Contratto con causa di garanzia.
Contratto con causa di garanzia.
Illiceità penale della condotta e invalidità dell’atto.
1. Premessa. - 2. Norme imperative e contratto. Il problema della nullità virtuale e l’esigenza di tutelare i valori di ordine pubblico. - 3. Il contratto in violazione di norme penali. La figura, discussa, dei reati in contratto. - 4. Norme penali, interessi singolari (e pubblici) e ordine pubblico. - 5. Xxxxxx e circonvenzione di incapaci nel contratto: dagli interessi tutelati alle conseguenti figure di invalidità. - 6. I contratti di usura tra rescissione e nullità. - 7. La nuova disciplina dettata dalla l. 7 marzo 1996, n. 108 e l’obbiettivo della tutela del mercato. - 8. Interessi usurari, anche sopravvenuti, e illiceità o inefficacia della pattuizione. Usurarietà degli interessi moratori. - 9. Contratto usurario e sistema delle nullità protettive. - 10. I ripensamenti della dottrina: la tesi dell’usura quale reato-contratto. Critica. - 11. Le alienazioni in garanzia come fattispecie di contratti potenzialmente usurari. - 12. La tormentata vicenda del sale and lease-back. I condizionamenti della giurisprudenza: lease-back anomalo e usura. - 13. Conclusioni.
1. - Premessa. Questo contributo si interessa dei rapporti che corrono tra illiceità penale e invalidità civile nei contratti di credito e di garanzia. L’argomento si inserisce nello spazio più vasto occupato dallo studio delle relazioni tra illiceità penale e invalidità civile nei contratti in generale e, ancora più ampiamente, nell’area coperta dallo studio delle conseguenze a cui è soggetto il contratto contrario a norme imperative. Per opportunità espositiva la trattazione riguarderà, inversamente, prima la materia del contratto in vio- lazione di norme imperative, poi l’argomento del contratto contrario alla legge penale, per diffondersi infine sulla dinamica dei rapporti che si instaurano tra sanzione penale e sanzione civile dei contratti con causa di credito e/o di garanzia.
Fra le numerose figure di reato utilizzabili è sembrato opportuno concentrare l’esame sulle fattispecie classiche in tema: la truffa, la circonvenzione di incapaci e l’usura; fra le altrettanto numerose figure di contratto (con causa di credito e/o di garanzia) sono state scelte le tipologie più significative: il mutuo, le alienazioni in garanzia, il lease-back. Atteso l’oggetto specifico del lavoro da un lato, e le importanti novità legislative dall’altro, lo spazio più ampio è stato riservato ai contratti (attraverso cui si commette il reato) di usura.
Scopo della riflessione è (cercare di) individuare un criterio soddisfacente e di generale validità per discri- minare tra le molte possibili le specifiche conseguenze civilistiche di volta in volta concretamente deter- minate dalla violazione di precetti penali nella (attività di) conclusione e/o esecuzione di contratti (anche con causa diversa dal credito o dalla garanzia).
2. - Norme imperative e contratto. Il problema della nullità virtuale e l’esigenza di tutelare i valori di ordine pubblico. Come è noto, le norme imperative possono essere individuate nell’ambito delle norme cogenti poste dalla legge ordinaria, o da fonti a essa sovrordinate, subordinate o equiparate. Nel diritto dei contratti rilevano le norme imperative poste dalla legge, da atti aventi forza di legge, da norme comunitarie. Esse non prescindono dalla volontà delle parti, ma al contrario la considerano essenzialmente. Tuttavia, per esclu- derla. Le norme imperative si sostanziano, infatti, nei comandi (e nei divieti) posti dalla legge alla volontà di coloro che vi sono soggetti. Nel diritto dei contratti le norme imperative stabiliscono i confini entro i quali la volontà delle parti è riconosciuta dalla legge, e oltre i quali è priva di tutela (così quando confeziona un contratto genericamente invalido), e a volte oggetto di sanzione (in senso ampio e lato: così quando il contratto è illecito).
Per l’art. 1418, 1° comma, cod. civ. il contratto contrario a norma imperativa è generalmente nullo. A meno che, si precisa con clausola di salvezza, la legge non disponga diversamente. L’insegnamento
ricorrente spiega che la legge può prevedere per la violazione di una norma imperativa la semplice irregolarità del contratto o conseguenze diverse dalla invalidità (recesso, risoluzione, inefficacia in senso stretto o altro); può prevedere, in alternativa, la invalidità del contratto (nullità, annullabilità, rescissione); oppure può tacere. L’assenza di sanzione espressa non comporta l’assenza di sanzione. Infatti, la nullità per contrarietà a norme imperative è espressione di un principio generale: essa opera a prescindere dalla previsione della sanzione nel contesto della specifica norma (imperativa) violata. La funzione dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ. è di chiudere il sistema introducendo, accanto alla nullità testualmente prevista, la c.d. nullità virtuale, derivante da una violazione non esplicitamente sanzionata dalla legge civile (1). In altre parole, l’ipotesi contemplata nel primo comma dell’art. 1418 cod. civ. è configurabile indipendentemente da un’espressa comminatoria di legge e cioè dall’esistenza di una norma imperativa perfetta, la quale contenga non solo uno specifico obbligo o divieto (precetto) ma anche la sanzione conseguente, e dunque la previsione della nullità. Il principio è stabilmente acquisito in giurisprudenza (2).
Se la mera disattenzione di una norma imperativa non testualmente sanzionata può comportare la nullità, potendo essa comportare anche la semplice irregolarità, o altre conseguenze ancora, o nessuna conseguenza, sorge l’esigenza di individuare un criterio con cui discriminare i due ordini di casi (nullità, non nullità).
Si potrebbe ipotizzare la drastica soluzione che la nullità debba essere pronunciata ogni qual volta non vi sia una norma che statuisca espressamente la salvezza degli effetti del contratto contrario a norma imperativa. Tuttavia, in forza di un simile ragionamento la clausola di riserva dell’art. 1418, 1° comma perderebbe la sua autonoma funzione, ponendosi come inutile ripetizione del principio per cui la regola
(*) Lo studio rielabora il testo di una relazione tenuta in Frascati, il 23 marzo 2000, nell’ambito dell’incontro organizzato dal CSM sul tema Rapporti tra illecito civile e illecito penale: l’illecito contrattuale, i reati-contratto ed i reati in contratto.
(1) Sulle norme imperative e sul contratto in violazione cfr. intanto, per tutti, Xxxxxx, La invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943, 175; Xxxxxx, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, 62; Xxxxxxx, L’illecito penale e l’invalidità del negozio giuridico, in Riv. dir. comm, 1947, II, 153 ss.; Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico (1960), rist. Napoli, 1994, 117; Xxxxxxxx, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971, 47 e ss.; Messineo, Il contratto in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, XXI, Milano 1972, 173; Xxxxxxxxx, Il negozio contrario a norme imperative, in Legislazione economica (1978-1979) a cura di Xxxxxxxx, Milano, 1981, 271 ss.; Maganza, Autonomia privata e intervento legislativo nella disciplina del contratto, in Rass. dir. civ., 1982, 1124 ; De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. critica dir. priv., 1985, 435; Corsi, Autonomia privata e norme imperative, in Riv. critica dir. priv., 1985, 493; Birke, Libertà contrattuale e norme imperative, in Riv. critica dir. priv., 1985, 473; Xxxxxxxxxx, Divieti valutari e autonomia privata, Padova, 1987, 37 ss.; Xxxxx, in Sacco e De Nova, Il contratto, II, Torino, 1993, 86 ss.; Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, 48 e ss.; Xxxxxxx, La nullità per contrarietà a norme imperative, in Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Memmo, Xxxxxxx Xxxxxx, Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, diretto da Xxxxxxx, Bologna e Roma 1998, 79 ss. La regola posta dall’art. 1418, 1° comma, è presente in via espressa nell’ordinamento tedesco (anzi la nostra norma è una trasposizione del § 134 B.G.B.), e al riguardo si può leggere Flume, Allgmeiner Teil des bürgherlichen Rechts. II Das Rechtsgeshäft, Berlin, Heidelberg, New York, 1979, 341. In Francia manca una apposita disposizione, e il contratto contrario a norme imperative è sanzionato con il combinato disposto degli artt. 6 e 1133 del code civil, rispettivamente sulla nullità degli atti contrari all’ordine pubblico e sulla causa illecita (v., tra gli altri, Xxxxxxx, Le contrat, Xxxxx, 0000, 69 ss.). Cenni storici e di diritto comparato in Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 1 ss.
(2) Questa dottrina supera la precedente elaborazione (per la quale si possono leggere le classiche pagine del Pugliatti, Precisa- zioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, I, 298 ss., e ora anche in Diritto civile. Metodo - Teoria – Pratica, Milano, 1951, 298 ss.) che, riconducendo il concetto di illiceità alla causa contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume (secondo la previsione degli artt. 1343 e 1346 cod. civ.) chiudeva lo spazio per una autonoma operatività del disposto dell’art. 1418, 1° comma cod. civ., a quel punto meramente ripetitivo di una regola enunciata nel comma successivo. Ma la nozione di nullità virtuale si trova già nella Relazione al Re, dove, al n. 116, si legge: “La [... norma] risolve altresì la dibattuta questione circa gli effetti della violazione di una norma imperativa in cui non sia espressamente comminata la san- zione di nullità del vincolo: è normale l’effetto dirimente, ma sempre quando la volontà della legge non possa indirizzare a conseguenze diverse”. In giurisprudenza x. Xxxx. 17 giugno 1960, n. 1591; Cass. 12 dicembre 1966, n. 2892, in Giur. it., 1967, I, 1, 1029; Cass. 20 settembre 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 000; Cass. 11 dicembre 1985 n. 6271, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 469.
speciale (di salvezza) deroga alla regola generale (di invalidità) (3). Si deve pertanto ammettere anche una salvezza implicita, di cui occorre individuare i presupposti.
Una dottrina risalente, partendo dalla premessa che la reazione dell’ordinamento dipende dalla natura dell’interesse violato - se essenziale e di ordine pubblico ovvero pubblico ma non essenziale (non di ordine pubblico) ovvero privato e particolare - ha fissato questo principio. Per stabilire se la violazione di una norma imperativa non esplicitamente sanzionata comporta l’illiceità del contratto bisogna indagare il fondamento della norma. Se essa risponde a ragioni di ordine pubblico e assicura la tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento, il contratto è illecito, altrimenti no (4). La giurisprudenza si è uniformata (5). La norma imperativa di ordine pubblico è quella che assicura i valori fondamentali dell’ordinamento, i quali sono storicamente mutevoli, ma vanno oggi individuati nei valori costituzionali. Il contratto che contrasta valori costituzionali è sanzionato con la nullità. “Ed allora l’art. 1418, 1° comma cod. civ., finisce per essere letto come se dicesse: “è nullo il contratto contrario all’ordine pubblico”” (6).
Un importante indice sintomatico della natura di norma imperativa di ordine pubblico è dato dalla assolutezza dell’obbligo imposto. Se il legislatore, nel dettare la previsione imperativa, non ha previsto l’esenzione di taluni destinatari, evidentemente ha considerato che qualsiasi comportamento inottemperante, tenuto da qualsivoglia soggetto, determina una inaccettabile compressione dell’interesse (non solo pubblico ma anche essenziale) assicurato dalla norma (7).
Si può dare il caso che una norma imperativa stabilisca, per la sua violazione, sanzioni diverse dalla nullità o, più in generale, dalla invalidità (sanzioni disciplinari, pecuniarie). In presenza di norma imperativa sanzionata ma non con la invalidità secondo la giurisprudenza il contratto, di norma, non può essere dichiarato nullo o invalido (8). Se però l’esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione non può essere compiutamente conseguita per mezzo della relativa irrogazione, si deve
(3) Cfr. Oppo, Contratti parasociali, Milano 1942 (e ora anche in Scritti giuridici, II, Diritto delle società, Padova, 1992, 29); De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 439; Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 78; Xxxxxx, Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, X, 00.
(4) X. Xxxxxxx, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Padova, 1902, 23 ss.; v. anche De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 441 e, recentemente, Gentili, Le invalidità, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti diretto da Xxxxxxxx, II, Torino, 1999, 1330 ss. Ad esempio, come è noto, per giurisprudenza costante la violazione della norma imperativa di natura fiscale comporta sanzioni fiscali ma non determina l'invalidità del contratto (v., ad es., Cass. 19 febbraio 1971, n. 435; Cass. 15 novembre 1974, n. 3620; Cass. 28 giugno 1976, n. 2464; Cass. 24 ottobre 1981, n. 5571).
(5) X. Xxxx. sez. un. 21 agosto 1972, n. 2697, in Giust. civ., 1972, I, 1914; Cass. 27 novembre 1975, n. 3974, in Foro it., 1976, I,
309; Cass. 11 ottobre 1979, n. 5311, in Riv. not., 1980, 134, Foro pad., 1979, I, 363; Cass. 24 novembre 1980, n. 6233; Cass. 23
maggio 1987, n. 4681, in Giur. it., 1988, I, 1, 60; Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 75; Foro it., 1987, I, 2236; Giust. civ., 1987, I, 2529;
Cass. 9 luglio 1993, n. 7547, in Giust. civ., 1993, I, 2940.
(6) De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 442. Sull’ordine pubblico in generale, si veda specialmente G.B. Ferri, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970; Id., L’ordine pubblico economico (a proposito di una recente pubblicazione), in Riv. dir. comm., 1963, I, 464 ss.; Id., Ordine pubblico, (dir. priv.), in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, e ora in Saggi di diritto civile, Rimini, 1994, 441 ss.; Xxxxxxxxxx, Il richiamo all’ordine pubblico, Milano, 1971, 181; Guarneri, L’ordine pubblico e il sistema delle fonti del diritto civile, Padova, 1974; Panza, Ordine pubblico, I, Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, 1 ss.; da ultimo, Gentili, Le invalidità, cit., 1317 ss. Come è noto, la figura è stata elaborata dalla dottrina francese: il richiamo indefettibile è a Kaiser, Les nullités d’ordre public, in Rev. trim. dr. civ., 1933, 1115 ss.; Xxxxxx, L’ordre économique et la liberté contractuelle, in Etudes Gény, 1934, II, 347 ss.; Xxxxxxxx, L’ordre public et le contrat, Reims, 1953; Farjat, L’ordre public économique, Xxxxx, 0000; Id., Droit économique, Xxxxx, 0000, 41 ss.; Xxxxxxxxxx, Droit civil, II, Paris, 1964, 389; Thibierge-Guelfucci, Libres propos sur la transformation du droits des contract, in Rev. trim. dr. civ., 1997, 357 ss. Per la dottrina tedesca, v. Simitis, Gute Sitten und ordre public, Xxxxxxx, 0000. In giurisprudenza, x. Xxxx. 0 xxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1971, I, 2190 e Cass. 15 marzo 1984, n. 2215, in Riv. not., 1986, 149. Nella giurisprudenza francese recente, x. Xxxx. 00 octobre 0000, xx Xxxx. xxx., XX, x. 000; Cass. 2 décembre 1997, in Défrénois, 1998, 342.
(7) In questo senso Cass. 4 dicembre 1982, n. 6601, in Giust. civ., 1983, I, 1172; v. anche Cass. 11 dicembre 1991, n. 13393; in dottrina, Xxxxxxx, La nullità per contrarietà a norme imperative, cit., 82.
(8) Cfr. Cass. 16 luglio 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 0000, X, 000; Cass. 18 luglio 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 000; Cass. 28
settembre 1996, n. 8561.
ritenere, inoltre, la nullità (9). In dottrina si è parlato di criterio del minimo mezzo in base al quale “la nullità deve essere esclusa se l’esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione (civilistica, penale o amministrativa) sia compiutamente realizzata con la relativa irrogazione, mentre deve essere ammessa in caso contrario” (10).
Lo sforzo di sistematizzazione della categoria delle nullità per violazione di norme imperative compiuto in dottrina e in giurisprudenza non ha eliminato tutte le perplessità. Si sottolinea da più autori l’elasticità del concetto di ordine pubblico, e l’incertezza interpretativa che la sua applicazione comporta (11). In effetti, il ritenere o meno di ordine pubblico una norma non sanzionata o espressamente sanzionata ma non con l’invalidità, è frutto di un processo ermeneutico fortemente influenzato dalle convinzioni politiche dell’interprete, dalle esigenze economiche del momento, dalla pressione esercitata da gruppi organizzati per l’affermazione di determinati interessi (a scapito di altri). A tutto ciò va aggiunta la proliferazione (disordinata) della legislazione speciale: zeppa di previsioni imperative, soprattutto nei settori nevralgici del diritto commerciale e del diritto dei consumatori, complessa certamente, ma anche complicata da una tecnica di redazione sempre più sciatta.
In questa tenebra, non andrebbe ignorata la luce sprigionata dalle norme della Carta costituzionale, espressive dei valori su cui l’ordinamento è attualmente fondato. A questa luce sembra attenta la giurisprudenza che, nel comminare la nullità per violazione di norma imperativa, fa applicazione di tali valori.
La dottrina, non paga di riferimenti a valori ritenuti eccessivamente generici, ha cercato di individuare altri criteri - diversi dalla natura dell’interesse tutelato dalla norma violata - per discriminare le ipotesi di nullità da quelle di non nullità del contratto. Con riguardo alla struttura della disposizione si è sostenuto ad esempio che un problema di nullità virtuale si pone soltanto per l’inottemperanza di norme imperative proibitive e non anche per la disattenzione di norme imperative precettive. Soltanto le prime infatti, strutturandosi in divieti, limitano la libera esplicazione dell’autonomia privata (12). Tuttavia, è facile obbiettare che ogni norma precettiva è convertibile in un divieto, pertanto non si può apprezzare alcuna differenza sostanziale tra norme precettive e norme proibitive: anche la norma precettiva, che pone un comando in positivo, limita l’autonomia privata e si presta ad essere sanzionata con la nullità (13). Altri criteri, come ad esempio il rango della norma imperativa violata, hanno prodotto risultati modesti (limitati essenzialmente alla considerazione che le fonti diverse dalla legge ordinaria possono incidere sulla validità, ma solo a certe condizioni: la loro immediata precettività nel caso delle norme costituzionali,
(9) X. Xxxx. Xxxxxx 0 dicembre 1977, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, II, 481; Cass. sez. un. 2 giugno 1984, n. 1984, in Giur. it., 1985, I, 1, 152.
(10) De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 446. V. anche Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 130 ss. Va tuttavia precisato che, allorquando la tutela legislativa segue ragioni di ordine pubblico, nessun rimedio diverso dalla nullità, e che consenta la sopravvivenza del contratto, è idoneo a raggiungere lo scopo. Dunque, la verifica del minimo mezzo in nulla si differenzia dall’indagine sul valore di ordine pubblico del precetto violato.
(11) Così Palaia, L’ordine pubblico “internazionale”, Padova, 1974, 72; De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 442. Afferma che “L’ordine pubblico corrisponde, per tale stessa sua natura, ad una nozione di contenuto elastico e storicamente variabile” Cass. 5 luglio 1971, n. 2091, cit.
(12) X. X.X. Xxxxx, Xxxxxx pubblico, buon costume e la teoria del contratto, cit., 160; Xxxxxxx, in Staudingers Kommentar zum B.G.B., Berlin, 1979, sub § 134, 416; Xxxxxxx, La nullità per illiceità, in Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Memmo, Xxxxxxx Xxxxxx, Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, cit., 127.
(13) Il rinvio è a Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 85 e a Guizzi, Mercato concorrenziale e teoria del contratto, cit., 93, nota 46. L’illiceità del contratto derivante dalla violazione di norme imperative precettive non è astrattamente dubitabile; la difficoltà incontrata dalla dottrina nell’ammetterla discende da una precisa idea degli spazi riconosciuti all’autonomia privata nel mercato: per definizione ampi, confinati soltanto da espresse norme di divieto. La nuova legislazione di matrice comunitaria di costruzione del mercato unico ha invece introdotto numerose disposizioni imperative precettive, sanzionandone l’inottemperanza con la nullità (si pensi per es. agli obblighi dell’agente e del preponente nei nuovi art. 1746 e 1749 c.c. e agli obblighi di pubblicità dei patti parasociali di cui all’art. 122 t.u. sull’intermediazione finanziaria [d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58]). Ha così reso evidente che l’illiceità può essere conseguenza anche della violazione di una norma imperativa che pone un obbligo non negativo ma positivo.
internazionali o comunitarie; la loro delega a trattare dell’autonomia privata nel caso di fonti secondarie, e così via) (14).
Il criterio alternativo all’indagine sulla natura dell’interesse protetto che attualmente gode di maggior credito è pertanto un altro. Esso è stato elaborato proprio con attenzione alla fattispecie oggetto di questo studio: il contratto in violazione della legge penale, subito in esame.
