Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 principali disposizioni di interesse giuslavoristico
Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151
principali disposizioni di interesse giuslavoristico
Sommario
Deposito contratti collettivi aziendali o territoriali (art. 14) 3
Controlli a distanza - art. 4 legge n. 300/1970 (art. 23) 4
2. Comma 1: l’accordo sindacale o il provvedimento amministrativo di autorizzazione. 5
4. Le modalità di utilizzo dei dati raccolti. 8
5. Profili di diritto intertemporale. 10
Cessione dei riposi e delle ferie (art. 24) 13
Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale (art. 26) 14
2. Principali contenuti della nuova disciplina. 14
Deposito contratti collettivi aziendali o territoriali (art. 14)
L’art. 14 del D. Lgs. n. 151/2015 condiziona il riconoscimento dei benefici contributivi o fiscali e delle altre agevolazioni legate alla stipula di contratti collettivi aziendali o territoriali, al loro deposito in via telematica presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente.
La norma non risulta avere portata retroattiva e, pertanto, opererà solo con riferimento ai benefici ed alle agevolazioni richiesti a decorrere dal 24 settembre 2015, restando quindi fermi i depositi dei contratti collettivi di secondo livello effettuati prima di tale data.
In attesa di indicazioni amministrative in materia, tuttavia, e qualora lo si ritenga opportuno, è sempre possibile ripetere in modalità telematica il deposito di accordi che fosse stato già effettuato mediante la consegna del testo, inviando il contratto di secondo livello alla DTL via posta elettronica certificata (PEC).
Sotto questo profilo ricordiamo infatti che, in base al Codice dell’Amministrazione Digitale, tutte le Pubbliche Amministrazioni sono tenute a dotarsi di una casella di posta elettronica certificata (PEC) per qualsiasi scambio di informazioni e documenti.
L’art. 14 del D. Lgs. n. 151/2015 prevede, infine, che è onere della DTL mettere i contratti di secondo livello a disposizione delle altre amministrazioni ed enti pubblici interessati (ad es. INPS).
Controlli a distanza - art. 4 legge n. 300/1970 (art. 23)
L’art. 23 del Decreto Legislativo n. 151/2015 attua il principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 7, lett. f), della Legge n. 183/2014 che affidava al Governo la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative
Conseguentemente, l’art. 23 del D. Lgs. n. 151/2015 modifica l’art. 4 della Legge n. 300/1970, aggiornandone l’impostazione di fondo in coerenza con l’evoluzione tecnologica che ha profondamente cambiato gli strumenti e le modalità con le quali viene svolta la prestazione lavorativa.
Venendo all’esame della nuova formulazione dell’art. 4 della Legge n. 300/1970 occorre, in primo luogo, rilevare che è venuto meno il divieto generale di utilizzo di apparecchiature che consentono il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, divieto che caratterizzava la formulazione della precedente formulazione del comma 1.
Il nuovo art. 4 cambia, infatti, l’impostazione di fondo e prevede una disciplina differenziata a seconda che si tratti:
a) di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa o di strumenti per la registrazione degli accessi e delle presenze;
b) ovvero di altri strumenti (impianti audiovisivi o altre apparecchiature).
Prima di esaminare questa distinzione, che caratterizza il fulcro della nuova disciplina, è però opportuno approfondire l’ambito di applicazione della nuova disposizione.
Sotto questo punto di vista, la nuova disposizione non sembra introdurre novità significative, in quanto il parametro di riferimento resta quello della possibilità che, con l’utilizzo di una determinata apparecchiature tecnologica, l’impresa possa realizzare un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Merita, inoltre, di essere evidenziata l’ampiezza della formulazione dell’art. 4 per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione, poiché il riferimento non solo agli “impianti audiovisivi” ma, più in generale, a “gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza” ricomprende qualsiasi tipo di tecnologia.
La norma infatti, come evidenziato poc’anzi, si limita a valorizzare il dato concreto e fattuale che una determinata tecnologia possa realizzare un controllo a distanza dell’attività del lavoratore.
Restano, invece, chiaramente esclusi dall’ambito di applicazione dell’articolo 4 i controlli svolti di persona e senza avvalersi di strumenti tecnologici da parte dell’imprenditore o dai suoi collaboratori gerarchicamente sovraordinati, ovvero avvalendosi di personale di vigilanza o di guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale (cfr. artt. 2 e 3 Legge n. 300/1970).
