Contract
xxx.xxxxx.xx, 14 ottobre 2010
Il Ccnl orafo-argentiero e le deroghe alla parte salariale
di Xxxxxxx Xxxxxxx
Il recente rinnovo del contratto nazionale degli orafi-argentieri avviene a quasi undici mesi dalla scadenza, sia per la parte economica che normativa, del precedente contratto per tre ordini di motivi: la mancanza di “ansia” negoziale da parte delle imprese orafe, ed ancor più argentiere, per la grave crisi che attanaglia da tempo i due settori produttivi; la dichiarata tendenza dei tre sindacati tradizionalmente stipulanti (Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil) a posporre le trattative rispetto alla conclusione delle vicende contrattuali più prossime del settore metalmeccanico e dell’installazione d’impianti, ciò anche allorché, come nel caso di specie, la scadenza del contratto orafo-argentiero avvenga prima della scadenza del contratto metalmeccanico; ma sopra tutto il pervicace sforzo della delegazione datoriale, protrattosi per circa sei mesi, di tenere al tavolo del negoziato una Fiom recalcitrante di fronte all’ipotesi di poter giungere ad un’intesa unitaria con le altre due sigle sindacali dopo l’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 e la previa esperienza in ambito metalmeccanico.
Sul primo punto va rilevato come i due settori, quello orafo ed ancor più quello argentiero, siano in contrazione e soffrano di una congiuntura assai negativa da ancor prima della crisi iniziata sui mercati internazionali nel settembre 2008 a seguito dell’esplosione della bolla finanziaria che ha così gravemente inciso anche sull’economia produttiva. Crisi finanziaria e dei consumi che non ha fatto altro che aggravare la situazione congiunturale negativa dei menzionati settori: non è quindi incomprensibile o ingiustificabile che alla deriva dilatoria dei sindacati, e maggiormente della Fiom-Cgil, non abbia fatto da contraltare una ricerca datoriale di accelerare le occasioni di incontro
che il sindacato tendeva a dilazionare, pur se nulla è stato fatto da parte imprenditoriale per ritardare la naturale conclusione del contratto, come è dimostrato dal fatto che, chiaritasi, nel senso che vedremo, la posizione della Fiom intorno a metà di luglio 2010, nel giro di un mese utile il negoziato è stato portato a compimento.
Sul secondo punto è facile verificare come l’invio delle separate piattaforme per il rinnovo del contratto ed il successivo scioglimento delle riserve da parte dei sindacati circa la definitività di tali piattaforme, siano intervenuti ben dopo il termine dei sei mesi antecedenti la scadenza del contratto collettivo, come vorrebbe l’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 nel quale per altro come noto la Fiom non si riconosce. L’avvio del negoziato a febbraio 2010, dopo una riunione illustrativa della situazione dei settori, è stato consequenziale e concordato.
Sul terzo punto i testi dell’accordo di rinnovo sono testimonianza dello sforzo compiuto per cercare di raggiungere un’intesa unitaria con tutti i sindacati come nella tradizione del contratto orafo. I testi concordati, che hanno teso anche a semplificare alcune normative e a trasferirne nella parte generale del contratto altre precedentemente separate tra parte operai e parte impiegati hanno espunto dal proprio contesto ogni esplicito riferimento all’accordo del 15 aprile 2009 pur senza definire alcuna clausola in contrasto con esso; ciò non è bastato alla Fiom, come invece avvenuto in altre esperienze contrattuali concluse con altre categorie sindacali merceologiche appartenenti alla Cgil. L’inconciliabilità delle posizioni Fiom, non solo con la parte datoriale ma in primis con Fim e Uilm, si è consumata nella definizione dei testi relativi alla disciplina delle procedure di rinnovo del contratto nazionale e dei contratti aziendali e nella definizione della loro durata. Altro tema di acuto
dissenso è stato quello dell’entità degli incrementi retributivi, fino alla dichiarata affermazione da parte della Fiom, confermata solo a luglio, della mancanza di interesse a concludere un contratto per poco più di cento euro di incremento in un arco temporale di copertura di quattro anni, a prescindere dalle formulazioni dei testi.
Ciò non di meno il contratto porta comunque i segni del ruolo negoziale della Fiom posto che molti degli articolati contrattuali sono stati condivisi anche con questo sindacato dalle modifiche formali alla disciplina dell’apprendistato a pressoché tutte le normative trasferite dalle parti speciali del contratto a parte comune, dalla premessa al contratto alla nuova e più semplice formulazione che disciplina il versamento dei contributi sindacali; comunque l’omissione dei richiami all’accordo interconfederale del 2009, pur pienamente rispettato nella sostanza, è rimasta.
Va sottolineato che nei settori in questione non sono mai stati presenti come soggetti negoziali né l’Ugl né il Fismic e che è la prima volta che il contratto non viene concluso anche con la Fiom, già firmataria del contratto orafo-argentiero in tutte le precedenti occasioni di rinnovo, anche quelle successive ai contratti metalmeccanici del 2001 e 2003 non sottoscritti da tale Organizzazione sindacale.
