NORME BANCARIE UNIFORMI E CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO - IL COMMENTO
NORME BANCARIE UNIFORMI E CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO - IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxx
I Contratti N. 2/1996, Pag. 152
La società Alfa stipula nell'ambito della sua attività d'impresa un contratto di finanziamento con la banca Beta; a garanzia di tale contratto, Xxxxx, socio di Alfa, è invitato a sottoscrivere un contratto di fideiussione omnibus. Dopo alcuni anni di puntuale reciproco adempimento, Xxxx viene dichiarata fallita e la banca Beta agisce nei confronti di Xxxxx per rivalersi del proprio credito chiedendo al Tribunale di Alba l'emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento.
Xxxxx, però, si oppone alla pretesa avversaria eccependo in via pregiudiziale il contrasto della normativa bancaria con gli artt. 85 e 86 del Trattato CE e, quindi, la nullità dei contratti stipulati dalla banca con i clienti applicando le norme bancarie uniformi. Sostiene infatti Xxxxx che la predisposizione di tali norme bancarie uniformi rappresenta un accordo restrittivo della concorrenza a livello comunitario, in contrasto con quanto disposto dagli artt. 85 e 86 del Trattato CE.
La banca contesta quanto affermato da Xxxxx facendo rilevare che le clausole contrattuali inserite nei moduli predisposti dalle banche hanno valore di semplici condizioni generali di contratto e non possono considerarsi espressione di un accordo restrittivo della concorrenza dal momento che l'ABI, che presiede alla predisposizione di tali clausole, fornisce alle banche ad essa associate solo un servizio di consulenza giuridica e che quindi i modelli contrattuali da quest'ultima suggeriti sono dalle banche adottati liberamente, in virtù della loro intrinseca validità e non per una pretesa forza cogente degli stessi.
Le osservazioni che seguono si propongono di suggerire alcuni spunti di riflessione sul ragionamento svolto dai giudici piemontesi che, pur essendo a prima vista ineccepibile, ad un esame ulteriore si presta a valutazioni contrastanti.
Il Tribunale, infatti, esordisce sul tema affermando - in aderenza a quanto già riconosciuto dalla Commissione di Giustizia CE - che le norme bancarie uniformi predisposte dall'A.B.I. e recepite dalle singole banche aderenti costituiscono «decisioni di associazioni di imprese», come tali rientranti nel divieto di cui all'art. 85 del Trattato CE e dunque nulle «di pieno diritto» (2) in quanto contrarie a norme imperative, e prosegue chiarendo che tali n.b.u. «pur non avendo carattere vincolante per le banche destinatarie e pur avendo nei rapporti tra banca e cliente secondo i più natura e valore di condizioni generali di contratto, sono tuttavia idonee a coordinare le prassi contrattuali delle banche italiane». A queste premesse segue, però, una conclusione forse non perfettamente congrua: il Tribunale dichiara infatti che la nullità derivante dalla violazione dell'art. 85 si estende solo ai contratti conclusi tra le banche (vale a dire, in concreto, all'accordo che induce le imprese bancarie ad applicare le suddette n.b.u.) e non si propaga ai diversi contratti che le banche stipulano con i clienti
adottando le clausole predisposte dall'ABI.
NATURA GIURIDICA DELLE NORME BANCARIE UNIFORMI
Per chiarire i presupposti logici del ragionamento svolto dal Tribunale di Alba è opportuno soffermarsi in primo luogo sulla qualificazione delle norme bancarie uniformi al fine di chiarire se esse siano «norme» di diritto, come il termine adottato parrebbe suggerire, o non piuttosto clausole di contratto, vincolanti dunque solo tra le parti e solo in presenza di una esplicita o implicita accettazione.
Come la dottrina ha concordemente messo in rilievo (3), le n.b.u. non sono emanate da un'autorità legislativa o amministrativa comunque dotata di potere normativo, ma piuttosto da un'associazione di categoria - l'A.B.I. - priva di potestà normativa e capace di vincolare i propri aderenti solo attraverso l'adozione di idonei schemi contrattuali; esse pertanto non possono qualificarsi come «norme» in senso tecnico, rientranti come tali nel sistema delle fonti dell'ordinamento.
