ERGA OMNES
iMec
anno X - numero 3 - 17 giugno 2021
giornale metalmeccanico
ERGA OMNES
Dopo migliaia di assemblee le lavoratrici e i lavoratori hanno approvato il Ccnl a larga maggioranza. In questo numero approfondiamo tre importanti tematiche del nuovo contratto:
Mercato del lavoro, Salute e sicurezza e Appalti.
MENSILE DELLA FIOM-CGIL
Iscritto al n. 118/2019 del Registro della Stampa Direttore responsabile: Xxxxxxxx Xxxx Redazione: Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx
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di Xxxx XxxxxxxxXXx
opo l’approvazione dell’ipo- tesi di Xxxx da parte dei lavoratori ripercorriamo le fasi e le modalità del metodo democratico che ha
portato a tale risultato parlandone con Xxxx Xxxxxxxx, responsabiLe organizza- tivo e componente deLLa Segreteria deLLa Fiom nazionaLe.
Quale importanza ha il percorso demo- cratico nella trattativa per arrivare alla stipula del nuovo Ccnl?
La contrattazione collettiva ha efficacia erga omnes, cioè si applica a tutte le lavo- ratrici e a tutti i lavoratori, cui la contrattazione fa riferimento, senza distinzione alcuna tra iscritti o non iscritti al sindacato. La democrazia e il voto dei lavoratori sono fonte di legitti- mazione degli accordi stipulati dai sindacati, rappresentano un vincolo di mandato all’avvio delle trattative e alla loro conclusione con un eventuale accordo. In sostanza la democrazia dà ai lavoratori il diritto di parola e soprattutto di voto su tutti gli atti negoziali.
È stato importante aver confermato nel rin- novo del Ccnl questa norma democratica, perché la democrazia e il voto dei lavoratori vincolano tanto le organizzazioni sindacali quanto le parti datoriali: il contratto è valido solo se approvato dalla maggioranza dei lavoratori che si esprimono con il voto sulla consultazione certificata.
Con il contratto del 2016 e con quello sot- toscritto a febbraio di quest’anno si è posto fine alla stagione degli accordi separati, che tanto hanno pesato sulla categoria, fermando allo stesso tempo l’offensiva di Confindustria nel suo pro- getto di ridimensionare il ruolo del contratto nazionale di lavoro. Perciò, la democrazia e il voto vincolante dei lavo- ratori impediscono gli accordi separati, e rafforzano allo stesso tempo la contratta- zione collettiva.
Democrazia e partecipazione dei lavora- xxxx xxxxxxxxxx il sindacato nella sua azione contrattuale, ne legittimano gli atti negoziali, ne confermano la natura di rappresentanza larga e di massa dei lavo- ratori e sono l’antidoto al rischio di corporativismo e aziendalismo della stessa azione sindacale.
La Fiom ha scelto di battersi per far con- tare i lavoratori assumendo i temi della rappresentanza, della democrazia, e del conflitto come fattori costitutivi del sin- dacato e di legittimazione del proprio ruolo contrattuale.
Questa idea di sindacato rende possibile
battersi per migliorare la condizione di lavoro, estendere i diritti, contrastare la precarietà e riunificare il lavoro, difendere l’occupazione tanto più in questa fase com- plessa, segnata ancora dagli effetti della crisi pandemica ed economica.
Quale valore ha, all’interno dell’organiz- zazione e nel rapporto con i lavoratori, il referendum nelle aziende per validare gli accordi?
Portare questa pratica nelle aziende con- ferma il ruolo e l’idea di sindacato che la Fiom porta avanti da sempre. L’idea di un sindacato che non è cosa diversa dai lavora- tori che rappresenta al punto che spetta ai lavoratori l’ultima parola su ogni atto nego- ziale. Sta alla Fiom e alle organizzazioni sindacali di leggere e interpretare il voto dei lavoratori non solo quando il voto è positivo e di consenso alle piattaforme e agli atti negoziali, ma anche quando esso è negativo, spesso espressione non solo di una diversa valutazione degli esiti contrattuali ma anche di una condizione di disagio vissuta dai lavoratori rispetto alla crisi e alle ristrutturazioni.
In questo senso l’alta partecipazione alla consultazione e alle tante assemblee fatte rispondono al bisogno di sindacato che si leva dai luoghi di lavoro. È forte la richiesta di affrontare i temi della condizione di lavoro, dell’estensione dei diritti, della tutela della salute e della sicurezza che, come abbiamo visto con la cronaca di questi giorni, sono un punto drammatico della condizione di lavoro nel nostro Paese.
La drammatica sequela di morti sul lavoro parla da sola: nelle imprese italiane i temi della salute e della sicurezza sul lavoro non sono centrali e sempre di più la sicurezza viene vista come un costo da ridurre e quasi mai come un investimento volto a miglio- rare la condizione di lavoro. Per questo nell’azione sindacale, non solo tra i metal-
meccanici, bisogna ridare centralità al tema della salute e sicurezza dei lavoratori.
Quante assemblee sono state fatte? In che modalità?
Il numero delle aziende nelle quali si sono svolte le assemblee è di 6.538 per un totale di
704.394 dipendenti. In realtà le assemblee nei luoghi di lavoro sono state più numerose per effetto delle disposizioni sul Covid-19. In tante realtà per garantire il distanziamento si è dovuto moltiplicare il numero delle assemblee con i lavoratori nelle mense, nei piazzali e nei parcheggi aziendali. Per i lavo- ratori in smart working e per quelli in cassa integrazione abbiamo organizzato assem- blee da remoto, on line. Abbiamo prodotto uno sforzo organizzativo straordinario che ha coinvolto tutte le strutture regionali e territoriali, insieme a migliaia di nostri dele- gati e nostre delegate Rsu.
Quali sono stati i risultati del voto? Hanno votato 374.392 lavoratori e lavora- trici (pari al 63,61% dei 588.602 presenti nei giorni della consultazione), i voti favorevoli sono stati 351.366 (pari al 95,23%), 22.000 i contrari (pari al 4,77%), le schede bianche sono state 4.312 e quelle nulle 1.105.
Quali erano gli obiettivi?
L’obiettivo che ci eravamo dati era quello di superare il numero di votanti raggiunti nella piattaforma d’ingresso, la piattaforma rivendicativa su cui è stata avviata la trat- tativa con Federmeccanica e Assistal. Un obiettivo che abbiamo raggiunto nono- stante le difficoltà incontrate e la limitazione delle agibilità nei luoghi di lavoro dovute alla pandemia.
Il voto ci dice inoltre che c’è stato un apprezzamento molto largo sull’accordo per il rinnovo del contratto nazionale visto che oltre il 95% dei lavoratori ha votato, appro- vando i contenuti economici salariali e
normativi che sono stati introdotti.
Com’è andata rispetto al rinnovo del 2016? Abbiamo superato il risultato del 2016 in cui i votanti sono stati circa 351.000. Possiamo dire che, proprio perché c’era la pandemia, abbiamo organizzato la consultazione con Fim e Uilm dandoci due mesi di tempo per poter andare nel maggior numero di luoghi di lavoro a presentare la piattaforma. Stante la fase pandemica abbiamo preso qualche settimana in più di quelle che normalmente ci prendevamo nei rinnovi precedenti.
In questo periodo segnato dal Covid-19 com’è andato il tesseramento 2020?
Il risultato del 2020 è sicuramente positivo e la Fiom si conferma primo sindacato tra i metalmeccanici con oltre 300.000 iscritti, nonostante le difficoltà che ci sono state nel 2020 e il periodo di lockdown che hanno sostanzialmente ridotto al minimo le agibi- lità nei luoghi di lavoro da parte degli stessi nostri dirigenti e funzionari sindacali.
La riconferma del nostro primato e il numero degli iscritti sono il riconoscimento del nostro radicamento nei luoghi di lavoro e delle tante iniziative, anche di sciopero e mobilitazione, che abbiamo realizzato insieme ai nostri delegati Rsu per garantire, anche in piena pandemia, l’esercizio del diritto di lavorare in salute e in sicurezza.
I tantissimi protocolli sottoscritti con le aziende, frutto degli scioperi e della mobili- tazione dei lavoratori metalmeccanici, certificano in questo senso l’impegno della Fiom e dei propri delegati nella tutela dei lavoratori nella fase pandemica da Covid-19. Per il 2021 l’obiettivo è incrementare ulte- riormente gli iscritti alla Fiom e di fare una campagna di proselitismo che consolidi, anche sul piano organizzativo, il consenso largo che la nostra organizzazione ha all’in- terno della categoria.
Mercato del lavoro
CONTRATTARE L’UGUAGLIANZA
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il ragionamento
fallimentare è sempre lo stesso ovvero per aumentare gli occupati si deve liberalizzare il mercato del lavoro
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ul «Mercato del Lavoro», con l’av- vocato Xxxxxxx, abbiamo fatto una riflessione ovvero che nel corso degli anni è evidentemente la parte del Ccnl che dal punto di
vista normativo ci ha costretto a trovare sem- pre le soluzioni per rispondere, per via contrattuale, al peggioramento delle norma- tive e che rispetto a quella che è la discussione del dibattito pubblico e politico di questi giorni potrebbe riservarci ulteriori sorprese. Mi riferisco in particolare ai dati che sono stati trasmessi rispetto all’impatto della crisi sui rapporti precari, quindi i tempi determi- nati, lavoratori in somministrazione ed in particolare l’impatto che dentro questa dinamica hanno avuto le lavoratrici.
Il dibattito politico, però, invece di andare ad esaminare le motivazioni ed eventualmente come creare buona occupazione e superare la precarietà del cosiddetto mercato del lavoro si incentra su come superare il decreto dignità, prevedere ulteriori deroghe entro la crisi Covid, ma già in prospettiva ipotizzare di togliere le causali. Il ragiona- mento fallimentare è sempre lo stesso ovvero per aumentare gli occupati si deve liberalizzare il mercato del lavoro quindi, ancora una volta, ci ritroviamo al punto di partenza che – ricordo – è il 2014. Il così detto «decreto Poletti» che con un colpo di spugna, appena diventato Ministro, ha eli- minato le causali e creato un disastro nel mercato del lavoro. Con il Jobs Act – che ha confermato quella linea – ad un certo punto ci si è resi conto che c’erano – rapporto del Ministero lavoro del 2017 – centinaia di milioni di ore di contratti di lavoro in un solo giorno.
Da lì nasce l’intervento del decreto dignità,
che in qualche modo rompe – se vogliamo dirla così – l’approccio della liberalizzazione dei rapporti a termine. Lo fa però senza con- cordare con le parti sociali il tipo di impatto che quelle norme dovevano avere e si crea una dicotomia per cui oggi abbiamo un con- tratto libero nei primi 12 mesi e poi le causali che intervengono dal tredicesimo mese fino al ventiquattresimo mese, senza individuare percorsi di stabilizzazione.
Questo chiaramente ha creato un’altra stor- tura perché si è passati da rapporti di un solo giorno a rapporti che arrivano in mol- tissimi casi a 12 mesi – proprio in virtù della a-causalità nei primi mesi, certamente un miglioramento ma non una risposta utile al superamento del precariato.
Per avere una lettura delle norme che sono dentro il contratto nazionale, di quello che abbiamo fatto attraverso l’ipotesi di accordo, dobbiamo farlo in maniera organica e quindi sull’intero perimetro di norme a partire dal diritto all’informazione, all’apprendistato fino all’inquadramento.
