Convegno del Gruppo di Pisa:
Convegno del Gruppo di Pisa:
“Partiti politici e dinamiche della forma di governo” Università degli studi “Xxxxxxxx xx” di Napoli
14-15 GIUGNO 2019
L’ESPERIENZA DEL “CONTRATTO DI GOVERNO”∗
Xxxxxxx Xxxxxxxx
SOMMARIO: 1. Qualcosa di nuovo…, anzi d’antico: il “contratto di governo”. – 2. La proiezione esterna: il “contratto di governo” come fonte di legittimazione politica. – 3. La rilevanza politico-istituzionale del “contratto di governo”. – 4. Il contesto di riferimento e le sue interazioni specifiche con il “contratto”. – 5. Il “contratto” allo specchio: l’inedita dinamica duumvirale del Governo Conte I. – 6. “Contratto” e azione di governo alla luce della prassi del Governo Conte I. – 7. Il “contratto” nella relazione partiti-Parlamento- Governo, nella prassi del Governo Conte I.
1. Qualcosa di nuovo…, anzi d’antico: il “contratto di governo”
L’avvio della XVIII Legislatura è stato segnato dal ritorno ad un sistema elettorale di tipo prioritariamente proporzionale, che ha posto fine al tentativo di forzare le dinamiche politiche entro logiche bipolari; tentativo per anni percorso, in via principale, tramite il confezionamento di leggi elettorali tendenzialmente maggioritarie, a partire dall’idea che il bipolarismo, combinato a maggioranze parlamentari nette e in sintonia con i governi, avrebbe assicurato una stabile e solida “governabilità” e corretto così il vizio di instabilità dei governi che caratterizza l’ordinamento costituzionale italiano sin dalle sue origini1. L’esperienza degli anni del maggioritario ha invece dimostrato quanto la più avvertita dottrina aveva da tempo sostenuto, ossia che il solo sistema elettorale non è in grado di produrre forzature di tale portata, se innestato su una trama politico-sociale
∗ Contributo sottoposto a referaggio ai sensi dell’art. 5 del Regolamento della Rivista.
1 Cfr. X. XXXXXXX, Le inesauste ragioni e gli stridenti paradossi della governabilità, in Xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 3/2015, 39 ss., che esattamente rileva come la questione possa essere (e sia stata, almeno in sede costituente) affrontata da due diverse prospettive: l’una, attenta ai meccanismi istituzionali, l’altra, ai fattori politici e sociali che rendono possibile la stabilità di governo. La prevalenza, nel dibattito istituzionale, del primo solo dei due approcci ha costituito un limite rilevante (ripercorso dal menzionato scritto nelle sue numerose implicazioni problematiche) che si cercherà di non frapporre alle considerazioni che si svolgeranno in questa sede, sia pur nell’analisi dei limitati profili di cui si occuperà il presente scritto.
ben più complessa e frammentata2. Volendo per il momento semplificare al massimo, l’effetto è stato infatti, semplicemente, quello di spostare la confluenza e la sintesi delle diverse posizioni politiche chiamate a tradursi in una compagine governativa dal momento successivo a quello precedente le elezioni, dando insomma vita a coalizioni (o “cartelli”) meramente elettorali, in cui la conflittualità non veniva risolta, ma rimaneva pronta a riaffiorare nel corso della legislatura, imprimendo il proprio segno sull’azione governativa e sul rapporto con i gruppi parlamentari a sostegno dell’Esecutivo.
E così, nonostante i tentativi di riforma intervenuti nel corso degli anni, è rimasta sempre attuale e priva di smentite l’affermazione per cui «la storia dei governi della Repubblica italiana è storia di governi di coalizione»3, sia essa più o meno allargata, meramente governativa o anche elettorale. Ed è congiuntamente – parallelamente o, forse, conseguentemente – una storia di instabilità governativa, di ripetute crisi di governo, frequenti “rimpasti” e sfiducie, di matrice prevalentemente extraparlamentare.
Nel solco di questa storia occorre inscrivere l’esperienza del “contratto di governo” utilizzato quale strumento di raccordo fra le due forze politiche che hanno composto l’Esecutivo del Governo Xxxxx I proprio al proclamato fine di porre un argine all’instabilità governativa. L’idea delle “parti contraenti” era, infatti, quella di implicare una vincolatività giuridica del “contratto” mediante l’assunzione dell’impegno politico-programmatico dinnanzi ad un notaio, facendo di qui muovere il primo passo di quel “cambiamento” di cui il Governo affermava di essere foriero.
Al Contratto per il Governo del cambiamento (d’ora innanzi, anche Contratto di governo o, semplicemente, Contratto) si è giunti nell’ambito di un travagliato procedimento di formazione del governo4. Si ricorderà, infatti, che l’esito delle elezioni del 4 marzo 2018 non ha portato alcuna forza politica ad ottenere una presenza parlamentare tale da sostenere da sola un governo e che alcune delle combinazioni immaginate prima del voto sono state in prima battuta escluse dall’insufficiente numero di seggi ottenuti in Parlamento dalle relative forze politiche5. Si sono così alternate ipotesi di governi politici a quella di un governo tecnico (o, meglio, “neutrale e di servizio”), sino a quella che, dopo diversi giri di consultazioni, è apparsa essere la migliore combinazione, sia dal punto di vista della composizione delle diverse piattaforme programmatiche, sia dal punto di vista dell’ampiezza del sostegno parlamentare6.
2 Si v., a mero titolo esemplificativo, X. XXXXXXX, Le “leggi” sulla influenza dei sistemi elettorali, in Riv. It. Sc. Pol., 1984, 1, 3 ss.; X. XXXXXXX, Sistemi di partito, effetti dei sistemi elettorali dopo il 1993 e riforma elettorale, in X. XXXXX (a cura di), Istituzioni e sistema politico in Italia: bilancio di un ventennio, Bologna, 2015, 87 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici e, di recente, X. XXXXXX, L’incerto monismo. Modello e prassi della forma di governo negli anni 1953-1970, in Quad. Cost., 2019, 45 ss.
3 X. XXXXXXX, Il governo di coalizione, Milano, 1973, 1.
4 V. A. XXXXXXX (a cura di), Dal “contratto di governo” alla formazione del Governo Xxxxx. Analisi di una crisi istituzionale senza precedenti, Napoli, 2018; X. XXXXXXX, Appunti sulla formazione del Governo Xxxxx e sulla fine della riservatezza, in Oss. Cost., 2/2018, 2.7.2018; AA.VV., Il Forum: La intricata vicenda della formazione del Governo Conte, in Rivista del Gruppo di Pisa, 7.11.2018; X. XXXXXXX, Formazione, funzionamento e struttura del governo Conte: luci e ombre sui nuovi sviluppi della forma di governo italiana, in Xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 3/2018, 15.1.2019, 3 ss.; X. XX XXXXX, Qualche considerazione sul “Governo del cambiamento”. “Terza Repubblica o ritorno al passato”?, in Xxxxxxxxxxx.xx, 20.2.2019.
5 In particolare, il crollo dei consensi del PD e di Forza Italia, ben maggiore del previsto, ha impedito la formazione di un governo che mettesse insieme queste due forze politiche e suggerito in prima battuta di escludere un Governo PD-M5S, che avrebbe scontato, insieme alla distanza politica, un sostegno parlamentare piuttosto risicato.
6 Cfr. X. XXXXXXXXX, Risultati elettorali, ristrutturazione del sistema politico e formazione del governo all’inizio della XVIII Legislatura, in X. XXXXXXX (a cura di), Op. cit., 57 ss.
A questo risultato si è giunti dopo oltre tre mesi dalle elezioni, seguendo un percorso non privo di difficoltà, ma anzi segnato da momenti di crisi di gravità per molti profili inedita7. Nell’ambito di questo lungo e dissestato iter, un ruolo centrale ha assunto, sia dal punto di vista sostanziale, sia da quello comunicativo, la stipula fra il sen. Salvini e l’on. Xx Xxxx – rappresentanti, rispettivamente, della “Lega per Salvini premier” (Lega) e del “MoVimento 5 Stelle” (M5S) – del Contratto in cui le due parti hanno sottoscritto, quali soggetti privati, un reciproco impegno al rispetto dei punti concordati, alla loro traduzione in azioni governative e ad adoperarsi per il loro sostegno da parte dei rispettivi gruppi parlamentari8.
L’idea di fondo era, dunque, quella di sostenere una radicale alterità fra gli accordi di governo che hanno caratterizzato la storia repubblicana sin dalle sue origini e il Contratto.
Xxxxxxx, allora, verificare se quest’ultimo possedesse effettivamente elementi di novità rilevanti, tali da segnare una sua diversa natura – giuridica e non solo politica, privatistica e non solo pubblicistica – rispetto agli accordi di coalizione. Tale verifica richiederà una costante comparazione diacronica, da svolgersi con le doverose accortezze dell’analisi comparativa, tenendo conto dei mutati contesti giuridico-politici e delle diverse condizioni di sistema entro le quali gli accordi di coalizione hanno contribuito, nella storia repubblicana, alla costituzione e caratterizzazione dei Governi e della loro attività, in rapporto con il Parlamento.
Ma vi è di più, poiché l’accorta contestualizzazione, in tal caso, non costituisce una mera direttiva metodologica necessaria a svolgere una corretta analisi comparativa, ma un elemento che, come si vedrà, interagisce attivamente con gli accordi di governo, i quali si sono nel corso del tempo modulati al fine di rispondere proprio alle esigenze politico-sociali e istituzionali di volta in volta sussistenti, per poter svolgere un ruolo servente la creazione delle condizioni necessarie per l’ottenimento della fiducia parlamentare.
In primo luogo, lo si accennava in apertura, un dato fondamentale, di cui si terrà conto nella contestualizzazione dell’accordo di governo, è quello del sistema elettorale cui esso si accompagna, poiché, mentre in un sistema elettorale proporzionale le coalizioni si formano dopo le elezioni e, dunque, nell’ambito dell’iter formativo del governo, in un sistema elettorale maggioritario si danno sia alleanze pre-elettorali che post-elettorali (quest’ultime non necessariamente coincidenti con le prime), così che può parlarsi propriamente di accordi di governo solo con riferimento alle seconde9. Inoltre, mentre il sistema elettorale proporzionale, favorendo il multipartitismo e la frammentazione delle forze politiche presenti in Parlamento, rafforza la «necessità istituzionale»10 di concertazione del programma politico in sede di formazione del governo, il sistema maggioritario tende, in linea di
7 Ci si riferisce, evidentemente, alle minacce di ricorso alla messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per le riserve manifestate nei confronti della nomina di Savona al Ministero dell’Economia, su cui v. X. XXXXXXX, La formazione del governo tra dinamiche politiche e vincoli costituzionali (brevi note con riguardo al potere presidenziale di nomina del presidente del consiglio dei ministri e dei singoli ministri), in Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 1/2018, 26.5.2018, oltre ai contributi raccolti in X. XXXXXXX (a cura di), Op. cit., 11 ss. e le risposte alla II Domanda in AA.VV., Il Forum, cit., 11 ss.
8 Cfr., in particolare, il punto 1. Il testo del Contratto è reperibile online all’indirizzo
xxxx://xxxxxxxx.xxxxxxxxxx.xx/xxx/0000/xxxxxxxx/xxxxxxxxx_xxxxxxx.xxx.
9 Si pensi, ad es., all’eclatante caso del Governo Dini del 1995 (su cui v. X. XXXXXXXXX, La cronaca di oggi e la cronaca di ieri. Il Governo Xxxxx ed i “governi del Presidente”, in Xxxxxxxxxxx.xx, 16.11.2011, 5) o quanto accaduto nella scorsa legislatura, quando ad una legge elettorale tendenzialmente maggioritaria ha corrisposto per la prima volta un esito del voto tripolare.
10 Così X. XXXXXXX, Il Governo, cit., 121. Ma v. pure P.A. CAPOTOSTI, Accordi di governo e Presidente del Consiglio dei Ministri, Milano, 1975, 159; C. XXXXXXX, Brevi annotazioni in tema di ingovernabilità, in Scritti in onore di Xxxxxx Xxxxxx, III, Milano, 1984, 226; A. D’XXXXXX, Accordi di governo e regole di coalizione. Profili costituzionali, Torino, 1991, IX e 10 ss.
massima, a “sfumare” tale necessità, consentendo la formazione di accordi pre-elettorali fra forze politiche omogenee o, anche in caso di accordo post-elettorale, fra forze politiche tendenzialmente meno distanti ideologicamente da quelle “forzate” a condurre la trattativa in un sistema proporzionale. E così, mentre gli accordi di coalizione della cd. “prima Repubblica” hanno visto progressivamente crescere il numero di forze politiche coinvolte, insieme alla rispettiva distanza ideologica, gli accordi di governo della “seconda”, sono spesso scaturiti da coalizioni elettorali in cui la frammentazione politica era stata risolta solo in parte o solo apparentemente e al mero fine del successo elettorale, necessitando quindi, altrettanto spesso, di ulteriori integrazioni ai fini di un
compiuto sostegno parlamentare.
Ma anche altri elementi incidono significativamente sulla natura e la fisionomia degli accordi di coalizione. Per fare un solo altro esempio, su cui si dovrà tornare diverse volte nel prosieguo del lavoro, nella fase storica in cui la forma di governo è stata dominata dai partiti politici e dal loro concorso all’effettiva determinazione dell’indirizzo politico, l’accordo è divenuto spesso la sede della sola spartizione delle cariche ministeriali al fine del controllo “esterno” dell’azione di governo, mediante “delegati di partito”, mentre, destrutturati i partiti tradizionali e tramontato il loro monopolio sulle dinamiche fiduciarie, la determinazione della piattaforma programmatica è stata maggiormente accentrata e si è aperta all’influenza determinante di soggetti diversi (il Presidente della Repubblica, soggetti “tecnici” chiamati a rispondere ad esigenze istituzionali o economiche, influenze da parte dell’Unione europea)11. Ciò ha inciso profondamente sia sui contenuti degli accordi sia sulle dinamiche della loro attuazione, oltre che sull’individuazione del soggetto effettivamente responsabile di quell’attuazione.
Tutto ciò rende il tentativo di comparazione fra accordi di governo e Contratto per molti versi sfuggente. Gli esiti che ci si potrà attendere sono per lo più esiti parziali, relativi alla comunanza di alcune caratteristiche con alcuni accordi di coalizione già conosciuti, o di distanza rispetto ad altre caratteristiche di talune esperienze del passato. Non, certo, risultati netti e univoci. Il quadro che ne scaturirà sarà multisfaccettato e consentirà di individuare solo elementi di prevalente continuità o discontinuità con il passato, tenendo sempre in considerazione gli elementi di contesto che, di volta in volta, caratterizzano la fisionomia strumentale degli accordi di governo.
Lo studio dei temi del presente scritto si sviluppa, allora, su un crinale piuttosto scivoloso, in cui il giurista è tenuto a non volgere il proprio sguardo alle sole norme costituzionali e alla loro attuazione normativa, ma a studiare le prassi e le dinamiche politiche che le riempiono di contenuti. In tema di Governo e – più latamente – di forma di governo la Costituzione svolge, per così dire, un ruolo di “argine”, piuttosto che di “regola”. In Costituzione si possono individuare taluni perimetri invalicabili, ma le aree che risiedono all’interno di quei perimetri sono state volutamente lasciate libere da etero-determinazioni, poiché indissolubilmente legate all’evolversi delle reali dinamiche politico-sociali e, dunque, bisognose di adeguarsi a quell’evoluzione12. Il secondo degli interrogativi centrali attorno a cui ruota la presente relazione è, quindi, quello relativo alla collocabilità del Contratto di governo entro il perimetro tracciato dai Costituenti (e, più avanti, ulteriormente caratterizzato dal legislatore attuativo) nella convinzione che lo sguardo del costituzionalista, anche
11 Sull’evoluzione del ruolo dei partiti vi è sterminata letteratura. Si v., per tutti, v. X. XXXXXX, L’evoluzione storico- costituzionale del partito politico, in AA.VV., Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione. Annuario 2008 Associazione italiana dei costituzionalisti, Napoli, 2009, 3 ss.