3. - Il contratto in violazione di norme penali. La figura, discussa, dei reati in contratto. L’ambito di riferimento del problema è quello delle norme imperative penalmente sanzionate che non prevedono anche la nullità del contratto posto in essere. In generale vi è accordo, in dottrina come in giurisprudenza, che illiceità penale e illiceità civile non sono necessariamente coincidenti. Un comportamento penalmente sanzionato non necessariamente determina la nullità del contratto che produce. Infatti, perché operi la sanzione della nullità, occorre che il contratto sia riprovato dalla legge civile (15). Si possono verificare varie eventualità. La legge penale, oltre che punire il reo (una o entrambe, o tutte, le parti dell’accordo) può disapprovare (per così dire) direttamente il contratto, vietando la vendita, l’acquisto o il commercio di determinati beni (es.: artt. 250, 352, 470, 474, 648, 686, 705 e 710 c.p., 2624 cod. civ.). In simili fattispecie ciò che la legge direttamente sanziona è il regolamento a cui le parti sono pervenute: nessuno dubita che il contratto sia illecito per contrarietà a norme imperative di ordine pubblico (art. 1418, 1° comma, cod. civ.). Nella dottrina (soprattutto penalistica) queste fattispecie sono denominate “reati-contratto” (16).
A volte la legge penale si limita a punire il comportamento di una parte nella fase delle trattative, senza disapprovare espressamente il contratto: qui è penalmente rilevante non l’assetto di interessi raggiunto, ma la condotta tenuta da una delle parti ai danni dell’altra per raggiungerlo. Si parla di “reati in contratto”. Si tratta di figure realizzate con la cooperazione artificiosa della vittima, che è indotta con mezzi illeciti (frode, violenza, approfittamento dello stato di bisogno o di inferiorità psichica) a una disposizione patrimoniale (es., artt. 629, 640, 641, 643, 644 c.p.) (17).
A differenza che nella ipotesi precedente, qui l’incertezza è totale. Una autorevole dottrina, riprendendo e sviluppando la distinzione riportata fra sanzione del contratto e sanzione del comportamento delittuoso di uno dei contraenti, ha sostenuto che in questo ultimo caso, poiché la norma penale non vieta il comportamento di entrambe le parti che si accordano, non vieta di conseguenza il contratto. Il reato è circoscrivibile nel comportamento di una delle parti “onde la pena per ciò che ci interessa, non può per sé
(14) V., per tutti, Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 112 ss.
(15) Ancora attuale, in proposito, Ferrara, Teoria del negozio illecito, cit., 27. L’idea che il negozio penalmente illecito sia conse- quenzialmente illecito per la legge civile, sostenuta un tempo dalla prevalente dottrina penalistica (x. Xxxxxxx, Parte generale del diritto penale, Milano, 1934, 335; Foschini, Delitto e contratto, in Arch. pen., 1953, I, 72; Dolce, Considerazioni sul contratto penalmente illecito, in Scuola positiva, 1959, 235), sempre vivacemente contestata (v. per es. Xxxxxxxxxx, Teoria generale del reato, Padova, 1953, 34; Xxxxxxxxx, In tema di usura e lesione, in Giur. it., 1948, I, 1, 49 ss.), sembra definitivamente abbandonata. X. Xxxxxxxx, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 1052. Sui pericoli insiti nello sforzo sistematico volto alla costruzione di una unitaria figura di illecito che abbracci i due rami dell’ordinamento, x. Xxxx, The Concept of Law, Oxford, 1961, trad. it. Il concetto di diritto, Torino, 1991, 41 ss.; Scognamiglio, Illecito (diritto vigente), in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, 165.
(16) Cfr. Grispigni, Diritto penale italiano, II, Milano, 1947, 234 ss.; Xxxxxxxx, Accordo (dir. pen.), in Enc. dir., Milano, 1958, I, 302; X. Xxxxxxxxx, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, 377 ss.; Xxxxxxxx, I rapporti, cit., 1053. Spesso il reato- contratto è già valutabile come illecito in base a norme diverse dall’art. 1418, 1° comma, cod. civ.: così quando ha causa, oggetto, motivo determinante e comune alle parti, illecito. Come accade per il delitto di ricettazione: illecito sia in quanto reato-contratto (artt. 648 c.p. e 1418, 1° comma, cod. civ.) sia perché illecito nell’oggetto (artt. 648 c.p. e 1343, 1418, 2° comma, cod. civ.), o per l'accordo di associazione per delinquere: illecito (anche) nella causa (art. 416 c.p. e 1343, 1418, 2° comma, cod. civ.), o il patto di corruzione: illecito (anche) nel motivo (art. 000 xx. x.x. x 0000, 0000, 0x xxxxx, xxx. xxx.). A riguardo, Cfr. Xxxxxxxxx, Diritto penale italiano, cit., 236; Xxxxxxxx, I rapporti, cit., 1057 s.; Xxxxxxxx, In tema di norme penali e nullità del negozio giuridico, in Riv. critica dir. priv., 1985, 467; Xxxxxxxxxx, Nullità del contratto concluso tra corrotto e corruttore, in Xxxxxxxxx, 1994, 719.
(17) Per l’individuazione della categoria, x. Xxxxxxxxxx, Teoria generale del reato, cit., 33 ss.; Oppo, Formazione e nullità dell’assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963, I, 178. Per il termine “reati-contratto” v. X. Xxxxxxxxx, Concorso, cit., 377 ss. Imprescindibile anche il rinvio a Xxxxxxxx, I rapporti, cit., 999 ss.
importare invalidità del contratto [...], coinvolgendo nelle conseguenze della sanzione anche il soggetto per il quale la partecipazione al contratto è lecita” (18).
Questa puntualizzazione determina una parziale divaricazione tra le categorie penalistiche dei reati- contratto e reati in contratto e le categorie civilistiche assimilabili: reati in cui sono punite le condotte di tutti i contraenti; reati in cui sono punite le condotte di alcuni dei contraenti soltanto. Infatti, spesso capita che la legge penale, pur sanzionando una operazione contrattuale, non punisce entrambi i contraenti. Detto altrimenti: non tutti i reati-contratto sono plurisoggettivi, in quanto alcuni sono monosoggettivi. Se i delitti di corruzione sono plurisoggettivi, non lo sono egualmente i delitti di ricettazione.
Il criterio discriminante basato sulla distinzione tra reati-contratto e reati in contratto o quello similare fondato sui comportamenti penalmente sanzionati (se tutti, alcuni o uno) hanno avuto successo, e sono stati fatti propri dalla dottrina civilistica prevalente. Si ritiene pertanto che ogni qual volta la legge penale reprime il comportamento di una parte e non la regola contrattuale a cui le parti sono pervenute (o il comportamento di tutti i contraenti), il contratto non possa essere considerato nullo. L’art. 1418, 1° comma, cod. civ., infatti, si riferisce solo al contratto e mai al comportamento di una o di tutte le parti, che costituisce invece l’oggetto della legge penale. Siccome legge civile e legge penale disciplinano ambiti diversi (la prima il contratto, la seconda la condotta del reo), si comprende come la violazione della legge penale non determini la nullità del contratto frutto del comportamento unilateralmente inottemperante, e come invece il contratto come tale vietato secondo la legge penale (perché frutto di comportamenti tutti vietati) sia nullo secondo la legge civile (19).
L’argomento è stato in seguito ribadito per la soluzione di altre questioni, come quella sul destino dei contratti conclusi con condotta di insider trading (20). Di recente è stato utilizzato per risolvere il problema sul trattamento del contratto stipulato con i propri clienti dall’impresa che aderisce (e così esegue) una intesa restrittiva della concorrenza: poiché tale contratto è vietato solo per l’impresa e non anche per l’altro contraente, se ne esclude la nullità (21). Si può ragionevolmente affermare che esso, sulla scorta dell’esperienza maturata dalla dottrina tedesca (22), costituisca oggi il principale canone ermeneutico utilizzato in letteratuta per risolvere i casi dibattuti di nullità virtuale. La giurisprudenza si è richiamata a volte a questo criterio, che altrettante volte ha tuttavia respinto (23).
La tesi, nella sua assolutezza, ha suscitato la reazione critica di altra dottrina. In generale si obietta che, attesa la non coincidenza tra illiceità penale e illiceità civile, è arbitrario desumere la liceità del contratto argomentando dalla punibilità di una parte soltanto: nessun ostacolo impedirebbe che alla illiceità del contratto l’ordinamento affiancasse, sul piano penalistico, una sanzione a carico di un contraente soltanto (24). Lo stesso legislatore commina, a volte, la nullità del contratto proibito a uno soltanto dei contraenti, come nel caso del contratto stipulato dal professionista abusivo (art. 2231 cod. civ.) o dal mediatore non
(18) Oppo, Formazione e nullità dell’assegno bancario, cit., 178, ove anche una bibliografia sulla dottrina formatasi, in questa linea interpretativa, sul § 134 B.G.B.; Id., Ordinamento valutario e autonomia privata, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000.
(19) X. X.X. Xxxxx, Xxxxxx pubblico, buon costume, cit., 165; Id., Appunti sull’invalidità del contratto (dal codice civile del 1865 al codice civile del 1942), in Riv. dir. comm., 1996, I, 393; Mirabelli, La rescissione del contratto, Napoli, 1962, 132; Visentini, La valuta, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 463 ss.; De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., 447; Vassalli, In tema di norme penali e nullità del negozio giuridico, cit., 470; Bugani, La nullità del contratto, in Grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, diretto da Xxxxxxx, 1990, 114; Mariconda, La nullità del contratto, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale fondata da Bigiavi diretta da Alpa e Bessone, I contratti in generale, IV, Torino, 1991, 399; F. Xxxxx- xxxx, Concorso, cit., 382 ss.; Xxxxxxxx, I rapporti, cit., 1055 ss.; Xxxxx, Negozio giuridico, VI, Negozio illecito, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1990, 7; Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv., 1997, 487 ss.; La Rocca, Note sull’invalidità negoziale: i contratti sanzionati dagli artt. 2624 c.c., 38 legge bancaria e 136 T.U., in Corr. giur., 1997, 978 ss.
(20) X. Xxxxxxxx, Interesse al segreto e strutture normative (ed. provv.), Roma, 1996, 227.
(21) Cfr. Xxxxxx, Xxxxxxx concorrenziale e teoria del contratto, cit., 95, 101.
(22) V., per es., nell’ambito da ultimo citato, Flume, Verbotene Preisabsprache und Einzelvertrag, in WuW, 1956, 457 ss. (23)V. rispettivamente, tra le altre, Cass. 20 maggio 1969, n. 1749, in Foro it., 1969, I, 3176; Cass. 8 agosto 1990, n. 7998.
(24) Così Monticelli, Divieti valutari e autonomia privata, cit., 68 s. V. anche Xxxxxxxxx, Il negozio contrario a norme imperative, cit., 306 ss.
iscritto all’albo (art. 6, l. 3 febbraio 1989, n. 39) (25).
Un diverso avviso più problematicamente sostiene che, nell’ipotesi di divieto penale del comportamento di una parte soltanto, il contratto non possa essere ritenuto sicuramente nullo, ma nemmeno sicuramente non nullo. Infatti, dovrà essere applicata la disciplina civilistica relativa al vizio intervenuto, che potrà essere la nullità o, invece, altro rimedio o sanzione (26).
Venendo alla giurisprudenza, una massima costante afferma che “se una norma imperativa prevede, per l’ipotesi di sua violazione, una sanzione penale, e non anche espressamente la nullità del contratto, tale nullità non può senz’altro ritenersi esclusa, perché bisogna distinguere il caso in cui la legge considera valido il negozio, pur prevedendolo come reato, da quello in cui la sanzione della nullità si aggiunge all’incriminazione penale” (27). In sostanza, illiceità penale e illiceità civile possono non coincidere. Perché sia sanzionata con la nullità, occorre che la norma penale tuteli valori di ordine pubblico (28).
4. - Xxxxx xxxxxx, interessi singolari (e pubblici) e ordine pubblico. La giurisprudenza afferma che la violazione delle norme imperative comporta nullità quando tale violazione si qualifica come violazione di un precetto (espresso) di ordine pubblico. La giurisprudenza aggiunge che non ogni violazione di norma penale comporta la nullità del contratto così stipulato. Non ogni norma penale, infatti, è posta a tutela di valori di ordine pubblico (29).
Così si è avuto modo di affermare che il contratto di usura è contrario al buon costume, e dunque illecito
(25) Cfr. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 116.
(26) V. Xxxxxx, Diritto civile III. Il contratto, Milano, 1987, 583; Mariconda, Truffa e contrarietà del contratto a norme imperative, in Corr. giur., 1987, 211. Alcuni esempi. Gli artifici e i raggiri usati dal truffatore rilevano, civilisticamente, come dolo contrattuale, sanzionato non con la nullità ma con l'annullabilità; la sproporzione fra le prestazioni nel contratto di usura possono rilevare civilisticamente nell'ambito della rescindibilità per lesione (oppure nel contesto della illiceità per contrarietà al buon costume); la circonvenzione di incapace consumata per mezzo di un contratto rileva sul piano civile nello spazio dell'annullabilità per incapacità del contraente circonvenuto. Le ragioni di questa posizione: da un lato, si vuol sottolineare l’autonomia del diritto civile rispetto al diritto penale, e così si preferisce leggere la fattispecie penalisticamente rilevante secondo gli schemi civilistici, per verificarne l’eventuale, ulteriore rilevanza; dall’altro lato si vuol lasciare al danneggiato la scelta se mantenere o no in vita il contratto stipulato, e così si preferisce escludere la sanzione della nullità laddove sono proficuamente applicabili altri rimedi, come l’annullamento o la rescissione.
Nella più ampia problematica del contratto in violazione di norma imperativa per comportamento di una parte soltanto, Xxxx, La invalidità dei contratti per contrarietà alla legge e al buon costume. Appunti di diritto comparato, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 687 condivide e documenta l’applicazione giurisprudenziale (anche nei sistemi di common law) del criterio basato sulla ricerca dello scopo perseguito dalla legge con conseguente graduazione e applicazione dei rimedi.
(27) Cass. 15 ottobre 1955, n. 3175, in Giust. civ., 1956, I, 19; Cass. 17 giugno 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 000; v. anche
Cass. 17 giugno 1970, n. 1591, in Giust. civ., 1971, I, 138; Cass. 10 dicembre 1986, n. 7322, in Foro it., 1987, I, 1119; Vita not.,
1987, 258.
(28) X. Xxxx. 0 dicembre 1982, n. 6601, in Giust. civ., 1983, I, 1172; Cass. 18 novembre 0000, x. 00000, xx xx Giust. civ., 1998, I, 1355.
(29) Ci si potrebbe chiedere come sono possibili sanzioni giuridiche che possono incidere il bene supremo della libertà perso- nale (art. 13 Cost.), le quali non siano dettate dall’esigenza di proteggere i valori affermati dall’ordinamento, e dunque l’ordine pubblico. Va tuttavia considerato che l’idea di un diritto penale costituzionalmente orientato, nel quale valga la regola che la sanzione penale deve essere sempre l’estremo rimedio al comportamento antisociale, e non può essere posta a tutela di beni non paragonabili a quelli che comprime (per le ipotesi più gravi, libertà personale), pur propugnata da dottrina autorevole (v. Bricola, Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., XIX, Torino, 1973, 75) non è condivisa dai più. L’opinione comune è che debbano prevalere le esigenze della difesa sociale, onde il legislatore ben può, nella sua discrezionalità politica, tutelare con sanzione penale beni e interessi di importanza non costituzionale, purché non incompatibili con la Costituzione (v., per tutti,
X. Xxxxxxxxx, Diritto Penale, Padova, 1979, 185). Ebbene, risulta chiaro che tali norme imperative di natura penale, non essendo poste a tutela di valori costituzionali, non salvaguardando la conservazione dello Stato comunità, ed essendo invece dettate “a presidio, anziché dell’interesse generale, delle esigenze di governo dei pubblici poteri; non a protezione cioè dello Stato-co- munità, bensì a garanzia dell’efficiente azione dello Stato-persona” (Xxxxxxx, La nullità per contrarietà a norme imperative, cit., 83; Id., Civile e penale nella produzione di giustizia, in Riv. critica dir. priv., 1983, 53) non sono di ordine pubblico. La violazione non può comportare, sul piano civilistico, la conseguenza della nullità.
(30). L’illiceità deriva dal carattere immorale della contrattazione; rileva, dunque, in maniera autonoma sul piano civilistico. Mentre il contratto derivato da una truffa è semplicemente annullabile, “atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, né sotto il profilo intensivo, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e così a viziarne il consenso” (31). Ma il contratto stipulato circonvenendo un incapace è nullo perché illecito. Infatti, “l’incriminazione della circonvenzione d’incapace [...] - il cui scopo va ravvisato, più che nella tutela dell’incapacità in sé e per sé considerata, nella tutela dell’autonomia privata e della libera esplicazione dell’attività negoziale delle persone in stato di menomazione psichica -, deve annoverarsi tra le norme imperative la cui violazione comporta, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., oltre la sanzione penale, la nullità del contratto concluso in spregio della norma medesima” (32).
Come si vede, le pronunce riportate disegnano la fisionomia di una giurisprudenza oscillante, e lasciano l’interprete in una profonda incertezza: non tanto per le ipotesi in esame, per le quali vi è per lo meno il conforto della prassi applicativa, ma per tutte le altre, innumerevoli, che potrebbero porsi in concreto. Va dunque verificata la possibilità di enucleare un criterio guida che consenta di distinguere in modo (apprezzabilmente) sicuro fattispecie penali a cui consegue sul piano civilistico la sanzione della nullità da fattispecie penali a cui consegue sul piano civilistico una diversa sanzione (annullabilità, rescindibilità).
La posizione espressa dalla dottrina secondo cui, data l’autonomia del diritto civile rispetto al diritto penale, occorre leggere la fattispecie penalisticamente rilevante secondo gli schemi civilistici, e così verificarne la specifica rilevanza: nullità o altra sanzione, non può essere condivisa. Non solo perché ritenere diritto civile e diritto penale rami separati e non comunicanti del medesimo ordinamento al quale appartengono è probabilmente sbagliato (33); ma anche perché questa posizione non fa giustizia della presenza nell’ordinamento dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ. Insomma, non sembra corretto analizzare gli elementi costitutivi della fattispecie penale (dolo, colpa, nesso causale, evento dannoso o pericoloso) secondo gli schemi civilistici (per es. confrontando il dolo penalisticamente rilevante nella truffa con il dolo della legge civile nel contratto annullabile; il danno nell’usura e il danno nella rescissione). L’indagine sulla rilevanza civilistica del contrasto del contratto con una norma imperativa (non importa se altrimenti sanzionata o meno) va condotto, preliminarmente, con attenzione proprio all’art. 1418, 1° comma, cod. civ. Occorre considerare, innanzitutto, il precetto imperativo non espressamente sanzionato dalla legge civile e indagare la ragione del divieto e della sanzione penale. Se il divieto e la sanzione rispondono a esigenze di ordine pubblico e tutelano interessi generali, si deve concludere per la nullità. Se il divieto e la sanzione non rispondono a esigenze di ordine pubblico e si limitano a tutelare interessi privatistici, la nullità deve essere esclusa e la rilevanza civilistica del divieto deve essere appurata verificando l’esistenza di ulteriori sanzioni o rimedi: quelli posti a tutela di interessi non pubblici e fondamentali ma privati (annullabilità, rescindibilità, recesso, risoluzione).
Queste osservazioni disattendono pertanto l’opinione per cui l’interprete, sulla base dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ., trovandosi davanti a una norma imperativa non espressamente sanzionata dalla legge civile (come la norma penale), deve procedere prima alla verifica della sussistenza di una diversa sanzione,
(30) Per es., Cass. 31 maggio 1969, n. 1956.
(31) Cass. 10 dicembre 1986, n. 7322, cit. in Foro it., 1987, I, 1119; Vita not., 1987, 258; Corr. giur., 1987, 208; Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 269; Cass. 31 gennaio 1990, in Giust. pen., 1991, II, 18 ss.; x. xxxxx Xxxx. 00 xxxxxxxx 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 1962, I, 959; Cass. 8 agosto 1969, n. 1570, in Giur. it., 1970, I, 1, 1729. Tuttavia Xxxx. 17 giugno 1960, n. 1591, in Giust. civ., 1961, I, 138, ha sostenuto la nullità del contratto derivato da una truffa. Nello stesso senso si è pronunciata a volte la giuri- sprudenza di merito: v. App. Roma 19 gennaio 1983, in Vita not., 1984, 441; Pret. Orvieto, 24 gennaio 1979, in Giur. merito, 1980, I, 47.
(32) Cass. 29 ottobre 1994, n. 8948, in Arch. civ., 1995, 817; Corr. giur., 1995, 217; x. xxxxx Xxxx. 00.0.00, x. 0000, xx Xxxx xx.,
1980, I, 2860.
(33) Si tratta dell’errore inverso a quello di chi afferma una assoluta unitarietà dell’illecito nei due rami dell’ordinamento: v. nota 15.
e poi alla verifica dell’applicabilità della sanzione della nullità34.
Alla luce della disposizione di cui all’art. 1418, comma 1, c.c., che pone la nullità come regola e l’altro vizio, o la irregolarità, o la validità come eccezione, sembra preferibile il procedimento contrario: prima la verifica dell’applicabilità della sanzione della nullità, dopo, e in caso di esito negativo, l’indagine sulla comminabilità di diversa sanzione o rimedio. Si evita così l’errore interpretativo di calare la fattispecie, che presenta caratteri di compatibilità con un vizio specifico (es. annullabilità) in tale vizio, pur realizzando il contratto una violazione di principi di ordine pubblico: come accade nel caso della circonvenzione di incapaci???????.
