Società
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Arbitrato societario, nozione di “atto costitutivo” e patto parasociale
Tribunale di Pescara 19 ottobre 2009 - Pres. Bozza - Rel. Carbone
L’art. 34, D.Lgs. n. 5/2003 concerne, secondo rubrica e testo, le sole clausole compromissorie statutarie, cioè quelle ospitate dagli atti costitutivi delle società, mentre il patto parasociale, che istituisce rapporti puramen- te accessori a un preesistente sodalizio e non costituisce una società nuova, non è interessato - per difetto della natura statutaria - dalla regola speciale.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Trib. Milano, 18 settembre 2008, in Riv. dir. soc., 2009, 322 ss., con nota di X. Xxxxxxx |
Difforme | Non si sono rinvenuti precedenti specifici difformi |
Omissis
L’attrice denunzia l’inadempimento dei convenuti, so- cietà P. e soci della medesima, all’obbligo di riacquisto di
n. 25.000 azioni della società stessa, obbligo riveniente da convenzione parasociale del 20 gennaio 2000; xxxxx- xxx, altresì, l’analogo inadempimento della sola P. s.p.a. per n. 20.000 azioni proprie oggetto della convenzione parasociale integrativa del 29 dicembre 2000; sollecita condanna dei convenuti al pagamento del corrispettivo di retrocessione.
Tutti i convenuti sollevano eccezione di compromesso ex art. 10 della convenzione parasociale del 20 gennaio 2010.
Considerato
L’integrazione del 29 dicembre 2000, sottoscritta dalle so- le società F. e P., rinvia integralmente alla disciplina con- tenuta nella convenzione del 20 gennaio 2000, sotto- scritta anche dai soci qui convenuti. Quest’ultima ospita una clausola compromissoria (art. 10), che, in virtù del menzionato rinvio, copre l’intero thema decidendum. L’at- trice reputa nulla tale clausola ex art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 per difetto d’estraneità del titolare del potere di nomina degli arbitri, convenzionalmente attri- buito ai litiganti (salvo l’intervento surrogatorio del pre- sidente di questo tribunale). L’errore di prospettiva in cui cade l’attrice è di ogni evidenza, poiché la richiamata norma speciale concerne - secondo rubrica e testo - le so- le “clausole compromissorie statutarie”, quelle ospitate cioè da “gli atti costitutivi delle società”. La convenzione parasociale, che istituisce rapporti puramente accessori a
un preesistente sodalizio e certo non costituisce una so- cietà nuova, non è interessata - per difetto, appunto, del- la natura “statutaria” - dalla regola speciale. Conforme al- la regola generale posta dagli artt. 809 e 810 c.p.c., la clausola compromissoria di che trattasi determina l’in- competenza del giudice statuale, trattandosi di giudizio posteriore alla riforma ex X.Xxx. n. 40/2006 (Xxxx. 20 maggio 2008, n. 12814; Cass. 29 agosto 2008, n. 21926). Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pescara, definitivamente pronunziando:
– declina la competenza per essere la lite devoluta ad ar- bitri.
IL COMMENTO
di Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Questa, seppur breve, sentenza del Tribunale di Pescara offre lo spunto per approfondire alcune importanti questioni in materia di arbitrato societario, in particolare la nozione di “atto costitutivo” della società, dove deve essere inserita la clausola compromissoria che determina l’applicazione delle disposizioni speciali. La condivisibile soluzione del Tribunale pescarese è che una clausola compromissoria contenuta in un patto pa- rasociale non è idonea a far scattare l’applicazione delle norme sull’arbitrato societario.
1. Introduzione
I fatti oggetto della sentenza del Tribunale di Pesca- ra in commento sono piuttosto semplici: una società e i soci della medesima vengono convenuti in giudi- zio in quanto asseritamente inadempienti all’obbli- go di riacquistare delle azioni. Tale obbligo trova il proprio fondamento in un patto parasociale (1). Il patto parasociale contiene però una clausola com- promissoria. I convenuti sollevano pertanto eccezio- ne di compromesso. L’eccezione viene accolta dal Tribunale pescarese, il quale - conseguentemente - nega la propria competenza a conoscere della con- troversia.
La sentenza del Tribunale di Pescara è un’ottima oc- casione, in particolare, per riflettere sulla nozione di “atto costitutivo” menzionato nell’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 (2). È difatti solo in presenza di un tale atto costitutivo che si può dare applicazione agli 34-36, D.Lgs. n. 5/2003 che disciplinano l’arbitrato societario (3).