Una lettura organica perché per capire quello che è previsto nel contratto bisogna capire le richieste che abbiamo fatto e per quale motivo poi siamo approdati a quello che è stata la scelta degli obiettivi, anche rispetto all’andamento della trattativa.
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Nella piattaforma abbiamo chiesto di defi- nire una percentuale dei rapporti a termine, di ridurre il periodo massimo che è previsto nell’automatismo della stabilizzazione e di definire una procedura di confronto anche con le imprese. Rafforzare il diritto di prece- denza e poi ovviamente il rilancio per contratto di apprendistato.
Il 26 novembre Federmeccanica, nel suo documento, sul mercato del lavoro faceva
una richiesta che era quella dell’allarga- mento dello strumento della stagionalità. Non aver aderito alla discussione sulle atti- vità stagionali è stato per noi un passo in avanti perché è bene ricordare che sono già normate dal contratto collettivo nazionale dove è stabilito che queste attività – che possono avere una durata massima di sei mesi – devono essere concordate con la Rsu o la struttura territoriale, mentre la propo- sta di Federmeccanica era quella di spostare al II livello di contrattazione una defini- zione più larga.
Il D.Lgs 81/2015 sul contratto a termine sta- bilisce che tutto ciò che rientra dentro le attività stagionali è libero da causali ed è libero da vincoli, quindi è evidente che ade- rire a una proposta di discussione sull’allargamento dell’attività stagionale avrebbe avuto l’effetto esattamente contra- rio delle richieste che abbiamo fatto in piattaforma, che erano quelle di restringere l’utilizzo dei rapporti precari e arrivare alla stabilizzazione e quindi abbiamo fatto bene non solo a non aderire a quelle richieste, ma
- anche grazie all’aiuto della Consulta giuri- dica – a confermare e proteggere ciò che nel contratto nazionale è previsto.
In particolar modo sulla parità di tratta- mento, sul meccanismo automatico e di riconoscimento delle anzianità nel caso di trasformazione del rapporto da ter- mine a rapporto a tempo indeterminato, elemento fondamentale perché riconosce anche l’anzianità maturata anche nei rapporti in somministrazione, che è un tema che è assolutamente complicato da discutere con le aziende.
Ci sono poi i diritti di precedenza: uno rela- tivo ai contratti a termine e quindi quello
che apre la possibilità per il lavoratore di essere assunto per le posizioni a tempo inde- terminato che si dovessero determinare dentro le imprese, l’altro relativo alle attività stagionali per la continuità occupazionale.
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non aver aderito alla discussione sulle attività stagionali è stato per noi un passo in avanti perché sono già normate dal contratto nazionale dove è stabilito che queste attività devono essere concordate con la Rsu o la struttura territoriale
Dobbiamo fare attenzione perché entrambi i diritti di precedenza devono essere espli- citati dal lavoratore in forma scritta, argomenti tra l’altro utili per avvicinare i lavoratori precari e stagionali, dando sem- plicemente informazioni di quello che il contratto prevede.
Altro punto fondamentale sono i diritti di informazione.
Nel momento in cui le aziende hanno l’ob- bligo di dire ai nostri delegati o alle strutture territoriali come è composta l’or- ganizzazione del lavoro, come è composto il mercato del lavoro dentro l’impresa, quanti sono i rapporti a termine, la loro durata, quanti sono i rapporti in somministrazione, noi abbiano una mole di dati anche per capire se quella precarietà è una condizione
«stabile» ovvero se c’è un utilizzo stabile dei rapporti di lavoro a termine, e quindi che quello che cambia non è la percentuale di utilizzo dentro le imprese, ma i lavoratori. Una volta che sappiamo effettivamente quello che accade, qual è il ciclo dell’organiz- zazione e dell’impresa, abbiamo gli elementi per cercare di aprire la discussione per la continuità lavorativa e per la stabilizzazione. Per questo è importante aver schematizzato e accorpato tutto dentro lo stesso capitolo dei diritti di informazione, avendo quindi una chiarezza di quali sono i dati che le aziende devono dare.
Sulla somministrazione c’è un diritto per legge che stabilisce che le aziende una volta l’anno devono dare alle Rsu o alle strutture territoriali alcuni dati rispetto all’utilizzo dei contratti di somministrazione.
Nel contratto siamo andati oltre perché que- sta comunicazione l’abbiamo di norma –come dice il contratto – ogni sei mesi e quindi, rispetto alla legge, è un avanzamento.
È evidente che, per le ragioni che citavo prima sul Decreto dignità, le aziende hanno trovato anche uno sfogo nell’utilizzo della somministrazione di lavoro. Se da un lato si è stretto sulle durate e sulle causali, c’è una tipologia contrattuale che invece dentro
determinate percentuali le aziende possono utilizzare senza applicare nessuna causale che è il cosiddetto staff leasing, ovvero un contratto commerciale tra impresa e agen- zia di somministrazione a tempo indeterminato.
È chiaro, quindi, che nel corso degli anni, dal momento in cui è intervenuto il Decreto dignità, abbiamo avuto un aumento espo- nenziale di questa forma contrattuale dentro le aziende, e che quando ci troviamo a discu- tere sulla continuità occupazionale, avendo pochi spazi dal punto di vista normativo che la legge concede alla contrattazione, le aziende fanno due operazioni: o ci chiedono di firmare le deroghe del famoso art.8, oppure ci mettono davanti – con la pressione dei lavoratori che giustamente chiedono di poter continuare a lavorare – lo staff leasing. Quindi dobbiamo ragionare su come uscire dall’angolo di questa situazione e cercare di riempire la cassetta degli attrezzi per avviare percorsi virtuosi.
Voglio evidenziare due elementi sulla som- ministrazione perché credo che siano utili anche per poter affrontare alcune temati- che dentro le aziende.
Il primo è il rispetto della parità di tratta- mento che i lavoratori devono avere. Noi l’abbiamo scritto bene sul contratto: c’è una dicitura che dice bene che cosa i lavoratori a termine e in somministrazione, rispetto alla parità di trattamento, devono avere e rispetto a quello che già è stabilito dalla legge c’è anche qui un passo in avanti, perché il contratto cita in maniera assolutamente esplicita anche il premio di produzione.
Questo è un elemento che è assolutamente un avanzamento perché le aziende agi- scono sulla questione dei costi soprattutto sulla somministrazione.
L’altra cosa riguarda la partecipazione democratica e quindi il diritto dei lavoratori in somministrazione di partecipare alle assemblee, anche indette dai lavoratori e quindi dalle Rsu e dalle strutture territo- riali, e ovviamente di essere rappresentati,
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sui costi dobbiamo fare una riflessione perché è evidente che se partiamo dalla parità di trattamento, la somministrazione all’azienda costa inevitabilmente di più per una ragione molto semplice: l’agenzia si fa pagare
in particolar modo sulla salute e sicurezza dentro il luogo di lavoro.
Dobbiamo fare attenzione agli aggiorna- menti del Dvr, ma soprattutto del Duvri. Lo dico perché ci sono diverse sentenze che hanno convertito i rapporti di lavoro in
somministrazione a tempo indeterminato diretti con l’azienda, perché l’azienda non aveva correttamente aggiornato il docu- mento di valutazione dei rischi interconnessi. Credo che sia importante dare l’informazione alle nostre rappresen- tanze perché è un ulteriore strumento che possiamo usare.
Sui costi dobbiamo fare una riflessione per- ché è evidente che se partiamo dalla parità di trattamento, e quindi se c’è effettiva- mente questa parità, la somministrazione all’azienda costa inevitabilmente di più per una ragione molto semplice: l’agenzia si fa pagare. Da uno studio che abbiamo fatto in questi mesi siamo mediamente intorno al 10-15% in più del costo del lavoratore diret- tamente assunto. Quindi se stiamo effettivamente attenti, affinché i livelli di inquadramento e tutto ciò che è previsto nel contratto nazionale e di secondo livello venga correttamente riconosciuto anche ai lavoratori in somministrazione, abbiamo una leva in più che è quella dei costi.
Poi sappiamo, soprattutto nelle aziende multinazionali, che il costo della sommini- strazione molto spesso è inserito dentro i costi dei servizi e quindi incide sicura- mente nei costi generali, ma non incide nel costo del lavoro.
È chiaro che noi da lì possiamo partire per fare ulteriori pressioni per la creazione dei bacini utili alla stabilizzazione.
Xxxx’apprendistato partiamo dalla dichiara- zione delle parti, della conferma della centralità e quindi del rafforzamento del- l’utilizzo come contratto di inserimento nel mondo del lavoro.
Si è intervenuti sul cambiamento del sistema retributivo, facendo «pulizia», per- ché il sotto-inquadramento generava anche
un po’ di confusione nei lavoratori. Sapere qual è il tuo livello di inquadramento già dal primo giorno è più chiaro rispetto alle man- sioni che devi svolgere dentro l’azienda, ma soprattutto anche alla coerenza del per- corso formativo, per approdare a quella determinata qualifica.
Anche qui ricordiamoci, però, di ciò che è previsto nella normativa perché le aziende con più di 50 dipendenti per attivare nuovi contratti di apprendistato devono aver con- fermato almeno il 20% di quelli attivati nei 36 mesi precedenti e quindi dobbiamo stare attenti alle percentuali di utilizzo della con- trattazione a termine, della somministrazione e anche a quello che accade rispetto al contratto di apprendistato. Ritorno ulteriormente sul diritto e l’obbligo delle informazioni che le imprese hanno perché sono tutti strumenti che possiamo assolutamente utilizzare nell’aprire con- traddizioni dentro l’impresa e poi cercare di avviare percorsi di stabilizzazione.
La difesa dell’impianto generale del mercato del lavoro è stata la scelta che ci ha portato oggi a confermare l’automatismo della sta- bilizzazione. Sicuramente ciò che è previsto dal punto di vista normativo complica il percorso, ovvero la stabilizzazione alla maturazione dei 44 mesi, per la a-causalità dei rapporti nei primi 12 mesi.
Non è da escludere che per effetto delle deroghe assistite, i rapporti che si sono avuti prima dell’entrata in vigore delle norme, la proroga prevista anche durante l’emergenza Covid, questo limite non sia comunque effettivamente raggiunto dai lavoratori.
Dobbiamo, quindi, da un lato continuare a far vivere la norma contrattuale e dall’altro
verificare anche effettivamente quello che è accaduto dentro le imprese.
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Il quadro economico e normativo in cui siamo oggi impone una riflessione di come affrontare il tema del lavoro precario che dovremo necessariamente intrecciare con la scadenza del blocco dei licenziamenti. È
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il rinnovo del contratto nazionale è l’avvio di un percorso, non possiamo affermare che fatto il contratto nazionale abbiamo risolto tutti i problemi dentro le aziende, ma dobbiamo avviare un percorso che ci porta a gestire le dinamiche del mercato del lavoro
evidente che ci potremmo trovare nella situazione in cui dovremmo tentare di otte- nere la continuità lavorativa e la stabilità dei rapporti di lavoro precari e contempora- neamente cercare di proteggere i rapporti di lavoro stabili e quindi evitare di creare con- trapposizione nei posti di lavoro, perché sappiamo bene che le aziende su questo
sicuramente lavoreranno.