Queste osservazioni sono in linea con il criterio elaborato e seguito dalla giurisprudenza nelle decisioni sulle conseguenze della violazione di una norma imperativa non fornita di sanzione espressa. Il criterio è dato dalla verifica del contrasto della norma imperativa con l’ordine pubblico. Si tratta di un criterio generale, che si è visto espressamente richiamato nell’ambito delle norme imperative penalmente sanzionate. Come ora si vedrà, è sulla linea di questo unico criterio che, nei fatti, e al di là delle motivazioni variegate e occasionali, la giurisprudenza più attenta risolve il problema. Né potrebbe essere altrimenti, atteso che non soccorre nessuna ragione per discostarsi, in questa materia, dagli indirizzi generalmente seguiti in tema di contratto contrario a norme imperative.
5. - Truffa e circonvenzione di incapaci nel contratto: dagli interessi tutelati alle conseguenti figure di invalidità. Sembra proficuo analizzare congiuntamente le conseguenze civilistiche del delitto di truffa e del delitto di circonvenzione di incapace.
Commette il delitto di truffa chi con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o a altri un profitto ingiusto, con altrui danno (art. 640 c.p.). Commette il delitto di circonvenzione di incapace chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o delle inesperienze di un minore o dello stato di infermità o di deficienza psichica di altri, li induce a compiere un atto per quelli o per altri dannoso (art. 643 c.p.). Entrambi i delitti, di cooperazione artificiosa della vittima, possono realizzarsi spingendo quest’ultima alla conclusione di un contratto, vantaggioso per il reo e dannoso per l’altro contraente o per terzi. Nella truffa si pone in primo piano l’elemento di fattispecie del dolo, inteso non come volontà delittuosa ma, specificamente, come comportamento ingannatore, artificioso e raggirante: lo stesso dolo che nel diritto dei contratti cagiona nell’altra parte un vizio del volere: l’errore (art. 1439 cod. civ.). Nella circonvenzione di persone incapaci spicca l’elemento costitutivo dell’incapacità (naturale o legale) del soggetto passivo, perciò vittima dell’altrui condotta delittuosa di approfittamento: incapacità che nel diritto dei contratti rileva, a volte in concorso con altri elementi, quale causa di annullabilità (artt. 428 e 1425 cod. civ.) (35).
La giurisprudenza prevalente sostiene l’annullabilità del contratto derivato da truffa e la nullità del contratto conseguenza di circonvenzione. Dunque, quand’anche la fattispecie concreta di circonvenzione sia tale da soddisfare tutti gli elementi richiesti dagli artt. 428 e 1425 cod. civ. per aversi l’annullabilità, il contratto - secondo l’indirizzo maggioritario - non sarà mai annullabile ma sempre nullo (36).
Queste conclusioni, conformi a quelle della dottrina prevalente (che esclude in ogni caso la nullità) con
(34) Così G.B. Xxxxx, Appunti sull’invalidità del contratto, cit., 389; Mariconda, Truffa e contrarietà del contratto a norme imperative, cit., 210.
(35) Per una attenta disamina dei punti di contatto e delle differenze tra le figure delittuose e i vizi contrattuali che determinano annullabilità x. Xxxxxxxx, I rapporti, cit., 1058 ss., la quale conclude per l’annullabilità in astratto (tranne residuali ipotesi di validità del contratto: come la truffa contrattuale realizzata con dolo incidente: art. 1440 cod. civ.) dei contratti esito di truffa o di circonvenzione di incapace.
(36) Per le critiche mosse dalla dottrina prevalente che - in applicazione della teoria dei reati in contratto - sostiene con assoluta convinzione la annullabilità del contratto con cui si realizza la circonvenzione x. Xxxxxxxxx La rilevanza civile della circonvenzione di incapaci, in Foro it., 1980, I, 2862 ss.; Xxxxxxxxx, Circonvenzione di incapace e nullità o annullabilità del contratto, in Giust. civ., 1980, I, 947 ss.; Mariconda, Delle obbligazioni e dei contratti, Milano, 1984, 434; Id., Quale invalidità contrattuale nel caso di circonvenzione di incapace?, in Corr. giur., 1995, 218 ss.; Xxxxx, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 144 ss.
riguardo alla truffa (37) e conformi alla giurisprudenza minoritaria (che afferma in ogni caso la nullità) con riferimento alla circonvenzione (38) potrebbero apparire schizofreniche. Infatti, mentre nel primo caso il contratto è disciplinato secondo le regole civilistiche applicabili, nel secondo caso pare di no: qui sembra che l’incapacità rilevi, al più, come causa di annullabilità, e mai come causa di nullità. Occorre pertanto leggere attentamente la giurisprudenza che si è affermata.
In tema di contratto con cui si realizza il delitto di truffa essa affronta il problema utilizzando la metodologia raccomandata dalla dottrina dominante, verificando cioè se il contratto dovuto alla frode può essere inserito in una fattispecie civilistica: la annullabilità. In tema di contratto con cui si realizza il delitto di circonvenzione di incapace questa giurisprudenza da un lato - applicando il metodo raccomandato dalla dottrina prevalente - esclude l’assimilabilità dell’incapacità di cui all’art. 643 c.p. a quella di cui all’art. 428 cod. civ., ma dall’altro verifica l’imperatività della norma penale ai fini della comminatoria di nullità.
Tuttavia, provando ad applicare il generale criterio giurisprudenziale della verifica della natura pubblicistica della norma imperativa violata, si giunge in tutti e due i casi alla conclusione fatta propria, con motivazioni varie, dalla giurisprudenza maggioritaria. Il bene protetto nel delitto di truffa è, secondo l’opinione comune, il patrimonio “in quanto offendibile attraverso il ricorso alla frode” (39). Dunque, si tutela un interesse (del soggetto passivo alla integrità del suo patrimonio) di portata non pubblicistica ma privatistica. Coerentemente, se non ricorrono circostanze aggravanti, il delitto è perseguibile a querela (art. 640, 3° comma, c.p.) (40). Alla stregua della lettura giurisprudenziale dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ., il contratto derivato dal delitto, non offendendo l’interesse pubblico, viola una norma imperativa sanzionabile non con la nullità ma diversamente: evidenziandosi un vizio del volere (errore determinato dal dolo altrui), con l’annullabilità.
Anche nel delitto di circonvenzione spesso (e in linea con la tradizione) si ritiene che il bene protetto sia il patrimonio dell’incapace. Ma secondo l’opinione della moderna giurisprudenza, qui la legge penale tutela (piuttosto che il patrimonio) la libertà di autodeterminazione dell’incapace. Puntualizza una dottrina: “la libertà di autodeterminazione di quest’ultimo in ordine agli interessi patrimoniali” (41). Appare acquisito, pertanto, che l’art. 643 c.p. tutela un interesse di portata non privatistica ma pubblicistica. Precise ragioni di ordine pubblico richiedono che sia protetta la libertà dei soggetti deboli
(37) V. nota 19.
(38) V. nota 32.
(39) Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale. Delitti contro il patrimonio, II, 1992, 134; La “esigenza di tutela della libertà negoziale non costituisce lo scopo immediato della norma incriminatrice penale, la quale mira piuttosto a reprimere la condotta fraudolenta dell’autore dell’inganno”: X. Xxxxxxxxx, Commento a Xxxx. 10 dicembre 1986, n. 7322, in Nuova giur. civ. comm. 1987, I, 273-274; “La truffa non è, quindi, considerata una vicenda eversiva dell’ordine economico, ma piuttosto un fenomeno di valore meramente intersoggettivo”: La Cute, Truffa (dir. vig.), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 247. La legge offre tutela solo nella evenienza di un aggressione all’altrui patrimonio rigorosamente definita nelle sue caratteristiche indefettibili di inganno qualificato (realizzato con artifici o raggiri); cosicché eventuali interpretazioni estensive volte ad attribuire rilievo alla libertà dispositiva della vittima sono assolutamente rifiutate in dottrina (cfr. Xxxxxxxx, Xxxxxxx ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, passim; Sammarco, Truffa, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XXXX, Xxxx, 0000, 1 ss.; Id. La truffa contrattuale, Milano, 1988, 53 ss.; Xxxxxx, Truffa, in Digesto discipline penalistiche, XIV, Torino, 1998, 355).
(40) In quanto “il legislatore ha ritenuto di dover subordinare, in presenza di un comportamento truffaldino, l’interesse pubblico all’interesse privato”: La Cute, Xxxxxx, cit., 246.
(41) Fiandaca e Musco, Diritto penale, cit., 163. Le origini della figura criminosa (si veda il codice francese del 1810, art. 406) vanno ricercate nell’esigenza di sanzionare, almeno nei casi limite (approfittamento nei confronti dei minori), le condotte di usura, per il resto ritenute legittime in ossequio al principio fondamentale della libertà contrattuale. Ma già nel codice Xxxxxxxxxx l’estensione della sfera dei soggetti tutelati (art. 415: non più solo i minori, ma anche gli interdetti e gli inabilitati) pone al centro della tutela la libera autodeterminazione dei soggetti psichicamente svantaggiati. La tendenza è confermata nella previsione del codice Xxxxx (che tutela genericamente gli infermi e i deficienti psichici). “Sì che nell’attuale situazione normativa, il delitto appare più legato alla tutela della sfera di libertà di determinazione della persona, che non nella sfera dei suoi interessi patri- moniali ” (Xxxxx, Circonvenzione di persone incapaci, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, 7 s.; v. anche Siniscalco Circonvenzione di persone incapaci, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 53).
e svantaggiati che si determinano all’agire negoziale (42). Coerentemente, il delitto è perseguibile di ufficio. Alla stregua della lettura giurisprudenziale dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ., il contratto derivato dal delitto, offendendo l’interesse pubblico, viola una norma imperativa sanzionabile con la nullità.
6. - I contratti di usura tra rescissione e nullità. Già prima della entrata in vigore della legge antiusura (l. 7.3.96,
n. 108) la giurisprudenza (tranne rare eccezioni) considerava nullo il contratto dovuto a usura esercitata da un contraente ai danni dell’altro (43). In particolare, escludeva che il contratto di usura fosse assoggettabile a rescissione per lesione (art. 1448 cod. civ.) poiché distingueva fra il contratto stipulato nella consapevolezza dell’altrui stato di bisogno e il contratto stipulato con positivo approfittamento dell’altrui stato di bisogno (approfittamento che si concretizza in una condotta attiva che incide sulla altrui determinazione, come accade formulando una proposta contrattuale: ovviamente, di assoluto svantaggio per il destinatario). Il primo contratto non era considerato contrario alla legge penale, ma solo alla legge civile: si riteneva che cadesse sotto la sanzione dell’art. 1448 cod. civ. Il secondo contratto urtava la legge penale e insieme la legge civile; quale negozio contrario alla norma imperativa penale, sotto il profilo civilistico era considerato nullo: perché illecito (nella causa) (44).
In dottrina, se il contratto di usura sia nullo per contrasto con norma imperativa o rescindibile per lesione è ancora oggi oggetto di dilemma (45). Con riguardo alla disciplina previgente, alcuni autori si esprimevano per la nullità, evidenziando anche l’immoralità di un simile contratto (46). La dottrina maggioritaria applicava gli schemi ermeneutici già visti. Sull’assunto che la legge penale reprime non il contratto e lo squilibrio fra le prestazioni ma il comportamento contrattuale di una parte (l’usuraio) che determina l’iniquità dello scambio pattuito, e sulla considerazione che la norma penale non espressamente
(42) V. anche Xxxxxxxxxx, Incapacità di intendere o di volere e libertà dispositiva del soggetto, in Casi e questioni di diritto privato, I, Persone fisiche e persone giuridiche, a cura di Xxxxxxx, Milano, 1993, 13; Meruzzi, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contratto impresa, 1999, 457, nota 86.
(43) In un primo momento la Suprema corte cassò la giurisprudenza di merito sulla nullità del contratto di usura (es., App. Napoli 23 novembre 1932, in Mon. trib., 1933, 301), in ossequio al principio della libera contrattazione degli interessi affermato nell’art. 1831 cod. civ. del 1865: così Xxxx. 5 febbraio 1934, in Foro it., 1934, I, 471. Dal 1940, facendo propria l’opinione espressa da Xxxxx (v. I limiti della libertà contrattuale e l’usura, in Riv. crit. dir. giur., 1908, II, 1, 1 ss.; Ancora della repressione dell’usura nel sistema del diritto civile vigente, in Riv. dir. comm., 1918, II, 634 ss.; Ancora della repressione dell’usura nel diritto privato, in Riv. dir. comm., 1927, II, 331 ss.) è invece decisamente orientata nel senso della nullità (per contrarietà al buon costume): cfr., fra le numerose, Cass. 15 maggio 1940, in Foro it., 1940, I, 457; Cass. 28 giugno 1946, n. 722, in Giur. it., 1948, I, 1, 50; Cass. 15 marzo 1947, n. 389, in Giur. it., 1948, I, 1, 50; Cass. 29 marzo 1950, n. 838; Cass. 14 aprile 0000, x. 000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 0000; Cass. 20 novembre 1957, n. 4447, in Giur. it., 1957, I, 1, 1338; Cass. 8 febbraio 1960, n. 117; Cass. 24 marzo 1962, n. 594; Cass. 6 aprile 1966, n. 926; Cass. 6 maggio 1966, n. 1158; Cass. 24 maggio 1966, n. 1615; Cass. 16 maggio 0000, x. 0000, xx Xxxx xxx., 0000, X, 000; Cass. 31 maggio 1969, n. 1956; Cass. 12 giugno 1973, n. 1693; Cass. 17 maggio 1974, n. 1426; Cass. 10 gennaio 1976, n. 55; Cass. 26 agosto 1993, n. 9021, in Arch. civ., 1994, 31; Cass. 22 gennaio 1997, n. 628, in Giur. it., 1998, 926; Contratto impresa, 1998, 102. Tra le poche pronunce di segno opposto, x. Xxxx. 00 gennaio 1980, n. 642, in Arch. civ., 1980, 681. Un’ampia ricostruzione storica della giurisprudenza sull’usura in Meruzzi, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 425 ss., 450 ss. È interessante notare come in Germania il § 138 B.G.B. sanzioni il contratto usurario con la nullità per contrarietà al buon costume.
(44) V. per es. Cass. 22 gennaio 1997, n. 628, in Giur. it., 1998, 926; Contratto impresa, 1998, 1027.
(45) Una pregievole ricostruzione della dottrina di inizio secolo in Rotondi, Vecchie e nuove tendenze per la repressione dell’usura, in Riv. dir. civ., 1911, I, 237 ss. Sempre nella prospettiva storica, x. Xxxxxx, La nuova legge sull’usura, Padova, 1998, 1 ss.; Xxxxxxx, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 410 ss.
(46) In questo senso - e sulla scia di Degni: v. nota 43 - Betti, Teoria generale, cit., 115, nota 8; De Cupis, La distinzione tra usura e lesione nel diritto vigente, in Dir. fall., 1946, I, 77 ss.; Xxxxxxxxx, In tema di usura e lesione, cit., ss.; de Xxxxxxxx e Xxxxx, Istituzioni di diritto privato, II, Milano e Messina, 1950, 34, nota 2; Messineo, Il contratto in generale, cit., 250; Fragali, Xxx xxxxx, in Commentario al codice civile a cura di Xxxxxxxx e Branca Bologna e Roma, 1966, 382; Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna e Roma 1970, 336; Xxxxxxxxx, Violenza, in Noviss. Dig. It., XX, Torino, 1975, 953; Monticelli, Divieti valutari e autonomia privata, cit., 70, nota 112; Bianca, Diritto civile III, cit., 649; Xxxxxxxx, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contratto impresa, 1984, 311 ss. Per la dottrina precedente al codice civile attualmente in vigore
x. Xxxxxxx, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 433, nota 37.
sanzionata con la nullità è trattata dalla legge civile con l’apposito rimedio della rescissione per lesione, propendeva per la rescindibilità del contratto derivato da usura. Fondava la soluzione anche sulla sostanziale coincidenza degli elementi di fattispecie di cui all’art. 644 c.p. con i requisiti posti dall’art. 1448 cod. civ.: stato di bisogno di un contraente, condotta di approfittamento dell’altro, danno (forte squilibrio) contrattuale (47).
L’indirizzo dominante in dottrina era peraltro conforme alle intenzioni del legislatore che, con la disciplina della rescissione per lesione, si riprometteva di regolare i contratti usurari “in quanto saranno rari i casi (permuta di immobili, contratti con reciproco scambio di prestazioni di fare) in cui l’azione stessa potrà operare al di fuori della norma penale” (48).
Tuttavia, se l’usura era praticata per mezzo di un contratto di mutuo l’art. 1815 cod. civ., prima della novella di cui all’art. 4 della l. 7 marzo 1996, n. 108, prevedeva la nullità della pattuizione di interessi usurari, riconoscendo gli interessi nella misura legale. Si poneva (e si pone) così il problema di chiarire come mai il reato di usura consumato concludendo un contratto possa comportare, secondo la dottrina dominante, la nullità della singola clausola di interessi nell’ipotesi dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. e in tutti gli altri casi la rescindibilità del contratto per lesione.
Chi ha tentato una risposta ha sostenuto che le due norme operano in ambiti diversi. L’art. 1448 cod. civ. sanziona sul piano civilistico la condotta di reato di chi si approfitta dell’altrui debolezza economica facendo usura. Il contratto è sanzionato non per l’assetto di interessi che realizza ma per la condotta delittuosa di una delle parti che lo determina. Invece, l’art. 1815, 2° comma, cod. civ. (formulazione originaria) sanziona non il comportamento di qualcuno, ma il contratto: l’assetto globale di interessi che esso realizza (49). Il fondamento di questa (ipotizzata) distinzione è però alquanto oscuro. Vengono affermate ragioni di opportunità: la rescissione del contratto avrebbe comportato per il mutuatario usurato l’obbligo della restituzione della somma percepita, invece il meccanismo della nullità parziale con sostituzione di clausola non lo espone a questa grave conseguenza (50).
Ma, a fronte di ragioni di opportunità, sta la coerenza del sistema. Come in qualsiasi contratto di usura, anche nel mutuo (usurario) vi è il comportamento penalmente sanzionato di una parte ai danni dell’altra. Va poi considerato che la norma offesa tutela sempre ragioni di ordine pubblico. Infatti, nonostante qualche voce discorde (51), già la tesi affermatasi nella dottrina classica riteneva il reato plurioffensivo e individuava come oggetto della tutela non solo il patrimonio dell’usurato ma anche l’economia pubblica
(47) X. Xxxxxxx, Contributo alla teoria dell’abuso e della lesione nel diritto positivo italiano, Milano, 1946, 41 ss.; Xxxxxx, Della rescissione del contratto, in Commentario al codice civile diretto da D’Xxxxxx e Xxxxx, Firenze, 1948, 766; Mirabelli, Usura e rescissione, in Dir. giur., 1947, 44 ss.; Id., Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, IV, 2, Torino, 1958, 460; Id., La rescissione, cit., 132; G.B. Xxxxx, Interessi usurari e criterio di normalità, in Riv. dir. comm., 1975, I, 289; Id., Il negozio giuridico fra libertà e norma, Rimini, 1992, 152, nota 163; Xxxxxxxx, I rapporti, cit., 1065; Sesta, La rescissione del contratto, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale fondata da Bigiavi diretta da Xxxx e Xxxxxxx, I contratti in generale, IV, Torino, 1991, 810 e in Nuova giur. civ. comm. 1991, II, 75; Xxxxxxxx, In tema di norme penali e nullità del negozio giuridico, cit., 470; Carresi, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale dir. da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, XXI, 1987, 356; Quadri, Profili civilistici dell’usura, in Foro it., 1995, V, 339; Xxxxx, in Sacco e De Nova, Il contratto, cit., I, 481, nota 5; v. anche Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 152; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1994, 944; Xxxxxxx, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 445 ss.; 460 s. (e l’altra dottrina ivi citata).
(48) Relazione al cod. civ., n. 658. Sui lavori preparatori al codice civile riferisce esaurientemente Xxxxxxx, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 438 ss.
(49) Così G.B. Xxxxx, Interessi usurari e criterio di normalità, cit., 289.
(50) Per tutti, v. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 153.
(51) X. Xx Xxxxxxx, Delitti contro il patrimonio, Napoli, 1940, 259.
(52), e la libertà morale della vittima (53). La natura di ordine pubblico della norma violata (54) impone la soluzione della nullità (per illiceità) del contratto usurario, quale che sia lo schema causale adottato. Del resto gli interessi della parte debole possono essere tutelati agevolmente e senza urtare i principi. La norma sugli interessi da usura nel mutuo costituisce, a riguardo, un ottimo esempio. Il fatto è che la rescissione è un rimedio sempre stridente con l’organizzazione globale delle ragioni tutelate nell’ordinamento; essa è totalmente inopportuna; l’interprete ha il compito di minimizzarne l’applicazione per non intaccare la razionalità dell’ordinamento. Cosa di cui si è preoccupata la giurisprudenza. Infatti, il (biasimato) indirizzo saldamente affermatosi è figlio di un movimento interpretativo più ampio: quello per cui il contratto in violazione di una norma di ordine pubblico è nullo.