2. I tipi societari cui si applicano
le disposizioni sull’arbitrato societario (art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003)
L’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 prevede che “gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, preve- dere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti dispo- nibili relativi al rapporto sociale”.
Bisogna allora anzitutto chiedersi quali siano le so- cietà interessate dall’art. 34, comma 1, D.Lgs. n.
Note:
(1) La sentenza in commento utilizza la differente terminologia di “convenzione” parasociale. Dal momento tuttavia che il testo della legge (v. gli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. per la s.p.a.) si ri- ferisce a “patti” parasociali, si prediligerà questa seconda espressione nella presente nota. La differenza è tuttavia di ca- rattere terminologico e non ha rilievo sostanziale.
(2) In materia di atto costitutivo cfr., fra i tanti, X. Xxxxxxxxxx- ne, Statuti ed atti costitutivi societari alla prova del fuoco nel passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, tra morte istanta- nea e sostituzione automatica della clausole difformi dal nuo- vo modello legale. Possibile configurazione di un’ipotesi di scioglimento ope legis della società?, in Nuovo dir., 2005, 447 ss.; A. Bartalena, L’adeguamento degli atti costitutivi delle s.r.l., in Società, 2004, 665 ss.; C. M. Xxxxxx, Le novità che la riforma del diritto societario introduce a livello di redazione de- gli statuti societari per le s.p.a., in Dir. fall., 2004, I, 542 ss.; X. Xxxxxxx, Atto costitutivo, statuto e “funzione pubblica”, in que- sta Rivista, 2004, 342 s.; X. Xxxxxxxxx, Sul controllo degli atti costitutivi e delle deliberazioni modificative, in Riv. not., 2002, I, 263 ss.; X. Xxxxx, Atti costitutivi e modificativi di società di capitali ricevuti da notaio e richiesta di iscrizione presso il Re- gistro delle Imprese: funzione, natura, oggetto del controllo di iscrivibilità e soggetti legittimati in materia, in Riv. not., 2006, I, 343 ss.
(3) Sul tema dell’arbitrato societario gli interventi della letteratu- ra giuridica sono molto numerosi ed è difficile elencarli in un’u- nica nota. Fra i più recenti volumi apparsi in tema cfr. X. Xxxxx- ri, L’arbitrato societario, Xxxxxx, 0000. V. inoltre, sotto diversi profili, X. Xxxxxxx, La nullità della clausola compromissoria statu- taria e l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., 2005, I, 809 ss.; X. Xxxxxxxx, La nullità sopravvenuta del- la clausola compromissoria tra interpretazione letterale e siste- matica, in Rass. dir. civ., 2008, 338 ss.; F. Xx Xxxxxx, Commento all’art. 34, in Aa.Vv., Commentario dei processi societari, a cura di X. Xxxxxx - F. Xx Xxxxxx, II, Torino, 2007, 881 ss.; G. della Pie- tra, La clausola compromissoria, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, I, Milano 2007, 207 ss.; X. Xxxxxxxxx, La compromettibilità dell’azione di revoca del- l’amministratore nelle s.r.l., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 449 ss.; X. Xxxxxxx - X. Xxxxxxxx, I limiti dell’arbitrato nelle contro- versie societarie, in Società, 2008, 235 ss.; X. Xxxxxxxx, C’è dav- vero disordine normativo in tema di arbitrato di diritto comune in materia societaria?, in Giur. comm., 2009, II, 1012 ss.; A. Mon- teverde, Note in tema di arbitrato societario e informazioni as- sembleari, in Giur. it., 2009, 1447 s.; X. Xxxxx, Esperienze del nuovo arbitrato societario, in Riv. arb., 2006, 563 ss.; X. Xxxxx- xxxxxx, L’arbitrato societario, in Aa.Vv., Xxxxxxxxx, ADR, concilia- zione, diretto da X. Xxxxxx-Xxxxxxxxxx, Bologna, 2009, 201 ss. X. Xxxxxxxxxxx, Arbitrato societario, società di capitali e ca- tegorie d’investitori, in Riv. arb., 2007, 313 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Le clausole compromissorie statutarie nel nuovo diritto societa- rio italiano, in Revista brasileira de arbitragem, 2006, 181 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Le clausole compromissorie statutarie nel nuovo diritto societario italiano, in Foro pad., 2005, II, 1 ss.; X. Xxxxxxx, Adeguamento della clausola compromissoria statutaria e diritto di recesso del socio, in Giur. comm., 2007, II, 637 ss.; E. Xxxxx- ni Xxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato societario nell’applicazione della giu- risprudenza, in Giur. comm., 2007, II, 935 ss.; X. Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Modelli arbitrali e controversie societarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 513 ss. Per un confronto con il diritto tede- sco sia consentito il rinvio a X. Xxxxxxxxxxx, L’arbitrato societario nel diritto tedesco. Una comparazione con il diritto italiano, in Società, 2006, 771 ss.