Analogamente deve escludersi la natura di usi - sia normativi che contrattuali (4) - delle suddette norme bancarie, dal momento che l'uso si realizza con una spontanea e generalizzata adesione dei consociati ad un dato comportamento, circostanza che non può dirsi verificata laddove le regole che si vorrebbero ricondurre alla categoria degli usi sono unilateralmente fissate da una corporazione di imprese (5).
In considerazione di quanto osservato le norme bancarie uniformi non possono che qualificarsi come condizioni generali di contratto a norma degli artt. 1341 e 1342 Codice civile. E' questa la soluzione accolta dalla dottrina maggioritaria (6) e dalla giurisprudenza ed è anche la soluzione fatta propria dai giudici piemontesi.
Quest'ultima possibilità, peraltro, deve intendersi ora esclusa anche per effetto dell'applicazione della disciplina posta in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali dal T.U. delle leggi bancarie e creditizie, che richiede la necessaria forma scritta per la validità dei contratti bancari e impone l'obbligo di indicare in essi «il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati» (art. 117, quarto comma, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) vietando in tal modo la possibilità di un mero rinvio per relationem agli usi.
In un settore, quale è quello creditizio, in cui il regime oligopolistico rende ancora più marcata la disparità di potere contrattuale delle parti il ricorso alla normativa di cui agli artt. 1341 e 1342 Codice civile si rivela, poi, ancor più inadeguato perché non tiene conto della circostanza - che invece assume in concreto rilevanza centrale - che il consumatore accetta di concludere un contratto contenente clausole per lui vessatorie perché più che mai privo di una reale possibilità di scelta, formalmente esistente ma in concreto svilita dall'adozione generalizzata da parte delle altre banche di clausole contrattuali di analogo tenore.
Pare pertanto quasi ironico l'accenno fatto dal Tribunale di Alba (9) alla possibilità che Xxxxx aveva di
Ma anche qualora il Tribunale avesse mostrato maggiore consapevolezza delle reali spinte motivazionali che inducono il cliente ad aderire ad un testo contrattuale per lui svantaggioso la soluzione non avrebbe potuto, sotto il profilo considerato, divergere in modo rilevante da quella adottata.
Il fatto è che i margini di azione offerti all'interprete per assicurare una maggiore tutela del contraente
c.d. debole sono assai esigui, se si vuole limitare il proprio campo di intervento ad una prospettiva che valuti le norme bancarie uniformi esclusivamente sotto il profilo della disciplina codicistica dei contratti standard. Più ampi spazi possono forse offrirsi esaminando il problema da angolazioni diverse, quale ad esempio quella dei limiti e dell'estensione dei poteri di vigilanza conferiti all'autorità amministrativa in materia bancaria e quella, ancor più interessante, del possibile conflitto degli accordi interbancari conclusi per la predisposizione delle n.b.u. con la normativa comunitaria ed interna sulla concorrenza.
La seconda prospettiva cui si è accennato - riguardante i possibili profili di anticoncorrenzialità delle
n.b.u. - sarà invece più ampiamente esaminata nel prosieguo della trattazione, non solo perché proprio il tema dei rapporti tra n.b.u. e normativa antitrust ha costituito l'oggetto della decisione della sentenza in commento, ma anche perché il profilo in questione sembra quello più fecondo di spunti per chi voglia cercare di ampliare i margini di tutela del cliente-consumatore di servizi bancari.
N.B.U. E NORMATIVA ANTITRUST
L'applicazione al settore bancario della disciplina comunitaria (12) ed interna (13) in materia di concorrenza non è stata l'automatica conseguenza dell'entrata in vigore dei rispettivi testi di legge ma ha costituito invece oggetto di ampi dibattiti in dottrina.
In un primo momento, infatti, si propose di esonerare gli enti creditizi dal rispetto della normativa antitrust in considerazione della peculiare natura giuridica delle banche - cui si voleva negare anche la qualificazione di imprese - e dell'altrettanto peculiare natura dell'attività svolta e del mercato in cui tale attività era realizzata (14). Questa chiave interpretativa, però, non riscosse il favore della critica, così come non fu accolta la tesi volta a sostenere che il comportamento degli operatori bancari non potrebbe integrare gli estremi di quelle pratiche lesive della concorrenza riconosciute dagli artt. 85 e 86 del Trattato CE (15).