Gli strumenti a disposizione a partire dal contratto nazionale li abbiamo, dobbiamo cercare di capire come utilizzarli al meglio. Il rinnovo del contratto nazionale è l’avvio di un percorso, non possiamo affermare che fatto il contratto nazionale abbiamo risolto tutti i problemi che abbiamo dentro le aziende, ma dobbiamo avviare un percorso che ci porta a gestire le dinamiche del mer- cato del lavoro.
A partire, quindi, da quanto è già previsto sulle stabilizzazioni, dal diritto di prece- denza e ulteriori strumenti normativi come gli sgravi contributivi per le assun- zioni, quota 100, il contratto di espansione. Il Fondo nuove competenze, che stiamo facendo una fatica enorme a farlo utilizzare alle aziende perché pre- vede l’accordo sindacale. È evidente che con l’avanzamento tecnologico ci sarà bisogno di nuove professionalità e non possiamo permettere di lasciare alle aziende decisioni su questo argomento.
Credo che dobbiamo approfondire tutto ciò che abbiamo a disposizione, dagli ammor- tizzatori sociali alle politiche attive, attraverso un Seminario di approfondi- mento. Sono tutti strumenti utili a superare il blocco dei licenziamenti, ad avvicinare e tutelare i lavoratori precari cercando di inserirli stabilmente, con l’obiettivo di tutelare i posti di lavoro e dare futuro ai giovani e – anche – di cre- scita delle iscrizioni alla Fiom.
Il precariato non è più una questione «gio- vanile», l’età anagrafica di chi è precario si è alzata, anche se sappiamo bene che gene- ralmente i lavoratori giovani entrano in modo precario nel mondo del lavoro.
Diritti del lavoro
PRECARIETÀ
A COLPI DI LEGGE
di Avv. Xxxx Xxxxxxx
La prospettiva in cui noi legali ci muoviamo è spesso differente da quella di chi è impe- gnato sui tavoli contrattuali.
Nonostante questa inevitabile diversità di prospettive, devo dire che mi trovo molto d'accordo con le cose dette da Xxxxxxxxx nel suo intervento sul mercato del lavoro.
Il tema del mercato del lavoro è un tema sem- pre importante, ma adesso sta veramente per diventare centrale man mano che si avvicina la fine del blocco dei licenziamenti.
Inizio con una constatazione che potrebbe sembrare banale, ma che è utile avere tutti ben chiara, anche perché molta della propa- ganda che viene fatta sui mass media torna a riproporre, con grande insistenza, la solita filastrocca della flessibilità, le critiche a un mercato del lavoro che sarebbe «ingessato», il mito che garantendo più flessibilità in entrata e in uscita si aumenterebbero i livelli occupazionali complessivi.
Il punto di partenza che deve essere ben chiaro è questo: qualunque normativa, qua- lunque regolazione del mercato del lavoro, sia essa contrattuale sia essa anche legisla- tiva, non può portare ad un'influenza sui livelli occupazionali generali, che dipendono ovviamente da fattori economici diversi.
La regolazione del mercato del lavoro influi- sce però senz'altro sulla qualità dell’occupazione, sul tipo di occupazione, sulla condizione dei lavoratori occupati.
A questo proposito ormai da 25 anni assi- stiamo ad un progressivo peggioramento della qualità dell’occupazione, effetto delle nuove regole introdotte dal legislatore e soprattutto dalle garanzie e dai vincoli da questo rimossi su una serie di istituti fonda- mentali del nostro ordinamento.
Noi giuristi tendiamo a individuare, come
data spartiacque, l'approvazione del cosid- detto «pacchetto Treu» avvenuta nel 1997; è un’individuazione forse arbitraria, ma ricor- diamo che con tale intervento normativo è stata legittimata nel nostro ordinamento la scissione tra la titolarità formale del rap- porto di lavoro e l’utilizzo sostanziale della manodopera. Mi riferisco ovviamente all'in- troduzione di quello che allora si chiamava lavoro interinale, e oggi si chiama sommini- strazione, istituto che ha la caratteristica di imputare formalmente il rapporto di lavoro a un soggetto terzo (l'agenzia di sommini- strazione) quando invece il beneficiario effettivo della prestazione è il committente, che da questa scissione trae evidentemente il beneficio di una maggior libertà di mano- vra su livelli occupazionali e si sgrava di responsabilità nei confronti dei lavoratori. Un primo strappo importante, dunque, ai principi che hanno sempre informato il diritto del lavoro nel nostro Paese.
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qualunque normativa,
regolazione del mercato del lavoro, sia essa contrattuale sia essa anche legislativa, non può portare ad un'influenza sui livelli occupazionali generali, che dipendono ovviamente da fattori economici diversi
qualunque
Dopo il pacchetto Treu, altra tappa fonda- mentale è stata la cosiddetta legge Biagi del 2003: qui vorrei ricordare – al di là delle tipologie contrattuali che con quella legge cominciano a fiorire come i fiori in prima- vera – in particolare la norma che ha abolito la parità di trattamento dei lavoratori degli appalti endo-aziendali rispetto ai dipen- denti dell’impresa committente.
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Quello è stato uno snodo fondamentale per arrivare a un decentramento selvaggio e ad una segmentazione del ciclo produttivo, incentivando il ricorso ad appalti motivati non da effettive esigenze produttive, bensì soltanto da ragioni di riduzione del costo della manodopera. Effetto collaterale è stato anche il proliferare dei cosiddetti contratti pirata, applicati da molte aziende esterne, al
fine di massimizzare il risparmio in termini di costo del lavoro.
Poi, nel 2014 il grande colpo di spugna del cosiddetto Decreto Poletti, il primo atto del Jobs Act, intervento devastante, che ha del tutto abolito le causali per i contratti a tempo determinato, anche per gli anni suc- cessivi al primo.
In realtà – questo in pochi lo ricordano – la possibilità di assumere senza indicazione della causale per il primo anno c’era già, era stato previsto dalla «legge Fornero» nel 2012, per la quale l’obbligo di inserire la causale scattava dopo il secondo anno, esattamente come è adesso, solo che allora nessuno gridava allo scandalo, mentre oggi si dice che quello è un elemento fortemente negativo perché favorisce il turn over sel- vaggio degli assunti a termine alla scadenza dei 12 mesi.
Cosa fa il Decreto Poletti? Abolisce le causali e come limite temporale pone quello dei 36 mesi (adesso diventati 24 per effetto del
«Decreto dignità»). Quello temporale, nell'ot- tica della legge, è l'unico tetto effettivo, perché quello numerico – demandato alla contrattazione collettiva – ha un forte limite. La sua violazione, infatti, non com- porta la trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, perché viene espressamente prevista sol- tanto una sanzione di tipo amministrativo e quindi il lavoratore non ha diritto, in caso di violazione del tetto percentuale, alla sta- bilizzazione del rapporto.
Cosa succede con il Decreto Poletti? Succede quello che si voleva che succedesse, cioè un’esplosione del lavoro precario con una parte sempre crescente di lavoratori ridotti in condizioni sostanzialmente di suddi-
tanza, perché essere precari significa – pre- cario deriva da preghiera, prego lasciami il lavoro – essere sempre alla mercé del datore di lavoro e di conseguenza non essere
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nel 2014 il grande colpo di spugna del cosiddetto Decreto Poletti, il primo atto del Jobs Act, intervento devastante, che ha del tutto abolito le causali per i contratti a tempo determinato, anche per gli anni successivi al primo
inclini alla sindacalizzazione, non essere inclini a esercitare i diritti sindacali, essere insomma sempre sotto scacco.
Tra l’altro i contratti a termine – lo ricor- dava giustamente Xxxxxxxxx – sono spesso brevissimi, qui parliamo di 24 mesi, ma in
realtà la media di durata dei rapporti a ter- mine è circa di 30 giorni ed è un processo che sembrava inarrestabile tanto che nel 2018 – prima dell’approvazione del Decreto dignità – le statistiche dicevano che circa il 92% degli avviamenti al lavoro avvenivano con contratto a tempo determinato.
Ora, il problema non è risolto e le contraddi- zioni ci sono tutte, ma i dati odierni segnalano una netta inversione di rotta: ora circa il 70% delle assunzioni, non più il 92%, avvengono a tempo determinato, e sono ancora troppe, ma è comunque meglio di prima.
In questo quadro arriva nel 2018 il cosid- detto «Decreto dignità» (che in questi giorni è rimesso nuovamente in discussione con il discorso del congelamento delle causali legato alla pandemia), intervento che perso- nalmente considero una prima inversione di tendenza dopo 25 anni di liberalizzazione selvaggia. È un intervento certamente insufficiente, contraddittorio, frutto di una mediazione politica, ma certamente costi- tuisce un passo in avanti.
I 36 mesi di tetto massimo vengono ridotti a 24, nel computo complessivo del tetto tem- porale vengono considerate anche le somministrazioni a tempo determinato, ven- gono reintrodotte causali tassative, come era stato in realtà da sempre, dalla Legge 230 del ‘62 fino al 2001 in cui le causali tassative erano state sostituite da un “causalone”. Si riafferma così il fatto che si può assumere a tempo determinato solo se le esigenze sono temporanee e non definitive, perché se l’esi- genza è strutturale si deve assumere a tempo indeterminato, come vuole anche l’ordina- mento comunitario.
Un tentativo, quindi, anche in parte malde- stro, se vogliamo, perché frutto di una
mediazione politica, ma finalizzato giusta- mente a ricondurre a temporaneità il contratto a tempo determinato.
È chiaro che questo ha portato dei problemi grossi alla contrattazione come ricordava chi mi ha preceduto, problemi che almeno in parte si sarebbero potuti evitare se solo si avesse avuto il coraggio politico di imporre l'obbligo di indicare la causale sin dal primo giorno.
Ma non è stato così, e quindi ora si deve affrontare anzitutto il problema del turn over dopo un anno, ma – ripeto – non è una novità, era così anche nel quadro Fornero e comunque sarebbe stato così dopo i 24 mesi. Si assiste poi all’esplosione dello «staff lea- sing», ma io ricordo che i lavoratori dipendenti dalle agenzie di somministrazione a tempo indeterminato sono maggiormente tutelati rispetto a quelli a termine, in quanto se non altro godono di un'indennità di dispo- nibilità nei periodi in cui non sono collocati in un’impresa piuttosto che in un’altra e comunque il costo maggiore dovuto al pro- fitto dell'agenzia tende a limitare il fenomeno in limiti fisiologici (il ricorso maggiore allo staff leasing è presente nelle imprese mag- giori, specie multinazionali, sostanzialmente per ragioni di bilancio, visto che i costi della somministrazione vengono imputati ai ser- vizi e non agli stipendi).
C’è infine la forte richiesta di accordi in
deroga ai sensi dell’art.8 che è un altro pro- blema politico che io non trascuro minimamente, ma che voi avete saputo con- trastare egregiamente.
Io di accordi in deroga, nei quali non viene espressamente richiamato l'art.8 in altre categorie li ho visti, nella vostra no, credo che siate riusciti a reggere e questo è estre- mamente importante.
Vi ho fatto questa lunga e noiosa premessa per avere la consapevolezza del fatto che la strada è una strada tortuosa, ricca di osta- coli, ma la direzione deve essere questa.
Per venire al merito del rinnovo contrat- tuale dei metalmeccanici che io considero egregio su tutto, soprattutto dove innova, ma considero buono anche nelle parti in cui non innova, ma mantiene delle garanzie.
