LA RATIO DELLA DISCIPLINA DEL CONTRATTO DEL CONSUMATORE NEL CONTESTO DEL DIRITTO PRIVATO EUROPEO
CAPITOLO I
LA RATIO DELLA DISCIPLINA DEL CONTRATTO DEL CONSUMATORE NEL CONTESTO DEL DIRITTO PRIVATO EUROPEO
SOMMARIO: 1. Il rapporto negoziale con i consumatori nella costruzione del diritto contrattuale europeo. - 2. Principi generali ed armonizzazione minima: il caso del diritto di recesso. – 3. Segue. a) La necessità di rivisitazione dell’acquis communautaire. – 4.Segue. b) La Direttiva unificata sui diritti dei consumatori. – 5. Disciplina dei rapporti B2C: centralità o ruolo a margine?
1. Il rapporto negoziale con i consumatori nella costruzione del diritto contrattuale europeo: quale ruolo?
L’analisi dei principi comuni di diritto privato europeo1, in materia contrattuale, non può non prendere le mosse dall’esame di ciò che ne costituisce il nucleo iniziale: il diritto dei consumatori di fonte comunitaria.
La ragione della propedeuticità va non solo ricercata nella diretta incidenza che essa esercita sui rapporti inter privatos ma anche nella relazione esistente tra disciplina del contratto del consumatore e regole del mercato.
Tale interconnessione, in grado di fornire risposte in merito alla ricerca della ratio giustificativa della materia del contratto coi consumatori nel quadro di diritto privato europeo, può essere letta in duplice senso.
Una prima lettura fa leva sull’idea di contratto del consumatore quale strumento di regolamentazione del mercato, prescindendo dalla valutazione delle condizioni di maggiore o minore forza economica delle parti coinvolte. In un’ottica di parità di condizioni di accesso al mercato, la disciplina a tutela del consumatore viene interpretata,
1 All’espressione «diritto privato europeo» la dottrina riconosce significati differenti. Tra le accezioni maggiormente accreditate se ne distinguono tre: a) quella con cui si allude alle regole del diritto comunitario relativo ai singoli privati, o agli istituti applicati dalle o alle Istituzioni comunitarie. Il riferimento è alle regole delle dei Trattati e alle altre fonti del diritto comunitario con cui sono disciplinati gli istituti ed i rapporti appartenenti all’area del diritto privato; b) quella con cui si intende, all’interno di un ordinamento dei Paesi membri dell’UE, l’insieme di regole di derivazione comunitaria, composte dai regolamenti comunitari (direttamente applicabili), dalle regole attuative di direttive comunitarie, dalle altre fonti del diritto comunitario, dai principi del diritto comunitario richiamati dalle norme del diritto interno e dai modelli giurisprudenziali elaborati dai giudici comunitari; c) quella con cui si allude all’insieme di tradizioni, valori, principi che sono propri o si ritengono propri della cultura giuridica europea, da cui originano i principi costituzionali su cui si fonda la stessa UE. In tal senso, X. XXXX, Il diritto privato europeo: significato e confini del sintagma, in Lezioni di diritto privato europeo, Padova, 2007, p. 3.
secondo tale lettura, in via funzionale alla libertà di scelta della impresa/controparte con cui negoziare. Emerge, dunque, l’idea che la normativa di fonte comunitaria si specifichi per la finalità di tutelare il consumatore e per evitare che altri operatori del mercato, esercitando una maggiore forza economica nella imposizione di vincoli contrattuali, realizzino condizioni scarsamente competitive nei confronti di altri concorrenti.
Una seconda lettura, invece, tende ad evidenziare le istanze protezionistiche a favore del consumatore - soggetto debole del mercato - sottese all’intervento del legislatore comunitario, intervento volto a potenziare, attraverso un complesso di regole attributive di diritti e rimedi, una condizione di inferiorità economico – giuridica.
L’analisi del panorama normativo comunitario rivela, però, che nonostante la misura di degli interventi sia andata gradualmente elevandosi nel corso degli anni, l’intento protezionistico, pur declamato dal legislatore comunitario nei confronti del consumatore, risulterebbe compromesso proprio dalla serie di operazioni poste in atto, in maniera scoordinata, dalle Istituzioni europee.
Procedendo con ordine, occorre infatti premettere che scarsi erano i riferimenti, contenuti nel Trattato di Roma, alla figura del consumatore2, mentre è solo agli inizi degli anni 70 che la Comunità europea avvia l’attività normativa tesa a garantire il riconoscimento e la tutela delle posizioni soggettive dei consumatori.
Nel 1973, l’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa approvò, con risoluzione3, una «Carta» in cui venivano enucleati i diritti fondamentali dei consumatori.
Nel 1975, la Comunità europea adottò una seconda risoluzione volta al riconoscimento dei diritti fondamentali dei consumatori come quello alla salute, alla sicurezza, alla realizzazione dei propri interessi economici, al riconoscimento del risarcimento dei danni, all’informazione, alla rappresentazione4.
Il consumatore non è più considerato semplice compratore o utilizzatore di beni e servizi, bensì “un individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possono direttamente o indirettamente danneggiarlo come consumatore”.
2 Ci si riferisce, in particolare, all’attuale art. 39 del T.F.U.E che tra le finalità della politica agricola comune della Comunità menziona anche l’ “assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori”; all’attuale art. 40 del T.F.U.E. che, sempre rispetto alle finalità della politica comune, esclude “qualsiasi discriminazione tra produttori o consumatori della Comunità; all’art. 86 (adesso art. 102 del T.F.U.E.) che, tra le pratiche abusive vietate alle imprese in posizione dominante, include quella di “limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnologico a danno dei consumatori”.
3 Risoluzione n. 543 del 1975.
4 Risoluzione riguardante il “Programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore”, in GUCE, 25/4/1975, C92/1.
Già nella risoluzione del 1975, emergono due fondamentali principi della disciplina dei contratti dei consumatori: da una parte, la protezione efficace dai rischi che possono danneggiare gli interessi dei consumatori; dall’altra, l’obbligo di informazione dei consumatori.
Questi principi non sono, tuttavia, ancora oggetto di specifica attività “positiva”: piuttosto che formulare regole su una generica figura contrattuale tra professionista e consumatore, la Comunità procede alla programmazione di interventi pluriennali, indicando le linee guida da attuare per lo sviluppo di una politica di protezione del consumatore.
Non solo: essa individua specifiche situazioni soggettive a vantaggio dei consumatori, assegnandone il compito della collocazione giuridica, soprattutto con riguardo agli effetti del rapporto con i professionisti, alla giurisprudenza ed alla dottrina5.
Significativa, in tal senso, è la Risoluzione del Consiglio del 23 giugno 1986, concernente il futuro orientamento della politica della Comunità economica europea per la tutela e la promozione degli interessi del consumatore.
In tale documento si prende atto che il miglioramento della qualità della vita non può prescindere dalla realizzazione di una tutela efficace degli interessi economici e giuridici dei consumatori, così come della loro salute e della loro sicurezza.
Nello stesso documento, tuttavia, non può fare a meno di notarsi come l’approvazione e la condivisione dell’obiettivo di garantire gli interessi dei consumatori nell’ambito delle politiche comunitarie siano strettamente connesse al necessario completamento del mercato interno e come i valori dell’educazione e dell’informazione del consumatore siano sicuramente volti al conseguimento del massimo vantaggio dal mercato unico, ma in senso propedeutico alla corretta strutturazione di quest’ultimo6.
Un lento avvio della politica a protezione dei consumatori si ravvisa nell’Atto unico europeo, entrato in vigore nel luglio 1987, il cui art. 100 A (attuale art. 114 del T.F.U.E.), oltre a statuire la possibilità di deliberare, nelle procedure di adozione delle misure attinenti, lo stabilimento ed il funzionamento del mercato interno con decisione a maggioranza e non più all’unanimità, prevede che la Commissione, nella elaborazione di proposte in materia di tutela dei consumatori, si basi su un «elevato livello di protezione».
5 X. XXXX, Introduzione al diritto contrattuale europeo, Xxxx - Xxxx, 0000, p. 27.
6 Cfr. Risoluzione del Consiglio del 23 giugno 1986, GUCE C 167 del 5.7.1986, pag.1, all’interno della quale si legge che il Consiglio «Invita la Commissione, tenuto conto del programma di lavoro contenuto nella comunicazione di quest'ultima, a elaborare e presentare proposte, in modo da permettere al Consiglio, se del caso, di adottare tempestive decisioni e di prendere le misure necessarie entro il periodo di tempo previsto per il completamento del mercato interno».
Nell’attività di ravvicinamento delle normative statali sul consumatore sembra desumersi la natura strumentale della politica a favore di quest’ultimo solo in relazione alle finalità di integrazione e migliore funzionamento del mercato, obiettivo che sembra permanere al centro dell’intervento comunitario.
Tutela del consumatore ed integrazione delle normative che lo riguardano risultano dunque funzionali al corretto andamento del mercato comune7.
L’opinione che il mercato interno si realizzi allorquando il consumatore sia messo in condizioni di beneficiare dei suoi vantaggi8 e che il suo progressivo completamento generi forme più complesse di relazioni economiche, fa scaturire anche l’esigenza di creare un quadro normativo maggiormente definito.
Con Trattato di Maastricht la tutela del consumatore viene, almeno da un punto di vista formale, emancipata dalla disciplina del mercato, formando oggetto di un’autonoma politica della Comunità, alla cui regolamentazione è riservato un Titolo specifico (art. 129A, ora art.169 T.F.U.E); nello stesso senso muove il Trattato di Amsterdam, all’interno del quale si procede ad un’elencazione dei loro diritti oltre a stabilirsi che le relative esigenze di protezione siano tenute in considerazione.
7 Sembra questo il presupposto della legislazione armonizzatrice elaborata in sede europea con l’adozione delle tre principali direttive antecedenti il Trattato di Maastricht. La direttiva 85/374/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, viene adottata per impedire che le divergenze esistenti tra le legislazioni nazionali possano “falsare il gioco della concorrenza e pregiudicare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune determinando disparità nel grado di protezione del consumatore contro i danni causati alla sua salute e ai suoi beni da un prodotto difettoso”. Già nel primo considerando si esplicita, dunque, il duplice obiettivo della normativa, e cioè un ravvicinamento delle disposizioni normative in materia di responsabilità del produttore e la necessità di non pregiudicare la circolazione delle merci nel mercato comune e di evitare di falsare il gioco della concorrenza. Nella direttiva 85/577/CEE, sulla tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, l’intervento del legislatore comunitario viene dettato oltre che dalla tradizionale esigenza armonizzatrice, soprattutto dalla necessità di tutelare il consumatore “preso di sorpresa” mediante il riconoscimento del diritto di recedere dal contratto negoziato fuori dalla sede commerciale del professionista. La politica protezionistica del consumatore comincia, dunque ad assumere contorni propri, distinguendosi dalla politica del buon funzionamento del mercato interno. Le disposizioni della direttiva 87/102/CEE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo mirano alla creazione di un mercato integrato, oltre che a garantire un adeguato livello di protezione, in termini di corretta informazione, ai consumatori che accedono al credito al consumo. Anche l’ulteriore direttiva 90/314/CEE sui viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso conferma, al considerando 3, la duplice finalità dell’ integrazione del mercato e la protezione del consumatore, affermando che l’adozione di norme comuni in materia di servizi tutto compreso possa contribuire alla eliminazione delle barriere alla libera prestazione di suddetti servizi ed alla realizzazione di un mercato comune di servizi, “ consentendo agli operatori di uno Stato membro di offrire i propri servizi in altri Stati membri ed ai consumatori della Comunità di beneficiare di condizioni paragonabili all’acquisto di un servizio tutto compreso in qualsiasi Stato membro”. Cfr. X. XXXXXXXXX, Il contratto del consumatore, in Tratt. Sacco, IV, Torino, 2012, p.15.
8 Cfr. Xxxxx XX, 0 marzo 1990, causa C-362/88, in Racc. p. I-00667. La Corte di Giustizia ha dichiarato che
«i consumatori residenti in uno Stato membro possano recarsi liberamente sul territorio di un altro Stato membro al fine di farvi acquisti nelle stesse condizioni della popolazione locale». X. XXXXXXXXXX, Eu Consumer Law and policy, Cheltenham, 2005, p. 38, la nozione di «diritti dei consumatori» viene elaborata soprattutto in seguito agli interventi normativi successivi al 1992 che consentono ai consumatori l’acquisto di beni in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza
Si rileva, tuttavia, che, pur venendo meno, con l’entrata in vigore dell’art. 129A, l’ostacolo del richiamo diretto all’autonomo riferimento alle necessità di tutela del consumatore in sede normativa, la Comunità ha posto quale base giuridica del proprio intervento tale articolo solo in poche occasioni, nessuna delle quali concernenti la materia contrattuale.
