operazione sia intercorsa tra l'impresa residente e l'impresa estera.
Tuttavia, il rischio di un'interpretazione estensiva dell'ambito oggettivo di applicazione del comma 10, si tradurrebbe nell'indeducibilità di qualsiasi componente negativo per il solo fatto di essere riferito ad operazioni poste in essere con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata. L'ulteriore conseguenza sarebbe quella di attribuire all'Amministrazione finanziaria un potere discrezionale indubbiamente ampio nell'individuazione dei presupposti di imposta.
L'Agenzia delle Entrate, con la recentissima risoluzione del 1 febbraio 2005 n. 12/E, sembra accogliere un'interpretazione palesemente estensiva dell'espressione "componenti negativi di reddito", nella misura in cui ritiene applicabile la norma in esame anche ad una società italiana che, in qualità di commissionaria o mandataria, distribuisce sul territorio italiano beni prodotti da una società domiciliata in un Paese a fiscalità privilegiata.
3. Aspetti civilistici del contratto di commissione: trasferimento della proprietà dei beni
Una breve premessa sugli aspetti civilistici del contratto di commissione può essere utile ai fini di una migliore comprensione delle
conclusioni a cui è pervenuta l'agenzia delle Entrate in merito al regime fiscale applicabile al caso in esame.
Ai sensi dell'articolo 1731 del codice civile, il contratto di commissione è un mandato che ha per oggetto l'acquisto o la vendita di beni per conto del committente ed in nome del commissionario. Si tratta, dunque, di un mandato senza rappresentanza che, talvolta con alcune differenze, trova modelli analoghi in altri ordinamenti giuridici. Il contratto di commissione è un contratto tipico in forza del quale una parte (il commissionario) si obbliga a concludere in nome proprio e per conto dell'altra parte (il committente) acquisti o vendite di beni. Sotto il profilo dell'oggetto, il contratto è caratterizzato dalla specificità della prestazione, che coincide con la stipulazione di contratti di compravendita di beni. Il contratto è a titolo oneroso e prevede la corresponsione a favore del commissionario di una provvigione o commissione (generalmente commisurata ad una percentuale del valore dell'operazione posta in essere oppure dallo scarto tra prezzo pagato dal commissionario ed il prezzo di listino del bene acquistato o venduto). Il contratto di commissione, analogamente ad altre figure contrattuali utilizzate nella distribuzione commerciale di beni, quali, l'agenzia, la mediazione ed il procacciamento d'affari, assolve ad una funzione di intermediazione nello scambio di beni tra il produttore del bene o del servizio e il cliente finale. Tuttavia, a differenza di figure quali l'agente, il mediatore ed il procacciatore d'affari che agiscono nell'interesse del proponente, il commissionario agisce sempre e solo in nome proprio, attraverso la propria autonoma organizzazione imprenditoriale, vendendo beni a terzi per conto del committente. Il commissionario infatti stipula i contratti in nome proprio, con obbligo di trasferire al committente, mediante separati atti, gli effetti giuridici derivanti dalle operazioni poste in essere(5).
Un aspetto contrattuale rilevante, anche ai fini fiscali, che merita di essere menzionato è quello dell'efficacia traslativa della proprietà dei beni oggetto del contratto di commissione dal committente al cliente finale. Sul punto, la dottrina civilistica non è concorde nel riconoscere un'efficacia traslativa diretta della proprietà dei beni dal committente al cliente finale.
Secondo un primo orientamento maggioritario, nel rapporto di commissione si verifica un'efficacia traslativa diretta della proprietà dei beni dal committente al cliente finale e, pertanto, il commissionario agisce quale soggetto terzo, mero intermediario tra committente e cliente finale(6).
Secondo un diverso orientamento, invece, nel rapporto di commissione si verifica un doppio trasferimento della proprietà dei beni: dal committente al commissionario e dal commissionario al cliente finale.
L'accoglimento dell'uno o dell'altro orientamento assume una certa rilevanza anche sotto il profilo fiscale in cui le norme tributarie non possono essere interpretate senza avere riguardo alla causa ed agli effetti del contratto. L'amministrazione finanziaria, in più occasioni, ha affermato che dal punto di vista civilistico nel contratto di commissione la proprietà dei beni si trasferisce direttamente al cliente finale e non si verifica alcun trasferimento di proprietà tra il commissionario ed il committente(7). Tuttavia, ai soli fini IVA, il contratto di commissione è ricondotto nell'ambito dello schema del mandato senza rappresentanza e, per espressa previsione normativa, il passaggio di beni dal committente al commissionario è equiparato, per espressa previsione normativa, ad una cessione(8).