12 Cfr., anche per l’inquadramento teorico e metodologico, X. XXXXXXXX, Contributo ad una teoria giuridica delle forze politiche, Milano, 1957; X. XXXXXXXXXX, Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia [1960], ora in ID., Stato Popolo Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, 149 ss.; X. XXXXXXX, Sulla specificità dell’interpretazione costituzionale, in ID., Scritti sull’interpretazione costituzionale, Napoli, 2008, 212 ss.
nell’ambito di queste tematiche, non debba essere quello di un mero spettatore delle dinamiche politiche e della maniera in cui segnano l’evolvere della forma di governo, ma debba essere rivolto a una seria e attenta verifica della compatibilità di prassi e dinamiche con il tracciato costituzionale13. Date le peculiarità dello studio segnalate, per dare risposta a entrambi questi interrogativi la riflessione teorico-concettuale verrà quindi accompagnata da un riscontro della prassi delle attività
del Governo Conte I, in relazione con il Parlamento14.
2. La proiezione esterna: il “contratto di governo” come fonte di legittimazione politica
Già i primi attenti studiosi degli accordi di governo hanno osservato che, a partire dalla seconda legislatura15, le coalizioni di governo «si formavano attraverso una vera e propria contrattazione»16 fra la DC e i partiti laici minori, essendo questi ultimi ben consapevoli dell’essenzialità del loro appoggio parlamentare al partito di maggioranza e, dunque, dell’accrescimento del loro «potere contrattuale»17. Il modus operandi, dunque, è da sempre apparso affine a quello delle contrattazioni, sostanziandosi nella ricerca di un punto di equilibrio fra due o più posizioni ben distinte – siano esse espresse da partiti politici, siano esse portate da correnti interne agli stessi18 – al fine di ottenere una sintesi mediante concessioni reciproche, sul piano programmatico e sul piano della composizione del governo; concessioni il cui quantum dipende dalla forza di ciascuna delle parti.
Questa forza risulta solo in limitata misura determinata dal consenso elettorale – poiché su di esso si poggia, di regola, la legittimazione della forza di maggioranza ad assumere il ruolo di guida del Governo, oltre alla determinazione del numero di seggi parlamentari attribuiti a ciascun partito19
– ma in una parte non meno rilevante dipende anche da fattori congiunturali, che possono condurre un gruppo minoritario ad essere cruciale per il sostegno fiduciario e, quindi, ad assumere nella “contrattazione” un potere ben maggiore di quello astrattamente riconducibile agli esiti elettorali20. Il punto è piuttosto rilevante, poiché implica una scissione fra il momento di formazione e di avvio del mandato governativo – segnato da un accordo che sigilla il raggiungimento di un punto di equilibrio fra i diversi soggetti politici – e le dinamiche successive dell’attuazione e della permanenza in vita
13 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx, cit., 150; X. X’XXXXXX, Accordi, cit., XII ss.; X. XXXXXXX, Governo (forme di), in Enc. Dir., Xxxxxx XXX, Milano, 2010, 552 ss. Rimane, tuttavia, l’avvertenza di X. XXXXXXX, Interpretazione costituzionale, in Dir. Soc., 2018, 522, che «dinnanzi all’attività integrativa del disegno costituzionale svolta da queste fonti-fatto e da questi comportamenti degli organi costituzionali, l’interprete costituzionale può, certo, vagliare la loro conformità (o meno) alle disposizioni della Carta fondamentale, ma non possiede strumenti per agire avverso una loro disformità dalla Costituzione. Tanto è vero che la consuetudine contra Constitutionem, se è giuridicamente inammissibile (vietata), si può realizzare de facto e, se si realizza, può giungere alla modifica del diritto costituito».
14 V., rispettivamente, parr. 6 e 7.
15 La prima legislatura, alla luce della schiacciante vittoria elettorale della DC, è stata caratterizzata da Governi a prevalente presenza democristiana, con scarsa necessità di concordare il programma con gli altri partiti sostenitori. Cfr.
X. XXXXXXXX, I governi della Repubblica. Vicende, formule, regole, Bologna, 1996, 67 ss.
16 Cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi di governo, cit., 55.
17 Le parole sono ancora dell’Autore, loc. ult. cit.
18 Per la fondamentale intuizione della natura di coalizione anche dei governi “monocolore”, v. X. XXXXXXX, Governo italiano, in Enc. Dir., XIX, Milano, 1970, 694, nt. 92; P.A. CAPOTOSTI, Op. cit., 123 ss., 132 ss.
19 Cfr. X. XXXXXX, Il contratto sociale, oggi, Napoli, 1980, 37 ss.
20 Dato, quest’ultimo, che consente di andare oltre la lettura di Xxxxxx che, come si vedrà meglio di qui a breve, appare eccessivamente ristretta entro le logiche privatistiche.
del Governo stesso, segnate del pari dai mutamenti che vengono registrandosi nel corso del tempo, per via di fattori sia interni, sia – talvolta – esterni all’operato del Governo21.
Mentre, insomma, l’accordo fotografa un momento ed è in grado di rispondere adeguatamente alle condizioni politiche esistenti nel corso delle trattative per la formazione del Governo, assicurandone la condizione propulsiva originaria, l’azione governativa torna ad essere – fisiologicamente – frutto di una costante “ri-contrattazione”, in cui l’accordo è chiamato a svolgere una funzione di quadro di riferimento, o di argine, ma rimane suscettibile di modifiche, integrazioni, inattuazioni, interpretazioni o, persino, negazioni sulla base dei mutamenti che vengono a registrarsi dentro e fuori gli organi di indirizzo politico, nella base elettorale, nelle dinamiche sub- e sovra- nazionali22.
Sicuramente emblematica della centralità delle trattative, non solo con riferimento alla prima definizione della piattaforma programmatica, ma anche alla successiva fase di attuazione, è stata la fase di transizione dai governi di centro-destra all’apertura a sinistra da parte della DC23. Fase culminata con un accordo che, ai fini di quanto in questa sede si vuol evidenziare, appare particolarmente rilevante. Ci si riferisce all’accordo politico-programmatico del 26 novembre 1963, che si apriva affermando: «I Partiti della Democrazia Cristiana, Socialista, Socialista Democratico, Repubblicano, consapevoli delle esigenze proprie di questo decisivo momento politico, il quale richiede una ferma ed autorevole azione di governo su vasta base democratica e popolare per fini di giustizia e di libertà, pur nella loro piena autonomia ideologica e nella diversità di tradizioni, ispirazioni ed esperienza politica, assumono impegno per la costituzione di un Governo di centro- sinistra con la partecipazione di tutti i Partiti contraenti» (corsivo aggiunto)24.
Il testo appare dimostrare che quella odierna non è affatto la prima occasione in cui si ricorre espressamente alla retorica contrattuale in sede di concertazione della piattaforma politico- programmatica e che, in particolare, emerge a fronte di forze politiche molto distanti fra loro, che ritengono di dover giustificare la scelta di condurre un percorso comune. In questi casi, l’impostazione contrattuale appare un efficace escamotage, volto ad accompagnare l’apparentamento con una forza politica ideologicamente lontana o caratterizzata da una piattaforma politico- programmatica per molti profili diversa, se non – addirittura – in contrapposizione. Questa impostazione consente, infatti, di mantenere l’alterità e la distinta identità delle forze che compongono il governo, affermando la natura meramente congiunturale e temporalmente delimitata
21 Piuttosto evidente, nel caso in esame, è stato l’impatto dell’esito delle elezioni europee del 2019 sull’attuazione e possibile rinegoziazione del Contratto, essendone scaturito un vero e proprio ribaltamento della “forza contrattuale” delle parti “contraenti”.
22 Diverse esperienze dimostrano il carattere inesausto delle trattative che sovrintendono l’accordo di governo, a monte (per la sua stesura) e a valle (per la sua attuazione). Cfr., ad es., l’accordo politico su cui si poggiava il Governo Xxxxxx, che per primo ha aperto a partiti ulteriori alla DC e che si connotava per una serie di concessioni, specialmente sul piano economico (per i contenuti, v. X. XXXXXXXX (a cura di), Atti e documenti della Democrazia Cristiana, 1943-1967, Roma, 1968, 661 ss.; per la sua traduzione in programma di governo, v. X. XXXXXXXX, Il governo Scelba. L’ultimo quadripartito del Presidente Einaudi, in Xxxxxxxxxxx.xx, 2.11.2016, 11). Segnale della percezione dell’attuazione di quel programma come attività permanentemente negoziale può rinvenirsi nella costituzione ante litteram di una sorta di Consiglio di gabinetto, ossia di un vertice in cui presenziavano i rappresentanti dei partiti a sostegno – interno ed esterno – del Governo, in cui venivano vagliati i disegni di legge da approvare e che poi il Presidente del Consiglio riesaminava con il capo dell’Ufficio Legislativo (cfr. X. XXXXXXXX, I governi, cit., 111). In quel caso, fu proprio la più incisiva delle riforme – il cd. «schema Vanoni» – a non venire mai attuata, per l’opposizione delle correnti conservatrici della DC (cfr. P.A. CAPOTOSTI, Op. cit., 56).
23 Cfr. X. XXXXX, Gli anni del centro sinistra. Diari 1957-1966, Milano, 1982, 206; I. XXXXXXXXXX, Il teorema delle “caute sperimentazioni” sull’asse cartesiano DC-PSI, in Xxxxxxxxxxx.xx, 28.10.2014, 30 ss.; M.G. RODOMONTE, I primi tre Governi Moro e la nascita del centro-sinistra “organico”, ivi, 25.6.2014, 14.
24 Cfr. X. XXXXXXXX, Atti, cit., 1674 ss.
dell’azione comune. Da altro versante, essa rassicura inoltre gli elettorati di riferimento circa la volontà e la possibilità di attuare punti programmatici caratterizzanti ciascuna forza politica, nonostante il suo temporaneo apparentamento con un’altra, percepita come incompatibile.
In altri termini, è la proiezione esterna dell’accordo come “contratto” ad acquisire una valenza simbolica e politica di rilievo, piuttosto che la sua proiezione interna: i reali impegni assunti dalle forze politiche mediante la piattaforma contrattuale non consistono tanto in quello reciproco all’attuazione dei punti programmatici, quanto in quello nei confronti dell’elettorato di riferimento, a che la formazione del Governo in comune con forze politiche diverse e/o distanti non sia prodromica alla creazione di un nuovo soggetto o di un progetto politico di più ampio respiro e in quello ad attuare punti ritenuti cruciali nella visione della società di cui ciascun partito si fa portatore, pur nell’ambito di un programma concordato.
Lo dimostra, a contrario, il mancato ricorso alla retorica contrattuale per il raggiungimento di altri accordi di coalizione dell’epoca del proporzionale, di certo non meno impegnativi dal punto di vista delle trattative, ma dei quali le forze politiche intendevano offrire una proiezione differente. Potrebbero ricordarsi, a mero titolo esemplificativo, le trattative svolte dall’on. De Mita per il governo che, non a caso, è passato alla storia come “pentapartito di programma”25, a seguito delle quali il Presidente del Consiglio nominato, intervenendo alla Camera dei Deputati per illustrare le linee programmatiche in vista della richiesta della fiducia, sottolineava che il Governo si era «formato su un programma politico prima che su uno schieramento partitico»26, ma, a differenza del caso poco sopra menzionato, proponeva il programma di governo di pentapartito come sintesi politica «fra i cinque partiti che culturalmente, politicamente e storicamente hanno sviluppato un’affinità di metodo ed hanno coltivato una comunanza di valori che permettono di delineare una risposta coerente all’insieme dei problemi»27. Dunque, invece che marcare la persistente distanza fra le forze politiche di governo, si metteva in questa occasione in risalto la possibilità di operare congiuntamente, in forza di un lungo processo di avvicinamento.
Che la differente “forma” dell’accordo non contenesse, tuttavia, una diversa “sostanza” è stato efficacemente dimostrato dall’equivalenza delle dinamiche in sede di attuazione: le vicende di quel Governo furono segnate, al pari dei precedenti e ad onta delle affermate «affinità di metodo» e
«comunanza di valori», dalla persistente conflittualità interna fra i partiti alleati, tutti alla costante
«ricerca di una difesa della propria identità autonoma»28.
Anche diverse esperienze dell’epoca del maggioritario dimostrano come, pur nella maggiore vicinanza ideologica fra le parti politiche apparentate dagli accordi di governo (non confezionati, difatti, in forma contrattuale), l’esigenza di rivendicazione dell’identità politica da parte di una di esse abbia ostacolato l’estensione di alleanze elettorali e costituito la ragione della necessità di accordi politico-programmatici post-elettorali e della perpetuazione della conflittualità anche in sede di attuazione del programma concordato. Basti ricordare – sempre a mero titolo esemplificativo – la politica delle alleanze della Lega Nord con Forza Italia immediatamente successiva al mutamento del
25 Le settimane di trattativa per giungere all’accordo fra i cinque partiti della maggioranza sono ripercorse da X. XXXXXXXX,
X. XXXXXXXXX, La cruna dell’ago: Xxxxx, il partito socialista e la crisi della repubblica, Roma-Bari, 2005.
26 Atti Camera, X Leg., res. somm. n. 116, 19.4.1988, 12836 s. X. XXXXXXX, La parabola di De Mita: dal doppio incarico al nessun incarico, in Xxxxxxxxxxx.xx, 9.10.2013, 8 s., ricorda che altrettanto si poteva intuire pure dagli interventi che Xxxxx e altri membri della maggioranza tennero durante la seduta del giorno seguente.
27 Così, ancora, le parole dell’on. De Mita riportate nel res. somm. n. 116, cit., 12837 (corsivi aggiunti).
28 Sono parole di X. XXXXXXXX, Il sesto governo Xxxxxxxxx, in Xxxxxxxxxxx.xx, 11.9.2013, 2.
sistema elettorale in senso maggioritario29 o le alterne vicende del sostegno di Rifondazione comunista al Governo Prodi30 o la crisi del primo Governo D’Alema31.
Queste vicende, pur appartenendo a momenti molto diversi della storia repubblicana e pur collocandosi in contesti sistemici molto differenti fra di loro, dimostrano tutte molto bene come all’accordo di governo si faccia ricorso quando le forze politiche intendono marcare la propria identità e come l’accordo, lungi dal vincolare reciprocamente le parti (che, infatti, sovente ne disattendono i contenuti), sia rivolto soprattutto all’opinione pubblica e agli elettorati di riferimento, dimostrando così di essere servente alla legittimazione politica di una determinata compagine governativa32. Ancora, attestano come non sempre – anzi, solo in casi piuttosto circoscritti – agli accordi di governo sia stata data una veste contrattuale, ossia quando alla necessità di mantenere intatta l’identità soggettiva di una forza politica si accompagnava anche la volontà di marcare la persistente distanza ideologica fra le parti; distanza dinnanzi alla quale la forza dell’impegno reciproco necessita di apparire corredata da garanzie ulteriori rispetto al semplice gentlemen’s agreement.