Il tentativo di creare per i servizi bancari una nicchia di esenzione generalizzata dalle regole della concorrenza risultò peraltro frustrato anche da una esplicita presa di posizione delle istituzioni
Ancora una volta l'interpretazione favorevole alle banche sollevò numerose e giustificate critiche che indussero all'accoglimento - ormai pacifico - della tesi dell'applicabilità della normativa antitrust agli accordi destinati alla predisposizione delle norme bancarie uniformi.
Il Tribunale di Alba non si discosta in materia dalle posizioni della dottrina dominante e, data quindi per scontata l'astratta applicabilità degli artt. 85 e 86 Trattato CE al settore bancario, riconosce che la predisposizione da parte dell'A.B.I. delle norme bancarie uniformi rappresenta una decisione di associazioni di imprese rientrante nel divieto sancito dall'art. 85 del Trattato. A sostegno della sua affermazione il Tribunale fa rilevare che le n.b.u., «pur non avendo carattere vincolante per le banche destinatarie [...], sono tuttavia idonee a coordinare le prassi contrattuali delle banche italiane» e correttamente fonda su tale idoneità astratta la censura di nullità degli accordi interbancari in questione.
Tale nullità, tuttavia, ad avviso dei giudici piemontesi non può colpire gli accordi stipulati dalle banche con i propri clienti perché non è attraverso tali accordi che si realizzerebbe la violazione della disciplina della concorrenza, ma attraverso la conclusione dell'intesa interbancaria finalizzata alla predisposizione delle norme bancarie uniformi.
Il ragionamento così succintamente descritto non pare condivisibile per due ordini di ragioni.
In primo luogo la valutazione che la Corte era chiamata ad effettuare andava condotta non solo alla stregua dell'art. 85 del Trattato CE, ma anche del successivo art. 86: non bastava quindi accertare, come i giudici hanno fatto, che il comportamento tenuto dalla banca Beta nei confronti di Xxxxx non costituisse una decisione di associazione di imprese o un'altra ipotesi prevista dall'art. 85 già citato, ma era necessario verificare altresì che tale condotta non rappresentasse un abuso di posizione dominante a norma dell'art. 86.
Condotta in tal modo, l'analisi avrebbe verosimilmente evidenziato che le clausole vessatorie inserite nel singolo contratto in corrispondenza di analoghe norme bancarie uniformi rientrano nel novero delle «altre condizioni di transazione non eque» di cui all'art. 86, secondo comma, lett. a) e ciò avrebbe permesso di colpire direttamente il singolo contratto (18) stipulato dalla banca riconoscendone la nullità per contrarietà a norma imperativa ex art. 1418 Codice civile (19).
primo accordo si giustifica, nell'ipotesi in esame, proprio in quanto vi sia un contratto che recepisca le condizioni illegittimamente fissate e dimostri quindi la effettiva esistenza di una distorsione nel regime della concorrenza.
LA SORTE DEI CONTRATTI "A VALLE"
Quest'ultima parte della motivazione dei giudici di Alba, relativa alla sorte dei contratti stipulati dalla banca con i singoli clienti, rappresenta, in ultima analisi, il punto nodale dell'intera sentenza e quello che induce ad ulteriori riflessioni.
Partendo dal presupposto che altro è l'accordo concluso tra le diverse imprese bancarie per la predisposizione delle condizioni generali di contratto e altro è il contratto che, poi, ciascuna banca stipula con i propri clienti recependo le clausole predisposte unitariamente, il Tribunale nega che la nullità del primo accordo possa ripercuotersi sul secondo.
Questa affermazione sarebbe pienamente condivisibile se il rapporto tra il contratto tipo ed il contratto «a valle» si risolvesse nella semplice trasposizione di contenuti dal primo al secondo e, soprattutto, se la nullità del primo contratto fosse imputabile ad una violazione normativa destinata ad esaurire i suoi effetti negativi nello stesso contratto. Nessuna delle due condizioni, però, si verifica nell'ipotesi in esame.