Per quest’ultima il richiamato fondamento giuridico è ancora rappresentato dall’art. 100A (attuale art. 114 T.F.U.E), come accade nel caso della Direttiva 93/13/CE sulle clausole abusive nei contratti coi consumatori; nel caso della Direttiva 94/47/CE relativa alla tutela dell’acquirente di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili; nel caso della Direttiva 97/7/CE, relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; nel caso della Direttiva 99/44/CE, circa taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo; nel caso della Direttiva 2002/65/CE, sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori; nel caso della Direttiva 2008/48/CE, circa i contratti di credito ai consumatori; nel caso della Direttiva 2008/122/CE sulla tutela dei consumatori circa taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze e contratti di rivendita e di scambio.
La circostanza della mancata individuazione dell’art 129A, quale base giuridica nei citati interventi normativi, manifesterebbe quasi un disinteresse nel richiamo dello stesso a fondamento della competenza della Comunità in materia di tutela del consumatore, legittimando così l’idea che la strutturazione del mercato possa e debba essere collocata ancora in posizione prevalente rispetto agli intenti protezionistici pur declamati dal legislatore comunitario9, interessi che stentano quasi ad ottenere un’autonoma rilevanza.
9 Cfr. X. XXXXXXXXX, Il contratto del consumatore, in Tratt. Xxxxx, cit., p.18, il quale evidenzia come tale conclusione verrebbe confermata anche dalle posizioni della Corte di Giustizia in tema di erronea indicazione della base giuridica: cfr. Corte UE, 5 ottobre 2000, causa C-376/98, in Racc., 2000, p. I-08419; Corte UE, 10 dicembre 2002, causa C-491/01, in Racc., 2002, p. I-11453. I giudici europei pretendono che la base giuridica dei provvedimenti comunitari debba essere individuata avendo riguardo del loro contenuto. In sostanza, gli atti che vengono adottati sulla base dell’art. 100A (ora art. 114 T.F.U.E.) devono caratterizzarsi per avere effettivamente come finalità il miglioramento delle condizioni di instaurazione e funzionamento del mercato interno. Nell’ipotesi in cui essi venissero adottati solo formalmente con lo scopo di eliminare le differenze tra normative nazionali, senza il concreto ed effettivo conseguimento di tali obiettivi, orientandosi alla tutela dei consumatori, sarebbero annullabili. L’A. sostiene dunque che «L’insistere nell’adottare i citati artt. 100A, prima, e 95, dopo (ora art. 114 del T.F.U.E.), quali basi giuridiche, a fronte di tale rigorosa giurisprudenza, avvalorerebbe l’idea di una convinta propensione legislativa prioritariamente diretta alla strutturazione del mercato». Il rapporto in termini di subordinazione della politica di tutela del consumatore rispetto alla necessaria integrazione del mercato emergerebbe anche in alcuni interventi programmatici elaborati in sede comunitaria, quali il Secondo Piano d’Azione della Commissione per il triennio 1993-1995 [COM (1993)378 def.]; il Quadro Generale per le attività a favore dei consumatori del 1999-2003 [COM (2001) 486 def.]; la Strategia della Politica per i consumatori per il triennio 2002-2006 [COM (2002) 298 def.], al cui interno la politica di tutela dei consumatori appare quasi sempre preordinata alla integrazione del mercato unico, pur
È quanto emerge dall’analisi della Direttiva 93/13/CE in materia di clausole abusive, al cui interno l’eliminazione del contenuto contrattuale vessatorio, svantaggioso per il consumatore, individua lo specifico obiettivo di «facilitare la creazione del mercato interno e tutelare il cittadino che acquisisce, in qualità di consumatore, beni e servizi mediante contratti disciplinati dalla legislazione di Sati membri diversi dal proprio».
Così anche la Direttiva 97/7/CE in materia di contratti a distanza precisa che «la vendita transfrontaliera a distanza può rappresentare per i consumatori una delle principali manifestazioni concrete della realizzazione del mercato concorrenziale».
Sulla stessa linea si pongono i considerando nn.8 e 9 della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito al consumo, i quali, nel premettere che «è opportuno che il mercato offra un livello di tutela dei consumatori sufficiente, in modo da assicurare la fiducia dei consumatori» e che «è necessaria una piena armonizzazione che garantisca a tutti i consumatori della Comunità di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno», conferiscono pari dignità all’esigenza della migliore strutturazione del mercato concorrenziale e quella protezionistica dei soggetti in esso operanti.
Eppure, in questo quadro, non si può fare a meno di ricordarsi l’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, nello stabilire che «Nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori», sembrerebbe quasi elevare la tutela di questi ultimi a rango di principio fondamentale, essendo contemplata all’interno di un testo dotato di valore quasi “costituzionale” nel panorama normativo comunitario.
La ricollocazione in posizione centrale delle istanze protezionistiche a favore dei consumatori appare confermata dal TFUE10, oltreché condivisa dalla giurisprudenza comunitaria, con riferimento alla quale appaiono significativi i casi riuniti Xxxx.Xxxxx GmbH contro Xxxxxx Xxxxxxx (causa C-65/09), e Xxxxxx Xxxx contro Medianess Electronics GmbH (causa C-87/09).
In essi la Corte di Giustizia viene chiamata ad esaminare la compatibilità dell’art.3, n. 3, co.3 della Dir. 99/44/CE con la normativa tedesca la quale non prevede alcun obbligo, per il venditore incolpevole, di farsi carico della rimozione del bene difettoso o
senza negare che gli interventi comunitari siano talora indirizzati a garantire interessi dei consumatori e ad assegnare ad essi la medesima priorità conferita alla strutturazione del mercato concorrenziale.
10 Cfr. Art. 4, co.2, lett. f circa la competenza concorrente dell’UE con quella degli Stati membri in materia di tutela di consumatori; art. 12 che precisa la necessità di considerare le esigenze relative alla protezione dei consumatori in sede di definizione ed attuazione delle altre politiche comunitarie; art. 169 circa la finalità di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori.
dell’installazione del bene sostitutivo, neppure nell’ipotesi in cui il consumatore abbia già installato il bene difettoso, conformemente alla sua destinazione prima della comparsa del difetto.
In proposito, i giudici europei hanno rilevato che ai sensi della normativa comunitaria, la riparazione e la sostituzione di un bene non conforme debbano essere effettuate: a) senza spese, b) entro un periodo di tempo ragionevole, c) senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
Questo triplice requisito esprime l’intenzione evidente del legislatore dell’Unione di garantire al consumatore una tutela effettiva, in adempimento alla quale l’espressione
«senza notevoli inconvenienti per il consumatore» dell’art. 3, co.3, della direttiva non può essere oggetto di una interpretazione restrittiva, pur rientrando, tra le altre finalità del considerando n. 3 della stessa la necessità di eliminare le distorsioni della concorrenza fra i venditori11.
Anche la dottrina ha manifestato l’intenzione di riorganizzare la normativa esistente sul contratto del consumatore in una “EU Contract Law Regulation” destinata a creare un corpus unico in materia sulla base da adottarsi ai sensi dell’art. 169 TFUE12, basandosi sul presupposto che una parte dell’acquis communautaire13, inerente alla disciplina del
11 Cfr. punti 52 e 53 Corte UE 16 giugno 2011, causa C-65/09, in Racc., non ancora pubblicato. Nello stesso senso, precedentemente, deponeva il caso Quelle AG, X. Xxxxx. 17 aprile 2008, causa C-404/06, in Racc., p. I- 02685. In esso la Corte di Giustizia, nel valutare la compatibilità tra la Direttiva sulla vendita di beni di consumo sempre con la normativa tedesca che, in caso di sostituzione di beni difettosi, imponeva il pagamento di un’indennità per il loro periodo di godimento, già affermava che la principale finalità del provvedimento comunitario è data dalla garanzia di un elevato livello di protezione del consumatore. Cfr. . X. XXXXXXXXX, Il contratto del consumatore, in Tratt. Xxxxx, cit., p. 25, che descrive una panoramica delle posizioni dottrinali, specificando che sul punto non esiste un’interpretazione uniforme, in quanto per alcuni l’obiettivo della direttiva è rappresentato dalla tutela del consumatore – cfr. X. XXX, Per un dialogo con il futuro legislatore dell’attuazione: ripensare l’intera disciplina della non conformità dei beni nella vendita alla luce della direttiva comunitaria, in Contratto e impresa Europa, 2000, p.403; G. DE NOVA, La proposta direttiva sulla vendita e la garanzia dei beni di consumo, in Riv. dir. priv., 1997, p.22; F. XXXXXXXX, Le garanzie post-vendita nella direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999, in Studium Iuris, 2001, p. 832 - mentre per altri lo scopo di tutela del mercato e le istanze protezionistiche del consumatore sono poste allo stesso livello. In quest’ultima direzione X. XXXXXXXX, Appunti per l’attuazione della Direttiva 1999/44/CE e per la revisione della garanzia per vizi della vendita, in Contratto e impresa Europa, 2001, p.83; X. XXXXXXXXX, La direttiva sulle garanzie nella vendita: ovvero, di buone intenzioni e di risultati opachi, in Riv. critica dir. priv., 2001, p.437; X. XXXXXX, I patti modificativi della responsabilità del venditore: la direttiva 1999/44/CE, l’odierno diritto italiano e le prospettive di riforma, in Contratto e impresa Europa, 2000, p.489.
12 Cfr. sul punto X. XXXXX, A European contract law, or an EU Contract Law Regulation for consumers, in
Journal of consume policy, 28, 2005, p.383.
13 Espressione con cui viene indicato il complesso di diritti, obblighi, principi e valori che i Paesi membri della Ue hanno liberamente deciso di condividere, l’acquis comunitario corrisponde costituisce una piattaforma comune di diritti e di obblighi che vincolano l'insieme degli Stati membri e che è in costante evoluzione. In concreto, l’acquis è costituito dai principi e dagli obiettivi politici espressi nei trattati europei; dalla legislazione adottata in applicazione dei trattati; dalla giurisprudenza della Corte di giustizia; dalle dichiarazioni e dalle risoluzioni adottate nell'ambito dell'Unione; dagli atti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune; dagli atti che rientrano nel contesto della giustizia e degli affari interni; dagli accordi
contratto europeo in tema di inadempimento, possa costituire il punto di partenza per un’indagine sui principi comuni ed uniformatori del diritto contrattuale in Europa.
Non può, tuttavia, sottacersi che la riorganizzazione normativa in materia consumeristica continua a patire una difficoltà, che costituisce il limite intrinseco di un’eventuale attività riordino: quella di fissare e comprendere, in via definitiva, la effettiva ratio sottesa ai provvedimenti normativi comunitari.
Tale difficoltà scaturisce soprattutto dal disarticolato nesso che unisce tra le fonti regolatorie in materia di diritto dei consumatori. Tale disarticolazione è probabilmente l’effetto della complessa attività di conciliazione tra le contrapposte politiche comunitarie, la cui ricostruzione espone al rischio di un’attività ermeneutica suscettibile di offrire soluzioni variabili in base alla giustificazione teorica ed alle finalità di volta in volta da conferire alle regole specifiche.
È il caso delle disposizioni relative alla gerarchia dei rimedi esperibili dal consumatore, previste dalla Direttiva 99/44/CE sulla vendita dei beni di consumo: una ricostruzione in prospettiva liberalista e di strutturazione di mercato potrebbe condurre ad una rigida applicazione di esse.
Al contrario, le medesime disposizioni, lette in applicazione di un criterio personalista-solidarista, orientato ad un’elevazione degli standard di tutela del consumatore, sarebbero oggetto di un’interpretazione tesa ad attutirne l’impostazione “obbligatoria” e schematica conferita dal legislatore14.
L’indeterminatezza in termini di individuazione dello scopo della norma posta a tutela del consumatore, da sempre controverso e riconducibile tanto ad istanze protezionistiche
internazionali conclusi dalla Comunità e da quelli conclusi dagli Stati membri tra essi nei settori di competenza dell'Unione. È un’espressione di rilievo particolare nel diritto privato europeo, con riguardo ai processi di armonizzazione di quest’ultimo. Basti pensare alle direttive in materia di tutela del consumatore, o alla disciplina della concorrenza, o alla normativa di fonte comunitaria sull’attività svolta tramite e- commerce, sull’attività bancaria o finanziaria, etc. X. XXXXXXXX, The Acquis Communautaire: has the concept had its day? in Common market law review, 38, 2001, p. 829 affronta il problema della attualità dell’acquis evidenziando che la sua piena legittimazione è avvenuta in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, che, pur non fornendo una definizione, presuppone un concetto la cui ricostruzione viene demandata all’interprete.