Innanzitutto il discorso della difesa dei 44 mesi come termine per la stabilizzazione dei lavoratori precari, a termine o sommini- strati in missione.
È importante il fatto che questo tetto abbia una possibilità di applicazione e che rappre- senta quindi una salvaguardia importante nel caso in cui il Decreto dignità venga modificato radicalmente.
In questo periodo emergenziale, parallela- mente con il blocco dei licenziamenti, è stato infatti anche previsto un congela- mento dell’obbligo di inserire la causale nel caso in cui si disponga una proroga o un
rinnovo del contratto a tempo determinato, pur però fissandosi dei paletti, e cioè che può essere richiesta una sola proroga, per un periodo non superiore ai 12 mesi e fatto salvo il limite complessivo dei 24 mesi.
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Per quanto attiene invece ai contratti a tempo determinato, la proroga della possi- bilità di rinnovare senza indicazione della causale, che fino adesso è andato in paral- lelo con il blocco dei licenziamenti, verrà probabilmente spostata a una data succes- siva rispetto alla fine del blocco dei licenziamenti, probabilmente il 31 dicembre
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non credo che, se il decreto dignità ha dei limiti, si possa pensare di buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca; per intenderci, io credo che il principio per cui il contratto a tempo determinato debba necessariamente essere legato a esigenze temporanee vada difeso con le unghie e con i denti
2021, consentendo una proroga ulteriore sia pure di durata non superiore ai 12 mesi e fermo il tetto dei 24.
Ebbene io sento, nell’aria, un tentativo fin troppo palese di arrivare a una restaura- zione del decreto Xxxxxxx, eliminando del tutto le causali.
Questo attacco diretto al sistema delle cau- sali non lo si può accettare proprio per le ragioni esposte nella mia introduzione, di cosa è stato cioè il decreto Poletti e cosa è stato poi il Decreto dignità.
Io non credo che, se il decreto dignità ha dei
limiti, si possa pensare di buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca; per inten- derci, io credo che il principio per cui il contratto a tempo determinato debba neces- sariamente essere legato a esigenze temporanee vada difeso con le unghie e con i denti, questa è la mia opinione e spero sia anche la vostra.
Altra cosa che ho apprezzato moltissimo nel vostro contratto, e poi ho finito, è la difesa del concetto di stagionalità, ma soprattutto del tetto di 6 mesi, perché ho visto dei con- tratti in altri settori che dilatano il concetto di stagionalità anche fino a 11 mesi.
Ora, pochi giorni fa, il 10 marzo 2021 l’Ispet- torato nazionale del lavoro ha emanato una ulteriore comunicazione in cui si dà un’in- terpretazione ampia delle facoltà che ha la contrattazione collettiva di introdurre nuove causali di stagionalità (voglio ricor- dare, anche se forse è superfluo, che il contratto a tempo determinato è in questo caso del tutto privo di causali perché la cau- sale stessa risiede nella stagionalità).
Il concetto di stagionalità è enucleato delle disposizioni di legge, ma la contrattazione col- lettiva può – oltre che incidere sullo stop and go – anche introdurre nuove causali di stagio- nalità a livello non solo di contrattazione nazionale, ma anche di contrattazione territo- riale ovvero aziendale (livello di contrattazione, quest'ultimo, nel quale la pres- sione delle aziende può essere molto forte).
Quindi aver tenuto almeno sul testo dei sei mesi è un risultato di straordinaria impor- tanza politica – a mio giudizio – per evitare il dilagare di contratti a termine finti spac- ciati per stagionali laddove la stagionalità è solo un pretesto.
Sul blocco dei licenziamenti io so solo quello che si legge sulla stampa e che sapete anche voi, si andrà a un superamento graduale; naturalmente è fondamentale la riforma degli ammortizzatori sociali con un occhio soprattutto ai settori non compresi, che non hanno diritto alla cassa integrazione ordina- ria e straordinaria, quelli cioè che erano coperti solo dalla vecchia cassa in deroga.
Bisognerà però – io credo – cominciare final- mente a ragionare in termini più concreti di riduzione d’orario, di riduzione della setti- mana lavorativa, di contratti di espansione. Va bene il Fondo nuove competenze, che tra l’altro mi dicono che ha anche un certo suc- cesso e suscita un buon interesse da parte delle imprese, ma non credo basti, è un bel mix di riduzione orario più formazione, ma è ovviamente uno strumento di applica- zione necessariamente limitato.
Credo, quindi, che la contrattazione, anche quella di secondo livello, avrà un ruolo importante nel raccogliere e affrontare le nuove sfide che ci attendono.
Salute e sicurezza
DAI PROTOCOLLI AL CONTRATTO
“in diversi punti
del Contratto viene proprio citato questo aspetto dell’esperienza maturata nel contrasto alla pandemia e vengono recepiti anche tutta una serie di strumenti che sono stati messi a punto e utilizzati nel corso dell’annus horribilis 2020
P
di XxxxxXXx Xxxxxxxx
oco più di un anno fa [il 12 marzo 2020] abbiamo vissuto la mobilitazione dei metalmecca- nici nella fase del primo lockdown, che è stato un confi-
namento domestico per molti e situazione di grande incertezza per tanti altri, costretti a recarsi in fabbrica, nei cantieri o altrove senza le adeguate protezioni. Grazie a quella mobilitazione dei metalmeccanici abbiamo conquistato strumenti e misure, ma soprat- tutto un modo di affrontare il problema dei contagi, poi recepito dal Protocollo condiviso nazionale, da cui sono nati i Comitati, sui quali la Fiom ha investito fortemente, essendo la nostra un’organizzazione che da sempre vive del rapporto diretto con i luoghi di lavoro e con i propri delegati.
La cosa importante è che tutto questo vis-
suto di esperienze, di strumenti pratici anche per poter agire, sia stato recepito nel Contratto collettivo nazionale. Penso che sia un’esperienza forse unica nei rinnovi dei contratti nazionali di lavoro. Lo è almeno per la determinazione con la quale è stata portata avanti.
In diversi punti del Contratto viene proprio citato questo aspetto dell’esperienza matu- rata nel contrasto alla pandemia e vengono recepiti anche tutta una serie di strumenti che sono stati messi a punto e utilizzati nel corso dell’annus horribilis 2020.
Si è subito capito che il tema fondamentale era quello del monitoraggio costante, dell’in- tervento rapido e soprattutto del favorire flussi informativi decisivi per poter impe- dire, o almeno arginare, l’ingresso del virus negli stabilimenti. Si è dato slancio a queste necessità ragionando proprio a livello pra-
tico sull’istituzione dei Comitati, recepen- dole poi anche nel Contratto nazionale, ampliando lo spettro delle agibilità sinda- cali, perché soltanto attraverso la piena e dispiegata agibilità sindacale si può operare come si è fatto in questi mesi. Diamo atto a Federmeccanica di aver voluto consolidare anche nella stipula del Ccnl questo rapporto avviato già da giugno, con la firma del pro- tocollo di categoria sulle linee guida sulle agibilità sindacali frutto del lavoro degli Osservatori.
La disciplina della salute e sicurezza dei lavoratori si è molto arricchita in questo rinnovo di contratto. Per la verità molte delle novità sono da ascrivere, almeno nominalmente, al rinnovo precedente. Que- ste, tuttavia, non hanno avuto, negli anni tra un rinnovo e l’altro, tutta la capacità di incidere nella vita quotidiana dei metalmec- canici, nella contrattazione aziendale.
Questi del 2016 e 2021 sono due contratti molto densi, molto particolari rispetto alla storia recente dei metalmeccanici. Sono innanzitutto due contratti unitari che chiu- dono una lunga fase di assestamento che ha prodotto una fortissima conflittualità e con- fusione normativa. Hanno poi introdotto grandi cambiamenti innovativi, nuovi diritti, e migliorato procedure nelle relazioni sindacali.
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Sicuramente «salute e sicurezza» è uno di quei capitoli del 2016, di portata innovativa, ma «rimasti sulla carta». Per porvi rimedio, a livello nazionale, si è operato negli anni scorsi, già dal 2018, per provare a mettere a regime alcune delle innovazioni più impor- tanti. L’articolato contrattuale recepisce queste linee guida e anche tutto ciò che si è
prodotto nel corso del 2020 in merito alle misure condivise, frutto dell'esperienza col- lettiva e di tutti i tentativi che sono ancora in atto per arrestare la pandemia o quanto- meno per contenerla, a partire dai luoghi di lavoro.
Se in una prima fase, quella nata con i pro- tocolli a marzo/aprile di un anno fa, siamo riusciti a contenere i contagi e soprattutto a evitare che i luoghi lavoro diventassero dei focolai, da qualche settimana la situa- zione desta qualche serio motivo di preoccupazione. Quindi il fatto di prevedere nel contratto che i Comitati, e anche le ses- sioni Covid-19 dell’Osservatorio nazionale, continueranno a operare, in stretto contatto con gli Osservatori territoriali, per «mettere a terra» le migliori esperienze e le pratiche più efficaci sperimentate in questi mesi, danno il senso di quello che si è provato a fare nella vertenza contrattuale.
I Comitati devono continuare per una sem-
plice ragione: il virus si modifica e sta cambiando la situazione. Come dicevamo siamo in una fase che non sappiamo più neanche come identificare, sicuramente non è più quella che avevamo alle spalle fino all’anno scorso. Riscontriamo situazioni – causa le varianti del virus – di focolaio anche nei luoghi di lavoro. Bisognerà intervenire cercando di generalizzare rapidamente le migliori prassi e introdurne di nuove.
Il contact tracing infatti è stato oggetto di contrattazione molto avanzata in alcune realtà. L’Osservatorio della Fiom sulla con- trattazione nelle realtà di rilevanza nazionale ha censito diverse esperienze inte- ressanti. Sicuramente, tra le più avanzate, quella nel gruppo Cnh, oppure in Fca, in
Electrolux o in anche in Alstom, per citarne alcune, altre se ne stanno negoziando.
Alcuni gruppi hanno ragionato anche in termini di rafforzamento delle agibilità sin- dacali, negoziando un monte ore aggiuntivo agli Rls (ad esempio in CnhI) o a chi è chia- mato a lavorare nei Comitati, oppure alle
“è importante che
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l’esperienza dei Comitati abbia trovato nuova linfa e ulteriore fonte di legittimazione nel contratto nazionale
assemblee dei lavoratori (ad esempio Sirti). Alcuni protocolli aziendali hanno previsto opportunamente di dotare i lavoratori di dpi adeguati, perché – come sappiamo – le
cosiddette mascherine chirurgiche non sono un dpi, e nella fase che stiamo attra- versando mostrano anche delle criticità nel contenere la trasmissione del virus.
Siamo in una situazione molto delicata che evolve giorno dopo giorno. Guardiamo anche quello che accade fuori dai nostri confini nazionali, per esempio in Francia da qualche settimana hanno aumentato a 2 metri la distanza di sicurezza, la stessa cosa è avvenuta già da tempo nel Regno Unito. Chiaramente bisognerà – anche con l’evol- vere della situazione – adeguare i nostri strumenti, lavorando nei Comitati che stanno già operando e insistere per estenderli anche dove non sono stati ancora istituiti.
Mi hanno molto colpito – leggendo la rasse- gna stampa di oggi [12 marzo 2021] – le dichiarazioni rilasciate dai segretari gene- rali di Fim-Fiom-Uilm della provincia di Pesaro e Urbino i quali hanno denunciato una situazione preoccupante nelle xxxxxx- che del territorio. Spesso si tratta di aziende non pienamente organizzate e strutturate, ma dove si riscontra un aumento dei volumi produttivi, un aumento dei carichi di lavoro ed un «rilassamento» delle misure di prevenzione.