5/2003. Ai sensi di questa disposizione, l’arbitrato societario riguarda le clausole compromissorie con- tenute negli atti costitutivi di “società”. La disposi- zione non fa distinzioni relativamente al tipo di so- cietà e pare dunque riferirsi sia a quelle di persone sia a quelle di capitali (4).
Prima di valutare l’applicabilità delle disposizioni sull’arbitrato societario ai singoli tipi societari, biso- gna brevemente occuparsi delle società di fatto e delle società irregolari.
Le società di fatto sono quelle non formalizzate per iscritto. Dal momento che in tali società manca un atto costitutivo in forma scritta, non è possibile pre- vedere della clausole compromissorie statutarie. In dottrina si è sostenuta la tesi contraria, sulla base di quanto disponeva (5) l’art. 1, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 5/2003 (6). Secondo questa disposizione il D.Lgs. n. 5/2003 si applicava in tutte le controversie relative, fra le altre cose, a “rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto”. Ad avviso di chi scrive, tuttavia, questa norma valeva a fondare il rito societario dinanzi ai giudici statali, ma non poteva valere a fondare l’arbitrato societa- rio. La ragione è che l’arbitrato societario presuppo- ne un “atto costitutivo”, della cui necessaria forma scritta non si può dubitare. Di conseguenza, se la so- cietà è solo di fatto (senza atto costitutivo scritto) le liti riguardanti la stessa potevano sì essere devolute al rito societario, ma non possono essere oggetto di arbitrato societario in mancanza di una volontà dei contraenti - espressa per iscritto - in favore di tale ti- po di arbitrato.
È più complesso stabilire se l’arbitrato societario si applichi alle società irregolari, cioè a quelle che - pur avendo formalizzato per iscritto il contratto so-
rio con riferimento agli statuti delle “società com- merciali”. Ma le s.s. non possono avere oggetto com- merciale, in quanto l’art. 2249, comma 1, c.c. preve- de che “le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale devono costituirsi secon- do uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti” del ti- tolo V (deve, cioè, trattarsi quantomeno di una s.n.c.). Questo argomento, riconducibile alla legge delega, non trova peraltro ora un riscontro testuale, in quanto l’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 si ri- ferisce a “società” in senso lato senza specificare che debbano essere commerciali. Non ci soffermeremo sulla problematica della corretta esecuzione della delega al Governo, ponendosi - in effetti - il quesito se il decreto legislativo di attuazione non abbia am- pliato eccessivamente l’ambito di applicazione del- l’arbitrato societario estendendolo a un tipo societa- rio (la s.s.) originariamente non previsto.
Non pare costituisca un impedimento decisivo al- l’applicazione delle disposizioni sull’arbitrato socie- tario alla s.s. il fatto che nella s.s. non vi sia un vero e proprio “atto costitutivo” (come richiede l’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003), ma un semplice “con- tratto sociale”. Questo ostacolo può difatti essere su- perato laddove si ritenga che l’espressione “atto co- stitutivo”, utilizzata dal legislatore dell’arbitrato so- cietario, debba intendersi come termine generico, da declinarsi a seconda del tipo societario di volta in volta interessato. Con riferimento alla s.s., l’atto co- stitutivo altro non è che il contratto sociale.
Vi è un altro argomento che parrebbe militare con- tro la possibilità dell’arbitrato societario per le s.s.: si tratta della previsione legislativa secondo cui “nella società semplice il contratto non è soggetto a forme
ciale - non sono iscritte nel registro delle imprese.