14 In tal senso X. XXXXXXXXX, Il contratto del consumatore, in Tratt. Xxxxx, cit., p.28, secondo cui «In merito all’ambito applicativo della normativa: ricostruendola in un’ottica di strutturazione del mercato, si potrebbe leggere in modo rigorosamente oggettivo la locuzione “scopo estraneo “ di cui all’art. 3, lett. a), c. cons., concludendo per l’inapplicabilità della disciplina ogniqualvolta l’atto di consumo soddisfi, anche in via strumentale, interessi professionali; di contro, una lettura della medesima legislazione di protezione di un soggetto debole, potrebbe conferire al termine “scopo” il significato di obiettivo che il soggetto intende raggiungere con l’atto, cosicché sarebbe sostenibile che solo gli atti che i professionisti utilizzano nel quadro della loro attività – cioè quelli caratterizzati da un collegamento stretto con la professione svolta – siano esclusi dall’applicazione della normativa, rientrandovi di contro gli atti compiuti dal soggetto che non persegue la diretta realizzazione di interessi professionali ma mira a soddisfare esigenze che, ancorché relative alla professione, sono di consumo in senso lato».
di quest’ultimo quanto a policies di strutturazione del mercato, pare caratterizzare anche le recenti proposte di riorganizzazione e riassetto normativo di marca comunitaria, quali la Proposta di Regolamento per un diritto comune europeo della vendita e la Direttiva sui diritti dei consumatori, alle cui rationes non si potrà fare a meno di riconoscere un carattere di opinabilità in termini di concreta applicazione.
2. Principi generali ed armonizzazione minima: il caso del diritto di recesso
La disciplina del diritto dei contratti, incidendo sull’assetto regolativo del mercato dell’UE, al fine del corretto funzionamento dello stesso, è stata sottoposta ad un’attività di ravvicinamento delle disposizioni normative presenti nei diversi Paesi.
Più precisamente, l’espansione della logica economica del mercato e della libera concorrenza, sottesi all’impianto comunitario, ha inciso in maniera significativa sui diritti nazionali, almeno in duplice senso: innanzitutto, sul piano delle riforme dei sistemi economici di intervento dello stato nell’economia, attraverso la promozione di una politica di liberalizzazione dei mercati; in secondo luogo, sul piano della disciplina generale dell’autonomia privata e del contratto, obbligando i legislatori nazionali a rimodellare le proprie normative, con riferimento ai rapporti contrattuali tra imprese e consumatori, ma anche, come si vedrà, tra imprese.
In questa prospettiva, gli interventi del legislatore comunitario hanno puntato sull’armonizzazione in senso sostanziale del diritto contrattuale, allo scopo di eliminare le divergenze e, sotto tale profilo, anche le insufficienze di quelle normative interne che, inducendo il consumatore a scelte irrazionali o inconsapevoli, finivano col tradursi in un fallimento del mercato.
L’entrata in vigore (e conseguente attuazione) delle diverse direttive, riguardanti il settore di volta in volta considerato (contratti conclusi fuori dai locali commerciali, clausole abusive, vendita di beni di consumo, ecc.) ha consentito l’introduzione di nuovi principi e nuove regole, fondate sul principio di trasparenza, sulla previsione di obblighi informativi, sul ricorso a un rinnovato formalismo negoziale, e soprattutto sull’introduzione di nuove forme di tutela dell’effettiva consapevolezza del consumatore.
È il caso, ad esempio, del principio della libera recedibilità dal contratto. Il diritto contrattuale dei singoli ordinamenti, con l’introduzione di specifiche tecniche di tutela, è divenuto oggetto di un processo di revisione strutturale, che ha reso necessaria una riflessione circa le modalità di conclusione del contratto, le possibili cause di invalidità della stesso e la ridefinizione dei contorni di istituti come l’informazione precontrattuale e la manifestazione di volontà da essa dipendente.
Il principio della indissolubilità del vincolo contrattuale, in ordine al quale «il contratto ha forza vincolante tra le parti» e «non può essere sciolto che per mutuo
consenso o per forza di legge tra le parti», lascia il posto al principio della libera recedibilità15.
La difficoltà di venir meno al negozio stipulato si traduce, nell’ottica del legislatore comunitario, in una vessazione per un soggetto colto impreparato dall’attività di negoziazione.
Per questa ragione al consumatore, spesso colto di sorpresa dalla proposta contrattuale, e dunque impossibilitato ad una valutazione adeguata degli obblighi derivanti dal contratto, viene riconosciuto il diritto di recedere.
Non si tratta più di facoltà riconosciuta16, ma di un diritto soggettivo esercitabile in ordine ad al ripensamento sui termini di un consenso non definitivo da parte del consumatore17.
È quanto previsto dalle disposizioni della Direttiva 85/577/CEE per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; della Direttiva 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso»; della Direttiva 97/7/CE riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; della Direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno; della Direttiva 2002/65/CE, concernente la vendita a distanza di servizi finanziari ai consumatori; della Direttiva 2008/48/CE relativa ai
00 Xxx. X. XXXXX, Xx diritto contrattuale europeo: riflessioni a margine di un tentativo di ricostruzione sistematica, in Lezioni di diritto privato europeo, 2007, Milano, p. 298, secondo cui «Per eliminare il pericolo di sopraffazione indotto dall’impatto di una regola generale che presuppone una condizione di sostanziale uguaglianza di forza contrattuale tra le parti sulla realtà delle contrattazioni di massa in cui alla predisposizione di un testo negoziale da parte dell’operatore professionale corrisponde un’adesione affrettata del consumatore, sia a causa del luogo nel quale avviene il perfezionamento del contratto, sia delle tecniche utilizzate per esprimere il consenso, sia del particolare oggetto della contrattazione, numerose direttive comunitarie, molte delle quali tradottesi già in leggi nazionali, attribuiscono al consumatore una facoltà di scioglimento del vincolo negoziale in un termine ritenuto di volta in volta sufficiente per una compiuta rimeditazione del consenso già formalmente espresso». Il problema si è posto con la specifica categoria dei contratti a distanza: l’elemento strutturale che distingue tale tecnica di contrattazione è la mancanza della presenza simultanea delle parti contraenti, da cui scaturisce la debolezza del consumatore rispetto al professionista soprattutto sotto il profilo informativo. Al centro della vicenda negoziale c’è un consumatore limitato nella possibilità di prestare un consenso consapevole in quanto privo di un quadro informativo completo.Da qui scaturisce la necessaria previsione di puntuali obblighi di informazione a carico del professionista, di uno ius poenitendi di agevole esercizio e di limiti all’utilizzo di tecniche di comunicazione a distanza insidiose. Cfr. C.A. XXXXX, Contratti a distanza e recesso nella giurisprudenza comunitaria, in I contratti, 2010, p. 355.
16 La lettera dell’art. 1373 c.c. sul «Recesso unilaterale» recita infatti al co.1 « Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione».
17 La generalità del principio della indissolubilità del consenso contrattuale viene fortemente criticata anche dalla dottrina, che tende invece a riconoscere l’esigenza del possibile scioglimento unilaterale del contratto,
X. XXXXXXXXXXX, La tutela del consumatore, in Le vendite aggressive, (a cura di) X. Xxxxxxxxxx, Napoli, 1995,
p. 102. Anche Xxxx. 20 marzo 1996, n. 2396 sostiene che «non è più possibile far soltanto riferimento al modello di uno statuto unitario del contratto, come disegnato dal codice, essendosi invece delineata una pluralità di modelli, dipendenti, di volta in volta, dallo status del contraente o dal modello della contrattazione o dall’oggetto del contratto».
contratti di credito ai consumatori (abrogante la direttiva 87/102/CEE); della Direttiva 2008/122/CE, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio.
A tale disparità, svantaggiosa per l’andamento del mercato comune, si è tentato di porre rimedio attraverso il riconoscimento di situazioni soggettive volto ad aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti del commercio a distanza, riconoscendo la possibilità di rivalutare il consenso prestato, una volta avuto ben presente il complesso di obblighi e doveri derivanti dal contratto stipulato.
L’esercizio del recesso non implica sanzioni o spese18, ha efficacia retroattiva obbligando, così, le parti alle restituzioni.
Le ipotesi delle vendite fuori dai locali commerciali e di quelle a distanza (nelle quali ricadono la maggior parte delle vendite transfrontaliere) risultano esemplificative del ruolo di subordinazione economica e giuridica che il consumatore riveste nei confronti della controparte professionista. Rispetto ad esse, come si vedrà, il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno un intervento di semplificazione ed aggiornamento delle norme applicabili, al fine di «rimuovere le incoerenze e colmare le lacune indesiderate nella normativa»19.
La disciplina comunitaria focalizza la sua attenzione su specifiche categorie contrattuali, riconoscendo in capo al consumatore un diritto di pentimento esercitabile soprattutto avuto riguardo alle modalità di conclusione del contratto e alla circostanza che il consumatore abbia manifestato la propria volontà ad instaurare il rapporto contrattuale, esprimendo la propria dichiarazione in tal senso20.
In questi casi, il consumatore diventa titolare del diritto di recesso ex lege, in virtù del fatto di aver scelto di concludere un contratto riconducibile ad una delle fattispecie espressamente disciplinate dalla direttiva di riferimento, con la giustificazione della intrinseca complessità e rilevanza economica delle operazioni realizzate, le quali
18 Salvo per i costi diretti alla restituzione dei beni al mittente e quelli eventualmente legati all’assenza di una sostanziale integrità della merce consegnata
19 Cfr. Considerando n. 2 Direttiva 2011/83/UE
20 Dichiarazione che potrà essere espressa mediante sottoscrizione apposita in documento cartaceo oppure , dove consentito, in un documento informatico, È il caso dei contratti di timesharing immobiliare, credito al consumo ed assicurazione vita rispetto ai quali lo ius poenitendi accordato al consumatore può essere esercitato a prescindere dalle modalità con cui lo stesso è stato concluso, dagli strumenti utilizzati dalle parti e dal luogo e dalle circostanze in cui il consumatore ha manifestato la volontà di instaurare il rapporto contrattuale, emettendo la dichiarazione a tal fine necessaria.
richiedono sempre un minimo spazio temporale per permettere al consumatore di ritornare eventualmente sulle proprie scelte e di riconsiderare l’opportunità dell’affare.
Tale provvedimento conferisce al consumatore il diritto di recedere alla condizione che per la conclusione dell’accordo siano state utilizzate, dalle parti, tecniche di comunicazione a distanza21
Verrebbe così contrastato il deficit informativo che caratterizza le negoziazioni inter absentes: l’imposizione di una serie di obblighi informativi a carico del professionista valgono a garantire la chiarezza e la comprensibilità delle condizioni contrattuali e a rispettare il principio di lealtà nelle transazioni commerciali.
I doveri informativi che distinguono le contrattazioni a distanza, però, non ricadono sul professionista soltanto nella fase che precede la conclusione del contratto: uno specifico dovere di documentazione lo accompagna anche prima o al momento della esecuzione del contratto, mediante la consegna alla controparte di una documentazione informativa scritta o di un supporto durevole ugualmente accessibile.
In tal senso diventa fondamentale che l’obbligo informativo precedente alla conclusione del contratto sia adempiuto in tempo utile, per permettere al destinatario di valutare la proposta. Le condizioni predisposte dal professionista saranno, dunque, efficaci nei confronti del consumatore solo quando il loro contenuto venga comunicato in maniera chiara, comprensibile, tempestivamente e con un mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza utilizzata22.
L’acquis communautaire in materia consumeristica, seppur limitatamente alla disciplina generale del contratto, mediante interventi di natura sporadica e settoriale, ha sviluppato una disciplina di natura speciale, che ha, però, messo in evidenza la questione della frammentazione delle regole di diritto contrattuale di derivazione europea.
Le direttive sul consumatore, consentendo agli Stati membri l’adozione di regole interne anche più rigorose di quelle previste a livello comunitario, hanno realizzato così un’armonizzazione soltanto minima tra gli ordinamenti, con la conseguenza che le questioni irrisolte a livello di legislazione comunitaria venissero regolate dagli Stati
21 Il 14°considerando della direttiva affermava che l’opportunità della concessione dello ius poenitendi sarebbe la circostanza che il consumatore non abbia avuto la concreta possibilità di visionare il bene oppure prendere effettivamente conoscenza della natura del servizio prima della conclusione del contratto.
22 Cfr. C.A. XXXXX, Contratti a distanza e recesso nella giurisprudenza comunitaria, cit.., p.357 secondo cui diversamente, tali condizioni non potranno considerarsi parte del contenuto contrattuale, salvo che il professionista dimostri che il consumatore le abbia conosciute in tempo utile per la conclusione del contratto. Nell’impossibilità, conseguentemente, per il consumatore di conoscere l’effettivo regolamento contrattuale prima della conclusione, il fatto che alla stipulazione segua la consegna di una documentazione informativa sulle clausole rimane irrilevante per la determinazione del contenuto negoziale vincolante
membri in maniera differente, con l’effetto di un acquis incoerente, la frammentario e asistematico23.
23 Diversi Stati hanno previsto termini di riflessione più lunghi rispetto ai periodi minimi previsti dalle direttive sui contratti stipulati a distanza, sulle vendite a domicilio e sulla multiproprietà.
3. Segue. a) La necessità di rivisitazione dell’acquis communautaire
L’analisi del processo di unificazione del diritto europeo dei contratti, nella specifica prospettiva della consumer law, è stata avviata in vista della realizzazione di scopi concreti.
