CONTRATTO COLLETTIVO E PROCESSO DEL LAVORO
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”
FACOLTA’ DI ECONOMIA
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO SINDACALE, DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
XXI CICLO DEL CORSO DI DOTTORATO
CONTRATTO COLLETTIVO E PROCESSO DEL LAVORO
Dottoranda:
Dott.ssa Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Tutor:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx
Coordinatore:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx
CONTRATTO COLLETTIVO E PROCESSO DEL LAVORO
INDICE
Considerazioni introduttive
Capitolo I
Il contratto collettivo come fonte ed i criteri interpretativi in sede giudiziale.
1. Il ruolo del contratto di diritto comune all’interno delle fonti del diritto del lavoro.
2. Le norme di diritto e la portata normativa del contratto collettivo di diritto comune.
3. L’interpretazione del contratto collettivo e la certezza del diritto.
Capitolo II
L’accertamento pregiudiziale sull’interpretazione, sulla validità e sull’efficacia dei contratti collettivi; l’art. 420-bis c.p.c. come strumento di deflazione del contenzioso seriale.
1. Il quadro normativo di riferimento e la ratio deflattiva.
1.1 Il rinvio dell’art. 146 delle disposizioni di attuazione del c.p.c., all’art. 64, commi 4, 6 e 7, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
1.2. L’eliminazione dell’interpretazione autentica.
1.3. L’avallo costituzionale dell’istituto.
2. Condizioni di operatività e orientamento della giurisprudenza di legittimità.
2.1. L’accertamento pregiudiziale e l’oggetto della questione.
2.1.1 Il concetto di pregiudizialità.
2.1.2. L’interpretazione, la validità e l’efficacia.
2.2. L’inapplicabilità in grado di appello.
5. I rimedi esperibili avverso la sentenza di accertamento pregiudiziale.
6. La decisione della Cassazione ed il suo valore di precedente.
Capitolo III
Il nuovo giudizio in Cassazione e la sindacabilità diretta del contratto collettivo.
1. Il giudizio di legittimità ante riforma ed i suoi limiti.
2. L’apertura al controllo di legittimità del contratto collettivo del settore pubblico.
3. Il nuovo art. 360, n. 3, cod. proc. civ. ed il contratto collettivo di diritto comune come norma parametro del controllo in Cassazione.
3.1 Accertamento di diritto ed accertamento di fatto.
3.2 Produzione del testo contrattuale ed autosufficienza.
4. La breve esistenza del “quesito di diritto” ed il suo ruolo nel procedimento ex art. 420 bis cod. proc. civ.
5. Il ricorso nell’interesse della legge e la nomofilachia “discrezionale”.
Osservazioni conclusive Bibliografia
Considerazioni introduttive
A fronte della crescente problematicità che deriva dalla tendenza sempre più frequente e diffusa ad una formulazione alquanto oscura, o quanto meno ambigua, del testo contrattuale collettivo, nel presente lavoro tenteremo di analizzare quali siano state le risposte fornite dagli operatori del diritto e dagli interpreti alle criticità derivanti da tale oscurità.
Da un lato, infatti, la soluzione offerta dalla giurisprudenza è stata nel senso di una elaborazione volta a ragionare sui criteri ermeneutici di lettura del contenuto contrattuale, tematica strettamente connesso anche a quello della riflessione sulla natura e sul ruolo del contratto collettivo all’interno del sistema delle fonti del diritto del lavoro.
Per esigenze di organicità si ritiene opportuno evidenziare in primo luogo alcuni aspetti fondamentali e preliminari riguardanti l’odierna struttura del contratto collettivo, evidenziando la peculiare funzione di regolamentazione e di disciplina dei rapporti di lavoro rientranti nel relativo ambito di applicazione, per poi rivolgere l’attenzione anche alle problematiche più strettamente inerenti alle regole interpretative del testo contrattuale.
E’ infatti noto ed intenso il dibattito che si è sviluppato in seno alla dottrina giuslavoristica con riguardo alle questioni relative alla struttura e all’efficacia delle clausole normative dello stesso contratto collettivo, nonché in relazione all’esatto collocamento all’interno del sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico e lavoristico in particolare.
Del resto, anche lo stesso legislatore sembra cosciente delle difficoltà dal punto di vista operativo e gestionale per tutti i rapporti individuali di
lavoro che a quelle clausole ambigue debbano riferirsi per trovare la loro fonte normativa.
Per rispondere a tali difficoltà ma, anche per incidere sui riflessi in sede di contenzioso di questi meccanismi, si è assistito, negli ultimi anni, ad interventi legislativi che, da un lato, istituiscono, nel giudizio di primo grado, meccanismi processuali di accertamento pregiudiziale sulla validità efficacia ed interpretazione del testo del contratto collettivo (art.
420 bis cod. proc. civ.) e dall’altro, nel giudizio di legittimità, attribuiscono alla Corte di Cassazione il potere di sindacato sul contenuto e sul valore normativo della clausola contrattuale censurata, in attuazione del fine di “nomofilachia accelerata”.
Quanto alle più recenti modifiche normative riguardanti l’assetto dell’odierno processo del lavoro, l’attenzione della ricerca si incentra sulle recenti “Modifiche al codice di procedure civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato”.
L’art. 1, comma 3 lett. a), della legge delega n. 80 del 2005 ha previsto, infatti, che il Governo, nell’attuare la predetta delega, dovesse attenersi ad una serie di principi e criteri direttivi, tra cui quello di disciplinare il giudizio di Cassazione in funzione nomofilattica: in questa prospettiva, è stato inserito, dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di attuazione della delega, tra i motivi idonei ad attivare il sindacato della Corte di cassazione l’interpretazione e applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, così ampliando la previsione di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.1
1 Per quanto attiene all’entrata in vigore delle citate disposizioni occorre precisare che in un primo momento, le modifiche al codice di procedura civile dovevano entrare in vigore il 15-9-2005, tale data è stata differita, dapprima al 15-11-2005 (D.L. 30-6-2005, n. 115); poi, all'1/1/2006 (dalla legge di conversione del citato decreto, L. 17-8-2005, n. 168); infine, all'1-3-2006 (D.L. 30-12-2005, n. 271, conv. in L. 23-2-2006, n. 51), fatte salve alcune disposizioni che sono divenute operative da subito.
Nella medesima direzione si iscrive l’inserimento della nuova disposizione nel giudizio di primo grado l’art. 420 bis cod. proc. civ., introdotto nel codice di procedura civile proprio dall’art. 18, primo comma, D. Lgs. n. 40 del 2006, disponendo una apposita procedura che consente l’accertamento in via pregiudiziale in merito all’efficacia, alla validità ed alla interpretazione del contratto collettivo.
La norma è mutuata dalla normativa del pubblico impiego che già aveva disciplinato un meccanismo analogo, la quale però, oltre a non avere avuto particolare riscontro pratico, avendo trovato rare occasioni di applicazione, aveva dato vita a non pochi problemi interpretativi e a dubbi di legittimità costituzionale.2
Ciononostante, il legislatore con il D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha inserito un articolo, l’art. 420 bis cod. proc. civ., che disciplina un meccanismo analogo a quello già creato qualche anno fa in relazione alla contrattazione collettiva pubblica, sia pure con talune differenze, estendendo pertanto alle controversie di lavoro privato quanto era stato stabilito per le controversie di lavoro pubblico.
L’istituto ivi previsto appare come un strumento di carattere processuale con funzione propriamente acceleratoria e di deflazione del contenzioso seriale che appesantisce il processo del lavoro.
La modifica legislativa, inoltre, ampliando la previsione di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ, consente da un lato di ottenere un accertamento immediato su questioni controverse concernenti l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole dei contratti o accordi collettivi ove necessario per la soluzione della controversia, e dall’altro prevede la
2 Art. 64, D. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.
possibilità di ricorrere immediatamente in Cassazione avverso la pronuncia che il giudice abbia reso in relazione a tale questione, con il tipico strumento del ricorso per saltum.
A ciò occorre aggiungere che l’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 2 del D. Lgs. n. 40 del 2006, prevede la sindacabilità diretta in Cassazione delle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che vengono così affiancate alle “norme di diritto”, rendendo così di generica applicazione quel potere di sindacato di legittimità della Corte sulle clausole contrattuali collettive, che già il legislatore della privatizzazione del pubblico impiego aveva provveduto a riconoscere in relazione ai contratti collettivi del settore pubblico.
Sul punto è già andato formando un orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in ordine alle caratteristiche, alla funzionalità ed ai limiti di operatività dello strumento processuale in questione.
Inoltre, da alcuna parte della dottrina sono state rinnovate anche le incertezze e le perplessità in ordine strumenti che al giudice debbano essere concessi al fine di valutare ed interpretare le clausole contrattuali e ciò con particolare riguardo al giudizio di cassazione ed al paventato rischio che mediante il sindacato diretto sulle clausole contrattuali si superi la tradizionale barriera del giudizio di diritto per invadere il campo di una indagine di fatto sul contenuto contrattuale e sulla sua attuazione.
Proprio alla luce ed in virtù di tale affiancamento del contratto collettivo alle norme di diritto si è riaperto un filone interpretativo sulla natura e sull’efficacia dell’odierno contratto collettivo di diritto comune e rinnovando i dubbi sulla collocazione dello stesso all’interno del sistema delle fonti del diritto del lavoro, con riguardo alla possibilità di
individuarne una forza normativa tale da equipararlo alle norme di diritto.
CAPITOLO I
Il contratto collettivo come fonte ed i criteri interpretativi in sede giurisdizionale.
1. Il ruolo del contratto di diritto comune all’interno delle fonti del diritto del lavoro.
Nell’introdurre un argomento ampio e complesso come quello relativo al ruolo del contratto collettivo di diritto comune all’interno delle varie fasi del processo del lavoro, anche alla luce delle recenti riforme legislative, si rende necessaria una disamina preliminare sulla natura di tale contratto e sulle conseguenze in punto di interpretazione dello stesso che derivano dall’affermare una od altra natura. Sulla base della considerazione di tale natura infatti vengono poi applicate le varie regole di interpretazione presenti nel nostro ordinamento. 3
Gran parte del contenzioso in sede giudiziale ha infatti spesso ad oggetto controversie relative alla individuazione della esatta portata dispositiva delle clausole collettive.
La costruzione del contratto collettivo di diritto comune come un atto di autonomia privata, anche se collettiva, potrebbe sembrare ormai superata. Ad oggi è diffuso anche l’orientamento tendente a qualificare questo contratto come una fonte del diritto, pure se atipica, detta anche fonte extra ordinem.
3 Se si considera il contratto collettivo come un contratto di diritto comune si tenderanno ad applicare le norme del codice civile relative all’interpretazione dei contratti, diversamente potranno applicarsi le norme del codice civile relative all’interpretazione della legge qualora si consideri lo stesso fonte del diritto.
Tra coloro4 che parlano dell’ordinamento sindacale come un ordinamento giuridico autonomo, molti ritengono che proprio all’interno di questo ordinamento il contratto di diritto comune sia una fonte di diritto. 5
In sostanza, parte della dottrina considera il contratto collettivo come una fonte “legale”, sia pure con caratteristiche proprie. 6 Da qui si ricaverebbe necessariamente che il contratto collettivo è destinato a perseguire pubblici interessi e quindi il superamento del vecchio orientamento secondo il quale il contratto collettivo di diritto comune proprio perché stipulato nell’esercizio della libertà sindacale è un atto di diritto privato ed è destinato a perseguire esclusivamente interessi privati. 7
Una prima ricostruzione si basa, da un lato, sulla constatazione che il contratto collettivo di diritto comune, allo stesso modo della legge è destinato ad esplicare effetti nei confronti di una serie di soggetti non determinata8, dall’altro che questo contratto ha l’attitudine a disciplinare direttamente i rapporti individuali di lavoro, proprio come la legge.
4 Tra i più autorevoli, GIUGNI, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, Xxxxxxx, 1960, il quale afferma appunto che l’ordinamento sindacale sarebbe un ordinamento giuridico autonomo.
5 Mentre nell’ordinamento statale sarebbe soltanto fonte di obbligazioni. Vedi GHERA, in AA. VV. Il sistema delle fonti del diritto del lavoro. Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro: Foggia-Baia delle Zagare, 25-25 maggio 2001, Milano, Xxxxxxx, 2002. Anche se partendo da questo presupposto si finisce poi per ammettere che il contratto collettivo di diritto comune sarebbe fonte di diritto anche nell’ordinamento giuridico statale nel momento in cui esso determina la retribuzione proporzionata ai sensi dell’art. 36 Cost.. In questo momento la giurisprudenza prendendo a riferimento la retribuzione prevista dal contratto collettivo gli riconoscerebbe efficacia non erga omnes
6 Così CRISAFULLI, in Lezioni di diritto costituzionale, II, Le fonti normative, Padova, Cedam, 1984. MODUGNO, Fonti del diritto, in EGT, vol. XIV, Xxxx, 0000.
Altri invece giungono alla conclusione che il contratto collettivo di diritto comune sarebbe una fonte di produzione interna “operante entro e sotto il diritto statale”. Tra gli altri MENGONI, Legge e autonomia collettiva, in Mass. Giur. Lav., 1980; XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, Cedam, 1981; RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Torino, Eges, 1984;
7 PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in
Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza, Xxxxxxx, 2000;
8 Contiene soltanto proposizioni ipotetiche, e per alcuni questo comporterebbe espressione di una potestà propriamente normativa più che di un’autonomia privata. GUASTINI, Teoria dogmatica delle
Queste argomentazioni hanno fatto ritenere possibile una qualificazione del contratto collettivo di diritto comune diversa dal semplice atto di autonomia privata e quindi considerarlo espressione di autonomia normativa, e quindi fonte di diritto. 9
Da altri autori10 però è stato evidenziato come queste argomentazioni si basino su una concezione del diritto privato ormai superata. Ed infatti il diritto privato non è più visto solo come un diritto individualistico, che esclude ogni rilevanza alle autonomie che non siano individuali11.
A questa evoluzione fa riscontro quella del sistema delle fonti normative, per ciò anche l’elenco contenuto nell’art. 1 disp. prel. cod. civ. andrebbe oggi completato e ripensato12. Questo vale in particolare per quanto riguarda il diritto del lavoro, in quanto la stessa legge allarga il ‘disegno di un diritto che non è tutto, non è necessariamente, di origine statale. 13 In sostanza pur ritenendo che il diritto non sia tutto di origine statale e considerando l’emersione di autonomie sociali, collettive diverse dalle autonomie individuali, si può secondo questi autori superare la difficoltà a dare una fondazione dogmatica al contratto collettivo di diritto comune coerente alla sua natura di atto di autonomia privata, senza qualificarlo come fonte di diritto. 14
fonti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Xxxx e Messineo e continuato da Mengoni , Milano, Xxxxxxx, 1998.
9 Infatti essendo l’efficacia propria del contratto collettivo diversa da quella obbligatoria, per spiegarla, si sarebbe costretti a configurarla come un modo di “esecuzione specifica ope legis dell’obbligazione di conformazione del contratto individuale alle clausole del regolamento collettivo, in contrasto col rilievo elementare che la legge non può modificare quello che le parti hanno voluto” MENGONI, Xxxxx e autonomia collettiva, cit.
10 PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, cit.
11 La concezione del diritto privato come diritto che prende in considerazione esclusivamente diritti individuali, infatti, è ritenuta dagli stessi ormai superata ,anche a ragione della profonda evoluzione che quel diritto ho subito anche per effetto delle rilevanza assegnata dalla Costituzione sia alle formazioni sociali, che in particolare alle coalizioni dei lavoratori. (art. 2 e art. 39 Cost.)
12 XXXXXXXX, Intervento, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Xxxxxxx, 2002
13RESCIGNO, Intervento, in op.cit., Xxxxxxx, 2002
14 XXXXXXX affermava che l’ordinamento consentirebbe all’autonomia collettiva di assumere una posizione di ‘eteronimia’ e quindi dalla premessa dell’efficacia normativa riconosciuta dalla legge al contratto collettivo, se pure non è consentito argomentare che esso è sia stato assunto nel sistema delle
Ma solo restando fermi alla concezione che il diritto privato sarebbe solo ed esclusivamente un diritto individualistico15 risulta difficoltoso spiegare come il contratto collettivo di diritto comune, anche se è un vero e proprio contratto regolato dal diritto privato, possa produrre effetti non conosciuti all’autonomia privata individuale ed invece analoghi a quelli della legge. Si può ormai ritenere che il diritto non è tutto o comunque non necessariamente di origine statale. 16
La configurazione del contratto collettivo di diritto comune come fonte del diritto è motivata anche come abbiamo visto con la constatazione che la disciplina con esso dettata è inderogabile ed ha efficacia “erga omnes”’.17
Tuttavia per quanto riguarda l’inderogabilità del contratto collettivo di diritto comune è espressamente attribuita dall’art. 2113 cod. civ.18. In sostanza il legislatore valuta l’idoneità della disciplina sindacale a realizzare la migliore tutela possibile dei lavoratori, l’inderogabilità quindi non deriva dalla sua natura né da un una sua intrinseca attitudine. Per ciò che concerne invece l’efficacia generale del contratto collettivo di diritto comune questa secondo alcuni autori si baserebbe su un equivoco. Infatti il contratto in questione, stante l’inattuazione dei
fonti dell’ordinamento positivo, resta che essendo l’atto di esercizio di un potere di legislazione materiale delegato allo Stato ai sindacati, del contratto ha conservato solo la forma e non la sostanza . MENGONI, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, in La contrattazione collettiva: crisi e prospettive, Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx, 0000. Questa argomentazione prenderebbe spunto dalla considerazione della formulazione letterale del primo comma dell’art. 2077 c.c., il quale a prima vista sembra preveda l’obbligo di adeguare di volta in volta alla disciplina dettata dal contratto collettivo il contenuto dei contratti individuali di lavoro .Così PERSIANI, cit.
15 Come tale escluderebbe ogni rilevanza alle autonomie che non siano individuali.
16 La concezione del diritto privato come diritto che prende in considerazione esclusivamente interessi individuali è da tempo superata a ragione della profonda evoluzione che quel diritto ha subito anche per effetto della rilevanza assegnata dalla Costituzione repubblicana alle formazioni sociali e tra questa a quelle dei lavoratori. Vedi nota 10.
17 Inderogabilità ed efficacia generale che sarebbero proprie delle fonti di diritto, essendo escluse per il contratto, che, di regola, ha forza di legge soltanto tra le parti (art.1372 c.c.), e per la sentenza, che ha effetto di cosa giudicata esclusivamente tra le parti, i loro eredi o aventi causa (art. 2909 c.c.)
18 Così come modificato dall’’art. 6 legge n. 533 del 1973. Prima invece tale inderogabilità veniva argomentata dalla giurisprudenza sulla base di una interpretazione estensiva dettata dall’art. 2077 c.c.
commi 2, 3 e 4 dell’art. 39 Cost., esplica oggi la sua efficacia esclusivamente nei confronti degli iscritti ai sindacati stipulanti. Il contratto collettivo di diritto comune non ha di suo efficacia generale. 19 L’efficacia, non generale ma di più ampia ed estensiva portata, è di volta in volta stata attribuita da leggi speciali, ma proprio queste leggi hanno come presupposto che quel contratto non abbia efficacia generale operando unicamente una valutazione di idoneità di quella disciplina sindacale ad individuare un equilibrato contemperamento degli opposti interessi delle parti. Proprio questa valutazione estende sì gli effetti del contratto collettivo di diritto comune anche ai non iscritti ai sindacati stipulanti, tuttavia non ne modifica né valuta la natura, che rimane dunque quella di atto di autonomia privata collettiva.
19 Tuttavia a volte singole previsioni di leggi speciali attribuiscono una efficacia generale, ma queste leggi danno per scontato proprio che il contratto collettivo di diritto comune non abbia di per sé efficacia generale.
Qualcuno invece, muovendo dalla considerazione in questi casi il contratto collettivo è abilitato dalla legge a svolgere funzioni delegate, ha proposto di qualificarlo come “fonte-fatto”, ovvero fonte produttiva di norme indipendentemente dalla attribuzione e, quindi dall’esercizio di una potestà normativa. Così XXXXX, Questioni sulla contrattazione collettiva – Legittimazione, efficacia, dissenso, Xxxxxxx, Milano, 1995.
2. Le “norme di diritto” e la portata normativa del contratto collettivo di diritto comune.
La qualificazione del contratto collettivo come fonte, nonostante quanto rilevato fin ora, ha comunque una rilevanza relativamente ai contratti stipulati nell’esercizio dei poteri attribuiti da speciali disposizioni della legge. Questi ultimi infatti potrebbero essere qualificati come fonte di diritto.
Qualificazione che non potrebbe essere estesa a tutti indistintamente i contratti collettivi di diritto comune che, va sottolineato, restano atti di autonomia collettiva privata efficaci tra le parti stipulanti.
Parte della dottrina ha prospettato, a questo proposito, l’esistenza di più tipi o specie di contratti collettivi tra loro diversi, ed in quanto diversi assoggettati a regimi giuridici differenti. Il contratto collettivo è stato infatti definito come “una realtà multiforme, variegata ed il cui momento dell’interpretazione giudiziale rappresenta il punto di tensione tra l’esperienza convenzionale e la sua attuazione”. 20 Chi accetta questa distinzione afferma anche la diversità dei criteri di interpretazione a secondo del “tipo” al quale sarebbe riconducibile il contratto collettivo.
21
In pratica, da un lato, ci sarebbero i tradizionali contratti collettivi detti anche “normativi”, dall’altro quei contratti collettivi che, assolvendo ad una funzione regolarmente delegata dalla legge sono stati detti “contratti collettivi delegati” e “regolamento”. Questi ultimi si differenzierebbero per gli effetti prodotti differenti e comunque avrebbero una efficacia
20 Così XXXXXXXX, Il contratto collettivo nella giurisprudenza: le tecniche interpretative, in Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, a cura di Xxxxxxxx-Xxxxxxx – 2004, Xxxxxxxxxxxx.
21 Così VIDRI, L’interpretazione del contratto collettivo nel settore privato e nel pubblico, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, I.
generale perché non dettano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro, ma prevedono soltanto limiti ai poteri del datore di lavoro. Questo evidenzierebbe l’inaffidabilità della tesi secondo la quale sarebbe possibile configurare l’esistenza di diversi tipi di contratto collettivo. Infatti, accogliendo tale opinione i contratti collettivi di tipo diverso da quelli normativi non sarebbero da ricondurre all’art. 39 Cost. e, quindi, nemmeno sarebbero espressione della autonomia sindacale riconosciuta e garantita, come libera, da quella disposizione costituzionale.
Alcuni autori ritengono che i contratti collettivi di diritto comune possono essere qualificati come fonti di diritto basandosi su di una loro “normatività”. 22
Tale carattere si rinviene nella particolare funzione del contratto collettivo privatistico23 che appunto tende a dettare regole, o norme, giuridiche idonee a incidere e regolare una serie indefinita ed illimitata di singoli rapporti di lavoro. 24
Secondo altri in base al principio di effettività, i contratti collettivi di diritto comune sarebbero abilitati a creare norme effettive, ovvero effettivamente applicate e accettate. 25
Tutto ciò si basa però nel presupposto dell’unità di azione sindacale che di fatto però poi non è sempre riscontrata e riscontrabile. Nella prospettiva segnata dal principio di effettività sarebbe necessario e
22 Secondo questi la normatività dei contratti collettivi di diritto comune troverebbe il suo fondamento nell’art. 39 Cost. in quanto tale disposizione anche se non attuata sarebbe comunque operativa. MODUGNO, Atti normativi, cit.
23 Per le peculiarità e sostanziali differenze in ordine all’efficacia del contratto collettivo pubblico in relazione alla presenza di una analitica disciplina di legge al riguardo, si veda infra Cap. II par. 2.2.
24 A ben vedere in realtà la normatività deve essere ricollegata più ad una delle funzioni tipiche ed originarie del contratto collettivo – quella di regolamentazione di una serie indeterminata di contratti individuali di lavoro - che ad una peculiare natura
25 Vedi XXXXXXX, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, cit., secondo cui tra l’altro i contratti collettivi di diritto comune sarebbero stipulati nell’esercizio di una egemonia di fatto delle principali confederazioni sindacali sull’intera classe lavoratrice, giungendo dunque ad ipotizzare su tali basi una piena fungibilità tra fonti legali e fonti collettive
sufficiente un certo tasso di osservanza e di accettazione da parte dei consociati non iscritti26 ai sindacati per considerare i contratti collettivi di diritto comune come fonti di diritto. Tuttavia si ritiene che non abbiano questo certo tasso di osservanza e di accettazione, anche perché se così fosse sarebbero inutili le leggi che ne estendono, seppure in certe situazioni, l’efficacia oltre il loro naturale ambito di applicazione. 27
La qualificazione del contratto collettivo come fonte poi, non potrebbe essere giustificata nemmeno dal fatto che la giurisprudenza tenderebbe ad assegnare loro una efficacia soggettiva più ampia di quella che in realtà avrebbe, cercando così accorgimenti o strumenti interpretativi idonei a superare i noti limiti di efficacia, connaturali ad un atto normativo contrattuale.