La regola generale prevista dal nuovo art. 4 è simile, pur con alcune significative differenze, alla vecchia formulazione della disposizione.
Gli strumenti che consentono di svolgere controlli a distanza possono essere impiegati solo qualora ricorrano due condizioni:
siano finalizzati alla soddisfazione: di esigenze organizzative e produttive; di sicurezza del lavoro; della tutela del patrimonio aziendale;
sia concluso preventivamente un accordo collettivo ovvero, in mancanza di accordo, l’utilizzo degli strumenti sia stato autorizzato preventivamente in via amministrativa.
Prendendo in considerazione le finalità, occorre in primo luogo rilevare che proprio la necessità che ricorrano finalità predeterminate dalla legge esclude che possano essere utilizzati strumenti tecnologici il cui unico scopo sia quello di esercitare un controllo a distanza dell’attività svolta dai lavoratori.
Ciò premesso è tuttavia positivo che la nuova disposizione abbia aggiunto alle ipotesi già contemplate dalla precedente formulazione dell’art. 4 - esigenze organizzative e produttive e sicurezza del lavoro - anche l’ipotesi della tutela del patrimonio aziendale.
Quest’ultima ipotesi è, infatti, di grande interesse perché offre una disciplina anche per i casi di “cd. controllo difensivo”, dando ad essi maggiore certezza applicativa. Inoltre, il riferimento al patrimonio aziendale risulta molto ampio, tanto da ricomprendere non solo i beni materiali, ma tutti i “valori” aziendali ivi inclusi i beni immateriali.
Tanto chiarito sul piano delle finalità, importanti novità sono state introdotte dal legislatore anche con riferimento all’accordo sindacale, in particolare per quanto riguarda i soggetti sindacali abilitati alla stipulazione di tale accordo.
Sotto questo profilo, la regola generale resta quella della competenza negoziale in capo alla rappresentanza sindacale unitaria (oggi espressamente menzionata dalla legge) ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali.
A tal riguardo si ricorda che, in base alle regole previste dal Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, l’accordo è validamente sottoscritto quando:
xxxxxxx approvato dalla maggioranza dei componenti delle RSU;
risulti approvato dalle RSA costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali1.
Tuttavia, un’importante semplificazione è stata prevista con riferimento alle imprese multi localizzate, precedentemente tenute a raggiungere l’accordo con tutte le rappresentanze costituite nelle singole unità produttive2. La nuova disciplina prevede, infatti, che qualora un’impresa abbia unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione, ovvero in più regioni, l’accordo può essere stipulato dalla associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Resta ferma la possibilità che, in caso di mancato accordo, l’utilizzo della strumentazione tecnologica sia autorizzato in via amministrativa. Anche in questo caso la nuova disciplina introduce delle novità modificando la competenza al rilascio del provvedimento per facilitare le imprese multilocalizzate.
Di regola è, infatti, competente al rilascio del provvedimento la Direzione Territoriale del Lavoro, ma se l’impresa ha unità produttive nel territorio di competenza di più Direzioni Territoriali del Lavoro allora la competenza spetta direttamente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Comma 2: gli strumenti che non richiedono l’accordo sindacale o il provvedimento amministrativo di autorizzazione.
La novità più rilevante sulla disciplina dell’art. 4 è però rappresentata dal nuovo comma 2 di questo articolo.
Quest’ultima disposizione, infatti, esclude dall’obbligo della verifica della sussistenza di finalità predeterminate nonchè dal preventivo accordo sindacale ovvero dal provvedimento amministrativo:
l’impiego di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa;
l’impiego di strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Si tratta di una disposizione fortemente innovativa perché il legislatore opera ex ante una valutazione di legittimità dell’impiego di tali strumenti che, quindi, non devono essere sottoposti ad una preventivo esame né da parte delle organizzazioni sindacali, né da parte delle componenti autorità amministrative.
Anche in questo caso la disposizione non distingue il tipo di tecnologia, ma guarda piuttosto alla ragione del suo utilizzo (ossia per rendere la prestazione ovvero per registrare gli accessi), ragione che acquista, quindi, un rilievo preminente.