A ulteriore riprova che la proiezione esterna degli accordi è prevalente su quella interna vale anche la circostanza che ad essi è sempre data «un’adeguata pubblicità»33. Non può, infatti, dubitarsi che, oltre agli accordi di coalizione e di governo conosciuti e resi noti alla pubblica opinione vi siano stati anche patti e accordi fra parti politiche dei quali l’elettorato non sia stato messo a conoscenza34. Quella di dare pubblicità agli accordi di governo – e di darla in un una particolare “veste” – è, allora, scelta politica, rivolta all’elettorato, finalizzata alla rassicurazione circa i contenuti, i confini e la
29 L’esigenza, avvertita in particolar modo dal primo dei due partiti, di mantenere distinta la propria identità politica si traduceva in quel caso, in un primo momento, nella scelta per un’alleanza tecnica, pre-elettorale, concernente le sole candidature e non la piattaforma programmatica. L’offuscamento dell’identità politica della Lega Nord che ne conseguì suggerì poi a quel partito un lungo isolamento, interrotto solo previa adozione di un accordo di governo con cui si è aggiunto un punto programmatico riconducibile esclusivamente alla Lega Nord – quello della cd. devolution – al “Contratto con gli italiani” annunciato da Xxxxxx Xxxxxxxxxx (cfr. X. XXXXXXX, Il governo di coalizione in ambiente maggioritario, Napoli, 2006, 233; X. XXXXXXX, La XII legislatura (1994-1996), in X. X’XXXXXX (a cura di), Verso l’incerto bipolarismo. Il sistema parlamentare italiano nella transizione. 1987-1999, Milano, 1999, 339 ss.).
30 In cui alla prima fase segnata dall’“accordo di desistenza”, che produsse un’alleanza parlamentare ma non di governo, ha fatto seguito una lunga e articolata crisi, ricomposta tramite un patto fra il Presidente del Consiglio e il segretario del partito di minoranza, volto ad impegnare il primo alla presentazione di un disegno di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro settimanale a 35 ore e il secondo al sostegno al Governo per un anno (sino all’accordo sulla moneta unica in sede europea). Una volta terminato l’anno e raggiunto l’obiettivo della moneta unica, il disaccordo fra le due “parti” è stato talmente acceso da condurre il partito di minoranza a votare, insieme alle opposizioni, la sfiducia al governo (cfr. X. XXXXXXX, Op. cit., 238 ss.).
31 Risolta tramite un patto con il «Trifoglio» (costituito da UPR, SDI e PRI) in cui il Presidente del Consiglio assicurava l’istituzione di una Commissione d’inchiesta su “Tangentopoli” e la rinuncia all’intento di riformare il sistema elettorale in senso integralmente maggioritario. Anche in questo caso, la persistente conflittualità fra le parti è stata dimostrata dalla mancata piena soddisfazione di tali richieste, che indusse i parlamentari appartenenti alle forze di minoranza ad astenersi sul voto di fiducia, dichiarando che il Governo avrebbe dovuto «contrattare il consenso su tutti i provvedimenti» (v. X. XXXXXXX, Op. cit., 295, nt. 89; X. XXXXXXXXX, Dal primo al secondo Ministero D’Alema, in X. X’XXXXXX (a cura di), Lo sviluppo bipolare della forma di governo italiana. Le vicende politico-parlamentari successive all’elezione del Presidente della Repubblica Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxx ed il mutamento della maggioranza nella XIV legislatura, Milano, 2003, 68 ss.).
32 Cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi di governo, cit., 125 s. Un’accurata indagine della possibile funzione legittimante, a partire da diverse prospettazioni teoriche dell’accordo di coalizione, è rinvenibile in X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 29 ss. e spec. 39 ss.
33 Lo osservava già P.A. CAPOTOSTI, Accordi di governo, cit., 55, il quale ricordava (in nt. 42) come l’accordo di coalizione per il gabinetto Xxxxxx fu il primo patto organico ad essere integralmente pubblicato sulla stampa ufficiale della DC.
34 Emblematico in tal senso è sicuramente il cd. “patto del Nazareno”: accordo politico i cui contenuti non sono stati oggetto di pubblicazione. Sul contenuto e la forza del patto, V. TONDI DELLA MURA, Il paradosso del «Patto del Nazareno»: se il revisore costituzionale resta imbrigliato nella persistenza di un mito, in RivistaAIC, 2/2016, 1.4.2016, 5 ss.
natura dell’accordo in vista della ricerca del consenso e di una legittimazione politica diretta, ulteriore per certi versi a quella ottenuta tramite il voto della mozione di fiducia in sede parlamentare.
Guardando a questo aspetto non può allora non sottolinearsi – sia pure per inciso, perché non è questa la sede ove si possa approfondire adeguatamente l’ampia problematica – che sul punto ha molto influito il mutamento dei mezzi di comunicazione che veicolano tale pubblicità, poiché se in un primo momento la pubblicazione nei giornali “di partito” indirizzava esplicitamente, e prioritariamente, la divulgazione ad un elettorato politicamente impegnato o, comunque, in possesso di una certa dimestichezza con le dinamiche politiche, l’avvento della televisione come mezzo di comunicazione di massa, prima, e il web, oggi, hanno progressivamente esteso la platea di coloro che vengono messi a parte dei contenuti dell’accordo. Ma vi è di più, perché se il mezzo televisivo aveva già segnato profondamente le dinamiche politiche, caratterizzandole in termini molto più personalistici o leaderistici e contribuendo ad una progressiva diluizione delle differenze ideologiche fra i partiti (nel tentativo di compiacere la platea più ampia possibile35), la rete oggi agisce in maniera per molti versi differente, poiché il contatto fra leader e sostenitori diviene diretto e costante, annullando la necessità dell’apparato del partito, dei quadri intermedi, della selezione accurata della classe dirigente. Si pensi solo che, per quanto maggiormente concerne l’oggetto del presente interesse, il Contratto di governo è stato sottoposto al voto diretto degli iscritti al M5S, mediante la piattaforma “Xxxxxxxx”36. Si è trattato di una consultazione che, al di là delle perplessità destate dall’oscurità della gestione della piattaforma e della sicurezza, segretezza e verificabilità del voto37, si è strutturata in maniera nettamente differente da quella cui gli accordi di coalizione venivano sottoposti in epoca proporzionale (da parte delle assemblee di partito): la formula è stata quella del “prendere-o-lasciare” e non ha ammesso alcuna discussione, partecipazione o condivisione dei contenuti. Si è trattato, insomma, di un’approvazione plebiscitaria, controllata ed eterodiretta circa l’an, il quando e il quomodo38.
Un’ulteriore influenza del mezzo di comunicazione sui contenuti del Contratto è stata determinata pure dall’immediatezza che lo caratterizza: internet (e, specialmente, l’uso dei social network) pone costantemente le forze politiche nella necessità di rendere conto al proprio elettorato dei propri comportamenti e, dunque, perpetua la ricerca di consenso in un “eterno presente” che, com’è abbastanza autoevidente, mal si concilia con la complessità delle dinamiche dell’azione e della mediazione politica. Tutto ciò promuove oggi una più forte polarizzazione degli accordi di governo e il ricorso alla retorica contrattuale, in questo contesto, potrebbe mostrarsi profittevole, ancor più che in passato, al fine di “rassicurare” – permanentemente – l’elettorato circa il mantenimento della propria identità politica. In questo contesto, il contenuto dell’accordo di governo diventa più difficilmente opera di sintesi politica, di compromesso e individuazione di punti d’incontro fra forze politiche, promuovendo piuttosto una mera sovrapposizione o giustapposizione di punti programmatici dell’una e dell’altra39.
35 Cfr. X. XXXXXXXXXXX, La trasformazione dei sistemi partitici dell’Europa occidentale, in X. XXXXXX (a cura di),
Sociologia dei partiti politici, Bologna, 1971, 185 ss.
36 Ma potrebbe ricordarsi pure la trattativa in streaming svolta fra l’xx. Xxxxxxx e i due capigruppo del M5S all’inizio della XVII legislatura.
37 Su cui v., da ultimo, Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento su data breach, 4.4.2019, reperibile in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxx/xxxxx/xxxx/xxxxxx/-/xxxxxx-xxxxxxx/xxxxxx/0000000.
38 Utilizzando il termine “plebiscitario” nell’odierna accezione, su cui v. X. XXXXXXXXXX, Plebiscito, in Enc. Dir., Milano, 1983, 954.
00 X. X. XXX, Xx “contratto di governo” e il rischio di una grave crisi costituzionale, in xxxxxxxxxxxxxx.xxxx, 16.5.2018.
Siamo molto distanti, allora, dall’approccio delle prime trattative dal sapore “contrattuale” di cui sopra si diceva, in relazione alle quali l’xx. Xxxx, riferendo al Consiglio nazionale della DC del 13 aprile 1962, affermava: «sarebbe un fuor d’opera soffermarsi a stabilire rigorosamente se e quanta parte delle posizioni proprie di ciascun Partito si sia trasfusa nel programma di Governo. Un’alleanza politica sarebbe una inammissibile forzatura, se costringesse a rinuncie impossibili o conducesse all’accettazione di punti di vista ripugnanti e totalmente estranei al patrimonio ideale dei Partiti che la contraggono. È invece naturale un adattamento, uno spirito di conciliazione, la rinuncia alle posizioni estreme»40. Questa «moderazione (…) corrisponde alla necessità di soddisfare attraverso l’azione di Governo le immediate ed indifferibili esigenze del Paese»41 e sostiene un metodo di
«incontro politico che è destinato ad arricchire la vita democratica, a difendere la libertà, a promuovere la giustizia, ad approfondire il carattere popolare del nostro Stato. Si sperimenta la possibilità effettiva di far combaciare sulle cose più significative, più immediatamente utili, i programmi di Partiti diversi che furono molto lontani e che lo sono largamente ancora»42.
Questa distanza di prassi riflette per certi versi una distanza concettuale. Giova, infatti, ricordare che due sono state le principali letture o, meglio, gli inquadramenti teorici della negoziazione politica43: vi è stato chi vi ha visto un segno della necessità di leggere e inquadrare i fenomeni politici entro gli schemi e le logiche dell’analisi economica44; e chi, all’inverso, ha interpretato la negoziazione politica come il prodotto dell’esperienza storica del sistema di coalizione e come il superamento del sistema ottocentesco in cui in Parlamento sedevano rappresentanti di “connubi” di frazioni o di persone, verso un sistema in cui gli interessi «reali ed effettivi si sono affermati come interessi politici»45. Una conseguenza del pluralismo sociale e politico, insomma, da valorizzare nella direzione di una nuova modalità o di un nuovo metodo di organizzazione della rappresentanza plurale46.
L’analisi della più recente vicenda contrattuale deve, allora, svolgersi avendo sempre a riferimento questa ambiguità concettuale, per comprendere quale delle due visioni della negoziazione politica promuova e quali siano le possibili implicazioni sul piano istituzionale e costituzionale.
3. La rilevanza politico-istituzionale del “contratto di governo”
Se è vero quanto sin qui rilevato con riguardo al riferimento retorico alla forma contrattuale nell’assunzione di impegni reciproci fra due o più forze politiche, si può cogliere – ma solo su questo versante – l’affinità del Contratto di governo con il modello esplicitamente (o asseritamente) assunto a punto di riferimento: quello del Koalitionsvertrag di matrice tedesca. Il contratto di coalizione è stato, infatti, utilizzato in Germania per conferire una base programmatica ad esecutivi di “Grande coalizione” che mettevano insieme forze politiche che in campagna elettorale si erano invece presentate come alternative e sostenitrici di programmi politici per molti versi distanti. Allo strumento del contratto, invece, non si fa ivi ricorso quando si raggiungono alleanze pre-elettorali sulla base di
40 Cfr. X. XXXXXXXX, Atti, cit., 1317.
41 Xxx. xxx. xxx.
00 X. XXXXXXXX, Atti, cit., 1326.
43 V. M. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 29 ss.
44 V., a tal proposito, X. XXXXXX, Il contratto, cit., 37 ss., che parla dell’accordo di coalizione come «una specie di contratto sociale continuamente rinnovato e aggiornato».
45 X. XXXXXXXXXX, La nuova democrazia diretta, cit., 501, ma si v., per ripercorrere il discorso, 496 ss.
46 Cfr., sul punto, X. XX XXXXX, La “negoziazione legislativa”, Padova, 1984, 38 ss.
affinità politico-programmatiche47. Questo parallelo confermerebbe l’ipotesi che la forma contrattuale sia volta ad assicurare un reciproco impegno in caso di significativa distanza politica fra le parti contraenti e che questo impegno non venga assunto tanto in termini “giuridici”, quanto in termini politici48.
Ciò che imprime una significativa differenza fra il Contratto di governo “all’italiana” e il Koalitionsvertrag tedesco è, invece, il contesto istituzionale e politico entro il quale si collocano l’uno e l’altra. Non può, infatti, non tenersi conto del ruolo di fondamentale stabilizzazione e razionalizzazione svolto nell’ordinamento tedesco dalla sfiducia costruttiva49, che pone un significativo argine alle possibilità di crisi di governo determinate dai conflitti politici fra le forze in coalizione e che intensifica, quindi, la necessità di un’effettiva reciproca collaborazione fra di loro. Ma sono anche la storia e la cultura politica a differire notevolmente e ad incidere sull’effettiva vincolatività del contratto di coalizione poiché, mentre in Germania il mancato rispetto dell’accordo porterebbe all’isolamento del soggetto o del partito che se ne è reso responsabile, per via della sua inaffidabilità, nella nostra esperienza istituzionale non si registrano sanzioni di tipo politico a rinforzare la vincolatività del patto di governo50. Com’è stato efficacemente sintetizzato, «in Germania l’accordo è un metodo, è il fine della dialettica politica, in Italia è un mezzo per costringere quella stessa dialettica nelle strette maglie del testo scritto»; «in Germania il termine “contratto” non è stato scelto dalle parti, bensì è stato attribuito successivamente agli accordi a causa della forte vincolatività politica che presentavano. In Italia invece si è voluto utilizzare tale termine per attribuire, arbitrariamente, vincolatività ad un patto politico che (…) non può averne»51.
Giustamente è stato ad esempio rilevato, tornando al nostro ordinamento, che, a voler realmente applicare i concetti civilistici, il contratto risulterebbe nullo, poiché carente di patrimonialità della causa (ex art. 1321 cc.), in contrasto con norme imperative (l’art. 67 Cost.) e vertente su una materia che esula dalla sfera di disponibilità delle parti contraenti52; infine, la clausola del rebus sic stantibus renderebbe del tutto inservibile un accordo di natura contrattuale, poiché uno qualsiasi dei molteplici mutamenti in grado di incidere sul sistema potrebbe esonerare ognuna delle parti dall’adempimento di porzioni del contratto anche rilevanti.
Allora, la veste solenne che le “parti contraenti” hanno voluto conferire all’accordo tramite la stipula dinnanzi ad un notaio – che sembra essere la novità più rilevante sul punto – non è in grado di rispondere alle obiezioni che la dottrina ha opposto all’ipotesi – già da tempo avanzata, specialmente dalla dottrina tedesca – di una possibile vincolatività giuridica, di tipo contrattuale, scaturente dagli accordi di coalizione. Basti considerare che manca, anche nel caso recente, la
47 Lo rileva X. XXXXXXX, Il contratto di governo: più che una figura nuova della giuspubblicistica italiana, un (semplice…) accordo di coalizione, in Dirittifondamentali, 1/2018, 24.4.2018, 2.
48 V. I. XXX XXXXX, A German Perspective on Legal and Political Problems of Coalition Governments, in 30 VUWLR, 1999, 69 ss; X. XX XXXXXX, Sunt pacta politica etiam servanda? Gli accordi di coalizione nella forma di governo tedesca, in Dir. Pubbl. Comp. Eu., 2014, 761 ss., spec. 780 ss.; X. XXXXXXX, I contratti di coalizione nella Repubblica Federale tedesca fra politica e diritto, in RivistaAIC, 1/2014, 7.2.2014, 5 ss.