In primo luogo il rapporto tra l'intesa promossa dall'A.B.I. e i contratti stipulati dalle imprese aderenti con i propri clienti non si esaurisce nella recezione in questi ultimi contratti di contenuti predisposti attraverso la conclusione dell'intesa: il contratto «a valle» rappresenta anche - in quanto contenente clausole predisposte in violazione della normativa antitrust - l'atto realizzativo dell'abuso di posizione dominante sanzionato dall'art. 86 del Trattato CE, atto senza il quale non avrebbe senso colpire un comportamento - l'assunzione di un impegno di concludere contratti in violazione delle regole della concorrenza - che avrebbe valore di mero proposito non (ancora) attuato.
In secondo luogo, e per le ragioni in parte già esposte, non avrebbe senso dichiarare la nullità per contrarietà a norme imperative di un contratto concluso in contrasto con quanto disposto dagli artt. 85 e 86 del Trattato CE, riconoscendo quindi l'idoneità lesiva del comportamento vietato, e negare poi che i successivi accordi stipulati in esecuzione della medesima condotta vietata possano sottostare allo stesso regime sanzionatorio (21) perché ciò significherebbe non riconoscere che l'abuso consiste proprio nell'imposizione generalizzata delle condizioni predisposte uniformemente ai clienti di ciascuna impresa aderente.
Il ragionamento condotto dalla Corte pare infatti voler frazionare a tutti i costi un fenomeno che invece si mostra unitario e scindere quindi un'entità individuale - ciascuna norma bancaria uniforme - per esaminarne il rilievo in un contesto di rapporti tra imprese diverse, prima, e tra singole imprese e clienti, poi. Così facendo, però, non solo si perde di vista il quadro d'insieme che, solo, permette di cogliere l'effettiva lesività del comportamento anticoncorrenziale, ma si vanifica anche la possibilità per il singolo di agire per veder dichiarare la nullità di una pratica anticoncorrenziale per lui lesiva. A tale azione dichiarativa della nullità dell'intesa, infatti, non solo non avrebbe interesse il singolo imprenditore del settore creditizio, anch'egli coinvolto verosimilmente nell'intesa vietata (22), ma neanche il cliente danneggiato dalla pratica anticoncorrenziale che non potrebbe per tale via ottenere una pronuncia di nullità per violazione della disciplina in materia di concorrenza (23) del contratto da lui sottoscritto che riproduca il contenuto dell'intesa dichiarata nulla.
CONCLUSIONI
La soluzione cui giunge la sentenza in epigrafe non sembra tener conto delle osservazioni da ultimo esposte; essa anzi, pur partendo da premesse che potrebbero indurre il lettore ad un moderato ottimismo circa la soluzione da raggiungere, ne frustra poi la legittima aspettativa di vedersi svelata (infine) una valida soluzione per la tutela della posizione contrattuale del c.d. contraente debole almeno nel settore creditizio.
La sensazione, in realtà, è che la cautela dei giudici di Alba sia motivata dal desiderio di non creare un precedente che potrebbe portare in breve alla declaratoria di nullità di tutti i contratti stipulati dalle banche.
Se così è, trova conferma l'opportunità di ricorrere a forme di controllo di carattere amministrativo, più che giurisprudenziale, meno vincolate dalle peculiarità del caso concreto e maggiormente capaci di incidere in modo sistematico e in via preventiva sull'intera materia esaminata.
Note:
(1) Non constano precedenti specifici. La sentenza in epigrafe può leggersi anche in Informazioni legali Assbank, 1995, fasc. 7, p. 3 ss., con nota di Xxxxxxxxx, Norme bancarie uniformi, violazione delle norme antitrust ed eventuali riflessi sui singoli contratti bancari.
(2) Così si esprime, testualmente, la sentenza.
