Contract
La domiciliazione dell’avvocato presso un altro collega non
determina l’insorgenza della qualifica di co-difensore in capo al
domiciliatario, a nulla rilevando che il cliente sottoscriva la
procura ad litem anche nei confronti di quest’ultimo. Il
rapporto che interviene tra i due avvocati, infatti, prende la forma
del contratto di mandato e non quella del contratto a favore di
terzi. Conseguentemente, l’onorario del domiciliatario deve essere
versato dall’avvocato mandante e non dal cliente. Lo ha stabilito
la II sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 25816 del 2
dicembre scorso.
L’antefatto. Un avvocato
aveva ricevuto un incarico di patrocinio da un cliente e si era
rivolto ad un collega, affinché svolgesse attività procuratoria in
sua vece anche in quanto domiciliatario. Non di meno, l’avvocato
mandante, quando era giunto il momento di corrispondere al collega le
sue spettanze, aveva ritenuto di non farlo, eccependo che il
domiciliatario avrebbe dovuto esigerle direttamente dal soggetto che
aveva fruito del patrocinio. In buona sostanza, l’avvocato mandante
aveva ritenuto che si fosse in presenza di un rapporto contrattuale
in cui entrambi gli avvocati, mandante e mandatario, fossero in
realtà codifensori dello stesso cliente. E dunque, le relative
spettanze avrebbero dovuto essere pretese da entrambi gli avvocati
dal cliente medesimo.
L’avvocato domiciliatario, dunque, si
era risolto ad adire il giudice, che aveva deciso in suo favore in I
grado con decreto ingiuntivo, salvo ribaltare la decisione in sede di
opposizione. Di qui il ricorso in appello, sempre da parte
dell’avvocato domiciliatario, che questa volta si concludeva in suo
favore. L’avvocato mandante, però, non si era rassegnato ed aveva
presentato ricorso per cassazione, ma anche i giudici di legittimità
hanno dato ragione al domiciliatario.
Non sempre paga
colui che ha rilasciato la procura alla lite. La Suprema
Corte ha chiarito anzitutto che obbligato a corrispondere il compenso
professionale al difensore per l'opera professionale richiesta, se ed
in quanto la stessa sia stata svolta, non è necessariamente colui
che ha rilasciato la procura alla lite.
Per il
domiciliatario il cliente è l’avvocato. L’obbligato,
infatti, può anche essere colui che abbia affidato al legale il
mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia
svolto nell'interesse di un terzo, instaurandosi in tale ipotesi,
collateralmente al rapporto con la parte che abbia rilasciato la
procura ad ad litem, un altro distinto rapporto interno ed
extraprocessuale. Rapporto regolato dalle norme di un ordinario
mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta
non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera
professionale.
La domiciliazione è un mandato.
In buona sostanza, dunque, fermo il rapporto contrattuale
tra il cliente e l’avvocato, quest’ultimo può dare mandato ad un
altro avvocato affinché svolga attività nell’interesse del suo
cliente. E in questo caso l’avvocato mandante diventa cliente
dell’avvocato mandatario, nel senso che è l’avvocato mandante ad
essere obbligato al pagamento dell’avvocato mandatario e non il
cliente in senso stretto che, per contro, resta legato al rapporto
contrattuale con l’avvocato mandante.
Perché la
domiciliazione non può essere un contratto in favore del terzo.
La Suprema Corte, inoltre, al fine di escludere la
configurabilità di un contratto in favore di un terzo ex
art.1411 c.c., in luogo del contratto di mandato effettivamente
intercorso tra le parti, ne ha fornito la nozione nei seguenti
termini: «per la configurabilità di un contratto a favore
di terzi, non è sufficiente che il terzo riceva un vantaggio
economico indiretto dal contratto intervenuto tra altri soggetti, ma
è necessario che questi ultimi abbiano inteso direttamente
attribuirglielo, nel senso che i soggetti stessi, nella qualità di
contraenti, abbiano previsto e voluto una prestazione a favore di un
terzo estraneo al contratto, come elemento del sinallagma».
E
siccome il cliente in senso stretto era mero beneficiario
dell'attività svolta dall’avvocato domiciliatario in virtù del
mandato che era conferito anche nell'interesse del terzo, il
contratto non rientrava nella previsione di cui all'art. 1411 c.c.