Il riesame avrebbe dovuto valutare se ed in che misura le direttive in vigore avessero raggiunto gli scopi della Commissione relativi alla tutela dei consumatori ed al mercato interno, verificando soprattutto se il livello di armonizzazione raggiunto fosse tale da rimuovere gli ostacoli al funzionamento del mercato interno, garantendo l’effettiva applicazione delle direttive contemplate, ed eliminando le possibili incoerenze e sovrapposizioni tra queste soprattutto quanto a termini e modalità per l’esercizio del diritto di recesso.
Continua, tuttavia, a non essere adeguatamente contemplata la necessità di una ricostruzione ipertestuale tra le fonti comunitarie, soprattutto tra testi a carattere fondamentale/costituzionale, quale la Carta dei diritti fondamentali e le direttive comunitarie sull’argomento.
L’Esecutivo UE ha dovuto confrontarsi con un progetto la cui portata non era stata adeguatamente valutata per la mancanza di un preliminare e necessario confronto tra gli Organi comunitari e dunque di un’effettiva pianificazione politica degli obiettivi da perseguire.
L’attività di revisione dell’acquis – intrapresa, come si vedrà, con la Comunicazione dell’11 ottobre 2004, sul «Diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis. Prospettive per il futuro» - ha interessato inizialmente otto direttive sulla protezione del consumatore24.
Diverse iniziative sono state proposte per tale riesame.
Tra esse risaltano l’istituzione di un gruppo di lavoro permanente di esperti degli Stati membri come un forum per lo scambio di informazioni ed il dibattito sull’attuazione dell’acquis e lo sviluppo di una banca dati pubblica all’interno della quale far confluire le
24 La dir. 85/577/XXX xxx contratti negoziati fuori dai locali commerciali; la dir. 90/314/XXX xxx viaggi, vacanze ed i circuiti tutto compreso; la dir. 93/13/CEE sulle clausole abusive; la dir. 94/47/CE concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili; la dir. 97/7/CE in materia di contratti a distanza; la dir. 98/6/CE circa la protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori; la 98/27/CE circa i provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori; la 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e della garanzia dei beni di consumo.
legislazioni e la giurisprudenza delle varie nazioni. Alla base del progetto è posta l’analisi comparata dell’attuazione delle direttive nella prassi 25.
Questa attività di riesame è stata, però, fin dall’inizio formalmente associata ad un’attività di formulazione di regole comuni in materia contrattuale, ciò almeno fino al Libro Verde della Commissione dell’8 febbraio 2007 sulla «revisione dell’acquis communautaire in materia di protezione dei consumatori», a partire dal quale la razionalizzazione normativa auspicata si è formalmente concentrata sulla disciplina consumeristica26.
Con tale documento si conclude la fase diagnostica della revisione, in cui vengono sostanzialmente riportati i risultati per l’avvio di una consultazione pubblica. Sono individuati i problemi posti dalla legislazione comunitaria in vigore in materia di consumatore, con la presentazione delle principali opzioni di riforma27.
Il Libro Verde, intitolandosi solo all’acquis comunitario lascia, però, aperte alcune questioni, circa la natura del rapporto tra il processo di revisione delle direttive comunitarie e Common Frame of Reference e circa l’idoneità di quest’ultimo in termini di fondamento concettuale e terminologico da cui partire per riorganizzare la normativa di provenienza comunitaria.
La rivisitazione dell'acquis relativo ai consumatori, nell’esame della Commissione, ha rappresentato una preziosa opportunità al fine di un aggiornamento delle direttive a tutela dei consumatori, di una semplificazione e di un miglioramento del contesto normativo, nell'interesse sia degli operatori che dei consumatori. Come viene, però, successivamente evidenziato dal punto 2.1 del Libro Verde, l’attività di riesame si pone sempre «in linea con la modernizzazione del mercato interno».
È a tal fine, quindi, che le direttive, in un contesto individuale e globale allo stesso tempo, vengono sottoposte a revisione, nel tentativo di identificare quelle carenze normative che ne limitano l’efficacia applicativa.
25 Cfr. xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxx/xxxx_xxxxxx_xx.xxx#xxxx
26 COM(2006) 744def.
27 Cfr. punto 4 della COM(2006) 744def. La prima opzione consiste in un approccio verticale grazie al quale le direttive potrebbero essere modificate in maniera separata per adattarle agli sviluppi tecnologici e del mercato. In questo modo, le lacune delle singole direttive verrebbero colmate e le incoerenze tra esse sarebbero eliminate. Tale attività richiederebbe però tempi lunghi, senza possibilità di raggiungere l’effetto sperato di semplificazione. La seconda opzione consiste nell’adozione di uno strumento orizzontale, combinato con un’azione verticale, approccio che semplificherebbe e razionalizzerebbe l’acquis, riducendone il volume, anche attraverso un’abrogazione delle direttive esistenti a tutela dei consumatori. La terza opzione consiste nella totale assenza di azione legislativa, implicando una permanenza o un aumento dell’attuale azione frammentazione normativa dovuta all’utilizzo, da parte dei singoli Stati membri, delle clausole di armonizzazione minima.
Il limite generale dell’operazione posta in essere dalle Istituzioni comunitarie deve essere, tuttavia, ricercato nel tentativo di tracciare rinsaldare la connessione tra le direttive, esaltando il legame tra le fonti regolatorie del diritto dei consumatori solo in senso orizzontale e sottovalutando l’importanza di procedere alla medesima attività anche in senso verticale, radicando il riconoscimento del diritto all’effettiva tutela della persona nel mercato anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
A livello normativo viene così forse compromessa la concreta garanzia della protezione consumatore/soggetto di mercato in quanto persona.
Come già nella Comunicazione del 23 settembre 2005, n. 456 circa lo «Stato di avanzamento dei lavori in materia di diritto contrattuale europeo e di revisione dell’acquis», il Libro verde del 2007 conclude la fase diagnostica della revisione, sintetizzando i risultati iniziali cui è giunta la Commissione e sollecitando pareri in merito alle opzioni proposte in sede di riesame dell'acquis relativo ai consumatori.
Il risultato del riesame del 2007 si è sostanziato nella Proposta di direttiva sui «Diritti dei consumatori», lanciata con la Comunicazione dell’8 ottobre 2008 n.614, il cui criterio ispiratore è stato quello della completa armonizzazione28.
Essa vuole assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori, mirando a stabilire condizioni per il mercato interno, rendendo più facile e meno costoso per gli operatori la conclusione transfrontaliera di contratti e fornendo ai consumatori una più ampia scelta e prezzi competitivi.
La Proposta riunisce, questa volta, quattro direttive comunitarie sui consumatori in una complesso di regole29. Allo stesso tempo, aggiorna e modernizza il concetto di consumer rights, allineandoli all'evoluzione tecnologica legata all’e-commerce ed alle
28 COM(2008) 614def. Cfr.X. XXXXXX , La proposta di Direttiva sui diritti dei consumatori: la situazione a un anno dalla sua presentazione, in Contratto e impresa. Europa, 2009, 2, p. 953; M. DONA, La proposta di direttiva sui diritti dei consumatori: luci ed ombre nel futuro della tutela contrattuale, in Obbligazioni e Contratti, 2009, 7, p. 582; X.XXXXX, Garanzia nella vendita dei beni di consumo: proposte di diritto europeo, in Xxxxx e responsabilità, 2011, 5, p. 461; X.XXXXXXXXX, Unfair Contract terms and Consumer Guarantees: the Proposal for a Directive on Consumer rights and the significance of “Full harmonization”, in European Review of Contract Law, 3/2009, p. 223. In particolare quest’ultimo contributo analizza la portata dell’espressione “completa armonizzazione”, chiedendosi se essa comporti, a carico degli Stati membri, la disapplicazione delle normative nazionali che possono sovrapporsi per l’impatto di queste serie di norme armonizzate nei rispettivi contesti, con costi in termini di coesione nazionale e sviluppo di incentivi sbagliati; oppure se essa debba limitarsi agli schemi concettuali prefissati dalla proposta, lasciando inalterati altri terreni, quali quelli del controllo delle condizioni contrattuali o dei diritti dell’acquirente. In questo modo si eviterebbero i problemi legati ad una totale armonizzazione, ma verrebbero fondamentalmente compromesse le finalità economiche conseguibili attraverso una piena armonizzazione. Quanto al rapporto tra CFR e la Proposta di direttiva, cfr. M.W. HESSELINK, The Consumer Right Directives and the CFR: two worlds apart? in European Review of Contract Law, 3, 2009, p. 290.
29 Le direttive interessate sono, in questa fase, la 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo; la 93/13/CE sulle clausole abusive; la 97/7/CE sui contratti a distanza; la 85/577/CEE sulle vendite fuori dai locali commerciali.
aste on-line e rafforzando le disposizioni riguardanti le fattispecie contrattuali maggiormente problematiche, in particolare le vendite negoziate lontano dai locali commerciali
La proposta di direttiva non elimina, tuttavia, alcuni dubbi legati alla formulazione normativa, ancora imprecisa, inadeguata e non in linea con gli ulteriori processi di uniformazione normativi in corso30.
Le direttive a tutela dei consumatori si sono infatti, precedentemente, ispirate ad un criterio di armonizzazione minima. Ciò ha consentito agli Stati membri di innalzare il grado di protezione accordata ai consumatori nel diritto comunitario, mediante introduzione o mantenimento di norme nazionali più severe, e con conseguente dislivello nella tutela dei consumatori europei e differente modalità di esercizio nei diversi ordinamenti dei diritti riconosciuti dalle direttive.
Le conseguenze applicative di una normativa frammentata sarebbero d’ostacolo agli scambi transfrontalieri incontrati dai professionisti. Il costo aggiuntivo connesso all’adempimento delle diverse normative sulle transazioni dei consumatori avrebbe rappresentato la strozzatura principale del mercato interno, inducendo la Commissione ad ipotizzare un approccio di armonizzazione massima ai fini della eliminazione degli ostacoli al funzionamento del mercato interno31 , approccio già inaugurato con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, 2005/29/CE.
Tale approccio è stato, tuttavia, fortemente criticato in base all’assunto che un regime di armonizzazione completa nei rapporti B2C imporrebbe sostanzialmente un divieto, per i legislatori nazionali, di elevare gli standard di tutela previsti a livello comunitario, con conseguente obbligo di adeguamento della normativa interna alla legislazione europea e quindi con possibili esiti sfavorevoli per consumatore.
30 A fronte del termine unico business utilizzato dal DCFR e dagli Acquis Principles per individuare la controparte del consumatore, la proposta di direttiva utilizza più termini come trader, supplier, professional, ingenerando confusione circa la definizione dell’ambito soggettivo di applicazione. Allo stesso modo le parole term e condition vengono spesso interscambiate compromettendo il significato della norma. Inoltre utilizzando l’espressione “trasferimento del possesso” per indicare la fase della consegna del bene, che governa il passaggio del rischio, la proposta non è soltanto imprecisa, ma altresì inadeguata. Col termine “possesso” si intende, infatti, una specifica figura, rientrante nella categoria dei diritti reali, posta al di fuori dell’ambito dell’armonizzazione e regolata dalle leggi dei singoli Stati membri.
31 A fronte del termine unico business utilizzato dal DCFR e dagli Acquis Principles per individuare la controparte del consumatore, la proposta di direttiva utilizza più termini come trader, supplier, professional, ingenerando confusione circa la definizione dell’ambito soggettivo di applicazione. Allo stesso modo le parole term e condition vengono spesso interscambiate compromettendo il significato della norma. Inoltre utilizzando l’espressione “trasferimento del possesso” per indicare la fase della consegna del bene, che governa il passaggio del rischio, la proposta non è soltanto imprecisa, ma altresì inadeguata. Col termine “possesso” si intende, infatti, una specifica figura, rientrante nella categoria dei diritti reali, posta al di fuori dell’ambito dell’armonizzazione e regolata dalle leggi dei singoli Stati membri.
Inoltre, il percorso dell’armonizzazione completa esige la ricerca di un accordo/compromesso tra Paesi con una consolidata tradizione normativa ispirata ad logica protezionistica del consumatore (come la Francia o la Germania) e Paesi con un’inferiori vocazioni di tutela – ad esempio la Repubblica Ceca – e dunque maggiormente inclini a favorire l’integrazione del mercato interno.
Ostacolo ulteriore al compimento di una full harmonization si incontra non solo sul piano attuativo della normativa (che può differire da Stato a Stato) ma anche su quello della interpretazione giudiziale delle norme in essa contenute, demandata alle singole corti nazionali.
La Corte di Giustizia dovrebbe rivestire, come ovvio, un ruolo di primo piano nell’esercizio di tale attività ermeneutica, tuttavia solo col tempo essa potrebbe svolgere un’effettiva funzione di coordinamento tra le possibili divergenze interpretative.
Non può essere, in ultimo, sottovalutato il possibile rischio di frammentazione interna ai singoli ordinamenti. Caratterizzandosi per un ambito applicativo piuttosto ampio, un’eventuale armonizzazione completa in settori specifici di diritto contrattuale potrebbe irrigidire e sclerotizzare altri settori normativi di provenienza europea, con conseguente incomunicabilità tra norme e difficoltà applicative per i giudici.