4. La risoluzione 1° febbraio 2005, n. 12/E: il caso concreto
Il caso sottoposto all'attenzione dell'Agenzia delle Entrate, tramite presentazione di istanza di interpello ai sensi dell'articolo 11 della Legge del 27 luglio 2000 n. 212, è quello di una società residente in Italia che, in qualità di commissionaria, commercializza nel territorio italiano prodotti software per conto di una società committente che è domiciliata fiscalmente in Svizzera dove beneficia di un regime fiscale privilegiato(9). A fronte di tale attività, la società italiana percepisce una provvigione pari alla differenza tra il corrispettivo pari al prezzo di vendita al cliente finale diminuito della provvigione ed il corrispettivo applicato ai clienti finali.
Ai fini IVA, come già anticipato, le modalità di effettuazione dell'operazione trovano giustificazione nel fatto che committente e commissionario sono considerati due operatori economici distinti, in base ad una fictio iuris che riconduce il contratto di commissione ad un mandato senza rappresentanza. Di conseguenza opera un duplice obbligo di fatturazione: la committente svizzera emette una fattura alla commissionaria italiana con l'indicazione di un corrispettivo pari al prezzo di vendita al cliente finale diminuito della provvigione e, al momento della vendita, la commissionaria italiana emette una fattura al cliente finale italiano con l'indicazione del valore dei beni e dell'importo della provvigione.
Ai fini delle imposte dirette, invece, la società italiana non registra alcun costo per l'acquisto dei beni dalla società svizzera e si limita a contabilizzare e tassare il ricavo corrispondente alla provvigione netta. Infatti, non opera la fictio iuris della doppia vendita prevista dalla normativa IVA e la commissionaria deve indicare nel proprio conto economico solo la provvigione netta e non il prezzo di acquisto e di rivendita del prodotto(10). Questa modalità di rappresentazione contabile rispecchia la sostanza economica e giuridica del contratto di commissione, in quanto non si verifica alcun effetto traslativo della proprietà dei beni dal committente al commissionario.
Sulla base di tali argomentazioni, la società italiana ha sostenuto, in sede di interpello, la non applicazione dell'articolo 110, comma 10, del Tuir in quanto nella sua attività di commercializzazione per conto della società svizzera non sostiene alcun costo.
Secondo la società italiana, peraltro, la norma in esame non sarebbe applicabile neanche ai clienti finali in quanto gli stessi intrattengono esclusivamente un rapporto con la società istante.
5. La soluzione interpretativa dell'Agenzia delle Entrate
L'Agenzia delle Entrate non ha ritenuto corretta la soluzione interpretativa proposta dalla società italiana; al contrario, ha affermato l'applicabilità in capo alla stessa della norma sull'indeducibilità dei costi di cui all'articolo 110, comma 10, del Tuir.
La soluzione interpretativa fornita dall'Agenzia si fonda essenzialmente sulle seguenti argomentazioni:
(i) il contratto stipulato dalla società italiana e la società svizzera, denominato dalle parti "Commissionaire agreement", non è riconducibile al contratto di commissione di cui all'articolo 1731 del codice civile ma allo schema del mandato senza rappresentanza ovvero al contratto di agenzia(11);
(ii) indipendentemente dalla qualificazione civilistica del contratto come commissione o mandato senza rappresentanza, l'articolo 110, comma 10, del Tuir, riferendosi alle spese e agli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati, ha come destinatario il soggetto che ha posto in essere l'operazione economica al quale sono riconducibili l'iniziativa imprenditoriale e le ragioni sottostanti;
(iii) la previsione di indeducibilità dei costi implica necessariamente il diretto coinvolgimento del destinatario delle operazioni economiche, il quale non può che identificarsi con il soggetto che intrattiene rapporti con il committente non residente e non certo col terzo cliente;
(iv) l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni esimenti grava esclusivamente sul soggetto che ha deciso di operare con imprese domiciliate nei Paesi a fiscalità privilegiata;
(v) le modalità di contabilizzazione o le problematiche relative all'eventuale diretto trasferimento della titolarità dei beni dal committente al terzo non sono sufficienti ad escludere automaticamente la non applicazione della norma;
(vi) la rilevazione della sola provvigione netta (senza evidenziazione di alcun componente negativo) equivale, ai fini della determinazione del reddito, all'imputazione tra i componenti positivi dei ricavi lordi e tra quelli negativi dei costi di acquisti di beni o servizi, come peraltro già risulta dalle fatture emesse e dai documenti di addebito;
(vii) l'importo spettante alla società svizzera costituisce un elemento che influisce indirettamente nella determinazione del reddito della società italiana e deve formare oggetto di una variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi(12).