Il contratto orafo-argentiero, che non ha un contraltare nell’ambito della piccola industria, e trova applicazione non marginale anche in ambito artigiano, ha in realtà una sua effettività applicativa che va al di là dei circa quindicimila addetti appartenenti alle aziende direttamente aderenti a Federorafi ed Assoargentieri (circa quarantamila sono a livello nazionale gli addetti alla produzione del comparto). Esso poi viene materialmente negoziato in nome e per conto delle organizzazioni di categoria datoriali, da cinque associazioni territoriali di Confindustria, quelle ove sono presenti i distretti produttivi più significativi e cioè Alessandria, Arezzo, Milano, Padova e Vicenza. Questa caratteristica della composizione della delegazione negoziale, in parte conseguente alla forte polarizzazione distrettuale dei settori orafi ed argentiero, fa sì che i contenuti del contratto siano fortemente influenzati dalla non mediata percezione delle esigenze d’impresa che le associazioni territoriali rilevano sul proprio panorama associativo.
Questa è la ragione essenziale che nel corso degli ultimi due decenni ha portato il contratto in commento a divaricarsi sempre più nei contenuti e nei tempi di negoziazione dal contratto metalmeccanico, del quale invece in passato era, di fatto, una filiazione seguendone i tempi di rinnovo e pressoché pedissequamente i contenuti.
Nel corso delle ultime vicende contrattuali il settore orafo-argentiero grazie ai tempi di rinnovo e alle durate di efficacia pattuite, ha saltato un appuntamento negoziale rispetto ai metalmeccanici e già da tempo non coincidono più né le condizioni economiche né la più gran parte delle discipline normative; normative che in alcuni aspetti sono state adattate in modo molto significativo rispetto alle esigenze di imprese che hanno una forte specificità ad esempio per quanto riguarda la tutela patrimoniale della materia prima.
Questa “specializzazione” contrattuale, unitamente alla minore o assente conflittualità che per ovvi motivi, accompagna i rinnovi contrattuali, dissuade fortemente dall’ipotizzare un accorpamento del contratto nell’ambito più affine, quello dei metalmeccanici, con il quale vi è condivisione delle stesse controparti sindacali.
L’ultima e più significativa ed eclatante divaricazione sta nella definizione, avvenuta il 23 settembre 2010 con il contratto orafo-argentiero, e quindi precedentemente all’accordo metalmeccanico del 29 settembre 2010, di un articolato contrattuale che consente in particolari e definite fattispecie, di derogare a livello aziendale alla decorrenza delle rate di aumento dei minimi tabellari ovvero delle rate di arretrati retributivi riconosciuti a copertura della vacanza contrattuale. Qui è rovesciata la logica derogatoria poi fissata nel contratto metalmeccanico: non già deroghe normative salvaguardando l’aspetto salariale, bensì deroghe economiche che consentano un’attenuazione dei costi contrattuali, per altro già contenuti, sopra tutto in logica di difesa dell’occupazione. Deroghe che, in quanto previste nel Ccnl nella loro fattibilità e nelle procedura di negoziazione, consentono alle imprese e ai sindacati territoriali di adattare i costi alla fattispecie concreta senza venir meno al rispetto del principio di tutela salariale fissato dall’art. 36, Cost. Le eventuali deroghe pattuite non
richiedono poi alcun processo di validazione a livello nazionale essendo lasciata all’autonomia locale la piena ed esclusiva titolarità e responsabilità: gli accordi che dovessero scaturire vanno solo trasmessi a livello nazionale essendo di per sé già pienamente efficaci.
Già precedentemente all’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 vi furono casi di contratti collettivi che definirono tempi sfalsati di decorrenza degli aumenti salariali o limitati differenziali retributivi per sottosettori meno competitivi disciplinati dallo stesso contratto, ma si è sempre trattato di deroghe contrattuali già predefinite a livello nazionale e per comparti omogenei (un esempio per tutti il caso del settore accessori e lavorazioni in conto terzi nell’ambito del contratto conciario del 1° novembre 2006) non già delegate al territorio, caso per caso, in funzione delle specifiche condizioni aziendali.
Quello sopramenzionato del comparto orafo-argentiero è invero, a quanto consta, il primo caso nella storia della contrattazione collettiva nazionale, quanto meno in ambito industriale, di pattuizione che attribuisce e disciplina una facoltà derogatoria in materia salariale a livello d’impresa.
La grande attenzione attribuita dalle associazioni datoriali stipulanti alle esigenze competitive del comparto qui trattato, si accompagna ad onor del vero alla consapevolezza anche da parte dei sindacati tutti, ivi compresa la Fiom purtroppo non più parte firmataria del contratto, che i settori orafo e argentiero meriterebbero maggior attenzione anche nell’ambito delle politiche industriali del nostro Paese, non fosse altro perché l’esportazione dei manufatti italiani rappresenta tutt’ora una voce fortemente attiva della nostra bilancia commerciale e perché la base occupazionale, per quanto contenuta numericamente, costituisce un’eccellenza professionale nel campo del made in Italy.