La problematicità attuativa della armonizzazione completa ha, dunque, indotto le Istituzioni comunitarie a sostituirla con un altro obiettivo, quello di un’armonizzazione solo settoriale, avendo riguardo di elementi specifici come le definizioni, il consenso, le informazioni precontrattuali da fornire nel caso di contratti a distanza e contratti conclusi fuori dai locali commerciali ed il diritto di recesso.
4. Segue. b) La Direttiva unificata sui diritti dei consumatori
Sulla base di tale presupposto, il 25 ottobre 2011 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, seguendo sempre l’impostazione dell’armonizzazione massima, ma limitatamente ai settori di incidenza.
L’ambito applicativo del provvedimento32, infatti, concerne i contratti conclusi a distanza e quelli negoziati fuori dai locali commerciali, con particolare riguardo ai contratti conclusi on line33 .
L’art. 1, contenuto nel capo I, intitolato «Oggetto, definizioni e ambito applicativo», circoscrive la finalità del provvedimento, quella cioè di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno mediante l’armonizzazione di alcuni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri nei contratti B2C.
La preliminare analisi della norma di apertura del provvedimento legittima il rilievo che il “restyling” generale voluto dal legislatore comunitario in materia di protezione del consumatore risenta ancora della menzionata questione: la necessità di contribuire al giusto funzionamento del mercato favorisce l’impressione che la tutela del soggetto consumatore sia uno strumento per migliorare la struttura concorrenziale del mercato stesso piuttosto che un fine cui tendere.
Tale rilievo conduce alla più specifica constatazione che la ricerca della ratio delle disposizioni in materia di contratto col consumatore venga ancor più complicata dalla circostanza che la Direttiva si inserisce in uno scenario normativo poliedrico, composto
32 Cfr. Art. 3 della Direttiva 2011/83/UE, che prevede che il provvedimento di applichi «a qualsiasi contratto concluso tra un professionista ed un consumatore». Restano esclusi da tale ambito applicativo i contratti per i servizi sociali, l’assistenza all’infanzia ed il sostegno alle famiglie ed alle persone in stato di bisogno; i contratti di assistenza sanitaria; i contratti di attività di azzardo; i contratti di servizi finanziari; i contratti per la creazione, l’acquisizione o il trasferimento di beni immobili o di diritti su beni immobili; i contratti rientranti nella disciplina della direttiva 2008/122/CE su taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio. Ancora la Direttiva in commento non si applica ai contratti di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista presso il domicilio, la residenza o il posto di lavoro del consumatore.
33 L’art. 31 abroga espressamente la direttiva 85/577/CEE e la direttiva 97/7/CE; l’art. 32 inserisce l’art. 8-bis nella direttiva 93/13/CEE, che prevede che la Commissione sia informata nell’ipotesi in cui caso uno Stato membro adotti disposizioni più severe per garantire un livello di tutela più elevato per il consumatore, soprattutto se tali disposizioni estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive. La Commissione garantisce che queste informazioni di siano facilmente accessibili ai consumatori e ai professionisti, tra l’altro su un apposito sito web. Ancora l’art. 33 modifica la direttiva 1999/44/CE introducendo l’art. 8-bis sugli obblighi di informazione che lo Stato membro deve adempiere nei confronti della Commissione qualora adotti disposizioni a tutela dei consumatori più rigorose.
da più nuclei precettivi, il cui trait d’union non appare tanto l’effettiva esigenza di tutela del consumatore in quanto persona, quanto piuttosto di garantire il più vantaggioso equilibrio di mercato, in controtendenza a quanto enunciato dal considerando n. 66, secondo cui: «La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
Certamente, un’interpretazione improntata alla protezione del consumatore quale soggetto debole del mercato rileva dalla lettura dell’art. 3 nn. 1 e 2 ( per i quali la direttiva si applica ad ogni contratto concluso tra un professionista ed un consumatore ed ai contratti di fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, inclusi quelli stipulati da pubblici fornitori su base contrattuale) e dall’art. 25 sul carattere imperativo della disciplina e perciò sulla sua inderogabilità e sulla indisponibilità dei diritti ad esso riconosciuti.
Nello stesso senso si potrebbe ragionare analizzando l’art. 4 relativo al livello di armonizzazione34, la cui portata viene rivista dai due correttivi riportati dall’art. 3, e cioè:
a) che non sarà pregiudicato il diritto contrattuale nazionale generale, quali le norme sulla validità, formazione o efficacia di un contratto, nella misura in cui gli aspetti relativi al diritto contrattuale generale non sono disciplinati dalla direttiva; b) che non verrà impedito ai professionisti di offrire ai consumatori condizioni contrattuali che vanno oltre la tutela prevista dalle norme in esame .
La singolare scelta del legislatore europeo di predisporre, in materia contrattuale, un corpus disciplinare caratterizzato da un ambito applicativo parziale, quello dei contratti a distanza e quello dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali, pare, tuttavia, amplificare la problematica della frammentazione normativa e la conseguente necessità di prevedere un nesso tra le stesse disposizioni comunitarie sul contratto col consumatore, sia quelle delle direttive che quelle di fonti di rango superiore.
In questo modo l’intento protezionistico viene indebolito proprio dalla dispersione di nuclei normativi, la cui effettività risente dell’assenza di un coordinamento tra gli stessi e di una lettura sistematica inquadrata in una cornice di principi comuni.
L’unica cornice comune sistematica all’interno della quale ricavare il filo conduttore delle disposizioni in materia di consumatore, appare essere quella fissata dall’art. 2 che
34 L’art. 4 stabilisce infatti che «Salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o adottano nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso».
fornisce le nozioni dei termini chiave della direttiva, confermando il trend di sviluppo del diritto privato europeo35.
Gli articoli centrali della direttiva concernono la disciplina degli obblighi informativi, rispetto ai quali essa risente di un impianto poco solido, in particolare sul versante della tutela processuale e dei rimedi.
Non si rinviene, all’interno del provvedimento, una specifica disposizione destinata alla disciplina dell’inadempimento dell’obbligo di informazione: non si ritrovano, infatti, disposizioni sanzionatorie incidenti sul piano generale. Sul piano specifico, invece, rileva la sola sanzione del prolungamento dei termini del diritto di recesso in caso di inadempimento dell’obbligo informativo su quest’ultimo.
Ulteriore eccezione è rappresentata dal regime dell’onere probatorio in caso di violazione dell’obbligo informativo, previsto dalla disciplina dei contratti a distanza e di quelli conclusi fuori dai locali commerciali .
Il legislatore europeo adotta una scelta strutturale specifica, individuando preliminarmente, al Capo II, le informazioni per i consumatori in caso di contratti diversi dai quelli a distanza o quelli negoziati fuori dai locali commerciali e al Capo III le informazioni da fornire al consumatore e il diritto di recesso per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali e per i contratti a distanza.
La differente impostazione sembra dettare due discipline diverse, sottolineando l’essenzialità dell’armonizzazione massima soltanto per i contratti a distanza e per quelli porta a porta, laddove per le tipologie contrattuali differenti vengono previsti livelli minimi di tutela con possibilità per gli Stati membri di prevedere obblighi ulteriori36.
35 La definizione di professionista comprende sia soggetti pubblici che soggetti privati; la nozione di contratto di vendita include anche quella di preliminare di vendita. Ai sensi, infatti, del n.5 dell’art. 2, con contratto di vendita si intende «qualsiasi contratto in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore e il consumatore ne paga o si impegna a pagarne il prezzo, inclusi i contratti che hanno come oggetto sia beni che servizi». La definizione di contratto di servizi comprende ogni contratto diverso da un contratto di vendita in base al quale il professionista fornisce o si impegna a fornire un servizio al consumatore e quest’ultimo paga o si impegna a pagarne il prezzo.
36 Viene introdotto, comunque, all’art. 5 un nuovo catalogo a carattere generale degli obblighi di informazione riguardanti il contratto coi consumatori e la fornitura di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento, sorretto alla base dalla tecnica dell’armonizzazione massima. L’obbligo di informazione riguarda: a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista, ad esempio la sua denominazione sociale, l’indirizzo geografico in cui è stabilito e il numero di telefono; c) il prezzo totale dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o dei servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; d) se applicabili, le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare il servizio e il trattamento dei reclami da parte del professionista; e) oltre a un richiamo dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni, l’esistenza e le condizioni del servizio postvendita e delle garanzie commerciali, se
È fatto divieto agli Stati membri di derogare in peius alla normativa comunitaria, salvo il caso di vendite giornaliere con prestazioni immediate o di forniture di acqua, gas o elettricità in quantità modeste, consentendo comunque loro, al co. 4, l’emanazione o il mantenimento degli obblighi ulteriori di informazione precontrattuale per i contratti cui si applica l’articolo.
L’ esplicita individuazione nell’art. 6 delle informazioni precontrattuali da fornire al consumatore37, così come l’espressa descrizione dei requisiti formali richiesti per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali (art. 7) e per i contratti a distanza (art. 8), appaiono in contrasto col vuoto normativo lasciato in riferimento al mancato adempimento da parte del professionista degli obblighi informativi, rispetto al quale
applicabili; f) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni di risoluzione del contratto; g) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica; h) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabili.
37Esse sono: a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista, ad esempio la sua denominazione sociale; c) l’indirizzo geografico dove il professionista è stabilito e il suo numero di telefono, di fax e l’indirizzo elettronico, ove disponibili, per consentire al consumatore di contattare rapidamente il professionista e comunicare efficacemente con lui e, se applicabili, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale agisce; d) se diverso dall’indirizzo fornito in conformità della lettera c), l’indirizzo geografico della sede del professionista a cui il consumatore può indirizzare eventuali reclami e, se applicabile, quello del professionista per conto del quale agisce; e) il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; f) il costo dell’utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto quando tale costo è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base; g) le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare i servizi e, se del caso, il trattamento dei reclami da parte del professionista; h) in caso di sussistenza di un diritto di recesso, le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, nonché il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B; i) se applicabile, l’informazione che il consumatore dovrà sostenere il costo della restituzione dei beni in caso di recesso e in caso di contratti a distanza qualora i beni per loro natura non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta; j) che, se il consumatore esercita il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, o dell’articolo 8, paragrafo 8, egli è responsabile del pagamento al professionista di costi ragionevoli, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3; k) se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell’articolo 16, l’informazione che il consumatore non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui il consumatore perde il diritto di recesso; l) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni; m) se applicabili, l’esistenza e le condizioni dell’assistenza postvendita al consumatore, dei servizi postvendita e delle garanzie commerciali; n) l’esistenza di codici di condotta pertinenti, come definiti all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2005/29/CE e come possa esserne ottenuta copia, se del caso; o) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto; p) se applicabile, la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto; q) se applicabili, l’esistenza e le condizioni di depositi o altre garanzie finanziarie che il consumatore è tenuto a pagare o fornire su richiesta del professionista; r) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica;s) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabile; t) se applicabile, la possibilità di servirsi di un meccanismo extra-giudiziale di reclamo e ricorso cui il professionista è soggetto e le condizioni per avervi accesso.
risulta opportuno interrogarsi su quali possano essere le conseguenze in caso di loro violazione. Dottrina e giurisprudenza hanno elaborato tesi differenti al riguardo.
Un primo orientamento, facendo leva sulla collocazione temporale di tali obblighi da riportarsi alla fase precedente alla conclusione del contratto, li colloca nella fase delle trattative, riconducendoli all’ambito applicativo dell’art. 133738.
Altro indirizzo39, riconoscendogli carattere inderogabile, e qualificandoli quali teleologicamente rivolti ad uno scopo protezionistico pur voluto dal legislatore, ritiene che la loro violazione comporti la nullità del contratto successivamente concluso.
Ulteriore impostazione li colloca nella fase di formazione della volontà del consumatore contraente, e ritiene che quest’ultimo, non essendo stato adeguatamente informato, possa richiedere l’annullamento del contratto40.
La tesi oggi prevalente ritiene che la violazione dell’obbligo informativo possa qualificarsi come inadempimento, dunque che la sanzione più idonea possa individuarsi nella risoluzione del contratto41.
Il consumatore può avvantaggiarsi di una doppia scelta: potrà egli, infatti, chiedere la risoluzione del contratto con annesso risarcimento del danno e restituzione di quanto abbia ricevuto dalla controparte.
In alternativa, egli potrà chiedere il risarcimento del danno, conservando le prestazioni già adempiute, con detrazione del valore di queste ultime nella commisurazione del risarcimento all’interesse positivo.
In giurisprudenza il risarcimento del danno è stato ritenuto come soluzione maggiormente conveniente, consentendo al consumatore di mantenere i vantaggi connessi all’operazione economica realizzata.
In particolare, le Sezioni unite, con la sentenza 26724 del 19 dicembre 2007, hanno confermato la differenza tra regole di validità e regole di responsabilità, ribadendo l'estraneità della violazione degli obblighi di informazione all'area della nullità.