Ad esempio, con riferimento al meccanismo di creazione giurisprudenziale quando la giurisprudenza per determinare e stabilire la retribuzione determinata e sufficiente e verificare in rinquadramento dei lavoratori, presupposto della retribuzione stessa, fa riferimento proprio alla contrattazione collettiva di diritto comune anche se il datore di lavoro non è iscritto al sindacato. O ancora quando per accertare l’applicabilità dei contratti collettivi di diritto comune la giurisprudenza ritiene sufficiente il fatto che la disciplina stessa sia stata applicata, non valutando necessaria l’iscrizione del datore di lavoro al sindacato stipulante. Tuttavia va precisato che nel primo caso, in riferimento alla retribuzione, è pacifico che i giudici ritengano il contratto collettivo di diritto comune non applicabile erga omnes fin quando non venga data
26 Per MODUGNO, Atti normativi, cit. e PIZZORUSSO, Le fonti del diritto del lavoro, cit..sarebbe innegabile l’esistenza di una diffusa applicazione delle norme contenute in tali contratti anche oltre l’ambito della loro operatività.
27 Xxxxxxx si ritiene che “il tasso di osservanza e di accettazione della disciplina sindacale sarebbe espressione del principio di effettività anche quando fosse conseguenza della previsione di sanzioni o di incentivi, rispettivamente, in caso di disapplicazione o applicazione della disciplina sindacale”: PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune, cir.
attuazione all’art. 39 Cost. Il contratto collettivo viene utilizzato in fase di giudizio come parametro di riferimento, tra l’altro non vincolante, che soccorre i giudici nel momento valutativo si una retribuzione prevista dal contratto individuale in relazione ai necessari caratteri di proporzionalità e sufficienza. 28
Per quanto riguarda il secondo caso invece, i giudici danno importanza a comportamenti che esprimono, anche se implicitamente, la volontà da parte del datore di lavoro di applicare la disciplina sindacale, partendo però dal presupposto che il contratto collettivo di diritto comune sia efficace solo nei confronti degli iscritti ai sindacati stipulanti.
Quindi nemmeno in questo caso si può ritenere che la giurisprudenza estenda, e comunque non lo potrebbe fare, l’efficacia del contratto collettivo di diritto comune.29
Può inoltre essere considerato che la nozione di fonte del diritto ha confini incerti, perché alla sua definizione possono ricorrere criteri formali e criteri sostanziali30. Una premessa necessaria alla qualificazione del contratto collettivo di diritto comune come fonte del diritto, anche se come fonte atipica o extra ordinem, avrebbe dovuto essere proprio l’individuazione della relativa nozione.31
28 Per la copiosa giurisprudenza formatasi sul punto della estensione ai non iscritti delle voci retributive ex art. 36 Cost. si rinvia, tra le tante, a Xxxx. 9 settembre 1995 n. 9549, in Dir. Lav. 1995,II, 372 e Cass. 25 febbraio 1994 n. 1903, in Foro it., 1994, I, 3079 la quale peraltro sottolinea come in tale operazione di determinazione della giusta retribuzione, il giudice possa anche discostarsi dai minimi retributivi indicati dal contratto collettivo preso a modello, fornendo però, precisa indicazione delle ragioni che sostengono la diversa misura ritenuta da lui più conforme ai criteri di proporzionalità e sufficienza posti dalla norma costituzionale.
29 Così XXXXXXXX, La retribuzione proporzionata e sufficiente nella giurisprudenza; PERSIANI, La retribuzione tra legge, autonomia collettiva e determinazione giudiziale, in Nuove forme di retribuzione e attualità dei principi costituzionali, Quaderni di ADL, 2. Padova, Cedam, 1998.
30 Vedi CARINCI, Le fonti della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Arg. Dir. Lav., 2000, il quale conviene sull’”alto tasso di omnicomprensività ed omnipervasività del termine fonte”.
31 Il riferimento è a Corte cost. 30 giugno 1994 n. 268 e Corte cost. 18 ottobre 1996 n. 344, rispettivamente in Mass. Giur. Lav, 1994, 310, nonché Foro it., 1994, I, 2307 e Mass. Giur. Lav., 1996, 691 e ss., con nota di SUPPIEJ. Per la tesi che configura il contratto collettivo oggetto del rinvio, alla stregua di fonte extra ordinem, v., per tutti, MENGONI, Legge e autonomia collettiva, in Mass.
Invece, come è stato osservato, la qualificazione viene proposta senza che sia stato individuato il concetto di fonte di diritto atipica e quindi la relativa collocazione rispetto alle altre fonti di diritto previste espressamente e quindi senza la disciplina applicabile. La mancanza di una costruzione articolata della nozione di fonte del diritto atipica o extra ordinem tra l’altro giustifica il fatto che l’orientamento che parla del contratto collettivo come fonte di diritto si esprima sempre i termini dubitativi e, comunque non viene mai escluso che il contratto collettivo di diritto comune abbia natura di vero e proprio contratto, e cioè, di autonomia privata. 32
Per questi motivi sopra esposti la qualificazione del contratto collettivo di diritto comune come una fonte di diritto viene ritenuta da una parte della dottrina non convincente. 33
Si è ritenuto invece di considerare il contratto collettivo di diritto comune uno strumento atto a realizzare la, seppure temporanea, composizione di interessi contrapposti, ma sempre e comunque atto di autonomia destinato principalmente a soddisfare interessi privati.
In questo senso la configurazione del contratto collettivo di diritto comune come fonte del diritto, sia pure atipica o extra ordinem, non sarebbe conciliabile con il principio costituzionale di cui all’art. 39 Cost. della libertà sindacale. Infatti da un lato tale principio necessita della configurazione dei sindacati come soggetti privati, dall’altro si rende
Giur. Lav., 1980, 692 e ss.; PIZZORUSSO 1990, 39 ss., che distingue tra fonti secundum legem, nei casi di rinvio, e fonti praeter legem, nelle altre ipotesi.. In questa prospettiva v. pure LISO Autonomia collettiva e occupazione, in Dir. Lav. e rel. Ind., 1998, p. 191, il quale sostiene seppur in chiave problematica, che “la logica in cui in tali casi il rinvio è operato dal legislatore, nonostante la consapevolezza di riferirsi ad un contratto collettivo di diritto comune, è proprio quella di un’efficacia generalizzata della regolazione disposta dall’autonomia collettiva”.
32 Xxxxxxxx infatti viene affermato che il contratto di diritto comune è prossimo alle fonti del diritto, altre volte ancora che quel contratto è formalmente estraneo al sistema delle fonti in senso oggettivo (PIZZORUSSO, cit.), e che il “contratto di diritto comune si avvicina ad una fonte oggettiva di diritto (XXXXXXX, Ordinamento.., cit).
33 In questo senso PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune, cit.
necessario che l’attività negoziale degli stessi venga qualificata come attività di diritto privato, poiché essa tende necessariamente a realizzare in regime di libertà la tutela di contrapposti interessi privati34. Questo partendo dal presupposto che solo i privati sarebbero in grado di perseguire efficacemente e liberamente i loro interessi.
Quindi se il contratto collettivo di diritto comune fosse una fonte di diritto riconducibile all’esercizio di una potestà normativa, dovrebbe necessariamente essere proiettato e finalizzato a perseguimento di interessi pubblici, con una notevole compressione del principio di libertà sindacale35.
In sostanza quindi si è ritenuta la configurazione del contratto collettivo come fonte inconciliabile con il principio costituzionale della libertà sindacale. 36
Proprio in questa prospettiva la Corte Costituzionale ha ritenuto che le disposizioni dettate dalla contrattazione collettiva sarebbero assoggettate
34 Tra coloro che hanno preso posizione contro la funzionalizzazione del contratto collettivo come attività integrativa del diritto oggettivo e a favore del valore dell’autonomismo normativo dell’azione sindacale e quindi della sua libertà, NAPOLI, I rinvii legislativi ed i caratteri dell’autonomia collettiva, in Lavoro. Diritto. Mutamento sociale (1997-2001), Torino, Utet, 2002; Invece altri che tendono alla difesa della qualificazione del contratto collettivo come fonte del diritto invocando il venir meno della distinzione tra attività amministrativa di diritto pubblico e attività amministrativa di diritto privato,di conseguenza alla distinzione tra soggetti pubblici e privati da un lato e dall’altro richiamando il superamento della supremazia della pubblica amministrazione, trascurando invece il principio della liberà sindacale , MATTARELLA, Sindacati e pubblici poteri, Milano, Xxxxxxx, 2003.
35 Già la dottrina in passato aveva avvertito che il principio della libertà sindacale sarebbe stato compromesso dalla attuazione dell’art. 39 Cost , di sindacati registrati abilitati alla conclusione dei contratti collettivi con efficacia generale, ovvero per tutti gli appartenenti alla categoria. Quindi si ritiene che la mancata applicazione sia ispirata anche dallo spirito di libertà. Xxxx XXXXXXX, Libertà sindacale e contratto collettivo “erga omnes”, in Riv. Dir. E Proc. Civ., 1963. Quando ancora sembrava possibile l’attuazione dell’art. 39,il tentativo era solo quello di spiegare che pure i contratti collettivi previsti in quella disposizione costituzionale sarebbero stati espressione di autonomia collettiva, in quanto stipulati nell’esercizio di un ufficio di diritto privato e non di diritto pubblico. XXXXXXX XXXXXXXXX, Esperienze e prospettive giuridiche dei rapporti tra i sindacati e lo stato , 1956. Ancora è stato ritenuto che l’ipotesi di attribuire efficacia generale ai contratti collettivi di diritto comune con un decreto del Ministero del lavoro avrebbe costituito “un colpo gravissimo inferto all’autonomia collettiva. XXXXXXXX, Persona e comunità, Bologna, Il mulino, 1966.
36 La qualificazione del contratto collettivo di diritto comune come fonte di diritto ha portato a sostenere anche che lo stesso contratto fosse assoggettato, al pari della legge, al vincolo dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e specialmente al principio di uguaglianza. MENGONI, Legge e autonomia collettiva, in Mass. Giur. Lav., 1980. Questo confermerebbe ulteriormente l’inconciliabilità di tale configurazione con il principio di libertà sindacale.
al controllo giudiziale di razionalità e ragionevolezza essendo le stesse chiamate a realizzare valori di giustizia ed equità. Questo poiché le fonti di diritto devono essere coerenti al sistema a cui si riferiscono. 37 Pertanto, in vista della libertà sindacale, sono escluse sia la funzionalizzazione dell’autonomia sindacale al perseguimento dell’interesse pubblico sia l’assoggettamento degli atti posti in essere nel suo esercizio si sindacato di ragionevolezza.
Infine, anticipando parte delle osservazioni che seguiranno38, si rileva come proprio il recente accostamento normativa operato dall’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. tra norme del contratto collettivo di diritto comune e quelle dei contratti pubblici, sia stato elevato ad argomento portante della tesi della equiparazione sostanziale tra le norme del contratto collettivo e quelle poste dalla legge.
37 Tra l’altro il paradigma di legittimità costituzionale assuma come punto di riferimento i principi costituzionali e quelli desumibili dal complesso sistema legislativo. PALADIN, Corte Costituzionale e principio generale di uguaglianza: aprile 1979-dicembre 1983, in Scritti sulla giustizia costituzionale in onore di Xxxxx Xxxxxxxxxx, Vol. I, Padova, Cedam, 1985.
38 Confronta infra cap. III, par 3.
3. La certezza del diritto e l’interpretazione del contratto collettivo.
Il tema dell’interpretazione del contratto collettivo riguarda soprattutto l’individuazione dei canoni esegetici applicabili alla fattispecie della norma collettiva, ovvero la ricerca dei generali criteri interpretativi al fine di identificare la norma – intesa in senso ampio come regola del caso controverso – ricavabile dalla disposizione contrattuale collettiva. 39 Il discorso dell’interpretazione del testo contrattuale collettivo è strettamente connesso, ed evidentemente funzionale, a quello del principio irrinunciabile del nostro ordinamento giuridico della certezza del diritto.
Il risultato di quella interpretazione non può sottrarsi anch’esso al tentativo di perseguire quello che viene riconosciuto non come l’obiettivo fondamentale del sistema giuridico, ma come un valore che può essere sottoposto a sistemi di bilanciamento laddove contrapposte e superiori esigenze risultino prevalenti.40
La convinzione, ma forse più propriamente, l’aspirazione, è infatti che con una uniforme interpretazione del testo contrattuale collettivo si ottenga una vincolatività tale di quelle disposizioni che, seppure non suscettibili di efficacia erga omnes in senso stretto, ne risultino tuttavia rafforzate quanto ad estensione, ad applicabilità ed univocità, derivandone, in ultima analisi, un diritto più certo ed uniforme.41
39 Alcuni ritengono che il contratto collettivo normativo si caratterizzi di un ambiguità non episodica dovuta alla strutturale modalità di esplicazione delle trattative e la lite sull’interpretazione sia uno dei momenti tipici dell’esecuzione dell’accordo, necessaria per rispondere alle discrasie nel testo ed alla sua inidoneità ad una immediata applicazione. Per l’ambiguità caratterizzante il contratto collettivo cfr GRAGNOLI, Profili dell’interpretazione dei contratti collettivi, Xxxxxxx, 2000 pag. 131; XXXXXX, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1978-1979, in Giorn. dir. xxx e rel. ind., 1979; CASTELVETERI, Analisi critica del sistema contrattuale vigente nelle valutazioni della dottrina, in Riv it. Dir. lav. 1982, I.
40 BERTEA S., Certezza del diritto e argomentazione giuridica, Rubbettino ed., 2002, p. 242 e ss.
41 A ben vedere questa è una esigenza che pervade l’intero sistema giudico e che involge il basilare aspetto della interpretazione giuridica delle norme da parte del giudice, segnando così il momento di
Per quanto attiene all’interpretazione, nonostante la perdurante natura ambigua del contratto collettivo42, per opinione prevalente è ammessa l’assoggettabilità dei contratti collettivi alle regole codicistiche di cui agli art. 1362 e ss. cod. civ. e non invece ai criteri direttivi che governano l’interpretazione della legge (artt. 12 e 14 prel.). 43 Riconosciuta quindi l’applicabilità di queste regole il problema successivo che si pone è quello relativo alla gerarchia da assegnare ai singoli criteri di ermeneutica nel processo di interpretazione dei contratti. Il dibattito ha teso a privilegiare criteri di natura oggettiva (1365-1371 cod. civ.)44, rispetto a criteri soggettivi di natura psicologica e volontaristica (1362-1364 cod. civ.)45. Una conferma della prevalenza
necessario raccordo tra la “fredda staticità dell’enunciato e la viva realtà di un’esperienza sociale soggetta al divenire della storia” : x. XXXXXX X., Il ruolo del giudice nella crisi delle fonti del diritto, in Riv. Dir. E proc. Civ., n. 2, 2009.
42 Ambiguità che trova perfetta espressione nella celebre espressione di Xxxxxxxxxx per il quale il contratto collettivo ha “il corpo del contratto e l’anima della legge”. Così in Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1928.
43 Con esclusione per quanto riguarda i contratti collettivi resi obbligatori con atti di carattere amministrativo e secondo alcuni esclusi anche quei contratti collettivi cui la legge devolve espressamente una funzione integratrice o sostitutiva del suo precetto. Per questi ultimi sarebbero ritenuti applicabili i canoni ermeneutica di cui all’art. 12 delle preleggi. Vedi VIDIRI, L’interpretazione del contratto collettivo nel settore privato e pubblico, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, I. Inoltre, a seconda della specifica funzione che di volta in volta assolve il contratto collettivo (normativa, obbligatoria, gestionale e paralegislativa), l’interprete finirebbe per utilizzare in misura diversa i criteri di interpretazione soggettivi ed oggettivi del contratto e quelli di interpretazione della legge. Così AMOROSO, L’interpretazione del contratto collettivo, in DDG, Xxxxxxx, 2000.
Per quanto concerne poi le funzioni del contratto collettivo, la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato “la possibilità che la legge deleghi alla contrattazione collettiva funzioni di produzione normativa con efficacia generale, configurandola come fonte di diritto extra ordinem destinata a soddisfare esigenze ordinamentali che avrebbero dovuto essere adempiute dalla contrattazione collettiva prevista dall’inattuato art. 39, quarto comma, della Costituzione” e si è parlato. quindi di ‘funzioni paralegislative’ della contrattazione collettiva XXXXXXX XXXXXXXXXX, Funzione paralegislativa, collegamento negoziale, dimensione territoriale: spunti per l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, in L’interpretazione dei contratti collettivi, AA.VV., cit.
44 Ovvero i criteri “volti a ricercare quanto emerge dal documento contratto stesso e da altri elementi fattuali” VIDIRI, La certezza del diritto e l’interpretazione dei contratti collettivi, in DDG, 2004, I . Contra invece AMOROSO, secondo cui l’interpretazione oggettiva “ha una funzione sussidiaria perché opera nel caso in cui i criteri soggettivi, complessivamente intesi (ossia integrati anche dalla possibile rettifica dell’interpretazione complessiva delle clausole), non abbiano portato ad un risultato univoco.”, AMOROSO, L’interpretazione del contratto collettivo, cit.
45Alcuni ritengono che i criteri di interpretazione soggettiva e i criteri di interpretazione oggettiva siano collegati tra loro dalla norma sulla buona fede, 1366 c.c., considerata rilevante e valida per entrambi i criteri. Così GRASSETI, Interpretazione dei negozi giuridici ‘inter vivos’ (dir.civ.), in NDI, VII, Torino, Utet, 1962; BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, Xxxxxxx 1949; XXXXXXXX, Interpretazione del negozio giuridico in EGT, XVII, Roma, 1989
dei criteri di natura oggettiva è stata ravvisata nella tipicità sociale della contrattazione collettiva e nella particolarità delle funzioni che detta contrattazione è chiamata a svolgere. 46
Una delle regole considerate appartenenti alla categoria dei canoni dell’interpretazione oggettiva è quella dell’interpretazione conservativa ex art. 1367 cod. civ.. Questa norma stabilisce che nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché quello secondo cui non dovrebbero averne alcuno. 47
Altro criterio oggettivo è quello contenuto nell’art. 1368 cod. civ.. Quest’ultimo fa riferimento alle pratiche generali interpretative e stabilisce che le clausole xxxxxxx s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso, ovvero nel luogo in cui è la sede dell’impresa nel caso in cui una delle parti sia un imprenditore. 48
46Proprio in considerazione dei principi di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, che devono essere tutelati rispetto a pattuizioni destinate ad incidere nelle relazioni industriali, e rispetto alle legittime aspettative a affidamenti che si creano nei lavoratori. Xxxx XXXXXX X., Il contratto di lavoro, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Xxxxxxx, continuato da Xxxxxxxxxxx, vol. XXVII, Milano, Xxxxxxx, 2000; ROMAGNOLI, Il contratto collettivo difficile, in PD, 1971.
47Questo comporta che non solo tra due interpretazioni entrambe plausibili alla luce dei criteri soggettivi occorra privilegiare quella che faccia scaturire un effetto giuridico, e non invece quella che ne sia priva “ma è anche necessario che ogni lettura della disposizione contrattuale, che ne assicuri la validità e la conformità alle norme imperative, faccia aggio su una lettura che invece ridondi in un qualche vizio della disposizione stessa”. AMOROSO, L’interpretazione del contratto collettivo, L’interpretazione del contratto collettivo, in DDG, Xxxxxxx, 2000.
48La giurisprudenza distingue la prassi aziendale, che consiste nella pratica normalmente seguita dal datore di lavoro all’interno di una determinata impresa, dalle pratiche generali interpretative previste dall’art.1368 c.c., e gli usi negoziali (art.1340 c.c.), i quali sul presupposto dell’accertata reiterazione di determinati comportamenti del datore di lavoro, si inseriscono non già nel contratto collettivo di lavoro bensì in quello individuale ed hanno forza vincolante tra le parti sempre che il contenuto della prassi sia modificativo in melius della regolamentazione collettiva. Xxxx Xxxx., 23 dicembre 1986, n. 7864, in GI, 1987, I, 1, 1368.
L’art 1369 cod. civ. prescrive invece di dare la prevalenza alla interpretazione più conveniente alla natura dell’oggetto e all’oggetto stesso del contratto. 49
Ulteriore criterio oggettivo è quello previsto dall’art. 1370 cod. civ. che prevede in caso di dubbio l’interpretatio contra stipiulatorem , ovvero le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli e formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano a favore dell’altro.
Questa ultima regola è tuttavia meno utilizzabile nel caso dei contratti collettivi visto l’espresso riferimento di questa disposizione a schemi negoziali non riscontrabili nell’attuale assetto delle relazioni industriali e considerata la forza contrattuale delle organizzazioni sindacali che agiscono in rappresentanza dei lavoratori. 50
Per contro più ampi spazi applicativi sono stati riconosciuti al già ricordato canone dell’art. 1369 cod. civ.. Si ritiene che la ratio, ovvero la logica del contratto “esprima anche un criterio di interna coerenza con le decisioni prese” e quindi l’’art. 1369 cod. civ. “scioglie il dubbio, derivante da espressioni con più sensi, nel senso più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto”51.
Infine l’art. 1371 cod. civ., contiene regole ritenute applicabili in via sussidiaria solo se, nonostante l’applicazione di altri criteri, non si ritenga chiarita la volontà delle parti: qualora, nonostante l’applicazione
49Si potrebbe porre il quesito in questo senso se debba essere ricompreso, parlando di coerenza con la natura ed oggetto del contratto, il principio del “favor lavoratoris” che caratterizza la disciplina legale di tutela del prestatore di lavoro. AMOROSO, L’interpretazione del contratto collettivo, cit.
50Il presupposto di questo principio (interpretatio contra stipulatorem) risiederebbe nello squilibrio di fatto delle parti contrattuali, a tutela della parte debole. Situazione riscontrabile nel contratto individuale, ma non invece nel contratto collettivo (nemmeno aziendale). La giurisprudenza ritiene che al contratto aziendale, che ha natura ed efficacia del contratto collettivo, non sia applicabile il criterio ermeneutica stabilito dall’art.1370 c.c.. Questo infatti si riferisce a particolari ipotesi di contratti nei quali la predisposizione delle clausole è opera di una sola delle parti. Cfr. Cass. 29 aprile 2003, n. 6685.
51 IRTI, Testo e contesto, cit.,
dei criteri oggettivi e soggettivi dell’interpretazione contrattuale, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti. 52
Un breve accenno va fatto ad un ulteriore e più recente ‘canone interpretativo’. La giurisprudenza ha formulato infatti un ulteriore canone costituito dalla coerenza con i valori fondamentali dell’ordinamento giuslavoristico, quali espressi dal diritto vivente.53
In sostanza trovandosi di fronte clausole ambigue o comunque di non immediata decifrazione si dovrebbe privilegiare il significato più sintomatico con i suddetti principi. In modo tale da salvare la previsione contrattuale altrimenti contra legem. Con l’effetto di considerare censurabile in Cassazione ogni interpretazione dei giudici di merito che arrivi a letture ed interpretazioni contrastanti con i medesimi principi.
La proposta interpretativa in esame fa riferimento in particolare a due sentenze del 2000 e del 2002 ed è il risultato di una elaborazione giurisprudenziale che si configura come principio di conservazione di negozi giuridici e di valorizzazione dei significati che consentono la sopravvivenza delle clausole contrattuali al vaglio di legittimità. 54
Nei confronti di tale innovativo indirizzo taluno ha eccepito la difficoltà di individuare nel settore del lavoro un “diritto vivente” caratterizzato da
52 I casi di applicazione di questo criterio non sono rari, come ad esempio nel caso del comporto per sommatoria. La giurisprudenza ritiene che quando, come nel caso della contrattazione collettiva nazionale per i dipendenti delle aziende metalmeccaniche a partecipazione statale, manchi la regolamentazione collettiva dell’ipotesi di una pluralità di malattie, l’integrazione equitativa del contratto ad opera del giudice si rende necessaria, in relazione all’esercizio del potere di recesso dal rapporto di lavoro, allo scopo della realizzazione di un equo contemperamento degli interessi delle parti. Si veda ad esempio, Cass., 15 giugno 1992, n. 7319, in Riv. It. Dir. Lav, 1993, 905.
53 Cfr. per tale orientamento: Cass. 1 luglio 2002, n. 9538, in Mass. Giur. Lav., 2000, p.826 con nota di GRAMICCIA ed in Arg. Dir. Lav., 2002, p. 925, con nota di PERSIANI; Cass., 18 luglio 2000 n. 9430, in Mass. Giur. Lav, 2000, p. 1250, con nota di XXXXXXXX; In argomento vedi, infine, Xxxx. 4 dicembre 2001 n. 15317, sempre per l’affermazione che non possa sottrarsi a censura di legittimità una interpretazione di xxxxxxxx xxxxxxxxxx che si pongano in contrasto con i requisiti fondanti di un istituto legale (o di un sistema legale entro il quale l’autonomia collettiva a iscritta coerentemente).
