CASSAZIONE CIVILE, sez. II, 5 febbraio 2004, n. 2216
Interpretazione
CASSAZIONE CIVILE, sez. II, 5 febbraio 2004, n. 2216
Pres. Pontorieri - Rel. Trombetta - P.M. Xxxxx (diff.) - Cat. (avv. Xxxxxxxx) c. Cost. e Cro. (avv. Xxxxxxxxxx)
Contratti - Interpretazione - Comportamento complessivo dei contraenti - posteriore alla conclusione del contratto - Contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam - Possibilità di attingere ad elementi esterni al contratto scritto per l’interpretazione della volontà delle parti - Esclusione
(Artt. 1350, 1362 c.c.)
In riferimento ai criteri ermeneutici dei negozi giuridici, nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam (come il contratto per cui è causa, avente ad oggetto la costituzione di un diritto di ser- vitù), la ricerca della comune intenzione delle parti, effettuabile ove il senso letterale delle parole presen- ti un margine di equivocità, deve essere fatta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, sol- tanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valu- tare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scrit- to.
…Omissis…
Motivi della decisione
Deduce il ricorrente a motivi di impugnazione:
1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1350 c.c. l’omessa e/o insufficiente e/o contradditto- ria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la corte d’appello, nell’interpretare la clausola del rogito Not. Macchiagodena 20.9.73: A) superato il tenore letterale delle espressioni che ponevano a carico di ciascun proprietario dei lotti l’onere di fornire soltan- to “una striscia di terreno” per la formazione della stra- da, erroneamente affermando che il Cat. dovesse forni- re “due strisce”, ritenendo sussistente un accordo, ine- rente anche alla realizzazione di altra strada ortogonale alla SS. 16, sulla base di criteri interpretativi sussidiari, utilizzabili solo ove l’esame del tenore letterale della clausola avesse lasciato margini di incertezza, insussi- stenti nella specie;
B) ritenuto determinante, nell’interpretare la clauso- la in senso più oneroso per il Cat., in violazione del- l’art. 1371 c.c., il fatto che la striscia di terreno doves- se essere lasciata per “i due confini” della part. 134 di proprietà del medesimo, confondendo il “confine” con il “lato” della proprietà Cat., lato che parallela- mente alla SS. 16 confinava con due diversi fondi, la particella 117 di P. A. e la particella 124 di proprietà della Xxxx.;
C) dato rilievo alla circostanza (indicata nel rogito) che la realizzanda strada (ortogonale alla SS. 16) sarebbe stata posta al servizio di altri lotti venduti in precedenza dalla Xxxx. (cioè le part. 122 (Cro.), 126 (Cost.), quan- do i suddetti lotti avevano già accesso alla strada paral- lela alla SS. 16 per mezzo di una stradella larga m. 3
(quella imposta dalla Xxxx. alla Cost.) non incidente sul fondo di proprietà Cat.;
D) posto a sostegno dell’interpretazione data, le pattui- zioni del preliminare 8.11.71 nel quale il Cat. si obbli- gava “a lasciare metri tre lungo il fronte prospiciente la strada interpoderale dove confinano i Cro.” pattuizioni non riportate nel contratto definitivo (al quale soltanto si sarebbe dovuto far riferimento) e che dimostravano un mutato assetto d’interessi della Xxxx., (come indica- to nella sentenza del Tribunale) confliggendo l’argo- mentazione suddetta addotta dalla corte d’appello con gli artt. 1366, 1371, 1364 c.c. (interpretazione secondo buona fede, meno onerosa per l’obbligato, non compor- tante l’estensione dell’oggetto del contratto soprattutto nei contratti richiedenti la forma scritta ad substan- tiam);
E) posto a sostegno dell’interpretazione data sia il com- portamento assunto dal C. successivamente alla stipula del rogito (collocazione della fondazione del muro di recinzione a tre metri dall’asse stradale come previsto nel progetto di lottizzazione, con previsione nel proget- to presentato al Comune di una zona di rispetto di m. tre sul lato prospiciente la proprietà Cost.), comporta mento che non può essere preso in considerazione nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam; sia le dichiarazioni rese in giudizio dalla Xxxx., inutilizzabili come prova dato il suo interesse in causa, e comunque sempre difformi;
2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 167 c.p.c. e 1079 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3, 4
c.p.c. per avere la corte d’appello, anziché rigettare la domanda negatoria servitutis proposta dal Cat., erronea- mente e senza che alcuna delle parti lo avesse chiesto, pronunciato una sentenza di accertamento di una pre-
tesa servitù gravante sul fondo del Cat., accertamento che avrebbe potuto conseguire solo con la proposizione in via riconvenzionale e nei termini prescritti, di una domanda specifica, improponibile in appello perché nuova, traducendosi in una confessoria servitutis, accol- ta pertanto in violazione del principio del contraddit- torio;
3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e ss., 115 c.p.c.; l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la corte d’appello rigettato l’appello inciden- tale proposto dal Cat., avverso l’erronea definizione dei confini tra le proprietà delle parti, affermata dal Tribu- nale, aderendo acriticamente alle conclusioni del CTU malgrado le censure proposte con l’appello incidentale, senza spiegare le ragioni dell’infondatezza delle stesse e nonostante la contraddittorietà delle consulenze d’uffi- cio espletate, per superare le quali sarebbe stato neces- sario predisporre nuova consulenza.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