Per questo è importante che l’esperienza dei Comitati abbia trovato nuova linfa e ulte- riore fonte di legittimazione nel contratto nazionale. Forti di ciò già nei prossimi giorni bisognerà assolutamente intervenire per estenderne la portata.
Ritengo molto significativo che all’art.1 del Titolo V, sezione IV, del Contratto, quella relativa all’ambiente di lavoro, salute e sicu- rezza, sia stato inserito un nuovo comma, alla lettera A, che riassume ed esemplifica
quello che stiamo dicendo.
Addirittura l’esperienza dei Comitati e della contrattazione fatta nei mesi scorsi diventa un modello per la prevenzione anche rispetto alle altre problematiche, oltre a confermarne, ovviamente, la cogenza. Lo cito perché, secondo me, riflette bene il senso dell’innovazione contrattuale che è stata apportata:
Prendendo spunto dall’esperienza dei Comi- tati per l’applicazione delle misure di prevenzione anti Covid-19 di cui all’art. 13 Accordo 24/4/2020, nella logica di favorire proposta e condivisione di obiettivi ed interventi, i soggetti responsabili della materia (DdL, Dirigenti e Preposti, MC, RSPP, RLS) individueranno gli strumenti più ido- nei e le modalità maggiormente efficaci, tenendo conto delle specificità dei rispettivi luoghi di lavoro, per perseguire anche in collaborazione con la Rsu il massimo coin- volgimento possibile dei lavoratori nella gestione della sicurezza in azienda.
Mi sembra un grande passo avanti perché innanzitutto viene riconosciuto a tutta la Rsu (quindi riconoscendo il massimo coin- volgimento di tutti lavoratori) un ruolo efficace nella prevenzione dei rischi. Si offre la possibilità di aprire le relazioni sindacali a un nuovo modo di affrontare questi temi. Xxxxxxx rilevante che questo contratto, che ha riscritto completamente la prima parte, ridefinendo il ruolo della Commissione nazionale e dell’Osservatorio, attui, da un lato, un forte investimento includendo i
«temi Covid», dall’altro – lo dico con un ter- mine molto abusato – creando una sorta di
«cabina di regia» nazionale che, lavorando a stretto contatto con i territori e con le
aziende, favorisca la diffusione delle migliori pratiche e delle esperienze più significative in materia di prevenzione. Si prova a dare strumenti proprio nel singolo
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è significativo che il contratto recepisca anche le linee guida che sono state condivise dalla Commissione nel 2018 sui Break formativi, sulla formazione congiunta Rls-Rspp e sulle linee guida per l’elaborazione dei Dvr
luogo di lavoro per favorire un nuovo approccio, investendo molto proprio sulla partecipazione.
È significativo che il contratto recepisca anche le linee guida che sono state condi- vise dalla Commissione nel 2018 sui Break formativi, sulla formazione congiunta Rls-
Rspp e sulle linee guida per l’elaborazione dei Dvr. Erano temi a vario titolo già evocati nel contratto del 2016, ma che non avevano avuto una diffusione significativa nei luo- ghi di lavoro. Si è quindi deciso di partire da alcune esperienze rilevanti, fatte soprat- tutto al Nuovo Pignone, che si è dimostrato essere da questo punto di vista un luogo privilegiato di sperimentazione, per definire in modo condiviso modelli replicabili.
Evidenzierei che i Break formativi possono venire incontro anche a una nostra esigenza, che è quella di mettere a frutto ogni occa- sione di massimo coinvolgimento diretto dei lavoratori. Dico ciò anche in riferimento alla prevenzione del rischio biologico e alle misure di contenimento dei contagi.
Bisognerà ricercare le modalità di rendere disponibili a Rls e Rsu (nonché alle altre figure responsabili della prevenzione) stru- menti per poter agire velocemente. La Commissione nazionale si propone proprio di fornire strumenti operativi ai territori e alle aziende.
Il Break formativo contiene una serie di caratteristiche, per noi particolarmente congeniali:
a) incontri diretti con piccoli gruppi omoge- nei di lavoratori;
b) la sburocratizzazione dei processi di apprendimento e di individuazione e solu- zione dei problemi, con la verifica immediata dell’apprendimento delle misure antinfortunistiche, delle situazioni di peri- colo e dei comportamenti scorretti;
c) le analisi collettive dei rischi interferen- ziali (Duvri e Psc);
d) il massimo coinvolgimento di tutti i lavo- ratori (partecipazione attiva e discussione
tra i lavoratori).
Tutto ciò ci offre nuovi margini di manovra per riprendere un dialogo sui problemi che riguardano l’organizzazione del lavoro e come modificarla. Sappiamo quanto terreno abbiamo perso, negli ultimi trent’anni, su que- sto punto qualificante dell’azione sindacale. Apprendiamo continuamente, rivisitando la nostra storia contrattuale, che l’organizza- zione del lavoro è decisiva nelle questioni della sicurezza, della prevenzione, della tutela della salute.
La contrattazione ha infatti il compito, non semplice, di ricucire la faglia che si deter- mina dalla coesistenza nei luoghi di lavoro di due logiche confliggenti di migliora- mento continuo: quella propria della cultura prevenzionistica sulla salute e sicu- rezza (quella ambientale è ancora da conquistare) e quella connaturata alle cul- ture e ai modelli manageriali oggi dominanti, riconducibili al just in time, alla lean production, al wcm, ecc.
Sappiamo purtroppo che il Testo unico, che è una legge importantissima, viene spesso vissuto come qualche cosa di burocratico, come una serie di prescrizioni a cui atte- nersi, senza interpretarlo come uno strumento dinamico in grado di proteggere chi lavora e l’ambiente, ma considerato avulso dal vivo dei flussi organizzativi delle aziende. L’ambiente di lavoro, su cui vogliamo agire con la contrattazione e con la corretta applicazione del Testo unico, è un sistema fisico-relazionale definito sia dall’organigramma aziendale, sia dall’orga-
nizzazione del lavoro. Migliorare l’ambiente di lavoro significa quindi migliorarne l’or- ganizzazione. Uno dei passaggi chiave della prevenzione in materia di Salute-Ambiente- Sicurezza è progettare adeguatamente i
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molto significativo è il fatto che il Contratto abbia inserito la possibilità di discutere negli incontri tra la Rls e la Rspp anche di questioni ambientali alla presenza dei referenti aziendali che si occupano di questi temi
processi produttivi, e in questa nuova situa- zione si possono aprire spazi per contrattarne la coprogettazione.
Per queste ragioni i Break formativi sono
uno degli strumenti da privilegiare e presi- diare perché sono fondati sulla partecipazione attiva del gruppo omogeneo. In questo senso la presenza di Rls e Rsu, e la loro interazione con il gruppo omogeneo, è un passo avanti. Su questa materia è neces- sario, anche attraverso una formazione mirata ai nostri delegati, giocare di anticipo prendendo noi l’iniziativa e non subendola. Questa nuova modalità formativa, quindi, se opportunamente agita da parte nostra, se istruita nel modo opportuno, richiede una programmazione strategica e formazione dei quadri adeguata. Solo così potrà fornirci quelle indicazioni decisive su come rigua- dagnare terreno anche nella contrattazione dell’organizzazione del lavoro.
Molto significativo – e concludo – è il fatto che il Contratto abbia inserito, sempre nella parte che riguarda l’ambiente di lavoro, la possibilità – questa è stata una richiesta che abbiamo sostenuto con forza – di discutere negli incontri tra la Rls e la Rspp anche di questioni ambientali alla presenza dei refe- renti aziendali che si occupano di questi temi. Ciò significa poter entrare nel merito di emissioni, di trattamento dei rifiuti, di impatto energetico, di problematiche ambientali più in generale. Questo sicura- mente è un ulteriore passo in avanti che si impone come una necessità, oggi condivisa dalla società civile e anche dal dibattito politico a livello internazionale, sulla quale la Fiom si è spesa, non da oggi, e si impegna per valorizzarla nella contrattazione nazio- nale e aziendale.
Il quadro giuridico
NORME IN SALUTE
A
di Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxx
distanza di un anno dall’inizio della pandemia, possiamo dire che, mai come in questo periodo, il tema della salute e della sicurezza nell’ambiente
di lavoro si colloca in una dimensione col- lettiva che va anche al di fuori dei cancelli della fabbrica, divenendo una delle condi- zioni necessarie (anche se non sufficiente) a contenere l’epidemia.
Come rilevato da più parti, il dato interes- sante della fase è sul piano delle fonti che regolano il sistema in materia di sicurezza e igiene: alla normativa preesistente, si sono sovrapposti una sterminata sequenza di atti normativi governativi, ma anche gli atti del- l’autonomia collettiva e mi riferisco in particolar modo, ovviamente, al Protocollo condiviso del 24 aprile 2020 ed ai singoli Pro- tocolli che sono stati sottoscritti nelle aziende. A riguardo, solo una considerazione che già era emersa nel corso dei seminari che ave- vamo fatto tra la fine di maggio e luglio [ Avv.
Xxxxx Xxxx in iMec 9/2020 Salute e sicurezza, Sos Tutele] dell’anno scorso proprio sul tema sicurezza: i Protocolli si inseriscono e riman- gono inseriti nel quadro normativo in materia di salute e sicurezza - e dunque, anzitutto, l’art. 2087 c.c. e la normativa di derivazione comunitaria contenuta nel d.lgs. 81/2008 - e, in qualche modo, specifi- xxxx, senza necessariamente esaurirne il contenuto, le norme generali, in relazione alle particolari organizzazioni produttive.
In questo quadro, a mio avviso, va letta la disposizione dell’art. 29-bis, inserito con la legge di conversione 40/2020 del 5 giugno 2020 nel D.L. n. 23/2020 (c.d. Decreto Liqui- dità), laddove prevede che “Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da Covid-19
1. Ai fini della tutela contro il rischio di con- tagio da Covid-19, i datori di lavoro pubblici
e privati adempiono all'obbligo di cui all'ar- ticolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamenta- zione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l'ado- zione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresen- tative sul piano nazionale.
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Tenendo a mente che comunque il quadro
normativo rimane quello generale, la norma va intesa nel senso che il rispetto dell’ob- bligo di sicurezza da parte del datore di lavoro è dato dal rispetto dei protocolli, del- l’art. 2087 c.c. e delle norme speciali del T.U., rammentando che l’art. 2087 c.c., per come è stato interpretato da uniforme giurispru- denza sia civile che penale, è una norma di chiusura dinamica dell’intero sistema della prevenzione che impone la massima sicu- rezza tecnologicamente possibile e un costante aggiornamento ai progressi e ai mutamenti (e, dunque, da questo punto di vista va valutata anche la necessità di aggiornare i Protocolli esistenti).
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In altri termini, l’art. 29 bis individua una condizione, ovvero il rispetto dei Protocolli, il cui inadempimento può avere gravi con- seguenze – essendo stata confermata la sanzione della sospensione dell’attività pro-
duttiva [La sanzione è prevista dal d.l. 33 del maggio 2020, la cui efficacia è stata prorogata fino al 30 aprile dal d.l. 2/2021 e ribadita anche dall’art. 4 del
DPCM 2 marzo 2021.] – necessaria, insieme ad altre, per ritenere assolto l’obbligo di sicurezza. La norma presenterebbe invece profili di incostituzionalità, come rilevato da molti, per violazione degli artt. 32 e 41, 2 comma Cost., laddove intesa nel senso di cristal- lizzare gli obblighi datoriali in materia di sicurezza all’osservanza di Protocolli, eventualmente superati dal progresso tec- nico scientifico.