49 Xxx. xxx. 00 XX.
00 Xxxx X. XX XXXXXX, Sunt pacta, cit., 785.
51 X. XXXXXXXXXX, Contratto di governo e accordo di coalizione. Natura giuridica e vincolatività, in Oss. Cost., 3/2018, 7.11.2018, 11 s.
52 Il programma di governo è, a rigore, frutto della deliberazione del Consiglio dei Ministri nella sua collegialità (ex art. 2, comma 3, lett. a), l. 400/1988) e segue, non anticipa, la formazione della compagine governativa, pur nel rapporto di accessorietà ben delineato da X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 81. Né la questione potrebbe risolversi se si considerasse oggetto del contratto l’assunzione di responsabilità da parte dei “capi” politici a sostenere l’azione di governo in sede parlamentare, trattandosi anche in questo caso di materia per loro indisponibile, a norma dell’art. 67 Cost. (così
X. XXXXXXX, Il contratto, cit., 4).
previsione di sanzioni giuridiche effettivamente esigibili e coercibili in ipotesi di inadempimento o adempimento parziale del contratto e, dunque, «quel reciproco vincolo inter partes che il nostro codice civile, all’art. 1372, con icastica, seppur imprecisa espressione, definisce “forza di legge”»53. Tanto è vero che, nei mesi di attività del Governo Conte I, abbiamo assistito alla ricontrattazione di punti cruciali della piattaforma programmatica (si pensi solo a quello relativo al TAV o alla flat tax) e ad interpretazioni dei – vaghi – punti contrattuali secondo le dinamiche tipiche della discussione politica, non certo secondo le regole preposte dagli artt. 1362 ss. cc.54.
Numerose sono state pure le tesi volte a sostenere un’efficacia vincolante degli accordi di governo sulla base della loro possibile assimilabilità ad atti normativi. Fra queste, molte possono essere agevolmente scartate, come quella della possibilità di rinvenire nell’accordo una fonte normativa sui generis, che confligge evidentemente con il principio generale del numerus clausus delle fonti primarie di un ordinamento giuridico55, o quella dell’assimilabilità alle convenzioni normative del diritto amministrativo o ai contratti collettivi di lavoro, i quali, a differenza degli accordi di governo, sono in grado di produrre effetti anche nei confronti di terzi56. Qualche maggiore complessità presentano invece le tesi che affermano ora l’assimilabilità ai trattati internazionali, ora il carattere consuetudinario degli accordi di governo (e, di qui, la loro vincolatività giuridica)57. Quanto alla prima ipotesi, condivisibile e sicuramente dotata di riscontri nella prassi è la constatazione che gli accordi di governo, al pari degli accordi internazionali, sono fondati sul principio generale pacta sunt servanda58. Tuttavia, questa sola considerazione non appare sufficiente a ritenere i primi dotati di efficacia normativa. Basti considerare che anche la piena vincolatività giuridico-normativa dei secondi non discende automaticamente dal richiamato principio generale, bensì dall’espresso rinvio contenuto in norme interne all’ordinamento giuridico59. Anche la seconda ipotesi muove da un fondamento sicuramente condivisibile: si è visto, infatti, che tutta la storia repubblicana è stata percorsa da accordi di governo. Che di qui possa desumersi la sussistenza dell’elemento della diuturnitas è, tuttavia, ben difficile da dimostrare. Si è, infatti, accennato pure che le prassi sono state le più diverse60, così come estremamente variegati sono stati i contenuti degli accordi di governo stipulati nel xxxxx xxxxx xxxx00. Di conseguenza, manca l’elemento oggettivo della ripetizione uniforme e costante nel tempo, così come, in maniera altrettanto evidente, la mancanza
53 Così P.A. CAPOTOSTI, Accordi di governo, cit., 144.
54 Sul punto, v. infra, par. 6.
55 Su cui x. X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx, xxx., XX, 0 s.
56 Per una più attenta disamina di queste tesi, delle obiezioni ad esse opponibili e della dottrina di riferimento, cfr. P.A. CAPOTOSTI, Op. cit., 137 ss.
57 Cfr. X. XXXXX, La natura giuridica degli accordi tra partiti politici, in Riv. Dir. Lav., 1969, 264 e ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
58 Cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi, 147; X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 119 s. e 123 ss.
59 Cfr. S.M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino, 2007, 35 ss.
60 Nella prima fase del ricorso agli accordi di governo vi era una consolidata prassi di partecipazione alle trattative da parte del Presidente del Consiglio incaricato e delle delegazioni dei partiti politici che dovevano costituire la base parlamentare del governo in formazione (Segretari politici, Presidenti dei gruppi parlamentari e, spesso, gruppi di esperti), i quali erano chiamati a redigere il documento programmatico che poi veniva ratificato dagli organi di partito (cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi, cit., 126 ss.). Più avanti si sono avvicendate figure differenti nella consultazione ai fini dell’accordo, si sono conosciuti programmi di governo “eterodeterminati” così come programmi di governo decisi in maniera molto più accentrata da parte del solo Presidente del Consiglio incaricato (sul punto, x. xxxxx, xxx. 0).
00 Xx xxxxxx xx ha consegnato accordi estremamente dettagliati o pure estremamente vaghi sul versante programmatico (v. infra, par. 6.); accordi ordinati secondo criteri di priorità o privi di un ordine di tal genere (sino al Contratto per il Governo del Cambiamento, ordinato addirittura secondo un criterio alfabetico); accordi “a termine”, così come accordi che aspiravano ad occupare lo spazio di un’intera legislatura; accordi concernenti la sola spartizione dei Ministeri se non, addirittura, l’alternanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (è il noto caso del cd. “patto della staffetta”, il cui testo è allegato in Appendice a X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 185 s.).
dell’elemento della opinio iuris seu necessitatis può desumersi dalla pressoché costante violazione dei patti di governo da parte dei componenti delle relative coalizioni.
Per tale ragione, la dottrina più informata sull’istituto ritiene di poter rinvenire una maggiore affinità degli accordi di governo con le convenzioni o con i gentlemen’s agreements; figure, queste ultime, in grado di rendere ragione dell’inesistenza di obblighi giuridicamente vincolanti, ma pure della contemporanea esistenza di vincoli di natura socio-politica fra i partners della coalizione. Vincoli autonomi e non eteronomi, che ne spiegano anche la valicabilità sulla base del mutamento della volontà delle parti, nel rispetto del principio pattizio62.
Xxxxxxx, tuttavia, che – come è stato efficacemente affermato – non devono intendersi esaurire la prassi politica e risolverla in una «propria», «autoreferenziale» normatività. In particolare, «la presenza di un testo normativo “rigido”», pur non ostacolando «lo scorrere di questi eventi, lo condiziona, ponendosi come punto di riferimento e di raffronto», cosicché la «legittimità» dell’azione politica si ricollega a «regole presupposte in un sistema già esistente»63 ossia, soprattutto, a quella posta dall’art. 94 Cost., che richiede al Governo di incontrare un sostegno fiduciario in Parlamento e, dunque, alle forze politiche in esso presenti di accordarsi fra loro ogniqualvolta non possano, da sole, ottenere la fiducia64.
È, quest’ultima, una considerazione della più importante rilevanza, poiché implica che l’accordo di governo, pur avendo natura politica ed essendo contrassegnato nella sua nascita e per la sua attuazione (o inattuazione) da dinamiche politiche, non limita i propri effetti a questo solo spettro: si riverbera sul piano istituzionale, nella misura in cui, poggiandosi sul disposto costituzionale, da esso dipende l’esistenza di un organo – il Governo – e l’instaurarsi della relazione fiduciaria che sta al cuore della forma di governo parlamentare.
Allora, l’inquadramento del Contratto, come degli altri accordi di governo, nell’ambito dei fenomeni meramente politici non è in grado di cogliere la complessità delle conseguenze – anche giuridico-istituzionali – che ne scaturiscono65. Il Contratto, al pari degli accordi pregressi, ha prodotto effetti istituzionali e costituito un fondamento per molti versi nuovo, come vedremo di qui a breve, della relazione fiduciaria fra Camere e Governo. Non può trascurarsi, infatti, che, l’accordo/contratto di governo costituisce l’antecedente diretto del programma che il Presidente del Consiglio nominato illustra alle Camere al fine di ottenere la fiducia e che la quasi esatta trascrizione viene poi utilizzata in sede di adozione della delibera consiliare di approvazione del programma di xxxxxxx00.
Esiste dunque un filo, che collega l’accordo di governo, il programma di governo deliberato dal Consiglio dei ministri e quello presentato dal Presidente del Consiglio alle Camere ai fini
62 Così, P.A. CAPOTOSTI, Op. cit., 147, il quale precisa che, dunque, oggetto della regola convenzionale non è il patto di coalizione, bensì il principio pattizio fra i partiti dell’area di governo. Condivide, ma con sguardo più critico, X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 41, il quale distingue fra coalizioni pre-elettorali, in grado di costituire un
«indirizzo politico unitario», e accordi post-elettorali, caratterizzati da «potenzialità trasformistiche» proprio per via del fatto che «questi ultimi trovano fondamento esclusivamente in se stessi».
63 Così, X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 139, che affonda tali affermazioni sul bagaglio teorico-concettuale delineato da X. XXXXXXXXXX, La nuova democrazia diretta, in ID., Opere, I, Milano, 1959, 407 ss.
64 Cfr. X. XXXXXXX, Il Governo, cit., 121; P.A. CAPOTOSTI, Accordi, cit., 158; X. XXXXXXXX, L’«accordo di coalizione», cit., 176 ss.
65 Cfr. X. X’XXXXXX, Xxxxxxx, cit., 33.
66 Parla di «ratifica» X. XXXXXXXX, Il governo, cit., 78. Sulla base di queste considerazioni, ad esempio, X. XXXXXXXXXX, I rapporti fra i supremi organi regionali, Padova, 1961, 179 s. e P.A. CAPOTOSTI, Op. cit., 134 ss. rinvengono nell’accordo di governo il «fatto costitutivo dell’indirizzo». Contra, X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, Milano, 1973, 118 ss.; X. XXXXXXX, Studio sui rapporti fra Parlamento e Governo, Milano, 1972, I, 428 s.
dell’ottenimento della fiducia, che fa dell’accordo di governo (e del suo contenuto) il primo tassello della delineazione dell’indirizzo politico di maggioranza67.
4. Il contesto di riferimento e le sue interazioni specifiche con il “contratto”
Gli elementi fin qui individuati accomunano per molti versi la vicenda “contrattuale” ai pregressi accordi e governi di coalizione, pur lasciando scorgere alcune importanti differenze fra questa e quelli. Si tratta, infatti, di vicenda che «è destinata ad essere mal compresa, se la si astrae dal mutamento di contesto costituzionale in cui si colloca. Mutamento che tocca soprattutto i formanti della forma di governo italiana, soggettivi e normativi; mutamento non ancora compiuto, perché lontano da un nuovo equilibrio»68. La scelta delle “parti” – nonché la possibilità per loro – di utilizzare una retorica schiettamente privatistica e su questa imperniare la giustificazione del loro apparentamento e la legittimazione politica del costituendo Governo non è – né potrebbe essere – avulsa dal contesto politico, istituzionale, sociale e culturale entro il quale è stata operata. Contesto in cui la tendenza a incanalare la comunicazione politica entro i binari delle forme privatistiche è da tempo diffusa: complice la disaffezione e la perdita di fiducia nei confronti dei partiti tradizionali e nella loro capacità o nella loro reale intenzione di mediare gli interessi della “base”, da tempo la propaganda politica ricorre all’artificio retorico dell’assunzione di impegni di natura privatistica al fine di colmare questo deficit di fiducia69. In questo quadro, più di recente, una delle due forze politiche “parti” del Contratto ha fatto della “privatizzazione” delle dinamiche politiche un punto centrale del proprio programma, rinvenendovi la garanzia di un maggiore controllo popolare “diretto” dell’azione dei Governi e dei rappresentanti parlamentari. Si fa riferimento, evidentemente, al progetto politico del M5S, che coniuga l’obiettivo della cd. democrazia diretta (rectius: democrazia elettronica o democrazia in diretta70) con la pretesa di vincolare i rappresentanti parlamentari (che divengono “portavoce”) alle decisioni assunte dal M5S o, talvolta, all’esito del voto sulla piattaforma online “Xxxxxxxx”. Tale pretesa di vincolo viene esercitata mediante il ricorso a strumenti privatistici, come le sanzioni di natura economica in caso di voto difforme o di scelta di cambiare gruppo parlamentare. Si tratta di sanzioni inesigibili giuridicamente e piuttosto preoccupanti per la loro evidente incompatibilità con la Costituzione71. Tuttavia, strumenti come questi si inquadrano,
67 V., per tutti, X. XXXXXXXXXX, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939, 53 ss. (ora in Prima e dopo la Costituzione, Napoli, 2015, 3 ss.); X. XXXXX, Atto politico e funzione d’indirizzo politico, Milano, 1961, spec. 142 ss.; X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx politico, cit., 150 ss.; X. XXXXXXX, Studio, cit., 202 ss.
68 Così, X. XXXXXXX in AA.VV., Il Forum, cit., 8, che identifica i formanti oggettivi nel quadro costituzionale (disegnato, sia pur elasticamente, dagli artt. 92, c. 2, 93 e 94 Cost.), nelle regole convenzionali e nella legge elettorale; i formanti soggettivi nei partiti e nelle rappresentanze parlamentari.
69 Emblematico è il già richiamato “Contratto con gli italiani”, siglato unilateralmente da Xxxxxx Xxxxxxxxxx nel corso di una nota trasmissione televisiva. È appena il caso di notare come il ricorso alla retorica contrattuale possedesse in quel caso una valenza simbolico-politica dal solo punto di vista della proiezione esterna analoga a quella del Contratto per il Governo del Cambiamento, ma che da quest’ultimo si distanziava, invece, per l’essere un’offerta unilaterale e non compromissoria con altre forze politiche, resa in sede pre-elettorale. Sulla possibile vincolatività del “Contratto con gli italiani”, v. le lapidarie affermazioni del Trib. Napoli, IV sez. civ., sent. 3.5.2006: «del tutto evidente (…) che quella serie di “traguardi” assunti con gli elettori, e, per ultimo, l’impegno a non ricandidarsi, non fossero altro che strumenti di “marketing”, volti ad introdurre forme di comunicazione nuove nel panorama politico» e che «il carattere propriamente propagandistico di quella iniziativa era talmente palese da non poter indurre nessuna persona dotata di normale discernimento a fidare sulla sua vincolatività, e soprattutto sulla sua esigibilità giuridica».
70 Cfr. X. XXXXXXXX, Democrazia in diretta. Le nuove sfide della rappresentanza, Milano, 2013.
71 Il riferimento è all’art. 21, comma 5, dello statuto del Gruppo parlamentare M5S alla Camera dei deputati, su cui v. X. XXXXXXXXXXXXX, Chi esce paga: la «penale» prevista dallo Statuto del MoVimento 5 Stelle alla Camera, in
catalizzano e promuovono una rinnovata relazione fra rappresentanti e rappresentati: relazione da costringere entro l’armamentario civilistico, inteso quale garanzia avverso le devianze di un ceto politico corrotto e distante dai bisogni del proprio elettorato.
Non è questa la sede ove possano illustrarsi le contraddizioni, i molteplici profili di criticità e di seria preoccupazione destati da siffatte tendenze e approcci. Tuttavia, risulta quantomeno necessario richiamare l’attenzione su questo punto perché in grado di illuminare il ricorso alla retorica contrattuale in sede di concertazione della piattaforma programmatica di una luce parzialmente nuova e diversa, senz’altro maggiormente preoccupante rispetto al passato. Xxxx che si fa quasi accecante se si considera pure che, a chiudere il cerchio della crescente pretesa di privatizzazione delle dinamiche politiche, concorreva l’inclusione fra i punti programmatici del Contratto della volontà di introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari72. La combinazione della privatizzazione della piattaforma programmatica con quella della relazione fra singolo parlamentare e partito di appartenenza avrebbe reso invece ineludibile il dominio dell’indirizzo politico da parte dei partiti (che avrebbero controllato sia l’accordo di governo, sia il sostegno parlamentare) e, dunque, da parte di soggetti non necessariamente inseriti nel circuito istituzionale (basti pensare alla società che oggi gestisce la piattaforma di democrazia elettronica del M5S).