Da un lato, in tali società esiste un atto costitutivo nel quale può essere inserita la clausola compromis- xxxxx. La legge prevede però che “la domanda di ar- bitrato proposta dalla società o in suo confronto è depositata presso il registro delle imprese ed è acces- sibile ai soci” (art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003). Nel caso in cui la società non sia registrata, non è al- lora possibile procedere all’iscrizione della domanda di arbitrato.
Passando ora ad analizzare i singoli tipi societari, è con riferimento alla s.s. che sussistono i principali dubbi in merito all’applicabilità delle disposizioni sull’arbitrato societario.
Dal punto di vista dell’origine delle disposizioni, bi- sogna considerare che l’art. 12, comma 3, L. n. 366/2001 (legge delega) attribuiva al Governo il po- tere di emanare norme in tema di arbitrato societa-
Note:
(4) Non ci occuperemo in questa sede dell’applicabilità delle di- sposizioni sull’arbitrato societario alla società cooperativa. In ma- teria di arbitrato nelle società cooperative cfr. E. E. Xxxxxxxx, In- compatibilità tra la funzione di sindaco e quella di arbitro, in So- cietà, 2008, 313 ss.; X. Xxxxxxx, Continua la mesta peregrinazio- ne del socio lavoratore da un giudice all’altro, in Riv. crit. dir. lav., 2006, 1277 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Licenziamento del socio/lavora- tore di cooperativa e clausola compromissoria contenuta nello statuto: brevi note, in Riv. crit. dir. lav., 2009, 59 ss.; X. Xxxxx, Brevi note in tema di società cooperative ed arbitrato, in Dir. fall., 2005, II, 965 ss.; X. Xxxxxx, Clausola compromissoria statutaria e rapporto mutualistico, in Riv. arb., 2008, 45 ss.
(5) L’art. 1, D.Lgs. n. 5/2003, così come molte altre disposizioni del D.Lgs. n. 5/2003, è stato abrogato dall’art. 54, L. n. 69/2009 a decorrere dal 4 luglio 2009. Tale articolo continua comunque ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vi- gore della legge.
(6) Secondo E. Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Commento all’art. 34, in Aa.Vv., Arbitrati speciali, diretto da X. Xxxxx, Bologna, 2008, 63, le disposizioni sull’arbitrato societario si applicherebbero anche al- le società di fatto.
speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti” (art. 2251 c.c.). Si immagini, ad esempio, che venga conferito in società un bene immobile. In questo caso la forma scritta è prevista a pena di nul- lità: stabilisce difatti l’art. 1350, n. 9, c.c. che devo- no farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sot- to pena di nullità, fra gli altri i contratti di società con i quali si conferisce il godimento di beni immo- bili per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato. Salvo casi eccezionali, la for- ma scritta non è dunque necessaria nel caso di s.s.; ma se manca un contratto scritto non è possibile in- serirvi una clausola compromissoria. Questo rilievo non appare in realtà essere decisivo, poiché il fatto che la legge non richieda lo scritto per il contratto di
s.s. non significa che sia vietato stipulare per iscritto tale contratto. Se venisse scelta la forma scritta, al- lora potrebbe esservi inserita la clausola compromis- xxxxx.
Dubbi in merito all’applicabilità delle disposizioni sull’arbitrato societario alle s.s. possono sorgere an- che in considerazione di quanto previsto dall’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003 secondo cui “le modifi- che dell’atto costitutivo, introduttivo e oppressive di clausole compromissorie, devono essere approva- te dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale”. Questa disposizione parrebbe rife- rirsi a tutte le società.
Il problema è che nella s.s., come regola generale, “il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diver- samente” (art. 2252 c.c.). Questa disposizione parte dal presupposto che le s.s. siano a compagine sociale ristretta e di stampo personalistico, con la conse- guenza che le alterazioni dell’assetto contrattuale originario richiedono l’accordo di tutti. Nel caso dell’arbitrato societario (legge speciale rispetto alla legge generale del codice di procedura civile e, pro- babilmente, anche del codice civile) parrebbe inve- ce esserci una deroga a questo principio, nel senso che basterebbe una maggioranza per modificare il contratto sociale.