In altre parole, il nuovo art. 4 della Legge n. 300/1970 distingue la disciplina applicabile allo strumento tecnologico, in grado di effettuare anche un controllo a distanza sull’attività del lavoratore, sulla base delle ragioni che hanno indotto il datore di lavoro all’utilizzo di quella determinata tecnologia.
Tali ragioni dovranno essere “verificabili” e, sotto questo profilo, un ruolo importante, specie per gli strumenti di lavoro, è sicuramente svolto dall’informazione preventiva sulle modalità d’uso prevista dal comma 3 e che verrà esaminata più avanti.
Venendo alle singole ipotesi previste dal comma 2, sicuramente quella degli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” è di particolare rilievo per la sua portata applicativa, che merita di essere approfondita.
La fattispecie ricomprende sicuramente tutti quegli strumenti tecnologici che sono usati dal lavoratore nell’esecuzione della prestazione lavorativa, anche se questi risultino integrati ed incorporati nell’apparecchiatura utilizzata dal lavoratore e possano fornire dati sull’attività svolta dal lavoratore.
Questione più controversa è quella di elementi meramente accessori della strumentazione tecnologica fornita al lavoratore che, dunque, non sono necessariamente funzionali a rendere la prestazione lavorativa. In questi casi, in via di prima interpretazione, si ritiene che si rientri nella disciplina di cui al comma 1. Conseguentemente sarà, in linea di principio, necessario concludere preventivamente un accordo sindacale ovvero ottenere un provvedimento di autorizzazione qualora l’elemento accessorio non sia tale da risultare necessario per rendere la prestazione lavorativa. La valutazione dovrà, quindi, essere svolta caso per caso in base alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore.
Per quanto riguarda gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, la nuova formulazione dell’art. 4 prevede ora una disciplina ad hoc risolvendo così in nuce la questione, affrontata dalla giurisprudenza, se tali tecnologie rientrassero nell’ambito di applicazione della disposizione.
Tuttavia, anche in questo caso, il legislatore ha compiuto una valutazione preventiva di legittimità dello strumento prevedendo la possibilità di installazione ed utilizzo senza bisogno del preventivo accordo sindacale o provvedimento amministrativo.
Il riferimento normativo alla “registrazione degli accessi e delle presenze” è di ampia portata e ricomprende non solo l’ipotesi dei tornelli posti all’ingresso aziendale, ma anche eventuali strumenti di accesso a particolari aree dell’azienda e più in generale anche quelli funzionali alla mobilità intra-aziendale.
Il nuovo comma 3 dell’art. 4 della Legge n. 300/1970 rappresenta una delle novità più rilevanti della nuova disciplina in quanto il legislatore prevede espressamente che le informazioni ottenute dagli strumenti disciplinati dai commi 1 e 2 “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”.
Viene così sottratta alla valutazione dell’accordo sindacale o del provvedimento amministrativo la competenza circa le modalità di utilizzo delle informazioni raccolte dagli strumenti tecnologici.
Questa novità è importante perché supera la precedente impostazione che, in molti casi, vedeva l’autorizzazione all’installazione ed all’utilizzo degli strumenti tecnologici condizionata alla loro non utilizzabilità ai fini dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro3. La nuova norma invece, prevedendo l’utilizzabilità a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, consente ex ante la possibilità di avvalersene anche al fine dell’esercizio del potere disciplinare per contestare eventuali inadempimenti del lavoratore.
Tuttavia, il comma 3 pone, tanto per gli strumenti che ricadono nella disciplina di cui al comma 1 quanto per quelli previsti dal comma 2, due importanti condizioni all’utilizzo delle informazioni ottenute dagli strumenti tecnologici che consentono di effettuare anche controlli a distanza:
l’obbligo di informazione adeguata sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli;
il rispetto del cd. Codice della privacy (D. Lgs. n. 196/2003).
Per quanto riguarda l’onere di preventiva comunicazione, si tratta di un primo importante adempimento che la nuova disposizione pone in capo alle imprese.
In particolare, la nuova disposizione prevede che l’informazione debba riguardare due specifici profili: le modalità d’uso degli strumenti e le modalità di effettuazione dei controlli.
È evidente, quindi, come tale adempimento richieda particolare attenzione, specialmente in fase di prima applicazione della nuova disposizione, perché è attraverso l’informativa che il lavoratore è tenuto a conoscere quale sia il corretto utilizzo della strumentazione tecnologica predisposta dal datore di lavoro.