Si deve riconoscere che nessuna interpretazione è, in questo campo, assolutamente lineare: se da un lato pesa l’originaria determinazione del legislatore che ha inteso trattare il reato di usura, nelle sue conseguenze civilistiche, con il rimedio della rescissione (55), dall’altro pesano i principi informatori del sistema, che portano a ritenere che il contratto di usura, poiché viola norme di ordine pubblico, è sempre illecito.
La giurisprudenza, (insieme a parte della dottrina) adottando una interpretazione minimizzante dell’art. 1448 cod. civ., ha contribuito a conservare la razionalità del sistema, a difenderne la sua interna coerenza. Ma, tutta proiettata in questo sforzo, ha commesso l’errore di appiattire la figura civilistica dell’usura su quella disegnata dal diritto penale. Infatti ha sempre ritenuto attivabile l’art. 1815, 2° comma, cod. civ. a vantaggio dell’usurato a condizione che la fattispecie integrasse gli elementi del reato di cui all’art. 644 c.p.: oltre agli interessi usurari, lo stato di bisogno della vittima e l’approfittamento del reo (56). In dottrina si è sottolineato criticamente che in tal modo la sanzione civile è inopportunamente depotenziata, essendo appesantita da requisiti non annoverati dal legislatore (57). In effetti, quando la legge ha voluto questi altri presupposti, li ha richiesti espressamente: così nell’art. 1448 cod. civ. Per restituire razionalità ed efficacia
(52) Così Xxxxxxx, Il delitto di usura. Nota economico-giuridica, in Giur. it., 1935, IV, 94. Significativo il X.X. xxx 0 aprile 1828 che, in applicazione del disposto degli art. 1777 e 1779 del Codice del Regno delle due Sicilie, fissa il saggio legale degli interessi nel mutuo affinché esso “corrisponda nel tempo stesso ai principi di giustizia, ed a quelli di pubblica economia” giacché l’usura arreca sommo pregiudizio “alla proprietà, all’agricoltura, all’industria e al commercio” (così la premessa all’articolato).
(53) Cfr. Xxxxxxx, Contributo alla dottrina dell’usura e della lesione nel diritto positivo italiano, Milano, 1946, 30.
(54) Ben sottolineata da de Xxxxxxxx e Xxxxx, Istituzioni di diritto privato, II, cit., 33, che scrivono: “Grave e complesso problema è però codesto della determinazione del tasso [usurario] e della funzione da riservarsi al legislatore: un problema che ha sempre preoccupato (e fu causa talora perfino di agitazioni e di perturbamenti politici) per le molteplici questioni di altissima impor- tanza sociale ed economica che vi sono coinvolte”.
(55) La conferma si trae, oltre che nella Relazione al cod. civ., nella previsione dell’art. 1449 cod. civ., secondo cui il termine di prescrizione dell’azione di rescissione è di norma annuale, a meno che il fatto non costituisca anche reato, nel qual caso si applica il termine di prescrizione di quest’ultimo. Dove è evidente che il reato non può che essere quello punito dall’art. 644 c.p.: come affermano i sostenitori della rescindibilità del contratto di usura e come anche riconoscono autori di opposto avviso (v., per es., Xxxxxxxxxxxx, Contratti in generale, cit., 267; in giurisprudenza x. Xxxx. 00 gennaio 1980, n. 642, cit.).
(56) X. Xxxx. 00 xxxxxxxx 0000, 0000, xx Xxxx xx., 1962, I, 707; Cass. 6 aprile 1966, n. 926; Cass. 24 giugno 1966, n. 1615; Cass.
pen. 19 aprile 1972, n. 2515; Cass. 12 giugno 1973, n. 1693, Foro it., 1974, I, 476; Cass. 17 maggio 1974, n. 1426; Cass. 10
gennaio 1976, n. 55; Cass. 7 dicembre 1976, n. 4569; Cass. 7 aprile 1977, n. 1329; Cass. 16 novembre 1979, n. 5956; Cass. 26
agosto 1993, n. 9021, in Arch. civ., 1994, I, 31; App. Napoli, 14 maggio 1970, in Dir. e giur., 1970, 909. Consensi in dottrina: v. Messina, Usura e negozio usurario, in Scritti giuridici, V, Milano, 1948, 145 ss.; Carresi, Il comodato. Il mutuo, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1954, 177; Xxxxxxxxx, Obbligazioni pecuniarie, in Commentario al codice civile diretto da Xxxxxxxx e Branca, Bologna e Roma, 1959, 591, nota 1; Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1962, 130.
(57) Nella dottrina classica v. De Cupis, Xxxxx e approfittamento dello stato di bisogno, in Riv. dir. civ., 1961, I, 505; Fragali, Del mutuo, cit., 373 ss.; Giampiccolo, Comodato e mutuo, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxxx e Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Milano, 1972, 89 ss.; nella dottrina recente, v. G.B. Xxxxx, Interessi usurari e criterio di normalità, cit., 282 ss.; Xxxxxxxx, I contratti tipici e atipici, contratti di alienazione, di godimento e di credito, I, in Trattato di diritto privato diretto da Xxxxxx e Zatti, Milano, 1995, 717; Quadri, Profili civilistici dell’usura, cit., 343.; Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo ad interessi usurari, Napoli, 1997, 19. Rarissime le pronunce secondo cui si possono avere interessi usurari ai sensi dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. anche in ipotesi diverse da quelle indicate dall’art. 644 c.p. V., per es., App. Caltanissetta 6 luglio 1957; Pret. Torino 16 maggio 1987, in Arch. civ., 1988, 838.
al sistema di repressione dell’usura, era divenuto necessario l’intervento del legislatore.
7. - La nuova disciplina dettata dalla l. 7 marzo 1996, n. 108 e l’obbiettivo della tutela del mercato. La l. 7 marzo 1996, n. 108, adottata sotto la pressione dell’opinione pubblica che chiedeva seri provvedimenti contro un fenomeno che la crisi economica e l’attivismo della criminalità organizzata hanno reso dilagante, ha ridisegnato la fattispecie penalistica e ha riscritto il secondo comma dell’art. 1815 cod. civ. (58).
Nel nuovo art. 644 c.p. non si fa più menzione dell’approfittamento dello stato di bisogno della vittima (che rileva solo quale aggravante: art. 644, 5° comma, n. 3 c.p.) e si punisce, direttamente, il comportamento di chi si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità (o dell’attività di mediazione per procurarli) interessi o vantaggi usurari. Oltre a non richiedersi più l’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, si è ridefinito l’elemento del corrispettivo: si è sostituito al precedente riferimento al denaro o “altra cosa mobile” (c.d. usura pecuniaria) il riferimento al denaro o “altra utilità” (dunque anche servizi e beni immobili: c.d. usura reale) e sono stati inseriti precisi indici di rilevazione degli interessi incaricando l’autorità amministrativa di una classificazione annuale delle operazioni di credito per gruppi omogenei e di una rilevazione trimestrale dei tassi di interesse in esse praticati (art. 644, 3° comma, c.p., art. 2 l. 108 del 1996) (59). Sono stati poi imposti agli erogatori istituzionali del credito precisi obblighi di pubblicità sia sulla classificazione annuale delle operazioni sia sulla rilevazione trimestrale dei tassi. È stata disciplinata l’attività di mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti riservandola a soggetti autorizzati (art. 16 l. 108 del 1996). Nel nuovo art. 1815, 2° comma, cod. civ. si dispone che se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla, e non sono dovuti interessi.
Queste modificazioni rendono superato l’avviso prevalente in dottrina e in giurisprudenza per cui l’approfittamento dello stato di bisogno è requisito necessario per aversi usurarietà dell’interesse (60). Inoltre le nuove norme, rompendo con la tradizione, dettano una articolata definizione di interessi usurari che, essendo l’unica, si deve ritenere abbia portata generale (con la conseguenza di escludere uno spazio più ampio di usurarietà degli interessi in sede civile) (61). Ancora, pongono regole di trasparenza del mercato. Infine, introducono una pesante sanzione civile a carico dell’usuraio, che non percepirà interessi di sorta.
Emergono con chiarezza gli interessi tutelati: non soltanto la libertà contrattuale della parte debole (62) ma più in generale il corretto svolgimento delle relazioni economiche nel mercato del credito (63) e la tutela, al suo interno, delle soggettività deboli - imprese di medie e piccole dimensioni (64) e consumatori
(58) V., in generale, Xx Xxxxxxx, Usura, in Enc. giur. Treccani XXXII, Roma, 1997, 1 ss. Una ricostruzione della problematica interpretativa che ne è scaturita si legge in Xxxxxxxxx, La rescissione, in I contratti in generale a cura di Xxxxxxxxx, cit., II, 1449 ss.
(59) La soluzione è ispirata alla legislazione francese in materia: x. xx x. 00-0000 del 28 dicembre 1966; la l. 89-1010 del 31 dicembre 1989, poi confluite nel Code de la consommation emanato con la l. 93-949 del 26 luglio 1993.
(60) Esemplificativamente, x. Xxxxxxxxx, I contratti di credito, Padova, 1953, 271 ss.; Xxxxxxxxx, La rescissione, cit., 124 ss.; Xxxxxxxxx,
Interessi, cit., 130; Cass. 26 agosto 1993, n. 9021; Trib. Milano, 6 aprile 1995, in Gius, 1995, 1423.
(61) Così Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali: nuove disposizioni in tema di usura e tutela civilistica della vittima del reato, in Riv. dir. comm., 1997, I, 773; Xxxxxxx, Gli interessi usurari. Profili civilistici, Napoli, 1999, 16 e 22 ss.; Quadri, Usura e legislazione civile, in Corr. giur., 1999, 893; Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000. Resta inteso che la norma civilistica e la norma penalistica trovano poi autonoma applicazione, essendo ben possibile che una fattispecie civilisticamente usuraria non sia penalisticamente perseguibile, non essendo integrati tutti gli elementi di fattispecie (es., manca il dolo) o essendosi estinto il reato (es., per sopravvenuta prescrizione o per morte dell’imputato prima della condanna defini- tiva) o essendosi estinta la pena (es., per morte del reo dopo la condanna definitiva). V. sul punto ancora Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 17 ss. e Xxxxxx, Usura e legislazione civile, cit., 893.
(62) Come già sottolineava Xxxxxxxx, Il delitto di usura, Milano, 1970, 244; Id., Xxxxx (delitto di), in Noviss. Dig. it., XX, Torino, 1975, 387; v. anche Grosso, Usura (dir. pen.), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 1148.
(63) V. per tutti Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 535.
(64) Per le quali l’art. 15 della l. 108 del 1996 prevede il soccorso del Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura.
(65) - secondo una strategia condotta già in sede comunitaria e realizzata nei primi anni dell’ultimo decennio con il riassetto della legislazione bancaria intorno ai valori della trasparenza, della correttezza, della buona fede, della repressione delle condotte abusive. Il tutto, nell’orbita della generale previsione dell’art. 2 trattato CE sulla promozione - con l’instaurazione di un mercato comune e di una unione economica e monetaria - di uno sviluppo equilibrato delle attività economiche, di una crescita sostenibile e non inflazionistica, rispettosa dell’ambiente e finalizzata al miglioramento del tenore e della qualità della vita (66).
L’enorme rilevanza degli interessi tutelati - assolutamente di ordine pubblico - impone fin d’ora la soluzione della nullità del contratto di usura (67). In favore di questa soluzione possono essere spesi anche altri argomenti: come si spera di dimostrare nei paragrafi che seguono.
8. - Interessi usurari, anche sopravvenuti, e illiceità o inefficacia della pattuizione. Usurarietà degli interessi moratori. Conviene soffermarsi, sia pure brevemente, sulle nuove figure degli interessi usurari. In primo luogo, la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (art. 644, 3° comma, c.p.). A tale fine il ministero del Tesoro deve operare con decreto una classificazione annuale delle operazioni creditizie praticate dalle banche e dagli altri intermediari finanziari iscritti negli appositi elenchi di cui agli artt. 106 e 107 del t.u. sul credito (d.lgs. n. 385 del 1993) raggruppandole in categorie omogenee (tenuto conto della natura dell’operazione, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie ). Tale decreto è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Quindi il ministero, sempre con decreto, deve rilevare trimestralmente il tasso medio praticato all’interno di tali categorie. Il limite di usurarietà è stabilito in questo tasso aumentato della metà (art. 2, 1°, 2°, 4° comma, l. 108 del 1996). In dottrina si è parlato di usurarietà oggettiva “o per solo tasso elevato, cioè senza altri elementi” (68). In secondo luogo sono usurari gli interessi anche inferiori a tale limite, nonché i vantaggi o compensi che - considerate le concrete
(65) Per i quali non è previsto il sostegno del fondo. Il che testimonia secondo alcuni la tendenza “a far sistematicamente prevalere le esigenze della produzione e del mercato su quelle del civis in quanto tale” (Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 80 s.; v. anche De Angelis, Usura, cit., 11). Condividendo appieno la critica al legislatore - che sotto questo aspetto non tutela persone che possono essersi assoggettate al prestito usurario per fronteggiare emergenze gravissime (es., la cura di una malattia) - si deve aggiungere che la mancanza di tutela dei consumatori determina una tutela ridotta del mercato, di cui essi costituiscono una soggettività necessaria: come già intuiva Ascarelli, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, 469.
(66) Utile la lettura di Xx Xxxxxxx, Usura, cit., 7; Xxxxxx, Usura e legislazione civile, cit., 891; Bellacosa, Usura, in Digesto discipline penalistiche, XV, Torino, 1999, 149; Xxxxx, La nuova legge sull’usura, Torino, 1997, 69; Cerase, L’usura riformata: primi approcci a una fattispecie nuova nella struttura e nell’oggetto di tutela, in Cass. pen., 1997, 2614. V. anche Xxxxx, Osservazioni sulla nuova disciplina penale del reato di usura, in Riv. pen., 1996, 131; Xxxxxxx, Disposizioni in materia di usura. La modificazione del codice civile in tema di mutuo ad interessi, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 1331. Dichiara qualche perplessità sul punto Cristiani, Guida alle nuove norme sull’usura, Torino, 1996, 32. Xxxxxxx, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 471 ss. condivide l’opinione sulla natura di ordine pubblico dell’interesse protetto con riguardo all’usura c.d. oggettiva, ritiene invece il patrimonio della vittima oggetto specifico di tutela nel caso della usura c.d. soggettiva. Quest’ultima opinione non può essere condivisa: perché spezza la logica interna della tutela, nega sostanzialmente la compatibilità della tutela di interessi generali con quella di interessi singolari, non coglie lo storico rapporto tra tutela contro l’usura ed esigenze di corretto funzionamento degli scambi.
(67) Cfr. anche Quadri, Usura e legislazione civile; cit., 896.
(68) Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 14 ss., il quale rileva anche che può essere penalmente sanzionato solo il contratto classifi- cato negli elenchi forniti dai decreti annuali, mentre rischiano di rimanere fuori contratti legalmente e socialmente atipici. Tuttavia, ai fini civilistici, ipotizza (sulla scorta di altra dottrina: Xxxx, Usura: problema millenario, questioni attuali, in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, 183) la possibilità di una interpretazione analogica delle categorie classificate. Altro problema è dato dal fatto che per talune operazioni rare nella prassi delle banche e degli altri intermediari finanziari possono mancare tassi di mercato. A riguardo propone, sempre a fini civilistici, il raffronto con il TAEG medio in assoluto più elevato nel periodo di riferimento, aumentato della metà.
modalità del fatto e il tasso medio praticato per operazioni assimilabili - risultano sproporzionati (69) rispetto alla prestazione di denaro o altra utilità (o all’opera di mediazione) quando chi li ha dati o promessi versa in condizioni di difficoltà economica (ossia patrimoniale) o finanziaria (ossia di liquidità) (art. 644, 3° comma, c.p.). In dottrina si è parlato di “usurarietà soggettiva o per altri elementi (70).
Il problema più grave sollevato da queste disposizioni concerne - immediatamente - il concretizzarsi o meno del reato e il trattamento del contratto con riguardo alle condotte poste in essere e ai contratti stipulati in precedenza ma ancora in corso di esecuzione al momento della loro entrata in vigore. E - subito dopo - la sussistenza o meno del reato e la disciplina del contratto con riguardo alle condotte legittimamente poste in essere e ai contratti lecitamente stipulati nel vigore della legge i quali, a seguito del successivo abbassamento dei tassi soglia, acquisterebbero in astratto il carattere della usurarietà. Intrattenersi su queste questioni è d’obbligo dato il tema del lavoro, ma costituisce anche ottima occasione per studiare l’intricata questione delle ragioni di ordine pubblico sopravvenute nei loro riflessi sulla disciplina del contratto e sulla disciplina del reato.
A differenza della dottrina, la giurisprudenza si è finora pronunciata solo sulla prima manifestazione del problema (ma le soluzioni prospettate sono ovviamente valide anche per la seconda).
Sul piano penalistico sono possibili due linee interpretative. Per la prima, la sussistenza della figura di reato va appurata con riferimento al momento della pattuizione: se allora gli interessi erano da considerare da usura (ricorrendo anche gli altri elementi) si ha reato, altrimenti no; le successive variazioni dei tassi restano del tutto irrilevanti (71). Similmente parte della giurisprudenza, sul rilievo che nessuna disposizione della legge antiusura è riferita alla efficacia retroattiva ritiene insuperabile la regola della irretroattività della nuova legge (art. 11 disp. prel.) e sostiene che i contratti già stipulati, e non ancora completamente adempiuti, in quanto già perfezionati prima della sopravvenienza della l. n. 108 del 1996, sono esclusi dalla sua applicazione. La nuova normativa deve essere applicata esclusivamente ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore (72).
Per la seconda linea interpretativa, poiché la condotta penalmente sanzionata riguarda non solo il farsi promettere interessi da usura (cosa che avviene con la stipulazione del contatto, e già in fase precontrattuale), ma anche il farsi dare interessi da usura (cosa che avviene al pagamento di ogni rata) la sussistenza della figura di reato deve essere appurata con riferimento sia al momento della pattuizione che al momento, successivo, della esecuzione del contratto (73). Circa i contratti in corso al momento di entrata in vigore della legge antiusura si precisa in giurisprudenza che se questa condotta: ricezione di
(69) In dottrina l’introduzione del concetto di sproporzione è stata commentata positivamente “perché segna il momento di emersione normativa della tendenza a superare il dogma dell’autonomia contrattuale in favore della tutela del contraente ef- fettivamente più debole” (Xx Xxxxxxx, Usura, cit., 2).
(70) Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 14.
(71) Così, fra i penalisti, Xxxxxxxx, Sui nuovi tempi della fattispecie di usura, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 664 ss.; Xxxxxx, L’usura riformata, cit., 2595 ss.; X. Xx Xxxxxxxxx, Riflessi penali della giurisprudenza civile sulla riscossione di interessi divenuti usurari successivamente all’entrata in vigore della l. n. 108 del 1996, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 524 ss.; fra i civilisti, X. Xx Xxxxxxxxx, Lo sconto, in AA.VV. I contratti bancari. Problemi risolti e questioni ancora aperte, Milano, 1999, 129, nota 13; Xxxxxx, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso “soglia” e ... usuraio sopravvenuto, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 517 ss.; Xxxxxxx, Interessi usurari e mutui stipulati anteriormente alla legge 108/96, in Contratti, 1999, 595.
(72) Così Procura Rep. presso Trib. Torino (decr.) 27 novembre 1998, in Corr. giur. 1999, 454; Trib. Lodi 30 marzo 1998, in Corr. giur., 1998, 810; Trib. Salerno (ord.) 27 luglio 1998, in Contratti, 1999, 589; Pret. Macerata-Civitanova Marche 1° giugno 1999, in Foro it., 2000, I, 1709. Trib. Roma (ord.) 4 giugno 1998, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, 501; Foro it., 1998, I, 2557 e Trib. Roma 10 luglio 1998, in Foro it., 1999, I, 343, puntualizzano: il meccanismo di individuazione del carattere usurario degli interessi sulla base delle rilevazioni trimestrali condotte dal ministero del Tesoro deve essere riferito al trimestre precedente alla stipulazione, e non a quello anteriore alla esecuzione tramite il pagamento della singola rata.
(73) Così, fra gli altri, Pisa, Commento a provvedimenti attuativi in materia di usura, in Dir. pen. e proc. 1997, 538; Xxxxxxxxxx, La legge sull’usura e i vecchi mutui, in Impresa, 1998, 461; Xxxxxxxxxx, Le nuove regole del reato, in Impresa, 1996, 3802; Xxxxxxx, Il reato di usura ed i contratti di credito: un primo bilancio, in Contratto impresa, 1999, 506 ss. In giurisprudenza, x. Xxxx. pen. 22 ottobre 1998, in Corr. giur., 1999, 452, con nota adesiva di Gioia, Una costruzione unitaria dell’usura, ivi, 455 ss.
interessi usurari, è autonomamente sanzionata con norma penale (che evidentemente è di ordine pubblico), ne deriva che il contratto di mutuo, originariamente lecito, diviene illecito (74) o - secondo altra tesi - inefficace (75). Pertanto gli interessi pattuiti prima della l. n. 108 del 1996 vanno corrisposti nell’interezza fino alla data di entrata in vigore della legge, e nei limiti della misura massima consentita dalle nuove regole (tasso globale medio aumentato della metà) per il periodo successivo (76).