Mi pare possa dirsi risolta, almeno in parte, la questione della necessità di aggiornare il Dvr (o anche il Duvri) di cui agli artt. 28 e 29 d.lgs. 81/2008 al rischio biologico Covid-19. Si era molto discusso, soprattutto all’inizio della pandemia, se il datore di lavoro fosse obbligato ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi in ogni caso, oppure solo in presenza di un rischio specifico (ad esempio i laboratori di analisi, le attività sanitarie, ecc.).
L’Inail è intervenuto con il documento tec- nico del 23.4.2020 sostanzialmente a sostegno dell’obbligo di aggiornamento della valutazione dei rischi, aggiornamento da valutare in concreto, prendendo in con- siderazione (a) le caratteristiche della prestazione lavorativa e (b) il contesto orga- nizzativo del datore di lavoro, andando dunque a verificare se il rischio da generico possa divenire specifico o, come sostenuto da molti, rischio generico aggravato.
I LAVORATORI FRAGILI
Considerato il tempo trascorso dall’esposi- zione di questa relazione, per quanto riguarda i lavoratori fragili, occorre dare conto delle recenti modifiche legislative che, in parte, hanno risolto alcune questioni.
Con il decreto c.d. Sostegni (d.l. 41/2021) sono state prorogate e, in parte, modificate le previsioni dell’art. 26 [L’efficacia di tale dispo- sizione era stata prorogata, da ultimo, dalla legge 178
del 30/12/2020, Art. 1 – Comma 481 dal 1° gennaio 2021 al 28 febbraio 2021] del c.d. decreto Cura Italia (18/2020) in materia di lavoratori fra- gili – ovvero i dipendenti in possesso di certificazione attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo
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Inail è intervenuto con il documento tecnico del 23.4.2020 sostanzialmente a sostegno dell’obbligo di aggiornamento della valutazione dei rischi
svolgimento di relative xxxxxxx xxxxxxxxx, ivi inclusi i lavoratori in possesso del ricono- scimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Oggi e fino al 30 giugno 2021 (con efficacia retroattiva per le assenze dal 1° marzo 2021 alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero 23 marzo 2021), è previsto che:
• se la prestazione lavorativa non può essere resa in modalità agile, il periodo di assenza dal servizio è equiparato al ricovero ospeda-
liero ed è prescritto dalle competenti auto- xxxx sanitarie, nonché dal medico che ha in carico il paziente;
• l’assenza dal servizio non è computabile ai fini del periodo di comporto e, per i lavora- tori in possesso del riconoscimento di disabilità, non rileva ai fini dell’erogazione indennità di accompagnamento;
• i lavoratori fragili di norma rendono la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima cate- goria o area di inquadramento o lo svolgimento di specifiche attività di forma- zione professionale, anche da remoto. Rimane comunque in vigore l’art. 39 del Cura Italia che prevede il diritto allo svolgi- mento della prestazione lavorativa con modalità agile in capo ai lavoratori fragili e a coloro che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità in con- dizioni di gravità ai sensi della legge 104/92, se tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. Parimenti è stata prorogata, fino al 30 aprile 2021, la sorveglianza sanitaria eccezionale di cui all’art. 83 del d.l. 34/2020 (decreto rilancio prorogato dal c.d. milleproroghe d.l. 183/2020), con un ampliamento delle previ- sioni in materia di sorveglianza sanitaria già previste dall’art. 41 del T.U.
I VACCINI
Senza avere alcuna pretesa di esaurire l’ar- gomento o anche solo di risolverlo, vi do conto, sommariamente, delle posizioni del dibattito – soprattutto di parte datoriale, ma non solo – che si è incentrato soprattutto sul rispetto degli obblighi del rapporto di lavoro, dibattito nel quale nuovamente la questione della salute collettiva riverbera su quella sicurezza sul lavoro, oltre che
sulla libertà di cura individuale e della riserva di legge prevista dall’art. 32 Cost. in materia di trattamenti sanitari obbligatori. Alcuni commentatori sostengono che, in assenza di una legge specifica dello Stato che renda obbligatori i vaccini, il lavoratore possa legittimamente rifiutare la vaccina- zione. Altri ritengono, invece, che il datore di lavoro debba prescrivere i vaccini – nel- l’ambito della sorveglianza sanitaria attraverso il medico competente – in adem- pimento dell’obbligo di organizzare la sicurezza sulla base dell’art. 2087 c.c. che ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla realtà socio-economica, oltre che del T.U. e, in particolare, nelle norme in materia di agenti biologici (art. 266).
Agli obblighi del datore corrisponderebbero, in questa ricostruzione, quelli del lavoratore di cui all’art. 20 del d.lgs. 81/2008 di prendersi cura della propria salute e di quelli dei colleghi. Il tema sono le conseguenze dell’eventuale rifiuto del lavoratore di sottoporsi al vaccino. Su questo le posizioni sono le più varie: dal licenziamento addirittura per giusta causa (o per inidoneità alla mansione), alla sospen- sione con o senza retribuzione, alla collocazione in mansioni diverse e compatibili con il rifiuto del vaccino, allo smart-working. Dalla prima esposizione di questa relazione sulla questione dei vaccini ci sono stati due interventi rilevanti: uno legislativo ed uno pattizio.
Quanto al primo, con l’art. 4 del d.l. 44/2021 è stato introdotto l’obbligo di vaccino anti- Covid per gli «esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafar- macie e negli studi professionali».
L’intervento legislativo prevede che il vac- cino costituisce «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgi-
mento delle professioni sanitarie», con esen- zione dall’obbligo di sottoporsi al vaccino in caso di «accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medi-
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i datori di lavoro possono manifestare la propria disponibilita ad attuare piani aziendali per la predisposizione di punti straordinari di vaccinazione anti- Covid nei luoghi di lavoro, destinati alla somministrazione del vaccino ai lavoratori che ne abbiano fatto volontariamente richiesta
cina generale». In tale ipotesi, è previsto che il datore di lavoro adibisca il lavoratore a mansioni anche differenti con diritto del dipendente alla retribuzione, fatta salva la possibilità di ricorrere al lavoro agile e l’equiparazione dell’eventuale assenza al
ricovero ospedaliero come previsto dalla disciplina per i lavoratori fragili.
Se invece il lavoratore decide di non sotto- porsi alla vaccinazione, in assenza dell’esenzione per motivi di salute, la norma prevede – dopo aver valutato la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse – la sospensione dal servizio senza retribu- zione, sino al completamento del piano vaccinale nazionale e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021.
Quanto, invece, agli interventi di natura pat- tizia, il 6 aprile 2021, il Ministero del lavoro, il Ministero della Salute, il Ministero dello svi- luppo economico, Inail e parti sociali hanno sottoscritto il «Protocollo nazionale per la rea- lizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vacci- nazione anti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro». I datori di lavoro possono manife- stare la propria disponibilità ad attuare piani aziendali per la predisposizione di punti stra- ordinari di vaccinazione anti-Covid nei luoghi di lavoro, destinati alla somministrazione del vaccino ai lavoratori che ne abbiano fatto volontariamente richiesta. I piani aziendali – i cui costi di realizzazione e gestione, fatta salva la fornitura dei vaccini, sono a carico delle imprese – sono poi proposti, dopo il con- fronto con i comitati Covid, alla Asl competente.
Vengono precisate le informazioni da for-
nire ai lavoratori, il ruolo del medico competente e degli altri soggetti coinvolti (Asl, operatori sanitari, altre strutture sani- tarie private, Inail), le procedure per raccogliere le adesioni dei lavoratori inte- ressati (nel rispetto della scelta volontaria, nonché delle disposizioni in materia di riservatezza dei dati) e viene previsto che il tempo della vaccinazione se eseguita in ora- rio di lavoro, sia equiparato a tutti gli effetti a tempo di lavoro.
Dentro il contratto
TUTELE PER TUTTI
C
di Avv. XxxXxx Xxxxxx
i troviamo in un momento in cui il mercato del lavoro attra- versa una crisi profonda e le aziende puntano sempre di più a esternalizzare – più o
meno legittimamente – le proprie attività con tutti gli strumenti a loro disposizione (dal trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, allo staff leasing, agli appalti e subappalti), fenomeni che, come sappiamo, producono anche frammentazione del mondo del lavoro.
Una delle questioni importanti che il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici si è trovato ad affrontare è stato proprio il contrasto a questa tendenza, e per quanto riguarda la materia degli appalti lo ha fatto giungendo a un risultato per noi di grande rilievo.
Infatti, si è riusciti a mantenere l’art.9 sez. IV titolo I «Appalti», che le controparti dato- riali insistevano per eliminare, ed è stata introdotta la clausola sociale negli appalti pubblici di servizi.
Parlerò per prima cosa dell’art.9 perché la sua permanenza rischia di passare inosser- vata, di essere sottovalutata, mentre a mio parere è di grande importanza.
Per comprenderlo, dobbiamo tenere conto del fatto che, nonostante l’abrogazione – avvenuta, come sapete, nel 2003 ad opera della legge Biagi – della L.1369/1960, nel nostro ordinamento sopravvivono ancora pacificamente i divieti di interposizione e di appalto di mera manodopera.
Vige ancora, cioè, il principio per il quale – al di fuori delle ipotesi nelle quali la legge, a determinate condizioni, lo consente (sommi- nistrazione autorizzata di manodopera) – non è ammessa la scissione tra titolarità del
rapporto lavorativo e utilizzo del lavoro altrui, in virtù del principio fondamentale del diritto del lavoro, secondo il quale chi beneficia della prestazione lavorativa deve assumersene la responsabilità e dunque deve assumere la qualità di datore di lavoro con tutto quel che ne consegue.
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chi beneficia della prestazione lavorativa deve assumersene la responsabilità e dunque deve assumere la qualità di datore di lavoro con tutto quel che ne
consegue
È proprio sotto questo profilo che l’art.9 del contratto rimane di grande attualità.
Ricorderete che dispone espressamente che:
«sono esclusi dagli appalti i lavori svolti in azienda direttamente pertinenti le attività di trasformazione proprie dell’azienda, non- ché quelle di manutenzione ordinaria continuativa ad eccezione di quelle che necessariamente devono essere svolte al di fuori dei normali turni di lavoro ...
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I contratti di appalto continuativi svolti in azienda ... saranno limitati ai casi imposti da esigenze tecniche, organizzative, gestionali ed economiche che, su richiesta della Rsu potranno formare oggetto di verifica con la Direzione. Restano comunque salvi gli appalti aventi carattere di continuità, ma che siano relativi ad attività diverse da quelle proprie dell’azienda appaltante ...» Sono quindi così fissati precisi limiti al ricorso a contratti di appalto di «lavori svolti in azienda», cioè delle attività inerenti il ciclo produttivo dell’impresa appaltante: l’espressione «svolti in azienda» infatti è intesa non in senso topografico, ma econo- mico-funzionale, come la giurisprudenza aveva interpretato l’analoga espressione
«nell’interno delle aziende» contenuta nel- l’art. 3 della L.1369/60.