In altre parole il datore, attraverso l’informativa sulle modalità d’uso della strumentazione, ha l’opportunità di informare il lavoratore in ordine ai “limiti” che egli dovrà rispettare nell’utilizzo dello strumento, in modo che l’uso risulti pienamente “funzionale” alla prestazione lavorativa.
D’altro lato, il riferimento alle modalità di effettuazione dei controlli rappresenta, evidentemente, un limite all’uso dei dati, forniti dagli strumenti, da parte dei datori di lavoro: in altri termini, tramite questa informativa, il lavoratore è posto nelle condizioni di conoscere in anticipo con quali modalità i dati sulla sua attività lavorativa potrebbero essere oggetto di verifica.
Appare ragionevole ritenere che l’informativa sulle modalità di utilizzo degli strumenti tecnologici e di esecuzione dei controlli costituisca un adempimento distinto ma integrabile con la cd. informativa privacy. Infatti, mentre la prima è finalizzata a informare il lavoratore sulle modalità d’uso degli strumenti e sugli eventuali controlli, la seconda è finalizzata a informare il lavoratore sui trattamenti dei dati connessi anche allo svolgimento dei controlli. Tale impostazione sembrerebbe confermata anche dal Garante privacy che, nelle Linee Guida per l’utilizzo della posta elettronica e internet (Provvedimento 1° marzo 2007), ha distinto le finalità di trasparenza sul corretto utilizzo degli strumenti messi a disposizione del lavoratore e sui controlli, da quelle di trasparenza in merito ai trattamenti conseguenti.
Lo stesso comma 3 dell’art. 4 della Legge n. 300/1970 prevede, poi, che i dati raccolti debbano essere utilizzati “nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ”. In particolare, la normativa privacy impone di improntare le operazioni di trattamento connesse all’utilizzo degli strumenti tecnologici - di lavoro e non - al fine di tutelare la riservatezza del lavoratore.
Quanto alle regole che devono ispirare i trattamenti dei dati derivanti dall’utilizzo di strumenti tecnologi nell’ambito lavorativo, rilevano in primo luogo i principi generali dettati dal Codice privacy. Il riferimento è, in particolare, ai principi di: i) semplificazione, armonizzazione ed efficacia; ii) liceità; iii) necessità; iv) correttezza; v) determinatezza, legittimità ed esplicitazione del fine; vi) pertinenza e non eccedenza; vii) conservazione dei dati; viii) informativa preventiva.
In questa sede, e rinviando a un successivo approfondimento l’analisi dei profili privacy della nuova disciplina, è senz’altro possibile affermare che i dati personali utilizzati nel corso delle attività di monitoraggio in ambito lavoristico devono essere”adeguati, pertinenti e non eccedenti” rispetto alle legittime finalità che giustificano il controllo.
Ad esempio se uno strumento di lavoro affidato al lavoratore, a ragione delle mansioni attribuitegli, abbia installato al proprio interno un software che può rilevare la “quantità” o, addirittura, la “qualità” della prestazione svolta, il datore – una volta che abbia adempiuto all’onere dell’informativa preventiva – potrà raccogliere e valutare questi dati non costantemente, bensì nell’ambito di verifiche periodiche o a campione, in coerenza con l’informativa effettuata. A mero titolo di esempio, potrebbero essere “giustificate” verifiche a seguito di interventi di manutenzione dello “strumento” ovvero a seguito di periodiche verifiche programmate e preventivamente comunicate, a fini di controllo di qualità, ovvero ancora, e sempre a titolo esemplificativo, laddove si riscontrino anomalie tecniche o si verifichino eventi imprevedibili (distacchi di corrente o eventi atmosferici).
La nuova disciplina dell’art. 4 della Legge n. 300/1970 è in vigore a decorrere dal 24 settembre 2015, ovvero dal giorno successivo alla pubblicazione del D. Lgs. n. 151/2015 sulla Gazzetta Ufficiale (cfr. art. 43).
La transizione dalla vecchia alla nuova disciplina richiede attenzione non solo per quanto riguarda gli adempimenti previsti dalla nuova disciplina, ma anche sotto il profilo degli accordi sindacali stipulati sotto la vigenza della precedente disciplina normativa.