Ma questa eccezione (= maggioranza, per quanto al- ta, al posto dell’unanimità) è difficilmente concilia- bile con la ratio della normativa, per quanto riguar- da le società di persone. Nel contesto dell’arbitrato societario si prevedono maggioranze elevate (due terzi) per rendere più difficile l’introduzione e la
ra una garanzia in favore delle minoranze: assumen- dosi come “pericoloso” qualsiasi passaggio dal pro- cesso statale all’arbitrato, si rende più difficile tale trasmigrazione (richiedendosi una maggioranza qua- lificata). La previsione legislativa di maggioranze al- te produce però effetti diversi nelle società di perso- ne: la ratio esposta non può valere in siffatte società, dove vige il principio dell’unanimità. Se si applicas- se alle x.x. xx xxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxx xxxxx prevista per l’arbitrato societario, si verificherebbe una situazione paradossale: si andrebbe difatti a di- minuire la tutela di cui godono i soci di tale tipo so- cietario. Per le modifiche del contratto sociale di s.s. occorre il consenso di tutti i soci; solo, paradossal- mente, per l’introduzione e la soppressione di clau- sole compromissorie basterebbero i due terzi del ca- pitale. Proprio per una scelta dei soci che si assume particolarmente delicata basterebbe una maggioran- za invece dell’unanimità normalmente richiesta.
Bisogna però dire che l’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003 menziona espressamente il “capitale sociale” e di vero e proprio capitale sociale si può parlare esclusivamente nelle società di capitali, non in quel- le di persone. Si potrebbe dunque sostenere la tesi che l’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003 si applica alle sole società di capitali. Questa interpretazione consentirebbe di conseguire la necessaria quadratu- ra del sistema, e cioè: 1) nelle società di capitali oc- corrono le maggioranze più elevate previste dalla di- sposizione speciale (dall’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003); nelle società di persone rimane ferma la di- sposizione generale dell’art. 2252 c.c. che richiede l’unanimità.
Allo stato attuale di approfondimento della mia ri- flessione direi dunque che delle diverse ragioni ap- pena esposte che militerebbero per la non applicabi- lità dell’arbitrato societario alla s.s. nessuna appare pienamente convincente. Si può pertanto conclu- dere nel senso che, anche in una s.s. (purché ovvia- mente si doti di contratto sociale scritto), è legitti- ma la previsione di una clausola compromissoria sta- tutaria.
Non si vedono poi particolari ragioni per ritenere che gli artt. 34-36, D.Lgs. n. 5/2003 non trovino ap- plicazione alle altre due società di persone, cioè alla
s.n.c. e alla s.a.s. Ambedue possono svolgere attività commerciali e, dunque, l’argomentazione cui si ac-
soppressione di clausole compromissorie statutarie.
Nel caso di società di capitali si verifica effettiva- mente un aumento dei quorum: rispetto alla regola prevista in via generale si tratta di un innalzamento (7). Nell’ottica del legislatore tale aumento configu-
Nota:
(7) Ad esempio, nella s.p.a., ai sensi dell’art. 2368, comma 2, c.c. “l’assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tan- ti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale, se lo statuto non richiede una maggioranza più elevata”.
cennava sopra del non-rispetto della legge-delega non può operare per esse.
Scendendo in maggior dettaglio, nella s.n.c. vi è un obbligo d’iscrizione dell’atto costitutivo della so- cietà nel registro delle imprese: “l’atto costitutivo della società, con sottoscrizione autenticata dei con- traenti, o una copia autentica di esso se la stipulazio- ne è avvenuta per atto pubblico, deve entro trenta giorni essere depositato per l’iscrizione, a cura degli amministratori, presso l’ufficio del registro delle im- prese nella cui circoscrizione è stabilita la sede so- ciale (art. 2296, comma 1, c.c.). Vi è dunque un te- sto scritto dell’atto costitutivo, nel quale può senz’altro essere inserita la clausola compromissoria. Come già accennato, pare superabile anche per la
s.n.c. il problema evidenziato sopra concernente la possibilità di modificare l’atto costitutivo solo una- nimemente. Diversamente che nella s.s., nella s.n.c. il legislatore parla di “atto costitutivo” (cfr. l’art. 2295 c.c.). L’art. 2300 c.c., sulle modificazioni del- l’atto costitutivo, non stabilisce però quali siano le maggioranze necessarie a tal fine. Opera così il ri- chiamo dell’art. 2293 c.c. (8). Si torna pertanto alle regole in materia di s.s., ivi compresa quella che esi- ge l’unanimità. Si è però sostenuto sopra che, proba- bilmente, l’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003 non è applicabile alle società di persone.