Tutto ciò suggerisce che, pur essendo quello del “contratto di governo” un espediente retorico, pur avendo esso natura politico-pubblicistica al pari dei precedenti accordi di governo, esso nasconda e schiuda prospettive che si riverberano ben oltre la mera retorica propagandistica finalizzata al consenso elettorale: in gioco è la stessa concezione della democrazia e del ruolo delle istituzioni rappresentative che si promuove73. L’enfasi sul vincolo contrattuale, posto quale condizione di formazione del Governo e “accettato” dalle Camere al momento della votazione della fiducia, lungi dall’essere rispondente alla realtà giuridica del fenomeno politico, svolge invece una funzione performativa, introduce e rafforza un nuovo lessico politico74 che promuove una delle due possibili concezioni della negoziazione politica di cui sopra si diceva (quella che vi vede una conferma della necessità di inquadrare i fenomeni politici entro gli schemi e le logiche dell’analisi economica), a detrimento della concezione plurale della rappresentanza che fa del compromesso un presupposto ineludibile della democrazia.
5. Il “contratto” allo specchio: l’inedita dinamica duumvirale del Governo Conte I
Gli elementi sin qui tratteggiati sono in grado di incidere profondamente sulla maniera in cui le forze politiche individuano i punti programmatici da “comporre” nell’accordo di governo e, in seguito, ne promuovono l’attuazione. Emblematico, a tale ultimo proposito, è un profilo di prevalente
Forumcostituzionale, 20.4.2018; X. XXXXXXXX, “E mo’ paghi!”. Sulla “penale” imposta dallo Statuto del Gruppo MoVimento 5 Stelle alla Camera e al Senato, ivi, 31.5.2018.
72 Occorrerebbe aggiungere pure i progetti di revisione costituzionale che contribuivano alla riduzione del ruolo del Parlamento e della sua centralità nel sistema istituzionale, ma il tema è ampio e molto articolato e rischierebbe di condurre troppo lontano dalle presenti riflessioni.
73 Su cui sempre attuale è la lezione di E.W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, in Quad. Cost., 1985, 227 ss. Sul tema v. altresì, pure per i dovuti approfondimenti teorici e bibliografici, X. XXXXXXXX, Critica della democrazia identitaria, Roma-Bari, Laterza, 2005, passim e spec. 96 ss.
74 Come ricorda X. XXXXXX, “Contratto di governo”: una riflessione sulle nuove parole del diritto pubblico, in xxxxxxxxxxxxxx.xxxx, 17.5.2018, che sottolinea pure come la logica del contratto, oltre a richiamare differenze irriducibili tra individui distinti, è logica della diffidenza reciproca, di quel “contratto sociale” – appunto non più solo originario, ma “continuamente rinnovato e aggiornato” – che presuppone individui “gli uni contro gli altri armati”.
discontinuità fra le vicende del Contratto e le pregresse dinamiche degli accordi di governo: quello concernente il rapporto intercorrente fra le varie componenti governative e il conseguente equilibrio fra i princìpi monocratico, collegiale e della responsabilità ministeriale.
È noto, infatti, che l’ambigua formulazione dell’art. 95 Cost. circa gli equilibri interni al Governo e i rapporti fra le sue componenti essenziali ha consentito lo sviluppo delle più diverse prassi, in un percorso evolutivo non sempre lineare e solo liminarmente toccato dagli interventi normativi che hanno cercato di orientarne gli equilibri. La formulazione della disposizione costituzionale non ha, infatti, risolto il contrasto fra i fautori del principio monocratico e quelli del principio collegiale75, né un intervento risolutivo è provenuto dalla legge n. 400 del 198876, cosicché è rimasta valida la constatazione della delineazione normativa di un governo «uno e trino»77, irrisolto nei suoi equilibri e suscettibile di diverse modulazioni nella prassi.
In questo quadro “flessibile” sono state, allora, le logiche interpartitiche e intra-partitiche, i rapporti di forza politica e gli elementi di sistema sopra ricordati ad aver determinato l’evoluzione dell’assetto degli equilibri fra componenti del governo. Ad esempio, nei primi anni della Repubblica, caratterizzati da un indiscusso dominio politico della DC, si sono conosciuti Governi incentrati su personalità presidenziali forti, in cui il Presidente del Consiglio, effettivamente tessitore della mediazione politica che conduceva all’accordo di governo, era promotore, direttore e responsabile dell’attuazione di quell’accordo, della sua traduzione in azione governativa e del sostegno parlamentare alla stessa78, pur rimanendo fermo che, nel quadro del “multipartitismo estremo”79, i poteri presidenziali necessitavano comunque di essere esercitati «con l’assenso anche tacito dei partiti»80, poiché questi ultimi detenevano le redini della persistenza – o, viceversa, della crisi – dei Governi. Tanto è vero che si sono conosciute pure vicende molto differenti, che hanno visto gli accordi di coalizione formarsi nei vertici fra le segreterie di partito o fra le correnti del solo partito di centro ed attribuire al Presidente del Consiglio il ruolo di mero “garante” di quell’accordo, in quanto figura “al di sopra delle parti”81. Così come non sono mancati casi in cui il Presidente della Repubblica ha esercitato un ruolo importante, se non decisivo, nella stesura della piattaforma
75 Cfr., inter alios, X. XXXXXXX, Governo, cit., 675 ss.; X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, Il Consiglio dei Ministri e la sua presidenza: dal disegno alla prassi, in X. XXXXXXXXX (a cura di), L’istituzione governo. Analisi e prospettive, Milano, 1977, 43 ss.; X. XXXXXXX, Il Consiglio dei Ministri nella Costituzione italiana, Milano, 1981, 90 ss.; P.A. CAPOTOSTI, Presidente del Consiglio dei ministri, in Enc. Dir., XXXV, Milano, 1986, 137 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’organizzazione del Governo, Padova, 1986, 169 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Artt. 92-93, in X. XXXXXX (a cura di), X. XXXXXXXXXX (cont.), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1994, 8 ss.; X. XXXX, Il governo italiano, in Giur. Cost., 2018, 931 ss.
76 V. P. BARILE, Consiglio dei ministri, in Enc. Giur., VIII, Roma, 1991, 4 ss.; X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Il regolamento interno del Consiglio dei ministri, in Quad. Cost., 1994, 477 ss.; X. XXXXXXXX, Art. 95, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, 1842 ss.; X. XXXX, Il governo, cit., 933 ss.
77 X. XXXXX, X. XXXXX, La forma di governo italiana. Dalle idee dei partiti all’Assemblea costituente, in Quad. cost., 1981, 33 ss., spec. 84.
78 L’esempio più eclatante è quello del Presidente Xx Xxxxxxx, che ha svolto un ruolo di mediazione non tanto fra partiti, quanto fra le correnti interne alla DC, su cui v., di recente, X. XXXXXXXX, La prima legislatura repubblicana: virtù e limiti dell’«eccezione degasperiana», in Quad. Cost., 2019, 15 ss.
79 Per utilizzare la nota formula di X. XXXX, Governo, cit., 653.
80 Così, X. XXXXXX, Art. 95, in X. XXXXXX (a cura di), X. XXXXXXXXXX (cont.), Commentario della Costituzione, Bologna- Roma, 1994, 381.
81 Così, ad es., l’incarico a Scelba nel 1954, preceduto qualche giorno prima dalla dichiarazione congiunta di DC-PSLI- PLI-PSDI in cui si annunciava l’accordo su un programma di sedici punti da sottoporre a colui che sarebbe stato incaricato (cfr. X. XXXXXXXX, I governi, cit., 110; X. XXXXXXX, I primi passi della Presidenza Gronchi ed il governo Xxxxx, in Xxxxxxxxxxx.xx, 24.7.2013, 6). Analoghe le ragioni per la scelta di Xxxxx, il cui incarico è stato determinato dalla sua non appartenenza a nessuna delle tre maggiori correnti della DC (cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi, cit., 58).
programmatica82. Altrettanto varie sono pure le prassi degli anni successivi, relative alla fase in cui la DC andava dissolvendo il proprio dominio e intensificando il dialogo con altri partiti a fini di governo. In quegli anni sono andate in parallelo cambiando e articolandosi pure le dinamiche della mediazione politica (precedente e successiva al confezionamento dell’accordo) e, di conseguenza, anche i rapporti fra gli organi governativi sono diventati più “fluidi” e orizzontali, portando la dottrina a discorrere di governi “a multipolarità diseguale”83 o “a direzione plurima dissociata”84, in cui il compito del Presidente del Consiglio è stato per lo più quello di un mediatore fra Ministri che svolgevano il ruolo di “delegati dei partiti” all’interno del Governo e in cui la capacità di svolgere questo compito in maniera più o meno forte ed efficace è dipesa soprattutto dalla personalità e dall’autorevolezza politica della figura presidenziale. E così, accanto a Presidenti centrali nella mediazione fra “delegati”, si sono conosciuti pure governi molto più “anarchici” e “centrifughi”85.
Con il primo Governo Xxxxx, invece, complici la disaffezione verso i partiti tradizionali determinata dagli scandali di Tangentopoli, la congiuntura economica sfavorevole e la progressiva transizione verso il sistema maggioritario, si è segnata una più netta cesura con questi precedenti. La formazione dei Governi dell’XI legislatura (entrambi “tecnici”) ha infatti conosciuto dinamiche per molti versi differenti dalle precedenti, quantomeno dal punto di vista che qui interessa: la piattaforma programmatica, così come la compagine ministeriale, è stata scelta in maniera più accentrata86, concedendo spazi all’influenza del Presidente della Repubblica, ma non a quella dei xxxxxxx00. Tutto ciò ha inciso anche sul rapporto fra gli organi governativi, ove si è registrata un’espansione dei poteri del Presidente del Consiglio e una maggiore direzione da parte di quest’ultimo delle attribuzioni ministeriali. Da segnalare è, altresì, l’interruzione della prassi dei vertici presidenziali con i segretari di partito, in favore del raccordo diretto fra Presidente del Consiglio e capigruppo parlamentari. Tuttavia, anche in questa fase di passaggio può registrarsi come le due figure presidenziali (quella di
82 Si pensi solo al ruolo protagonista del Presidente Xxxxxxx nella transizione verso il centro-sinistra e del suo consigliere giuridico, cui si attribuisce la redazione effettiva del programma del Governo Xxxxxxxx (cfr. X. XXXXXX, L’invenzione presidenziale del governo balneare, in Xxxxxxxxxxx.xx, 10.7.2013, 2; X. XXXX, Il Governo Xxxxxxxx: momento politico di passaggio da coalizioni di centro o di centrodestra al centrosinistra e spartiacque istituzionale nella prassi dei rapporti Presidente-Parlamento-Governo, ivi, 10.7.2013, 4; X. XXXXXXXX, La formazione del Governo Xxxx, ivi, 25.9.2013, 9).
83 Per riprendere l’efficace espressione di X. XXXXXXX, Il governo, cit.
84 Così X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, Il Consiglio dei Ministri, cit., 49.
85 Si pensi, ad es., alla differenza della Presidenza Rumor, caratterizzata da una significativa frammentazione del Governo, rispetto a quella Moro, in cui, conformemente alla sopra ricordata linea già tracciata in sede di delineazione dell’accordo, venne incoraggiata la collegialità su impulso presidenziale (sul paragone fra queste due esperienze, M.G. RODOMONTE, I primi, cit., 10 s.). Ancora diversa la figura e il ruolo di Xxxxxxxxx nel corso della VII Legislatura, sicuramente centrale nell’ambito delle trattative, pur se incentrate sulle evoluzioni della formula politica e sull’apertura a forze inizialmente oggetto di esclusione, piuttosto che sulle «cose da fare», e maggiormente “accentratore” nel controllo della conflittualità interna al Governo (così, X. XXXXXXXXXX, I Presidenti Xxxxx e Pertini di fronte alla costituzione e alla crisi del Governo Xxxxxxxxx IV: fra sequestro Moro, apogeo della solidarietà nazionale ed evoluzione del ruolo presidenziale, in Xxxxxxxxxxx.xx, 24.7.2013). Ancora, negli anni del “pentapartito”, v. il ruolo forte del Presidente incaricato nel Governo Xxxxxxx X (su cui v. X. XXXXX, L’VIII Legislatura al capolinea: il Governo Xxxxxxx V e la crisi dei partiti nei primi anni Ottanta (12.12.1982-4.8.1983), in Xxxxxxxxxxx.xx, 25.9.2013, 16 s.) e di De Mita (cfr. supra, par. 2). Interessante anche la differenza del ruolo di quest’ultimo rispetto a quello occupato da Xxxxx: senz’altro più debole e non in grado di dirigere compattamente la medesima maggioranza (cfr. X. XXXXXXXX, Il Governo Xxxxx, in A. D’XXXXXX (a cura di), Verso l’incerto bipolarismo, cit., 23 ss.).
86 V. P. XXXXXXXX, I governi, cit., 475, il quale ricorda che il programma del Governo Xxxxx X è stato scritto dal Presidente del Consiglio senza la collaborazione delle segreterie dei partiti.
87 Il programma del Governo Xxxxxx venne influenzato da una lettera del Presidente della Repubblica che indicava alcuni fini fondamentali, poi effettivamente inclusi (cfr. X. XXXXXX, L’incarico per la formazione del Governo nel presente contesto istituzionale transitorio, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxx, II, Milano, 1999, 1375; X. XXXXXXX, Il governo, cit., 267, nt. 42). X. XXXXXX, Il Governo Ciampi: un esecutivo di transizione, in Xxxxxxxxxxx.xx, 10.7.2013, 7, ricorda pure che Ciampi sciolse la riserva «senza ascoltare nessuno».
Amato e quella di Ciampi) abbiano avuto un diverso approccio all’azione governativa: l’uno maggiormente accentrato, sia in sede di definizione che di attuazione del programma88, l’altro più collegiale89.
La riforma della legge elettorale in senso maggioritario, che ha istituzionalizzato le coalizioni e, in seguito, previsto l’indicazione del capolista candidato alla Presidenza del Consiglio, ha infine impresso l’ultima, decisiva, spinta verso il rafforzamento dei poteri del “premier”, contribuendo alla verticalizzazione dei rapporti interni al Governo. A questo esito hanno contestualmente contribuito diversi elementi: i d.lgs. nn. 300 e 303 del 1999, che hanno riorganizzato la struttura della Presidenza al fine di rafforzarne la funzione direttiva90; alcuni «percorsi trasversali», come la dilatazione dell’apparato di Presidenza o i collegamenti “informali” che hanno sostituito le precedenti strutture dei Comitati dei Ministri91; l’incremento dei poteri monocratici del Presidente92; la crescente tensione verso decisioni politiche rapide ed immediate, impressa soprattutto dall’infittirsi delle relazioni e dei vincoli eurounitari, che hanno incentivato un ruolo protagonista del Presidente del Consiglio e promosso un rafforzamento della sua posizione e dei suoi poteri tanto rispetto ai Ministri, quanto rispetto al Consiglio93. Così, ad una prima fase “di assestamento”, in cui le dinamiche della formazione e degli equilibri del governo non si sono discostate molto dalle esperienze del proporzionale94, hanno seguìto sia governi maggiormente accentrati intorno alla figura presidenziale95, sia governi “tecnici” caratterizzati da programmi “imposti” (ad es. dall’Unione europea), in cui il ruolo della mediazione politica è andato del tutto evaporando, in favore di un premier sì forte, ma, per così dire, di “forza riflessa”96.