Controvertendo le parti in ordine alla interpretazione della clausola contenuta nel rog. Not. Macchiagodena del 20.9.73, di acquisto da parte del Cat. della part. 134, clausola in base alla quale si pretende costituita, con l’assunzione dell’obbligo da parte del Cat. di con- ferire una striscia di terreno di m. 3 lungo i “due confi- ni” della suddetta part. 134, una servitù di passaggio a carico di tale terreno ed a servizio dei lotti compraven- duti con lo stesso rogito, della residua proprietà della venditrice Xxxx. e di altri lotti dalla stessa in preceden- za venduti; il problema posto a questa Corte della veri- fica della osservanza o meno da parte della corte d’ap- pello dei criteri ermeneutici stabiliti dalla legge per l’interpretazione dei negozi giuridici, impone, prelimi- narmente di stabilire se, in relazione ai contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam, qual è quello di cui è causa (di costituzione di un diritto rea- le), la ricerca della comune intenzione delle parti, ove il senso letterale delle parole presenti qualche equivo- cità, debba essere effettuata attraverso la valutazione del comportamento complessivo delle parti, comunque risultante, anche posteriore alla conclusione del con- tratto, come recita l’art. 1362, comma 2 c. c. .; oppure se la ratio che impone, per determinati negozi, l’assun- zione della forma ad substantiam, comporti che la sud- detta ricerca debba essere fatta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto (qual è, nella specie, il consenso a subordinare un tratto del terreno di pro- prietà al passaggio a favore di altri fondi), soltanto at- traverso le manifestazioni di volontà contenute nel te- sto scritto.
Questa Corte si è già pronunciata sul punto con le deci- sioni - sentt. 8080/2002; 6214/99 - che questo collegio condivide, affermando che nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, la valutazione del compor- tamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto, non può evidenziare una for-
mazione del consenso al di fuori dello scritto; e che, ne- gli stessi contratti la volontà comune deve rivestire la forma ad substantiam per tutti gli elementi essenziali del contratto.
Ciò posto, nella specie, la corte d’appello, traendo dal riferimento contenuto nel testo della clausola ai “due confini” della part. 134, verso la proprietà P. e verso al- tra proprietà della venditrice (confini lungo i quali il Cat. aveva assunto l’obbligo di destinare una striscia di
m. 3 del terreno di sua proprietà per la creazione di una xxxxxx xx x. 0 xxxxxxxxx xxxx XX. 00 (xxxxxxx tracciato) da realizzare con il conferimento di una striscia di terre- no di pari larghezza, da parte dei proprietari di lotti compravenduti con lo stesso rogito 20.9.73); ha affer- mato che il Cat. si era obbligato a conferire due strisce di terreno di m. 3 di larghezza disposte una in posizione parallela alla SS. 16 e l’altra in posizione ortogonale ri- spetto alla stessa strada; affermazione palesemente in contrasto con la lettera del testo della clausola, che pre- vede il conferimento da parte del Cat. di una sola stri- scia di terreno e soltanto per la creazione di una strada parallela alla SS. 16, e non anche per la creazione di al- tra xxxxxx xxxxxxxxxx xxxx XX. 00.
La corte territoriale, quindi, ha dedotto che la comu- ne intenzione delle parti era quella di costruire anche una xxxxxx xxxxxxxxxx xxxx XX. 00, individuando nel ri- ferimento della clausola alla duplicità dei confini, l’e- lemento della duplicità di direzione degli stessi (una verso la part. 117 e l’altra verso la part. 128), e suppor- tando tale convincimento non con le indicazioni con- tenute nel testo, che facendo riferimento alla posizio- ne parallela alla SS. 16 della strada da creare con i conferimenti, escludeva la bidirezionalità dei confini, procedendo, perciò, senza verificare se tale esclusione (della bidirezionalità dei confini) potesse trovare una alternativa nello stato dei luoghi (cosa in realtà possi- bile visto che il confine della part. 134 nel lato paral- lelo alla SS. 16 delimita nel fronte ad esso prospicien- te, due terreni appartenenti a proprietari diversi - la part. 117 a P. A. e la part. 124 alla venditrice Xxxx.); e quindi, senza dar conto del perché la duplicità dei confini non potesse essere intesa come confini di ter- reni adiacenti sulla stessa linea appartenenti a proprie- tari diversi.
La corte d’appello, invece, allontanandosi dal testo scritto ha richiamato, da un lato il comportamento del Cat. anteriore alla stipula del contratto definitivo, e cioè l’obbligo che il medesimo si era assunto all’atto della stipula del preliminare, cioè di lasciare tre metri lungo il “fronte prospiciente la strada interpoderale do- ve confinano i F.lli Cro.”, individuato dalla corte come ortogonale alla SS. 16; e dall’altro lato ha evidenziato il comportamento successivo al contratto, tenuto dallo stesso Xxx. che, nel presentare il progetto per la realizza- zione della recinzione e nella posizione in loco della pietra di fondazione, aveva previsto una zona di rispetto di m. 3 dal confine proprio sul lato prospiciente la pro-
prietà Cost., sempre, cioè in posizione ortogonale alla SS. 16.