I sostenitori di questa seconda posizione seguono un ragionamento apparentemente irrefutabile: il criterio di individuazione degli interessi usurari stabilito nella l. 108 del 1996 è unico, e vale sia per il settore civile che per il settore penale; il nuovo testo dell’art. 644 c.p. punisce non solo chi si fa promettere, ma anche chi si fa dare interessi da usura; se gli interessi originariamente corrisposti divengono usurari in un secondo momento, chi li riceve commette un reato. Ne consegue che il contratto in forza del quale tali interessi sono corrisposti non può che essere divenuto inefficace: non in generale, ma nei limiti in cui consente interessi da usura.
Almeno sul piano civilistico, si può contrapporre altro ragionamento apparentemente irrefutabile: l’art. 1815 cod. civ. come novellato sanziona la pattuizione e non anche la dazione di interessi smodati. Prescindendo da ciò che è reato, civilisticamente ricevere interessi che all’epoca della conclusione del contratto non erano da usura è perfettamente lecito (77). Si vede: nessuna ragione decisiva milita a favore della prevalenza del disposto dell’art. 644 c.p. su quello dell’art. 1815 cod. civ. (78). Occorre pertanto cercare la soluzione all’interno dello stesso art. 1815, 2° comma, cod. civ. o, più ampiamente, all’interno del sistema civilistico.
Orientata in tal modo la riflessione, non si tarda a notare che la norma sul mutuo statuisce sugli interessi pattuiti, mentre su quelli pagati si limita a tacere. A differenza di quanto di solito avviene, in questo caso il silenzio non può essere ritenuto decisivo. Se infatti per regola generale i limiti all’autonomia privata devono essere specificati dalla legge (art. 1322 cod. civ.), nel sistema è rinvenibile anche l’art. 1418, 1° comma, cod. civ., che dichiara la nullità per il contratto (o il patto) che viola norme imperative. Poiché fra di esse rientrano anche le norme penali, e dunque anche l’art. 644 cod. pen. (79), la sanzione penale della dazione può ben comportare, sul piano civilistico, l’illiceità (sopravvenuta) della pattuizione che determina una (successiva) dazione vietata da norma imperativa di ordine pubblico. Anche respingendo la tesi della
(74) In questo senso Trib. Firenze (ord.) 10 giugno 1998, in Giur. it., 1999 528; Corr. giur., 1998, 805. Nello stesso senso due ordinanze del Pretore di Pozzuoli, inedite e riportate da Xxxxxxx, Il reato di usura ed i contratti di credito, cit., 502, nota 2, che si pone sulla stessa linea (503, nota 6 e 529). In questo senso, inoltre, le prime pronunce di legittimità sul punto: Xxxx. 22 aprile 2000, n. 5286, in Foro it., 2000, I, 2180; Corr. giur., 2000, 878; Giust. civ., 2000, I, 1634; Cass. 17 novembre 2000, n. 14899, in Guida al diritto, 2 dicembre 2000, 39.
(75) Così Trib. Velletri (ord.) 3 dicembre 1997, in Foro it. 1998, I, 1607; Banca borsa tit. cred. 1998, II, 501; Corr. giur. 1998, 437;
v. anche Trib. Velletri 3 dicembre 1997, in Foro it. 1998, I, 1607; Trib. Palermo 7 marzo 2000, in Foro it., 2000, I, 1709.
(76) Nello stesso senso Xxxxxxx, Il reato di usura ed i contratti di credito, cit., 519 ss., che sulla scorta della decisione dei giudici fiorentini richiama il meccanismo della sostituzione automatica di clausole di cui all’art. 1339 cod. civ. Trib. Milano, 13 no- vembre 1997, in Corr. giur., 1998, 435; Foro it., 1998, I, 1607, pur affermando l’applicabilità della nuova legge sull’usura al contratto stipulato in precedenza, ritiene che il saggio da applicare sia quello legale: come se la nuova legge non fosse ancora entrata in vigore (per questa critica x. Xxxxxxx, Il meccanismo di determinazione del tasso medio e del tasso soglia, in Corr. giur., 1998, 437).
(77) Va precisato che deve essere inoltre esclusa la possibilità di una interpretazione analogica della norma posta dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. che riconduca nell’ambito della sanzione non solo gli interessi pattuiti ma anche quelli pagati: non solo per la natura eccezionale di questa norma imperativa proibitiva rispetto al principio generale del libero esercizio dell’autonomia privata (art. 1322 cod. civ.), ma anche per l’assenza di identica ragione di tutela nelle diverse ipotesi di convenzione genetica- mente usuraria e usuraria per sopravvenienza. Cfr. Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 41; Xxxxxxx, Il reato di usura ed i contratti di credito, cit., 525 ss.
(78) Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 536 prospetta una terza via interpretativa. Accoglie la prima tesi nel caso di contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge antiusura, e la seconda tesi nel caso di contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore di tale legge, e divenuti usurari.
(79) Che tutela certamente interessi propri dello Stato comunità, e quindi di ordine pubblico: la libertà contrattuale; l’integrità del mercato del credito (v. meglio oltre, § 11).
illiceità del contratto, il riferimento legale alla pattuizione non impedirebbe comunque il giudizio di eccessiva onerosità soppravvenuta degli interessi originari e nemmeno quello della loro inefficacia sopravvenuta. In altre parole, benché la legge si occupi soltanto del momento genetico dell’atto sembra indubitabile che quest’ultimo una volta formato resti assoggettato all’applicazione degli istituti che ne disciplinano il momento funzionale.
Pertanto, se si accantonano gli aspetti penalistici ci si può interrogare sui possibili rimedi civilistici alla usurarietà sopravvenuta. Si potrebbe ipotizzare il ricorso alla disciplina della risoluzione (in generale e specialmente) per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 cod. civ.). Tuttavia, considerata l’ampiezza dell’alea naturale dei contratti di credito, il tentativo sortirebbe con ogni probabilità scarsi risultati (80). Maggiormente prospettabile (ed infatti prospettata) l’idea che l’usurarietà successiva integri una ipotesi di nullità sopravvenuta. La soluzione è però resa difficile dalla problematicità insita nella figura (81) e dal rilievo che l’illiceità sopravvenuta della singola clausola determinerebbe, a seguito del giudizio di nullità parziale imposto dall’art. 1419, 1° comma, cod. civ., la caducazione dell’intero contratto (senza possibilità di applicare l’art. 1815, 2° comma, cod. civ., attesa la sua natura di norma eccezionale) (82).
In realtà appare più corretto ritenere che l’intervento successivo del legislatore non possa incidere l’atto (validamente) perfezionato rendendolo invalido ma solo il rapporto contrattuale in corso, caducandone l’efficacia (c.d. inefficacia successiva). Si tratta, con ogni probabilità, di una vicenda risolutiva, peraltro con efficacia ex nunc (v. art. 1458, 1° comma, cod. civ.) di tutti gli effetti in origine scaturiti dall’atto e successivamente divenuti incompatibili, in forza dell’innovazione legislativa, con la volontà ordinamentale (83): e dunque della corresponsione degli interessi oltre il massimo consentito, pari al tasso soglia in vigore al momento della maturazione degli stessi (84). Il contratto divenuto parzialmente inefficace potrebbe poi essere rinegoziato dalle parti, e riportato ad equità: con saggio di interesse in ogni caso contenuto entro
(80) V. ancora Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 43.
(81) In quanto la nullità è strutturalmente vizio genetico dell’atto e non difetto funzionale del rapporto (per tutti, e per quanto qui non è possibile nemmeno accennare, sembra fondamentale Scognamiglio, Sulla invalidità successiva dei negozi giuridici, in An- nuario di diritto compartato e di studi legislativi, XXVII, 1951 e ora anche in Scritti giuridici, I, Scritti di diritto civile, Padova, 1996, e qui 239; v. anche Xxxxxxxxx, Invalidità (dir. priv.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 593 ss.; Mariconda, La nullità del contratto, cit., 362). Nondimeno, parte della dottrina e della giurisprudenza ammettono la figura: x. Xxxxxx, In tema di nullità sopravvenuta del negozio giuridico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, 755 ss.; Xxxxxxx, Inefficacia (dir. priv.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, e ora in Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano, 1998, 453 ss.; Carresi, Il contratto, cit. 624 ss.; Xxxxxx, Diritto civile III, cit., 575; Gentili, Le invalidità, cit., 1289 ss.; Cass. 18 giugno 1955, n. 1900, in Giust. civ., 1955, I, 1052; Cass. 16 giugno 1987, n. 5320; Cass. 15 maggio 1987, n. 4513.
(82) Cfr. Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 45 ss.
(83) Cfr. Scognamiglio, Inefficacia (dir. priv.), in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, 6 s. La recente giurisprudenza ha spesso ritenuto che nell’ambito dei contratti di durata bisogna distinguere il momento dell’atto dalla dinamica degli effetti. Mentre la stipulazione rimane regolata dalla legge in vigore nel momento in cui è avvenuta, invece gli effetti che ne derivano sono disciplinati dalla legge in vigore nel momento in cui essi si realizzano: v. oltre alle sentenze citate nelle note 74 e 75, Xxxx. 19 marzo 1993, n. 3291, in Foro it., 1993, I, 2171; Xxxxx xxxx. 00 xxxxxx 0000, xx Xxxx xx. 1997, I, 204; Cass. 28 gennaio 1998, n. 831, in Foro it. 1998, I, 779; Cass. 1° febbraio 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 0000, X, 000; Cass. 2 febbraio 2000, n. 1126; Cass. Trib. Roma 20 febbraio 1997, in Giur. comm., 1999, II, 449; Trib. Catania 29 luglio 1998 e Trib. Roma 29 febbraio 1998, entrambe in Foro it., 1998, I, 2997; Trib. Palermo, 7 aprile 1998, in Foro it. 1998, I, 1624; Trib. Roma 21 gennaio 2000, in Foro it., 2000, I, 2045.
(84) Così Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 536, che ritiene applicabile, in via sistematica il meccanismo dell’art. 1419, 2° comma, cod. civ. (sostituzione del tasso usurario con il tasso soglia, quale tasso massimo tollerato dalla legge). Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 46 ss. (e così anche Xxxxxx, Xxxxx e legislazione civile; cit., 898) ipotizza, invece, la conversione ai sensi dell’art. 1424 cod. civ. del contratto di cui è sopravvenuta la nullità nel diverso contratto ricondotto ad equità. Va infine ricordata quella dottrina che - concentrando l’analisi su ragioni di opportunità - contesta tutte le tesi sulla riconduzione ad equità dei contratti in corso onde scongiurare il rischio di un grave disorientamento del mercato del credito:
x. Xxxxxxxx, Usura e sanzioni civili: un meccanismo già usurato? in Foro it. 1998, I, 1609; Id. Appunti sulla valutazione del carattere usurario degli interessi tra norme imperative, sanzioni e ragioni economiche, in Foro it., 1998, I, 2557. V. anche Xxxxxx, Il controllo giudiziale della libertà contrattuale, in Contratto impresa 1999, 941.
il tasso massimo consentito (85).
Preme evidenziare che quale che sia la soluzione di volta in volta ipotizzata, essa si articola nei termini della liceità del contratto (ritenuto intangibile dalla normativa sopravvenuta) oppure della illiceità o inefficacia successiva del contratto (ritenuto tangibile dalla normativa sopravvenuta): in nessun caso viene in rilievo il trattamento della rescindibilità (strutturandosi la figura nelle forme del vizio genetico e perdurante al momento dell’azione giudiziaria: art. 1448 cod. civ., e dunque in nessun caso nelle forme del vizio successivo all’atto).
Altro grave problema venuto alla ribalta riguarda l’estensione del concetto di interessi usurari: se ricomprenda o meno anche gli interessi moratori. La dottrina è sempre stata divisa sul punto. Sembra tuttavia assorbente il rilievo che né l’art. 644 c.p. né l’art. 1815 cod. civ., nelle formulazioni avvicendatesi nel tempo, hanno mai distinto tra interessi corrispettivi e interessi moratori; pertanto appare consequenziale ritenere che questi ultimi siano ricompresi nello spazio applicativo di entrambe le disposizioni (86).
La dottrina prevalente respinge questa soluzione avvalendosi di un argomento significativo. Osserva che gli interessi di mora possono essere inseriti nel contratto nelle forme della clausola penale; che per l’eccessiva esosità della clausola opera l’apposito rimedio previsto dall’art. 1384 cod. civ.: riconduzione a equità; che pertanto l’interesse usurario ha in questo caso un apposito trattamento civilistico, che esclude la nullità ai sensi dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. (vecchia e nuova formula) (87). L’argomento è applicazione della tesi, sopra criticata (88), secondo cui attesa l’autonomia del diritto civile dal diritto penale i fatti di reato vanno autonomamente interpretati secondo gli schemi civilistici delle invalidità: il generale rimedio dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ. (e nel caso di specie la sanzione settoriale dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ.), essendo anche residuale, non trova applicazione quando la legge prevede un rimedio specifico. In senso contrario si deve ritenere che il contratto di usura poiché viola una norma imperativa penale di ordine pubblico è nullo: come prevede espressamente l’art. 1815, 2° comma, cod. civ. per il mutuo (e i contratti di credito), e come prevede in via generale l’art. 1418, 1° comma, cod. civ. per gli altri contratti (89).
(85)La soluzione della rinegoziazione è prescelta nella pratica. L’ABI e le associazioni dei consumatori hanno infatti costituito nel 1996 un Tavolo di lavoro permanente, che ha consentito la stipulazione nell’anno successivo di un protocollo di intesa sulle modifiche del contratto di conto corrente e nel 1998 di un accordo sulla rinegoziazione dei mutui fondiari. Sul punto, x. Xxxxxxx, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 491, nota 145. Sul fenomeno della rinegoziazione nei contratti a lungo termine quale principio generale dell’ordinamento x. Xxxxxxx, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996.
(86) X. Xxxx. 00 aprile 2000, n. 5286, cit.; Trib. Roma 10 luglio 1998, cit., aggiunge: “il legislatore, ricomprendendo fra le voci interessate [dal calcolo del tasso applicato] “le commissioni” e le “remunerazioni [dovute] a qualsiasi titolo e spese”, ha inteso evitare ogni possibilità di facile aggiramento della norma, aggiramento che invece, ove gli interessi moratori venissero esclusi dal conteggio di quelli rilevanti ai fini usurari, verrebbe facilmente realizzato mediante la previsione (attraverso formule che non tarderebbero a divenire di stile) di termini di pagamento di improbabile rispetto, idonei a rendere “normale” e legittima la corresponsione di interessi sostanzialmente usurari sotto forma di interessi moratori”. La conclusione non può essere infir- mata dal fatto che i decreti ministeriali sui tassi non considerano il saggio degli interessi di mora: non si applicherà la norma sulla usurarietà oggettiva ma sarà applicabile quella sulla usurarietà soggettiva (così Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 62 s.). Nella dottrina penalistica x. Xxxxxxxx, Il delitto di usura, cit., 115 ss. Trib. Salerno 27 luglio 1998, cit. ha ritenuto che la legge antiusura non ricomprenda nel novero degli interessi usurari anche gli interessi moratori.
(87) X. Xxxxxxxxxx, Gli interessi monetari, Napoli, 1984, 211; Marini, La clausola penale, Napoli, 1984, 159 ss.; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 778 ss.; Xxxxxxx, Usura civile: individuato il “tasso-soglia”, in Corr. giur. 1997, 508; perplessità in Meruzzi, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 492 s.
(88) X. xxxxxxxxx 0.
(89) In giurisprudenza x. Xxxx. 00 marzo 1951, n. 228; App. Bari 20 giugno 1955, in Rep. Foro It., 1956, voce Obbl. e contr. n.
227. Nello stesso senso Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 64. V. anche Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato di diritto privato diretto da Xxxxxxxx, IX, Torino, 1984, 563; Libertini, Interessi, cit., 126. Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 535, condividendo l’avviso, specifica che “Non si può invece includere direttamente nella previsione legislativa l’interesse di mora che non ha causa solo nel godimento della somma ma nell’inadempimento e nel danno conseguente: qui
9. - Contratto usurario e sistema delle nullità protettive. Non solo l’evidente natura di ordine pubblico (soprattutto economico) degli interessi tutelati con la riforma, ma anche le innovazioni legislative sulla eliminazione dell’elemento soggettivo dell’approfittamento dell’altrui stato di bisogno e sull’ampliamento del concetto di corrispettivo usurario portano a ritenere del tutto infondata la tesi della rescindibilità del contratto usurario.
In particolare, tali innovazioni allargano significativamente lo spazio di incidenza della figura delittuosa (90), e rendono ancora più problematico il trattamento civilistico del contratto di usura nell’ambito, divenuto particolarmente angusto, dell’art. 1448 cod. civ. (91). Infatti non tutte le figure di reato potranno essere sanzionate con la rescissione, ma solo quelle consumate con approfittamento dell’altrui stato di bisogno, requisito ancora previsto dall’art. 1448 cod. civ. (92). Pertanto, in alcuni casi i sostenitori della tesi dovranno (assurdamente) convenire sulla validità del contratto usurario a seguito del quale il reo viene condannato (93). E ciò quando il legislatore, riscrivendo l’art. 1815, 2° comma, cod. civ., disponendo che se nel contratto di mutuo sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi di sorta, sanziona l’usuraio con una (esemplare) previsione, da qualcuno definita di pena privata (94).
va fatta applicazione dell’art. 1384 c.c.”. Per condividere l’avviso occorre ammettere che il divieto legale non precluda una indagine sulla causa concreta del contratto: ma questo sembra molto dubbio (e qualora fosse ammissibile, sarebbe foriero di interpretazioni incerte, atteso che il risarcimento integra sempre in qualche misura la ragione degli interessi moratori). Va poi precisato che anche per la dottrina che esclude la sanzione della nullità per gli interessi moratori, resta fermo che eventuali manovre volte a eludere l’art. 1815, 2° comma, cod. civ. - come la pattuizione di interessi moratori elevatissimi insieme a termini estremamente brevi per l’adempimento - essendo in frode alla legge devono considerarsi nulli per illiceità (art. 1344 cod. civ.): così Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 780 e Xxxxxxx, Il reato di usura ed i contratti di credito, cit., 524 s.
(90) V. le riflessioni di Quadri, La nuova legge sull’usura: profili civilistici, in Nuova giur. civ. comm. 1997, II, 69; v. anche Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, cit., 483.
(91) Xxxxxxxxx (La rescissione del contratto, in Istituzioni di diritto privato a cura di Xxxxxxx, Torino, 1997, 755) parla di “un netto distacco dalla rescissione”. V. anche Xxxxxx, La nuova legge sull’usura e i suoi diversi volti, in Corr. giur. 1996, 363 ss.; Xxxxxxxxxx e Xxxxxx, L’usura tra realtà e prospettive, in Banca impresa società, 1995, 100.
(92) Cfr. Xxxxxxx, La nuova legge sull’usura e l’art. 1815 cod. civ., in Contratto impresa 1998, 608. A meno di non voler sostenere la possibilità di una “interpretazione adeguatrice” dell’art. 1448 cod. civ. con eliminazione al suo interno del requisito soggettivo dell’approfittamento cancellato dalla fattispecie base penalmente sanzionata (così Xxxxxx, La nuova legge sull’usura, cit., 69. So- stengono la rescindibilità anche Meruzzi, Usura, in Contratto impresa 1996, 790; Id., Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 494 ss.; Xxxxxx, Il nuovo reato d’usura: fattispecie penali e tutele civilistiche, in Riv. dir. priv., 1998, 237; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 776 ss.; Xxxxxxx, Rescissione, in Digesto discipline privatistiche, sez. civ., XVI, Torino, 1997, 631).
(93) Come rileva Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 15 x. Xxxxxx, Il nuovo reato d’usura, cit., 238 ss. per evitare l’inconveniente propone una interpretazione adeguatrice opposta a quella suggerita da Xxxxxx, La nuova legge sull’usura, cit., 69: quanto alle fattispecie di
c.d. usura reale leggere l’art. 644 c.p. con introduzione al suo interno del requisito soggettivo dell’approfittamento. Senza entrare nel merito della praticabilità di simili ardite interpretazioni, il rimedio della rescissione non collimerebbe comunque con tutte le figure di reato. Già nel vigore del testo originario dell’art. 644 c.p., era presente una illogica sfasatura fra sanzione penale e rescissione ogni volta che il vantaggio usurario non era talmente elevato a integrare il requisito della lesione enorme: cosicché i sostenitori della tesi della rescindibilità erano costretti a riconoscere la validità del contratto usurario, e a suggerire il rimedio, del tutto inadeguato, del risarcimento del danno per adempimento di un contratto valido ma iniquo perché frutto di reato (v., per es., Mirabelli, La rescissione, cit., 139; Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 155). La stessa soluzione per la stessa discrasia è oggi proposta da Xxxxxx, Il nuovo reato d’usura, cit., 246.