Rispetto ai rimedi esperibili dal consumatore (nella qualità specifica di investitore) non correttamente informato, la Corte ha poi distinto tra violazioni degli obblighi informativi che si collocano nella fase precedente alla stipulazione del contratto,
38G. XXXXX, Gli obblighi di informazione,in Il contratto e le tutele, Prospettive di diritto europeo, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, p. 144.
39Cfr. Trib. Venezia, 22 novembre 2004 e Trib. Mantova, 1 dicembre 2004 in Danno e resp., 2005, p. 614
40 X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione del contratto, Padova 1972, p. 105 ; X. XXXXX in Il contratto, II, Tratt. Xxxxx, Torino 2004, p. 428
41 X. XXXXX, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero l'ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contratto Impresa., 2006, p. 896 .; X. XXXXXXXXX, Nullità per inadempimento?, in Contratto Impresa, 2006, p. 368.
generanti una responsabilità precontrattuale, e violazioni degli obblighi che si collocano in fase esecutiva, che invece possono dar luogo a responsabilità per inadempimento ovvero, laddove ricorrano i presupposti di gravità richiesti dall'art. 1455 c.c., possono condurre anche alla risoluzione del contratto d'intermediazione42.
La disciplina sul diritto di recesso (art. 9) risulta essere anch’essa centrale: il legislatore ha imposto uno standard di tutela elevato, confermato dai termini concessi per l’esercizio del recesso e le garanzie per la restituzione di quanto pagato. La novità è chiaramente rappresentata dall’allungamento del termine per l’esercizio del diritto: il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere dal contratto, senza dover fornire motivazioni e senza dover sostenere costi ulteriori da quelli previsti dall’art. 13 co. 2 e dall’art. 1443.
La decorrenza del termine varia a seconda del tipo di contratto, come previsto dall’art 944, in base al quale gli Stati membri non possono proibire l’adempimento delle
42 Cfr. Cass. SS.UU. 19.12.2007 n. 26724 in Il civilista, 2009, 6, p. 74: «Le norme dettate dalla legge che detta la disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare (art. 6, l. n. 1/1991 e successive modificazioni) hanno carattere imperativo: esse sono, cioè, dettate non solo nell'interesse del singolo contraente di volta in volta implicato, ma anche nell'interesse generale all'integrità dei mercati finanziari e si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti. La violazione di una o più tra dette norme non comporta automaticamente la nullità dei contratti stipulati dall'intermediario col cliente, vigendo anche nello specifico settore dell'intermediazione finanziaria la tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell'atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità».
43 Cfr. art. 64 del Codice del consumo, d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 «1. Per i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori dai locali commerciali, il consumatore ha diritto di recedere senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro il termine di dieci giorni lavorativi, salvo quanto stabilito dall'articolo 65, commi 3, 4 e 5. 2. Il diritto di recesso si esercita con l'invio, entro i termini previsti dal comma 1, di una comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La comunicazione può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive; la raccomandata si intende spedita in tempo utile se consegnata all'ufficio postale accettante entro i termini previsti dal codice o dal contratto, ove diversi. L'avviso di ricevimento non e', comunque, condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.
3. Qualora espressamente previsto nell'offerta o nell'informazione concernente il diritto di recesso, in luogo di una specifica comunicazione e' sufficiente la restituzione, entro il termine di cui al comma 1, della merce ricevuta».
44 Cfr. art. 9 n.2 per il quale il termine decorre a) nel caso di contratti di servizio dal giorno della conclusione del contratto;b) nel caso di contratti di vendita, dal giorno in cui il consumatore o un terzo che non sia il trasportatore e indicato dal consumatore acquisti il possesso fisico dei beni; bi) nel caso in cui i beni siano molteplici, tutti ordinati con un unico ordine ma consegnati separatamente, dal giorno in cui il consumatore o il terzo non trasportatore acquisiscono il possesso materiale dell’ultimo bene; bii) nell’ipotesi in cui debba essere consegnato un bene consistente in diverse parti o pezzi, dal giorno in cui il consumatore o il terzo non trasportatore acquisiscono il possesso materiale dell’ultima parte o pezzo; biii) nel caso in cui il contratto preveda la regolare consegna di beni durante un periodo di tempo prestabilito, dal giorno in cui il consumatore o il terzo non trasportatore acquisiscono il possesso materiale del primo bene; c) nel caso di contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, purché non venduti in una limitata quantità, o di teleriscaldamento o di contenuto digitale non somministrato mediante un mezzo tangibile, dal giorno della conclusione del contratto.
obbligazioni contrattuali nel corso del periodo utile per il recesso, fatta eccezione il caso di legislazioni nazionali preesistenti, di segno opposto e limitatamente ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali45.
L’applicazione della direttiva in conformità alle prerogative enunciate dalla Carta dei diritti fondamentali rischia, però, di essere compromessa nella previsione di specifiche modalità di esercizio del diritto di recesso. La comunicazione può certamente avvenire presentando una dichiarazione esplicita della decisione di recedere, tuttavia il legislatore comunitario ha previsto preventivamente che la stessa avvenga presentando un modulo tipo allegato alla stessa direttiva, oltreché prevedere la possibilità di vincolare la comunicazione del recesso ad una qualsiasi altra dichiarazione esplicita sul sito web del professionista46. Ci si chiede se tali forme di comunicazione del recesso non siano suscettibili di imposizione e dunque di una limitazione della scelta del consumatore di ripensare il consenso prestato.
Dal recesso discendono poi ulteriori obblighi, previsti dall’art. 13 per il professionista47 e dall’art 14 per il consumatore48.
45 Cfr. I. XXXX, La direttiva di armonizzazione massima sui diritti dei consumatori, o almeno ciò che resta, in Contratto e Impresa Europa, 2011, p. 754, secondo cui l’attuazione di questa disposizione provocherà un abbassamento del livello di tutela del consumatore, ragione per la quale essa era stata oggetto di critiche anche nella precedente Proposta di direttiva del 2008. L’inadempimento degli obblighi informativi di cui all’art. 6 comporta che il termine per l’esercizio del diritto di recesso di allunghi a dodici mesi, secondo quanto stabilito dall’art.10 co. 1, secondo cui «Se in violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), il professionista non fornisce al consumatore le informazioni sul diritto di recesso, il periodo di recesso scade dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale, come determinato a norma dell’articolo 9, paragrafo 2»; co. 2 «Se il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo entro dodici mesi dalla data di cui all’articolo 9, paragrafo 2, il periodo di recesso scade quattordici giorni dopo il giorno in cui il consumatore riceve le informazioni».
46 In tali casi. il professionista è tenuto a comunicare al consumatore il ricevimento del recesso su un supporto durevole. Il recesso riguarda, in base all’art. 12 della Direttiva, il contratto oppure la proposta contrattuale, ma, a differenza di quanto previsto dal codice del consumo, esso concerne sia il contratto a distanza che quello concluso fuori dai locali commerciali. L’effetto sarà la cessazione delle obbligazioni delle parti sia di adempiere il contratto a distanza o quello concluso fuori dai locali commerciali, sia di perfezionare il relativo accordo nella ipotesi in cui sia il consumatore a fare la proposta e questa abbia un carattere vincolanteIn proposito, cfr. X. XXXXXXXXX, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, in Europa dir. priv., 2011, p. 861, per il quale non andrebbero trascurati alcuni elementi di segno opposto rilevabili dal sistema italiano, in cui il recesso presuppone un contratto già perfetto e valido, e di diritto europeo di fonte comunitaria, che in genere ascrive il recesso di pentimento alla fase che segue la conclusione del contratto ma con qualche eccezione come accade nel caso, appunto dei contratti a distanza e dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali, nei quali il recesso è riferibile anche alla proposta contrattuale del consumatore. Secondo l’A. la proposta deve intendersi innanzitutto come proposta irrevocabile conformemente alla prassi di certi ordini di acquisto. Il fine evidente è quello di annetterla allo stesso regime del contratto già concluso quanto alla recedibilità, al relativo termine di esercizio e di informazione.
47 Art. 13 «co.1 Il professionista sarà tenuto al rimborso di tutti i pagamenti ricevuti dal consumatore, eventualmente comprensivi delle spese di consegna, senza indebito ritardo e comunque entro quattordici giorni dal giorno in cui è informato della decisione del consumatore di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 11. Il professionista esegue il rimborso di cui al primo comma utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dal consumatore per la transazione iniziale, salvo che il consumatore abbia espressamente convenuto altrimenti e a condizione che questi non debba sostenere alcun costo quale conseguenza del rimborso; co. 2 Fatto salvo il paragrafo 1, il professionista non è inoltre tenuto a rimborsare i costi
Il riconoscimento di determinati diritti in capo al professionista sembrano ulteriormente tradire l’impostazione di un regime favorevole nei confronti del consumatore49. Tra gli obblighi del professionista non rientra, ad esempio, quello del rimborso dei costi supplementari qualora il consumatore abbia scelto espressamente un tipo di consegna differente dal tipo meno costoso offerto dal professionista, così come viene prevista la trattenuta del rimborso fino a quando non abbia ricevuto i beni oppure fino a quando il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni.
supplementari, nel caso in cui il consumatore abbia scelto espressamente un tipo di consegna diversa dal tipo meno costoso di consegna standard offerto dal professionista; co.3 Salvo che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, con riguardo ai contratti di vendita il professionista può trattenere il rimborso finché non abbia ricevuto i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda di quale situazione si verifichi per prima».
48 Art. 14 «co.1 A meno che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, il consumatore restituisce i beni o li consegna al professionista o a un terzo autorizzato dal professionista a ricevere i beni, senza indebito ritardo e in ogni caso entro quattordici giorni dalla data in cui ha comunicato al professionista la sua decisione di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 11. Il termine è rispettato se il consumatore rispedisce i beni prima della scadenza del periodo di quattordici giorni. Il consumatore sostiene solo il costo diretto della restituzione dei beni, purché il professionista non abbia concordato di sostenerlo o abbia omesso di informare il consumatore che tale costo è a carico del consumatore. Nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in cui i beni sono stati consegnati al domicilio del consumatore al momento della conclusione del contratto, il professionista ritira i beni a sue spese qualora i beni, per loro natura, non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta; co. 2 Il consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni. Il consumatore non è in alcun caso responsabile per la diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h); co. 3. Qualora un consumatore eserciti il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta in conformità dell’articolo 7, paragrafo 3, o dell’articolo 8, paragrafo 8, il consumatore versa al professionista un importo proporzionale a quanto è stato fornito fino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto. L’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista è calcolato sulla base del prezzo totale concordato nel contratto. Se detto prezzo totale è eccessivo, l’importo proporzionale è calcolato sulla base del valore di mercato di quanto è stato fornito; co. 4. Il consumatore non sostiene alcun costo per: a) la prestazione di servizi o la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento, in tutto o in parte, durante il periodo di recesso quando: i) il professionista ha omesso di fornire informazioni in conformità dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere h) e j); oppure ii) il consumatore non ha espressamente chiesto che la prestazione iniziasse durante il periodo di recesso in conformità dell’articolo 7, paragrafo 3, e dell’articolo 8, paragrafo 8; oppure b) la fornitura, in tutto o in parte, del contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale quando: i) il consumatore non ha dato il suo previo consenso espresso circa l’inizio della prestazione prima della fine del periodo di quattordici giorni di cui all’articolo 9, ii) il consumatore non ha riconosciuto di perdere il diritto di recesso quando ha espresso il suo consenso; oppure
iii) il professionista ha omesso di fornire la conferma conformemente all’articolo 7, paragrafo 2 o all’articolo 8, paragrafo 7. 5. Fatto salvo quanto previsto nell’articolo 13, paragrafo 2, e nel presente articolo, l’esercizio del diritto di recesso non comporta alcuna responsabilità per il consumatore».
49 Quanto al rimborso delle somme versate dal consumatore, risulta peculiare il termine di quattordici giorni che decorrono dal momento in cui il professionista ha ricevuto la comunicazione del recesso. Si tratta di un termine nuovo rispetto a quello di trenta giorni previsto dal Codice del Consumo e dall’art. 16 della Proposta di Direttiva del 2008. Cfr. Art. 67 co.4 codice del consumo: «Se il diritto di recesso è esercitato dal consumatore conformemente alle disposizioni della presente sezione, il professionista è tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, ivi comprese le somme versate a titolo di caparra. Il rimborso deve avvenire gratuitamente, nel minor tempo possibile e in ogni caso entro trenta giorni dalla data in cui il professionista è venuto a conoscenza dell'esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore. Le somme si intendono rimborsate nei termini qualora vengano effettivamente restituite, spedite o riaccreditate con valuta non posteriore alla scadenza del termine precedentemente indicato».
Medesima conclusione può essere tratta dalla previsione che consente al professionista di trattenere il rimborso finché non abbia ricevuto i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda della situazione che per prima si verifichi.
L’entrata in scena, nel contesto di riassetto normativo europeo in materia contrattuale, della direttiva «unificata» sui diritti dei consumatori ha ulteriormente complicato uno scenario di per sé già difficilmente districabile50.