Il quadro delle esperienze pregresse è, insomma, estremamente variegato e dimostra come il ruolo del Presidente del Consiglio, nonostante i ripetuti tentativi della Corte costituzionale di racchiuderlo entro la formula del “primus inter pares”97, sia mutevole, così come che i suoi poteri siano – per utilizzare una formula cara agli studiosi di altra figura presidenziale – “a fisarmonica”98,
88 Cfr. X. XXXXXXX, Il governo, cit., 266 ss., nt. 41-42.
89 Si deve a Ciampi l’inaugurazione della prassi del pre-Consiglio, volto all’esame preventivo, da parte dei Capigabinetto di tutti i ministeri e dei Capidipartimento della Presidenza, di tutte le misure che il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto varare. Cfr. C.A. XXXXXX, Un metodo per governare, Bologna, 1996.
90 Cfr. sul punto, per tutti, X. XXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del Governo. Commento ai decreti legislativi n. 300 e 303 del 1999 sulla riorganizzazione della Xxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxx xxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000.
91 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’organizzazione del Governo tra tecnica e politica, in X. XXXXXX (a cura di), X. XXXXXXX (coll.),
Il Governo tra tecnica e politica, Napoli, 2016, 62.
92 V. I. XXXXXX, Ascesa e declino dell’attività di mediazione politica. Dai governi di coalizione all’espansione dei poteri monocratici del Presidente del Consiglio, in Xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2/2017, 22 ss.
93 Cfr., inter alios, X. XXXXX, Relazione generale (ricordando Xxxxxxx Xxxxxxxx), in AA.VV., Il Governo. Atti del XVI Convegno Annuale A.I.C., Palermo, 8-9-10 novembre 2001, Padova, 2002, 266; X. XXXXXXX, Le inesauste, cit., 68; X. XXXXXXXX, Poteri e organizzazione del Governo nel contesto degli ordinamenti pluralistici contemporanei, Pisa, 2017, 207; X. XXXX, Il governo, cit., 944 ss.; ID., L’europeizzazione delle forme di governo degli Stati membri: la presidenzializzazione derivante da Bruxelles, in X. XXXXXX, X. XXXX (a cura di), Dinamiche della forma di governo tra Unione europea e Stati membri, Bologna, 2018, 194 s.; X. XXXXXXXXXX, I riflessi dell’Unione europea sul rapporto governo-Parlamento e sull’organizzazione interna del governo, ivi, 365 ss. Una lettura parzialmente differente è quella di X. XXXXXXXXX, L’organizzazione, cit., 57, che riferisce alla governance multilivello una destrutturazione della collegialità che non sempre si traduce in termini di promozione del ruolo centrale del Presidente del Consiglio, ma che fa
«emergere il ruolo di singoli, strutture e apparati tecnici», come il Dipartimento per le Politiche europee che «sin dalle sue origini oscilla tra il ruolo di mera struttura servente della Presidenza e una posizione di maggiore autonomia».
94 Si pensa al Governo Xxxxxxxxxx I.
95 I successivi Governi Xxxxxxxxxx, Prodi, D’Alema, Xxxxx.
96 Ci si riferisce, in particolare, al Governo Xxxxx.
97 Cfr. Corte cost., sent. nn. 24 del 2004; 262 del 2009. Per una ricostruzione delle varie fasi della giurisprudenza costituzionale, v. I. XXXXXX, La questione, cit., 77 ss.; X. XXXX, Il governo, 954 ss.
98 Cfr. I. XXXXXX, La questione, cit., 80 s.
dipendendo da elementi di sistema, dalle relazioni di forza politica all’interno dei Governi, dalla personalità dei Presidenti, dall’autorevolezza e dalla particolare forza di alcuni Ministeri (in particolar modo, di quelli con funzioni economiche).
E dimostra pure lo stretto legame intercorrente fra il ruolo occupato dal Presidente incaricato in fase di delineazione dell’accordo di governo e quello esercitato in seguito, nella direzione dell’attività di governo. Com’è stato rilevato in dottrina, la fase dell’incarico costituisce infatti la sede ideale per la delineazione dell’indirizzo politico di maggioranza, poiché consente all’incaricato di svolgere le “proprie” consultazioni, dedicate alla sintesi politica sui punti programmatici, in relazione ai quali la posizione del Presidente della Repubblica dovrebbe rimanere neutrale. In questo senso, la concertazione del programma nell’ambito dell’incarico permette al Capo dello Stato di limitarsi a “registrare” il buon esito di quella sintesi e a “tradurla” in una conseguente compagine ministeriale, in grado di ottenere la fiducia delle Camere99. Consente, inoltre, di assicurare che il Presidente nominato possa effettivamente svolgere quel ruolo di mediazione e direzione che non si esaurisce con la formazione del governo, ma che si perpetua in seguito alla stessa100.
Sono, dunque, sicuramente condivisibili le preoccupazioni che larga parte della dottrina ha rivolto al ruolo occupato Presidente del Consiglio incaricato in sede di concertazione del contenuto del Contratto e – di riflesso o di conseguenza – nella sua traduzione in azione di governo101, in relazione ai quali si è professato, almeno in prima battuta, soggetto imparziale. Estremamente significativo e sicuramente inedito, a tal proposito, è che le trattative siano state condotte dai due “capi politici” delle forze governative, cosicché anche l’indicazione della personalità scelta per la nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri è rientrata nei termini dell’accordo contrattuale102.
Non è, però, soltanto la nomina di un soggetto estraneo alle trattative a dover colpire, non essendo questa la prima occasione in cui tale dinamica si verifica, quanto piuttosto l’affidamento della Vice-presidenza ai due “contraenti”, che di fatto sono divenuti i “reggenti” della direzione del Governo. Queste scelte in ordine alla compagine governativa confermavano, infatti, l’impostazione più marcatamente “contrattuale” dell’accordo di governo rispetto a quelli passati. Impostazione confermata da una dualità che non si risolveva in sintesi politica (in “un” Presidente, nella fattispecie) ed esplicitamente prevista nel Contratto: si pensa, in particolar modo, al punto secondo cui «i contraenti si impegnano a tradurre questo contratto in una pratica di governo e sono insieme responsabili di tutta la politica dell’Esecutivo» (corsivo aggiunto); previsione chiaramente in contrasto con l’art. 95 Cost. e foriera di una prassi contra Constitutionem.
A ciò si è accompagnata un’attitudine svalutativa che ha interessato, all’interno del Governo, non solo le attribuzioni del Presidente, ma anche quelle dei Ministri (le cui competenze sono state
99 Cfr. X. XXXXXXX, Governo, cit., 643.
100 Cfr. X. XXXXXXX, Il governo, cit., 122 ss. e 160 ss.
101 V., fra i molti, X. XXXXXXX, Formazione, cit., 22; X. XXXXXXXXX, Risultati elettorali, cit., 61; X. XXXXXXX e X. X’XXXXX in AA.VV., Il forum, cit., 26 ss.; X. XXXXXX, The Manchurian Candidate. Il Presidente del Consiglio garante del contratto di governo, in Xxxxxxxxxxx.xx, 15.4.2019, 10.
102 Così, X. XXXXXXX, La formazione del governo tra dinamiche politiche e vincoli costituzionali (brevi note con riguardo al potere presidenziale di nomina del presidente del consiglio dei ministri e dei singoli ministri), in Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 26.5.2018, 1; M.C. GRISOLIA, Alcune riflessioni sugli attuali assetti della forma di governo, in RivistaAIC, 3/2019, 03/07/2019,10.
spesso e con disinvoltura scavalcate, specialmente dal Vice-presidente Ministro dell’Interno103) e, a lungo, quelle del Consiglio dei Ministri104.
Ne è scaturito un Governo “a direzione duale dissociata” o “a bipolarità diseguale” – per riadattare formule che in passato bene hanno colto le reali dinamiche degli equilibri governativi – in cui un ruolo di possibile articolazione e creazione di nuovi e diversi “poli” è stato rinvenibile soprattutto nei dicasteri con competenze economiche105 e che, solo in chiusura, è tornato nelle mani del Presidente del Consiglio.
6. “Contratto” e azione di governo alla luce della prassi del Governo Conte I
L’analisi dei molti profili problematici sin qui segnalati è strettamente connessa a quella della prassi dell’azione di governo, poiché è solo alla luce di quest’ultima che emergono le reali dinamiche e gli effettivi rapporti di “forza” esistenti all’interno della compagine governativa. Questa considerazione, valida per ogni esperienza di governo, si fa particolarmente evidente in relazione all’attuazione del Contratto poiché la vaghezza che contraddistingue larga parte dei punti di cui si componeva106 ha offerto un ampio ventaglio di possibilità interpretative e attuative, mentre la mancanza di un’ordinazione gerarchica e di una definizione delle priorità dei punti programmatici ha lasciato spazio alle più diverse scelte circa la tempistica dell’attuazione (fattore, come si sa, sicuramente altrettanto cruciale).
Sul punto occorre, ancora una volta, intendersi: non può ritenersi che questa particolare vaghezza e indeterminatezza costituisse una novità assoluta per il nostro ordinamento, ove non sono certo mancati Governi di coalizione formati sulla base di accordi attenti più alle “proporzioni” o “quote” da distribuire fra soggetti e forze politiche, piuttosto che alla definizione dei punti programmatici107. Tuttavia, ancora una volta, si tratta di esperienza tendenzialmente appartenente ad un passato meno recente e in buona parte superata all’epoca del maggioritario108.
103 Piuttosto lampante è il caso della cd. “chiusura dei porti” alle navi di ONG e della stessa Guardia Costiera italiana intervenute in soccorso dei migranti, in relazione alla quale è stata diverse volte verificata l’assenza di qualsivoglia delibera Consiliare o direttiva del Ministro, competente, dei Trasporti e delle Infrastrutture, ma si pensi pure alle concertazioni ed incontri con gruppi di lavoratori e imprese che hanno anticipato e spesso riguardato tematiche di competenza dell’altro Vice-presidente Ministro del Lavoro.
104 I dati raccolti da Openpolis rappresentano una convocazione piuttosto rara, soprattutto all’inizio del mandato: da un numero minimo a un numero massimo di 7 volte al mese; solo 4 volte nel delicatissimo mese di marzo, in cui sono stati adottati diversi provvedimenti centrali per l’attuazione del Contratto di governo (reddito di cittadinanza, “quota 100” e riforma della legittima difesa). Ciò in combinazione ad una durata media spesso irrisoria (circa 40 minuti nei mesi di gennaio e febbraio 2019, poco più di un’ora nel mese di marzo); dato, quest’ultimo, piuttosto significativo, poiché sintomo che quella del Consiglio dei ministri non è stata, a lungo, la sede di discussione effettiva dei punti all’ordine del giorno, quanto piuttosto il luogo della ratifica di decisioni assunte altrove, in altre sedi governative, in sede partitica o in sedi extra-istituzionali. Interessante notare, a tal proposito, che con l’incremento della conflittualità delle due anime del Governo, a partire da aprile si è registrato pure un aumento della durata dei consigli.
105 Si pensi, ad es., al perdurante conflitto fra i due Vice-presidenti e il Ministro dell’Economia concernente i contenuti del – cruciale – Documento di Economia e Finanza.
106 Cfr. X. XXXXXXX in AA.VV., Il Forum, cit., 32; X. XXX, Il “contratto di governo” e il rischio di una grave crisi costituzionale, in xxxxxxxxxxxxxx.xxxx, 16.5.2018, 1.
107 Insiste sul punto della genericità e ripetitività dei programmi di Governo dei primi quarant’anni della storia repubblicana X. XXXXXX, Mitologie dell’indirizzo politico ed identità partitica, Napoli, 1988, 116 ss.
108 A partire dal Governo Amato I, i programmi iniziano ad essere estremamente definiti e puntuali (cfr. X. XXXXXXXX, I Governi, cit., 475) e questa caratteristica tende a ripetersi specialmente in caso di governi “tecnici” (dunque, non frutto di accordi). Con l’avvento del sistema elettorale maggioritario i programmi di governo, anche di coalizione, vengono
Ciò non toglie che, ovviamente, l’elemento rimanga piuttosto significativo, se solo si rammenta la lezione di Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx, il quale si è lungamente soffermato sull’importanza della puntualità dell’accordo di coalizione, specialmente nel caso in cui unisca forze politiche distanti fra di loro, osservando che in questa evenienza l’opera di mediazione e sintesi politica, non perseguibile sul piano ideologico o su quello della visione della società di cui ciascuna si fa portatrice, è possibile solo individuando «cose» che si intendano fare in tempi brevi109. La vaghezza contrattuale, invece, confermava l’ipotesi che le parti non avessero assunto un effettivo impegno reciproco (non più solo, dunque, dal punto di vista giuridico, ma anche da quello politico) poiché la distanza ideologica, combinata con la perdurante conflittualità e con il netto dualismo della struttura governativa hanno esposto il riempimento di contenuti di ciascun punto (e la combinazione con gli ulteriori presenti nel Contratto) agli esiti di un confronto continuo – dipendente di fatto dai mutamenti di forza politica delle due anime del Governo – molto più di quanto sarebbe accaduto, evidentemente, in relazione a punti specifici, dettagliati.
Non occorrono molte parole per dimostrare l’attendibilità di questa affermazione: la prassi dell’azione del Governo Xxxxx I è piuttosto inequivoca sul punto ed è stato di palmare evidenza l’inesausto conflitto fra le due anime del Governo riguardo a punti sui quali avrebbe potuto e dovuto essere già risolto in sede contrattuale. I dati relativi allo stato dell’attuazione del Contratto al termine del Governo Conte I110 attestano un’ampia inattuazione111, accanto ad una piuttosto diffusa tendenza all’attuazione parziale o non conforme agli impegni assunti in sede contrattuale112 e alla presenza di punti di contratto oggetto di misure addirittura contrastanti con gli impegni assunti113. A questi dati occorre poi combinare quelli ricavabili dal rapporto dell’Ufficio per il programma di Governo114, dal quale emerge che anche quando i punti sono stati attuati in maniera conforme al Contratto con misure definitive115, la completa implementazione attende ulteriori interventi, regolamenti e provvedimenti attuativi116.
In questo quadro, è emersa piuttosto evidentemente l’influenza europea nella determinazione delle effettive possibilità attuative dei punti concordati a livello statale. Sicuramente confermata dalle vicende dell’attuazione contrattuale è stata, infatti, la necessità di condividere la fase strumentale (e, di conseguenza, quella effettuale117) dell’azione di governo con l’Unione Europea. È noto, infatti, che i vincoli economico-finanziari imposti in sede europea e la necessaria concertazione della legge di bilancio con la Commissione, durante l’apposito “semestre”, segnano in maniera ineludibile i confini delle attività di governo effettivamente perseguibili118. Si tratta di un’influenza nella determinazione
invece ad essere influenzati in maniera determinante dagli obiettivi fissati nei programmi elettorali di coalizione e poi eventualmente integrati dall’accordo su punti specifici con forze ulteriori (v. X. XXXXXXX, Il governo, cit., 383 ss.).
109 Cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi, cit., 71 s. Interessante è pure rilevare che questa constatazione viene suggerita all’Autore dalle sopra ricordate affermazioni di Xxxx, che parlava del tentativo di «far combaciare sulle cose più significative, più immediatamente utili, i programmi di partiti diversi che furono molto lontani e che lo sono largamente ancora» (supra, par. 2.).