(94) Così Xxxxxxxx, La sanzione civile dell’usura, in Contratti, 1996, 225; Xxxxx, La nuova legge sull’usura, cit., 148; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 772; Prosdocimi, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium Iuris, 1996, 771. Similmente, Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 72 ss.; De Angelis, Usura, cit., 9; Meruzzi, Usura, cit., 784; Id., Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 477 s.; Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 69; Xxxxxx, Usura e legislazione civile; cit., 893; Caperna e Xxxxx, Legge severa, regole difficili, in Sole 24 Ore 29.2.96, 6; Xxxxxxx, La nuova legge sull’usura, cit., 609; Xxxxxxxxx, Patto commissorio autonomo e libertà dei contraenti, Napoli, 1997, 91, nota 131 parlano di sanzioni civili (come è più corretto, essendo la pena privata prevista da fonti negoziali e la sanzione civile da fonti - come nel caso - legali: x. Xxxxxxx, Alla ricerca delle sanzioni civili indirette, in Contratto impresa, 1987, 531 ss.; Xxxxxxx, Disposizioni in materia di usura, cit., 1342). Sul tema della nullità come sanzione privata v. Irti, La nullità come sanzione civile, in Contratto impresa, 1987, 541 ss.
Sembra chiaro che il trattamento riservato dalla nuova legge al mutuo usurario assume una importanza decisiva per la ricostruzione della figura generale del contratto di usura. In primo luogo perché la norma (pur essendo eccezionale e insuscettibile di interpretazione analogica) è per opinione consolidata suscettibile di interpretazione estensiva, cosicché trova applicazione per qualsiasi obbligazione di interessi, e dunque per tutti i contratti di finanziamento (95). In secondo luogo perché, nella sua innovatività, consente una risposta soddisfacente alle esigenze di opportunità sollevate da parte della dottrina per (tentare di) giustificare la diversità di sanzione tra mutuo (e contratti di credito in generale) e altri contratti usurari: nullo il primo ma subito interpolato dalla previsione degli interessi dovuti in misura legale, rescindibili tutti gli altri perché non ugualmente interpolabili. Infatti, il legislatore, disponendo il testo attuale dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ., anziché sanzionare il contratto abusivo e insieme ricondurlo a equilibrio ha preferito inasprire il primo aspetto, a discapito del secondo. Il contratto abusivo è così duramente sanzionato che al profittatore non solo non sono dovuti vantaggi impropri, ma non è dovuto nessun vantaggio. Anzi, attesa la naturale produttività del denaro, è inferto un pregiudizio economico.
La dottrina che si è occupata del problema ha sottolineato la peculiarità della disposizione. Qualcuno ha ritenuto che la previsione di interessi da usura determina, con la nullità del singolo patto, la nullità dell’intero contratto, deprivato di un elemento essenziale (il corrispettivo) (96).
Non manca chi ritiene che il disposto di legge, dicendo del destino della clausola interessi, nulla dice chiaramente sul destino del contratto. E questo mentre altra norma, riscrivendo l’art. 644 c.p., oggettivizza gli elementi del delitto di usura, escludendo la rilevanza dell’approfittamento dell’altrui stato di bisogno. Cosicché potrebbe sostenersi che gli ambiti delle due norme, civile e penale, coincidano; che oggetto della sanzione penale non sia il comportamento dell’usuraio ma il contratto e l’assetto di interessi che cristallizza; che il contratto sia pertanto contrario a norma penale, e dunque illecito. Non (solo) nella singola clausola sulla quale il legislatore si pronuncia espressamente, ma nella sua interezza (secondo il disposto dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ.). Con la conseguenza del sorgere, in capo alla vittima del reato, dell’obbligo di restituzione immediata della somma avuta in prestito. Soluzione, questa, che vanificherebbe il chiaro scopo della nuova legge: non solo sanzionare il comportamento dell’usuraio, ma anche tutelare convenientemente gli interessi dell’usurato. Per ovviare a questo pericolo, si propone di interpretare la previsione non nel senso della invalidità del patto, ma nel senso della sua inqualificabilità (97). La dottrina della inqualificazione sostiene infatti che la clausola interdetta dal legislatore anziché essere espunta dal regolamento (con l’utilizzo della nullità) non entra, sin dall’inizio, a farvi parte: perché l’accesso è sbarrato dal divieto legale (98). Se fosse inqualificazione, l’interdetto riguarderebbe il singolo patto; non si avrebbe invalidità, nemmeno parziale, del contratto.
Quest’ultima opinione non è condivisibile. E non solo perché la dottrina dell’inqualificazione è una mera dottrina, che non trova aggancio in espresse previsioni di legge e che non è stata mai seguita, per quanto risulta, da decisioni giurisprudenziali. Quanto piuttosto perché la lettera della legge è assolutamente esplicita, e parla di nullità; specificando che la nullità riguarda la clausola e dettando una apposita disciplina per chiarire che, caduta la clausola interessi, gli interessi non sono dovuti (99).
Ma, se la clausola che prevede interessi smisurati è nulla; se di conseguenza non sono più dovuti interessi, bisogna chiedersi cosa ne sia della parte restante del contratto. Se il legislatore avesse disposto,
(95) Cfr., ad es., Messineo, Il contratto in generale, cit., 251; Xxxxxxxxx, Interessi, cit., 126; Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, cit., 563; Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 344; Xxxxxxxxx, Rescissione, cit., 1447, nota 115.
(96) Così Xxxxxxxxxxx, Nullità della clausole interessi nel contratto di mutuo. Commento all’art. 4 della l. 7 marzo 1996, n. 108, in Sole 24 Ore del 23.3.96, 39. Esclude la tesi della nullità in quanto “conseguenza rovinosa per la vittima, costretta ad una imprevista restituzione del corrispettivo” Xxxxxx, Il nuovo reato d’usura, cit., 238, nota 23.
(97) In questo senso Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 28, 41.
(98) In generale, Xxxxx, Utilità sociale e autonomia privata, Milano, 1975, 35.
(99) Sulla stessa linea, Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 65 ss.; Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 535; v. anche Xxxxxxx, La nuova legge sull’usura, cit., 612 ss.
semplicemente, la nullità della clausola interessi, si sarebbe avuta una classica ipotesi di nullità parziale. Avrebbe operato il disposto dell’art. 1419, 1° comma, cod. civ., e il giudice avrebbe condotto il giudizio di nullità parziale. Essendo venuto meno un elemento essenziale del contratto: il corrispettivo, e non potendo più il contratto realizzare il suo originario scopo oggettivo (prestito oneroso), la (inevitabile) conseguenza di quel giudizio sarebbe stata la dichiarazione di nullità totale. Per ovviare a questo risultato, oggettivamente pregiudizievole per il mutuatario, il previgente art. 1815, 2° comma, cod. civ., oltre alla comminatoria di nullità della clausola interessi sanciva la sostituzione automatica con l’inserzione di un saggio nella misura di quello legale. Oggi il nuovo testo dell’articolo stabilisce la nullità della clausola interessi, e aggiunge che gli interessi non sono dovuti. Dunque, anziché prevedere la sostituzione, la esclude. Ma anziché tacere sulla lacuna creata con la eliminazione della clausola viziata, dispone che gli interessi non sono dovuti. E così colma la lacuna (100). Secondo alcuni, trasforma il contratto da oneroso in gratuito (101); in tal modo impedisce che (il contratto) resti in parte mutilato, e impedisce l’esercizio del giudizio di nullità parziale (102).
Se dalla nuova disposizione dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. fosse enucleabile un principio generale, valido non solo per gli altri contratti di credito o con causa anche di credito, ma anche per tutti gli altri (organizzati con causa di scambio, di garanzia e così via), verrebbero definitivamente meno tutte le ragioni sostanziali per continuare a sostenere la semplice rescindibilità del contratto di usura.
Per quanto riguarda le operazioni di credito diverse dal mutuo, non dovrebbero sussistere dubbi sulla applicabilità dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. anche a esse: gli interpreti lo ritenevano possibile per la norma nella sua formulazione originaria e nessuna ragione sopravvenuta milita in senso inverso per la formulazione attuale (103).
Per gli altri contratti la norma in esame non può essere direttamente utilizzata. Tuttavia, insieme ad altre svolge una funzione essenziale per la ricostruzione delle coordinate della tutela in un ambito molto vasto della contrattazione. Lo sguardo deve essere focalizzato sulla recente legislazione di derivazione comunitaria in tema di contrattazione ineguale: in particolare, sulla disciplina dei contratti bancari e dell’intermediazione finanziaria; dei contratti conclusi dall’impresa in posizione dominante; dei contratti di subfornitura conclusi con abuso di dipendenza economica; dei contratti abusivi a danno dei consumatori. Già a un esame assolutamente sommario, prende forma un preciso sistema di tutela. In queste discipline si sanziona la condotta abusiva comminando la nullità della clausola o della parte del
(100) Cfr. Xxxx, Usura, cit., 182; Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 66; Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 25; Xxxxxxxx, La sanzione civile dell’usura, cit., 225; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 776; Meruzzi, Usura, cit., 783 s.; Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, cit., 486, nota 82; Xxxxxxx, Disposizioni in materia di usura, cit., 1340 s.
(101) Così, fra gli altri, Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 43 ss.; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 777; Xxxxxxx, La nullità per contrarietà a norme imperative, cit., 85; Xxxxxxx, La nuova legge sull’usura, cit., 612; Gioia, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contratto impresa, 1999, 1334. Il che può essere detto, però, solo in senso lato: diversamente, ne scaturirebbero conseguenze aberranti, come l’operatività dell’art. 64 l.f. in caso di fallimento dell’usuraio (x. Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 67 s.; Xxxxxx, Usura e legislazione civile; cit., 894; Xxxxxxxxx, Patto commissorio autonomo, cit., 91, nota 131). V. anche Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 535 ss., che esclude l’applicabilità a questi casi della disciplina degli atti gratuiti, e che, sollevando dubbi di costituzionalità sulla soluzione legislativa nei limiti in cui consente un ingiustificato arricchimento della vittima del reato, suggerisce la soluzione di ritenere comunque dovuti gli interessi nei limiti del tasso soglia.
(102) Si deve infatti ritenere che la nullità in questione sia insuscettibile del giudizio di nullità parziale in quanto ha natura protettiva, in quanto è posta a tutela immediata dell’interesse di una delle parti contraenti, interesse che verrebbe irrimediabil- mente pregiudicato dall’applicazione del meccanismo dell’art. 1419, 1° comma, cod. civ. x. Xxxxxxxxx, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 776; Alpa, Usura, cit., 182; Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 42 x. Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 70 sottolinea, giustamente, che “La nullità della clausola implica poi, secondo i principi, che essa possa essere rilevata d’ufficio dal giudice e che gli interessi (usurari) corrisposti (comprensivi anche delle spese accessorie [...]) siano ripeti- bili”. Sulla nullità parziale necessaria come rimedio all’esercizio abusivo dell’autonomia privata v. subito oltre nel testo.
(103) Come notano Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, cit., 777; Xxxxxxx, Gli interessi usurari, cit., 65; Quadri, Usura e legislazione civile, cit., 894; Meruzzi, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 480.
contratto in cui essa si sostanzia. Tale nullità, però, è di specie diversa da quella ordinariamente disciplinata nel codice civile. Essa riguarda il contratto, ma può essere azionata soltanto dal contraente danneggiato (carattere di relatività) o dal giudice di ufficio (e in genere se tale rilievo non volge in danno della vittima dell’abuso); incide soltanto la parte o la clausola abusiva, e non si estende alla parte restante del contratto (si parla di nullità parziale necessaria): ha dunque funzione protettiva (v. art. 1469 quinquies, 3° comma, cod. civ.; art. 127, 2° comma, d.lgs. n. 385 del 1993; art. 23, 2° comma, d.lgs. n. 58 del 1998; art. 9, 3°
comma, l. n. 192 del 1998) (104).
Da questo sistema (sufficientemente integrato) di tutela discende che se il contratto di usura è realizzato
- oltre che in rapporti di credito - in rapporti di subfornitura, oppure in rapporti di consumo, oppure dall’impresa che contratta in posizione dominante, in quanto illecito riceve il trattamento appena descritto, ed esplicitato nell’art. 1815, 2° comma, cod. civ. (105): nullità parziale necessaria (con esclusione, s’intende, della sanzione: il corrispettivo sarà dovuto nei limiti consentiti dalla legge, e dunque finché non diviene usurario).
10. - I ripensamenti della dottrina: la tesi dell’usura quale reato-contratto. Critica. A questo punto non stupisce che la nuova legge abbia indotto ripensamenti in alcuni esponenti della dottrina dominante per i quali a differenza di quanto accadeva nella disciplina previgente, dopo la novella - essendo venuto meno nella nuova formula dell’art. 644 c.p. l’elemento costituito dall’approfittamento dello stato di bisogno, ed essendo incentrata la fattispecie esclusivamente sull’elemento del vantaggio usurario (ossia della notevole sproporzione fra le prestazioni contrapposte) - sembra indubitabilmente emerso un giudizio di disvalore dell’ordinamento non solo per il comportamento di un soggetto ma per il contratto nella sua interezza. Mentre la fattispecie originaria era costruita come reato in contratto quella attuale, nella tipologia di base, è costruita come reato-contratto. Nella disciplina previgente il contenuto dell’atto non assumeva autonomo rilevo; il disvalore si appuntava sulla condotta abusiva dell’usuraio, che conosceva lo stato di bisogno della controparte e ne approfittava imponendo condizioni contrattuali assolutamente vantaggiose per sé e svantaggiose per l’altra. Nella nuova disciplina si disapprova il contratto, perché eccessivamente squilibrato, a prescindere dallo stato di bisogno della vittima e dalla condotta di approfittamento del reo. Poiché il contratto usurario ha assunto i caratteri del reato-contratto dovrebbe
(104) Sulla nullità parziale speciale, o necessaria, v. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, cit., 121 ss.; Xxxxxxxxxx, Nullità speciali, Milano, 1995, 208 ss.; Gioia, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, cit., 1334; Xx Xxxxxx, Illiceità delle clausole abusive, in Giust. civ., 1999, II, 487 ss. Sulle reciproche influenze fra i vari regimi protettivi v., in generale, di Majo, Clausole abusive e regimi protettivi, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, II, a cura di Xxxx e Patti, Milano, 1997, 795 ss., Xxxxx Xxxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giur. comm., 1998, I, 833 ss.; più specificamente, Di Marzio, Illiceità, cit., 504 ss. Cenni in Quadri, Usura e legislazione civile, cit., 891 s. Sulle contaminazioni sistematiche è poi interessante leggere Pret. Bologna 4 gennaio 1999, in Corr. giur., 1999, 600. La dottrina più sensibile giungeva a conclusioni molto vicine già in epoca risalente (così Betti, Teoria, cit., 115, nota 8). V. anche Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 539 ss.
(105) Il trattamento del contratto usurario assume, in questo contesto, un valore emblematico. In anni non vicini Xxxxxxxx scriveva che “Nell’evoluzione del sistema capitalistico, il problema dell’abuso riguardò soprattutto l’esercizio delle libertà, individuali e collettive, nei rapporti economici. È significativo che ancor oggi gli studi sull’abuso, quando cercano di ritrovare nella legge le basi per una costruzione del divieto, si fermino a considerare l’usura e, più in generale, l’approfittamento dello stato di bisogno del contraente più debole” (L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ. 1965, I, 205 ss. e ora in L’abuso del diritto, Bologna, 1998: la citazione è a pag. 29). La nuova legge, riscrivendo l’art. 1815, 2° comma, cod. civ., ha posto una norma cardine del nuovo sistema (edificato e in corso di ulteriore costruzione) del trattamento dell’abuso del potere economico nei contratti ineguali: v. per tutti Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, 21 ss. Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 544, ritiene che nel contesto di riferimento “non sembra che vi sia più spazio per la applicazione dell’art. 1448 c.c. e meno che mai per la applicazione dell’art. 1449 c.c.; norme superate dal nuovo art. 644 c.p.”. V. anche Xxxxxx, Le coseguenze civili dei contratti usurari: è soppressa la rescissione ultra dimidium?, in Contratto impresa 1998, 1042 s. che vede nel nuovo art. 1815, 2° comma, cod. civ., l’emersione di un nuovo principio generale dell’ordinamento.
cadere, come ogni figura del tipo, sotto la sanzione dell’art. 1418, 1° comma, cod. civ. (106).
Questo ragionamento sembra afflitto da un pregiudizio di fondo. Si sostiene che il venire meno nell’art. 644 c.p. dell’elemento di fattispecie dell’approfittamento dello stato di bisogno sveli l’(inedita) inaccettabilità dell’assetto di interessi assolutamente squilibrato. Si dimentica, così, che il contratto platealmente vantaggioso per una parte e svantaggioso per l’altra non è sempre tale per prepotenza contrattuale di un contraente ai danni dell’altro. Infatti lo squilibrio può anche dipendere da una libera scelta dei contraenti (come nel caso della vendita mista a donazione). E che, pertanto, essendo il regolamento contrattuale rimesso alla libera codeterminazione delle parti (art. 1322 cod. civ.), non ogni squilibrio è sanzionato nel diritto civile, ma solo lo squilibrio frutto di una immeritevole condotta di abuso. Come è, nella coscienza sociale, lo squilibrio contrattuale che segna il rapporto vittima-usuraio (107).
A più gravi obbiezioni si espone poi la variante civilistica della teoria, che deduce la riprovazione del contratto in violazione del precetto penale dall’essere sanzionate o meno le condotte di entrambi i contraenti. Se pure potrebbe (ma inesattamente) sostenersi che la nuova norma sanziona direttamente il contratto (secondo il modello dei reati-contratto), non potrebbe mai negarsi che però ad essere punito è il comportamento di un contraente soltanto. Significativa la posizione assunta dal maggiore esponente di questa teoria. Egli scrive che, nel caso del mutuo usurario, “L’illecito penale “unilaterale” non può non colpire il contratto, se non in sé, in quel momento che realizza l’interesse illecito. Ciò significa che, se il contratto è “riducibile”, cade la clausola o la previsione che realizza quell’interesse, in applicazione dell’art. 1419
x.x. x, se del caso, dell’art. 1339.” (108). Prescindendo dal richiamo alle norme citate (che è probabilmente superfluo, in quanto opera in questo caso la nullità parziale speciale), sembra invece chiaro che la nullità parziale del contratto non colpisca il contratto in un certo momento della sua manifestazione, ma in una precisa parte del suo contenuto: benché sia riprovato il comportamento di un contraente soltanto, il contratto è (parzialmente) nullo.
Sembra pertanto confermata l’inutilizzabilità del criterio interpretativo consolidato secondo cui occorre valutare se la norma penale sanziona il contratto o soltanto il comportamento del reo; e (sembra) di conseguenza ulteriormente provata la bontà dell’avviso secondo il quale il discrimine fra nullità e diversa sanzione è dato soltanto dalla natura del precetto penale violato: se di ordine pubblico oppure no.
La esattezza di queste affermazioni può trovare conferma all’esito di una breve analisi di altri contratti potenzialmente usurari - con causa di credito e/o di garanzia - non interessati dalla novellazione del codice civile (anche perché legalmente atipici): i patti commissori in generale, e specificamente le
(106) Cfr. Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, cit., 491-492; Xxxxxxx, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo, cit., 13, nota 8 e 28 ss.; v. anche Xxxxxxx, La nullità per contrarietà a norme imperative, cit, 85; Zorzoli, Interessi usurari e mutui stipulati anteriormente alla legge 108/96, cit., 597.; Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, cit., 33. Dubitativamente, Quadri, Usura e legislazione civile; cit., 896.
(107) Cristiani, Guida alle nuove norme sull’usura, cit., 74, sul versante del diritto penale afferma che l’usura era e resta un fatto di approfittamento. A questa incontestabile osservazione non vale obiettare che in tal modo si reintrodurrebbe nella norma un elemento espunto (così Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, cit., 492). La questione, infatti, non è: cosa sia richiesto per la sanzione criminale di un determinato fenomeno sociale, ma: cosa nella sua essenza tale fenomeno sia. Nel diritto dei con- tratti: non quali elementi di fattispecie si richiedano per l’invalidazione del contratto, ma se questo sia lecito e meritevole oppure no. Interessanti, a riguardo, le riflessioni di G.B. Xxxxx, Appunti sull’invalidità del contratto, cit., 372, che circa la regola del
§ 138, 2° comma B.G.B. sulla nullità dei negozi con cui taluno ottiene vantaggi sproporzionati abusando dell’altrui bisogno (Notlage), leggerezza (Leichtsinn) o inesperienza (Unerfahrenheit) scrive: “a determinare la nullità del negozio non sembra tanto la limitata libertà del volere di colui che subisce l’abuso […] quanto l’intrinseca immoralità (e, dunque, illiceità) dello sproporzionato approfittamento”. L’Autore, tuttavia, nega che tali considerazioni possano valere per il sistema del nostro codice civile, atteso che il negozio abusivo e immorale trova la sua sanzione nella regola della rescissione (art. 1448). Ma proprio la chiara recessività di questa in settori chiave della contrattazione (come i negozi con causa di credito) dovrebbe spingere a una rimeditazione generale degli originari assetti stabiliti dal legislatore del codice. Esprime (invece) considerazioni che valorizzano gli stati sog- gettivi delle parti Xxxxxxx, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contratto impresa, 1997, 417 ss.