Così procedendo la corte ha inteso superare l’equivo- cità insita nel riferimento alla duplicità dei confini del- la part. 134 (equivocità determinata dalla mancata in- dicazione della part. 128 di proprietà Xxxx., come quel- la che si pretende corrispondente ad una direzione dei due confini richiamati), ponendosi in contrasto con l’intenzione delle parti manifestata attraverso la lettera del testo, esprimente la chiara volontà delle stesse di conferire una sola striscia di terreno per la creazione di una sola xxxxxx xxxxxxxxx xxxx XX. 00; configurando una volontà delle parti difforme dal contenuto del testo scritto, attraverso la prospettazione della diversa vo- lontà delle stesse contenuta nel contratto preliminare, in contrasto con il principio, costantemente ribadito da questa corte secondo il quale, nel caso di disciplina difforme fra contratto preliminare e contratto definiti- vo prevale la disciplina del contratto definitivo; indivi-
duando, nella destinazione della costruenda strada al servizio dei lotti compravenduti con il rogito 20 set- tembre 1973 e di quelli compravenduti in precedenza, l’elemento determinante la necessità della esistenza di una comune intenzione delle parti di voler costruire anche la xxxxxx xxxxxxxxxx xxxx XX. 00, necessità con- traddetta dal collegamento dei lotti in questione (partt. 126 e 122) alla costruenda xxxxxx xxxxxxxxx xxxx XX. 00, xxxx xxxxxxxxx dall’obbligo assunto dalla Cost. di conferire una striscia di terreno della misura di m. 3 nel lato della sua proprietà prospiciente la part. 134, e dal collegamento già realizzato dalla Xxxx. nella part. 128 fra la part. 126 e la 124; accertando, conclusiva- mente l’esistenza del consenso del Cat. alla costituzio- ne di una servitù di passaggio sul lato della sua pro- prietà prospiciente la proprietà Cost. al di fuori dell’at- to scritto, previsto ad substantiam per gli atti costitutivi di servitù.
…Omissis…
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO FORMALE ED ELEMENTI EXTRATESTUALI
di Xxxxx Xxxxxxxx
La Suprema Corte torna ad affrontare la questione se l’interpretazione di un contratto, per il quale è previ- sta la forma scritta ad substantiam, possa essere effettua- ta attraverso la valutazione del comportamento com- plessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, qualora il testo letterale dello stesso pre- senti margini di equivocità.
La decisione in esame ha trovato origine nell’actio negatoria servitutis introdotta dal proprietario di un fon- do nei confronti dei proprietari di alcuni terreni confi- nanti.
Con l’atto introduttivo del giudizio, l’attore ha chiesto che il Tribunale di Xxxxxx dichiarasse libero da servitù di passaggio il fondo di sua proprietà e che con- dannasse i convenuti ad astenersi dal passaggio su detto fondo.
I proprietari dei fondi vicini hanno contestato la domanda assumendo che il contratto con cui l’attore aveva acquistato il terreno prevedeva espressamente la costituzione di una servitù di passaggio a carico del ter- reno dell’attore.
A quanto è dato intendere dalla parte della pro- nuncia dedicata allo svolgimento del processo, l’in- tera controversia si è sviluppata sul significato da at- tribuirsi alla clausola dell’atto notarile di acquisto del fondo, che, secondo l’interpretazione dell’attore, pre- vedeva l’obbligo in capo a quest’ultimo di conferire una striscia di terreno lungo il confine di proprietà; mentre, secondo l’interpretazione dei convenuti, prevedeva l’obbligo di conferire due strisce di terre-
no, una parallela ed una ortogonale “rispetto alla S.S. 16”.
La domanda dell’attore ha trovato accoglimento nella sentenza del Tribunale di Xxxxxx che ha dichiara- to il fondo libero da servitù; tuttavia tale pronuncia è stata riformata dalla Corte d’Appello di Campobasso che ha ritenuto sussistente la servitù di passaggio in conformità a quanto sostenuto dagli appellanti (origi- nari convenuti).
La Suprema Corte, in forza del principio enuncia- to in massima, ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso proposto dall’originario attore, sostenendo che la Corte d’appello di Campobasso è incorsa in errore laddove: a) ha affermato che il proprietario del fondo
«si era obbligato a conferire due strisce di terreno»; b) ha dedotto che «la comune intenzione delle parti era quella di costruire anche una xxxxxx xxxxxxxxxx xxxx X.X. 00»; c) ha configurato, in definitiva, «una volontà delle parti difforme dal contenuto del testo scritto».
Con la pronuncia in esame, il Supremo Collegio si occupa della delicata questione relativa all’utilizzo di elementi extratestuali e, tra essi, del comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusio- ne del contratto, ex art. 1362, comma 2, c.c., al fine dell’interpretazione di un contratto per il quale sia ri- chiesta la forma scritta ad substantiam.
