Transazione tra le parti ed accertamento ispettivo
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Transazione tra le parti ed accertamento ispettivo
a cura di Xxxxxxxx Xxxxx – Direttore della Direzione provinciale del Lavoro di Modena3
Il contesto
Molte volte, nel corso dell’attività di vigilanza svolta sia dalle articolazioni periferiche del Ministero del Lavoro che dagli Istituti previdenziali, dai datori di lavoro viene opposta agli ispettori la circostanza che le parti hanno raggiunto un accordo circa la qualificazione giuridica del rapporto, con la conseguenza che, con tale atto, debba essere precluso ogni successivo accertamento. E, si badi bene, questo non riguarda soltanto le transazioni raggiunte in “sede privata”, ma anche quelle alle quali il Legislatore ha riconosciuto una sorta di “supremazia legale”: ci si riferisce alle conciliazioni avvenute in sede giudiziale e a quelle intervenute avanti alla commissione provinciale di conciliazione (art.410 cpc) o in sede sindacale (art.411 cpc).
Intervenendo sull’argomento, il Dicastero del Lavoro con nota n.17056 del 10 novembre 2009, rispondendo ad un quesito di una Direzione territoriale che chiedeva “lumi” circa la possibilità di annullare in sede di autotutela l’ordinanza – ingiunzione adottata, tenuto conto della conciliazione intervenuta in sede giudiziale (e, quindi, siamo ben oltre la fase dell’accertamento), ha osservato che l’oggetto della transazione non è la situazione giuridica, ma la lite tra le parti cui le stesse hanno posto fine facendosi reciproche concessioni. Sulla base di tale principio, la Direzione Generale per l’Attività Xxxxxxxxx ritiene che non possano trarsi elementi di prova circa l’effettività del rapporto e, soprattutto, la sua qualificazione giuridica.
Del resto, da una transazione che abbia per oggetto rivendicazioni di natura economica, non scaturisce alcun obbligo per la Pubblica Amministrazione di astenersi dal portare a termine la procedura sanzionatoria, anche nei suoi
sviluppi processuali, atteso che l’oggetto della stessa è rappresentato da sanzioni di natura amministrativa, per le quali esiste una preclusione circa la possibilità di giungere ad accordi di natura transattiva.
Sul punto l’Avvocatura dello Stato, fornendo alla Direzione Generale per l’Attività Ispettiva un proprio parere sull’argomento, ha affermato, in data 18 maggio 2009, che il potere sanzionatorio è, sì, emanazione del provvedimento, ma anche corretta applicazione del “quantum” (nei limiti minimi e massimi previsti), la cui legittimità è rimessa alla decisione dell’autorità giudiziaria, senza il riconoscimento di alcun potere discrezionale che andrebbe ad inficiare la funzione “deterrente” della sanzione.
L’Avvocatura ha continuato sottolineando che:
a) una diversa interpretazione vanificherebbe, oltre alla potestà sanzionatoria in quanto tale, anche l’istituto dell’oblazione, con pagamento in misura ridotta, previsto dall’art.16 della L. n.689/81;
b) se il debitore non si avvale della previsione normativa appena enunciata non può, poi, avvalersi di altri mezzi per l’abbattimento del “quantum”, come accadrebbe se si
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Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per
l’Amministrazione di appartenenza.
accedesse all’ipotesi della piena legittimità, anche per l’aspetto sanzionatorio, dell’accordo transattivo raggiunto tra le parti;
c) spetta soltanto al Legislatore, seguendo scelte di “natura politica”, determinare, per specifiche sanzioni, la condonabilità del dovuto;
d) l’Amministrazione deve esigere tutta la somma liquidata, arrestandosi soltanto di fronte ad una accertata totale o parziale inesigibilità;
e) il debitore, in difficoltà economiche, può ricorrere al pagamento rateale disciplinato dall’art.26 della L. n.689/81.
La posizione dell’Avvocatura dello Stato è stata, in un secondo momento (prot. n.25/I/0014550 del 6 ottobre 2009), resa nota a tutte le articolazioni periferiche del Ministero del Lavoro.
Se quanto appena detto è chiaro (e si è nella fase in cui è già stata emessa l’ordinanza – ingiunzione), lo è maggiormente anche nella c.d. “fase di accertamento”: l’accordo economico transattivo (soprattutto, allorquando si parla di “liberalità” e di non riconoscimento di alcuna subordinazione) che comprende anche la qualificazione giuridica del rapporto, non vincola in alcun modo gli organi di vigilanza, quandanche lo stesso sia avvenuto nelle forme che rendono “tombale” tra le parti la transazione.
Gli orientamenti dell’Inps e della giurisprudenza
La circolare Inps n.263 del 1997, successiva all’art.6 del D.Lgs. n.314/97, riferendosi alla fase dell’accertamento, aveva già affermato che, indipendentemente da come i soggetti contraenti qualifichino la transazione, si rende necessaria una verifica della reale natura delle somme erogate, per verificare se le stesse hanno natura retributiva, con ogni conseguenza in ordine all’imponibilità contributiva. Ciò significa che l’atto transattivo, inoppugnabile per i contenuti economici, non vincola in alcun modo l’organo di vigilanza circa un possibile riferimento contributivo di certe somme corrisposte, nei limiti della prescrizione, essendo l’imponibilità strettamente correlata ad una relazione tra queste ed il rapporto di lavoro.