6.Osservazioni critiche
Una corretta soluzione del caso in esame si rende necessaria considerando che, in ambito internazionale, la vendita, distribuzione e l'acquisto di beni e servizi in luoghi diversi da quelli di produzione vengono realizzate con sempre maggiore frequenza, tramite schemi negoziali analoghi a quello stipulato nel caso in esame, con un'evidente riduzione dei costi di gestione.
In linea di principio, la ratio antielusiva della norma potrebbe legittimare l'inclusione nel suo campo di applicazione di qualsiasi operazione intercorsa con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata, posto che la norma sarebbe altrimenti facilmente aggirabile. Ciò premesso, occorre verificare se sia possibile includere anche le operazioni derivanti da contratti di commissione o mandato senza rappresentanza.
L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate potrebbe, infatti, ritenersi condivisibile soltanto privilegiando l'aspetto legato alle finalità antielusive della norma, dal momento che le specifiche modalità di effettuazione delle operazioni non possono far venire meno gli effetti giuridici della norma stessa. Diversamente, la ratio della norma sarebbe aggirata semplicemente interponendo un soggetto terzo tra il fornitore dei beni e servizi ed il cliente finale(13). A tal fine, nonostante sia indubbio che le spese finali derivanti dall'operazione posta in essere con la società svizzera sono state sopportate dai clienti finali, si dovrebbe ritenere che la società italiana in ragione della sua veste di commissionaria o mandataria costituisce un filtro nell'effettuazione dell'operazione di vendita dei beni.
Peraltro, la conclusione cui giunge l'Agenzia delle Entrate nella risoluzione in commento si pone in contrasto con un precedente chiarimento fornito dalla Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte in un caso analogo(14). In particolare, la Direzione Regionale aveva affermato che:
(i) il contratto di commissione può essere ricondotto nello schema del mandato senza rappresentanza e che i ricavi del commissionario sono rappresentati esclusivamente dalle provvigioni percepite (e non dal corrispettivo dei beni venduti);
(ii) il regime di indeducibilità dei costi di cui all'articolo 110, comma 10, del Tuir trova applicazione nei confronti del cliente finale, in quanto è l'unico soggetto ad evidenziare un costo nel proprio conto economico.
Tale interpretazione suscita parimenti alcune perplessità in considerazione del fatto che i clienti finali non hanno alcun rapporto con il committente estero e possono non essere a conoscenza del fatto che il committente è domiciliato in un Paese a fiscalità privilegiata.
A seguito dell'interpretazione fornita dalla Direzione Regionale, l'Assonime aveva auspicato un chiarimento definitivo da parte dell'amministrazione finanziaria sull'effettivo destinatario della norma e sulla possibilità per il commissionario di attivare la procedura di interpello per la disapplicazione della norma ai sensi dell'articolo 21 della legge del 30 dicembre 1991 n. 413 (al fine di fornire ai propri clienti copia della risposta favorevole dell'Agenzia delle Entrate)(15).
A distanza di qualche anno, tuttavia, l'amministrazione finanziaria sembra aver accolto un'interpretazione che, pur riconducendo il contratto di commissione nello schema del mandato senza rappresentanza, individua quale destinatario della norma non più il cliente finale ma il commissionario. La risoluzione in commento, sia pure volta a reprimere comportamenti elusivi, genera comunque qualche perplessità e pone in evidenza la difficoltà degli operatori di fronte ad alcuni casi concreti non immediatamente riconducibili alla fattispecie prevista dalla norma.
Sotto il profilo strettamente giuridico, l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate presenta evidenti carenze e si presta alle seguenti osservazioni critiche.