(108) Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 542.
alienazioni in garanzia e il sale and lease-back. Con movimento opposto a quello finora condotto interessa verificare la illiceità penale in astratto di patti civilmente illeciti perché abusivi. L’esito positivo dell’indagine dimostrerà l’assoluta residualità del rimedio della rescissione e il carattere generale del rimedio della nullità.
11. - Le alienazioni in garanzia come fattispecie di contratti potenzialmente usurari. La dottrina classica insegnava che “Il patto commissorio, così utile alla rapidità delle transazioni, ma altrettanto pericoloso pel debitore è proibito [...]. La legge volle soccorrere il debitore [...] stretto dal bisogno nel momento del prestito” (109); “La nullità di questo patto si giustificava presso le altre legislazioni con la condanna delle usure; inquantoché le avrebbe velate” (110); in conclusione “Sembra potersi ricondurre a una forma (almeno indiretta) di usura, il patto commissorio (accedente al mutuo ipotecario o pignoratizio e all’anticresi), che può mascherarsi (per evitarne la nullità) come accedente a una vendita” (111), pertanto “non si può non ravvisare nel patto commissorio una convenzione usuraria” (112). Significativamente l’art. 644, 5° comma,
n. 2 cod. pen. prevede ora la fattispecie aggravata per l’usuraio che ha richiesto in garanzia (fra l’altro) proprietà immobiliari. In dottrina si evidenzia che tali garanzie assumono - specialmente nelle modalità operative seguite dalla criminalità organizzata - la forma di atti di disposizione definitivi o preliminari (soprattutto) di immobili (113).
Le norme imperative che pongono il divieto sono contenute in due articoli del codice civile. Gli artt. 2744 e 1963 dispongono che è nullo il patto fra creditore e debitore per cui, in mancanza del pagamento nel termine fissato, la proprietà di un bene del debitore dato in pegno, ipotecato o dedotto in anticresi passi al creditore; la nullità investe non solo il patto coevo al contratto di anticresi, alla dazione del pegno o alla costituzione dell’ipoteca, ma anche il patto stipulato successivamente (c.d. ex intervallo). Tuttavia, benché le norme sanzionino un patto accessorio al contratto di anticresi, oppure all’atto costitutivo di pegno o di ipoteca, è assodato che la norma degli artt. 1963 e 2744 cod. civ. non ha carattere formale, non sanziona dunque solo alcuni procedimenti negoziali, ma ha carattere sostanziale, infirmando un preciso risultato economico, comunque posto in essere. Il divieto copre pertanto anche il patto commissorio non afferente
(109) Vivante, Trattato di diritto commerciale, IV, Le obbligazioni, Milano, 1926, 281 s.
(110) Pacifici-Xxxxxxx, Istituzioni di diritto civile italiano, VI, Firenze, 1873, 252, nota 4. Scriveva Foschini (I motivi del codice civile del Regno d’Italia, Chieti, 1867, 622) “È vero che, per alte considerazioni economiche essendosi ammessa la libertà dell’interesse, si sarebbe forse coerenti al principio di tale libertà quando si permettesse il patto commissorio; ma come un resto di pudore trattiene sempre più o meno l’usuraio di abusare eccessivamente di quella libertà, così il Legislatore, quasi facendo ossequio a questo pudore, ben può vietare un’azione che a rigore non sarebbe condannabile civilmente, ma lo sarebbe tuttavia moral- mente”.
(111) Messineo, Il contratto in generale, cit., 251 s. Il possibile carattere usurario del patto commissorio è la fondamentale ragione che, storicamente, ne spiega il divieto: “Questo patto manifestamente iniquo fu proibito da Xxxxxxxxxx, il quale ne volle fino alla lontana posterità estinta fin anco la memoria [...]. La nullità del patto commissorio si conservò inalteratamente attraverso il diritto intermedio, specialmente per influenza delle leggi canoniche che scorgevano in esso un mezzo pericolosissimo per mascherare l’usura. Il nostro legislatore, seguendo la tradizione, ha conservato il divieto” Ferrara, Teoria del negozio illecito, cit.,
127. Sul diritto intermedio v. Donellus, Tractatus de pignoribus et hypotecis, in Selecti tractatus iuris varii, Venetiis, 1570, 210; Di Xxxxxxxx Xxxxx, Tractatus de usuris, in Usure, compere e vendite. La scienza economica del XIII secolo, a cura di Xxxxxxxxx, Vian e Andenna, Milano, 1990, 97 ss., e, più in generale, l’ampia bibliografia in Xxxxxxxxx, Patto commissorio autonomo, cit., 43 ss.; 81 ss. V. anche Xxxx, Lex commissoria und sicherungübereignung, in Arch. civ. Pr., 1968, 371; Xxxxxxxx, Intorno alla validità della vendita a scopo di garanzia, in Riv. dir. civ. 1955, 1066.
(112) Xxxxxxxx, Il patto commissorio nei contratti di garanzia, Milano, 1952, 34.
(113) Cfr. Caperna e Xxxxx, Il fenomeno dell’usura tra esperienze giudiziarie e prospettive di un nuovo assetto normativo, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, 37. Per rendere applicabile l’aggravante si propone allora una interpretazione estensiva “che faccia riferimento al reale contenuto dell’accordo indipendentemente dalle forme utilizzate”, in presenza di atti simulati (De Angelis, Usura, cit., 5) o, si deve aggiungere, in frode alla legge: come i trasferimenti commissori. Oppo, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., 543 spiega poi che l’illecito penare produce i suoi effetti anche sui negozi sostitutivi della prestazione usuraria originariamente pattuita: come la novazione o la prestazione in luogo dell’adempimento per effetto delle quali si addiviene all’alienazione di un bene della vittima a vantaggio dell’usuraio. Anche tali negozi sono pertanto affetti da nullità.
ad anticresi o garanzie reali, ma stipulato come autonoma alienazione in garanzia (patto commissorio autonomo); cade inoltre sotto il divieto il patto con cui il debitore non trasferisce ma si impegna a trasferire un suo bene al creditore in caso di inadempimento (patto commissorio obbligatorio) (114).
Particolarmente dibattuta è la ragione giuridica del divieto di patto commissorio. Come si è visto, tradizionalmente si fa riferimento alle esigenze di tutela del debitore. Il divieto assicura che il debitore non soggiaccia alle illegittime pressioni del creditore, che si risolve alla concessione del finanziamento solo dopo un contratto che gli trasferisce la proprietà di un bene del debitore (quasi sempre di valore superiore alla somma mutuata) a copertura del credito, con l’intesa che il bene resterà acquisito al suo patrimonio se il debitore non adempierà alle restituzioni (115). Taluno ha posto in evidenza, inoltre, l’interesse, di ordine pubblico, che lo Stato eserciti in via esclusiva la funzione esecutiva. Il divieto scongiura che il debitore possa assoggettarsi per contratto all’autotutela del creditore (116). Sulla stessa linea, la moderna dottrina sottolinea l’esigenza di ordine pubblico economico che le garanzie tipiche restino al centro della funzione esecutiva, senza essere esautorate da pratiche di autotutela (117).
Il patto commissorio autonomo può presentarsi in varie forme. Ma, indefettibilmente, si esaurisce in una alienazione fatta a scopo non di scambio ma di garanzia. Può assumere la forma di una vendita sospensivamente condizionata all’inadempimento: il debitore vende un suo bene al creditore, il contratto è sospensivamente condizionato all’inadempimento del debito alla scadenza. Può assumere la forma di una vendita risolutivamente condizionata all’adempimento: il debitore vende un suo bene al creditore, il contratto (immediatamente traslativo) è risolutivamente condizionato all’adempimento del debito alla scadenza. La condizione risolutiva può assumere la veste di un patto di riscatto (art. 1500 cod. civ.) (118).
(114) Sul patto commissorio autonomo x. Xxxx. 11 febbraio 1993, n. 1787, in Giur. it. I, 1, 64; Xxxxxx, Patto commissorio, in Noviss. Dig. it., XII, 1965, Torino, 714. Xxxxxxxxx, Patto commissorio, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 502; e, in una nuova prospettiva che ne contesta l’illiceità, Xxxxxxxxx, Patto commissorio autonomo, cit., passim. Sul patto commissorio obbligatorio v., fra le numerose, x. Xxxx. 00 agosto 1990, n. 8325, in Giur. it. 1991, I, 1, 1208.
(115) Nella moderna dottrina proseguono su questa linea, con vari accenti: Xxxxxx, Il divieto del patto commissorio e la vendita con patto di riscatto (o con patto di retrovendita), in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, 33; Xxxxxxx, Il contratto di lease-back, in Contratto impresa, 1986, 595. In giurisprudenza: Cass. 3 aprile 1989, n. 1611, in Giust. civ., 1989, I, 1569; Foro it., 1989, I, 1428; Nuova giur. civ. comm. 1989, I, 348; Cass. 11 gennaio 0000, x. 00, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 0000; Foro it., 1988, I, 387. La dottrina classica pone a fondamento del divieto, anche, le esigenze di tutela degli altri creditori. Il divieto assicura il rispetto dell’uguale diritto di tutti i creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione (art. 2741 cod. civ.) Così Xxxxxxxx, Divieto del patto commissorio, in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma 1955, 54; Xxxxxxxxxx, Mutuo pignoratizio e vendita con patto di riscatto, in Riv. dir. proc., II, 1946, 159; Xxxxxx, Promessa di vendita e patto commissorio, in Foro pad. 1957, I, 767; in giurisprudenza v. ancora Xxxx. 11 gennaio 1988, n. 46, cit.
(116) Così Xxxxx, Sugli oneri ed i limiti dell’autonomia privata in tema di garanzia e modificazione dell’obbligazione, in Riv. dir. comm., 1931, II, 699; Amorth, Divieto del patto commissorio apposto al mutuo ipotecario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 717. In giurisprudenza: Cass. 6 dicembre 1983, n. 7271, in Foro it., 1984, I, 426; Giur. it., 1984, I, 1, 1698; Quadrimestre, 1984, 347.
(117) L’autotutela esecutiva può esporre eccessivamente il debitore in balia del creditore e può cagionare danni agli altri creditori. Questi magari ignoravano l’esistenza del trasferimento commissorio (effettuato con scritture private non pubblicizzate), e dunque avevano fatto legittimo affidamento anche sul bene alienato in garanzia. E comunque sono danneggiati da una attri- buzione eccessiva, superiore al dovuto, a beneficio del creditore garantito dal patto. V. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, 192; Morello, Frode alla legge, Milano, 1969, 54, nota 34; Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, Padova, 1994, 278. V., inoltre - anche per una esposizione delle varie teorie - Luminoso, Alla ricerca degli arcani confini del patto commissorio, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000. In giurisprudenza x. Xxxx. 3 giugno 1983, n. 3800, in Giust. civ., 1983, I, 2953; Giur. it., 1984, I, 1, 1648; Foro it., 1984, I, 212; Riv. it. leasing 1985, 135; Vita not. 1983, 966; Fall., 1985, 157; e Cass. 29 agosto 1998, n. 8624, in Corr. giur., 1998, 38, 70. Per una ricostruzione delle variegate opinioni sulla ragione del divieto di patto commissorio
x. Xxxxxxxxx, Patto commissorio autonomo, cit., 81 ss.
(118) Che, “per la sua stessa indole, si presta a losche speculazioni usurarie” Xxxxx, La compravendita, Padova, 1939, 142: così quando “il sovventore compra la cosa del debitore e questi si riserva il diitto di ricoprarla ma per un prezzo accresciuto, di cui l’aumento rappresenta l’interesse usurario” oppure quando si hanno una vendita e una locazione “entrambe fittizie, ove, sti- pulata la vendita con patto di riscatto, la cosa vien dal compratore locata al venditore per una mercede che in realtà non è se non l’interesse del prestito”: de Xxxxxxxx e Xxxxx, Istituzioni di diritto privato, II, 34, nota 1. In generale v. Xxxxxx, La vendita e la permuta, II, Torino, 1993, 681 ss.
Lo stesso effetto si può ottenere con una vendita fiduciaria: del debitore-fiduciante al creditore-fiduciario, il quale si obbliga al ritrasferimento in caso di adempimento alla scadenza (119). Al fine di smascherare le stipulazioni commissorie diverse da quelle tipizzate nel codice civile la giurisprudenza ha evidenziato i seguenti elementi sintomatici della causa di garanzia: (i) rapporto debito-credito fra venditore e acquirente;
(ii) mancata consegna del bene compravenduto; (iii) previsione di interessi; (iv) non definitività dell’attribuzione in proprietà: perché risolutivamente condizionata, assoggettata a riscatto, o a patto fiduciario di ritrasferimento (120).
Tutte queste tipologie contrattuali - patto commissorio accessorio a garanzia reale o ad anticresi, oppure autonomo e/o obbligatorio - integrano altrettante ipotesi di contratto contrario (le figure tipiche) o elusivo (le altre figure) di norme imperative di ordine pubblico e sono illecite per violazione degli artt. 1343, 1344, 1418, 1° comma, 2744 cod. civ. Qualora il vantaggio iniquo costituito dall’acquisto della proprietà del bene del debitore da parte del creditore sia di tale portata da assumere il carattere della usurarietà, fermi gli altri elementi di fattispecie, alla sanzione civile si accompagna in astratto la sanzione penale dettata dall’art. 644 c.p. (121). Risulta pertanto confermata la stretta connessione fra sanzione civile della nullità per illiceità e sanzione penale nei confronti del contratto abusivo, con cui in violazione dei principi dell’ordine pubblico, si consuma un iniquo approfittamento economico da una parte a danno dell’altra.
12. - La tormentata vicenda del sale and lease-back. I condizionamenti della giurisprudenza: lease-back anomalo e usura. Tratteggiata la problematica dei trasferimenti commissori, è interessante procedere nella indagine sui contratti illeciti con funzione di credito e/o di garanzia che possono integrare gli estremi dell’usura rivolgendo l’attenzione a una questione molto dibattuta: quella sulla liceità del contratto di sale and lease- back o locazione finanziaria di ritorno (122).
Come è noto, a differenza di quanto accade nello schema del leasing finanziario - dove un soggetto (utilizzatore) riceve in leasing da una società (concedente) un bene da quest’ultima acquistato presso un
(119) Il che è conseguente all’abbandono dell’opinione tradizionalmente seguita in giurisprudenza secondo cui il patto commis- sorio sarebbe integrato solo dalle vendite sospensivamente condizionate (e non anche dalle vendite risolutivamente condizio- nate) e all’accoglimento della considerazione che, qualora si accerti che lo scopo effettivamente perseguito dalle parti con la vendita con patto di riscatto, o sottoposta a condizione risolutiva ovvero con pactum de retrovendendo o de retroemendo, non sia di scambio ma di garanzia; se si appura cioè che fra venditore e acquirente corre un rapporto di mutuo, e il primo è gravato dall’obbligo di restituzione nei confronti del secondo di modo che il fatto dedotto in condizione, o il prezzo della retrovendita consistono nell’adempimento del venditore-debitore alla scadenza, si deve ammettere che tali contratti consentono gli stessi risultati della vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell’inadempimento del venditore (debitore), e si deve comminare la stessa sanzione (l’indirizzo è stato inaugurato da Xxxx. 3 giugno 1983, n. 3800, cit.; sono seguite Cass. 6 dicembre 1983, n. 7271, in Giur. it., 1984, I, 1, 1697, Quadrimestre, 1984, 347; Cass. 11 gennaio 1988, n. 46, in Foro it., 1988, I, 387; Cass. sez. un. 3 aprile 1989, n. 1611, in Giust. civ., 1989, I, 1569; Foro it., 1989, I, 1428; Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 348; v., anche, Cass. sez. un. 21 aprile 1989, n. 1907, in Foro it., 1990, I, 205; Cass. 28 settembre 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, X, 0000; Foro it., 1995, I, 1227; Cass. 4 marzo 1996, n. 1657, in Contratti, 1996, 442. Per l’indirizzo tradizionale soltanto isolate pronunce: Cass. 19 settembre 1992, n. 10794; Cass. 27 settembre 1994, n. 7878, in Foro it., 1995, I, 1227).
(120) V. le sentenze citate alla nota precedente.
(121) X. Xxxx. 00 gennaio 1980, n. 642, cit., secondo cui “il trasferimento della proprietà di un bene il cui valore sia di gran lunga superiore all’ammontare del debito che con quel trasferimento venga pagato integra quel vantaggio usurario che vale a configurare il debito di usura previsto dall’art. 644 cod. pen.”.
(122) Xxxxx quale v. in generale, tra gli altri, Xxxxxxxxx, La locazione finanziaria, Milano, 1977, 116 ss.; Xxxxxxxxx, Considerazioni sulla natura del leasing immobiliare, e loro riflessi in tema di pubblicità e di responsabilità civile, in Riv. dir. civ. 1984, I, 271; Bussani Il contratto di lease-back, cit., 558 ss.; Xxxxxx, Lease-back e patto commissorio, in Riv. not., 1986, I, 790; Xxxxxxx, La violazione del divieto del patto commissorio nel finanziamento “leasing” e nel “sale and lease-back”, in Quaderni giuridici dell’impresa, 1989, 81; Xxxxxxxxx, Leasing (dir. priv.), in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, ad vocem; Gitti, Divieto del patto commissorio, frode alla legge, “sale and lease back”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 457 ss.; Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 255 ss.; Xxxxx, Lease-back, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, trattato diretto da Xxxxxxx, I, Torino, 1995, 779 ss.; Xxxxxxxx, Lease back, mercato e divieto del patto commissorio, in Giur. comm., 2000, I, 489 ss.
terzo (fornitore) - e del leasing operativo - dove un soggetto (venditore e finanziatore) concede un bene in leasing ad altro soggetto (acquirente e utilizzatore) – in questa ulteriore tipologia di leasing bilaterale un soggetto (venditore e utilizzatore) aliena un bene ad altro soggetto (acquirente e finanziatore) che glielo concede in leasing. Diversamente da quanto avviene nello schema trilaterale, in questi ultimi due l’originaria appartenenza del bene concesso in leasing a una delle parti del contratto determina una obbiettiva funzione di garanzia. Nel caso del lease-back l’originaria appartenenza del bene all’utilizzatore consente di collocare la fattispecie nell’ambito delle alienazioni a scopo di garanzia dell’adempimento (pagamento dei canoni per la durata del contratto, fatta salva, trattandosi di leasing, l’eventuale (123) opzione finale di riacquisto). Si discute di conseguenza se una simile combinazione contrattuale sia compatibile con il divieto del patto commissorio.
Secondo una prima opinione, sostenuta da parte della dottrina e da certa giurisprudenza di merito, la differenza tra vendita con patto di riscatto e causa concreta di garanzia e locazione finanziaria di ritorno si riduce allo strumento utilizzato in questo secondo caso per ottenere il finanziamento: non una vendita ma un contratto di leasing. Con la conseguenza che mentre il meccanismo del patto di riscatto è automatico: pagato il prezzo, la vendita si risolve; invece il meccanismo del leasing richiede, oltre al pagamento integrale dei canoni, l’esercizio del diritto di opzione all’acquisto (tuttavia elemento naturale ma non essenziale del contratto). Si tratta però di differenze marginali, che non alterano la sostanza economica dell’affare, e non intaccano la sostanziale analogia tra le due figure (124).
Secondo un indirizzo più possibilista - prima espresso in dottrina e in alcune sentenze di merito, successivamente fatto proprio dalla Suprema Corte - la figura della locazione finanziaria di ritorno, in quanto tale, non può essere ritenuta illecita. Va invece sanzionato la singola operazione di lease-back che, in concreto, è posta in frode al divieto di patto commissorio. In sintesi, si sostiene: nel lease-back il contratto di vendita non ha natura di alienazione in garanzia, ma corrisponde a una alienazione a scopo di leasing. Essa non serve a garantire un preesistente (o concomitante) finanziamento: un mutuo, che nella specie non esiste. Piuttosto, costituisce il necessario presupposto per la concessione del bene alienato in leasing: se infatti la società di leasing non acquistasse la proprietà del bene, non potrebbe effettuare la locazione finanziaria a favore del venditore e utilizzatore. Però, se lo schema (non formalmente e tuttavia) socialmente tipico della locazione finanziaria di ritorno non può essere ritenuto in sé elusivo del divieto di patto commissorio, ciononostante singole operazioni, nel loro concreto atteggiarsi, possono rivelarsi in frode alla legge, e i contratti che le organizzano nulli per illiceità. Così quando appare che lo scopo oggettivo delle parti è proprio di garantire un credito. Sarà pertanto importante verificare la ricorrenza, nel caso concreto, di alcuni indici sintomatici della frode alla legge (125), come: (i) la qualità soggettiva delle parti, diversa da quella di società di leasing e di imprenditore; (ii) l’effettiva difficoltà economica in cui versa
(123) Nella definizione di leasing finanziario internazionale data dall’art. 1 della Convenzione di Ottawa del 28 maggio 1988, ratificata dall’Italia con l. 14 luglio 1993, n. 259 il patto di opzione non è considerato elemento necessario. In dottrina si concorda che tale definizione sia valida anche per la figura contrattuale operante nel diritto interno: v. Xxxxxxx, Il leasing finanziario e la Convenzione internazionale di Ottawa del 28 maggio 1988, in Giust. civ. 1994, II, 725; Xxxxxxxx, Il leasing in Italia dopo la convenzione di diritto uniforme sul leasing internazionale, relazione tenuta il 24 febbraio 2000 a Frascati nell’ambito dell’incontro di studio organizzato dal CSM sul tema I contratti di impresa tra legislatore comunitario e mercato globale.