Il principio che si legge nella pronuncia secondo cui la condotta delle parti non può evidenziare, nei contratti formali (quale è quello avente ad oggetto la costituzione di un diritto reale), “la formazione del con-
senso al di fuori” dal dato letterale dell’atto, ha diversi precedenti in senso conforme (1).
Sulla scorta di tale principio, il Giudice di legitti- mità ha ritenuto che la Corte d’appello di Campobasso abbia violato il disposto degli artt. 1362 e ss. e 1350 c.c., in quanto, facendo riferimento alla condotta delle parti anteriore e successiva alla stipulazione del contrat- to (soggetto a forma scritta ad substantiam), è pervenuta ad una conclusione «palesemente in contrasto con la lettera del testo della clausola, che prevede il conferi- mento (da parte dell’originario attore) di una sola striscia di terreno e soltanto per la creazione di una strada pa- rallela alla S.S. 16, e non anche per la creazione di altra xxxxxx xxxxxxxxxx xxxx X.X. 00».
Deve segnalarsi, sin d’ora, che, oltre a quello espresso dalla sentenza in commento, vi è pure un di- stinto e meno rigoroso indirizzo giurisprudenziale che ritiene applicabile il criterio di cui al capoverso dell’art. 1362 c.c. anche ai contratti formali, purché detto crite- rio sia utilizzato al fine di chiarire la comune volontà delle parti enunciata nell’atto scritto e non al fine di evidenziare una volontà difforme dalla lettera del con- tratto (2).
Alla base dei due contrapposti orientamenti vi è il difficile equilibrio, tanto più difficile nei contratti for- mali, tra la libertà di scelta dei termini espressivi utiliz- zati dalle parti e l’esigenza di oggettività delle dichiara- zioni contenute nel negozio formale.
Se, infatti, i requisiti di forma scritta assolvono an- che una funzione di certezza relativa al contenuto dei rapporti giuridici, non è sufficiente, al fine di ammette- re la possibilità dell’interpretazione dell’atto scritto alla stregua di criteri extratestuali, richiamare il fine ultimo cui tende l’interpretazione, costituito dalla comune in- tenzione dei contraenti, essendo necessaria la verifica se una interpretazione antiletterale possa vanificare le sot- tolineate esigenze di certezza (3).
Partendo da questa considerazione e prima di af- frontare la problematica dell’applicabilità del capoverso dell’art. 1362 c.c. ai negozi formali, è necessario chie- dersi quando, in linea generale, l’indagine dell’interpre- te possa estendersi ad elementi extratestuali.
A tale scopo, senza richiamare l’annoso dibattito sul valore del brocardo in claris non fit interpretatio (4),
Note:
(1) Da ultimo, la II Sezione della Suprema Corte di cassazione con la sentenza, 4 giugno 2002, n. 8080, in Giust. civ. Mass., 2002, 959, ha avuto modo di esprimere il medesimo principio; inoltre, la Corte con la sentenza, 2 giugno 2000, n. 7416, in Giust. civ. Mass., 2000, 1205, ha fatto applicazione del richiamato principio in relazione ad una vicenda in cui le parti di una compravendita avevano individuato «esattamente le cantine che intendevano vendere ed acquistare, unitamente ai rispet- tivi appartamenti, indicandole però con dati catastali errati ... conse- gnando tuttavia, la venditrice a ciascun acquirente e ricevendosi questi le cantine originariamente abbinate agli appartamenti e non quelle in- dicate nelle nuove schede catastali, consegna dimostrativa della comu- ne intenzione delle parti».
Ed ancora, la Suprema Corte con la sentenza, 17 febbraio, 1967, n. 395,
in Giur. it., 1967, I, 1, 627, ha avuto modo di affermare che «nell’inter- pretare una clausola negoziale il giudice non può valersi degli elementi deducibili dal comportamento delle parti in sede di esecuzione del nego- zio fino a mutare le linee essenziali della volontà espressamente e valida- mente manifestata».
Con particolare riferimento alla determinabilità dell’oggetto di un con- tratto formale per il mezzo del comportamento delle parti successivo alla stipula, si rammentano: Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1999, n. 6214, in Giust. civ. Mass., 1999, 1442, nella quale si legge che «per i contratti per i quali e’prescritta la forma scritta ad substantiam la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma per tutti gli elementi essenziali e per- tanto l’oggetto di esso deve esser almeno determinabile in base ad ele- menti risultanti dall’atto stesso e non aliunde, non potendo a tal fine ap- plicarsi il capoverso dell’art. 1362 c.c., a norma del quale l’intenzione dei contraenti può esser desumibile anche dal loro comportamento complessivo, posteriore alla conclusione del contratto,né l’art. 1371 c.c., norma di chiusura rispetto alla predetta»; Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1995, n. 6201, in Giust. civ., 1996, I, 455, nella quale si afferma che
«l’oggetto del contratto per il quale è necessaria la forma scritta può considerarsi determinabile, benché non indicato specificamente, solo se sia con certezza individuabile in base agli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso atto scritto, senza necessità di fare ricorso al comportamento successivo delle parti, dovendosi escludere, in una tale evenienza, la possibilità di applicazione, per la determinazione dell’oggetto del con- tratto, della regola ermeneutica dell’art. 1362 comma 2 c.c., che con- sente di tenere conto, nella ricerca della comune intenzione delle parti, del comportamento di questi successivo alla conclusione del contratto». Nello stesso senso della massima ora riportata, Cass. civ., sez. II, 11 apri- le 1992, n. 4474, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 4; Cass. civ., sez. II, 3
agosto 1992 n. 9232, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 8-9.