54 Cass. 18 luglio 2000 n. 9430; Cass. 1 luglio 2002, n. 9538, in Dir. Lav., 2002, II, p.454, con nota di PONARI C., Sulla prevalenza dei criteri obiettivi nell’intrepretazione del contratto collettivo.
sufficiente stabilità e per questo tale da consentire di estrapolare al suo interno criteri esegetici puntuali. 55
Tuttavia ha suscitato in altri autori perplessità l’aggancio già nella fase interpretativa a principi e logiche dell’ordinamento generale, con il rischio di farli prevalere sugli svolgimenti e sulle dinamiche di un ordinamento particolare, quello intersindacale, dotato di proprie logiche compromissorie, animato da specifici contesi relazionali ed ambientali e i cui assetti sono definiti più da rapporti di forza che da valori e principi condivisi. 56
In relazione a tale orientamento interpretativo sono state avanzate perplessità in particolare in ordine al rischio di snaturare le politiche contrattuali ed i valori privilegiati o addirittura imposti all’autonomia collettiva, riservando un ruolo prioritario ai principi generali dell’ordinamento anche a scapito di quelli coniati dall’ordinamento intersindacale. 57
55 XXXXXXXX, Il contratto collettivo nella giurisprudenza: le tecniche interpretative, in SANTUCI ZOPPOLI, Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2004.
56 Alcuni esempi fatti sono illuminanti in merito alle distonie tra i due ordinamenti. Mentre almeno in passato, la giurisprudenza riteneva che la normativa statuale fosse pervasa dal principio di omni comprensività della retribuzione in materia di computo delle voci o indennità retributive, sino al punto di delineare un principio “immanente” nell’ordinamento giuridico, l’autonomia collettiva appariva ed appare ancor oggi propensa a valorizzare un principio opposto e di carattere compromissorio (viene riconosciuta una indennità, ma a condizione che non si rifletta nel computo di altri istituti). Mentre la politica legislativa più recente risulta ispirata dal principio di flessibilità tipologica e di agevolazione dei processi di esternalizzazione, numerosi accordi sindacali continuano a limitare con varie tecniche il ricorso ai contratti atipici o mantengono il divieto di appalto per alcuni segmenti del processo produttivo, mostrando una sostanziale diffidenza nei confronti della moltiplicazione delle tipologie contrattuali e delle articolazioni dei processi produttivi. Mentre l’ordinamento generale è profondamente basato sul principio paritario, a parità di situazioni di fatto, il diritto sindacale e l’autonomia collettiva sovente ne prescindono, ad esempio in tema di selezione degli agenti contrattuali o di distribuzione delle risorse economiche tra le varie qualifiche e categorie, materie nelle quali prevalgono soluzioni condizionate dai rapporti di forza.
57 Così DE XXXX XXXXX, cit., secondo cui il criterio « rischia di rendere un cattivo servigio all’opera di intellezione delle clausole contrattuali nel contesto sistematico e ambientale proprio delle relazioni intersindacali […]”contestualizzazione ordinamentale” che [comunque] deve rappresentare l’obiettivo primario e la costante preoccupazione di ogni operazione esegetica dei contratti collettivi di diritto comune ».
Infine, ulteriore ed innovativo percorso ermeneutico sembra compiersi proprio in forza della normativa processuale di recente introdotta con l’art. 420 bis cod. proc. civ..
La lettura e la ratio di tale normativa in termini di ricerca di strumenti, anche processuali come quello che si esaminerà, fa sì che essa sia inoltre evidentemente finalizzata al perseguimento dell'obiettivo della certezza del diritto sostanziale. Di tali esigenze e finalità è già pienamente cosciente la più giurisprudenza di legittimità laddove si legge infatti che “nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all'art. 420 bis cod. proc. civ., la Corte di legittimità, pur adottando i canoni di ermeneutica negoziale indicati dal codice civile, si muove secondo una metodica peculiare in ragione della portata che assume la sua decisione, destinata a provocare una pronuncia che tende a fare stato in una pluralità di controversie cosiddette "seriali", non essendo, quindi, vincolata dall'opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, pur se congruamente e logicamente motivata, giacché può autonomamente pervenire, anche tramite la libera ricerca all'interno del contratto collettivo di qualunque clausola ritenuta utile all'interpretazione, ad una diversa decisione sia per quanto attiene alla validità ed efficacia di detto contratto, sia in relazione ad una diversa valutazione del suo contenuto normativo”. 58
L’esigenza di razionalizzazione del panorama interpretativo del contratto collettivo privato è peraltro espressamente sentita ed affermata anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità per la quale, infatti, il fine della norma di nuova introduzione è quello “se non di eliminare – quanto
58 Il riferimento è a Cass. 6 ottobre 2008, n. 24654 in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx la qual inoltre spiega tale particolare vincolo interpretativo in quanto la funzione nomofilattica che essa (Corte di cassazione) esercita presuppone la certezza e la stabilità delle statuizioni, per cui non è possibile avere sulla medesima disposizione contrattuale interpretazioni contrastanti.”
meno di ridimensionare quelle zone di incertezza che hanno – in ragione sul piano istituzionale della mancata attuazione dell’art. 39 Cost. e su quello della realtà fattuale della presenza di pattuizioni sindacali sovente di difficile lettura – caratterizzato non di rado le opzioni ermeneutiche della giurisprudenza di merito e di legittimità, con negativi riflessi anche sullo stesso assetto delle relazioni industriali”.59
59 In tali precisi termini si è pronunciata Cass. 25 settembre 2007, n. 19710, la quale peraltro testualmente richiama l’orientamento consolidato espresso da Cass. 12 maggio 2006, n. 11037; Cass. 5 giugno 2003 n. 9024; Cass. 23 maggio 2001 n. 7039, nelle quali si legge infatti che “è fisiologico che due opposte interpretazioni dei giudici di merito di una medesima disposizione collettiva siano entrambe convalidate o censurate dalla Suprema Corte, a seconda del superamento o meno del controllo limitato alla verifica della correttezza della motivazione e del rispetto dei criteri di ermeneutica di cui agli artt. 1362 ss. c.c.”
CAPITOLO II
L’accertamento pregiudiziale sull’interpretazione, sulla validità e sull’efficacia dei contratti collettivi; l’art. 420-bis c.p.c. come strumento di deflazione del contenzioso seriale.
1. Il quadro normativo di riferimento e la ratio deflattiva.
Il decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40 del 15 febbraio 2006, ha rivisitato profondamente la disciplina della struttura e funzione del giudizio per cassazione e ha introdotto l'art. 420-bis nel codice di procedura civile. 60
Tale disposizione prevede che quando il giudice del lavoro ritenga necessario, ai fini della definizione del giudizio, risolvere una questione pregiudiziale sull'efficacia, sulla validità o sull'interpretazione di un accordo collettivo nazionale, egli è tenuto a decidere la questione subito con sentenza fissando una successiva udienza per la prosecuzione del giudizio, in data non anteriore a novanta giorni. La sentenza potrà essere impugnata esclusivamente con ricorso per cassazione entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito.
60 L’art. 18 del D. Lgs. testualmente dispone che “Dopo l'articolo 420 del codice di procedura civile é inserito il seguente: «Art. 420-bis (Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi). - Quando per la definizione di una controversia di cui all'articolo 409 é necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni. La sentenza é impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo é sospeso dalla data del deposito.».
All'art. 19 del decreto legislativo n. 40 del 2006 troviamo l'inserimento dell'art. 146-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile. Qui il legislatore opera un rinvio – mediante l'inciso “in quanto compatibile” – all'art. 64, commi 4, 6, 7 e 8 delle Norme generali sul lavoro alle dipendenze della p.a. contenute nel decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165.
L’origine di tale ultima norma è da rinvenire nel d.lgs. 30 marzo 1998, n. 80 – intitolato «Misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico di contenzioso» - il quale per primo ha visto sorgere l’”accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi”, inserendolo nel d.lgs. n. 29 del 1993 l’art. 68-bis.
A seguito dell’emanazione del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante
«Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», con cui si è inteso sistemare in un unico corpo normativo le disposizioni emanate fra il 1993 e il 2000, la disposizione in esame è stata trasposta nell’art. 64.
Sulla base del quadro normativo così delineato senz’altro se ne ricava in prima battuta un’analogia molto forte con quanto previsto nel settore del pubblico impiego, mentre, per quanto attiene la ratio del nuovo istituto, questa pare debba rinvenirsi in una duplice direzione.
Una prima è la c.d. funzione nomofilattica della riforma, come testualmente recita il titolo del d.lsg. n. 40 del 2006. 61
Le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 40 del 2 febbraio 2006, ed in modo particolare l'estensione del sindacato di legittimità anche al
61 Il decreto è infatti intitolato “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80”, con esplicito e testuale riferimento alla volontà di accrescere e rendere maggiormente incisiva la funzione regolatrice della Sprema Corte.
testo dei contratti collettivi privati,62 sono state disegnate in funzione del recupero della piena funzionalità dell’incarico attribuito alla Xxxxx xx xxxxxxxxxx xxxx'xxx. 00 xxx xxxxx xxxxxxx 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, che prevede che la Corte assicuri "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni", evidenziando così la duplice funzione alla stessa attribuita dal nostro ordinamento. 63
La Corte di cassazione, infatti, da un canto, con il curare "l'esatta osservanza della legge", opera sul caso concreto ad iniziativa delle parti e, d'altro canto, proprio mentre cura l'osservanza della legge nei singoli casi concreti, può assicurare "l'uniforme interpretazione della legge" e "l'unità del diritto nazionale", ossia assolvere alla suddetta funzione di nomofilachia.
Gli effetti sono quindi il controllo degli indirizzi interpretativi espressi dalle pronunce dei giudici di merito, controllo anche diretto alla realizzazione dell’esigenza di certezza del diritto, mediante la diffusione di indirizzi giurisprudenziali il più possibile uniformi e coesi.
Una seconda, ma evidentemente connessa, finalità ispiratrice della riforma deve ritenersi quella più propriamente deflattiva del contenzioso seriale.64
62 Cfr. sul punto cap. 3.
63 Su tale argomentazione e sul valore della funzione nomofilattica della Corte cass. si è basata anche la prima pronuncia della Corte costituzionale in materia (per la quale si rinvia infra ...) con la quale è stata ritenuta manifestamente inammissibile la questione di legittimità sia in relazione al profilo dell’eccesso di delega che in relazione alla ritenuta irrazionalità dell’art. 420 bis c.p.c.: sentenza del 17 luglio 2007, n. 298, in Il lavoro nella giur., n. 4/2008, pag. 376 e ss., richiamata anche dalla più recente ordinanza Corte Cost. 5 dicembre 2008, n. 404, inedita a quanto consta.
64 Le problematiche derivanti da controversie di serie esistono nel settore privato nell’ambito dell’ormai emblematico del contenzioso relative alle FFSS, alle Poste, alle banche a carattere nazionale. I particolare è stato osservato da alcuni autori che l’obiettivo della deflazione del contenzioso trova fondamento in due ordini di motivi “il primo deriva dal fatto che, normalmente, tutte le controversie di lavoro vertono, direttamente o indirettamente, sulla interpretazione di una clausola del contratto collettivo; ora, risolvere tale questione da subito, con un provvedimento che
La forte esigenza, unanimemente avvertita tra gli operatori del diritto che con il processo hanno a che vedere, è soprattutto quella di prevedere strumenti deflattivi del contenzioso, introducendo cioè misure ed accorgimenti tecnici che consentano una selezione delle domande di giustizia, da un lato, al fine di alleggerire il carico di lavoro degli uffici giudiziari, rendendone più efficiente l’attività e, dall’altro, più rapida la soluzione dei giudizi in corso e dando così, in definitiva, risposta effettiva alla domanda di giustizia.65
Una prima e specifica risposta apprestata qualche anno fa dal legislatore e che pure deve essere iscritta in questa medesima ratio, è l’introduzione nel procedimento del lavoro del tentativo obbligatorio di conciliazione da esperirsi in sede stragiudiziale quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziale.66
porta alla composizione “forte” del contrasto (sentenza del giudice di merito e successiva sentenza della Corte di cassazione), in un certo senso anticipa la sentenza definitiva del 1° grado e riduce grandemente anche la necessità e opportunità dell’appello; il secondo motivo è dato dal fatto che il formarsi di orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte sui contratti e accordi collettivi nazionali, tendenzialmente a valere per tutti, anche in forza del vincolo introdotto con la modifica dell’articolo 374 c.p.c., dissuaderà fortemente dal riproporre questioni già sottoposte in precedenza al vaglio della magistratura”: Viceconte M., Ricorso in cassazione, novità del processo del lavoro e aspetti rilevanti: significato e portata. prime riflessioni, in Lavoro e previdenza oggi, n. 3/2006.
65 CINELLI M., Prospettive di riforma del processo previdenziale: un rimedio per la crisi della giustizia del lavoro? - Atti del Convegno sul tema "Giustizia del lavoro e riforma del processo previdenziale", promosso dall'Associazione nazionale magistrati, in collaborazione con il Centro nazionale studi di diritto del lavoro "Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx", Napoli il 30 marzo 2001, in xxx.xxxx.xx, il quale annovera anche tra le soluzioni che potrebbero fornire utile contributo allo scopo in esame “l'istituzione di procedure accelerate, a cognizione sommaria (magari, sulla falsariga del procedimento di repressione della condotta antisindacale), per le situazioni di maggior urgenza ed impatto sociale, quali quelle ravvisabili nei licenziamenti e nei trasferimenti di personale”.
66 I dubbi della dottrina a riguardo sono ben noti. Per una parte di questa in particolare le perplessità sembrano fondarsi sul fatto che la causa prima del fallimento dei tentativi obbligatori di conciliazione va ricercata nella circostanza che essi sono il più delle volte svolti “al buio”, ossia senza che ciascuna parte precisi all’altra (e ovviamente al conciliatore) i motivi posti a base della propria pretesa o anche le condizioni alle quali sarebbe disposta a conciliarsi. In tal senso PROTO PISANI A., Per un nuovo titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, in Foro it. 2003, V, 120. Ancora si legge che “ per esempio, l’art. 410 cod. proc. civ. non prescrive alcunché circa il <<contenuto della richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione>>, leggermente diverso è il tenore dell’art. 66, d.lgs n. 165/2001, che prescrive l’esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa ma poi non sanziona in alcun modo la richiesta di conciliazione carente di questo requisito”, così FUIANO M. P., in La deflazione del contenzioso del lavoro, il caso delle pubbliche amministrazioni.” A cura di XXXXXXXX e VOZA, CACUCCI Editore, Bari, 2007.
Con il concetto di “contenzioso seriale” si fa generalmente riferimento a quelle cause di identico contenuto, generate da identiche questioni interpretative – accomunate quindi da stesso xxxxxxx e causa pedendi – con identità di interessanti un vasto numero di soggetti, ma che, tuttavia, vengono proposte in via distinta, soggetto per soggetto, anziché cumulativamente o per gruppi, e, dunque, finiscono per intasare irrimediabilmente gli uffici giudiziari.67
Tali distinte – ma anche profondamente connesse – esigenze di snellimento del processo e di valorizzazione qualitativa del giudizio di legittimità a ben vedere si intersecano tra loro dando vita ad evidenti punti di contatto.68
La funzione primaria della norma in esame dunque sembra doversi individuare, così come di recente puntualizzato anche dalla giurisprudenza di legittimità, nell’esigenza di evitare “il rischio della polverizzazione delle decisioni, che nel concreto potrebbe, con il vanificare l’uniformità della applicazione di un contratto collettivo,
67 Il risultato dell’indagine Istat relativa al quadriennio 2000-2004, ha infatti evidenziato che i procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie assumono dimensioni rilevanti, rappresentando nel 2004 il 28,9% della domanda complessiva di giustizia civile, espressa dai procedimenti sopravvenuti in primo grado e in appello presso gli uffici giudiziari. Nel corso del 2004 sono stati aperti 414.278 nuovi procedimenti in primo grado e 59.625 in appello, in crescita rispetto al 2000 rispettivamente del 5,3% e del 31,5%. Nel 2004 il tasso di ricambio dei procedimenti, cioè il rapporto percentuale tra procedimenti esauriti e sopravvenuti nell’anno, è pari a 104,9% in primo grado e 95,8% in appello, rivelando una situazione di sostanziale equilibrio tra la domanda e l’offerta. La capacità del sistema giudiziario di soddisfare la domanda complessiva, tuttavia, è ancora piuttosto bassa: il tasso di estinzione, dato dal rapporto percentuale tra i procedimenti esauriti e il totale dei procedimenti sopravvenuti e pendenti, risulta pari a 31,2% in primo grado e a 29,7% in appello, in xxx.xxxxx.xx Ma non manca chi tende a ridimensionare il fenomeno della serialità delle cause: x. XXXXXXXXX D., La Cassazione interpreta l’art. 000 xxx x.x.x., xx Xxx. Crit. Dir. Lav., 2006. p. 607; nonché FEZZI M., Il nuovo art. 420 bis c.p.c., ibidem, 2006, p. 31, per il quale invero, “Cause seriali non se ne vedono da tempo nel settore privato (le ultime sull’incidenza retributiva del valore della mensa, e che risalgono a più di dieci anni fa, sono state risolte con una legge apposita che ha escluso l’incidenza”.
68 Sul punto v. PESSI R. Il giudizio di Xxxxxxxxxx nelle controversie di lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2008,
p. 683, il quale, valorizzando l’aspetto innovativo della normativa in esame precisa che “la riforma in ogni caso, introduce un insieme di regole processuali, che segnano una sensibile inversione di tendenza “rispetto all’originario assetto del processo del lavoro” , in quanto privilegiano una nomofilachia preventiva su un’area caratterizzata dalla serialità del contenzioso, rispetto alla celerità della singola causa, laddove appunto il giudice è chiamato ad emettere “una sentenza non definitiva, rinviando ad un successivo momento la definizione della controversia”.
determinare ricadute negative sul piano fattuale in termini di incertezza del diritto, di consequenziale incentivazione del contenzioso e, che potrebbe comportare, anche per quanto attiene ai destinatari di tali contratti – identificabili in una intera categoria di lavoratori, stante il carattere nazionale della contrattazione oggetto della questione pregiudiziale -, il pericolo di una ingiustificata disparità di trattamento tra i destinatari di detta contrattazione versanti nella stessa collocazione lavorativa”. 69
L’idea di fondo è dunque quella per la quale l’inconveniente, o comunque il disagio, che con lo strumento in esame deriva alla causa instaurata dal singolo lavoratore - a causa della necessità di sospendere il giudizio, con probabile dilatazione dei relativi tempi di decisione – viene poi compensata dal valore guida di quel precedente così formatosi, in tutti i futuri giudizi che dovessero in seguito involgere quella medesima clausola contrattuale.70
69 Sottolineando tale esigenza si espressa di recente Cass. 24 gennaio 2008, n. 1578, nella quale testualmente si legge che “va anche aggiunto che una interpretazione del dato normativo, costituzionalmente orientata nel senso di agevolare il perseguimento della "ragionevole durata" del processo ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 2,, porta questa Corte a condividere la tesi: che il meccanismo procedurale di cui all'art. 420 bis c.p.c., operi allorquando si sia in presenza di una "seria" questione interpretativa, sempre cioè che il significato della clausola del contratto(o accordo) collettivo rimanga oscuro o equivoco; che la questione si presenti come logicamente pregiudiziale e precisamente come antecedente logico necessario della decisione ( cfr. al riguardo : Xxxx. 22 marzo 22005 n. 6113; Cass. 12 febbraio 2005 n. 3072); che la controversia individuale costituisca lo strumento per pervenire ad una definitiva e completa soluzione della pregiudiziale, nel senso che tutti i dubbi interpretativi sulle diverse questioni scaturenti dall'interpretazione della clausola contrattuale - ad esclusione della questione riguardante la ripartizione dell'onere della prova da devolvere al Giudice di merito perchè condizionata strettamente dalla specificità delle singole fattispecie e dal comportamento tenuto dalle parti nonché in materia giuslavoristica dal potere - dovere del Giudice di esercizio dei poteri istruttori - debbano trovare una definitiva ed esaustiva composizione nella decisione del giudice, dal momento che una diversa opzione volta ad assegnare a ciascuna delle suddette questioni tempi separati e distanti tra loro finirebbe per negare le finalità proprie dell'art. 420 bis c.p.c..”.
70 Non è mancato infatti in dottrina chi ha sottolineato perplessità sull’esito dannoso per il “giudizio a quo”. In questo senso GRAGNOLI E., in L’interpretazione dei contratti collettivi sul diritto privato e le ultime novità processuali, in xxx.xxxx.xx, pag. 8, rileva in primo luogo il fatto che la sospensione del giudizio di primo grado nel quale sia sorta la questione interpretativa determina senz’altro un allungamento dei tempi del relativo procedimento, sottolinea anche che, se è vero che “la norma vuole rendere più rapide le sentenze di legittimità, per rafforzare il ruolo di guida della Suprema Corte, vi è da chiedersi quanti lavoratori saranno entusiasti dell’applicazione al loro processo dell’art. 420 bis
In linea con tale spirito, che potrebbe definirsi di “solidarietà sociale e processuale”, anche il giudice delle leggi aveva già dato risposta ai dubbi di irrazionalità e contraddittorietà sollevati in relazione al meccanismo processuale in questione considerando “esclusa in radice l’irragionevolezza del meccanismo essendo del pari da respingere la tesi secondo la quale vi sarebbe "uno spreco di attività giurisdizionale" e una "non ragionevole, e quindi iniqua, durata del processo": che la singola controversia possa subire un iter più lungo di quello (che sarebbe stato) normale è indubbio, ma appartiene altrettanto indubbiamente alla discrezionalità del legislatore optare per una soluzione che, a fronte di un modesto sacrificio del singolo, sia idonea a produrre in termini di certezza (e, quindi, tra l’altro, di prevenzione di imponenti contenziosi e di più agevole definizione di altre controversie pendenti) rilevanti vantaggi di carattere generale”.71
Occorre infine far presente che la tendenza delle modifiche processuali, finalizzate allo snellimento, ed ispirate alla logica deflattiva del contenzioso, è stata da ultima nuovamente attuata con la recentissima
cod. proc. civ., poiché non possono neppure sperare in un intervento negoziale risolutivo delle organizzazioni sindacali”. A favore di tale novità x. X. XXXXXXXXXX, Una novità giurisprudenziale ed una legislativa per il rito del lavoro, in www. xxxxxxxx.xx, § 2.1; F.P. XXXXX X X. XXXXXXX, La riforma del processo civile, Milano, 2006, p. 98; X. XXXXXXX, Il nuovo giudizio di cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, p. 221; X. XXXXXXX DELLA ROCCA, Le modificazioni in materia di processo di Cassazione tra nomofilachia e razionalizzazione dell’esistente, in Corriere giur., 2006, 450. Perplessità vengono espresse da X. XXXXXXXX, Commento all’art. 420-bis, in X. XXXXXXXXX, Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2007, p. 560. Critici invece X. XXXXX, Il nuovo art. 420 bis c.p.c., cit., p. 31 ss.; X. XXXXXXX, Il colpo di grazia dal nuovo «420-bis», in Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2006.
71 Il riferimento è a Corte Costituzionale 5 giugno 2003, n. 199, in Foro Amm., 2003, 1821. la quale per tali ragioni ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 64, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sollevate dal Tribunale di Genova in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione. Ancora con riferimento alla legittimità costituzionale dell’art. 64 del D. Lgs. 165 del 2001 si vedano Corte Costituzionale 7 giugno 0000, x. 000, xxx., in Giur. Cost., 2002, 1770; Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 00 aprile 0000, x. 000,
xxx. in Foro Amm., 2003, 1232.
approvazione al Senato del disegno di legge contenente nuove modifiche al processo civile.72
Con l’introduzione dell’art. 360 bis cod. proc. civ. infatti si è provveduto a dar vita al c.d. “filtro in Cassazione” , ovvero ad uno strumento di preventiva verifica sull’ammissibilità dei ricorsi presentati, proprio al fine di snellire l’attività della Corte e di dar vita a criteri più certi di selezione delle questioni rilevanti ed pertanto ammesse al vaglio di legittimità della Corte.73
72 Con 136 voti favorevoli, 92 contrari e 4 astenuti, l'Aula il 26 maggio 2009 ha dato via libera definitivo al ddl 1082-B, collegato su sviluppo economico, semplificazione, competitività e processo civile, al momento in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Tra le varie norme vi è l’introduzione dell’art. 360 bis cod. proc. Civ., che comporta l’istituzione del c.d. “filtro” per le cause di legittimità. La norma ha già suscitato perplessità e critiche l’introduzione del cd. filtro in Cassazione, per come risulta congegnato, (i) modifica la funzione del ricorso, da espressione del diritto della parte (lettura corrente ed incontrastata dell’art. 111, co. 7° Cost.) a strumento della funzione nomofilattica, (ii) rischia di trasformarlo in una supplica affidata alla discrezionalità dei magistrati decidenti, (iii) sembra contrastare con la consolidata interpretazione dell’art. 111, co. 7° Cost. nonché con gli artt. 24 e 25 Cost. nella parte in cui limita il sindacato sulle violazioni di legge menzionate nell’art. 111 Cost. e subordina l’ammissibilità del ricorso a valutazioni discrezionali di un collegio di tre membri costituito ad hoc senza alcuna indicazione sui criteri e le modalità della nomina, (iv) sembra contrastare con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui prevede che il provvedimento sia inimpugnabile, a differenza della possibilità del ricorso per revocazione ex art. 391 bis cpc per tutte le altre decisioni delle Corte; (v) l’inammissibilità dei ricorsi avverso le sentenze conformi a precedenti decisioni della Corte di Cassazione implica una uniformità di orientamenti giurisprudenziali che deprime la creatività dei 1giudici e mortifica la funzione di stimolo, da sempre patrimonio dell’Avvocatura, risultando ostativa alle innovazioni necessarie per adeguare l’ordinamento giuridico alle esigenze economiche e sociali del Paese, (vi) il riferimento alle precedenti decisioni implica l’assegnazione di autonomo rilievo a ciascuna pronuncia, isolatamente considerata , che potrebbe anche essere difforme da altre rese dalla medesima Corte, potendosi quindi formare il giudizio di inammissibilità sulla base di un singolo precedente, (vii) la previsione della inammissibilità del ricorso quando esso non coinvolga una questione nuova implica l’impossibilità di adire il giudice di legittimità per invocare un mutamento di orientamenti, mentre il correttivo che affida allo stesso giudice il potere di scegliere i ricorsi sui quali pronunciarsi, trasforma il sistema vigente in un modello affine a quello del common law inglese, senza rifletterne, tuttavia, i connotati essenziali (tra i quali, ad es., l’estrazione dei giudici dalla classe forense, e per giunta con il metodo della cooptazione), (viii) l’attuale formulazione, inoltre, appare sostanzialmente abrogativa dell’art. 360 n. 5). In questi termini le osservazioni del C.N.F. sul contenuto della nuova norma.