La graduale riduzione dei settori di incidenza dell’intervento sull’acquis - delle otto direttive previste dalla Comunicazione del 2004, la revisione ha finora riguardato soltanto due, quella sui contratti a distanza e quella sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali – induce a pensare che anche l’intento armonizzatore del solo acquis comunitario difficilmente riuscirà, nel breve periodo, a vedere una piena realizzazione.
Da quanto analizzato, il legislatore ha invero paventato la possibilità di un’armonizzazione massima in duplice senso.
Da una parte, egli ha evidentemente superato il carattere di intervento di armonizzazione minima, prevalentemente riconosciuto alla Direttiva 99/44/CE sulla vendita dei beni di consumo, presentando una Proposta di Regolamento per un diritto comune europeo della vendita opzionale, che invece sarebbe dovuto essere improntata alla inderogabilità.
Dall’altra, ha tentato, con la Direttiva in commento, di realizzare un’armonizzazione massima, relativa, però, soltanto ad alcune vicende contrattuali (contratti a distanza e contratti negoziati fuori dai locali commerciali), lasciando ampia possibilità di manovra alle discipline nazionali ed alla contrattazione individuale.
Ancora una volta, sfugge l’effettiva policy in realizzazione della quale l’intervento del legislatore europeo debba essere giustificato: sembra, in conclusione, che l’incertezza caratterizzante lo scopo da conferire alla normativa in materia di contratto con il consumatore, dibattuta tra esigenze protezionistiche del consumatore e strutturazione del mercato, non consenta un’agevole individuazione del suo fine principale nonostante il declamato rispetto dei principi riconosciuti nella Carta fondamentale.
50 La violazione delle norme nazionali attuative della direttiva implicherà l’adozione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive determinate dai singoli Paesi. In attuazione dell’art. 28, gli Stati membri sono tenuti ad adottare entro il 13 dicembre 2013 le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per adeguarsi alla direttiva. Essi dovranno comunicare alla Commissione il testo delle misure di attuazione in forma di documenti; tali misure dovranno essere applicate a partire dal 13 giugno 2014, per cui le disposizioni della direttiva saranno applicabili ai contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014.
5. Segue. Disciplina dei rapporti B2C: centralità o ruolo a margine?
Le direttive comunitarie costituiscono le principali fonti istituzionali di diritto europeo dei contratti in materia di contratti con il consumatore51. Rispetto ad esse, il legislatore comunitario ha avvertito, come visto, l’esigenza di procedere ad una riorganizzazione sistematica, al fine aumentare la fiducia e l’apertura verso le vendite oltre frontiera, con l’introduzione di norme uniformi che prevedano «(…) un elevato livello di protezione dei consumatori e chiarendo alcuni concetti giuridici, nella misura necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno e per soddisfare il requisito della certezza del diritto»52.
Ci si è interrogati, tuttavia, se questo complesso normativo costituisca ancora il nucleo effettivo del diritto europeo dei contratti oppure se sia opportuno considerarlo quale punto di partenza nella costruzione di un complesso ordinante di principi di diritto europeo53.
Alcuni autori giudicano l’acquis communautaire il riferimento essenziale per lo sviluppo del diritto europeo dei contratti sia da un punto di vista tecnico, data la coerenza
51 Il basso livello di fiducia nutrita dai consumatori rispetto alle vendite oltre frontiera è dovuto proprio alla frammentazione delle norme dell’acquis, che genera insicurezza all’accesso al sistema di vendite di un altro Paese. Ecco perché l’armonizzazione minima è ritenuta condizione necessaria ma non sufficiente per la revisione dell’acquis e si ritengono essenziali ulteriori interventi.
52 Considerando n. 5, direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, che recita «In assenza di norme uniformi a livello comunitario, gli ostacoli alla libera circolazione di servizi e di merci transfrontaliera o alla libertà di stabilimento potrebbero essere giustificati, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, purché volti a tutelare obiettivi riconosciuti di interesse pubblico e purché proporzionati a tali obiettivi. Tenuto conto delle finalità della Comunità, stabilite dalle disposizioni del trattato e dal diritto comunitario derivato in materia di libera circolazione, e conformemente alla politica della Commissione riguardante le comunicazioni commerciali come indicato nella comunicazione della Commissione «Seguito dato al Libro verde sulla comunicazione commerciale nel mercato interno», tali ostacoli dovrebbero essere eliminati. Ciò è possibile solo introducendo a livello comunitario norme uniformi che prevedono un elevato livello di protezione dei consumatori e chiarendo alcuni concetti giuridici, nella misura necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno e per soddisfare il requisito della certezza del diritto»
53 In dottrina è stata evidenziata la paradigmaticità e la forza espansiva del modello contrattuale B2C. Cfr. X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Rivista di diritto privato, 2001, p.769. Le norme sul contratto consegnateci dal complesso delle direttive e/o dai regolamenti comunitari identificano, secondo l’A., un paradigma contrattuale oggettivamente diverso dal tradizionale contratto di diritto comune. Si tratta di un modello la cui “forza di legge” viene attenuata dall’esercizio del recesso di pentimento e dall’incidenza delle invalidità derivanti dai molteplici vincoli di forma, di contenuto, di trasparenza. È un contratto che subisce la commistione tra ordini di regole che la tradizionale dogmatica ha tramandato separatamente, quali le regole di validità e quelle di comportamento. È un modello contrattuale che, però, non ricopre solo un’area marginale del contratto di diritto comune, inglobando la disciplina di contratti che non hanno una connotazione soggettiva e che prescindono dalle qualità socio-economiche delle parti. Il paradigma contrattuale formulato dalle direttive comunitarie nasce nel campo dei contratti del consumatore, manifestando tuttavia «una forza espansiva che lo proietta al di là di quel campo»; nello stesso senso, più recentemente, Idem, Parte generale del contratto, Contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul “terzo contratto”), in Xxx. xxx. xxxx., 0000, x. 000 xx.
xxx xxxxxxxx su cui esso poggia, sia da un punto di vista politico in virtù del giusto compromesso di valori in gioco54.
Secondo un’opinione contraria, l’acquis non potrebbe costituire il fondamento del futuro diritto contrattuale europeo: il complesso delle direttive in materia di contratto col consumatore offre un quadro disomogeneo ed incoerente, da cui non sarebbe possibile ricavare un sistema razionale di diritto contrattuale accettabile55.
Altri commentatori ancora evidenziano il carattere strumentale dell’acquis communautaire, ritenendo quest’ultimo finalizzato soprattutto all’integrazione giuridica prima ed economica poi dei mercati e scarsamente interessato alle finalità di giustizia delle relazioni contrattuali56.
Ulteriore dottrina sostiene che l’acquis offra una protezione efficiente e specifica ai consumatori quali soggetti deboli dei rapporti economici, e non condividono la possibile estensione applicativa di questo quadro normativo ad un sistema di portata più generale, ritenendo che ciò possa oscurarne la peculiarità, e conseguentemente indebolirne il potenziale di tutela57.
Pur costituendo, il contratto col consumatore, il presupposto di partenza ai fini di ricostruzione in termini di uniformazione dei diritto contrattuale europeo, va evidenziato come recenti sviluppi dottrinari stiano tracciando linee evolutive peculiari, tendenzialmente inclusive, nell’attività di riassetto normativo europeo, anche della relazione contrattuale tra imprese, in particolare quella B2b.
L’accoglimento di tale tendenza è stata, d’altronde, comprovata dalla Proposta di regolamento per un diritto comune europeo della vendita, rivolta alla disciplina dei rapporti tra professionisti e consumatori ma anche dei rapporti contrattuali tra professionista ed impresa debole58.
54S. XXXXXXXXX, Il codice europeo opzionale – Fondamenti di una codificazione progressiva sulla base dell’acquis communautaire, in Studi in onore di X. X. Xxxxxx, X, Xxxxxx, 0000, p. 201.
55 X. XXXX, Transposing “Pointillist” EC Guidelines into Systematic National Codes – Problems and Consequences, in European Review of Private Law, 2002, p. 761.
56 In tal senso, C.U. XXXXXX, The Instrumentalist Conception of the Acquis Communautaire in Consumer Law and its Implications on a European Contract Law Code, in European Review of Contract Law, 2005, p. 211. L’autore sostiene che una concezione strumentale del diritto europeo dei consumatori, verso l'integrazione del mercato, risulti fondamentalmente incompatibile con la concezione classica di diritto privato, che mira a realizzare la giustizia fra le parti. Sarebbe desiderabile, secondo l’A., un’inversione di rotta del diritto privato europeo verso una concezione justice-oriented, approccio che potrebbe essere facilitato da un codice europeo, sempre che un insieme di condizioni di legittimità vengano osservate nella sua redazione e applicazione.
57 Cfr. X. XXXXXXX, The Scope of European Consumer Law, in European Review of Contract Law, 2005, p. 360, per il quale l’oggetto e le finalità di disciplina del diritto europeo dei consumatori prescinde dalle questioni e dalle problematiche legate al mercato interno e risolte dal diritto generale dei contratti
58 Cfr. anche il Libro Verde della Commissione del luglio 2010, esplicitamente intitolato ad un diritto contrattuale per consumatori ed imprese, di cui si parlerà più innanzi.
La categoria del contratto col consumatore, in via graduale, sembrerebbe dunque perdere la centralità che la connotava: oggetto della disciplina diventerebbe la relazione contrattuale in sé, indipendentemente dai soggetti specifici in essa coinvolti. Ad essere tutelata è la parte contraente debole, all’interno di rapporti che si assumono asimmetrici per la differente posizione di mercato in cui le parti si trovano, con conseguente ridefinizione dell’oggetto della materia e successivo collocamento al centro del sistema non più della categoria dei contratti con i consumatori, ma di una più estesa categoria, quella dei contratti asimmetrici.
La circostanza – confermata peraltro dal legislatore comunitario nella predisposizione di un’unica disciplina per consumatore ed impresa debole – che l’attenzione sia stata progressivamente spostata dai soggetti facenti parte della relazione contrattuale, con le peculiarità che li contraddistinguono, alla relazione contrattuale sembra legittimare la ricostruzione teorica per cui il declamato intento protezionistico sia volto a garantire la migliore strutturazione del mercato comune più che l’effettiva tutela del soggetto contraente/persona in sé.
Quest’ultimo assume valore non tanto in quanto scopo finale di una tutela normativa, ma in quanto elemento di un sistema economico. La tutela del soggetto contraente pare rientrare in un disegno più ampio, di corretto andamento del mercato.
Il processo di armonizzazione europea del diritto dei contratti si inserisce dunque in un contesto di rinnovate classificazioni, la cui logica si ispira alla effettività della contrattazione. Se da un punto di vista normativo il parallelo corre tra contratto di diritto comune e contratto con il consumatore, da un punto di vista sistematico si profila una frantumazione, e perciò una disarticolazione, nella disciplina del contratto in generale, tesa a riaggregarsi attorno a diversi modelli, solo per certi aspetti accomunabili.
A rivelarlo è la distinzione, sotto un profilo di politica legislativa, tra più categorie, espressioni, comunque, di differenti tassonomie. Da una parte si trova il contratto del consumatore59, che, in considerazione dell’asimmetria informativa tra parti e della sostanziale esclusione del consumatore dal processo elaborativo di condizioni, richiede l’esercizio del massimo controllo attraverso una disciplina del rapporto che ne garantisca tutte le fasi ed aspetti. All’estremo opposto, si rinviene il contratto negoziato da parti esperte e dotate di medesimo potere economico, le quali auspicano un intervento
59Rispetto alla quale si dispiega una variante che interessa in particolare il piano della informazione nel contratto di investimento finanziario, approdando alla figura del contratto asimmetrico, cfr. X. XXXXXXXXX, La direttiva sui diritti del consumatore, in Europa dir. priv., 2011, p. 860.
legislativo minimo teso a garantire la determinazione dell’autonomia espressa. Al centro si collocherebbe una terza ipotesi negoziale, costituente una variante della prima ma riguardante i rapporti tra professionisti, di cui uno è un’impresa debole.
La molteplicità di modelli e la difficoltà di riconduzione ad un unico paradigma, impone la ricostruzione di una rinnovata parte generale, che sia però ricavata in via razionale non solo attraverso interventi di settore – come quello realizzato in parte con il
d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206 con una disciplina organica del contratto di consumo – ma anche attraverso il ripristino di un dialogo circolare tra fonti normative di rango differente che sia in grado di rimediare alla perdita d’unità del paradigma contrattuale.
Ci si interroga se l’impiego di una rinnovata fattispecie, quale quella del terzo contratto, possa restituire razionalità ad una realtà normativa frammentata nella formula dell’asimmetria contrattuale, e se questa via possa essere seguita nel segno della ricostruzione di un dialogo tra fonti.
Il concetto di asimmetria contrattuale, pur descrivendo una generica figura negoziale connotata da disuguaglianza tra parti, includerebbe due ipotesi contrattuali, i rapporti B2C e B2b, identificate, tuttavia, da precisi presupposti, ambiti di riferimento ed indici di riconoscimento60.