La norma pone due divieti.
Il primo divieto, di carattere assoluto, esclude la possibilità di affidare ad appalta-
tori le attività di trasformazione proprie dell’azienda stessa, nonché quelle di manu- tenzione ordinaria continuativa.
Oggetto di un divieto più «morbido», ma egual- mente cogente, sono invece gli appalti continuativi che – ove riguardino attività proprie dell’impresa appaltante, devono essere limitati ai casi imposti da esigenze tec- niche, organizzative, gestionali ed economiche.
È dunque, in sostanza, precluso il ricorso agli appalti riguardanti attività che, rien- trando nel normale ciclo produttivo aziendale, sono di pertinenza dei dipendenti della stessa.
È una norma che fu introdotta dal Ccnl del 1973, poi integrata nel 1976 e da allora rimasta sostanzialmente immutata, e svolge oggi una doppia funzione: da un lato, di salvaguardare i livelli occupazionali del- l’impresa committente a favore dei suoi dipendenti, dall’altro, di porre un argine ai fenomeni di decentramento produttivo costituendo in capo all’impresa un vero e proprio obbligo di astenersi dall’affidare ad altri imprenditori segmenti delle proprie attività produttive.
L’art.9, nonostante sia ormai vicino ai cin- quant’anni conserva intatta la sua – possiamo dire – attualità e rimane una norma moderna: ci dice che se lavori per realizzare l’oggetto sociale dell’impresa, se lavori per il fine a cui l’organizzazione pro- duttiva è preordinata, allora devi fare parte di quella organizzazione produttiva.
E tanto è moderna che già nel 1973 dispo- neva che «Le aziende appaltanti devono esigere dalle aziende appaltatrici il rispetto
delle norme contrattuali del settore merceo- logico a cui appartengono le aziende appaltatrici stesse e quello di tutte le norme previdenziali ed infortunistiche».
Averlo mantenuto quindi è importante, si è evitato quello che sarebbe stato l’effetto
“L’art.9, nonostante sia ormai vicino ai cinquant’anni
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conserva intatta la sua attualità e rimane una norma moderna
della sua abrogazione, una sorta di liberaliz- zazione delle esternalizzazioni.
Ma è importante anche servirsene, è impor- tante che le Rsu e le organizzazioni sindacali si impegnino per garantirne in concreto il rispetto nei luoghi di lavoro, anche esercitando i diritti di informazione di cui si è parlato negli interventi di ieri pomeriggio e di cui parlerà Xxxxxxx Xxxxxxx. L’altro importante risultato conseguito con il rinnovo contrattuale è, come dicevo prima, l’avvenuta introduzione della cosid-
detta clausola sociale, nell’art.10 Sez.IV Tit. I del Ccnl.
Tutti voi sapete cosa sono le clausole sociali: sono norme che pongono un vincolo alla libertà di iniziativa economica privata, e pos- sono avere contenuti ed efficacia differenti. Quella di cui ci occupiamo è una «classica» clausola di assorbimento di manodopera, è una pattuizione che mira a garantire la con- tinuità occupazionale, nella specie a favore dei lavoratori degli appalti, prevedendo in capo all’impresa subentrante l’obbligo di assumere i lavoratori già addetti all’appalto alle dipendenze dell’impresa cessante.
Clausole analoghe erano già contenute in contratti collettivi, come ad esempio quelli delle pulizie o della vigilanza privata, appli- cati in settori nei quali le attività di impresa sono naturalmente sempre svolte in appalto. Per il contratto dei meccanici si tratta di una assoluta novità, potremmo dire di una novità epocale.
La nuova norma contrattuale si pone in coerenza con una normativa di ordine pub- blico, ossia con le previsioni contenute nel Codice degli appalti pubblici, ma è sicura- mente un trattamento di miglior favore rispetto a quello previsto dalla legge poiché riconosce ai lavoratori già addetti all’ap- palto un vero e proprio diritto all’assunzione, «esigibile» anche dai lavora- tori stessi che possono richiedere anche giudizialmente l’assunzione all’impresa subentrante nell’appalto che si rifiuti di assumerli alle proprie dipendenze, in viola- zione della norma di legge e soprattutto di quella di contratto.
Il codice degli appalti pubblici all’art 50 – è
la disposizione che trovate richiamata nel art.10 del ccnl – dispone che «per gli affida- menti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera», cioè ai contratti nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% del corrispettivo (e per i quali è in ragione di ciò esclusa la facoltà di adottare il criterio del prezzo più basso e del xxxxxxx xxxxxxx), «i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei prin- cipi dell’Unione Europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occu- pazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione, da parte dell’ag- giudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del decreto legisla- tivo» n.81 del 2015.
Cioè, dei contratti collettivi cioè «nazionali, territoriali ed aziendali stipulati da associa- zioni nazionali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i con- tratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze aziendali ovvero dalla rap- presentanza sindacale unitaria». Vi segnalo, per inciso, che la norma equipara, con non pochi problemi, la contrattazione nazionale, territoriale e aziendale.
Rispetto agli appalti pubblici e alle clausole sociali contenute nei bandi di gara dob- biamo fare i conti con una giurisprudenza amministrativa e anche comunitaria pro- blematica per i diritti dei lavoratori. Ci troviamo cioè di fronte a pronunce che ritengono illegittime e in violazione della libertà di concorrenza tra le imprese nonché
della liberà di associazione sindacale (intesa anche come libertà in negativo di non asso- ciarsi), clausole sociali che impongono
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Rispetto agli appalti pubblici e alle clausole sociali contenute nei bandi di gara dobbiamo fare i conti con una giurisprudenza amministrativa e anche comunitaria problematica per i diritti dei lavoratori
l’obbligo per l’impresa aggiudicatrice di assumere tutto il personale e/o l’applica- zione di un determinato Ccnl.
Il nuovo testo dell’art.10 del nostro con- tratto ha lo stesso ambito di applicazione dell’art 50 di cui abbiamo appena parlato – cioè i contratti ad alta intensità di manodo- pera – e si riferisce ai contratti di
affidamento da parte di soggetti pubblici di attività di installazione di impianti tecnolo- gici, di servizi di efficienza energetica e di facility management.
Si tratta di attività di grandissimo rilievo, non solo per il numero degli addetti ma anche da un punto di vista sociale, tenuto conto che vi rientrano tutte le attività di conduzione, gestione e manutenzione dei cosiddetti impianti tecnologici degli immo- bili in uso alla Pubblica amministrazione. Parliamo, dunque, anche – tra l’altro – di tutti quei lavoratori che in questo ultimo anno, nonostante il rischio Xxxxx, hanno continuato sempre a lavorare dentro le strutture ospedaliere.
La norma contrattuale impone lo svolgi- mento di una procedura, precisata sia nella sua scansione temporale che nei contenuti. Vi preciso che per la violazione della proce- dura del cambio appalto ove prevista dal Ccnl è ammessa pacificamente la possibilità di agire per condotta antisindacale con l’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.
Nell’art.10 è sancito l’obbligo per l’impresa cessante di inviare, almeno 30 giorni prima della scadenza dell’appalto «fatti salvi casi imprevedibili», una comunicazione nella quale dovranno essere indicati l’elenco dei lavoratori impiegati nell’appalto, il loro ora- rio di lavoro, l’inquadramento e le mansioni. A seguito di tale comunicazione, ciascuno dei destinatari ha facoltà di richiedere l’esame congiunto, che avrà ad oggetto:
• la comparazione delle attività svolte dalla cessante con quelle affidate alla subentrante; l’illustrazione da parte della subentrante delle proprie necessità occupazionali in
riferimento alle condizioni contrattuali dell’appalto e alla sua propria organizza- zione produttiva.
Di qui, potranno verificarsi due casi: a parità di termini, modalità e prestazioni previsti dal contratto di appalto, la suben- trante sarà tenuta ad assumere tutto il personale già addetto; se invece termini, modalità e prestazioni previsti dal contratto di appalto siano differenti rispetto a quello precedente, le parti dovranno «armonizzare» le mutate esigenze dell’appalto con il man- tenimento dei livelli occupazionali (ricorrendo, dice la norma, agli strumenti
«messi a disposizione» da norma di legge o di contratto).
La garanzia occupazionale ha riguardo ai lavoratori addetti «in via continuativa ed esclusiva» all’appalto da almeno sei mesi, o che negli ultimi sei mesi vi siano stati inseriti in sostituzione di dipendenti cessati dal servizio. Infine, viene escluso l’obbligo per l’azienda stipulante di pagare l’indennità sostitutiva del preavviso ai lavoratori assunti dalla subentrante. Si tratta certamente di una norma di grande impatto, che risolverà molti problemi, ma non tutti.
In primo luogo, si pone la questione della sua efficacia soggettiva limitata, come in tutti i contratti collettivi. Questo significa che non ci sono questioni sulla sua applica- bilità ed efficacia nel caso in cui sia l’impresa cessante che quella subentrante applichino, entrambe, il Ccnl, visto che in tal caso entrambe le imprese sono vincolate a osservare la clausola.
Nei casi invece in cui applichino contratti collettivi diversi ma diverse clausole sociali,
rimane il problema di verificare quale clau- sola andrà applicata; e ancora, come ci si regolerà nel caso in cui una delle aziende
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Nei casi invece in cui applichino contratti collettivi diversi ma diverse clausole sociali, rimane il problema di verificare quale clausola andrà applicata; e ancora, come ci si regolerà nel caso in cui una delle aziende applichi un contratto collettivo che non prevede la clausola sociale
applichi un contratto collettivo che non prevede la clausola sociale.
In secondo luogo, dato che evidentemente il
rapporto con il subentrante si crea ex novo, si pone la questione delle condizioni econo- miche e normative delle assunzioni, la cui determinazione resta affidata agli accordi raggiunti in sede di procedura.
Questo è, ovviamente, un problema e lo è tanto più quando il subentrante applica un contratto diverso dal nostro, e trattamenti quindi di minor favore.
Quanto agli appalti privati, il tema della continuità occupazionale resta integral- mente rimessa alla contrattazione collettiva, nel vostro caso a quella aziendale o territoriale.
Da ultimo, sia negli appalti pubblici che in quelli privati rimane il grande problema della disparità di trattamento tra i dipendenti dell’appaltatore e quelli del committente.
L’evoluzione legislativa degli ultimi ven- t’anni ha eliminato l’istanza egualitaria per cui a uguale lavoro devono corrispondere uguali diritti: in precedenza, e fin dal 1960, almeno per gli appalti endo-aziendali ope- rava la garanzia della parità di trattamento economico e normativo con i dipendenti del committente (prevista dalla L.1369/60, abro- gata dalla legge Biagi).
Così, a fronte del ricorso sempre più massic- cio a catene di appalti e subappalti, avviene sempre più spesso che lavoratori che ope- rano fianco a fianco, svolgendo le medesime attività e condividendo lo stesso rischio, abbiano non solo datori di lavoro diversi, ma anche condizioni retributive e norma- tive molto differenti.
Ed è almeno a queste disparità di tratta- mento che la contrattazione collettiva può, e deve, cercare di porre rimedio.