(124) In giurisprudenza x. Xxxx. Xxxxxx 00 dicembre 1988, in Foro it, 1989, I, 1251; Trib. Vicenza 12 luglio 1988, in Dir. fall., 1989, II, 697; Foro it., 1989, I, 1251; Trib. Genova 30 gennaio 1992, in Giust. civ., 1993, I, 427; Riv. not., 1993, 926; App. Brescia 29 giugno 1990, in Riv. it. Leasing, 1991, 207; Trib. Roma 7 maggio 1990, in Trasporti, 1990, II, 137; Trib. Milano 19 giugno 1986, in Riv. it. leasing, 1986, 786. In dottrina v. Xxxxxxxx, Alla ricerca degli arcani confini del patto commissorio, cit., 220 ss.; Id., Lease back, cit., 496 s.; Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 267 ss.
(125) Sull’importanza di una analisi sintomatica del contratto – condotta secondo il criterio della meritevolezza degli interessi perseguiti con il regolamento concretamente assunto – al fine dello svelamento della frode alla legge, resta fondamentale lo studio di Xxxxxxx, La frode alla legge, Milano, 1969, 335 ss. Circa la tecnica di svelamento della frode, si può leggere Xx Xxxxxx, Frode alla legge nei contratti, in Giust. civ., 1998, II, 593 ss.
il venditore-utilizzatore (126); (iii) la sproporzione significativa delle prestazioni a svantaggio del venditore- utilizzatore (prezzo vile del bene compravenduto (127); canoni eccessivi nella locazione finanziaria; prezzo inadeguato per l’esercizio del diritto di opzione (128)); (iv) la durata temporale, eccessivamente breve e non congrua, del contratto (129); (v) l’avere il contratto a oggetto non beni strumentali ma prodotti commercializzati dal venditore-utilizzatore. Si parla, in queste evenienze, di lease-back anomalo (130).
Ai fini qui rilevanti non interessa discutere l’esattezza di questo avviso. Esso è certamente influenzato dall’appartenere il lease-back ai contratti di impresa, per i quali si teorizza un approccio interpretativo sensibile alle esigenze del mercato (globale) (131). Criticamente si potrebbe notare che la differenza fra lease-back regolare e lease-back anomalo è probabilmente non qualitativa ma puramente quantitativa, in quanto attraverso la prima operazione si realizza una alienazione in garanzia in cui gli interessi di una parte non sono sacrificati a quelli dell’altra, mentre con la seconda si realizza una alienazione in garanzia in cui gli interessi di una parte sono assolutamente sacrificati a quelli dell’altra (132). Se tuttavia sembra
(126) Evenienza tutt’altro che rara nella prassi, come notano De Nova, Il lease-back anomalo è in frode al divieto del patto commissorio, in Riv. it. Leasing, 1988, 209; Xxxxxxxx, Lo sviluppo della giurisprudenza di merito sulla liceità del lease-back, in Giust. civ. 1992, II, 485 ss.; Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 281.
(127) Eventualità tutt’altro che infrequente, poiché il prezzo della vendita è deciso non dal fornitore-utilizzatore ma dall’acqui- rente-locatore, non con riguardo al valore di mercato del bene ma con riferimento alle esigenze di finanziamento a cui è preordinata l’operazione complessiva (cfr. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 259). Il prezzo finale del bene risulta sempre inferiore al suo effettivo valore in quanto il bene medesimo assolve a una funzione di garanzia, e “chi concede un finanziamento non si accontenta di garanzie di valore uguale al credito concesso” Xxxxxxxxx, La locazione finanziaria, cit., 122 s.
(128) Inadeguatezza tutt’altro che episodica nella pratica, dove il prezzo dell’opzione è spesso simbolico: cfr. Xxxxxxxxx, La locazione finanziaria, cit., 132; Gabrielli, Considerazioni sulla natura del leasing immobiliare, cit., 273.
(129) Durata ridotta tutt’altro che occasionale, poiché viene stabilita “non in vista delle esigenze di utilizzazione del bene, ma in base alla entità e alla durata del finanziamento concesso” Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 259.
(130) X. Xxxxxxxxx, La locazione finanziaria, cit., 121; Oberto, Vendita con patto di riscatto, divieto del patto commissorio e contratto di lease- back, in Quadrimestre, 1984, 375; Pelosi, Sale and lease-back e alienazioni a scopo di garanzia, in Riv. it. Leasing, 0000, 000; Xx Xxxx, Xx lease-back anomalo è in frode al divieto del patto commissorio, cit., 209 ss.; Frignani, Factoring, Leasing, franchising, Venture capital, Leverage buy-out, Hardship clause, Countertrade, Cash and Curry, Merchandising, Torino, 1991, 163 ss.; Xxxxxxxx, La responsabilità patrimoniale, in Il Codice Civile, commentario diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1991, 254 ss.; Xxxxxxxxx, Leasing, cit., 5. Maniàci, Leasing, lease- back e divieto del patto commissorio, in Contratti, 1998, 404; Xxxxxxx, La locazione finanziaria. Leasing, Padova, 1998, 292. Ampia rassegna di dottrina e giurisprudenza in Bussani Leasing (sintesi), in Riv. dir. civ., 1992, II, 813 ss.
Altri indici enucleati dalla giurisprudenza sono: (vi) l’insussistenza dell’immediato fine di liquidità a cui è tipicamente volto il contratto; (vii) la mancanza di interesse del venditore-utilizzatore al bene oggetto del contratto; (viii) la disponibilità del bene non in capo all’utilizzatore ma in capo alla società di leasing; (ix) la presenza di clausole secondo le quali la società concedente può trattenere temporaneamente parte del prezzo di vendita spettante al (venditore) utilizzatore; (x) il patto di attribuzione alla società concedente di tutti i canoni, scaduti e non scaduti, in caso di scioglimento del contratto; (xi) il rischio di perimento del bene gravante non sulla società concedente ma sull’utilizzatore (caso frequentissimo nella pratica contrattuale, cfr. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 260): x. Xxxx. 00 ottobre 1995, n. 10805, in Giust. civ., 1996, I, 1739; Giur. it., 1996, I, 1, 1382; Foro it., 1996, I, 3492; Corr. giur., 1995, 1360; Cass. 19 luglio 1997, n. 6663; Cass. 22 aprile 1998, n. 4095; Trib.
Pavia, 1° aprile 1988, in Foro it., 1989, I, 1272; Giust. civ., 1988, I, 2383; Trib. Milano 15 giugno 1985, in Riv. it. Leasing, 1986,
172; Trib. Torino, 29 marzo 1988, in Riv. it. Xxxxxxx, 1989, 213; Giust. civ., 1988, I, 2388 e, riassuntivamente, Luminoso, Lease back, cit., 501 s. Precisa la giurisprudenza: costituisce accertamento di fatto, in base ad elementi sintomatici, soggettivi (quali lo stato di debolezza economica dell'impresa venditrice) e oggettivi (quali la sproporzione tra valore del bene venduto e prezzo pagato dalla fornitrice e la durata ridotta del contratto) stabilire se il lease-back, contratto di impresa in sé lecito, sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio, ed è pertanto nullo perché in frode alla legge (così Cass. 19 luglio 1997, n. 6663, in Contratti, 1998, 396).
(131) V., da ultimo, Xx Xxxxx, L’interpretazione dei contratti di impresa, Napoli, Roma, Benevento, Milano, 1999, 32 ss.; 151 ss. V. anche Xxxxxxxx, Lease back, cit., 499.
(132) L’affermazione giurisprudenziale secondo cui il contratto di vendita nel lease back non è a scopo di garanzia ma a scopo di leasing è francamente inaccettabile. Vendita e leasing di ritorno sono contratti oggettivamente collegati. L’uno prelude all’altro. L’intera operazione consente a una parte (venditore-utilizzatore) di usufruire di un finanziamento smobilizzando beni stru- mentali dell’impresa; e all’altra di effettuare un finanziamento sotto la garanzia della (acquisita) titolarità di un bene tanto indifferente e inutile per essa impresa di leasing quanto fondamentale per l’altro contraente. Solo l’integrale pagamento dei
indubitabile che gli indici sintomatici non possono determinare una modificazione ontologica dei due contratti (vendita e successivo leasing) - non potendo fondare nel caso concreto una causa di garanzia in sé già presente nel tipo (133) - ma possono rivelare solo fino a che punto l’acquirente-concedente si approfitta del venditore-conduttore, è proprio la figura del lease-back anomalo che risulta adesso importante. Infatti l’iniqua sperequazione fra le prestazioni dedotte in contratto, mentre determina la nullità del contratto per violazione degli artt. 1344 (secondo alcuni), 1418, 1° comma e 2744 cod. civ., può determinare (ricorrendo gli altri elementi di fattispecie previsti dall’art. 644 cod. pen.) anche il reato di usura (134). Il che, se appariva raramente prospettabile guardando alla lesione enorme positivizzata nell’art. 1448 cod. civ. (135), diviene invece probabile alla luce della nuova normativa sull’usura.
Si può anzi ipotizzare che il movimento giurisprudenziale e dottrinale volto a salvaguardare nei limiti del possibile la praticabilità del lease-back abbia comunque posto il limite della “normalità” dell’operazione contrattuale escludendo le fattispecie “anomale” proprio perché in esse diventa concreto e attuale il pericolo dell’usura. Si spigherebbe, così, la ragione profonda di un atteggiamento a prima vista poco conseguente. In particolare, la giurisprudenza maggioritaria ha probabilmente inteso sottrarre alla disciplina dell’art. 2744 cod. civ. un contratto che ritiene socialmente tipico e discretamente diffuso nella contrattazione internazionale; si è però preoccupata di fissare un limite di meritevolezza per evitare la compressione dei diritti della parte debole, spesso costretta ad accettare condizioni odiosamente inique. Ha sanzionato l’immeritevolezza del contratto abusivo servendosi dell’art. 2744 cod. civ., comunque dettato per il trattamento del contratto illecito e specificamente usurario, e ha così recuperato in parte l’uso della norma.
Un importante argomento a favore di questa tesi si trae dall’osservazione che la recente giurisprudenza individua la ragione del divieto del patto commissorio proprio nella esigenza classica di garantire il debitore dalla prepotenza e dall’approfittamento esercitabili a suo danno dal creditore (136).
La tesi sembra poi confortata dall’esame degli indici dell’anomalia del contratto. Molti di essi sono tipici delle convenzioni a carattere usurario: così il prezzo vile del bene acquistato e poi dato in locazione finanziaria, l’eccessività dei canoni e l’inadeguatezza del prezzo per l’opzione; così pure la breve durata
canoni e il versamento del prezzo per l’opzione di riacquisto: solo la compiuta restituzione di capitale e interessi, consentirà al venditore di tornare in possesso quale proprietario del fondamentale strumento venduto prima e ricevuto poi in leasing. Perciò, appare inevitabile affermare che il lease back ha una oggettiva funzione di garanzia: corrisponde in pieno a un mutuo assistito da un patto commissorio autonomo. V. anche Xxxxxx, La vendita e la permuta, cit., 691, nota 3.
(133) O, come altri contrariamente pensano, comunque estranea al tipo: x. Xxxxxx, L’alienazione in funzione di garanzia, Milano, 1996, 480 s.; Xxxxxxxxx, Patto commissorio autonomo, cit., 187. Non manca tuttavia chi ritiene che tali differenze quantitative deter- minino un “mutamento sostanziale dell’assetto contrattuale”, trasformandolo da lecito in fraudolento: Xxxxx, Divieto del patto commissorio, cit., 488.
(134) Cfr. Xxxxxx, Lease back, divieto del patto commissorio ed elusione fiscale, in Riv. it. leasing, 1989, 486; Gitti, Divieto del patto commis- sorio, cit., 487 s.; Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 265; Xxxxxx, L’alienazione in funzione di garanzia, cit., 478. Sembra importante notare che le operazioni genericamente di leasing integrano una delle categorie di operazioni creditizie classificate dal ministero del Tesoro (v. art. 1 decr. 23.9.96, in G.U. 26.9.96, n. 226; art. 1 decr. 22.9.98, in G.U. 26.9.98, n. 225). È poi importante ribadire che la nuova formula dell’art. 644 c.p. parla non più di interessi o altri vantaggi usurari come corrispettivo della prestazione di denaro o altra cosa mobile, ma come corrispettivo della prestazione di denaro o di altra utilità (compresi beni immobili e diritti immobiliari, che costituiscono l’oggetto usuale di operazioni di lease-back: x. Xxxxxxxx Paleo- logo, I contratti di locazione finanziaria, cit., 258). I casi dei canoni eccessivi e (ma più problematicamente, attesa l’astratta libertà di scelta connessa al meccanismo) del prezzo inadeguato per l’esercizio del diritto di opzione sono oggi ricompresi nelle ipotesi di reato anche per questo verso (a prescindere dallo scopo concreto della vendita - leasing o garanzia - che consente il successivo leasing) benché l’operazione abbia ad oggetto beni immobili (lo stesso vale per la diversa tipologia del leasing operativo).
(135) X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, I contratti di locazione finanziaria, cit., 264, che nota come il rapporto di equivalenza soggettiva tra le prestazioni sia rimesso al giudizio delle parti, ma “negli ampi limiti concessi dalla disciplina della rescissione”.
(136) Come nota Luminoso, Lease back, cit., 494 (e x. xxx xx., xx xxxxxxxxxxxx Xxxx. 00 ottobre 1995, n. 10805, cit. nonché Cass. 15 aprile 1998, n. 4095). Questo Autore esprime un avviso altrettanto significativo quando fa dipendere la nullità del patto commissorio in generale dall’accertata sproporzione in concreto tra valore del bene alienato ed entità del debito garantito (503).
del contratto; così ancora la clausola che consente al concedente di trattenere parte del prezzo di vendita spettante al venditore, così infine lo stato di difficoltà economica in cui versa il venditore-utilizzatore. Se si esclude la (tradizionale e imperitura) preoccupazione di sanzionare i patti usurari, storicamente annidati nei contratti commissori, resta oscura la ragione per cui alcune pattuizioni sono guardate con sfavore e ritenute indice di anomalia dell’intero contratto, realizzato in violazione degli artt. 1344 e 2744 cod. civ. Si pensi, per es., alla durata ridotta del contratto: di per sé integra il meccanismo del finanziamento a breve termine, certamente legittimo e immeritevole di sanzione. Lo stesso per il carattere simbolico del prezzo per l’opzione di riacquisto: in sé non dovrebbe avere nessun rilievo, essendo la stessa opzione finale elemento non essenziale ma naturale del contratto di leasing (137). Lo stesso per lo stato di difficoltà economica del finanziato: da solo rivela lo scopo concreto e legittimo perseguito dalle parti in alcune ipotesi: fronteggiare una crisi di impresa.
Risulta, a quanto pare, di nuovo confermato il nesso che può sussistere fra sanzione civile della nullità per illiceità e sanzione penale nei confronti del contratto abusivo e sperequato, contrario ai principi dell’ordine pubblico.
13. - Conclusioni. L’indagine condotta pare consentire l’approdo ad alcune ragionevoli certezze. Si è visto che non tutte le norme penali tutelano interessi generali, essendovene diverse a presidio di interessi esclusivamente particolari. Non tutte le norme penali, perciò, sono di ordine pubblico. Poiché la nullità per illiceità è, per opinione assolutamente consolidata, conseguenza del contrasto diretto o indiretto fra il contratto e un precetto di ordine pubblico, in prima approssimazione si può dire che sono affetti da nullità/illiceità solo i contratti violativi di norme penali di ordine pubblico, allo stesso modo di come, più generalmente, sono affetti da nullità/illiceità i contratti in contrasto con norme imperative di ordine pubblico.
Se la tesi è condivisibile, le conseguenze della illiceità penale dei comportamenti tenuti da uno o da tutti i contraenti sulla validità del contratto vanno indagate valutando non la struttura della fattispecie penale, secondo la dicotomia reati-contratto e reati in contratto, o secondo il binomio punizione di una parte o di tutte le parti dell’accordo, ma verificando la natura degli interessi che essa specificamente tutela: se di ordine singolare o collettivo e primario. Sembra opportuna qualche ulteriore considerazione.
Circa il criterio elaborato dalla dottrina civilistica (direzione del divieto penale), è facile convenire sul rilevo che l’indagine sulla natura di ordine pubblico dell’interesse protetto può essere condotta anche con riguardo alla direzione della sanzione, e con indubbia utilità. Infatti, il contratto frutto di condotte tutte penalmente sanzionate sarà certamente in contrasto con norme imperative di ordine pubblico. Tuttavia, se l’assolutezza del comando è eloquente, la relatività dell’obbligo o del divieto non spiega alcunché e lascia aperto il problema a tutte le soluzioni astrattamente prospettabili. Come esemplarmente dimostra la nuova normativa sull’usura, anche nel caso della punibilità di un contraente soltanto è ben sostenibile la nullità/illiceità del contratto.
Circa il criterio elaborato dalla dottrina penalistica (distinzione tra reati-contratto e reati in contratto), sembra agevole accettare l’idea che la sanzione civilistica concerna per così dire la regola negoziale e non le condotte tenute da uno o da tutti i contraenti. Non è invece condivisibile, e appare positivamente smentito dalla disciplina dell’usura, che nell’ipotesi dei reati in contratto, si punisca la condotta delittuosa di taluno ma mai l’accordo raggiunto, e non si abbia nullità/illiceità del contratto o della parte viziata.
In conclusione, il criterio prospettato dalla dottrina civilistica (anche nel più ampio contesto della violazione di norme imperative non penalmente sanzionate) della direzione della sanzione si rivela inesatto e fallace. Inesatto e sviante si rivela anche il criterio prospettato dalla dottrina penalistica nella meccanica distinzione tra reati-contratto e reati in contratto. Il successo di entrambi è stato probabilmente facilitato dalla ritenuta portata assoluta della sanzione della nullità, che non risparmierebbe nessuna
(137) Come detto alla nota 122.
posizione contrattuale e che quindi, nell’ipotesi di condotta unilateralmente delittuosa, travolgerebbe anche quella della vittima del reato. Esso è stato inoltre favorito dalla concezione tradizionalmente invalsa dell’illiceità, che anche per regola positivizzata si mostra come bilaterale: artt. 1343; 1344; e soprattutto 1345 cod. civ. Entrambe queste convinzioni stanno venendo meno. Le strutture della nullità, per come disegnate dal legislatore recente, si rivelano molto più complesse di quanto si credeva fino a ieri; il carattere bilaterale della convenzione illecita è seriamente smentito da fattispecie in cui l’illiceità consegue a una condotta contrattuale soltanto (l’esempio principale è dato dall’usura; altri possono essere dati dalla disciplina delle clausole abusive nei contratti dei consumatori, dalla disciplina dei contratti conclusi con abuso di posizione dominante e dalle regole su quelli confezionati con abuso di dipendenza economica (138)).
Ecco allora emergere la regola che appare preferibile per la soluzione in concreto del problema sulle conseguenze civilistiche delle violazioni di norme penali in comportamenti negoziali. Nel caso di un contratto frutto di condotte negoziali una o tutte vietate dalla legge penale, in assenza di una norma espressa sui riflessi civilistici di quelle violazioni e in applicazione della regola sulla nullità virtruale, si dovrà ritenere la nullità e illiceità se l’assetto di interessi così prodotto contrasta con valori di ordine pubblico; se tale assetto, pur urtando altri interessi protetti, non offende ragioni di ordine pubblico la nullità e illiceità dovranno essere escluse. Oggetto di esame è dunque il contratto: non in sé, ma per l’assetto di interessi che realizza. Tale assetto di interessi deve essere assoggettato al giudizio di liceità e meritevolezza imposto dall’art. 1322 cod. civ. Il criterio con cui deve essere condotto il giudizio è la compatibilità dell’assetto di interessi con valori di ordine pubblico (di protezione).
Nessuna ragione sistematica sembra militare in senso contrario alla ricostruzione proposta; e nemmeno ragioni di opportunità, volte a tutelare la parte debole e vittima del reato. Se infatti una delle parti è persona offesa, la nullità avrà funzione protettiva (139) e non travolgerà anche i suoi interessi.
Xxxxxxxx Xx Xxxxxx
(138) Qualora si convenga, circa la prima disciplina, che la inefficacia comminata dall’art. 1469 quinquies, cod. civ. debba essere letta nei termini della nullità/illiceità, e qualora si concordi, circa la seconda, che il divieto posto dall’art. 3 della legge antitrust determini la nullità virtuale del patto in violazione.
(139) Si rinvia al par. 9, e per una proposta in tema di trasferimenti commissori in generale e lease-back in particolare a Luminoso, Lease back, cit., 503 (che ipotizza la nullità parziale del patto nei limiti della sproporzione tra le prestazioni).