Si potrebbe, dunque, procedere ad una diversificazione tra le due ipotesi in ragione di cinque elementi quali: a) le modalità di contrattazione; b) la prova dell’asimmetria contrattuale; c) le ragioni dell’intervento protettivo; d) i parametri della sua valutazione;
e) la configurazione del rapporto che nasce dal contratto61.
Il primo elemento, attinente alle modalità di contrattazione, permetterebbe di differenziare le fattispecie B2C da quelle B2b in base al «come» l’autonomia contrattuale venga esercitata.
60 Esiste, tuttavia, il rischio che questa riorganizzazione strutturale del sistema non sia definitiva. X. XXXXX, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, in Corriere giuridico, 2009, p. 267, prospetta il rischio di nuove frammentazioni del sistema legato alla ridefinizione dei confini della categoria contrattuale B2C. Due linee evolutive vengono tracciate. La prima caratterizzata dall’evoluzione normativa dipendente dal moltiplicarsi delle discipline dedicate ai contratti B2b, cioè ai rapporti tra imprese con forza di mercato diversa. Una seconda linea evolutiva potrebbe essere tracciata da un’eventuale produzione normativa non esclusivamente destinata ai contratti B2b, ma a tutti i contratti fra soggetti di mercato più forti e soggetti di mercato più deboli. Il dibattito che si sta svolgendo in questi anni è tra coloro che sostengono la disciplina del “terzo contratto” (coincidente con l’area dei rapporti contrattuali B2b tra professionisti con potere di mercato differente) e quelli che prospettano la categoria del contratto “asimmetrico”, all’interno della quale far convergere tanto i contratti B2C che quelli B2b, costruendo un paradigma negoziale, unitario, comprensivo dell’insieme dei rapporti tra soggetti di mercato dotati di differente bargaining power.
61 Cfr. X. XXXXXX, Il terzo contratto. Il problema, in Il terzo contratto, (a cura di) X. Xxxxx, X. Xxxxx, Xxxxxxx, 2007, p. 16, che individua le ragioni di una differenziazione tra le ipotesi contrattuali ricadenti nella fattispecie della asimmetria contrattuale.
Nel primo caso, infatti, l’asimmetria si desume da un dislivello informativo che situa le parti del contratto, consumatore e professionista, su piani economici oggettivamente distinti. L’asimmetria si configura, in questo caso, come dato strutturale e formale del rapporto, derivante da una da una limitata competenza e da una predisposizione unilaterale del contenuto il cui rimedio è la trattativa individuale.
Non così per i contratti B2b, in cui la disuguaglianza non riveste carattere informativo o di competenza delle parti62, concretizzandosi nel dato sostanziale dello scarso, limitato
o mancante coinvolgimento nella determinazione del contenuto contrattuale.
I contratti B2C e quelli B2b sembrano differire anche sotto il profilo della prova dello squilibrio. La dimostrazione della esistenza di dipendenza economica tra imprese fa riferimento ad indici di asimmetria in concreto, da impiegare ai fini della valutazione a seconda della specificità della operazione di volta in volta posta in essere63. Non possono, tali criteri, essere impiegati nella logica valutativa adottata nella tutela del consumatore, essendo quest’ultima imperniata su una asimmetria presunta e comunque implicita nelle modalità unilaterali di contrattazione.
Sembrano, inoltre, differire anche le ragioni di una tutela per i contratti B2C e di una per quelli B2b. Attenendo a differenti tavole assiologiche di riferimento, si potrebbe ritenere che nel caso dei contratti B2b la ratio di tutela concerna il rapporto tra protezione dell’impresa debole e struttura concorrenziale del mercato, laddove nel caso dei contratti B2C deve essere ricercata nella necessità di esplicazione della persona e dei suoi diritti in quanto tale anche in sede economica del mercato64.
62 La legge 6 maggio 2004, n. 129 recante “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale” prevede a carico di entrambe le parti specifici obblighi precontrattuali di comportamento. L’art. 6 stabilisce infatti che
«1. L’affiliante deve tenere, in qualsiasi momento, nei confronti dell’aspirante affiliato, un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede e deve tempestivamente fornire, all’aspirante affiliato, ogni dato e informazione che lo stesso ritenga necessari o utili ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, a meno che non si tratti di informazioni oggettivamente riservate o la cui divulgazione costituirebbe violazione di diritti di terzi. 2. L’affiliante deve motivare all’aspirante affiliato l’eventuale mancata comunicazione delle informazioni e dei dati dallo stesso richiesti. 3. L’aspirante affiliato deve tenere in qualsiasi momento, nei confronti dell’affiliante, un comportamento improntato a lealtà, correttezza e buona fede e deve fornire, tempestivamente ed in modo esatto e completo, all’affiliante ogni informazione e dato la cui conoscenza risulti necessaria o opportuna ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, anche se non espressamente richiesti dall’affiliante»
63 Secondo l’art. 9 della legge 18 giugno 1998, n.192 sulla “Disciplina della subfornitura nelle attività produttive” con l’espressione «dipendenza economica» deve intendersi «la situazione in cui un impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi». Di qui il sostanziarsi in asimmetria soltanto potenziale, antecedente il momento della negoziazione. Verificato che la differenza strutturale di posizioni abbia condotto l’impresa più forte ad un distorto uso dell’autonomia contrattuale, lo squilibrio nella regolamentazione negoziale sarà sintomatico di una concreta asimmetria tra le parti.
64 Cfr. X. XXXXXX, Il terzo contratto. Il problema, in Il terzo contratto, cit., p. 19. A conferma del legame tra impresa debole e struttura concorrenziale del mercato, l’A. richiama sia la disciplina della subfornitura sia quella sui ritardi di pagamento, ricavando una lettura integrata di queste disposizioni e la possibilità di
Da tale aspetto discende l’ulteriore differenziazione da ricondursi ai parametri di intervento del giudice, chiamato a valutare lo squilibrio nei contratti B2C ed in quelli B2b. In particolare in questi ultimi, la struttura del mercato diventa un peculiare criterio di valutazione della dipendenza economica e del differente potere contrattuale tra imprese, così come l’ampiezza del controllo esercitato. Nel caso della tutela normativa prevista per il consumatore, l’intervento del giudice incontra il limite della tendenziale insindacabilità dell’equilibrio economico dello scambio, laddove la valutazione dello squilibrio sul piano delle condizioni economiche del rapporto costituisce un aggiuntivo parametro di giudizio nell’ipotesi di contratti tra imprese65.
Infine, la peculiare configurazione della relazione negoziale e la struttura dei rapporti tra coordinamento tra le imprese valgono a distinguere l’analisi ermeneutica dei contratti B2b da quella dei contratti B2C. Rispetto ai primi, infatti, tale analisi non potrà sottovalutare che il singolo contratto rappresenta solo una fase attuativa di una più complessa relazione negoziale tra imprese, laddove il rapporto tra professionista e consumatore è chiaramente improntato alla occasionalità. Tantomeno potrà essere sottovalutato che l’intento protezionistico nei confronti del professionista «debole» non sarà perseguibile nelle ipotesi in cui l’assenza di autonomia è un presupposto necessario, come spesso accade nei rapporti interni tra gruppi di società.
Fattispecie negoziali distinte, dunque, sebbene accumunate dalla disparità in termini di relazione contrattuale tra le parti66, rispetto alle quali ci si domanda se l’utilizzo di categorie concettuali nuove, seppure ai fini di un riordino normativo, non complichi uno scenario di per sé già complesso e se l’opera di razionalizzazione non possa avvenire, eventualmente, tramite l’impiego di strumenti tradizionali67.
un’estensione dei modelli rimediali previsti in esse. A fronte del rilievo che la tutela della concorrenza incida in parte anche sulla normativa in materia di consumatore, si è fatto rilevare che «l’invalidità della clausola abusiva prescinde dall’effettiva esistenza di un vantaggio anticompetitivo», essendo nulla anche nel caso in cui l’intero mercato la adoperi, senza che nessuno se ne avvantaggi rispetto ad altri. Il suo impiego, infatti, riguardando un limitato numero di rapporti, non comporta sostanziali alterazioni della concorrenza né implica posizioni dominanti da parte del professionista. Sul punto cfr. G. VILLA, Invalidità e contratto tra imprenditori in situazione asimmetrica, in Il terzo contratto, (cit.), p.117.
65 In base all’ l’art. 9 della legge 18 giugno 1998 n.192, la dipendenza economica viene valutata anche in base alla reale possibilità per la parte, che abbia subito l’abuso, di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
66 La distanza che separa la disciplina delle due fattispecie negoziali non è tuttavia indicativa di un’assoluta incomunicabilità tra i due ambiti. X. XXXXXX, Il terzo contratto. Il problema, in Il terzo contratto, cit., p.23 conviene con chi ritiene illogico, di fronte ad identiche modalità di contrattazione, negare al professionista debole che sia costretto ad aderire al regolamento contrattuale interamente predisposto dall’impresa dominante, una tutela simile a quella prevista per il consumatore/aderente, riconoscendo che laddove ci si trovi nell’alternativa del prendere o lasciare, sorge l’esigenza di tutela indipendentemente dal ruolo svolto nel processo economico.
67 Cfr. anche X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul “terzo contratto”) in Rivista di diritto privato, 2007, p. 669, per il quale ritornerebbe, in tal senso,
In tal senso l’interprete è chiamato a verificare se proprio il processo di allargamento della normativa a protezione del consumatore ai professionisti cd. xxxxxx non rechi in sé il pericolo che, in un cammino teso a rivitalizzare la presenza sul mercato di tutti i suoi operatori, la qualifica di consumatore, nel guadagnare in estensione, possa perdere in profondità ed efficacia verso quegli ulteriori interessi anche in ragione dei quali l’esigenza di tutela è emersa.
Resta, allora, sullo sfondo il delicato problema dell’ equilibrio tra regole del mercato e specificità dei suoi protagonisti, con l’annessa questione della garanzia di tutela dei diritti fondamentali.
La nuova frontiera della globalizzazione dei mercati, dunque, sarà chiamata a confrontarsi con la complessa trama che intreccia la liberalizzazione dei mercati e la sfera sociale dei relativi operatori, rapporto in cui anche l’economia è tenuta a giocare il suo ruolo tra vincoli di solidarietà sociale e tutela della qualità della vita.
fondamentale la distinzione tra norme volte al controllo del contenuto contrattuale, tipicamente utilizzate nella disciplina del rapporto di consumo; e norme volte al controllo delle modalità di formazione del contratto, caratterizzate da una forza espansiva che ne consente l’applicazione a qualsiasi forma di contratto asimmetrico. Ci si chiede, altresì, se l’introduzione da parte del d.lgs.23.05.2011 n.7 sul Codice del turismo, della figura del «turista» possa configurarsi come sostegno positivo alla categoria del contratto asimmetrico. L’art. 33 del citato provvedimento definisce, infatti, il turista quale «l'acquirente, il cessionario di un pacchetto turistico o qualunque persona anche da nominare, purché soddisfi tutte le condizioni richieste per la fruizione del servizio, per conto della quale il contraente principale si impegna ad acquistare senza remunerazione un pacchetto turistico», laddove la precedente disciplina sui servizi turistici, contenuta negli artt. 82 e ss. del Codice del consumo, restava ancorata al termine specifico di “consumatore”. L’abbandono dell’utilizzo di tale termine da parte del legislatore evidenzierebbe l’irrilevanza della qualità di persona fisica e del requisito della finalità di acquisto per scopi non rientranti nell’attività imprenditoriale, commerciale o artigianale o professionale eventualmente svolta., deducendosi così che l’acquirente di un pacchetto turistico possa anche essere un ente organizzato che acquista per scopi professionali o imprenditoriali . L’analisi della rinnovata formula legislativa non sembrerebbe, però, offrire sicuro appiglio alla configurazione di una diversa categoria, estesa, di operatore debole del mercato, all’interno della quale ricondurre anche le imprese dotate di minore bargaining power. La valutazione della debolezza di talune imprese, rispetto alle altre con cui viene concluso il contratto, infatti, mal si presterebbe ad un utilizzo in termini di criterio elaborativo di una fattispecie che schematizzi teoricamente la figura in termini generali ed astratti. Essa andrebbe, piuttosto, concepita come esito di un giudizio in concreto, basato sulle conseguenze effettive che tale disparità riflette sul regolamento contrattuale, determinandone lo squilibrio eccessivo. In tal senso cfr. X. XXXXXXXXX, La direttiva sui diritti del consumatore, in Europa dir. priv., 2011, p. 861, per il quale al consumatore si sostituisce la figura del turista-cliente quale manifestazione del cliente tout court attorno al quale viene ricostruita la categoria del contratto asimmetrico. Il contratto del turismo organizzato diventerebbe riferimento del rapporto contrattuale che si sviluppa tra un fornitore e un destinatario di un bene o di un servizio in cui il destinatario della prestazione viene tutelato come parte debole perché estraneo alla prestazione, indipendentemente dalla qualificazione di persona fisica o persona giuridica ed a prescindere dalle ragioni che ne giustificano la presenza sul mercato.