73 L’attuale formulazione dell’art. 360-bis enuncia invece i motivi di inammissibilità dello stesso, che vengono individuati nei seguenti: (1) le questioni di diritto sono state decise nel provvedimento impugnato in modo conforme alla giurisprudenza della Cassazione e l'esame dei motivi di ricorso non offre elementi per confermare o mutare tale orientamento; (2) la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo è manifestamente infondata (comma 1, lettera a)). Rispetto al testo approvato dal Senato, che affidava il filtro di ammissibilità a un collegio di tre magistrati, l'attuale formulazione dell'articolo 47 prevede: - l’assegnazione dei ricorsi da parte del primo presidente ad un’apposita sezione, chiamata a valutarne l’eventuale inammissibilità (art. 376 c.p.c., come modificato dal comma 1, lettera b)). Tale sezione dovrà essere di regola composta da magistrati
1.1 Il rinvio dell’art. 146 delle disposizioni di attuazione del cod. proc. civ., all’art. 64, commi 4, 6 e 7, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
L’art. 146 bis disp. att. cod. proc. civ. - aggiunto anch'esso dalla riforma del 2005 -, richiama, in quanto compatibile, la normativa dettata per i contratti collettivi nel settore del pubblico impiego dai commi 4-8- dell’art. 64 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.74
appartenenti a tutte le sezioni della Corte di cassazione (nuovo art. 67-bis, X.X. 00/0000, introdotto dal comma 2); - lo specifico procedimento per l'eventuale decisione sull'inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio (art. 380-bis c.p.c., introdotto dal comma 1, lettera c)). Con riferimento alle nuove disposizioni del testo di legge non mancano perplessità, soprattutto con riguardo al rischio di cristallizzazione delle decisioni: sotto questo profilo v. DELLI PRISCOLI M. Ricorsi di legittimità: la sezione "ad hoc" per l'inammissibilità non riduce i tempi e rischia di cristallizzare la giurisprudenza, in D&G, Quotidiano del: 16/06/2009
74 L’analogia con la norma in esame è sicuramente molto forte. Ricordiamo che l’art. 64 prevede che “1. Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all'articolo 63, è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall'ARAN ai sensi dell'articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell'ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all'ARAN. 2. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l'ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell'articolo
49. Il testo dell'accordo è trasmesso, a cura dell'ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa. 3. Se non interviene l'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo. 4. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell'articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti. 5. L'ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre i] termine previsto dall'articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell'intervento alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Xxxxxxx, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria. 6. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è
Sulla base di tale rinvio si è pensato, in un primo tempo, che la ratio della normativa in questione potesse essere individuata nell’esigenza di armonizzazione tra disciplina privatistica e pubblicistica in punto di contrattazione collettiva e di rimedi esperibili al fine di ridurre o neutralizzare l'incertezza derivante dall'oscurità delle relative previsioni. In realtà, ragioni di carattere sistematico di tale tenore non sembrano poter trovare effettiva praticabilità.
E' noto, infatti, che tra i contratti collettivi che regolano i rapporti di lavoro di diritto privato e la contrattazione collettiva del pubblico impiego vi sono infatti differenze tutt’altro che trascurabili: il contratto collettivo nazionale è, come detto, una fonte autonoma, che promana dalla libera scelta delle parti contraenti; il contratto collettivo nel pubblico impiego è, secondo l’interpretazione prevalente, collocabile tra le fonti eteronome, dato che i soggetti, le modalità e gli effetti della contrattazione sono legislativamente previsti.75
La contrattazione collettiva del settore pubblico è, infatti, disciplinata, sia quanto a «protagonisti» ovvero i soggetti contrattuali, sia quanto ad
«effetti» rispetto alla legge e rispetto alla autonomia individuale, dalla legge e, più specificatamente, dagli articoli 40-50 del d.lgs n. 165/2001.76
chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d'ufficio, l'udienza per la prosecuzione del processo. 7. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3. 8. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte.
75 Si ricorda al riguardo che per i contratti collettivi e accordi nazionali di diritto pubblico è previsto un sistema di pubblicità analogo a quello della legge che si realizza per l’appunto con la pubblicazione di questi testi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, e ciò per espressa previsione del legislatore della seconda privatizzazione (art. 47, comma 8, d.lgs. n. 165 del 2001). Questo è un elemento che segna un netto e permanente contrasto rispetto alle medesime norme contrattuali di diritto comune per le quali invece analoga forma di pubblicità non è prevista, imponendosi al contrario in caso di contenzioso, stringenti oneri di allegazione e di produzione in giudizio del testo controverso.
76 Tra i recenti interventi di legge in tema di contrattazione collettiva nel settore pubblico ricordiamo il disegno di legge delega per ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e promuovere efficienza e
Si ricorda inoltre il peculiare potere derogatorio da parte c.c.n.l. pubblico alle norme di legge, regolamento o statuto. 77
Da parte di alcuni commentatori di questa nuova disciplina si è invero sottolineato come l’avvicinamento tra le due pur distinte discipline processuali avesse, in realtà, il fine ultimo di uniformare la disciplina sostanziale dell’autonomia collettiva. 78
trasparenza della PA. Il 9 gennaio 2009, il Senato ha approvato il ddl n. 847, recante Delega al Governo finalizzata alla ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei Conti.
La proposta, già approvata dal Governo nel mese di giugno 2008, unitamente al d.l. n. 112/2008 (convertito il 6 agosto nella l. n. 133/2008), nel testo licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato consta di 9 articoli.
L’art. 2 Art. 2, (Principi e criteri in materia di contrattazione collettiva e integrativa e funzionalità delle amministrazioni pubbliche) contiene le linee guida per la modifica della disciplina della contrattazione collettiva nel settore pubblico: l’intento principale è quello di definire gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati rispettivamente alla contrattazione collettiva e alla legge, nonché, sulla base di questa, ad atti organizzativi e all’autonoma determinazione dei dirigenti, riservando alla contrattazione collettiva la determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro. A monitorare l’effettività e la congruenza della ripartizione delle materie attribuite alla regolazione della legge o dei contratti collettivi, vi è l’applicazione degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.; norme che prevedono, per la conservazione del contratto, la sostituzione delle clausole negoziali difformi con le clausole imposte dalla legge, nonché delle clausole nulle con norme imperative di legge. L’ottimizzazione, quale fine da raggiungere, è invero un termine ambivalente, in quanto vale a descrivere una situazione non solo di efficienza ma anche di efficacia: ragionando secondo le due direttrici la contrattazione (in qualità di uno dei mezzi per la realizzazione del fine suddetto) dovrà rispettare i vincoli di bilancio mediante limiti minimi e massimi di spesa, individuando anche uno schema di relazione tecnica per l’accertamento dei costi. L’attenzione all’aspetto finanziario ha portato ad inserire, nel disegno in commento, il potenziamento delle amministrazioni interessate al controllo e il riordino delle procedure di contrattazione collettiva anche integrativa, nonché la riforma dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), con particolare riguardo alle competenze, alla struttura ed agli organi della medesima Agenzia. La riforma dell’Aran – nel senso della indipendenza dalle organizzazioni sindacali e della ridefinizione della struttura e delle competenze dei Comitati di settore (organismi collegiali costituiti per rappresentare categorie omogenee di amministrazioni) – offre il destro per il ripensamento delle procedure di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa in coerenza con il settore privato, anche in ordine alla durata dei contratti, con la previsione di norme di raccordo per armonizzare gli interventi di riforma con le specificità sussistenti nel pubblico impiego. Le modifiche prevedono, inoltre, l’attivazione della contrattazione collettiva integrativa (nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione: in Bollettino Adapt, 26 gennaio 2009, n. 3.
77 Il meccanismo è previsto dall’art. 2 , comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in base al quale si riconosce al contratto collettivo addirittura la forza di abrogare disposizioni di legge, regolamento o statuto, “che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi (…)”. Per un’analisi completa della funzione e degli effetti della contrattazione collettiva nel pubblico impiego si veda PILEGGI A., Efficienza della Pubblica Amministrazione e Diritto del lavoro, Aracne editore, Xxxx 0000.
78 “Bisogna però anche dire, volendo cercare argomenti a difesa della riforma, che la novella potrebbe giustificarsi come una presa d’atto della equiparazione, dal punto di vista effettivo e sostanziale, di norme autonome ed eteronome: la disciplina dei rapporti di lavoro è sempre più, in realtà, un complesso di fonti autonome e fonti eteronome che si intrecciano e si richiamano fra loro, di modo
A ben vedere le differenze strutturali e di disciplina tra i due meccanismi processuali hanno rilievo tale che, senz’altro, pare debba escludersi l’utilizzo delle recenti modifiche processuali al fine di una equiparazione dal punto di vista sostanziale.
In linea on questa impostazione più conservatrice, la giurisprudenza di legittimità ribadisce l’esclusione del mutamento della natura di atti negoziali affermando che “i contratti collettivi del settore pubblico (come pure, successivamente, quelli del settore privato) sono stati equiparati agli atti normativi ai soli fini processuali dell'ammissibilità della denuncia di violazione e falsa applicazione di clausole nel ricorso per cassazione (art. 63, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, poi, art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nel testo novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006), senza che, ne sia stata alterata, sul piano sostanziale, la natura di atti negoziali”. 79
che le norme dell’autonomia collettiva divengono oggi, in effetti, in tutto e per tutto veri e propri atti normativi. Se questo è, come in effetti è, il rapporto sostanziale fra le leggi e le norme poste dalla contrattazione collettiva, l’equiparazione anche per quanto concerne i motivi di ricorso per cassazione potrebbe avere senso”: in questi termini XXXXXXX A., Modifiche al processo del lavoro: i contratti collettivi tra le fonti del diritto?, in Bollettino ADAPT n. 14 del 10 marzo 2006.
79 In questi termini da ultima Cass. S.U. 8 luglio 2008, n. 18621 la quale sulla base del principio di diritto così affermato ha dichiarato manifestamente infondata l'eccezione d'illegittimità costituzionale avverso una clausola di contratto collettivo, potendo l'incidente di costituzionalità essere proposto soltanto nei confronti di atti aventi forza di legge.
1.2 L’eliminazione dell’interpretazione autentica.
Forte argomento di critica ha espresso la dottrina in relazione alla parziale riproposizione della disciplina già prevista nell’accertamento preventivo nel pubblico impiego.
Il riferimento è in particolare alla mancata introduzione di uno strumento idoneo ad introdurre nel processo e, dunque, tra gli elementi di valutazione del giudice, l’accordo interpretativo autentico proveniente dagli stessi soggetti stipulanti.80
In base alla previsione dell’art. 64 infatti, viene sollecitato l’esercizio da parte dei soggetti collettivi dei loro poteri negoziali. Infatti, laddove il giudice individui una questione da risolvere in via pregiudiziale, la solleverà con ordinanza ed ordinerà alla cancelleria la trasmissione all’Aran degli atti di causa. A questo punto, infatti, l’Aran può convocare i sindacati firmatari, per addivenire ad una modifica consensuale della clausola o alla sua interpretazione autentica. 81
L’eventuale accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica
«sostituisce la clausola in questione sin dall’inizio della vigenza del contratto», ai sensi dell’art. 49 d.lgs. n. 165 del 2001. In mancanza di accordo – o di inutile decorso del termine di novanta giorni – la questione insorta viene decisa dal giudice con sentenza non definitiva,
80 La perplessità della dottrina al riguardo è decisa :”Vi è da chiedersi quali benefici possano derivare dall’art. 420 bis cod. proc. Civ. se è scisso il collegamento tra le disposizioni processuali e la sollecitazione ricolta ai soggetti sindacali sull’attuazione dei loro poteri di composizione negoziale dei conflitti, a prescindere dalla qualificazione degli atti relativi” così XXXXXXXX E., L’interpretazione dei contratti collettivi sul lavoro privato e le ultime novità processuali” in xxx.xxxx.xx per il quale inoltre, “resta oscuro come si possa pensare di imperniare l’intera strategia del legislatore nel lavoro privato solo su meccanismi processuali, senza che sia neppure tentato un dialogo con le risorse dell’ordinamento intersindacale”
81 Se l’accordo viene raggiunto si verifica la sostituzione della clausola fin dall’inizio della vigenza del contratto e quindi con efficacia retroattiva
impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, ricorso che determina la sospensione automatica del processo.
Peraltro, già con riguardo a questo meccanismo del pubblico impiego si erano avanzate perplessità sulla effettiva funzionalità dell’istituto e sulla capacità deflativa in relazione alle norme seriali.82
Diversamente, il nuovo procedimento per il settore privato si presenta privo di tale incidente stragiudiziale, essendo la questione interpretativa trattata e risolta interamente all’interno del giudizio, senza spazio per alcuna fase esterna al processo.
Alle lamentele e perplessità circa la mancata partecipazione dei soggetti sindacali nel procedimento interpretativo nell’ambito delle controversie di lavoro privato, è stato replicato che la differenziazione trova la sua ratio in primo luogo nel fatto che nel lavoro privato, a differenza di quello pubblico, manca un interlocutore datoriale unico.83
Del resto, è stata rimarcata la possibile funzione suppletiva al riguardo della disposizione ex art. 421 cod. proc. civ. in forza della quale, sulla base dei poteri istruttori del giudice, a questi è sempre ammesso richiedere informazioni scritte o orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti come sottoscrittrici del contratto e accordo nazionale, ovvero
82 Ciò che va sottolineato è che l’esperienza di questi anni dimostra che le ipotesi di rinvio dal giudice del lavoro all’ARAN perché verifichi in contraddittorio con le organizzazioni sindacali la possibilità di un accordo non sono numerose[8]; le organizzazioni sindacali (ed in particolare la CGIL) si mostrano sempre più restie a partecipare agli incontri indetti dall’Aran[9]; poche sono le sentenze non definitive rese dal giudice del lavoro sulla questione “pregiudiziale”; rari sono i ricorsi in cassazione proposti avverso tali decisioni e poche sono le decisioni della Suprema Corte”, in questi termini ad esempio si è espresso TRISORIO LIUZZI G., L’accertamento pregiudiziale dei contratti collettivi dal d.lgs. n. 80 del 1998 al d.lgs. n. 40 del 2006, in xxx.xxxxxxxx.xx
83 v. in questo senso lo stesso XXXXXXXX XXXXXX G., op cit., il quale peraltro sottolinea il “sostanziale fallimento di questa fase stragiudiziale - sindacale [i pochi casi di accordo sono intervenuti oltre il termine di novanta giorni, perché la procedura per giungere a siffatti accordi è identica a quella prevista per la stipula dei contratti collettivi di lavoro (art. 47 d.lgs. n. 165 del 2001); il tempo medio che intercorre tra la comunicazione dell’Aran e la sottoscrizione è di quasi due anni]”.
della richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali ex art. 425 cod. proc. civ..
In realtà la differenza tra il rimedio di interpretazione autentica e le informazioni assunte in sede sindacale sono di un certo rilievo e di carattere sostanziale.
E’ solamente tramite il primo strumento infatti, che si dà vita ad una vera e propria sostituzione, con effetto retroattivo, in quanto la clausola contrattuale della cui interpretazione si controverte, viene sostituita dall’inizio della vigenza del contratto, vincolando così anche il relativo accertamento del giudice.
A questo filone interpretativo, peraltro, ha dato adesione anche la giurisprudenza di legittimità che ha concordato sull’efficacia retroattiva dell’accordo di interpretazione autentica e sulla vincolatività di questo, tanto per le parti quanto per il giudice.
Si è così escluso qualsiasi attrito costituzionale sulla base del fatto che l’accordo si fonda sulla rappresentatività delle parti stipulanti e ne valorizza il potere di autonomia negoziale, potendo quindi anche incidere sui diritti dei lavoratori, anche sostituendo diritti economici e normativi di cui xxxxxxxx. 84
84 In questo senso x. Xxxx. 1 giugno 2005 n. 11671, in Giust. Civ. 2006, 1011, conferma l’orientamento affermando che «quando venga meno la clausola contrattuale che forma oggetto dell’accertamento pregiudiziale, in quanto sostituita, sin dall’inizio della vigenza, dal sopravvenuto accordo di interpretazione autentica, ovvero di modifica della stessa clausola, si verifica - in qualsiasi stato e grado dello stesso sub-procedimento - la cessazione della materia del contendere”.
1.3. L’avallo costituzionale dell’istituto.
Il testo della norma che stiamo esaminando è già stato sottoposto al vaglio della Corte costituzionale ben due volte: una prima nel 2007 ed una recentissima nel dicembre 2008.85
I dubbi di legittimità costituzionale erano stati segnalati infatti da gran parte della dottrina in relazione al nuovo istituto, sia per un possibile contrasto con l’art. 111 Cost., in considerazione della innegabile dilatazione dei tempi processuali che deriva dal frazionamento del procedimento con il meccanismi dell’accertamento pregiudiziale, sia con gli artt. 76 e 77 Cost., per un eventuale superamento dei limiti posti dalla legge delega n. 80 del 2005.86
Il dubbio di fondo più rilevante è però senz’altro quello relativo alla sindacabilità in cassazione delle norme del contratto collettivo e della relativa difficoltà di conciliare un giudizio di diritto come quello della Corte di legittimità con un accertamento di fatto come è quello che necessariamente si impone su un testo contrattuale.87
85 Si tratta di Corte cost. 17 luglio 2007 . 298, in Mass. Giur. Lav., n. 12 del 2007 con nota di VALLEBONA A.; e Corte cost. 5 dicembre 2008 n. 404, inedita a quanto consta.
86 V. ad es. XXXXXXX X., L’accertamento sull’efficacia la validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi, in Bollettino Adapt n. 14 del 10 marzo 2006, per il quale “ la corrispondenza fra il principio stabilito dal secondo e la norma adottata dal’Esecutivo non pare certo delle più limpide. Una cosa è prevedere l’estensione del sindacato diretto della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi; ben altro è prevedere l’obbligo per il giudice di merito di decidere con sentenza in via pregiudiziale le questioni inerenti alla efficacia, validità o interpretazione di un contratto o accordo collettivo”; o ancora x. XXXXX M., op. cit., per il quale suscita stupore il fatto che il Governo, in applicazione della legge delega, emani nel febbraio 2006, il D.Lgs. 40/2006, con il quale anziché limitarsi a quanto il Parlamento lo aveva delegato (l’estensione dei casi di ricorso per cassazione), entra a gamba tesa sull’intero processo del lavoro snaturandolo e minacciando di paralizzarlo, introducendo una norma che ricalca sostanzialmente quella contenuta nell’art. 68 bis del D.Lgs n. 29 del 1993”. Sulla base di tali forti perplessità è stato anche presentato un disegno di legge (n. 1047 del settembre 2006) dai senatori Xxxxx e Treu per una riforma del processo del lavoro che nel senso del recupero di quel carattere speciale di celerità e speditezza del rito speciale del lavoro e pertanto con proposta di abrogazione del solo art. 420 bis e del procedimento ivi contenuto. Peraltro l’idea di dubbia costituzionalità si ritrova nel documento approvato dall’Assemblea generale della Suprema Corte di Cassazione del 21 luglio 2005, chiamata a dare il proprio parere sullo schema di d.lgs., nonché nel parere della Commissione giustizia del Senato.
87 In questi termini ad esempio si esprime CARRATTA A., La riforma del giudizio in Cassazione, in
Riv. Dir. Proc. Civ., 2006, pag. 1105, secondo il quale “non pare tranquillizzante il fatto che la
Effettivamente i principi ed i criteri direttivi contenuti nella legge delega contenevano espresso riferimento solo all’ “estensione del sindacato della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del numero 3 dell’art. 360 c.p.c…non ricorribilità immediata delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire il giudizio…”, omettendo pertanto il riferimento all’istituto dell’accertamento preventivo e al relativo procedimento.
Sulla base di siffatte sollecitazioni il Tribunale del lavoro di Genova ha ritenuto le norme codicistiche incostituzionali per contrasto con gli artt. 39, 3, 76 e 111 Cost. Le norme indicate violerebbero, secondo il giudice di merito, l’art. 39 Cost., in quanto l’art. 360 cod. proc. civ. affiderebbe al giudice la qualificazione del contratto collettivo come nazionale nonché in quanto trasformerebbe i contratti collettivi in “fonti di diritto oggettivo”, determinando una lesione del diritto sancito dalla norma costituzionale attraverso una ingerenza eteronoma dello Stato nell’autonomia sindacale.
Analogamente, secondo il giudice a quo, i profili di violazione relativi all’art. 111 Cost. riguardano l’indebita estensione dei casi in cui il giudice di legittimità può conoscere del merito della causa.
La Consulta ha risposto con ordinanza del 17 luglio 2007 dichiarando la manifesta inammissibilità della questione di legittimità.88
Quanto alla dedotta irrazionalità della norma, implicante in violazione dell’art. 3 Cost., una frammentazione dei vari momenti decisori sulle numerose questioni che il giudice può trovarsi ad affrontare, la Corte,
funzione nomofilattica della Cassazione venga estesa anche a strumenti, come i contratti collettivi nazionali che, sebbene collettivi, restano comunque degli atti negoziali e per la cui interpretazione, di conseguenza, assume rilevanza – ai sensi dell’art. 1362 cod. civ. – l’accertamento di fatti come, ad es., la comune volontà dei contraenti o i comportamenti precedenti o successivi degli stessi”.
delimitando i profili applicativi dell’istituto, specifica che in realtà “il nuovo strumento processuale non opera in tutti i casi in cui emerge una qualunque questione di interpretazione o di validità della clausola collettiva, essendo tale strumento affidato in modo ragionevole al responsabile apprezzamento del giudice del lavoro, al quale spetta evitare l’inconveniente denunciato, attraverso l’identificazione tempestiva della serietà della questione”.
Quanto all’eccesso di delega, la compatibilità delle norme censurata a giudizio della Corte è fondata innanzitutto proprio sul testuale riferimento dei principi della legge delega all’obiettivo prioritario della valorizzazione della funzione nomofilattica nel processo di cassazione, in relazione al quale, pertanto, l’istituto dell’accertamento preventivo si configura come uno strumento attuativo ampiamente rispettoso dei limiti imposti dal legislatore.
Inoltre, sottolinea la Corte, al fine di una più corretta e sistematica valutazione della delega, non si può fare a meno di considerare l’esistenza nell’ordinamento di un intervento normativo analogo; quello relativo alle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato.
In quest’ottica, pertanto, le due norme di legge censurate vengono a costituire un “unicum regolativo” composto da una regola generale da individuarsi nell’ammissibilità del ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali, ed una regola particolare, ovvero l’accertamento pregiudiziale sull’interpretazione efficacia e validità, che delinea un istituto servente che accelera
00 X. Xxxxx xxxx. xxx. 17 luglio 0000, x. 000, xx Xx lav. nella giur. N. 4/2008, con nota di XXXXXXXX X.,
Mass. Giur. Lav., n. 12/2007, con nota di VALLEBONA A., Not. Giur. Lav. n. 3/2007.
l’intervento della Corte di legittimità e dunque realizzi più tempestivamente la funzione nomofilattica. 89
Quanto poi alla denunciata violazione del principio di ragionevole durata del processo, la salvezza della norma deriva dalla brevità dei termini fissati sia per l’impugnazione per saltum della sentenza non definitiva, sia per la riassunzione del giudizio dopo la decisione della Cassazione.
Infine, quanto alla prospettazione della illegittimità dell’art. 360, n. 3, la Consulta dichiara l’inammissibilità della questione in quanto “essa si pone in una prospettiva del tutto eventuale o potenziale rispetto alla situazione processuale nel giudizio a quo”, sottolineando inoltre l’assoluta autonomia delle due disposizioni di legge e la loro inerenza a momenti processuali del tutto distinti e autonomi.