(2) La Suprema Corte con la sentenza, 6 marzo 1995, n. 2570, in Giust. civ. Mass., 1995, 523, ha avuto modo di affermare che allorquando si controverta sulla natura preliminare o definitiva di un contratto di compravendita immobiliare e si accerti che il contraente, che ne conte- sta la natura preliminare, ha esercitato, relativamente al contratto stes- so, l’azione per l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il con- tratto, l’introduzione di tale giudizio «può essere valutata dal giudice - unitamente ad ogni altro elemento - come comportamento idoneo ad individuare la comune intenzione delle parti ex art. 1362 comma 2 c.c.».
Ed ancora, la Suprema Corte, con la sentenza, 13 marzo 1992, n. 3048, in Giust. civ. Mass., 1992 fasc. 3, ha ritenuto, con specifico riferimento all’oggetto ed agli altri elementi essenziali di un contratto formale, che tali elementi debbano risultare dalla lettera della scrittura «il cui conte- nuto può, però, essere accertato dal giudice di merito utilizzando, per l’interpretazione della volontà negoziale secondo i criteri stabiliti dal- l’art. 1362 e ss. c.c., il comportamento delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto, riferito dai testimoni e risultante dai docu- menti».
Altre due più risalenti pronunce della Suprema Corte hanno evidenzia- to che la previsione dell’art. 1362 comma 2 c.c. costituisce un criterio ermeneutico adottabile anche per i contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, laddove sia diretto a chiarire la comune volontà delle parti consacrata nell’atto scritto e non ad evidenziare la formazione del consenso all’infuori dello scritto: così, Cass. civ., sez. II, 26 agosto 1985,
n. 4526, in Giust. civ. Mass., 1985, fasc. 8 - 9; e Cass. civ., sez. II, 5 giu- gno 1984, n. 3398 in Giust. civ. Mass., 1984, fasc. 6.
Si segnala infine che anche la giurisprudenza di merito è pervenuta a conclusioni analoghe a quelle ora riportate. Si veda in proposito Trib. Piacenza, 16 maggio 1994, in Gius, 1995, 950.
(3) Per un più approfondito esame dei principi in materia di forma del contratto si rinvia a: Xxxxxxxxxx, voce Forma degli atti (dir. priv.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 988 ss.; Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridi- co, Torino, 1952, 285; Perlingeri, Forma dei negozi e formalismo degli inter- preti, Napoli, 1987; Xxxxx, Il contratto, in Trattato Vassalli, Torino, 1975, 420 e ss; Di Paolo, La forma del contratto, in Nuova Giur. civ. comm., 1991, II, 172 e ss; Cian, Forma solenne ed interpretazione del negozio, Pa- dova, 1969, 6.
(4) Sul punto si sono formati due orientamenti giurisprudenziali: per il primo, il disposto dell’art. 1362, comma 1, c.c. va inteso nel senso che
(segue)
viene in aiuto la felice sintesi di X. Xxxxx il quale, dopo aver precisato che il vero problema non è il “trattamen- to” della dichiarazione chiara, ma comprendere se una dichiarazione intrinsecamente chiara possa «divenire oscura per effetto di indici estratestuali»; conclude af- fermando che un mezzo ermeneutico può sempre essere invocato contro la lettera “chiara”, in quei casi «in cui abbia in sé tanta forza e tanta capacità di convinzione da modificarne il significato» (5).
Quindi, la intellegibilità e la chiarezza di una di- chiarazione non preclude, in linea generale, di far ricor- so ad elementi esterni al testo per ricercare la comune intenzione delle parti.
Questa conclusione si complica allorché vengano in considerazione i negozi formali, per i quali la pronun- cia in esame esclude la rilevanza di elementi che non siano stati recepiti nel testo scritto.
Ad un distinto risultato perviene parte della dot- trina che, affrontando la questione su un piano più ge- nerale, ha individuato tre categorie di requisiti di forma a cui conseguono tre diverse estensioni dell’applicabi- lità dei criteri ermeneutici dettati dal codice civile: 1) la scrittura privata; 2) l’atto pubblico; 3) e gli atti che, per disposizione normativa, devono utilizzare determi- nate espressioni verbali.
1) Quanto alla scrittura privata, l’indirizzo dottri- nario prevalente pare orientarsi, con prese di posizione più o meno decise, nel senso di ritenere che i principi generali dell’interpretazione del contratto trovino inte- grale applicazione, anche nell’ermeneusi del contratto formale, laddove il comportamento successivo delle parti sia finalizzato a chiarire la comune intenzione del- le stesse (6).