Come sempre accade a fronte della successione di discipline diverse, si tratta di valutazioni complesse e che richiedono un’attenta valutazione caso per caso dei singoli accordi.
Tuttavia, in linea di principio, è possibile affermare che gli accordi sindacali stipulati in base alla precedente disciplina dell’art. 4 della Legge n. 300/1970 rispondevano all’esigenza di dover adempiere alla condizione richiesta da quella disposizione per poter procedere all’installazione della tecnologia che consentiva anche il controllo a distanza.
E, come ricordato, nonostante le forti innovazioni introdotte dalla nuova norma, non si può sostenere che sia venuta meno la ratio ispiratrice della precedente normativa, ossia che l’accordo o il provvedimento della DTL consentiva di utilizzare determinati strumenti.
Dunque, in linea di massima, gli accordi conclusi o i provvedimenti rilasciati nel corso della previgente normativa dovrebbero ritenersi tuttora efficaci.
Nel caso in cui, però, nell’accordo vi fossero riserve circa l’utilizzo a fini disciplinari dei dati raccolti, tanto più se gli accodi avessero ad oggetto “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” ovvero “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” l’impresa ben potrà valutare l’opportunità di disdettare l’accordo ovvero chiedere l’emanazione di un nuovo provvedimento amministrativo.
L’art. 23, comma 2, del D. Lgs. n. 151/2015 modifica l’art. 171 del D. Lgs. n. 196/2003 aggiornando anche il regime sanzionatorio che assiste l’art. 4 della Legge n. 300/1970.
La nuova disposizione prevede che le sanzioni penali previste dall’art. 38 della Legge n. 300/1970 trovano applicazione solo in caso di violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, dell’art. 4 della Legge n. 300/1970.
Resta, quindi, esclusa dalla sanzione penale la disciplina prevista dal comma 3 dell’art. 4.
Conseguentemente in caso di violazione di tale disposizione troveranno applicazione gli ordinari rimedi civilistici, ovvero in caso di violazione della disciplina prevista dal Codice privacy con riferimento alle modalità di utilizzo delle informazioni raccolte troverà applicazione il relativo specifico regime sanzionatorio.
Cessione dei riposi e delle ferie (art. 24)
L’art. 24 del Decreto Legislativo n. 151/2015 attua il principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 9, lett. e), delle Legge 10 dicembre 2014, n. 183 introducendo una disciplina legislativa che consente la cessione tra lavoratori di ferie e riposi.
Il legislatore prevede una sola ipotesi nella quale si può effettuare la cessione delle ferie e dei riposi. Possono, infatti, beneficiare della cessione i lavoratori che devono prestare assistenza ai figli minori che versino in condizioni di salute tali da richiedere cure costanti.
La nuova disciplina non è immediatamente operativa ma richiede di essere attuata dalla contrattazione collettiva che dovrà definire la misura, le condizioni e le modalità della cessione (a titolo meramente esemplificativo: possibilità o meno di cedere ferie e permessi tra lavoratori di diversa categoria legale ex art. 2095 c.c., ovvero assegnati a stabilimenti diversi).
A tal proposito si evidenzia che la norma abilita tanto il contratto nazionale quanto quello aziendale purché siano sottoscritti da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’art. 24 definisce, inoltre, le condizioni per procedere alla cessione di ferie e permessi.
Vengono in primo luogo fatti salvi i diritti di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66. Ciò determina, ad esempio, la salvaguardia del periodo minimo di 4 settimane di ferie previsto dall’art. 10, comma 1, del D. Lgs. n. 66/2003. Conseguentemente, la cessione potrà riguardare unicamente l’eventuale periodo di ferie ulteriore ed aggiuntivo rispetto alle 4 settimane garantite dalla legge.
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Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale (art. 26)
L’art. 26 del Decreto Legislativo n. 151/2015 introduce una nuova disciplina per la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali volta a contrastare il fenomeno delle cd. dimissioni in bianco.
La nuova disciplina sostituirà, a regime, la disciplina introdotta dalla cd. riforma Fornero (Legge n. 92/2012).
Tuttavia essa non è immediatamente applicabile e nelle more dell’emanazione della normativa di attuazione continuerà a trovare applicazione quanto previsto dai commi da 17 a 23-bis dell’art. 4 della Legge n. 92/2012.