La normativa, in definitiva, alla luce della ricostruzione effettuata dalla Consulta, appare costituzionalmente compatibile in quanto, in presenza di una seria questione interpretativa rende la controversia individuale – sia pure attraverso un modesto sacrificio per il singolo lavoratore – occasione per pervenire ad una definitiva, perché potenzialmente generale, soluzione della questione.
In tal modo si rimuove con efficacia tendenzialmente erga omnes – pur salvaguardando la libertà di valutazione del giudice che da tale interpretazione voglia discostarsi, tramite adeguata motivazione al riguardo – una situazione di incertezza posta in evidenza dalla controversia; senza, peraltro, che ciò, nell’esercizio della discrezionalità legislativa, costituisca uno spreco di attività giurisdizionale o provochi
89 Al riguardo è stato anche fatto notare che inoltre “il sistema in esame non determina un accentramento nella Cassazione della decisione delle questioni pregiudiziali sul contratto collettivo nazionale, ma ne promuove ed accelera l’intervento nomofilattico con valore di precedente, dal quale i giudici di merito possono con pronunzia non definitiva motivatamente discostarsi, con la sola ovvia eccezione del giudizio in cui è stata emessa la sentenza della Cassazione:in questi termini v. VALLEBONA A., Legittimità costituzionale della nomofilachia accelerata della Cassazione sui
un’irragionevole, e quindi iniqua, durata del processo, tale da contrastare con i principi di cui all’art. 111 Cost. 90
Sul punto una recente – sia pur poco innovativa, in quanto di mera adesione e rinvio al principio espresso in precedenza – pronuncia della Corte costituzionale si è avuta nel dicembre 2008.91
Questa volta, infatti, la questione era stata rimessa alla Corte con ordinanza del Tribunale di Termini Imprese, ancora per ritenuto contrasto dell’art. 420 bis cod. proc. civ. con l’art. 76 Cost. e più in particolare perché la norma censurata “esula dall’ambito della delega, in quanto introduce una sorta di processo incidentale obbligatorio all’interno del giudizio di primo grado, senza limitarsi al mero ampliamento delle ipotesi di cui all’art. 360, numero 3, del codice di rito”. 92
La Corte ha infatti brevemente risposto dichiarando la manifesta infondatezza della questione tramite il richiamo al principio cardine già
contratti collettivi nazionali, in Mass. Giur. Lav. n. 12/2007, per il quale anzi “sarebbe opportuna una estensione di questo sistema alle questioni relative alla interpretazione di norme di legge”.
90 Così Corte cost. 5 giugno 2003, n. 199, in Foro it., 2003, I, 2232 con riferimento all’analoga disciplina posta dall’art. 64, D.lgs. 165 del 2001.
91 Corte Cost., ordinanza 5 dicembre 2008, n. 404, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
92 Il Tribunale infatti, con ordinanza del 24 gennaio 2008, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione rilevata in riferimento all’art. 76 Cost. rilevando, infatti, che l'art. 1, comma 3, lett. a), legge 14 maggio 2005, n. 80, prevede, tra i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega di cui al comma 2 dello stesso art. 1, la “estensione del sindacato diretto della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.; che l’espresso riferimento al (solo ampliamento delle previsioni dell’articolo citato, quale modo di estensione del sindacato della cassazione all’interpretazione ed applicazione dei c.c.n.l., denoti che il legislatore delegante abbia inteso introdurre esclusivamente un ulteriore motivo di ricorso nell’ambito dello specifico mezzo di impugnazione previsto dall’art. 360 c.p.c.; che tale conclusione sia avvalorata dallo stesso art. 1, comma 3, lett. A), legge 14 maggio 2005, n. 80, laddove impartisce al Governo il criterio di “disciplinare il processo per cassazione in funzione nomofilattica, stabilendo identità dei motivi di ricorso odinario e straordinario”, nonché ulteriori e dettagliati criteri di regolazione del ricorso per cassazione, poi trasfusi dal legislatore delegato nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c.; che pertanto la previsione di un “accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi” (cfr. rubrica dell’art. 420 bis c.p.c.), accertamento che il giudice di primo grado deve effettuare con sentenza, impugnabile con ricorso per cassazione, possa esulare dai principi e dai criteri della legge delega, in quanto introduce una sorta di processo incidentale obbligatorio nell’ambito del giudizio di primo grado, non limitandosi evidentemente al mero ampliamento delle ipotesi di cui all’art. 360 n. 3) del codice di rito”.
espresso nella precedente decisione e, pertanto, ricordando di aver “già disatteso identica censura per la considerazione che la legge 14 maggio 2005, n. 80, nel prevedere una delega al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione, ha fissato (lettera a del terzo comma dell’art. 1) i criteri direttivi, indicando come obiettivo prioritario, la valorizzazione della funzione nomofilattica del processo di cassazione” e “ che a tale obiettivo non è estranea, ma è strettamente funzionale, l’introduzione della procedura di interpretazione pregiudiziale delle clausole dei contratti collettivi, affidata all’iniziativa del giudice di primo grado ed all’intervento della Corte di cassazione nei termini descritti dall’art. 420 bis cod. proc. civ.”93
Il panorama normativo che viene così ricostruito, risulta di assoluta conformità alla Carta costituzionale sotto i profili censurati: e ciò in quanto il complesso di norme mira, da un punto di vista sostanziale, ad assicurare un trattamento uniforme a situazioni giuridiche analoghe e, da un punto di vista formale, a dar vita ad uno strumento processuale servente rispetto a tale esigenza di fondo.
93 Così testualmente Corte Cost. ordinanza n. 404 del 2008.
2. Condizioni di operatività e orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Per osservare come concretamente possa trovare attuazione nel procedimento ex art. 420 bis la ratio deflattiva sottesa e perseguita dal legislatore, è opportuno rivolgere l’attenzione ed esaminare le condizioni di operatività dell’accertamento pregiudiziale, le quali sono andate via via delineandosi a seguito delle riflessioni giurisprudenziali e dottrinali. Rispetto a queste, infatti, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, a poco più di due anni dall’entrata in vigore dell’istituto in esame, ha già formato un orientamento piuttosto univoco, in particolare su alcuni presupposti e limiti del nuovo procedimento.
In primo luogo, già dalla sola lettura dell’art. 420 bis cod. proc. civ. sono state tratte alcune indicazioni testuali che aiutano a delimitare il campo di applicazione della disciplina.
Tra queste, in particolare, è stato evidenziato che, innanzitutto, la disciplina in esame riguarda unicamente i contratti collettivi nazionali di lavoro, sia di categoria che interconfederali, con esclusione quindi della contrattazione integrativa o territoriale, e ciò in considerazione del fatto che, in virtù della loro più ristretto ambito applicativo e del conseguente minor numero di lavoratori sottoposti alle relative disposizioni, sembra più opportuno che essi rimangano esclusi dal sindacato in oggetto.
Ciò, a ben vedere, senza tener conto della ratio giustificatrice e la funzione tendenzialmente chiarificatrice della norma e, soprattutto, del dato empirico che il problema dell’oscurità dispositiva delle clausole contrattuali spesso riguardi anche la contrattazione decentrata. 94
94 Anche tale previsione è in realtà in linea con quanto disposto in materia dall’analoga disposizione del settore pubblico. Sul punto si veda infatti Xxxx. 19 marzo 2004, n. 5565, in Foro it. 2004, I, 2431,
In proposito è stato opportunamente distinto tra la questione di interpretazione che direttamente ricade su una clausola di contratti integrativo – per la quale, dunque, deve valere la preclusione ora menzionata – e la diversa situazione che si verifica nel caso in cui, ai fini dell’interpretazione, si renda necessario tener conto di accordi di diverso livello. In quest’ultimo caso, infatti, non si tratterebbe di operazione ermeneutica diretta ed immediata sulle clausole di secondo livello, ma semplicemente della loro eventuale utilizzazione, in via indiretta, per interpretare il contratto collettivo nazionale, il che consentirebbe un loro utilizzo senza il limite sopra ricordato. 95
Ancora, sul punto dell’oggetto del sindacato del sub-procedimento, è stato evidenziato che, l’esplicito riferimento anche agli accordi collettivi, e non solo ai contratti, sarebbe in realtà finalizzato ad estendere la portata della riforma anche alle discipline collettive dettate in ambito di lavoro autonomo e non solo subordinato.
Sempre poi in relazione ai limiti ed alle condizioni di applicabilità, è stato inoltre fatto presente che il nuovo istituto non sarebbe utilizzabile laddove l’intero giudizio dovesse riguardare una domanda autonoma avente ad oggetto esclusivamente l’accertamento sull’interpretazione, efficacia e validità del c.c.n.l., e ciò perché la norma postula una prosecuzione della causa dopo la pronuncia sulla questione
nonché Cass. 30 dicembre 2004, n. 24225 la quale, in relazione a fattispecie relativa al contratto integrativo per la mobilità interna del personale del Ministero della Pubblica Istruzione, “l'area di applicazione della disposizione di cui al comma quinto dell'art. 63 D.Lgs. n. 165 del 2001 (che consente di denunciare direttamente, con il ricorso per cassazione, la violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi "nazionali" di cui all'art. 40, "ai quali, peraltro, si riferisce esclusivamente anche il successivo art. 64") non può essere estesa alla diversa ipotesi dei contratti "integrativi" contemplati dallo stesso articolo, il cui testo contrappone chiaramente questo livello di contrattazione a quello "nazionale". Analogo principio è stato ribadito di recente da Xxxx. 21 febbraio 2008 n. 4505, in Riv. Ii. Dir. Lav., 2009, II.
95 In questi termini in particolare x. XXXXXXXXXXXX X., Applicazione e interpretazione dei contratti collettivi, in Il nuovo giudizio in Cassazione, a cura di Xxxxxxxxxxxx e Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, Milano 2007.
pregiudiziale; in questo caso, invero, la sentenza del giudice di merito sulla sola questione interpretativa non sarebbe mai “non definitiva” e quindi ricorribile per cassazione come dispone la norma, ma resterebbe esposta agli ordinari mezzi di gravame. 96
Il sub-procedimento sembra, inoltre, attivabile d’ufficio anche in caso di contumacia del convenuto, non ostando all’esigenza interpretativa sottesa alla norma la regolare costituzione delle parti in causa.
Allo stesso modo, non appare necessario che sussista tra le parti un contrasto effettivo in ordine all’interpretazione, la validità e l’efficacia della clausola collettiva, potendo infatti il giudice pronunciarsi con sentenza non definitiva anche nel caso in cui le parti siano concordi, e quindi con propria iniziativa d’ufficio, mentre occorre senz’altro che sussista almeno un contrasto tra la prospettazione delle parti e quella del giudice, in quanto altrimenti l’attivazione del procedimento in questione sarebbe privo di qualsivoglia utilità, in quanto la sentenza non definitiva pronunciata dal giudice non sarebbe certamente impugnata da alcuno. 97 Rispetto al dubbio ed alla preoccupazione da alcuni avanzata rispetto ad una possibile applicazione indiscriminata dell’istituto, è stato definito, quale ulteriore presupposto applicativo, che la controversia devoluta alla cognizione del giudice di merito si incentri su di una questione interpretativa che sia “rilevante” nel giudizio, e cioè ad esso immediatamente applicabile, in quanto dalla corretta soluzione della
00 X. XXXXXXXX X., Relazione alla tavola rotonda organizzata dalla sezione milanese del centro Studi Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx l’8 maggio 2006, in xxx.xxxxxxx-xxxxxx.xx., per il quale in particolare della norma non può esser fatta applicazione “qualora l’intero giudizio abbia per oggetto una domanda attinente ad un accertamento sull’interpretazione, sull’efficacia e sulla validità di un contratto collettivo, se simili aspetti sono dedotti in una azione autonoma; in tale eventualità non si può cogliere una questione separata e parziale rispetto all’oggetto dell’intero giudizio”.
97 Nel senso che il giudice non sia vincolato all’interpretazione prospettata dalle parti in causa a neanche sula domanda e sulla relativa prospettazione interpretativa nel caso di contumacia del convenuto v. per tutti, PESSI R., Il giudizio di cassazione nelle controversie di lavoro, cit., p. 692 e XXXXXXXXXX X., Xxxx’accertamento pregiudiziale dell’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi, in Corr. Giur. 1998, 966.
questione dipenda direttamente l’esito della causa, nonché di “non agevole soluzione”. 98
Da alcune pronunce di legittimità, ed in linea con la ratio deflattiva voluta dal legislatore, si ricava, inoltre, la necessità che sussista tra i requisiti per il ricorso all’accertamento pregiudiziale, il carattere seriale della questione, e quindi che il giudizio di primo grado in cui sorge la questione pregiudiziale sia potenzialmente idoneo a fungere da c.d. “causa pilota”. 99
La pregiudiziale ex art. 420 bis intende configurarsi, pertanto, come effettivo strumento processuale che consenta alla Corte di cassazione di fornire una soluzione tendenzialmente generale della questione, con valore di guida in quanto, una volta risolta ed interpretata in un cero senso, rimarrà dotata quindi di “una generalizzata portata e di una forza estintiva di tutte le ragioni esistenti in materia”.100
98 Sul punto della discrezionalità del giudice nell’applicazione dell’art. 420 bis GRAGNOLI E.,. in L’interpretazione dei contratti collettivi sul lavoro privato e le ultime novità processuali, xxx.xxxx.xx, ha sostenuto che “nonostante la giurisprudenza della Corte costituzionale l’art. 420 bis cod. proc. civ. pone qualche dubbio di legittimità costituzionale, poiché il giudice di primo grado condiziona con estrema discrezionalità l’andamento del processo, la selezione dei mezzi di impugnazione e la durata della controversia, in quanto la proposizione del ricorso per cassazione ha effetti sospensivi”. .
99 Così ancora Xxxx. 24 gennaio 2008 n. 1578 cit., nonché per una valutazione globalmente positiva dell’assetto di norme introdotte con la riforma, che non si limiti aduna funzione processuale ma rispecchi anche una esigenza di giustizia sostanziale x. XXXXXXXXXX R., Una novità giurisprudenziale ed una legislativa per il rito del lavoro, in xxx.xxxxxxxx.xx, per il quale infatti “l’impatto di questo complesso di norme sulla funzionalità, anche in sede di merito, del rito del lavoro è rafforzato da alcune previsioni che, se adeguatamente utilizzate, dovrebbero svolgere non soltanto (e non tanto) una funzione deflattiva, ma assicurare ance e soprattutto un eguale trattamento di situazioni soggettive identiche”.
100 Scettico al riguardo FOGLIA R., Impugnabilità delle sentenze per violazione dei contratti collettivi e accertamento pregiudiziale ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., in xxx.xxxx.xx, per il quale infatti, poiché
2.1. L’accertamento pregiudiziale e l’oggetto della questione.
Ulteriore profilo che si è posto all’attenzione di dottrina e giurisprudenza è quello relativo alla necessità di una qualche selezione delle questioni interpretative che potenzialmente possono aprirsi in un giudizio.
L’esigenza di fondo è evidentemente quella di limitare l’uso del sub- procedimento, con rischio di pretestuosi, quanto dannosi, effetti dilatori, da un lato, evitandone così un uso strumentale e dall’altro, garantendone così la più corretta ed efficiente applicazione della norma.
Sul punto, sono stati mutuati i principi e gli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale nel 2003 in relazione all’analogo istituto del pubblico impiego ma, anche nell’ottica di un più ampio dialogo tra pubblico e privato, principi che pertanto oggi risultano largamente richiamati ed applicabili.101
E stato infatti affermato che la c.d. pregiudiziale collettiva opera solo in presenza di una “seria” questione interpretativa, affermazione questa logicamente derivante e connessa con l’impostazione secondo la quale la norma non impone al giudice un obbligo di sospensione del processo ed attivazione della procedura ogniqualvolta vi sia questione interpretativa, lasciandolo così destinatario di un potere discrezionale di valutazione e selezione delle questioni rilevanti.
il sistema possa produrre benefici sensibili nell’ambito delle cause seriali sarebbe necessaria una riforma organica di assai più ampio respiro.
101 In questo senso si era pronunciata la Corte Cost. in riferimento all’art. 64 del D.Lgs. 165/2001 con la sent. n. 233 del 2002, nella quale infatti si legge che, in analogia alla questione incidentale di legittimità costituzionale, “presupposto per l’applicazione della procedura in esame è, come evidente, l’esistenza di un reale dubbio interpretativo, concernente la clausola contrattuale della quale il giudice deve fare applicazione nella controversia”. In linea con tale impostazione si colloca la successiva giurisprudenza di legittimità che recepisce così il principio evidenziato dal giudice delle leggi. Secondo Xxxx. 27 marzo 2007 n. 7306, in D&L n. 2/2007, “la procedura prevista dall’art. 420 bis
c.p.c. è destinata solo al giudizio di primo grado e si applica quando la clausola contrattuale appaia di contenuto oggettivamente oscuro e possa prestarsi a diverse e contrastanti letture interpretative”.
La “serietà” della questione che riprende i requisiti per l’attivazione dell’incidente di legittimità costituzionale delle norme, deve essere intesa nel senso di sussistenza di una questione controversa e capace di un applicazione potenzialmente generalizzata. Purché il procedimento possa trovare ingresso nel corso del giudizio di primo grado pertanto, occorre che venga in rilievo un “seppur ridotto tasso di difficoltà interpretativa non certo superabile con una semplice lettura del mero dato testuale e senza l’espletamento di alcuna attività istruttoria”. 102
Laddove, al contrario, non sia stata svolta in primo grado l’istruttoria necessaria a delineare esattamente i termini della questione interpretativa controversa,103 la sentenza così pronunciata sarà suscettibile di cassazione con rinvio degli atti al giudice di merito al fine di integrare la riscontrata lacuna istruttoria.104
Proprio a questo proposito, l’orientamento interpretativo della Corte di legittimità segna una nuova ed ulteriore tappa degli orientamenti in tema di ermeneutica dei contratti collettivi.
Proprio in ragione della vastità e della complessità delle materie toccate dalle disposizioni collettive, spesso “il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che
102 Così Cass. 24 gennaio 2008, n. 1578, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, per la quale inoltre “lo speciale procedimento ex art. 420 bis c.p.c. essendo finalizzato ad assicurare l’uniforme applicazione delle clausole collettive “presuppone perciò un’idonea istruttoria al fine della soluzione della questione pregiudiziale con portata generale ed esaustiva, capace cioè di definire in termini chiari ed univoci ogni possibile questione in materia.
103 Istruttoria che logicamente potrà articolarsi nella più diverse ed opportune forme: dall’interrogatorio delle parti all’acquisizione delle prove documentali o dei testi de contratti o accordi collettivi successivi o antecedenti a quelli da interpretare, nonché alla richiesta di informazioni e osservazioni sindacali ex art. 425 c.p.c., e ciò, in particolare, anche al fine di colmare la lacuna della mancata riproposizione del procedimento di interpretazione autentica da parte dei soggetti stipulanti, invece previsto nel settore pubblico.
rendono indispensabile nella materia della contrattazione collettiva un’utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che di detta specificità tenga conto, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo logico-sistematico dettato dall’art. 1363 c.c.”105 Tale orientamento appare dunque un logico sviluppo della giurisprudenza di legittimità che nell’ottica di valorizzazione complessiva del testo contrattuale collettivo aveva già riconosciuto, ad esempio, valore “integrativo” anche alle dichiarazioni a verbale rese dalle parti in sede di stipulazione del contratto collettivo, proprio in quanto utile indice rivelatore della effettiva intenzioni delle parti sociali.106
La Corte ha inoltre precisato che non può essere utilizzata la procedura di accertamento pregiudiziale se la domanda rispetto alla quale è funzionale non sia di per sé concludente, e cioè laddove sussistano, ad esempio, fondate eccezioni che impongano l’immediato rigetto della domanda, e ciò per evidenti ragioni di speditezza ed economia processuale.
Secondo tale orientamento è inoltre necessario che la questione interpretativa che sorge ex art. 420 bis cod. proc. civ. si fondi direttamente, e dunque si misuri, con il petitum e la causa petendi della
104 E ciò evidentemente anche in ragione dello stringente limite – sul quale v. xxxxxxx, cap.3 – del giudizio di legittimità che non consente l’effettuazione di una fase istruttoria ma, invece, opera e si muove nei limiti del panorama istruttorio ricavato dal giudizio di merito.
105 In questi termini si pronuncia Cass. 24 gennaio 2008 n. 1578 che richiama precedenti specifici della stessa Corte di legittimità: Xxxx. 21 marzo 2006 n. 6264; Cass. 29 luglio 2005 n. 15969; Cass. 9 marzo 2005 n. 5140 e Cass. 8 marzo 2007 n. 5287, secondo cui la lettera del contratto collettivo costituisce solo una preliminare presa di cognizione – di cui l’art. 1362 c.c., segnala l’insufficienza con la precisazione che l’interprete non deve “limitarsi al senso letterale delle parole” – che deve essere integrata attraverso gli ulteriori strumenti previsti dall’art. 1363 c.c. quali la connessione delle singole clausole ed il senso che risulta dal complesso dell’atto, atteso che la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l’integrazione (il senso complessivo) sonno strumenti legati da un rapporto di necessità e sono tutti necessari all’esperimento del procedimento interpretativo della norma contrattuale.
106 In questo senso si esprimono ad esempio Xxxx. 12 dicembre 2002 n. 17776 e Cass. 22 aprile 2002
n. 5820
controversia, e ciò evidentemente anche al fine di impedire il rischio di pronunce ultrapetita od extrapetita. 107
In tal senso quindi il sub-procedimento non potrà operare con riferimento esclusivo, ma neanche prioritario, a clausole contrattuali richiamate dal convenuto per eccepire l’infondatezza o la non azionabilità del diritto della controparte.
Dall’esame complessivo di tali indicazioni operative fornite dalla giurisprudenza di legittimità non è mancato chi ha mostrato perplessità in relazione alla tendenza altamente prudente della Corte rispetto all’estensione dell’utilizzo del meccanismo interpretativo di recente introduzione legislativa.108
Ma a ben vedere, l’eventuale taglio restrittivo non sembra dover destare tale preoccupazione, e ciò anche in considerazione del fatto che, invero, è stato sottolineato che, in esplicazione del potere cognitivo del giudice di merito, questi ben possa prendere ad oggetto di una questione interpretativa ex art. 420 bis anche una clausola contrattuale non prospettata dalle parti. 109
107 Così Cass. 8 febbraio 2008 n. 3098, in Riv. It. Dir. Lav. 2009, II, con nota di XXXXXXXXXX L., Un precedente in cerca d’identità? Nuovi arrèts della Cassazione sull’art. 420 bis c.p.c., il quale del resto fa notare come “ pretendere che il c.d. accertamento pregiudiziale si estenda anche ad altra norma pattizia la quale – pur costituendo il fondamento normativo della pretesa azionata in via principale – non sia incerta in ordine all’interpretazione, validità o efficacia, parrebbe porsi in contrasto con quanto affermato dalla Corte Suprema nella motivazione della medesima sentenza, nonché altrove”, ovvero come spiega l’autore in seguito, con la necessità più volte ribadita dalla Corte che il meccanismo previsto dalla norma operi unicamente con riferimento a questione interpretativa seria, stante l’oscurità e l’equivocità del significato della clausola del contratto.
108 Si legge infatti che sotto tale profilo pare quasi che “la Corte di cassazione stia rafforzando un orientamento a tal punto restrittivo da spingere verso una vanificazione delle differenza tra sindacato diretto ed indiretto delle norme della contrattazione collettiva”: così, XXXXXXXXXX L., op. cit., pag.
159. Ma si veda anche PESSI R., op. cit., il quale sottolinea come “…gli spazi per un ricorso per falsa applicazione di una norma del contratto collettivo siano assai limitati, in quanto riferiti ad un’ipotesi in cui la sentenza di merito abbia operato una corretta interpretazione della norma e un’adeguata ricognizione della fattispecie concreta, ma abbia poi realizzato una errata correlazione tra le due (e quindi abbia erroneamente interpretato la norma da applicare al caso concreto)”.
109 Sul punto la giurisprudenza di legittimità sull’interpretazione complessiva del testo contrattuale e sulla necessità di produzione in giudizio dell’intero testo contrattuale si rinvia al cap. III.
Viene così a conciliarsi l’esigenza di contenimento e di congrua limitazione dell’istituto, con un potere di cognizione del giudice di merito che tale limitazione provveda a compensare tramite la valutazione e la selezione delle questioni interpretative da accogliere.
2.1.1 Il concetto di pregiudizialità
A norma dell’art. 420 bis cod. proc. civ. la questione interpretativa deve essere risolta in via pregiudiziale. Come è noto il termine “pregiudiziale” viene utilizzato in senso molto ampio, con riferimento a fenomeni fra loro molto diversi.
A voler brevemente dar conto dei diversi ambiti normativi che contengono il riferimento a tale concetto giuridico, giova ricordare che il legislatore utilizza il termine questione pregiudiziale innanzitutto nell’art. 34 cod. proc. civ., per disciplinare questioni che hanno ad oggetto un rapporto giuridico controverso fra le parti, rapporto che costituisce l’antecedente logico giuridico del rapporto giuridico oggetto della domanda principale; questioni che dunque ben potrebbero formare oggetto di un autonomo giudizio.