(3) V. tra tutti, Xxxxx, I contratti bancari, Milano, 1973; Realmonte, Condizioni generali di contratto e norme uniformi bancarie, in Portale (a cura di), Le operazioni bancarie, Milano, 1978; Salanitro, Le banche e i contratti bancari, in Trattato Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; Ubertazzi, Concorrenza e norme bancarie uniformi, Milano, 1986; Cavalli, voce Norme bancarie uniformi e accordi interbancari, in Dig. disc. priv., sez. commerciale, Torino, 1994; Xxxxxxxxx, Condizioni generali di contratto e rapporti bancari, in Banca, borsa e tit. di cr., 1994, 125 ss.;
(4) La distinzione, com'è noto, si fonda sulla diversa rilevanza giuridica delle due categorie: mentre infatti gli usi normativi, caratterizzati dalla contemporanea presenza di un elemento materiale (il comportamento costante ed uniforme della generalità dei consociati) e di un elemento psicologico (la
c.d. opinio iuris ac necessitatis), sono annoverati tra le fonti del diritto ed acquistano valore di legge a norma dell'art. 8 prel., gli usi contrattuali assumono rilievo solo in quanto finalizzati a colmare le lacune del testo contrattuale ex art. 1340 Codice civile. Si segnala, peraltro, che parte della dottrina contesta la distinzione, almeno in linea di fatto, degli usi normativi dagli usi negoziali in quanto manifestazione della «pretesa di considerare la legge come fonte dell'efficacia normativa dell'uso» (così Pavone La Rosa, Gli usi bancari, in Portale (a cura di), Le operazioni bancarie, Milano, 1978, a pagina 38 e ss. ed, in particolare, a pagina 40).
(5) Così, in particolare, Xxxxxxxxx, op. cit., a pagina 44, che mette in evidenza soprattutto il rischio di operare un discutibile accostamento delle n.b.u. agli usi in un sistema fondato sulla «restrizione legale» della concorrenza, essendo, ad avviso dell'Autore, necessario riconsiderare il problema dell'origine della consuetudine «quando una determinata attività economica può essere legalmente svolta soltanto da un numero limitato di imprese, e queste imprese concordano tra loro le regole generali di comportamento, apparendo pericoloso (e in certa misura arbitrario) pretendere di attribuire a regole così formate il valore giuridico di disposizioni consuetudinarie».
(6) V. gli Autori già citati nelle note precedenti.
(7) Cfr., in tal senso, Salanitro, op. cit., 47; Cavalli, voce Norme bancarie uniformi cit., 266, che sottolinea come «le N.B.U., di per se stesse, sono prive di un autonomo e specifico rilievo giuridico»
e che tale rilievo assumono solo se le banche recepiscono gli schemi predisposti dall'associazione di categoria e se tali schemi, confluiti in moduli contrattuali, ricevono poi l'adesione della clientela.
(8) Il coro di voci levate a condannare una soluzione normativa capace di offrire una tutela solo formale - e quindi per ciò stesso facilmente eludibile - alle ragioni dell'aderente è tanto uniforme da rendere superflua ogni citazione. Si segnala tuttavia, con particolare riferimento ai contratti bancari, almeno la monografia di Xxxxxxx, Contratti bancari su modulo e problemi di tutela del contraente debole, Torino, 1976.
(9) A p. 21 della sentenza, infatti, il Tribunale respinge le argomentazioni di Xxxxx volte a porre in rilievo come lo stesso non fosse stato libero di scegliere se sottoscrivere o meno il testo contrattuale rinnovato (per renderlo conforme alla nuova disciplina in materia di fideiussione omnibus) che pure conteneva clausole per lui eccessivamente onerose sostenendo che «l'opponente non aveva alcun dovere, al di là del proprio interesse personale, di prestare garanzia [...]».
(10) Sono da condividere in proposito le perplessità espresse da Xxxxxxx, op. ult. cit., 29 ss. laddove rileva che l'alternativa tra la passiva accettazione in blocco di una regolamentazione per taluni versi vessatoria e la rinuncia tout court alla prestazione si rivela tanto drastica per l'aderente da porre nel nulla lo stesso principio di autonomia contrattuale accolto dal nostro ordinamento: «parlare di libertà negoziale conserva, infatti, un pieno significato solo quando l'aut aut che si prospetta allo stipulante presenti, al tempo stesso, anche un certo carattere di serietà, non quando, invece, una delle due soluzioni si profili, già a priori, in termini proibitivi ed economicamente impensabili».
(11) Cfr. provv. n. 12 del 3 dicembre 1994, in Bollettino dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 48 del 1994.
(12) In particolare gli artt. 85 e 86 del Trattato CE, reso esecutivo in Italia con legge 14 ottobre 1957, in G.U. 23 dicembre 1957, n. 317.
(13) Legge 10 ottobre 1990, n. 287, in G.U. 13 ottobre 1990, n. 240.