E sempre riferendosi alla fase dell’accertamento (oltre modo importante, atteso che da una qualificazione giuridica diversa discendono importi contributivi diversi) la Corte di Cassazione, con sentenza n.17845 del 28 luglio 2009, ha affermato che sulle somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di transazione, pur restando insensibile l’obbligazione contributiva agli effetti della transazione, l’Inps è abilitato ad azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, che le eventuali somme concesse a tale titolo sono assoggettabili a contribuzione. Tale interpretazione si pone sulla stessa “lunghezza d’onda” di una precedente sentenza della Suprema Xxxxx, xx x.0000 del 9 maggio 2002, laddove si è affermato che il principio secondo cui le erogazioni dipendenti da transazioni aventi la finalità non di eliminare la “res dubia”, ma di evitare il rischio della lite stessa e non contenenti un riconoscimento neppure parziale del diritto del lavoratore, va coordinato con il concetto secondo cui l’indagine del giudice di merito non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni.
Gli effetti della conciliazione monocratica
Ma a questo punto, fermo restando quanto affermato, giustamente, dall’Avvocatura dello Stato e dal Ministero del Lavoro circa i “non effetti” sull’ordinanza – ingiunzione della transazione intervenuta tra le parti, si possono rinvenire nel nostro ordinamento conciliazioni che estinguono il procedimento ispettivo e con le quali l’accordo è “tombale” sia per gli aspetti economici che per quelli
contributivi?
La risposta è positiva, sol che si porga l’attenzione alla disciplina della conciliazione monocratica prevista dall’art.11 del D.Lgs. n.124/04, istituto fortemente rivitalizzato dalla Direttiva del Ministro Xxxxxxx del 18 settembre 2008 e dalla recente circolare del Ministero del Lavoro n.34/09, con le quali, fatte salve rare e circostanziate eccezioni come quella relativa a violazioni di natura penale evidenti, tutte le richieste di intervento pervenute alle Direzioni Provinciali, sono sottoposte al tentativo di conciliazione.
Non è questa la sede per approfondire i contenuti della conciliazione monocratica, i vantaggi ed i passaggi critici: ciò che preme sottolineare per questa riflessione è che il pagamento del “quantum” economico e dei contributi relativi sia alla qualificazione giuridica del rapporto che al periodo concordato tra le parti “estinguono il procedimento ispettivo”. Ciò significa che, per quel rapporto e quelle situazioni lamentate dal ricorrente all’atto della richiesta di intervento, non si procede e, pertanto, non sono applicabili le eventuali sanzioni che potrebbero essere irrogate in caso di riscontro di irregolarità a seguito di accesso ispettivo, non ci sono. L’accordo è inoppugnabile come le transazioni avvenute in sede giudiziale o secondo le procedure previste dagli artt.410 e 411 cpc.
La ragione della “particolarità di trattamento” riconosciuta a questa transazione appare evidente: con la richiesta di intervento non si è ancora attivato il procedimento ispettivo e, quindi, l’organo di vigilanza non ha verificato la fondatezza delle richieste.
Ovviamente, nell’accordo vanno contemperati gli interessi oltre che delle parti, anche degli Istituti previdenziali (per la parte contributiva ed assicurativa) e del Ministero del Lavoro (per la parte sanzionatoria): ciò significa che il conciliatore monocratico (funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro) deve, sì, aiutare le parti a raggiungere una conciliazione, ma deve, svolgendo una funzione attiva, contemperare anche gli altri interessi. Da ciò discende come lo stesso possa rifiutarsi di sottoscrivere “xxxxx xxxxxxx”, transazioni novative o fittizie destinate a creare posizioni previdenziali fasulle.
C’è, poi, un’altra “situazione” nella quale, oggettivamente, gli organi di vigilanza trovano qualche ulteriore difficoltà nell’accertamento: ci si riferisce ai c.d. “rapporti certificati” secondo le procedure previste dagli artt.75 e ss. del D.Lgs. n.276/03. Qui, le parti hanno dato al loro rapporto una determinata qualificazione giuridica, certificata da uno degli organi a ciò deputati: esso regge di fronte a qualsiasi accertamento ispettivo fino a quando un giudice di merito non l’abbia disconosciuto perchè, ad esempio, si è svolto in maniera diversa da come era stato certificato.
Lo stesso organo di vigilanza, fermo restando quanto affermato nella Direttiva del 18 settembre 2008 con la quale il Ministro ha invitato gli organi di vigilanza a non esaminare i rapporti certificati, quandanche volesse disconoscere il rapporto deve passare attraverso il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art.80 del D.Lgs. n.276/03 da tenersi avanti all’organo che ha certificato il contratto.