Il legislatore si riferisce di questione pregiudiziale negli art. 187, 3° comma, 279, 2° comma, n. 2, e 420, 4° comma, cod. proc. civ per indicare questioni di natura processuale, che possono comportare una definizione in rito del processo, ma che comunque non potrebbero tuttavia formare oggetto di un autonomo giudizio.110
Di pregiudiziale costituzionale si discorre diffusamente a proposito delle questioni di legittimità costituzionale regolate nell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, questioni che hanno pertanto ad oggetto norme di legge viziate da illegittimità costituzionale, o ancora di pregiudiziale comunitaria si parla per indicare le questioni che si presentano nel corso di un giudizio nazionale, aventi ad oggetto l’interpretazione di un trattato o degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, nonché sulla
110 Ed il riferimento è alle questioni attinenti la giurisdizione, la competenza o altra pregiudiziale.
validità ed interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE, questioni sulle quali è competente a pronunciarsi,
«in xxx xxxxxxxxxxxxx», xx Xxxxx xx xxxxxxxxx.000
Di pregiudizialità si parla con riferimento ai rapporti tra il processo penale ed il processo civile, o anche amministrativo o tributario, per sottolineare la precedenza del primo rispetto al secondo.
Ancora, di “pregiudizialità parlamentare” si discorre a proposito del meccanismo disciplinato nella legge 20 giugno 2003, con il quale si è voluto dare attuazione alla disposizione contenuta nel 1° comma dell’art. 68 Cost., che riconosce ai parlamentari un’ampia libertà di espressione.
Appurato che nel nostro sistema le questioni che vanno decise «in via pregiudiziale» sono varie, sono fra loro diverse e sono assoggettate a discipline differenti, ci si è chiesti se quella di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ. possa essere riportata in una di quelle in precedenza indicate o se, invece, rappresenti una fattispecie a autonoma.112
Ad avviso della dottrina oggi dominante, la questione di cui all’art. 420 bis cod. proc. civ. non può essere riportata in nessuna delle categorie che abbiamo in precedenza indicato, atteso che essa presenta proprie peculiarità.
111 art. 234 Trattato CE, così come modificato dal Titolo II (art. G) del Trattato di Maastricht e dal Trattato di Amsterdam.
112 In argomento si veda XXXXXXXXXX X., Xxxx’accertamento pregiudiziale dell’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi, in Corr. Giur. 1998, 966, che, con riferimento al sistema introdotto per il pubblico impiego, ne sottolineava le caratteristiche deflative, finalizzate a conferire uniformità di interpretazione ed applicazione dei contratti collettivi, sì da ridurne il contenzioso. Rilevava l’Autore come non si tratti di definizione pregiudiziale in senso tecnico – giuridico, come quelle di cui agli artt. 187, comma 2 e 3, 279, comma 2, nn. 2 e 3, né 420 n. 4 c.p.c., in quanto la sua soluzione non è in grado di definire il giudizio, né assimilabile alla questione di cui all’art. 34, che può dare luogo a cause pregiudiziali con conseguente sospensione. Riteneva peraltro trattarsi – al pari di quella comunitaria – di una pregiudizialità logica nell’ambito del medesimo rapporto giuridico, in quanto il meccanismo delineato riprodurrebbe mutatis mutandis, la rimessione alla Corte Europea di Giustizia prevista dall’art. 187 del Trattato di Roma nonché quella alla Corte Costituzionale, senza tuttavia godere del sistema pubblicitario adottato per queste ultime.
La questione in esame, al limite, può essere avvicinata alla pregiudiziale comunitaria, dal momento che si tratta di risolvere una contestazione circa l’interpretazione, la validità e l’efficacia di una clausola contrattuale; tanto è vero che, come si è detto, nello schema di decreto legislativo, il governo aveva previsto un meccanismo modellato su quello del rinvio pregiudiziale comunitario. Se però si considera che in questa ipotesi il giudice, anziché operare subito il rinvio alla Corte, decide la questione con sentenza non definitiva, rimettendo così alle parti la decisione se ricorrere o meno alla Corte di Cassazione, la somiglianza si attenua.
Xxxx è che ci troviamo di fronte ad una questione del tutto particolare che non è mai idonea a definire il giudizio. Il che porta ad escludere che essa coincida esattamente con l’ambito delle questioni pregiudiziali processuali di cui all’art. 187, 3° comma, cod. proc. civ. o di quelle pregiudiziali di merito di cui all’art. 34 cod. proc. civ. La caratteristica della questione in esame – e che possiamo considerare come tratto comune anche alle altre questioni pregiudiziale – è che essa deve essere risolta prima di decidere il merito della causa.
Ciò posto, occorre porre in evidenza che il sorgere della questione sulla interpretazione, efficacia e validità di una clausola di contratto collettivo non modifica l’ordine delle questioni.
Infatti, se si presentano questioni pregiudiziali (giurisdizione, competenza) e/o preliminari di merito (prescrizione, decadenza) idonee a definire il giudizio ex art. 420 bis, 4° comma, cod. proc. civ., il giudice prima di tutto deve decidere tali questioni, atteso che la decisione può rendere superfluo il meccanismo dell’art. 64.
Ne deriva che il giudice, prima di affrontare la questione pregiudiziale di cui all’art. 420 bis c.p.c., può pronunciare una sentenza non definitiva o definitiva su una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, argomento che evidentemente offre conforto ala tesi della atipicità della “pregiudiziale collettiva”.
2.1.2. L’interpretazione, la validità e l’efficacia e l’articolazione del procedimento.
Il nuovo istituto trova la sua collocazione sistematica nel codice di rito tra la norma che disciplina l’udienza di discussione e quella che riguarda i poteri istruttori del giudice e non sembra presentare profili particolarmente problematici, almeno per quanto riguarda gli adempimenti nei quali si articola il procedimento.
La norma al riguardo dispone che il giudice di primo grado decide la questione interpretativa con sentenza non definitiva ed adotta con separata ordinanza gli ulteriori provvedimenti per l’istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa, che rinvia ad una udienza oltre i novanta giorni.
E’ questa una sentenza non definitiva, adottata secondo le regole proprie del rito speciale, alla cui pronuncia il giudice è vincolato anche nelle ipotesi in cui la causa non richieda in realtà attività istruttoria ulteriore e ricorrano, quindi, gli estremi per la definizione immediata del giudizio.
In particolare, si ritiene che debba sussistere una questione di interpretazione non solo in tutti quei casi i cui risulti oscuro o controverso il significato e la portata del contratto, ma anche nel diverso caso della c.d. analogia interna, caso che ricorre quando cioè, si cerchi di ricavare o di individuare un volere dispositivo implicito, e non espresso, nelle clausole contrattuali, ma che sia possibile ricollegare alla volontà sindacale sulla base di presunzioni.
Sebbene anche la controversie effettivamente sorte a seguito dell’entrata in vigore della norma siano state per lo più tutte attinenti a questioni di interpretazione, sulla base di oscurità dell’esatta portata dispositiva della clausola contrattuale da applicare alla controversia, la norma invero, fa
espresso riferimento anche alle diverse ed ulteriori questioni di validità ed efficacia del contratto collettivo.
Mentre la prima deve ritenersi sussistente, ad esempio, in caso di contrasto con norme imperative, si tratterà di questione attinente all’efficacia del contratto, in caso di dubbio sul relativo ambito di applicazione o di controversia in ordine al procedimento di formazione, alla scadenza del contratto o alla questione della c.d. ultrattività. 113
Non è mancato in dottrina chi, con occhio più critico rispetto all’istituto ed al procedimento previsto dall’art. 420 bis, ha sottolineato l’eccessiva estensione dell’oggetto della questione interpretativa, considerato anche il gran numero di cause di lavoro che si fondano su questioni interpretative di xxxxxxxx xxxxxxxxxx.114
Al riguardo, si è però visto che tale rischio sembra potersi contenere facendo riferimento all’orientamento affermato dalla giurisprudenza in ordine ai presupposti applicativi dell’istituto, i quali in definitiva risultano senz’altro contenuti, anche grazie al potere discrezionale del giudice di merito di valutare la serietà e la fondatezza della questione.
113 Sul punto si ricorda ad es. il principio espresso da Sezioni Unite, con la sentenza n. 11325 del 30 maggio 2005, le quali abbracciano l'indirizzo giurisprudenziale prevalente in tema di efficacia dopo la scadenza delle clausole dei contratti collettivi relative al trattamento retributivo e quindi escludendone la “efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, operando peraltro sul piano del rapporto individuale del lavoro la tutela assicurata dall'art. 36 Cost., in relazione alla quale può prospettarsi una lesione derivante da una riduzione del trattamento economico rispetto al livello retributivo già goduto”.
114 Con analogo occhio critico si è espresso TRIFIRÒ S., Il colpo di grazia dal nuovo art. 420 bis, in Il sole 24ore”, 22-5-2006, p. 29, il quale sottolinea come “la decisione di gran parte delle cause di lavoro richiede, appunto, valutazioni relative all’efficacia, validità e interpretazione della clausola collettiva. Cosicché con frequenza i giudici si troveranno nella necessità di dover emettere all’inizio del processo sentenze su queste questioni. Il conseguente ricorso per cassazione, magari proposto a fini puramente dilatori dalla arte che ha visto respingere la propria interpretazione,determina la sospensione del giudizio e quindi non è azzardato prevedere che dall’applicazione di questa norma possano discendere effetti paralizzanti per il funzionamento del processo del lavoro. A maggior ragione considerando ce la norma comporta anche un ulteriore incremento quantitativo del lavoro della Cassazione con prolungamento dei tempi di durata del processo innanzi alla stessa Corte” Conclude l’Autore dichiarando ce “è proprio difficile comprendere l’utilità dell’art. 420 bis, norma di cui, da un lato, ai fini della corretta applicazione sul piano sostanziale della contrattazione collettiva non si sentiva l’esigenza e, dall’altro, può comportare i negativi effetti sul processo di lavoro di cui si è detto”.
2.2. L’inapplicabilità in grado di appello.
All’indomani dell’entrata in vigore della nuova disposizione processuale e delle prime pronunce di merito che ne davano immediata applicazione, si è aperta una prima rilevante questione interpretativa relativa alla esatta portata dispositiva della norma.
Infatti, un primo e rilevante dubbio si è posto in relazione alla effettiva estensione e alla portata della norma, ed in particolare rispetto alla possibilità di dar luogo all’accertamento pregiudiziale sul testo contrattuale collettivo anche in grado di appello ovvero unicamente in primo grado.
Elemento di oscurità della normativa è quello che investe il fatto che la legge non chiarisce espressamente se vi sia obbligo o facoltà per il giudice di fare ricorso al sub-procedimento dell’accertamento pregiudiziale laddove si ravvisi una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto collettivo o accordo nazionale. 115
E’ proprio questo infatti uno dei punti che maggiormente ha diviso i primi commentatori e le prime pronunce giurisprudenziali sulla nuova norma processuale e sul suo corretto ambito di applicazione.
Effettivamente, in questo caso, dal tenore letterale della norma,116 non risulta alcun riferimento a termini che rendano facoltativa, ovvero obbligata, l’attività del giudice, osservazione dalla quale potrebbe farsi discendere una perentorietà del comando.
115 Con riferimento all’analogo meccanismo introdotto nel pubblico impiego la giurisprudenza ha infatti sostenuto che “è rimesso alla decisione del giudice di merito non promuovere il procedimento interpretativo di cui al d.lgs. n. 165 del 200, art. 64, qualora l'apprezzamento della questione interpretativa della norma collettiva deponga nel senso di non ritenerla di spessore tale da doverne rimettere la soluzione alle parti stipulanti.”: Cass. 15 settembre 2008 n. 23696, in Lav. nelle P.A. 2008, 885
In linea con questa opzione interpretativa, infatti, è stato ritenuto che “il giudice, risolte le altre questioni pregiudiziali, deve applicare il procedimento di cui all’art. 420 bis, anche quando ritenga agevole, o addirittura univoca o obbligata la soluzione interpretativa senza averne nessuna discrezionalità in proposito”.117
A sostegno della tesi della applicazione necessitata del nuovo istituto, anche in grado d’appello, sono state proposte anche osservazioni di carattere sistematico, quali l’osservazione in base alla quale “la completezza della funzione nomofilattica della S.C. sarebbe compromessa se, per le controversie che pendono in grado di appello, non trovasse applicazione la norma in esame”.118
Tutt’altra opinione è espressa dalla giurisprudenza e dalla dottrina successive, opinione che, ad oggi, deve ritenersi prevalente e pressoché uniforme, anche grazie alle indicazioni al riguardo fornite dalla Corte costituzionale.
La lettura restrittiva della norma, infatti, fa sì che al giudice di merito sia affidata una preventiva e discrezionale valutazione sulla rilevanza e serietà della questione, proprio al fine di operare da filtro rispetto alle istanze delle parti del giudizio, dovendosi così escludere l’ipotesi
116 La quale tramite l’uso del tempo indicativo (“il Giudice decide”) potrebbe far pensare ad una scelta forzata del giudicante.
117 In questo senso infatti si è espressa la Corte d’Appello di Roma 12 aprile 2006, in Guida al lav., n. 22/2006, p. 20, e 23 maggio 2006, in Not. Giur. Lav., 2006, p. 702, le quali richiamando soprattutto l’art. 359 cod. proc. Civ., hanno affermato che in grado di appello si applicano in quanto compatibili, le norme dettate per il procedimento di primo grado. In senso conforme per la dottrina si veda XXXXXXXXX G., in Il lav. Nella giur., n. 9/2007, per il quale “questo meccanismo, benché naturalmente predisposto per il giudizio di primo grado, non incontri particolari ostacoli a trovare spazio anche per la prima volta in appello, naturalmente a condizione che si tenga conto del normale rapporto intercorrente tra il primo ed il secondo grado di giudizio”, sebbene poi lo stesso Autore, altrove, (Il lav. nella giur., n. 2/2007) precisi che “non pare certo conforme alla funzione del nuovo istituto favorire la formazione di sentenze di Cassazione inutili anche come precedenti, in quanto aventi ad oggetto questioni pacifiche o di facile soluzione. Così come non ci sembra rientri negli schemi del nostro processo in genere, ed in quello de lavoro in particolare, un giudice-automa, costretto, senza margini di scelta, ad emettere subito e comunque una sentenza, esponendo il ricorrente al rischio di sospensione”
dell’automatismo nella sospensione della causa in ogni ipotesi di pregiudiziale, con salvaguardia anche del più volte ricordato rischio dell’applicazione indiscriminata. 119
A sostegno dell’applicabilità dell’art. 420 bis al solo giudizio di primo grado, operano invece, un duplice ordine di argomenti: testuale e logico. Il testo della norma prevede, invero, che il giudice che decida di affrontare la questione pregiudiziale possa comunque impartire i provvedimenti necessari per l’istruzione della causa, ed è in genere proprio il giudizio di primo grado ad essere tipicamente dedicato all’assunzione dei mezzi istruttori, mentre l’ipotesi si configura come del tutto residuale in grado d’appello. 120
Inoltre, occorre rilevare come l’unico strumento di impugnazione previsto avverso la sentenza relativa a tale accertamento pregiudiziale sia il ricorso per Cassazione, con esclusione dell’appello, mentre la sentenza di secondo grado è già di per sé soltanto ricorribile per cassazione,
118 In questi termini si esprime la prima pronuncia giurisprudenziale sull’istituto in esame, Corte d’ Appello di Roma, 21 marzo 2006, in Il lav. nella giur., n. 2/2007.
119 In questo senso si è espresso nell’ambito della giurisprudenza di merito,Trib. Roma, sentenza del 4 aprile 2006, in Il lavoro nella giurisprudenza n. 2-07 pag. 187 con nota di XXXXXXXXX, per il quale l’art. 420 bis c.p.c. non deve essere applicato automaticamente, e cioè ogniqualvolta in una controversia individuale di lavoro si presenti una questione pregiudiziale attinente alla validità, all’efficacia o all’interpretazione di contratti o accordi collettivi nazionali, bensì soltanto quando ve ne sia una reale e seria necessità: ad es. qualora si tratti di una questione interpretativa nuova, o qualora vi sia un contrasto giurisprudenziale, o qualora la giurisprudenza esistente non possa applicarsi ad un contesto di fatto inedito.
120 In linea con l’applicabilità del sub-procedmento solo al giudizio di primo grado si è espresso anche il CSM, Relazione del 15 giugno 2006, motivando l’improponibilità in appello su tre ordini di ragioni: in primo luogo, in quanto la finalità di arginare il contenzioso seriale potrebbe essere raggiunta solo nel giudizio di primo grado, quando ancora il processo non ha fatto il suo corso; in secondo luogo poiché la sospensione costituisce un istituto eccezionale poiché si traduce comunque in un diniego di pronuncia, sicché essa va disposta nei casi tassativamente previsti; infine per le eventuali complicazioni processuali che si determinerebbero in appello: ad esempio, una volta pronunciata la sentenza di accoglimento in primo grado, se il giudice in appello dissenta dalla decisione interpretando la clausola collettiva in maniera difforme da quanto ritento dal primo giudice si avrebbe l’anomalia di una sentenza di primo grado, normalmente esecutiva, ancora operante, nonostante la già dichiarata infondatezza delle premesse che la sorreggono. A sua volta la sentenza di rigetto, basata su una interpretazione del ccnl sconfessata dal giudice del gravame, inopinatamente continuerebbe a produrre effetti fino all’esito del giudizio di cassazione ed alla successiva sentenza di merito.
ragion per cui poco senso avrebbe avuto, altrimenti, l’espressa previsione di quel tipo di impugnazione.
Alle argomentazioni testuali la Suprema Corte affianca una ben più convincente soluzione della questione fondata sull’interpretazione logico-giuridica, coordinando la norma in esame con i principi costituzionali della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e dell’immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24, Cost.). 121
Se è vero che solo la legge può "imporre oneri finalizzati a salvaguardare interessi generali, con le dilazioni conseguenti", è pur vero che la normativa processuale, che comporti tale ritardo, debba essere "modulata secondo linee che rendono intrinsecamente ragionevole il limite all’immediatezza della tutela giurisdizionale".122
«Questo bilanciamento, nel caso dell’art. 420 bis c.p.c., non è lo stesso nel giudizio di primo grado ed in quello di appello. L’accertamento pregiudiziale in limine litis del giudizio di primo grado vede il ritardo della completa definizione della lite compensato dal più rapido intervento della Corte di Cassazione, perché realizzato omisso medio, nella verifica che l’interpretazione da cui muove il Giudice di primo grado sia corretta.
Invece, nel giudizio di appello la pronuncia definitiva che renderebbe il Giudice in quel grado è già di per sé soltanto ricorribile per Cassazione e quindi il ritardo conseguente allo sdoppiamento del processo tra
121 Su queste basi infatti Xxxx. 7 marzo 2007 n. 5230 sostiene che “il canone costituzionale della ragionevole durata del processo, collegato a quello della immediatezza della tutela giurisdizionale, orienta l’interpretazione dell’art. 420 bis nel senso che tale disposizione trova applicazione solo ne giudizio di primo grado e non anche in quello d’appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato che, più in generale ha limitato la possibilità di ricorso immediato per Cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado di appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado” .
122 C. Cost. n. 276/2000
accertamento incidentale e pronuncia definitiva sulla domanda non ha di norma un’apprezzabile contropartita».123
In quest’ottica, dunque, la limitata applicazione dell’istituto al giudizio di primo grado è funzionale ad un suo migliore ed effettivo funzionamento, sulla base della presa di coscienza delle complicazioni ed inefficienze processuali che, viceversa, si determinerebbero, date le peculiarità del giudizio in appello.124
123 Cass. 1 marzo 2007, n. 483, nonché Cass. 19 febbraio 2007, n. 3773, in Guida al Lav. N. 19/2007, con nota di XXXXXXXXX M. per il quale “l’incompatibilità del nuovo procedimento con il giudizio di appello ai sensi dell’art. 359 c.p.c., emerge ulteriormente dalle seguenti considerazioni. In primo luogo, la finalità di arginare il contenzioso seriale può essere raggiunta solo dal giudizio di primo grado, quando ancora il processo non ha fatto il suo corso; viceversa, una volta pronunciata la sentenza che esplicitamente o implicitamente ha applicato le norme collettive rilevanti e tratto le conseguenze con le statuizioni di merito, l’attivazione del procedimento non apporta alcun vantaggio ai fini della celere definizione del giudizio rispetto all’ordinaria pronuncia secondo il rito ordinario e rischia, anzi, di dilatarne i tempi.”
124 Sottolinea il carattere funzionale al principio della ragionevole durata del processo dell’inapplicabilità dell’istituto in appello anche PESSI R., op. cit., p. 691. Dal canto suo la dottrina – sulla base dell’esperienza applicativa formatasi con riferimento alle controversie sul pubblico impiego
– conferma questa stessa tesi sottolineando sempre con riferimento all’art. 64 che esso non contiene alcuna disposizione per disciplinare l’ipotesi in cui - pur sussistendone i presupposti – il giudice non
3. I rimedi esperibili avverso la sentenza di accertamento pregiudiziale.
La sentenza emessa ai sensi dell’art. 420 bis non è appellabile, ma è solo ricorribile immediatamente per cassazione entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della decisione, inoltrato al difensore dal cancelliere; non è, quindi, consentita la riserva di impugnazione ex art. 340 cod. proc. civ.125
Si tratta di una tipica figura di ricorso per saltum, dovendosi riconoscere la ratio di questo salto per l’appunto, com’è stato detto, proprio nel consentire la formazione nel più breve tempo possibile di un orientamento interpretativo univoco e del relativo giudicato, pertanto anche eliminando fasi impugnatorie intermedie come quelle dell’appello.126
Con riguardo al ricorso in cassazione ed alla correlata esigenza di accelerazione del giudizio in cui la pregiudiziale si innesta, è stato anche osservato che, in realtà, in questo caso la funzione nomofilattica della Cassazione – volta a dare uniformità interpretativa alla questione collettiva – rimane meramente eventuale, in quanto assoggettato all’istanza della parte interessata.
abbia attivato la procedura incidentale: con la conseguenza che, in assenza di specifico rimedio, il vizio non può che essere fatto valere in sede di impugnazione della sentenza.
125 Sul punto v. più attentamente infra paragrafo 5.
126 La sentenza di accertamento pregiudiziale sull'interpretazione di un contratto collettivo, resa in grado di appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell'art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, risultante dal combinato disposto dell'art. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c.; laddove, tuttavia, il giudice di appello abbia frazionato la domanda unica in due o più domande e abbia deciso una di esse con sentenza non definitiva, si verifica una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che vizia la sentenza non definitiva, immediatamente ricorribile per cassazione. Questo il principio di diritto emesso dalla S.C. per una controversia in cui le parti non si erano dolute di tale vizio, accettando il frazionamento dell'originaria domanda, sia pure irrituale, operato dalla sentenza di appello; x. Xxxx. 24 settembre 2007 n. 19695, in Lav. nella giur. 2008, 185, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1528.
Di fatto, è ben possibile che la parte soccombente rispetto alla sentenza interpretativa decida non proporre impugnazione e fare pertanto acquiescenza alla soluzione interpretativa accolta dal giudice di primo grado. 127
Quanto poi all’ulteriore sviluppo del procedimento di impugnazione, si ha che, nel caso in cui il ricorso in cassazione venga presentato, una copia di questo dovrà essere depositata a pena di inammissibilità presso la cancelleria del giudice a quo entro venti giorni dalla notifica alla controparte; il deposito determina la sospensione di diritto del processo, con conseguente nullità degli atti eventualmente compiuti dopo il deposito stesso; rimane inoltre superata l’ordinanza accessoria alla sentenza non definitiva. 128
Laddove la sentenza non definitiva non venga impugnata nell’indicato termine breve, la statuizione in essa contenuta passa in giudicato ed il processo prosegue regolarmente all’udienza successivamente stabilita fino a giungere alla decisione nel merito della controversia.
Il giudicato così formatosi sulla sentenza interpretativa non definitiva permane stabilmente anche nei successivi gradi di giudizio.
Inoltre, laddove il giudice non abbia provveduto con sentenza sulla sola pregiudiziale, ma abbia deciso tale questione unitamente al merito, si pensa che il capo di sentenza interpretativa mantenga comunque il suo carattere di inappellabilità, con conseguente riscorso immediato per cassazione limitatamente a quella statuizione. La medesima sentenza
127 Su punto è stato infatti rilevato che “del resto l’eventualità della nomoflachia riguarda ciascuna singola causa n cui rilevi una determinata questione pregiudiziale, ma l’obiettivo del sistema è raggiunto anche se in una sola di tali cause è proposto il ricorso per cassazione”: in questi termini v. VALLEBONA A., La nomofilachia accelerata della Cassazione sui contratti collettivi nazionali, in Mass. Giur. Lav, n. 10 2006, pag. 725, per il quale, inoltre, l’accelerazione sta proprio nel fatto che l’appello viene eliminato e che del resto viene imposto il termine breve decorrente dalla comunicazione di cancelleria e non dalla notifica ad istanza di parte.
potrà essere oggetto di diverse impugnazioni: un ricorso in cassazione per l’interpretazione ed un appello per le statuizioni di merito, con la conclusione che laddove la questione interpretativa non venga impugnata in questo modo, l’eccezione di giudicato interno potrà ben essere esperita in appello.