A questa dottrina, si aggiunge altra, più cauta, che afferma la rilevanza del comportamento delle parti nel limite in cui tale condotta «rifletta uno dei significati probabili della dichiarazione, e non aggiunga comun- que ad essa un qualche senso ulteriore (altrimenti sa- rebbe intaccato il requisito della forma)» (7).
È stato sottolineato da altra fonte dottrinaria che le condotte tenute dalle parti possono rilevare non solo ai fini dell’interpretazione del contratto, «ma an- che ai fini della sua integrazione o, più esattamente, dell’integrazione del relativo testo. Fermo in ogni ca- so restando che quando si tratta di contratto che deb- ba essere fatto per iscritto a pena di nullità ... tali comportamenti potranno concorrere ad integrare il testo solo quando si siano estrinsecati in quella stessa forma, vale a dire documentale, oppure in termini che non lascino dubbi sulla precisa volontà delle par- ti di assumere quel determinato impegno di natura negoziale»(8).
2) Quanto poi agli atti pubblici, l’interpretazione degli stessi presenta maggiori profili di complessità, da un lato, per la presenza di un requisito di forma ancor più rigoroso e, dall’altro lato, per la presenza del pubbli- co ufficiale rogante, che, pur essendo estraneo all’atto,
ha il compito di recepire e formalizzare la volontà delle parti (9).
La questione viene posta dalla dottrina nella pro- spettiva di verificare quale rilievo debba essere dato alla volontà del dichiarante, nell’ipotesi in cui essa diverga dal significato tecnico delle espressioni impiegate dal pubblico ufficiale; in altre parole, se l’intendimento sog- gettivo della parte, non recepito nell’atto solenne, pos- sa comportare un’interpretazione dello stesso non conforme al dato letterale (10).
Una prima risposta a tale quesito è stata prospetta- ta nel senso di affermare che, nei limiti in cui l’intendi-
Note:
(segue nota 4)
l’analisi del significato letterale delle parole costituisce criterio fonda- mentale e prioritario di interpretazione sì che ove le espressioni usate nel contratto siano di chiara ed inequivoca significazione la ricerca di una contraria volontà delle parti è preclusa in virtù del principio “in cla- ris non fit interpretatio” (così Cass., 20 marzo 1996, n. 2372, in Giust. civ. Mass., 1996, 396; Cass., 6 ottobre 1995, n. 10521, in Giust. civ., 1996,
I, 67; Cass., 18 aprile 1995, n. 4333, in Giust. civ., 1996, I, 1451; Cass.,
28 giugno 1986, n. 4309, in Arch. giur., 1986, 1087); e per il secondo, il senso letterale delle parole adoperate dai contraenti si pone come primo ma non preminente strumento ermeneutico, con la conseguenza che
«l’elemento letterale esaurisce ed assorbe ogni altro possibile mezzo di interpretazione soggettiva solo quando non sussista alcuna ragione di di- vergenza tra le espressioni adoperate nel contratto e lo spirito della con- venzione» (così Cass., 18 agosto 1986, n. 5073, in Giust. civ. Mass., 1986, fasc. 8-9. Cfr altresì Cass., 16 aprile 1993, n. 4507, in Giust. civ.,
1993, I, 2689; Cass., 8 marzo 1986, n. 1582, in Giust. civ. Mass., 1986,
fasc. 3, Cass., 20 gennaio 1984, n. 511, in Giust. civ. Mass., 1984, fasc. 1.
(5) Xxxxx, Il contratto, cit., 769.
(6) Per l’applicazione integrale dei criteri ermeneutici dettati dal codice civile, nell’interpretazione della scrittura privata (ove sia prevista la for- ma scritta ad substantiam), si sono espressi: Xxxxxxxxx Xxxx, op. cit, 48; Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2001, 472, il quale ha precisato che «se il contratto ri- chiede forma scritta, l’essenziale è che abbia un testo (scritto); ma il suo significato, conforme alla volontà delle parti, può ricavarsi anche da ele- menti esterni al testo»; De Nova, Il contratto, tomo II,Torino, 2004, 404, il quale ha affermato che «Il comportamento posteriore è rilevante anche quando si tratti di contratti traslativi immobiliari, formali»; Bian- ca, Diritto civile, Il contratto, III, Milano, 1984, 415, il quale ha osservato che «I criteri legali d’interpretazione del contratto trovano applicazione anche quando sia richiesta una determinata forma a pena di nullità».
(7) Così, Maiorca, Il contratto, profili della disciplina generale, Torino, 1984, 240. Inoltre, Xxxx, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano, 1967, 35 e ss., con specifico riferimento all’interpretazione del negozio testamentario, precisa che la forma non ha il compito di preclu- dere l’uso di elementi interpretativi estrinseci, ma «di segnalare il limite, oltre il quale questo uso menerebbe a ricostruire una decisione incom- patibile con il tenore del negozio».
(8) Cfr. in tal senso Carresi, Dell’interpretazione del contratto (Art. 1362 - 1371), in commentario del codice civile Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 1992, 32.