In primo luogo, da un punto di vista sistematico, la speciale fictio iuris che, ai fini IVA, riconduce il contratto di commissione nello schema del mandato senza rappresentanza (riconoscendo un doppio trasferimento della proprietà dei beni) non può ritenersi operante anche ai fini delle imposte dirette, la cui normativa, invece, non prevede analoghi obblighi di fatturazione.
Dal punto di vista della sussistenza del presupposto oggettivo richiesto dalla norma, è di assoluta evidenza che, nel caso in esame, la società italiana non acquista beni e servizi e di conseguenza non sostiene alcun onere di natura economica che possa qualificarsi come spesa o componente negativo di reddito da ricondurre nel campo di applicazione dell'articolo 110, comma 10, del Tuir. Al contrario, l'unico componente di reddito che dovrebbe assumere rilevanza ai fini fiscali è rappresentato dalla provvigione percepita dalla società italiana ed assoggettata a tassazione in Italia.
La risoluzione disconosce i componenti negativi di reddito, peraltro mai realizzati, attraverso una maggiorazione delle provvigioni e sembra
introdurre un'interpretazione nuova ed estremamente ampia di componente negativo di reddito ai fini dell'articolo 110, comma 10, del Tuir, fino a ricomprendere in modo generico tutte le operazioni intercorse con imprese domiciliate in Paesi a fiscalità privilegiata idonee, anche in via indiretta, a determinare il reddito imponibile(16).
Inoltre, accertata l'esistenza di un componente negativo di reddito, lo stesso deve costituire una diretta conseguenza delle operazioni realizzate dalla società residente con l'impresa estera. A tale riguardo, ci si deve chieder chi effettivamente pone in essere tale operazione: dal punto di vista giuridico e formale, il commissionario ma nella sostanza il cliente finale risulta comunque il destinatario dei beni o l'utilizzatore dei servizi (senza considerare che, civilisticamente, l'efficacia traslativa della proprietà dei beni si verifica soltanto dal committente al cliente finale).
Pertanto, la soluzione interpretativa dell'Agenzia delle Entrate nell'individuare tout court il commissionario quale destinatario della norma e dell'onere probatorio in essa previsto, escludendo il cliente finale, non sembra comunque pienamente soddisfacente. Non sfugge infatti che il cliente finale, la cui posizione non può certamente essere equiparata a quella del commissionario che ha intrattenuto, personalmente e direttamente, il rapporto con il soggetto estero, risulta comunque coinvolto nell'operazione. Inoltre, l'indicazione della provvigione spettante al commissionario in aggiunta la prezzo dei beni nella fattura emessa dal commissionario al cliente finale non consente di affermare che quest'ultimo sia del tutto estraneo all'operazione.
In conclusione, se lo scopo della norma è quello di evitare la contabilizzazione di operazioni inesistenti o fatturate per importi diversi da quelli reali, sarebbe necessario fornire un'interpretazione che consenta di adeguare casi particolari come quello in esame alla formulazione astratta della norma, evitando l'applicazione di norme con conseguenze sproporzionate rispetto alle finalità da essa perseguite.
Note:
(1) X. Xxxxxxx, Lotta ai paradisi fiscali: punti aperti in il Fisco n. 2/ 2001, p. 389. L'Autore, aveva già messo in evidenza come l'utilizzo del
contratto di commissione in determinate operazioni possa costituire un modo per evitare o aggirare l'applicazione della norma.
(2) D.M. 23 gennaio 2002 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 4 febbraio 2002) modificato dal D.M. 22 marzo 2002 (pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2002), in sostituzione del vecchio D.M. 24 aprile 1992 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 104 del 6 maggio1992).
(3) L'articolo 109 del Tuir usa l'espressione "spese ed altri componenti negativi" di reddito per indicare quei valori derivanti da scambi
(quali, retribuzioni, interessi passivi, corrispettivi di servizi, prezzi di acquisto di beni) e da valutazioni (quali, ammortamenti, svalutazioni).
(4) X. Xxxxxxxx Guerra, "Prime osservazioni sul regime fiscale delle operazioni concluse con società domiciliate in Paesi o territori a
fiscalità privilegiata", in Rivista di Diritto Tributario, 1992, I.
(5) V. Artina, Contratto di commissione: adempimenti formali ai fini Iva, in Corriere Tributario n. 19/1999, p. 1405.