È opportuno precisare, in ogni caso, che la nuova disciplina non riguarda il regime speciale previsto dall’art. 55, comma 4, del D. Lgs. n. 151/2001 per le risoluzioni consensuali o le dimissioni rese dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza.
L’art. 26, comma 3, prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali debba emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo (ovvero il 24 settembre 2015) il decreto di attuazione della nuova disciplina.
Il comma 8 prevede, comunque, un periodo transitorio di 60 giorni dall’entrata in vigore del Decreto Ministeriale, nel corso del quale continua a trovare applicazione solo la disciplina attualmente vigente.
Ed infatti, il comma 8 dell’art. 26 dispone l’abrogazione dei commi da 17 a 23-bis dell’art. 4 della Legge n. 92/2012 solo successivamente a tale ulteriore termine di 60 giorni e, conseguentemente, solo decorso questo termine la nuova disciplina troverà piena applicazione.
Nelle more dell’adozione del Decreto Ministeriale di attuazione, l’art. 26 del Decreto Legislativo n. 151/2015 già contiene alcuni principi della nuova disciplina della convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali.
Un importante chiarimento riguarda l’ambito di applicazione della nuova disciplina che esclude espressamente il lavoro domestico.
Inoltre, la norma precisa che non è necessario procedere alla convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali che si verificano nelle “sedi protette” per l’effettuazione delle rinunce e transazioni, ovvero quelle previste dall’art. 2113, comma 4, del c.c. nonché le commissioni di certificazione.
Ne segue che, con l’entrata in vigore della nuova disciplina, le dimissioni e le risoluzioni consensuali rese in sede sindacale non dovranno essere soggette a convalida, così come già oggi succede in base all’art. 4, comma 17, della Legge n. 92/2012 ed all’accordo interconfederale 3 agosto 2012 sottoscritto tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil4.
Nel merito, invece, la nuova norma prevede che le dimissioni e le risoluzioni consensuali possano essere convalidate unicamente per via telematica attraverso appositi moduli resi disponibili sul sito del Ministero del lavoro secondo modalità che dovranno essere individuate dal D.M. di attuazione.
Desta perplessità, invece, la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 26 che attribuisce al lavoratore la facoltà di revoca delle dimissioni o della risoluzione consensuale entro sette giorni dalla trasmissione del modulo telematico. Ferma restando l’opportunità di attendere le disposizioni di attuazione, questa disposizione non risulta in linea con gli obiettivi di semplificazione e di “assicurare la certezza della cessazione del rapporto” espressi dalla legge delega. Il rischio, infatti, è che si introduca una mera condizione potestativa che, anziché favorire la certezza del diritto, sospende la validità di dimissioni già rassegnate e convalidate telematicamente, rimettendole alla mera discrezionalità del lavoratore.
L’art. 26, comma 4, prevede inoltre che il modulo di convalida possa essere predisposto anche per il tramite dei patronati, delle organizzazioni sindacali, degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione.
Infine, si introduce una sanzione amministrativa qualora il datore di lavoro alteri i moduli telematici per la convalida ed operante a meno che il fatto non costituisca reato.
1 Il Testo Unico prevede, inoltre, che entro 10 giorni dalla conclusione del contratto stipulato con le RSA l’intesa possa essere sottoposta al voto dei lavoratori se così richiesto da un’organizzazione sindacale espressione di una delle confederazioni firmatarie del Testo Unico, ovvero dal 30% dei lavoratori dell’impresa (cfr. par. 12, parte terza, del Testo Unico 2014).
2 Tale onere era la conseguenza di un’interpretazione fortemente letterale della disposizione che aveva trovato accoglimento nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che aveva ritenuto illegittimo l’accordo concluso con il coordinamento delle RSA (cfr. sent. n. 9211/1997).
3 Cfr. ad esempio le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con propria nota del 16 aprile 2012 (Prot. 37/0007162/MA008.A002) indicava tra gli elementi condizionanti, maggiormente ricorrenti, da inserire nel provvedimento amministrativo la previsione secondo cui “le immagini registrate non potranno in nessun caso essere utilizzate per eventuali accertamenti sull’obbligo di diligenza da parte dei lavoratori né per l’adozione di provvedimenti disciplinari”.
4 Nonché per la categoria dei dirigenti in base all’accordo interconfederale 18 settembre 2012 sottoscritto tra Confindustria e Federmanager.