(9) Per un’ampia trattazione sull’interpretazione dell’atto notarile, si ve- dano: Speciale, Interpretazione del negozio notarile e le scritture antecedenti, in Riv. dir. civ., 1984, parte II, 632 e ss.; Xxxxx, Interpretazione dell’atto no- tarile, in Riv. not., 1960, 1.
(10) Questa materia è stata ampiamente affrontata nell’opera, di Xxxx, Forma solenne e interpretazione del negozio, cit., 161 e ss., nella quale l’Au- tore dedica un capitolo alla modificazione dei canoni ermeneutici gene- rali, in caso di contratto per atto pubblico.
mento soggettivo del dichiarante può influire sul signi- ficato della dichiarazione, “non si può non guardare, at- traverso un esame delle circostanze esterne che accompagna- rono la dichiarazione, all’intendimento soggettivo della parte quale si configurò nel momento in cui con la sua adesione essa fece proprio il contenuto espressivo della scheda redatta dal pubblico ufficiale” (11).
Partendo da questa considerazione, la conclusione a cui è pervenuta, in seguito, la dottrina pare tendere a limitare ed a orientare l’interpretazione del contratto formale nella prospettiva di trovare un bilanciamento degli interessi tutelati, da un lato, dal requisito di forma e, dall’altro lato, dal principio di libertà di scelta dei mezzi espressivi (12).
3) Quanto, infine, agli atti che, per disposizione normativa, devono utilizzare determinate espressioni verbali, l’interpretazione degli stessi non pare presenta- re profili di interesse in questa sede: al limite la diver- genza tra quanto voluto dalla parte e quanto scritto nel- l’atto potrebbe rilevare sotto il profilo dell’errore (13).
Un dato che pare potersi trarre dai richiamati orientamenti dottrinali è quello per cui l’interpretazio- ne del contratto o, più in generale, del negozio deve essere svolta anche in relazione alla valutazione della funzione che la forma è, caso per caso, chiamata a svol- xxxx: solo dopo aver valutato gli interessi che le pre- scrizioni di forma tutelano, pare possibile comprendere se ci si debba attenere ad un’interpretazione rigorosa- mente oggettiva legata all’impiego del generale uso linguistico, o se sia invece possibile l’impiego di ele- menti extratestuali.
Le problematiche correlate all’interpretazione del contratto formale si intrecciano con quelle sottese al- l’interpretazione del testamento, con particolare riferi- mento al principio espresso dal noto brocardo falsa de- monstratio non nocet.
In forza di tale principio, allorché un soggetto ma- nifesti la propria volontà utilizzando una terminologia impropria ed inadatta a comunicare esattamente il pro- prio pensiero, tra le parti deve ritenersi prevalente la reale intenzione del dichiarante sulla dichiarazione, prescindendo dall’inadeguatezza dei mezzi espressivi uti- lizzati.
Per quanto concerne gli atti di ultima volontà, è ampiamente sostenuto in dottrina (14) ed in giurispru- denza (15) che il linguaggio utilizzato dal testatore deve essere interpretato con riferimento al significato che, ad esso, aveva attribuito il dichiarante e ciò anche in ra- gione del disposto dell’art. 625 c.c.
Il menzionato disposto normativo, infatti, è espres- sione del principio falsa demonstratio non nocet, con spe- cifico riferimento ai casi di erronea indicazione dell’ere- de o del legatario e di erronea indicazione della cosa che forma oggetto della disposizione testamentaria.
Se, quindi, il principio falsa demonstratio non nocet è applicabile al testamento, tipico negozio formale, si pone il problema di verificare se il medesimo principio
possa essere esteso all’interpretazione dei contratti for- mali (16).
Note:
(11) Cian, cit., 181 e ss.
(12) Si vedano in proposito: Cremona, L’interpretazione del contratto, in Effetti, invalidità e risoluzione del contratto, IV, tomo I, in I contratti in generale diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxx, Torino, 1991, 93 e ss.; Xx- xxxxxxx Xxxx, xx. xxx, 00; Xxxxxx, Diritto civile, Il contratto, III, Milano, 1984, 415.
(13) In questo senso si sono espressi: Xxxxxxxxx Xxxx, L’interpretazione del contratto, in Il Codice civile - Commentario, diretto da Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Milano, 1991, 48; nonché Cian, op cit. 9 e ss..
(14) In tal senso si sono espressi: Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi ad esso estranei, in Giur. it., 1956, I, 1, c. 445 e ss., il quale afferma che «si possono cercare fuori del testamento elementi per la interpretazione soggettiva, anche quando il testo appare chiaro»; Xxxx, op. cit., 191, il quale precisa che, nell’interpretazione del testamento, l’utilizzo di elementi estrinseci «può rispondere a vari scopi: così a chia- rire luoghi oscuri od ambigui, come a circoscrivere incertezze ed a rettifi- care enunziative erronee». Nella medesima prospettiva si muovono le considerazioni di Xxxxxxx, Interpretazione del negozio e teoria del linguag- gio (note sull’art. 625 c.c.), in Jus, 1989, 3 e ss., il quale sostiene, tra l’al- tro, che «nell’ipotesi dell’art. 625 si può parlare di errore sull’identità non come stato psicologico, ma solo in un senso oggettivo riferito all’i- dentificazione errata dell’onorato o della cosa prodotta nella dichiara- zione dall’errore di linguaggio o di denominazione o descrizione com- messo dal dichiarante».