(6) In tal senso, Cassazione, Sezione I, sentenza del 7 dicembre 1994, n. 10522 secondo cui "Nel mandato ad alienare (e nella commissione, quando abbia ad oggetto questo tipo di mandato) è ravvisabile un contratto nel quale l'effetto traslativo reale del bene, derivante dal consenso manifestato dalle parti (art. 1376 c.c.), non si verifica immediatamente, ma è sospensivamente condizionato al
compimento dell'alienazione gestoria del bene medesimo da parte del mandatario o commissionario".
(7) Con riferimento alla disciplina IVA, si vedano la circolare ministeriale del 16 febbraio 1973 n. 15/527164 e la nota del 5 aprile 1995 n. III-7-1203 in I Quattro Codici della Riforma Tributaria BIG - CD ROM, Ipsoa. L'amministrazione ha affermato in modo chiaro che la causa del contratto di commissione è quella di consentire, attraverso l'utilizzo di uno schema tipico, la conclusione di contratti di compravendita in
nome del commissionario e per conto del committente; il committente non interviene nella conclusione del contratto di compravendita; la
peculiarità del contratto di commissione consiste proprio nel fatto che il rapporto si svolge senza il passaggio dei beni tra committente e commissionario. In dottrina, X. Xxxxxxx, Xxxxx note sulla qualificazione giuridico - fiscale del passaggio di beni tra committente e commissionario (e viceversa) nel contratto di commissione, in Bollettino Tributario d'informazioni, 9/2004, p. 665.
(8) Ai sensi dell'articolo 2, comma 2, n. 3) e articolo 3, comma 4, lettera h), del DPR del 26 ottobre 1972 n. 633.
(9) L'articolo 3 del Decreto Ministeriale 23 gennaio 2002 (Black list) include la Svizzera tra gli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, limitatamente alle "società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e "di domicilio"". Nel caso affrontato dall'Agenzia delle Entrate la società committente gode di un regime fiscale privilegiato che prevede, per i redditi
provenienti dall'estero, l'applicazione di una aliquota sull'imposizione cantonale pari al 20% della normale tassazione federale del cantone
di Ginevra, mentre, per i redditi di fonte interna, la tassazione è pari all'applicazione combinata delle imposte federali, cantonali e municipali nella misura del 25%.
(10) In tal senso si era già espressa l'Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 6 giugno 2002, n. 177/E con riferimento ad un contratto
estimatorio affermando che i ricavi si intendono conseguiti nel periodo d'imposta al netto del prezzo corrisposto ai fornitori e di competenza del medesimo periodo, in I Quattro Codici della Riforma Tributaria big, Cd-rom, IPSOA. Nello stesso senso si veda la Norma di comportamento Associazione Dottori Commercialisti di Milano 139/99 "Regime del mandato d'acquisto di servizi senza rappresentanza ai fini delle imposte sui redditi, dell'IVA e dell'IRAP"
(11) Il disconoscimento del contratto di commissione è argomentato dall'Agenzia delle Entrate sulla base delle clausole contenute nello
stesso secondo cui i ricavi sarebbero stati riscossi dalla commissionaria per conto della committente, con conseguente obbligo di rendicontazione.
(12) Secondo l'Agenzia delle Entrate, se la società residente contabilizza la sola provvigione netta, sarebbe necessario incrementare i
ricavi iscritti al netto dei costi indeducibili che indirettamente hanno influito sulla determinazione dell'imponibile.
(13) Ritiene condivisibile la soluzione prospettata nella risoluzione in commento X. Xxxxxxxx, Risoluzione n. 12/E del 1 febbraio 2005 - Costi
indeducibili nel mandato senza rappresentanza, in Notiziario fiscale dell'Agenzia delle Entrate del 7 febbraio 2005 su xxx.xxxxxxxxx.xx.
(14) La Direzione Regionale del Piemonte si era espressa in occasione dell'evento MAP del 22 novembre 2002. Tale chiarimento è riportato
da M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano 2004, pag. 1330.
(15) In tal senso si è espressa l'Assonime con la Circolare del 17 ottobre 2003 n. 40 pag. 42 nota 36.
(16) Per un commento alla risoluzione del 1 febbraio 2005 n. 12/E, si veda A. Xxxxxxxxx - X. Tortora, "Paradisi fiscali: indeducibilità dei costi di commissione", in Corriere Tributario n. 9/2005 p. 728.