Appalti
IL LIMBO DEI DIRITTI
I
di Xxxxxxx XxxxXxx
l lavoro che voglio provare a fare oggi è offrire una prima fotografia non solo della norma contrattuale, ma della norma contrattuale inne- stata nelle norme più complessive,
che producono in sé un quadro che è conti- nuamente derogabile, in continuo movimento, sotto continuo attacco politico soprattutto dalla Destra, dalla Lega, quindi la necessità presidiare contemporanea- mente due campi nei prossimi mesi.
E lo dico perché, l’art.9 e la richiesta della clausola sociale è vertenza aperta, era richiesta sul tavolo del contratto nazionale di lavoro da diversi anni.
Cosa è successo a questo giro? Abbiamo innestato e, quando dico «abbiamo», intendo proprio la Fiom, un percorso molto preciso: da un lato abbiamo rafforzato la rappresen- tanza e anche il nostro ruolo di egemonia nei grandi Gruppi delle telecomunicazioni, e questo ha pesato; dall’altro abbiamo impo- stato e agito un lavoro importante sugli appalti pubblici, penso in particolare al Lazio e a parti del Sud, dove ci sono grandi strutture, grandi agglomerati e dove siamo riusciti a entrare e agire la rappresentanza. Un lavoro che andrà esteso utilizzando la nuova norma contrattuale.
Abbiamo, poi, fatto un lavoro sulla piattaforma perché la piattaforma unitaria aveva una parte forte, significativa, su questa partita degli appalti, intesa come un pezzo consistente del bisogno di ampliare la rappresentanza.
Quella piattaforma per come l’abbiamo agita nelle assemblee ha avuto un ritorno forte da parte dei lavoratori, questo è quanto è arri- vato da tutti i territori d’Italia, come sempre questo è diventato un fatto noto anche al tavolo di Federmeccanica.
Terzo percorso innestato: si è mossa anche la Confederazione, noi abbiamo partecipato a una discussione che si è aperta: c’è una richiesta di confronto da parte della Confe- derazione sul governo, che è finalizzata a una richiesta di rafforzamento delle norme, non di una loro modifica, ma di un rafforza- mento in un momento in cui ormai siamo al cuore, al culmine, con la Lega al governo del tentativo del loro smantellamento.
“la piattaforma
per come l’abbiamo agita nelle assemblee ha avuto un ritorno forte da parte dei lavoratori, questo è quanto è arrivato da tutti i territori d’Italia, come sempre questo è diventato un fatto noto anche al tavolo di Federmeccanica
Questo ha portato ad attivare, nei mesi pre- cedenti la trattativa, un’interlocuzione con la politica e con il governo. La questione degli appalti interviene nella rappresen- tanza e nei rapporti di lavoro, ma interviene complessivamente nel Paese, in questo momento più che in altri, perché pone un problema di un’evidenza straordinaria: ci sono tantissimi soldi per la digitalizzazione del Paese, sono stati fatti grandi investi- menti, noi meccanici siamo stati storicamente – e lo siamo ancora oggi, forse un po’ meno – esclusi dalla cabina di regia su questo aspetto, contemporaneamente contribuiamo con trattative importanti alla digitalizzazione del Paese, pensiamo a tutte le grandi aziende di telecomunicazione che, a loro volta, si stanno riorganizzando, pre- parandosi a una serie di esuberi dovuti alle ristrutturazioni.
Accade che la parte finale di questa digita- lizzazione sta competendo sul xxxxxxx xxxxxxx, che è il problema di questo Paese.
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Abbiamo aperto una vertenza con la politica che è tesa a dire cosa? Le norme che proteg- gono il pubblico devono riguardare anche chi svolge una funzione pubblica, nel momento in cui partecipo a digitalizzare il paese e a consentire che ci sia una connes- sione internet – e su questo ci sono soldi – io
svolgo una funzione pubblica e come tale vado protetto.
Questo, finalizzato alla richiesta esplicita di bloccare il massimo ribasso, perché tutti i metalmeccanici coinvolti, soprattutto quelli nella parte di installazione degli impianti, subiscono ristrutturazioni, perché la com- petitività tra quelle aziende avviene attraverso l’uso del subappalto, quindi con un risultato surreale: esuberi e uso selvag- gio di ammortizzatori da un lato e dall’altro appunto utilizzo sfrenato del subappalto per abbattere i costi.
Di questo la politica non si occupa, per cui interveniamo noi insieme alla Confedera- zione, oppure, se non vengono avanti modifiche in questo senso, c’è il fatto di con- segnare la digitalizzazione alla criminalità organizzata, che è il problema che noi tro- viamo anche quando riusciamo ad arrivare a rappresentare pezzi di appalti, perché ce n’è sempre un pezzo che scappa e quello che scappa non solo non sta dentro al contratto nazionale delle organizzazioni maggior- mente rappresentative, ma non sta proprio neanche in un margine avvicinabile, perché è dentro un quadro di illegalità.
Faccio un esempio e vado oltre: sono stati dati 3 mesi fa, cosa che ha già prodotto uno storico incontro con Tim, nuovi affidamenti di gara sulla fibra. Per come è stata costruita quella gara, che orgogliosamente la Tim continua a sostenere non essere al massimo ribasso – perché formalmente non lo è ma sostanzialmente sì – è stata affidata a due aziende, una al Sud e una in Pie- monte, che hanno note indagini in corso per collusioni con la camorra e con la mafia.
Nel frattempo abbiamo messo in sicurezza le aziende dove noi abbiamo una rappre-
sentanza e che applicano il nostro con- tratto, queste lavoreranno per una prima fase a concludere il lavoro sul rame, ma il giorno in cui dovremo volgere la testa e provare ad andare a capire cosa succede in Campania o in Piemonte, subentrate quelle aziende, avremo un problema, un problema
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noi chiedevamo sull’articolo 9, in piattaforma, di estendere e introdurre i diritti sindacali e l’accesso ai servizi, al tavolo ci hanno risposto che l’articolo 9 era ormai da superare
antico ma nuovo per noi, perché sono aziende che ovviamente per il profilo che hanno, sono lontanissime dalla possibilità di metterci mano bene.
Lo dico perché o continuiamo a presidiare anche questo terreno, oppure non avremo ala fine lo strumento concreto per agire il contratto con le due norme che abbiamo.
Dico cose brevissime sull’articolo 9 e sull’ar- ticolo 10. L’articolo 9 come altri pezzi del contratto – e forse è la frase che ci siamo ripetuti in questi giorni – è stato pesante- mente messo sotto attacco!
Noi chiedevamo sull’articolo 9, in piatta- forma, di estendere e introdurre i diritti sindacali e l’accesso ai servizi, al tavolo ci hanno risposto che l’articolo 9 era ormai da superare – altro che diritti sindacali! – per- ché di fatto era fuori tempo massimo.
Lo abbiamo difeso e portato a casa, ma abbiamo ancora un pezzo che va conqui- stato nella contrattazione di secondo livello, cioè i diritti sindacali.
Il diritto di rappresentare quei lavoratori passa dal fatto che devono poter partecipare alle nostre assemblee e non mangiare il panino seduti sul marciapiede.
È chiaro che occorre usare il diritto di infor- mazione che abbiamo, rivendicando l’applicazione dell’articolo 9.
C’è stata una fase in cui diffusamente, anche aziende importanti, hanno messo pezzi di produzione in appalto, in questo momento è un po’ meno così, ma diffusa- mente, soprattutto il limbo degli appalti continuativi è utilizzatissimo perché i padroni praticano un obiettivo più comples- sivo che è quello del destrutturare i rapporti di lavoro dentro le aziende.
Li destrutturi utilizzando tre strumenti: gli interinali, adesso anche lo staff leasing e gli appalti, perché questo costruisce dei luoghi di lavoro dove la nostra possibilità di rap- presentanza è sempre più piccola, anzi,
aggiungiamo anche lo smart working. Detto questo, questa pratica va contrastata con le verifiche, le richieste di incontro e una contrattazione di secondo livello che riprende i pezzi che non sono passati nella contrattazione nazionale.
Terzo elemento importante: bisogna moni- torare quali contratti vengono usati, anche negli appalti privati, c’è una dichiarazione comune in cui si dà indicazione precisa di utilizzo del contratto nazionale di lavoro metalmeccanico.
Si tratta di scegliere un ritmo nei prossimi mesi in cui, come su altri punti, l’articolo 9 lo facciamo vivere, altrimenti per come l’abbiamo scampata a questo giro diven- terà complicato proteggerlo nel prossimo rinnovo.
Secondo, l’articolo 10 è la novità perché la clausola sociale è esplicita, è chiara, per agirla dobbiamo sapere che abbiamo un tempo ed è su quel tempo che abbiamo litigato con Federmeccanica, per quei 30 giorni.
Ne abbiamo 5, da che arriva la comunica- zione ci sono 5 giorni per chiedere l’esame congiunto.
Bisogna, quindi, che ci organizziamo perché le comunicazioni sono tante ed è un ter- reno che è stato presidiato poco da moltissimi territori perché, spesso, quei lavoratori sono gruppi piccoli e il tempo che dovevi investire per provare ad andare, farci un’assemblea, era spesso troppo one- roso per le risorse anche umane e di tempo che noi avevamo.
Adesso abbiamo uno strumento preciso: 30 giorni prima della scadenza ci mandano la
comunicazione e ce la mandano con le nomine, con l’elenco, abbiamo 5 giorni per chiedere l’esame. È chiaro che, se il con- tratto di appalto resta uguale, c’è la clausola, abbiamo soltanto uno strumento che ci per- mette di intercettarlo; se il contratto
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l’articolo 10 è la novità perché la clausola sociale è esplicita, è chiara, per agirla dobbiamo sapere che abbiamo un tempo ed è su quel tempo che abbiamo litigato con Federmeccanica, per quei 30 giorni
cambia, si apre una prateria nella contrat- tazione perché la clausola comunque conferma il mantenimento dei livelli occu- pazionali, non articola il tipo di strumenti che puoi utilizzare per mantenere quei
livelli che sono oggetto di confronto. Abbiamo voluto noi che non li articolasse, perché quegli strumenti per noi sono più ammortizzatori sociali, magari, che un part time obbligatorio, ma è un’altra cosa su cui serve tra noi un confronto.
Su questo, sull’organizzarci, vi dico che abbiamo ragionato sul fare insieme all’orga- nizzazione, una riunione nazionale tematica, in cui proviamo ad articolare insieme alcuni aspetti.
Il primo è che occorre partire da una mappa- tura, che non riuscirai a fare centralmente, ma dovrai provare a farla sia delle regioni che nazionale, in modo da capire dove si svolgono, si insediano i presidi in cui stanno metalmeccanici in appalti.
E poi bisogna che ragioniamo e discutiamo, arriviamo a una sintesi, per declinare insieme i possibili strumenti di contratta- zione, perché non sono argomenti scontati, vanno fatte delle scelte precise e su questo serve mettere insieme, come si diceva, l’intel- ligenza collettiva e anche l’esperienza di tutti. Usiamo il fatto che su questo argomento siamo andati a macchia di leopardo, a velo- cità diverse, usiamo l’esperienza anche di chi è andato avanti.
Questa clausola la usiamo anche se, insieme alla tutela di quei posti di lavoro, che è una conquista, agiamo concretamente con la rappresentanza e quei nomi li trasformiamo in tessere. Bisogna che dietro questo ci sia una messa a disposizione, anche della strut- tura nazionale, per dare una mano a mettere in piedi un percorso, anche orga- nizzativo, finalizzato ad acquisire quell’ultima rappresentanza.
1901
2021
foto di Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxxxx Xxxx