Più di recente, Xxxxxx, Note in margine a un caso di falsa demonstratio del beneficiario di una disposizione testamentaria, in Giur. it., 2002, 2071 e ss., ove più ampi riferimenti.
(15) È principio comunemente sostenuto dalla giurisprudenza quello per cui «in tema d’interpretazione del testamento, la volontà del testa- tore può desumersi anche da elementi estrinseci rispetto alla scheda te- stamentaria, quali la cultura, il livello d’istruzione scolastica, la menta- lità e l’ambiente di vita» (così, Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2001, n. 3940, in Giust. civ. Mass., 2001, 525 e segnalata in Fam. e dir., 2001, 444); ed ancora, quello per cui «l’interpretazione di una disposizione te- stamentaria volta a determinare se il testatore abbia voluto disporre una sostituzione fedecommissaria o una costituzione testamentaria di usu- frutto, deve necessariamente muovere dalla ricerca della effettiva vo- lontà del de cuius, attraverso l’analisi delle finalità che il testatore inten- deva perseguire, oltre che attraverso il contenuto testuale della scheda testamentaria» (così, Cass. civ., sez. II, 18 settembre 1998, n. 9320, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 110).
Nel medesimo senso: Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1990 n. 2107, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 3; Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989 n. 2556, in
Giur. it., 1990, I, 1, 78; Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1987 n. 4814, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 5; Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 1987 n. 1266, ivi, 1987, fasc. 2 ed in Riv. notar., 1987, 589; Cass. civ., sez. II, 28
novembre 1986 n. 7025, in Giust. civ. Mass., 1986, fasc. 11; Cass. civ.,
sez. II, 28 agosto 1986 n. 5278, ivi, 1986, fasc.8 - 9; Cass. civ., sez. II, 19
gennaio 1985 n. 141, ivi, 1985, fasc. 1; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio
1985 n. 252, ivi, 1985, fasc. 1 ed in Riv. notar., 1985, 1001; Cass. civ.,
sez. II, 28 novembre 1984 n. 6190, in Giust. civ. Mass., 1984, fasc. 11;
Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984 n. 3972, ivi, 1984, fasc. 7; Cass. civ., sez.
II, 7 gennaio 1984 n. 110, ivi, 1984, fasc. 1. ed in Riv. notar., 1984, 659; Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1983 n. 1494, in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 2; Cass. civv, sez. II, 15 aprile 1982 n. 2279, ivi, 1982, fasc. 4; Cass.
civ., sez. II, 13 gennaio 1981, n. 275, ivi, 1981, fasc. 1; Cass. civ., sez. II,
18 giugno 1980 n. 3872, ivi, 1980, fasc. 6; nonché, Trib. Vallo della Lu-
cania, 17 aprile 2002, in Giur. it., 2002, 2070 e ss.; Trib. Venezia, 25 lu-
glio 1992, in Giur. it. 1993, I, 2, 118 ed in Riv. notar. 1993, 719.
(16) Per quanto concerne i contratti non soggetti a prescrizioni di for- ma, l’applicabilità del principio falsa demonstratio non nocet è data per in- contestata in dottrina, allorché il destinatario della dichiarazione abbia recepito correttamente il significato attribuitole dal dichiarante. In que- sto senso: Xxxxxxxxx Xxxx, op. cit., 48; Xxxx, op. cit., 180 e ss..
In relazione a tale questione, è stato osservato che sia il disposto dell’art. 1362 c.c., primo comma (il quale prescrive di ricercare “la comune intenzione delle par- ti”, senza limitarsi al senso letterale delle parole) sia il disposto dell’art. 1364 c.c. (il quale dispone che le espressioni generali usate nel testo contrattuale devono essere interpretate con riferimento all’oggetto su cui “le parti si sono proposte di contrattare”) tendono a dare valore preponderante alla volontà effettiva del dichia- rante sulla dichiarazione, laddove non venga leso l’affi- damento del destinatario.
Ad ulteriore conforto di questi riscontri normativi, è stato sostenuto che, non si vede perché la ricerca del-
xxxxx, allorquando il destinatario abbia recepito in pie- no tale volontà, facendo salva così ogni esigenza di tu- tela dell’affidamento (17).
Sulla scorta di questo ragionamento, è stato affer- mato che vi sono «elementi più che sufficienti per fare ammettere la validità del canone falsa demonstratio non nocet in campo contrattuale, quando naturalmente sia salvo l’affidamento della controparte». E ciò poiché il requisito di forma non pare comportare una limitazione della li- bertà di scelta del linguaggio, ma, più semplicemente, impone che la volontà venga manifestata attraverso lo scritto (18).
la effettiva volontà del dichiarante possa essere utilizza-
ta ai fini dell’annullamento del contratto per errore ex art 1433 c.c. (errore nella dichiarazione) e non anche per determinare il significato giuridico della dichiara-
Note:
(17) Cian, op. cit., 107 e ss..
(18) Cian, op. cit., 110.