Diversamente, nel caso in cui il giudice d’appello, dissenta dalla soluzione adottata in primo grado, ritenendo invece sussistere i requisiti per l’operatività di un accertamento pregiudiziale sulla questione interpretativa, non potrà tuttavia rimettere la causa al primo giudice né potrà attivare sentenza non definitiva, poiché la disciplina dell’art. 420 bis c.p.c. riguarda solo il primo grado.129
A sua volta, l’art. 146 bis disp. Att., prevede che al procedimento di primo grado si applichi, in quanto compatibile, l’art. 64, commi 4, 6, 7
ed 8, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
In forza di tale rinvio pertanto, laddove la Suprema Corte accolga il ricorso, cassando in tutto o in parte la decisione, rinvia al giudice a quo, innanzi al quale ciascuna delle parti può procedere alla riassunzione nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione, fermo restando che l’estinzione del processo, per qualsiasi causa, non incide sugli effetti della decisione, cioè sull’interpretazione
128 Per la valorizzazione in termini sistematici della sospensione del processo al fine di escludere l’applicabilità dell’istituto in grado di appello v. paragrafo 2.
129 Come ricordato, l’orientamento ormai affermatosi e divenuto maggioritario tanto in dottrina che in
giurisprudenza impone infatti che «il canone costituzionale della ragionevole durata del processo coniugato a quello dell’immediatezza della tutela giurisdizionale, orienta l’interpretazione dell’art. 420 bis c.p.c. nel senso che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo e non anche in quello d’appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato che, più in generale ha limitato la possibilità di ricorso immediato per Cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d’appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado» cfr. Cass. 7 marzo 2007, n. 5230.
che la Corte abbia reso in ordine al significato o alla vigenza della norma.130
La rimessione al primo giudice viene disposta, ovviamente, anche in caso di rigetto del ricorso, con conferma della soluzione resa in primo grado o con modifica della sola motivazione, operando per la riassunzione il medesimo termine.
In tal caso, e dunque, con la statuizione di accoglimento, o anche di rigetto, il principio di diritto affermato rimane definitivamente stabilito e vincolante per le parti, mentre, per i successivi giudizi vertenti su analoga questione, rappresenterà autorevole precedente dal quale potersi discostare solo con congrua motivazione.131
Inoltre, in pendenza del giudizio della Corte, i processi medio tempore incardinati, la cui definizione dipenda dalla risoluzione della medesima questione sulla quale quest’ultima è chiamata a pronunciare, possono essere sospesi, salva fissazione, anche d’ufficio, una volta intervenuta la decisione, della prosecuzione del processo, per la quale non sono previsti termini.
Il giudice, peraltro, ove ritenga di non dare corso alla sospensione facoltativa, è tenuto ad attivare il peculiare procedimento, a meno che
130 Sul punto Cass. 6 ottobre 2008, n. 24654 ha motivato e argomentato il valore della pronuncia interpretativa spiegando che “nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all'art. 420-bis cod. proc. civ., la Corte di legittimità, pur adottando i canoni di ermeneutica negoziale indicati dal codice civile, si muove secondo una metodica peculiare in ragione della portata che assume la sua decisione, destinata a provocare una pronuncia che tende a fare stato in una pluralità di controversie cosiddette "seriali", non essendo, quindi, vincolata dall'opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, pur se congruamente e logicamente motivata, giacché può autonomamente pervenire, anche tramite la libera ricerca all'interno del contratto collettivo di qualunque clausola ritenuta utile all'interpretazione, ad una diversa decisione sia per quanto attiene alla validità ed efficacia di detto contratto, sia in relazione ad una diversa valutazione del suo contenuto normativo e ciò in quanto la funzione nomofilattica che essa esercita presuppone la certezza e la stabilità delle statuizioni, per cui non è possibile avere sulla medesima disposizione contrattuale interpretazioni contrastanti. Ne consegue che la parte ha l'onere, ai sensi dell'art. 369, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., di depositare tempestivamente, a pena di improcedibilità del ricorso, il testo integrale del contratto collettivo al quale la domanda si riferisce.”
motivatamente non escluda la ricorrenza degli estremi della questione pregiudiziale.132
Laddove, invece, nel corso di un diverso giudizio, sia necessario risolvere una questione sulla quale la Cassazione si sia già pronunciata, il giudice che non ritenga di uniformarsi al principio di diritto reso, deve ugualmente pronunciare sentenza non definitiva sulla questione stessa ed adottare i provvedimenti sopra descritti con applicazione delle altre regole processuali esaminate. 133
Alla Corte è concessa facoltà di emettere, anche d’ufficio, la condanna al risarcimento del danno per lite temeraria, per avere, cioè, la parte soccombente impugnato la decisione in mala fede o con colpa grave.134
E’ bene a questo punto anche sottolineare e ricordare che, a seguito della recentissima introduzione del c.d. filtro per i ricorsi in cassazione, occorrerà che anche il ricorso per saltum presentato avverso la sentenza interpretativa di primo grado, si conformi alle nuove prescrizioni di legge sul punto.135
131 Sul punto del’autorità e del valore del precedente di legittimità così formatosi si veda amplius il paragrafo successivo.
132 In realtà una pronuncia della S.C. sembra incentivare l’uso della sospensione e della pronuncia sulla questione interpretativa delle clausole contrattuali, anche laddove esistano già precedenti giurisprudenziali sul punto in esame, avendo a giudizio della Corte tale norma la finalità di rafforzare la funzione nomofilattica della Cassazione sul versante del contratto collettivo di diritto privato. Si afferma infatti che “stante l’autorità rafforzata, in termini di vincolatività per gli altri giudici, la sentenza pronunziata all’esito dell’iter procedurale ex art. 420 bis citato presenta rispetto a tutte le restanti decisioni della Corte di cassazione”: si veda in questi termini Cass. 25 settembre 2007, n. 19710, in RIDL, n. 1 del 2009, pag. 133
133 Lo stesso percorso decisionale deve ritenersi necessario quando esistano statuizioni discordanti della S.C. in relazione alla medesima clausola contrattuale censurata.
134 Critica al riguardo una parte della dottrina che rileva come “In questo quadro di incentivazione della nomofilachia la disposizione che consente alla Cassazione di condannare anche d’ufficio la parte soccombente al risarcimento del danno per lite temeraria, si spiega solo come un maldestro tentativo di evitare che siano proposte e coltivate questioni poco serie”: così ancora VALLEBONA A., op. loc. cit., pag. 726.
135 Ci si riferisce alle “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile” approvate definitivamente il 26 maggio 2009, divenute Legge 18 giugno 2009, n. 69, pubblica nella Gazzetta Ufficiale del 19 giugno 2009, n. 140 e le cui disposizioni entreranno in vigore a decorrere dal 4 luglio p.v.
Nel merito, il nuovo filtro per l'accesso alla Suprema Corte, inserito dall’art. 47 della legge n. 69 del 2009, aggiunge due casi di inammissibilità del ricorso. Si legge, infatti che "Il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa; quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo".
Inoltre, il filtro si baserà su principi oggettivi prestabiliti mentre secondo la formulazione precedente della norma – ed era questa la critica diffusa che arrivava anche dagli operatori della giustizia – presentava aspetti di eccessiva discrezionalità.
A decidere sull'inammissibilità inoltre non sarà più un collegio di tre magistrati, come previsto dalla vecchia formulazione, ma un'apposita sezione della Suprema Corte composta da magistrati appartenenti a tutte le sezioni.
Se l'istanza viene giudicata inammissibile, il relatore del provvedimento deposita in cancelleria una relazione con una "concisa esposizione" delle ragioni della decisione, che viene comunicata alle parti. 136
In caso in cui, invece, la valutazione preventiva sull’ammissibilità sia di esito positivo, il ricorso viene assegnato alla sezione competente per procedere alla regolare trattazione.
Sulla base di tali nuove disposizioni, sarà interessante verificare nel tempo i concreti risvolti applicativi della norma, ed in particolare quali spazi la Corte concederà all’impugnazione della parte che si dolga
136 La ritenuta inammissibilità del ricorso inoltre determinerà il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
dell’ingiustizia o dell’erroneità di una argomentazione – o nel caso che ci riguarda, di una interpretazione – nel caso in cui il giudice di primo grado abbia però deciso in modo conforme al precedente.
6. La decisione della Cassazione ed il suo valore di precedente.
Nel nostro sistema di dritto nazionale come noto, a differenza dei sistemi di Common Law, le sentenze dei giudici di legittimità ed i principi di diritto ivi espressi, non entrano a far parte delle fonti del diritto, non essendo le decisioni della Corte suprema dotate di vincolatività assoluta per gli altri giudici. 137
A ben vedere infatti, nel nostro sistema non c’è spazio per il principio dello stare decisis, essendo invece i giudici “soggetti soltanto alla legge”; il precedente ha pertanto una efficacia meramente persuasiva e può averla se riguarda la effettiva ratio decidendi, non anche se invece costituisce un obiter dictum o un principio affermato nell’ “interesse della legge”.
Il problema che in particolare si pone rispetto all’istituto processuale in esame, è quello della possibilità, e dei limiti, per il giudice di merito di adottare decisioni in dissenso rispetto al precedente espresso dalla Corte di cassazione con pronuncia resa ai sensi dell’art. 420 bis cod. proc. civ. La corretta interpretazione della disposizione processuale, ma soprattutto con riguardo la finalità del suo inserimento nell’ambito del nostro ordinamento, potrebbero far propendere per un obbligo da parte dei giudici di merito di adottare un contegno processuale tale che, laddove questi ritenga di conformarsi al precedente si pronunci sentenza definitiva, mentre in caso contrario, l’allontanamento dal principio contenuto del precedente dovrà avvenire attraverso pronuncia di sentenza non definitiva, resa sempre ai sensi del’art. 420 bis, così da
137 Nel senso che la forza di queste pronunce non giunge comunque mai a tradursi in una loro efficacia erga omnes x. XXXXXXXXXXX M., Questioni sul procedimento di nomofilachia accelerata ex art. 420 bis c.p.c., in Mass.Giur. Lav, 2008, 94.
sollecitare un ripensamento della Corte sull’orientamento già affermato.138
Da un punto di vista letterale, giova ricordare il riferimento testuale all’art. 64, comma 4, del d. lgs. 161 del 2001 – ripreso dall’art. 146 disp. att. cod. proc. civ. – che prevede che, in caso di estinzione, per qualsiasi ragione, del processo, la sentenza della Cassazione conserva i suoi effetti, affermando una sorta di ultrattività della sentenza interpretativa e quindi anche di una erta autonomia della pronuncia stessa rispetto alle prospettazioni delle parti nel giudizio.
Continua a parlarsi anche oggi di “speciale forza” della pronuncia resa a seguito del procedimento ex art. 420 bis è data dal fatto che la controversia individuale deve in realtà costituire lo strumento e l’occasione per sciogliere tutti i dubbi interpretativi sulle diverse questioni comunque connesse e scaturenti dal interpretazione della clausola contrattuale con efficacia quindi, tendenzialmente esaustiva.139 La giurisprudenza di legittimità, come anticipato,140 ha affermato al riguardo che il giudice di primo grado ha facoltà di dare applicazione al procedimento dell’art. 420 bis nonostante l’eventuale riscontro di numerosi precedenti giurisprudenziali, e ciò proprio ricordando che tale norma ha la finalità di rafforzare la funzione nomofilattica della cassazione sul versante della contrattazione collettiva di diritto privato e
138 V. sulla questione tra gli altri IANNIRUBERTO, op. loc. cit., pag. 473
139 Così il principio espresso da Xxxx. 24 gennaio 2008 n. 1578, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, per alcuni dubbi espressi in dottrina circa l’effettiva capacità del procedimento in esame di produrre gli auspicati effetti di stabilizzazione interpretativa v. PASANANTE L. op. loc. cit., pag. 162.
140 Cass. 25 settembre 2007, n. 19710 per la quale “l’art.
420 bis c.p.c. è applicabile anche nel caso in cui sulla stessa questione che si presenti come pregiudiziale nei termini indicati dalla suddetta norma si riscontrino precedenti arresti giurisprudenziali, stante l’autorità rafforzata, in termini di vincolatività per gli altri giudici, che la sentenza pronunziata all’esito dell’iter procedurale ex art. 420 bis citato presenta rispetto a tutte le restanti decisioni della corte di cassazione”.
pertanto lo scopo ultimo di perseguire e garantire l’unitarietà e la coerenza dell’interpretazione del diritto.141
Analogamente, si afferma, e si tenta di incentivare, “il doveroso rispetto del dettato normativo, che passa attraverso il perseguimento della indicata finalità, ad esso sottesa, di assegnare in funzione nomofilattica una maggiore resistenza ai pronunziati in tema di interpretazione della contrattazione collettiva da parte della Corte di cassazione”. 142
Dunque, in questo nuovo quadro normativo, in cui l’interpretazione dei contratti collettivi non costituisce più apprezzamento riservato al giudice del merito, a fronte della conferma da parte della Corte di legittimità di plurimi precedenti, nonché della cassazione di pronunce di merito che abbiano aderito ad un’opposta lettura delle medesime norme, il giudice di merito può accedere ad un’interpretazione diversa solo in presenza o di argomenti nuovi o di elementi di precisa e alta valenza significativa, idonei a dimostrare non solo la possibilità di una diversa opzione interpretativa, ma anche l’erroneità della soluzione ermeneutica adottata dai precedenti pronunciati o, quanto meno, la chiara preferibilità di un’interpretazione diversa da quella già ritenuta legittima dal giudice di legittimità. 143
141 Sul punto è stata avanzato anche un accostamento tra rispetto del precedente di legittimità da parte del giudice di primo grado e d il vincolo delle sezioni semplici della Corte di cassazione rispetto al decisum delle sezioni Unite. Sul punto cfr. XXXXXXXXX X.,Xxxxx osservazioni sul nuovo giudizio di cassazione in materia di lavoro, in Guida al lav., n. 13 del 2006, pag. 27,
142 E’ stato invero osservato che “alla luce di ciò è chiaro che, pur essendovi una direttiva unica del legislatore nel senso di rendere più oneroso per i giudici del merito decidere diversamente, tale possibilità non comunque destinata a venire meno”: x. XXXXXXXXX X. xx. xxx. xxx., xxx.000.
143 Cass. n. 21023 del 2008, ha ritenuto che nel procedimento ex art. 420-bis c.p.c. l’esegesi eseguita dalla Corte di cassazione, in sede di interpretazione diretta del contratto collettivo, non solo produce gli effetti previsti dalla norma in ordine al giudizio estinto, ma non può non assumere rilievo anche in controversie sottratte all’applicazione della disciplina del richiamato procedimento, poiché il rafforzamento della funzione nomofilattica, cui è volto l’indicato procedimento, anche in relazione a fonti negoziali (come i contratti collettivi nazionali, riferibili ad una serie indefinita di destinatari) persegue il fine di assicurare ai potenziali interessati quella reale parità di trattamento che si fonda sulla certezza e stabilità delle statuizioni giurisprudenziali, secondo un regime incompatibile con la possibilità che possano darsi di un’identica disposizione contrattuale interpretazioni corrette ed al tempo stesso fra loro contrastanti.
Proprio tali profili spiegano la ragione per cui, in pendenza del giudizio della Cassazione, gli altri giudizi, il cui esito presuppone la soluzione del medesimo quesito interpretativo, possano essere sospesi. Infatti il sistema normativo processuale, attraverso il combinato disposto dell’art. 64, 6° comma, d.lgs. n. 165/2001, richiamato dall’art. 146 bis disp. att. cod. proc. civ., prevede che se la Cassazione non si è ancora pronunziata è lasciata al singolo giudice la scelta tra una sospensione facoltativa, fino a quando non sopravvenga tale pronunzia o l’emanazione di sentenza non definitiva a sua volta ricorribile per cassazione.144
In ultima analisi è vero che, la sentenza della Cassazione non ha efficacia vincolante in giudizi differenti da quelli nel corso del quale è stata emessa la sentenza non definitiva, successivamente impugnata. Ma è anche vero che, come visto, il giudice ha potere di sospendere il giudizio proprio per potere recepire l’interpretazione della Cassazione la quale indicherà una strada interpretativa, se non univoca, di maggior peso e persuasione rispetto alle altre pronunce di legittimità.
Ciò, a maggior ragione rivolgendo l’attenzione alle nuove cause di inammissibilità del ricorso per Cassazione di recente codificate con l’art. 360 bis e, soprattutto, tenendo a mente la causa di inammissibilità che si ha quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa. Evidentemente, tale vaglio di ammissibilità potrebbe effettivamente configurarsi come uno strumento per far valere concretamente, ed in via
144 Ragionevolmente il magistrato che sappia dell’esistenza della pendenza di una questione interpretativa ed applicativa avanti la corte di legittimità ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c. sceglierà una delle due opzioni sopra evidenziate (sospensione facoltativa o decisione anch’egli ex art. 420 bis c.p.c.).
di fatto, la “maggiore resistenza ai pronunziati in tema di interpretazione”.
Diversamente opinando infatti, sarebbe difficile rinvenire una base normativa che possa fungere da referente per affermare la maggiore resistenza di queste pronunce, e dovrebbe in definitiva concludersi nel senso di un loro normale valore di precedente.
CAPITOLO III
Il nuovo giudizio in Cassazione e la sindacabilità diretta del contratto collettivo.
1. Il giudizio di legittimità ante riforma ed i suoi limiti.
Per apprezzare in maniera più compiuta la modifica legislativa intervenuta in tema di giudizio di legittimità in relazione al testo contrattuale collettivo, occorre preliminarmente, brevemente, ripercorrere i punti fermi che dall’assetto legislativo e dall’interpretazione giudizi xxxxx è ormai ricavato sul punto.
Il ricorso in cassazione, come noto, è un mezzo di impugnazione ordinario ma previsto solo per casi tassativamente individuati dalla legge, essendo infatti ammesso solo avverso gli errori di diritto contenuti nella sentenza.
Tali errori possono essere di due tipi: i c.d. errores in iudicando, o vizi di giudizio, che sono gli errori in cui è incorso il giudice nel giudizio di diritto, e quindi quelli causati dall’erronea applicazione della legge sostanziale; ed i c.d. errores in procedendo, o vizi di attività, che sono invece quelli di carattere procedurale, determinati appunto da una erronea applicazione della legge processuale.
Mentre per i primi, la Corte è chiamata a formulare solo un giudizio di diritto, per gli errores in procedendo la Cassazione è giudice anche del fatto, nel senso che può valutare direttamente, ed in piena autonomia rispetto al giudice d merito, gli atti del processo rilevanti per l’accertamento del vizio prospettato.
Tra i limiti del giudizio di cassazione, vi è anche quello in base al quel non possono essere prospettati per la prima volta, in questa sede, questioni nuove o temi nuovi d'indagine non compiuti perché non richieste in sede di merito. 145
L'accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto comporta il rinvio in secondo grado solo se debba procedersi a ulteriori accertamenti di fatto.146 Non è consentito il mero rinvio alle difese già svolte nei precedenti gradi di giudizio e non possono essere sollevate questioni non proposte di fronte al giudice di merito.
Qualora sia denunciato un vizio di giudizio, la Corte non può censurare gli apprezzamenti di fatto compiuti dal giudice che attengono al merito della causa. La fase rescissoria si può svolgere davanti alla stessa Corte di cassazione quando la decisione non comporta ulteriori indagini di fatto, ma in questo caso, la decisione della causa nel merito, in assenza di necessari ulteriori accertamenti di fatto, rende una pronuncia con valenza sostitutiva di quella impugnata. Non risulta consentito, in sede di legittimità, sollevare nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo, in tutti i casi in cui esse presuppongono, e comunque richiedono, nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto inibiti alla Corte.
Per quanto qui di maggiore interesse, la giurisprudenza anteriore alla modifica in esame aveva costantemente affermato che la interpretazione
145 Così ad esempio x. Xxxx., sent. n. 5106/95. Inoltre non essendo prevista nel procedimento di Cassazione un’istruzione probatoria, la cognizione dei fatti relativi alla vicenda processuale può avvenire solo in base a quanto risulta dagli atti e dai documenti del giudizio di merito.
146 Ad esempio, nel caso in cui occorra ripetere mezzi di prova già assunti in sede di merito, ovvero assumere prove prima non esperite.
del contratto collettivo costituisce, alla stregua di una interpretazione di ogni contratto di diritto privato, una questio facti.147
In questa ottica infatti la Suprema Corte aveva sempre escluso la possibilità si spingersi fino all’individuazione della corretta interpretazione della clausola collettiva di diritto comune, ammettendo il suo controllo soltanto nei ristretti limiti della legittimità del procedimento ermeneutico seguito dal giudice di merito ex art. 1362 e ss. cod. civ.. In tal modo, pertanto, il sindacato resta unicamente di legittimità non involgendo mai questioni attinenti al giudizio storico sul fatto ma, al contrario, si limita all’osservanza delle regole legali di interpretazione del contratto di diritto comune.148
147 Sul punto l’orientamento è univoco e si rinviene, ex multis, in Cass. 20 marzo 2006 n. 6148; Cass. 15 marzo 2006, n. 5637, Cass. 7 marzo 2006, n. 4849, tutte in Boll. Adapt, 2006, 49. Cfr. altresì Cass.
16 febbraio 2006 n. 3402, Cass. 9 febbraio 2006 n. 2836, entrambe in Mass. Giur. Civ. 2006, 2006, fasc. 2, nonché Cass. 23 novembre 1999 n. 13026 la quale molto chiaramente afferma che “la violazione di norme contrattuali collettive di diritto comune non munite di efficacia obbligatoria generale, non è ipotesi riconducibile alla violazione delle norme di diritto, oggetto della previsione dell’art. 360, n. 3, c.p.c., tali norme essendo essenzialmente individuabili nelle fonti del diritto di cui all’art. 1 disp. Sulla legge in generale.”
148 Al riguardo LUGO A., Manuale di diritto processuale civile, Xxxxxxx 2006, così sintetizza: “Dovendo portare il suo sindacato sull’applicazione della legge, la Cassazione si occupa del fatto della causa solo in quanto le sia necessario per risolvere la questione di diritto che le è sottoposta. Quindi la Cassazione porta il suo esame critico sulle circostanze di fatto della causa soltanto al fine di accertare se sono state osservate le regole sula giurisdizione e sulla competenza e se l’attività del giudice si è svolta rettamente nelle fasi anteriori; mentre ritiene il fatto come è stato accertato nel precedente giudizio, quando deve giudicare sulla risoluzione giuridica della controversia accolta nella sentenza impugnata”.
2. L’apertura al controllo di legittimità del contratto collettivo del settore pubblico.
La previsione del sindacato della Corte di cassazione, non solo sulle norme di legge, ma anche su quelle contrattuali, come abbiamo accennato, non è nuova, in quanto trova il suo precursore normativo nel d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede la ricorribilità immediata in Cassazione della sentenza non definitiva che decide sulla sola questione interpretativa.
La previsione richiamata va letta alla luce non solo dell’art. 360 cod. proc. civ., ma anche dell’art. 63, 5° comma, d.lgs. n. 165 del 2001, che, nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all’art. 64, comma 3, ammette il ricorso per cassazione anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali.149
E così, già successivamente alla privatizzazione del pubblico impiego, trovava terreno fertile la discussione sulla possibilità che quei contratti ed accordi, in quanto affiancati alle norme di diritto nel sindacato di legittimità, celassero in realtà natura di vere e proprie fonti di diritto oggettivo, in forza della disposizione che ne ammette il ricorso in Cassazione in caso di loro violazione o falsa applicazione.
149 V. di recente sul punto, Cass. 22 settembre 2006, n. 20599, in Foro it., Mass., 2006, c. 1669 secondo cui «la regola posta dall’art. 63 d.leg. n. 165 del 2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 predetto d.leg., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimità è finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione sufficiente e non contraddittoria».
Già in questo contesto non mancavano voci contrarie all’equiparazione sostanziale del contratto collettivo pubblico alle norme di diritto di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ..150
Con riferimento al sindacato della Corte sul contratto collettivo pubblico, del resto, si era anche posta la questione di una incompatibilità costituzionale di questa previsione normativa rispetto al sistema del lavoro privato che la stessa diretta sindacabilità non ammetteva.151
La Corte al riguardo, ha però respinto la questione che prospettava l’ingiustificata disparità della disciplina processuale applicabile ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni rispetto a quella applicabile ai lavoratori privati, in riferimento all’art. 3 Cost., ritenendola infondata proprio in ragione delle ricordate specificità del contratto collettivo nel pubblico impiego. 152
Afferma infatti la Corte che “le peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego, sulle quali ampiamente il rimettente indugia - "efficace erga omnes", "funzionale all'interesse pubblico di cui all'art. 97 Cost.", inderogabile sia in pejus che in melius, oggetto di diretto sindacato da parte della Corte di cassazione per violazione o falsa applicazione (art. 63, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001) - rendono
150 Così ad esempio PIZZORUSSO, Le fonti del diritto del lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 1990, pag. 21-22, sostiene che “non credo che si possano considerare come contrassegni necessari e sufficienti della qualità di fonte il regime probatorio di un determinato tipo di atto o fatto in virtù del quale ad esso è applicabile il principio iura novit curia, oppure la sua utilizzabilità come parametro ai fine delle sentenze da parte della Corte di cassazione, anche se è ovvio che si tratta di qualificazioni che normalmente ricorrono nel caso delle fonti e di solito mancano nel caso degli atti che non appartengono al corrispondente genere”.