110 Reperibili nell’Osservatorio sull’attuazione del programma di governo di Xxxxxx-online, al link xxxx://xxx.xxxxxx- xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxx/xxxxx-xxxxxxxxxx-xxxxxxxxx-xx-xxxxxxx/xxxxx-xxxxxxxxxx-xxxxxxxxx-xxxxxxx.xxxx.
111 Con 171 punti del contratto dei quali non è stata avviata alcuna attuazione, pari al 56% dei punti contrattuali.
112 Sono 75 i punti del contratto oggetto di attuazione parziale o parzialmente difforme, pari al 24% dei punti contrattuali.
113 10 punti contrattuali, corrispondenti ad una percentuale del 6%.
114 Aggiornato al 31.8.2019. V. xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xx/xxxxxxx/xxxxx-xxxxxxxxxx-xxx-xxxxxxxxx-xx-00- agosto-2019/.
115 33 punti contrattuali sono stati attuati con misure definitive e 17 con misure in itinere.
116 363 provvedimenti, di cui ne rimangono 284 da attuare.
117 Il riferimento è, evidentemente, alla tripartizione proposta da X. XXXXXXXX, Indirizzo politico, in Enc. Dir., XXI, Milano, 1971, 136 ss.
118 Cfr. X. XXXXXXXXXX, I riflessi, cit., 367 s.
dell’indirizzo politico statale119 che l’appartenenza all’UE ha esercitato in maniera crescente nel corso degli anni e che ha portato la dottrina a parlare di degradazione dell’indirizzo politico «da attività politico-normativa orientata ad attività recettizio-normativa vincolata»120.
Una conferma piuttosto eclatante, nell’ambito dell’attività del Governo Conte I, se ne è avuta nell’ambito dell’iter di approvazione della legge di bilancio per il 2019121. Si ricorderà, infatti, che il contenuto di quella legge è stato oggetto di un estenuante braccio di ferro fra Governo e Commissione europea, che ha visto il primo soccombere alle richieste della seconda, sotto la minaccia di incorrere nella procedura di infrazione. E si ricorderà pure come a fare le spese di questa soccombenza siano stati punti cardine del Contratto (fra gli altri, la rimodulazione del “reddito di cittadinanza”, della cd. “Quota 100” e della flat tax).
Ma l’influenza europea sull’attuazione del Contratto non appare fermarsi a questi primi tratti, tutto sommato comuni alle più recenti esperienze governative. Occorre, infatti, dedicare un’apposita attenzione a quei punti del Contratto che, oltre ad essere caratterizzati dalla sopra ricordata vaghezza e accentuata esposizione alla perdurante “contrattazione politica”, si distinguono pure per il fatto di contenere impegni indisponibili per le parti: punti, anche cruciali, che non si concentravano tanto – o soltanto – sulle azioni che le due forze politiche si impegnavano ad intraprendere nei relativi settori, quanto piuttosto sull’atteggiamento e le tesi che il Governo intendeva proporre nelle sedi istituzionali dell’Unione europea. Emblematico a tal proposito è il punto 13, dedicato a “Immigrazione: rimpatri e stop al business”, che non si riempiva di impegni in relazione ai quali le parti potessero assumere una responsabilità circa la loro futura attuazione o inattuazione, ma di promesse di atteggiamenti risoluti verso altri soggetti, esterni all’ordinamento (le Agenzie europee, gli altri Stati membri con i quali accordarsi ai fini dell’abrogazione del regolamento Dublino o della condivisione delle responsabilità nell’accoglienza dei migranti) che avrebbero dovuto dare seguito e corpo alle azioni ivi previste.
In punti così concepiti, il Contratto ammetteva allora una co-determinazione dell’indirizzo politico di maggioranza con le sedi e gli attori europei non solo per quanto atteneva la fase strumentale (come sopra si vedeva), ma pure per quanto concerneva la stessa fase teleologica dell’azione di governo122. E così, pur se l’intento era quello di proclamare azioni di rivendicazione di sovranità123 e un atteggiamento non più condiscendente nei confronti delle istituzioni sovranazionali124, l’effetto era, da altro angolo visuale, quello di sancire in maniera piuttosto eclatante l’impotenza del Governo nelle relative materie o, quantomeno, la sua impossibilità di proporre azioni perseguibili in sede statale e senza l’intervento di soggetti terzi.
119 Su cui v., di recente, X. XXXXXX, X. XXXX, «Forma di governo» e «indirizzo politico»: la loro discussa applicabilità all’Unione europea, in EAD. (a cura di), Op. cit., 32 ss. e spec. 37.
000 X. XX XXXXXX, Xxxxx, legislatore e indirizzo politico, in V. TONDI DELLA MURA, X. XXXXXXXX, R.G. RODIO (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica, Torino, 2005, 188. X. xxxx, xxx xxxxx, X. XXXXXXX, L’indirizzo politico dalla nazionalità all’apolidia, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), La sovranità popolare nel pensiero di Xxxxxxxx, Crisafulli, Paladin, Padova, 2004, 116 ss.
121 Xxxxx quale si dovrà tornare pure nel prossimo paragrafo per le importanti implicazioni anche sul piano del rapporto Governo-Parlamento.
122 Cosa, certo, già accaduta in passato, ma piuttosto in direzione di assecondamento delle prescrizioni europee e, comunque, in ragione di congiunture (specialmente economiche) presentate come “eccezionali”. Si pensa, ovviamente, al Governo Xxxxx (come si sa, formato proprio per rispondere alle richieste inviate dalla Commissione europea tramite apposita lettera) o, in maniera più sfumata, ad altri Governi “tecnici”.
123 Così, ad es., il punto 3. Agricoltura e pesca – made in Italy, oltre al già richiamato punto 13.
124 Così, il punto 29, esplicitamente dedicato all’Unione Europea.
Ne è risultata l’indicazione nel Contratto – ossia in un atto che, teoricamente, avrebbe dovuto contenere impegni reciproci fra le parti e nei confronti dell’elettorato – “fini” e “obiettivi” rispetto ai quali il Governo non appariva passibile di alcuna responsabilità politica, poiché le azioni che potevano davvero concretizzare quei fini e quegli obiettivi necessitavano di essere svolte da soggetti diversi o, al più, insieme a terzi. Non passibile di responsabilità politica ed esente pure, largamente, da quella giuridica, giusta la delibera del Senato di negazione all’autorizzazione a procedere nei confronti del Vice-presidente Xxxxxxx con riguardo ad azioni che concretizzavano gli estremi di una perseguibilità penale per reati di estrema gravità125. Non v’è spazio in questa sede per argomentare le ragioni per cui chi scrive non ritiene affatto convincenti gli argomenti addotti a sostegno della qualifica di quelle azioni come atti politici e della sussistenza dell’esimente del perseguimento di un preminente interesse pubblico126. Dal nostro angolo visuale è necessario, piuttosto, rilevare l’assenza, da un lato, della competenza del Ministro dell’Interno in materia e, dall’altro, di un qualunque atto tipico dell’azione governativa (circolare, direttiva o delibera consiliare); assenze che hanno reso il Contratto di governo (o meglio, l’asserita inquadrabilità delle decisioni del Ministro entro il – vago – punto programmatico dedicato all’immigrazione) un elemento centrale nella memoria difensiva del sen. Salvini127.
Ma il quadro dei rapporti fra Contratto di governo e azione governativa sin qui offerto è da considerarsi ancora del tutto parziale, nella misura in cui è riferito solo a quanto è stato incluso nello stesso, mentre, in realtà, non è soltanto ciò che è scritto nel Contratto ad essere rilevante, quanto pure ciò che non vi è scritto e la maniera in cui le “parti contraenti” si sono atteggiate dinnanzi al non- previsto, perché volontariamente escluso o perché non prevedibile.
Dinnanzi a ciò che è stato volontariamente escluso per impossibilità di giungere ad un accordo fra le parti, infatti, posta la reciproca distanza ideologica, è rimasta sempre latente la possibilità che una delle due cercasse di riproporre azioni caratterizzanti il proprio progetto politico, facendosi scudo del silenzio contrattuale. E, difatti, episodi di questo genere non sono mancati nella prassi e hanno visto il Contratto fungere da argine per frenare l’attuazione o la semplice messa all’ordine del giorno di un punto gradito ad una sola delle forze politiche128.
Ma è soprattutto nella sfera del non-previsto perché non-prevedibile che si è manifestato in tutta la sua evidenza un ineludibile limite dell’impostazione “contrattuale” nella definizione della piattaforma programmatica, ossia quello derivante dall’ontologica incompatibilità fra relazioni politiche e pretese di “ingabbiamento” in forme privatistiche (o in effetti, più in generale, in forme eccessivamente predefinite): se compito della politica è quello di offrire una visione del mondo e della società, che di volta in volta si attua e concretizza nelle scelte che Parlamento e Governo sono chiamati ad operare in relazione alle condizioni, sempre mutevoli, cui devono misurarsi nel corso della legislatura, il fattore-tempo è uno degli attori sul campo e richiede una perenne attività di valutazione e ri-valutazione nella concretizzazione delle politiche che meglio possano rispondere alle
125 Il riferimento è alla vicenda della nave Diciotti, in relazione alla quale il testo della domanda di autorizzazione a procedere è reperibile in xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xxxxx.xxxx e il testo del resoconto sommario della seduta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del 19.2.2019 in xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxx/xxx/xxxxxxx/xxxxx.xxx?xxxxxxxxXxxxXxxx&xxxx00&xxx0000000.
126 V., fra gli altri, X. XXXXXXX, Principio di legalità vs. preminente interesse pubblico? Il caso Xxxxxxxx e le sue conseguenze, in Quad. Cost., 2018, 898 ss.; X. XXXXXXX, I fondamenti del costituzionalismo alla prova del caso Xxxxxxxx: il sindacato sulle decisioni parlamentari e il punto di equilibrio fra poteri, in Quest. Giust., 14.3.2019.
127 Il testo della memoria è reperibile in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxx0000/xxxx0/Xxxxxxx_Xxxxxx_Xxxxxxx.xxx 128 Si pensi, ad es., all’annuncio fatto il giorno di capodanno 2019 dal Vice-Premier Xx Xxxx di voler ridurre lo stipendio dei parlamentari, cui la Lega ha opposto l’assenza fra i punti del Contratto, o alla contesa sulla misura della castrazione chimica per coloro che si fossero resi colpevoli di reati gravi a sfondo sessuale, voluta solo dagli esponenti della Lega.
questioni emergenti ogni giorno (e ogni giorno diversamente), esponendo alla necessità di affrontare imprevisti, situazioni e congiunture non configurabili a priori.
In quest’area si riapre insomma, costantemente, la più libera e incondizionata necessità di mediazione delle scelte governative inattese.
A tale proposito, il Contratto disponeva di apposite prescrizioni “di metodo”, che imponevano la leale collaborazione, il raggiungimento di un nuovo accordo sulle misure da adottare e, ove si fosse registrata l’impossibilità di giungere ad un accordo, l’intervento del fantomatico del Comitato di conciliazione. Vi si prevedeva, inoltre, la possibilità di un nuovo accordo “di medio termine” che seguisse alla valutazione dello stato di attuazione del Contratto a metà della legislatura e, eventualmente, lo integrasse con nuovi punti, ove ritenuti opportuni o necessari.
Questi impegni, tuttavia, collidevano con le scelte di impostazione e di struttura della compagine governativa sopra riferite: una struttura che nella sua dualità ha rispecchiato, nel corso della vita del Governo, quella indisponibilità alla sintesi politica che già in sede di redazione del Contratto aveva prodotto una mera sovrapposizione di punti programmatici, piuttosto che l’individuazione di un punto di incontro fra diverse visioni del mondo. Una conferma di questa indisponibilità, per certi versi ultimativa, può ricavarsi pure dalla mancata costituzione del Comitato di conciliazione, emblema della scarsa volontà delle parti di individuare sedi e luoghi di reale confronto e dibattito.
Un riflesso di queste scelte può agevolmente rinvenirsi nella prassi dell’azione del Governo Conte I riferita a quanto di “nuovo” e non-previsto è stato chiamato ad affrontare. Esemplare è sicuramente stata la gestione dell’emergenza seguita al crollo del ponte Morandi di Genova, in cui la dualità governativa ha comportato un’assolutamente inusuale attesa prima di giungere al primo dei provvedimenti di Governo. Ma nello stesso senso sembra potersi leggere anche il frequente e abnorme ricorso alla prassi distorsiva dei cd. decreti-legge “salvo intese”129 e della loro pubblicazione tardiva130, che (oltre ad essere coincidenti con una strategia propagandistica relativa a provvedimenti dei quali non esisteva, in realtà, la sostanza) sono stati un chiaro indice della frequente mancanza di condivisione e sintesi politica anche su ciò che era, sia pur solo parzialmente, nuovo rispetto al Contratto.
7. Il “contratto” nella relazione partiti-Parlamento-Governo, nella prassi del Governo Conte I
Quanto fin qui rilevato possiede evidenti implicazioni sulla configurazione della relazione fiduciaria fra Parlamento e Governo. Il Contratto di governo, infatti, ha replicato nella sua interazione con le dinamiche fiduciarie molte delle caratteristiche tipiche degli accordi di governo, ma con taluni elementi di specificità legati agli irrigidimenti sin qui evidenziati.
Occorre innanzitutto ricordare quanto già sopra si segnalava, ossia che il Contratto, esplicitamente, pretendeva di estendere i propri effetti oltre i due soggetti contraenti: il punto 1, significativamente rubricato “Il funzionamento del Governo e dei Gruppi Parlamentari”, impegnava i contraenti a «garantire la convergenza delle posizioni assunte dai gruppi parlamentari» e a stabilire
129 Su cui v., di recente, X. XX XXXXXX, Due prassi costituzionalmente discutibili: delibere del Governo “salvo intese” e pubblicazione tardiva dei decreti legge, in Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 1/2019.
130 Il “decreto Genova” ha richiesto 15 giorni di attesa; il “decreto agricoltura” 22 giorni; il decreto “sblocca cantieri” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale dopo ben 29 giorni dalla sua presentazione e il “decreto crescita” dopo – fatto inedito – due diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri e 26 giorni di attesa.
«insieme il lavoro in ambito parlamentare», oltre a dedicare un apposito sotto-paragrafo alla “cooperazione tra gruppi parlamentari”. Si trattava di impegni che implicavano l’idea di poter esercitare la forza “contrattuale” verso l’attività di terzi (singoli parlamentari e relativi gruppi) negando così la loro distinta soggettività e la loro autonomia funzionale131. Idea pericolosa, che sottende quella della sovrapponibilità fra lavoro governativo e lavoro parlamentare e che preannunciava un intervento pervasivo del Governo (o meglio, come vedremo, dei leader dei partiti politici che in esso si fondevano) sull’attività legislativa, in evidente conflitto con le disposizioni costituzionali che attribuiscono l’esercizio della funzione legislativa al Parlamento e configurano un esattamente inverso rapporto di forza fra i due organi (è il Parlamento a dover legittimare l’azione del Governo, conferendo la fiducia; non certo l’opposto). Infine, si trattava di impostazione evidentemente incompatibile con l’art. 67 Cost., la cui proposta modifica sembrava voler essere anticipata “a Costituzione invariata” dagli impegni contrattuali.
Se ciò è vero, allora le usuali implicazioni degli accordi di governo sulle dinamiche fiduciarie di cui si diceva sopra (determinate dal fatto che l’accordo costituisce l’antecedente politico di atti e conseguenze istituzionali: la delibera del programma di Governo su cui si poggia la mozione di fiducia), risultavano, ancora una volta, trasfigurate dal Contratto. Più precisamente, pur non potendo considerarsi del tutto inconsueto che la fiducia parlamentare sia stata accordata in relazione a dichiarazioni programmatiche che facevano espressamente rinvio al Contratto (poiché ciò – in maniera implicita o esplicita – ha sempre caratterizzato la fiducia dei Governi fondati su accordi di coalizione132), deve ritenersi inedito, invece, che, accordando quella fiducia, le Camere abbiano accolto l’impostazione “contrattuale” dell’accordo di governo e offerto il loro consenso alle sopra menzionate xxxxxxxx, accettando così, implicitamente, l’ipotesi di far guidare la loro attività interna dai due Vice-presidenti contraenti.