(14) Per una panoramica dell'evoluzione che ha portato ad ammettere l'assoggettamento delle imprese bancarie in genere e delle condizioni generali di contratto da queste predisposte in particolare alla disciplina antitrust cfr., ampiamente, Ubertazzi, Concorrenza e norme bancarie uniformi, cit.; Id. Imprese bancarie e diritto comunitario antitrust, in Ubertazzi (a cura di), La concorrenza bancaria, Milano, 1985; Rovini, Approfondimento 5 - Diritto nazionale antitrust ed imprese bancarie in AA.VV. Diritto antitrust italiano, Bologna, 1993.
(15) V., nel dettaglio, Ubertazzi, Concorrenza e norme bancarie uniformi, cit., cap. II.
(16) Cfr. sent. 14. luglio 1981 nella causa 172/80, Xxxxxxx Xxxxxxx c. Bayerische Vereinsbank, in Foro it., 1982, IV, c. 473 ss.
(17) Cfr. Xxxxxxxxx, op. ult. cit., 77 ss.
(18) La nullità, in realtà, colpirebbe solo le singole clausole vessatorie, rimettendosi poi all'interprete il compito di valutare ex art. 1419 Codice civile. se in mancanza di tali clausole le parti avrebbero voluto o meno la conclusione del contratto stesso.
(19) Così Ubertazzi, Concorrenza e norme bancarie uniformi, cit., 99 ss., che sostiene che il ricorso all'art. 86 del Trattato sia l'unica strada per condurre ad una pronuncia di nullità delle clausole vessatorie inserite nei singoli contratti in conformità all'analoga norma uniforme predisposta a livello di categoria.
(20) Così, tra gli altri, Xxxxxxxxxxxx, I contratti normativi, Padova, 1969, 205, che rileva come «L'unica conseguenza [della dichiarazione di invalidità del contratto normativo] sarà quella di ridare intera
libertà d'azione [...] ai soggetti che hanno stipulato il contratto normativo unilaterale nei loro rapporti con i terzi». Nel senso di riconoscere «un difetto di quella "competenza" normativa» che può esprimersi tramite il contratto normativo e, conseguentemente, l'inefficacia delle clausole che risultano essere manifestazione di quello squilibrio (ma, pare, senza intaccare la validità dei contratti particolari) cfr. Maiorca, voce Normativo (contratto), in Dig. disc. priv. Sez. Civile, IV ed., Torino, 1995, p. 208 ss. In senso parzialmente difforme, con particolare riferimento al valore giuridico delle
n.b.u. ed alle forme di controllo cui assoggettare tali clausole cfr. Gitti, Contratti regolamentari e normativi, Padova, 1994, in particolare a pagina 220 ss. che riconduce la predisposizione delle norme bancarie uniformi allo schema del negozio regolamentare e non del contratto propriamente normativo ed osserva come il carattere di unilateralità di tale predisposizione non risulta scalfito dalla emanazione della legge n. 154/1992 che, anzi, ha reso evidente come l'unica strada per rendere le condizioni generali di contratto uno strumento di disciplina contrattuale più equilibrato sia quella delle modifiche sostanziali agli schemi di contrattazione più che quella dell'imposizione di limitazioni solo formali al potere di predisposizione.
(21) Il tema in questione è stato scarsamente esaminato dalla dottrina. In senso sostanzialmente conforme a quanto espresso nel testo cfr., in particolare, Salanitro, Disciplina antitrust e contratti bancari, in Banca, borsa e tit. di cr., 1995, II, p. 415 ss., che ritiene ammissibile una «nullità derivata» del contratto per illiceità della causa ma limita tale soluzione ai soli contratti già stipulati, mentre si mostra più dubbioso per la sorte dei contratti ancora da stipulare.
(22) Pare infatti solo di scuola l'ipotesi di un imprenditore che, pur esercitando l'attività bancaria, non sia però ammesso a partecipare alla formulazione delle norme uniformi per una forma di ostracismo da parte degli altri aderenti all'associazione di categoria, soprattutto in considerazione del carattere ancora tendenzialmente chiuso del mercato in cui tali soggetti operano.
(23) E' vero che la normativa sulla concorrenza è posta a tutela del mercato e degli altri imprenditori e non del consumatore, ma aderendo all'orientamento espresso nella sentenza in commento si priva il cittadino-consumatore della possibilità di veder rispettate le norme che governano il mercato economico.