151 Si vedano i rilievi contenuti nell’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale del Trib. di Genova, 17 febbraio 2002, n. 446, in Gazz. Uff. n. 40 del 9 ottobre 2002.
152 E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 del d.lgs. 31/3/98,
n. 80, sollevata - in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. - nella parte in cui prevede la possibilità di un accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti pubblici da parte di un giudice ordinario, impugnabile direttamente con ricorso per cassazione, e non consente analogo esame diretto dei contratti collettivi di diritto comune nel settore dell'impiego privato, attesa la profonda diversità tra i contratti che regolano tali rapporti:Cass. 18 agosto 2000, n. 10974, in Arg. dir. lav. 2001, pag. 707.
evidente l'impossibilità di ritenere a priori irrazionali le peculiarità della disciplina del processo in cui quel contratto collettivo - ben diverso da quelli cosiddetti di diritto privato - deve essere applicato. Quelle peculiarità sarebbero, pertanto, sindacabili da questa Corte non già in sé e per ciò solo che segnano differenziazioni di disciplina, ma solo se irragionevoli; il che, con la censura in esame, non è in alcun modo dedotto.”153
Pertanto, la disparità di trattamento dal punto di vista delle censure di legittimità viene giustificata e fatta salva proprio in ragione della particolare natura del contratto collettivo pubblico e dalla riferita efficacia erga omnes. 154
153 Così testualmente C. Cost. 5.6.2003, n. 199, in Lav. pubbl. amm., 2003, n. 885, con nota di BORGHESI.
154 Al riguardo non sono mancate le perplessità di parte della dottrina, soprattutto rispetto al contenuto alquanto frettoloso della pronuncia della Consulta in punto di efficacia generale del contratto collettivo, tanto che “non ci si può comunque non meravigliare della nonchalace con la quale la consulta prende atto dell’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva del pubblico impiego, scivolando sopra le incertezze e le discussioni che negli anni, si sono sviluppate sul tema”: così BORGHESI D., Il rinvio a titolo pregiudiziale per l’interpretazione dei contratti collettivi del pubblico impiego resiste ai primi controlli della Corte costituzionale, in Il lav. nelle pubbl. ammin., 2003, n. 5, pag. 899.
3. Il nuovo art. 360, n. 3, cod. proc. civ. ed il contratto collettivo di diritto comune come norma parametro del controllo in Cassazione.
L’evoluzione normativa ed interpretativa relativa al contratto collettivo culmina quindi con la normativa processuale in esame la quale ha così portato ad una revisio sostanziale della precedente impostazione e dell’orientamento di legittimità.155
Infatti, alla tipica violazione di legge – o più correttamente, violazione o falsa applicazione delle norme di diritto – il legislatore del 2006 equipara la violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di diritto comune.
Valutazioni sfavorevoli rispetto a questa scelta legislativa sono state prospettate, in particolare per quanto riguarda il sindacato sull’interpretazione, anche subito dopo l’approvazione della legge delega del 2005, mettendosi in luce in particolare l’incoerenza tra l’estensione dei poteri della Corte – e quindi aumento dell’attività di questa – e la proclamata ratio di riduzione del contenzioso.156
Così in attuazione dello spirito della legge delega,157 il legislatore delegato ha affiancato alla norma processuale che prevede l’accertamento pregiudiziale delle clausole collettive l’ampliamento della portata dell’art. 360 cod. proc. civ.
155 Quello cioè per il quale il sindacato sui contratti collettivi di diritto comune doveva considerarsi limitato al controllo della legittimità della loro interpretazione, ovvero alla verifica del rispetto dei canoni di ermeneutica contrattuale oltre che all’osservanza della sufficienza ed adeguatezza della correlata motivazione..
156 Cfr. XXXXXXXX, La delega sul procedimento di cassazione, in Riv. Dir. E proc. Civ., 2005, pag. 936.
157 I principi ed i criteri direttivi risultano, sul punto, così formulati :”…disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica … estensione del sindacato della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, ampliando la previsione del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. … introdurre il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle Sezioni Unite
In realtà, data la rilevanza e la crescente diffusione del contratto collettivo in qualità di fonte regolatrice di un numero sempre crescente di rapporti di lavoro, 158 si era da tempo auspicata, da parte di alcuni tra gli operatori del diritto, l’introduzione, anche in questo settore, di un meccanismo di sindacato diretto su tali norme.
La soluzione avanzata in via giudiziale per tentare di concretizzare tale esigenza, era stata nel senso di prediligere una interpretazione complessiva delle clausole del contratto allo scopo di preservare l’equilibrio globale del contratto stesso, nonché una interpretazione conservativa atta ad escludere un contrasto con norme di legge imperative ed invece mirante ad armonizzare il contratto con i principi fondamentali del diritto del lavoro anche in base al canone della natura ed oggetto dell’accordo.159
La nuova formulazione dell’articolo 360 cod. proc. civ., in analogia con quanto già previsto dalla legge di riforma del pubblico impiego, equipara, per quanto concerne i motivi di ricorso, le norme di diritto a quelle contenute in accordi e contratti collettive nazionali, stabilendo che, così come avviene per le prime, anche nel caso di violazione e falsa applicazione delle seconde sia possibile chiedere il vaglio della Corte di Cassazione.
La riforma muta radicalmente rispetto al previgente assetto normativo, sulla cui base si è formato un consolidato orientamento giurisprudenziale, saldo nell’affermare che l’interpretazione del contratto
stabilendo che ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente debba reinvestire le sezioni Unite con ordinanza motivata”.
158 Vuoi per diretta applicazione dello stesso, ma anche per rinvio alle norme, espresso o tacito, contrattuali ed alla disciplina degli istituti ivi prevista.
159 Cfr. ex plurimis Cass. 7 maggio 2004 n. 8741, in Mass. Giur. Lav., 2004, p. 787; Cass. 3 giugno 2004 n. 10594, ibidem, 2004, p. 788; Cass. 13 novembre 2002 n. 15909, ibidem 2003, p. 102; Cass. 1° luglio 2002 n. 9538, Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, 501 per la quale in particolare “Nell'interpretazione del contratto collettivo è prioritario e prevalente il criterio di coerenza tra atto da interpretarsi e valori fondamentali del diritto vivente del lavoro la cui violazione è censurabile in sede di legittimità”.
collettivo costituisce, alla stregua dell’interpretazione di ogni contratto di diritto privato, una questio facti, essendo il giudice chiamato a pronunciarsi su un fatto – l’accordo delle parti e la relativa interpretazione – secondo i criteri ermeneutici detta dagli articoli 1362 e seguenti del codice civile.
L’interpretazione del contratto collettivo è sempre stata ritenuta riservata alla valutazione del giudice di merito, e, per l’effetto, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per difetto di motivazione. 160
La varietà del panorama delle tesi dei commentatori rispetto al significato e al valore di tale affiancamento è molto vasto.
Da tale accostamento normativo infatti, parte della dottrina ha tratto un argomento testuale per dimostrare la definitiva voluntas legis di equiparare, quanto a natura ed effetti, il contratto collettivo di diritto comune e quello del settore pubblico. 161
In particolare tale assunto trova fondamento, per un verso, sulla considerazione della generalità ed astrattezza delle previsioni del
160 Cfr., tra le più recenti, Cass. 18 agosto 2003 n. 12076; Cass. 24 luglio 2003 n. 11514; Cass. 22
luglio 2003 n. 11402; Cass. 15 luglio 2003 n. 11051, tutte in Mass. Giur. Lav. 2003, f. 7-8. E – così inquadrando i contratti collettivi – il sistema rispondeva, in sostanza, ad un sillogismo così riassumibile: siccome i contratti collettivi sono contratti di diritto comune (premessa maggiore), e siccome l’interpretazione del contratto è una quaestio facti censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale o per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c. (premessa minore), per questo motivo il sindacato sulla interpretazione dei contratti collettivi, di per se, è sottratto alla Corte di cassazione (conclusione).: così le considerazioni svolte a riguardo da XXXXXXX A., op. loc. cit.
161 Osserva VICECONTE, in Ricorso in Cassazione: novità del processo del lavoro, in Lav. E Prev. Oggi, 3/2006, p. 301, che “il fatto che la modifica dell’art. 360 c.p.c. laddove ammette il ricorso alla Suprema Corte anche in caso di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro non distingue tra i contratti stipulati nell’area privata da quelli stipulati nell’area pubblica secondo le norme del Testo Unico del pubblico impiego. Ciò ci fa pensare che il legislatore abbia sposato la tesi, del resto prevalente in dottrina, che anche il contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici privatizzati abbia la stessa natura del contratto collettivo del dipendente privato. Ossia che entrambi siano considerati dal legislatore contratti privatistici o, come meglio suol dirsi, “contratti di diritto comune””.
contratto collettivo, con decisa valorizzazione dell’aspetto normativo e regolativo, ma anche sul fondamento del loro rilievo sociale.162 Diversamente, altri sostengono che invece sarebbe proprio tale accostamento e la giustapposizione del contratto collettivo nazionale alle norme di diritto che avrebbe il significato intrinseco nel porre in luce, e quindi in qualche modo ribadire, la distinzione tra questi ultimi dalle norme di diritto, e questo sul logico rilievo che non avrebbe senso accostare, o meglio aggiungere, due elementi caratterizzati invece da identica natura.
In realtà, nonostante tali tesi più innovative, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti continuano mantenere distinti la disposizione processuale da un lato e gli effetti di diritto sostanziale dall’altro, conferendo minor risalto alla pur suggestiva tesi della implicita equiparazione per via legale.
La prima, infatti, è considerata inidonea a mutare la natura sostanziale di atto di autonomia privata del contratto collettivo di diritto comune. 163 Sulla base di tali premesse, occorre ricordare che al riguardo la giurisprudenza di legittimità sembra assumere un approccio cauto al problema, laddove ricorda che “la Corte di cassazione, a seguito della denuncia di una violazione del contratto collettivo nazionale è tenuto ad operare come se l’oggetto del suo esame fosse una norma giuridica e non, invece, un negozio di natura privatistica, il cui esame impone, pure in questo caso, accertamenti di carattere fattuale e la praticabilità di una
162 Cfr. XXXXXXX X., Modifiche del processo del lavoro: i contratti collettivi tra le fonti del diritto?, in
Bollettino ADAPT, n. 14, p. 1 e ss.
163 “Le recenti modifiche al codice di procedura civile, dirette ad estendere la funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione anche alle norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro del settore privato, confermano la previsione che sarebbe stata giudicata blasfema agli esordi della privatizzazione, di una inversione del “modello”, cioè di una funzione trainante ed ispiratrice svolta dal sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico (ben lungi dal’assumere a modello, a sua volta, la contrattazione collettiva di diritto comune del settore privato)” cfr. in questi termini PILEGGI A., in Mass. Giur Lav., 2006.
metodica interpretativa incentrata [...] sui generali criteri codicistici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ.”164
Invero, tale “finzione operativa” è in realtà il chiaro indice di un orientamento della Corte volto sì a mutare le sue regole di azione ma pur sempre senza, per ciò solo, dar luogo al ben più drastico mutamento sostanziale di quell’atto di autonomia privata collettiva, pur da alcuni intravisto o auspicato.
Sulla base di quanto finora riportato, è evidente che il percorso evolutivo ed il relativo panorama interpretativo permangono alquanto tormentati, ma che comunque questi sembrano in via di allontanamento rispetto alle istanze di coloro che richiedevano una uniformità sostanziale tra contratto collettivo pubblico e privato, nonché di questi alle norme di diritto.
Sembra inoltre che, a questo punto, alla originaria esigenza di tenere distinte le sorti dei contratti privati da quelli pubblici – in ragione delle evidenti differenze sostanziali – se ne sia sostituita una opposta ma prevalente, di carattere processuale, ovvero la loro equiparazione quanto a sindacabilità in giudizio; esigenza mossa dall’urgenza di affrontare ed arginare l’incertezza e l’instabilità delle decisioni interpretative di questi testi contrattuali.
164 In questi termini la citata Xxxx. 25 settembre 2007 n. 19710.
3.1 Accertamento di diritto e accertamento di fatto.
Come anticipato, la prevista sindacabilità da parte del giudice di legittimità delle clausole del contratto collettivo porta alla ridiscussione dei canoni tradizionali di attività e di giudizio della Corte.
La questione che riguarda il tipo di valutazione che il giudice di legittimità è oggi chiamato a compiere sul testo contrattuale, integra, a ben vedere il rovescio processuale della questione di diritto sostanziale afferente alla natura del contratto collettivo.
La novità sostanziale della riforma è pertanto che oggi la Corte investita della questione, può procedere – o meglio deve – procedere direttamente ad interpretare essa stessa la clausola contrattuale censurata ed a trarre da questa la regula iuris del caso concreto, non più limitandosi ad un mero controllo estrinseco del procedimento ermeneutica seguito dal giudice di merito.
Ne deriva che la Corte di cassazione, nell’esame del ricorso, non deve più soltanto circoscrivere la propria indagine all’interpretazione data dal giudice di merito e verificare se vi sia stata una corretta applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ. o se la motivazione sia sufficiente, logica ed esente da vizi, ma potrà scendere nell’esame della norma di contratto ed enunciare la corretta interpretazione, così come fa quando viene denunciata la violazione o la falsa applicazione di una norma di diritto.
E proprio rispetto a tale nuovo potere ermeneutico che sembra doversi individuare l’estensione della funzione nomofilattica della Corte e quindi l’attività di coesione e unificazione degli orientamenti interpretativi relativi alle clausole collettive di oscura portata.
Del resto è ancora la diretta sindacabilità del testo contrattuale collettivo
– e non del procedimento interpretativo che su esso è stato svolto – a disseminare il dubbio, o il pericolo, che in tal modo alla Corte venga attribuito un compito che stravolge il limite della sua tradizionale attività, da sempre caratterizzata dalla preclusione relativa alla c.d. questione di fatto. 165
Il dubbio di fondo più rilevante è senz’altro quello relativo alla sindacabilità in Cassazione delle norme del contratto collettivo e della relativa difficoltà di conciliare un giudizio di diritto come quello della Corte di legittimità con un accertamento di fatto come è quello che necessariamente si impone su un testo contrattuale.166
Altra parte della dottrina, al contrario, ha sottolineato che il sindacato diretto in sede di legittimità delle clausole contrattuali collettive, invero, non comporta affatto uno snaturamento di queste, bensì solo un rafforzamento della funzione regolatrice della Corte Suprema. 167 Ulteriori perplessità, infine, sono state espresse sul fatto che, sulla base legislativa così congegnata, si attribuisce sì alla Corte la possibilità di
165 Che di accertamento di diritto continui a trattarsi anche dopo l’introduzione della modifica legislativa in esame, è attestato anche dal fatto che la giurisprudenza di legittimità ha esteso anche alle impugnazioni avverso le clausole collettive, l’obbligo a pena dell’inammissibilità dell’esposizione espressa del quesito di diritto che si intende sottoporre all’attenzione della Corte, e ciò nonostante parte della dottrina avesse evidenziato la sostanziale inutilità di una tale diretta prospettazione.
166 In questi termini ad esempio si esprime CARRATTA A., La riforma del giudizio in Cassazione, in Riv. Dir. Proc. Civ., 2006, pag. 1105, secondo il quale “non pare tranquillizzante il fatto che la funzione nomofilattica della Cassazione venga estesa anche a strumenti, come i contratti collettivi nazionali che, sebbene collettivi, restano comunque degli atti negoziali e per la cui interpretazione, di conseguenza, assume rilevanza – ai sensi dell’art. 1362 cod. civ. – l’accertamento di fatti come, ad es., la comune volontà dei contraenti o i comportamenti precedenti o successivi degli stessi”, ma anche MURATORIO A., La funzione nomofilattica della Cassazione nell’interpretazione dei c.c.n.l., in Il lav. nella giur., n. 5/2008, p. 476, per la quale “sembra potersi affermare che nello strumento dell’art. 420 bis i contratti collettivi nazionali stiano diventando sempre più vicini alla legge nel sistema delle fonti, almeno per quanto attiene alla loro interpretazione ai fini processuali. Il carattere di generalità ed astrattezza che la questione da risolvere proposta alla Cassazione, come criterio logico sistematico nell’interpretazione delle clausole controverse, infatti, non fanno che confermare questa impressione”. 167 Così ad es. VALLEBONA A., in La nomofilachia accelerata della Cassazione... cit., pag. 725, per il quale invero, “il controllo diretto della Cassazione sul significato della regola collettiva non ne
effettuare giudizio di fatto, ma non le sarebbe stato fornito il correlato e necessario potere di effettuare istruttorie complete al fine della ricostruzione integrale del fatto oggetto della sua valutazione, stante l’impossibilità di svolgere attività istruttorie ulteriori nel giudizio in Cassazione. 168
In realtà a tale appunto sembra sia stata data risposta, almeno parziale, mediante l’estensione della produzione del testo contrattuale collettivo, pertanto con una sorta di compensazione tra l’impossibiltà di svolgere attività istruttoria e una base documentale e testuale il più possibile ampia. 169
Indicativa, al riguardo, la risposta che la Corte ha fornito a tali perplessità, ammettendo che il giudizio di legittimità su tali testi debba avvenire con una “metodica particolare” e “come se avvenisse su una norma di diritto e non su un accordo tra parti private”.
Con la necessaria precisazione che, seppur effettivamente cambiato il metodo di giudizio, i contratti collettivi rimangono atti negoziali e non divengono fonte di diritto, per avere il legislatore aggiunto fra i motivi di ricorso per cassazione quello della violazione o falsa applicazione di contratti e accordi collettivi nazionali.
modifica la natura, che rimane negoziale privatistica, con il limitato campo di azione soggettivo e con il regime interpretativo dei contratti previsto dagli artt. 1362 e ss. cod. civ.
168 Ad esprimere tale incongruenza soprattutto CARRATTA, op. cit., pag. 1125.
169 Al riguardo, Xxxx. 2796/07 ha infatti enunciato il seguente principio diritto: “"La Corte di
Cassazione nell'interpretazione del contratto collettivo nella procedura regolata dall'art. 420 bis c.p.c. non è condizionata dalle domande delle parti e dal loro comportamento potendo liberamente ricercare all'interno del contratto collettivo ciascuna clausola - anche se non oggetto dell'esame delle parti e del primo giudice - comunque ritenuta utile alla interpretazione, ma non può però assumere nuove iniziative istruttorie, perchè se non si vuole snaturare in radice il processo di cassazione la suddetta Corte deve decidere sulla base del materiale probatorio acquisito ritualmente in primo grado sicché eventuali carenze di indagini, se si possono denunziare come motivi di censura per vizi di motivazione
- potendo preludere, se si sia in presenza "di un fatto controverso e decisivo del giudizio" ad una cassazione con rinvio per una più corretta decisione sull'accertamento pregiudiziale - non possono però mai legittimare nuove e tardive indagini”. Sulla base del principio di diritto così espresso la Corte ha però limitato il suo campo di indagine escludendo l’utilizzabilità dei contratti collettivi successivi a quello da interpretare ex art. 420 bis c.p.c. ai fini della determinazione della comune volontà della parti del precedente contratto.
Giova infine segnalare come, effettivamente, mediante tale giudizio concreto e diretto sul fatto dell’accordo contrattuale, l’attività della Cassazione, almeno in questo limitato contesto, sembra avvicinarsi più ad un giudizio impugnatorio di terza istanza, piuttosto che al giudizio di legittimità che le è connaturato.
3.2 Produzione del testo contrattuale ed autosufficienza.
Stante il divieto di produrre nuovi documenti nel giudizio di cassazione, il giudice di legittimità, nel momento in cui si trova a dover affrontare la questione interpretativa in relazione ad una clausola contrattuale, ha necessità di rinvenire il referente testuale della disposizione censurata negli atti di causa.
Il problema che al riguardo si è posto è se, da un lato, sia configurabile una qualche forma di potere/dovere del giudice di attivarsi per il reperimento d’ufficio delle norme necessarie a risolvere la questione interpretativa e, dall’altro, qualora questa attività istruttoria non sia ritenuta ammissibile, quali siano gli strumenti concessi per ovviare.
Funzionale alla diretta interpretazione del testo contrattuale censurato è la produzione in giudizio, per opera delle parti, del testo contrattuale oggetto della censura.
E tale acquisizione evidentemente dovrà avvenire per opera della parte, o su iniziativa del giudice ex art. 425 cod. proc. civ., già nel giudizio di merito, essendo poi precluse l’acquisizione o la produzione di nuovi o ulteriori documento nel giudizio di legittimità.
Si è detto al riguardo che, infatti, il principio in base al quale iura novit curia non vale per gli accordi e contratti collettivi e questo, tra l’altro, è un argomento indiretto circa l’inammissibilità della trasformazione tacita del contratto collettivo nazionale di lavoro in norma di legge, altrimenti l’approccio del giudice a questa sarebbe autonomo, senza necessità di produzione per opera delle parti, come invece è anche per tutti i contratti di diritto privato.170
170 Xxxxxxx XXXXXXXXXX, op. loc. cit., che l’individuazione del contratto o accordo collettivo applicabile alla fattispecie resti una questione di fatto, in quanto sfugge al principio generale jura novit
Nel senso della necessità del deposito del testo contrattuale è intervenuta con insistenza la giurisprudenza di legittimità spiegando come tale esigenza risulti direttamente coerente e funzionale con la più volte cennata funzione nomofilattica consentendo così alla Corte di svolgere più agevolmente “un'interpretazione almeno tendenzialmente "oggettiva" della norma contrattuale che tenga cioè conto, ove ritenuto necessario, dell'intero contesto normativo nel quale tale norma si colloca e non sia condizionata alla scelta della normativa contrattuale ritenuta rilevante dalle parti ovvero dal giudice a quo”.171
curia, per cui deve essere sollevata dalle parti. Ciò in quanto l’espressa previsione della ricorribilità della sentenza per violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro accanto ed in aggiunta alle norme di diritto non ne comporterebbe la totale equiparazione, sicché ne conseguirebbe la mancanza di un obbligo per il giudice di reperire se del caso autonomamente le relative fonti di cognizione.
171 L’ultima e più recente pronuncia a quanto consta è Xxxx. 26 febbraio 2008, n. 5050, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx la quale esplicitamente lega la norma che prevede la necessaria produzione dl contratto collettivo della cui interpretazione si discute, con l’assolvimento del compito di nomofilachia assegnatole con le recente riforma. Si legge infatti che “Preliminarmente ed ex officio la Corte rileva che, come risulta dalla lettura del ricorso e dall'esame della documentazione ad esso allegata, parte ricorrente ha omesso di depositare il contratto collettivo sul quale il ricorso stesso si fonda, essendosi limitata a depositare un "estratto" dello stesso contenente alcuni articoli (ed in particolare gli artt. 8, 26 e 43).Ciò in violazione della disposizione di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2,
n. 4, (come modificato dal X.Xxx. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7) il quale prevede che gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda devono essere depositati insieme col ricorso a pena di improcedibilità. Ad avviso di questa Corte la norma in esame impone a carico del ricorrente un onere di produzione che ha per oggetto il contratto nel suo testo integrale e non già nella sola parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocata nel ricorso per cassazione. La chiarezza della disposizione sopra citata, nella parte in cui si riferisce ai contratti o accordi collettivi, non lascia spazio, in applicazione dei criteri ermeneutici fissati dall'art. 12 disp. gen., comma 1, ad una interpretazione diversa, che consideri cioè sufficiente una produzione limitata ad un "estratto" del contratto collettivo ancorché contenente tutte le norme della cui interpretazione si controverte. L'interpretazione accolta appare, del resto, la più coerente con le finalità che la riforma introdotta col X.Xxx. 2 febbraio 2006, n. 40, ha inteso perseguire con l'introduzione del meccanismo di accertamento pregiudiziale dell'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi disciplinato dall'art. 420 bis c.p.c., tenuto conto del fatto che l'adempimento previsto dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ha carattere strumentale rispetto al giudizio di cassazione previsto dal citato art. 420 bis. Questa Corte Suprema (cfr., in particolare, Cass. 7 febbraio 2007 n. 5230) ha già evidenziato la stretta relazione esistente fra la norma da ultimo citata e la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (pure introdotta col citato D.Lgs. n. 40 del 2006) che consente il ricorso per cassazione non più solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma anche per violazione o falsa applicazione delle norme contenute nei contratti e accordi collettivi; la sentenza da ultimo citata, ha sottolineato altresì - partendo da una analisi che tiene conto dei parametri fissati dalla legge delega (L. 14 maggio 2005, n. 80, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35) - che il nuovo motivo di ricorso deve essere inquadrato nel contesto, fissato dalla legge delega, della valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione. E’ del tutto evidente che l'imposizione dell'onere di produzione del testo integrale (e non già di un estratto) del contratto collettivo contenente le norme della cui interpretazione si controverte appare pienamente