In questo senso, se il Contratto fosse stato davvero vincolante e la sua attuazione non si fosse esaurita nell’alveo delle dinamiche politiche, ci saremmo trovati dinnanzi ad una violazione costituzionale di particolare gravità. Tuttavia, la permanente possibilità, sul piano politico, per i singoli parlamentari, i gruppi e capigruppo di discostarsi da quella piattaforma programmatica o dalle indicazioni “di metodo” poste dal Contratto ha offerto una parziale rassicurazione (pur se il segnale istituzionale e, più latamente, culturale e politico deve essere valutato con estrema serietà).
Guardando a queste considerazioni da altro angolo visuale, bisogna però osservare pure che la persistente autonomia e libertà dell’esercizio delle funzioni parlamentari ha esposto il Contratto – al pari dei pregressi accordi – alle consuete eventuali inattuazioni, attuazioni parziali o difformi ogniqualvolta occorresse una traduzione dei punti contrattuali in atti normativi. Di conseguenza, ha esposto il Governo a possibili crisi determinate dal mancato rispetto, da parte di uno dei gruppi parlamentari o di un numero consistente di parlamentari dissenzienti, degli impegni assunti in sede di accordo e “approvati” mediante fiducia.
Così, se il primo effetto dell’incorporazione del Contratto al momento della mozione di fiducia è stato il rischio di rendere il Parlamento un mero ratificatore di un indirizzo politico determinato esclusivamente in sede esecutiva, questo effetto si è attenuato in maniera crescente con il passare del tempo e in misura direttamente proporzionale alla vaghezza e/o ampiezza dei punti contrattuali di
131 Avvertiva circa la fallacia e limiti (anche politici) di questa impostazione già A. D’XXXXXX, Accordi, cit., 93 ss., che addirittura promuoveva la partecipazione dei gruppi parlamentari (nella persona dei Presidenti) alle trattative relative alla determinazione dei contenuti dell’accordo, al fine di riconoscere la rilevanza della loro autonoma soggettività e di assicurare il sostegno parlamentare effettivo (e, di conseguenza, la stabilità governativa).
132 Cfr. P.A. CAPOTOSTI, Accordi di governo, cit., 77 s.
riferimento, restituendo così al Parlamento (e alle forze politiche in esso rappresentate) il ruolo di possibile co-determinatore dell’indirizzo politico.
Nel corso della legislatura è, infatti, tornata ad essere cruciale la relazione fra partiti e gruppi parlamentari nell’attività di direzione delle scelte normative, ossia delle decisioni da cui dipendono le sorti del Governo. In questo senso il Contratto non solo non è riuscito ad interrompere, ma anzi ha confermato e per certi versi, paradossalmente, rafforzato l’ordine “partitocratico” che, con alterne vicende, ha caratterizzato tutta la storia repubblicana133. In quest’ottica, infatti, a rilevare non è stata tanto (o solo) la qualifica di Vice-presidenti del Consiglio dei due soggetti contraenti, quanto piuttosto quella di “capi politici” delle rispettive forze di governo. È stata questa loro veste a qualificare le clausole di metodo sopra ricordate e a conferire loro una certa attendibilità dal punto di vista politico: la pretesa sembrava quella di guidare il Governo come Vice-premier “insieme responsabili” della traduzione dei punti contrattuali in azione governativa e, contemporaneamente, di guidare l’attività dei gruppi parlamentari come capi politici delle rispettive forze di maggioranza. Due “super-delegati” di partito, insomma, snodo e perno anche nella triangolazione con gli organi parlamentari: ancora una volta, “qualcosa di nuovo …, anzi (molto) d’antico”.
Per verificare se questa seconda pretesa sia riuscita a trovare rispondenza nella prassi, giova allora guardare ancora all’attività del Governo Conte I, nel rapporto con il Parlamento, per valutare se davvero i due contraenti abbiano potuto esercitare questo doppio ruolo e se la loro duplice veste abbia avuto delle implicazioni nell’ambito delle vicende fiduciarie legate all’attuazione del Contratto. Un tale riscontro, ovviamente, sconta i limiti oggettivi legati alla stasi di cui prima si diceva: se l’azione effettivamente attuativa del Contratto è stata notevolmente contenuta, conseguentemente lo è anche la possibilità di verificare l’impatto di quest’ultima sulla relazione fiduciaria. Tuttavia, è possibile individuare qualche dato interessante soprattutto nell’attività parlamentare del mese di marzo, che ha visto le Camere esprimersi in relazione a due votazioni “personali”: la doppia mozione di sfiducia individuale nei confronti del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Xxxxxxxxx e la sopra ricordata autorizzazione a procedere nei confronti del Vice-presidente e Ministro dell’Interno Salvini134. In entrambi i casi si è potuta riscontrare la dinamica “incrociata” tipica del supporto parlamentare ai governi di coalizione, che implica l’impossibilità di successo delle sfiducie individuali, se non al prezzo della crisi dell’intero Governo135. Entrambe le delibere hanno infatti confermato il sostegno parlamentare all’Esecutivo, ma hanno rappresentato due situazioni sostanzialmente diverse: mentre il Ministro esponente del M5S ha potuto contare sulla sola
133 V., per tutti, X. XXXX, Governo, cit., passim; X. XXXXXXX, Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977, 45 ss.; X. XXXXXX, Partiti politici, in Enc. Dir., XXXII, Milano, Xxxxxxx, 1982, 66 ss.; X. XXXXXXXXX, Forme di governo e partiti politici. Riflessioni sull’evoluzione della dottrina costituzionalistica italiana, Milano, 1993, 91 ss.; X. XXXXXX, Dopo la partitocrazia, cit.; X. XXXXXXX, Dal «governo di coalizione» al «semipresidenzialismo temperato»: alcune osservazioni sulla forma di governo (tra Costituzione, realtà e proposte di revisione costituzionale), in X. XXXXXXXX (a cura di), La transizione repubblicana. Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxx, Padova, 2000, 195 ss.
134 Per l’accostamento delle delibere sull’autorizzazione a procedere alle votazioni sulle mozioni di sfiducia individuale, dal versante del rapporto fra partiti, Parlamento e Governo, v. X. XXXXXXX, Il governo, cit., 59 s.
135 Cfr., per tutti, X. XXXXXXX, Indirizzo, cit., 390, che parla di fiducia “partitica” che viene registrata dal Parlamento e
X. XXXXXXX, Il governo, cit., 17 s., il quale ne deduce che «si può dire che i partiti danno la “fiducia” al governo al momento stesso in cui giungono all’accordo di coalizione, da cui discende la copertura stessa dell’organo» cosicché, in sostanza, si delinea una «fiducia incrociata da parte di ciascun partito verso i ministri appartenenti agli altri partiti. La fiducia votata dal Parlamento al Governo risulterebbe da una somma di “fiducie” incrociate». Da ciò, l’A. deduce ulteriormente (p. 45) «la pratica impossibilità che si verifichi un caso di mozione di sfiducia individuale destinata al successo» poiché «a meno che non sia lo stesso partito di appartenenza a revocare la “fiducia” al ministro (che in questo caso si dimetterebbe, non avendo davanti a sé alcuna altra strada praticabile), si presume che questi abbia (come in effetti ha) la solidarietà in Parlamento della sua parte politica; pertanto una eventuale sfiducia individuale, votata dagli altri partiti della maggioranza, farebbe venire meno l’accordo di coalizione».
maggioranza governativa, in cui la quota appartenente al suo movimento è stata ridotta nel corso dei mesi dalle espulsioni o dal cambiamento di gruppo parlamentare degli esponenti dissidenti136, il Vice- Presidente segretario della Lega ha potuto contare anche sull’appoggio “esterno” dei precedenti alleati (con i quali ha medio tempore condotto, con successo, importanti competizioni elettorali locali).
Ulteriori elementi interessanti, con riferimento al rapporto fiduciario, possono essere tratti pure dal frequente uso della questione di fiducia. I dati circa il ricorso allo strumento confermano infatti un ampio utilizzo, in linea con il trend delle ultime legislature137, combinato peraltro ad ulteriori elementi che ne hanno rafforzato l’attitudine precludente il dibattito parlamentare: spesso la questione di fiducia è stata apposta nell’ambito della conversione in legge di decreti-legge o di provvedimenti controversi e dibattuti (mille-proroghe, decreto sicurezza e immigrazione, decreto fiscale, decreto semplificazioni, decreto su reddito di cittadinanza e quota 100), dimostrando così l’esigenza di “compattare la maggioranza” in relazione a punti centrali del programma di governo. La necessità di ricorrere alla questione di fiducia insomma, in certo senso, ha attestato l’inesistenza di un’autonoma forza vincolante del Contratto, poiché ha dimostrato che per la sua attuazione il Governo è rimasto costretto a ricorrere a strumenti ulteriori.
Per altro verso, invece, occorre svolgere un’analisi combinata del ricorso alla questione di fiducia con quella dei punti programmatici cui si è riferita poiché, in linea teorica, si sarebbe potuto immaginare che l’esplicita menzione del Contratto al momento della richiesta della fiducia alle Camere potesse imbrigliare più del passato la questione della fiducia, obbligando il Governo ad un riferimento ad un punto contrattuale al fine di dimostrare l’effettiva crucialità del voto parlamentare per l’attuazione del programma di governo. Si tratta, ovviamente, di considerazione che riguarda solo quanto “prevedibile” al momento del Contratto e sulla quale, quindi, il fattore-tempo esercita ancora una volta una sicura rilevanza: ulteriori o diversi punti ivi non inclusi avrebbero potuto, mutate le circostanze politico-sociali ed economiche, divenire cruciali; rimaneva, inoltre, non precludibile a priori l’apponibilità della questione di fiducia in relazione a fattispecie nuove e non prevedibili138. In realtà, a ben vedere, la prassi ha smentito pure l’ipotesi di una potenziale vincolatività del Contratto al fine del contenimento della questione di fiducia, poiché la vaghezza dei punti di cui si componeva ha reso possibile accompagnare la “blindatura” dei testi normativi proposti dal Governo in relazione alle più diverse concretizzazioni dei punti contrattuali. Basti rilevare che la questione di fiducia ha accompagnato proprio quei decreti che, come abbiamo visto139, hanno dovuto rimodulare significativamente gli impegni assunti in sede contrattuale in ragione delle richieste europee140.
Da questo punto di vista, allora, non sembra potersi registrare alcun “cambiamento” rispetto ai pregressi Governi, se non forse nel senso di un salto qualitativo nella pretesa dell’Esecutivo di espropriare il Parlamento di buona parte della sostanza della funzione legislativa. Non può non menzionarsi, a tal proposito, l’inedita gravità dell’interferenza governativa nella procedura di
136 A tal proposito, non estranea al discorso è apparsa la “politica delle espulsioni” dai gruppi parlamentari da parte del M5S, che ha evidentemente ponderato l’esigenza di sanzionare comportamenti dissidenti con quella della necessaria consistenza numerica dei gruppi, prediligendo – in condizioni di pari gravità delle assenze o di voti non conformi alle indicazioni dei capogruppo – l’espulsione dal gruppo della Camera dei Deputati, piuttosto che da quello del Senato (ove lo scarto della maggioranza era più esiguo). Ciò dimostra che, effettivamente, il Governo e l’attuazione del Contratto hanno dovuto interloquire con soggettività autonome in sede parlamentare.
137 Secondo il monitoraggio Openpolis, il 50% dei decreti del governo Conte I ha necessitato di almeno un voto di fiducia per diventare legge.
138 Com’è, ad esempio, accaduto, con il d.l. n. 109 del 2018 (cd. “decreto-Genova”).
139 V. supra, par. 6.
140 Così, fra i molti esempi possibili, il d.l. n. 4 del 2019 (su reddito di cittadinanza e “quota 100”).
approvazione della legge di bilancio per il 2019, che, per la prima volta nella storia repubblicana, ha impedito alle Camere la stessa conoscenza del testo di legge da approvare. Si ricorderà infatti che il testo, concordato all’esito di un lungo confronto con la Commissione europea, è stato trasfuso in un maxi-emendamento governativo fortemente innovativo dell’impianto originario della legge, sul quale è poi stata posta la questione di fiducia. Si è così impedito non solo il dibattito in Assemblea – cui purtroppo l’esperienza di questi ultimi anni ci aveva già abituato – ma anche l’esame da parte della Commissione Bilancio141.
Un salto qualititativo, si diceva, che nei fatti ha confermato quanto già si era potuto desumere dalle scelte svolte in sede di delineazione dell’accordo di governo e che conferma come quelle scelte si riverberino sulla concezione stessa della rappresentanza e sugli equilibri fra i poteri dello Stato posti dalla Costituzione a presidio del principio democratico.
In chiusura della presente indagine, non può non menzionarsi, infine, la totale estraneità del Contratto dalle vicende che hanno condotto il Governo Xxxxx I verso la sua fine, segnata da un conflitto fra Vice-Presidente e Presidente del Consiglio che solo in maniera marginale ha riguardato lo stato di attuazione dei punti programmatici concordati. Si è trattato di una crisi che è rientrata
«nella fenomenologia più comune delle crisi di governo italiane: quelle causate dalla rottura della coalizione di governo»142 e che ha dimostrato l’impossibilità di ingabbiare le dinamiche fiduciarie, quali che ne siano i contenitori formali.
Quelle forme e quei contenitori devono piuttosto interessare il costituzionalista per la cultura politico-istituzionale che riflettono e per il rischio che recano di produrre prassi integrative del disposto costituzionale relativo a Governo e forma di governo non compatibili con i princìpi desumibili da quel disposto e con il perimetro ivi tracciato.
141 Per il contingentamento dei tempi, v. la ricostruzione operata nel ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato da alcuni parlamentari della minoranza e riportata in nt. 1 in X. XXXXXXXXXX, La legge di bilancio tra Governo e Corte costituzionale: il Parlamento approva a scatola chiusa, in Xxxxxxxxxxx.xx, 20.2.2019. Sulle numerose questioni di rilevanza costituzionale sollevate dalla procedura, v., fra i molti, X. XXXXXX, L’avvocato del popolo e il curatore fallimentare della Repubblica, in xxxxxxxxxxxxxx.xxxx, 25.12.2018; X. XXXXXXX, In memoriam del giusto procedimento legislativo, ivi; X. XX XXXXXX, “Come si può deliberare senza conoscere?”, ivi; X. XXXXXXX, L’elettore “buon selvaggio” e il Parlamento esautorato: i mostri della nuova mitologia politica e gli strumenti per fronteggiarli, ivi, 26.12.2018; G. SALERNO, La legge di bilancio per il 2019 tra vincoli europei e rivendicazioni sovraniste: una questione di metodo, ivi, 26.12.2018; X. XXXXXXXXXX, Sessione di bilancio 2018: una ferita costituzionale che rischia di non rimarginarsi, in xxxxxxxxxxxxxx.xxxx, 27.12.2018; X. XXXXXXXX, Fiat iustitia ne pereat mundus. Un monito ultimativo sull’abuso del ricorso ai maxi-emendamenti con questione di fiducia. Nota all’ordinanza n. 17 del 2019 della Corte costituzionale, in Dir. Soc., 2019, 135 ss.
142 Cfr. X. XXXXXXXX, Osservazioni sparse e qualche numero sulla crisi di governo dell’agosto-settembre 2019, in prospettiva storica, in Xxxxxxxxxxx.xx, 4.9.2019, 5.