Per quanto riguarda la s.a.s., in virtù del rinvio ope- rato dall’art. 2315 c.c. (9) trova - in definitiva - ap- plicazione l’art. 2296 c.c. in materia di pubblicazio- ne dell’atto costitutivo. Anche in questo tipo socie- tario vi è dunque un testo scritto nel quale può esse- re inserita la clausola compromissoria. Rimane fer- mo anche qui il problema della compatibilità fra la maggioranza richiesta dall’art. 34, comma 6, D.Lgs.
n. 5/2003 e l’unanimità richiesta dall’art. 2252 c.c., ma - come già scritto sopra - la prima di tali due di- sposizioni non si dovrebbe applicare alle società di persone. In giurisprudenza si segnala che il Tribuna- le di Salerno ha affermato che l’art. 34, D.Lgs. n. 5/2003 è applicabile anche alla s.a.s. (10).
Con riferimento alle società di capitali, le disposi- zioni sull’arbitrato societario si applicano alla s.r.l., alla s.p.a. e alla s.a.p.a.
Per quanto riguarda la s.r.l., l’art. 2463, comma 2,
c.c. prevede che l’atto costitutivo deve essere redat- to per atto pubblico. Vi è dunque necessità di forma scritta per l’atto costitutivo, nel quale può essere in- serita la clausola compromissoria. La mancanza di tale forma determina addirittura la nullità del con- tratto di società (l’art. 2463, comma 3, c.c. richiama difatti espressamente l’art. 2332 c.c. in tema di s.p.a., secondo cui la nullità della società può essere
pronunciata, fra gli altri casi, nell’ipotesi di mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’at- to pubblico).
Un discorso simile vale per la s.p.a., in cui è previsto l’atto pubblico (art. 2328, comma 0, x.x.) x xxxx xx xxxxxxx (xxx. 2332 c.c.). L’atto costitutivo può conte- nere la clausola compromissoria (11).
Per completezza bisogna tuttavia dare conto di un’importante eccezione al novero delle società di capitali che possono utilizzare lo strumento dell’ar- bitrato societario. L’attuale disciplina riguarda difat- ti solo le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La ricostruzione della nozione di società “che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio” esige l’esame di diverse disposizioni di rango primario e secondario. Il codice civile prevede che “sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le azioni con società quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in mi- sura rilevante” (art. 2325-bis, comma 1, c.c.). L’art. 2325-bis c.c. opera una distinzione fra due categorie di società: 1) quelle con azioni quotate in mercati regolamentati e 2) quelle con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Per le società con azio- ni quotate in mercati regolamentati non si pongono particolari problemi interpretativi. Ma cosa intende il legislatore con l’espressione di azioni “diffuse fra il pubblico in misura rilevante”? La legge prevede che “la misura rilevante di cui all’articolo 2325-bis del codice è quella stabilita a norma dell’articolo 116 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58” (art. 111-bis, comma 1, disp. att. c.c.). Non è in realtà di- rettamente l’art. 116, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998 a definire chi siano gli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante, in quanto questa disposizione si limita a rinviare a un regola- mento Consob. Secondo l’art. 2-bis, comma 1, reg.
n. 11971/1999 “sono emittenti azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i
Note:
(8) Ai sensi dell’art. 2293 c.c., “la società in nome collettivo è re- golata dalle norme di questo capo e, in quanto queste non di- spongano, delle norme del capo precedente”. Le norme del ca- po precedente sono quelle sulla s.s.
(9) Secondo l’art. 2315 c.c. “alla società in accomandita sempli- ce si applicano le disposizioni relative alla società in nome collet- tivo, in quanto siano compatibili con le norme seguenti”.
(10) Trib. Salerno 12 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, II, 865 ss., con nota di X. Xxxxxxx; in Giur. it., 2008, 2000 ss., con nota re- dazionale.
(11) E niente di diverso vale per la s.a.p.a., in virtù del richiamo secondo cui “alla società in accomandita per azioni sono appli- cabili le norme relative alla società per azioni, in quanto compati- bili con le disposizioni seguenti” (art. 2454 c.c.).
quali, contestualmente: a) abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 che detengano complessivamente una percentuale di ca- pitale sociale almeno pari al 5%; b) non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435-bis, primo comma, del codice civile”.
Esistono dunque s.p.a. in cui non sono legittime clausole compromissorie statutarie. Al fine di com- prendere le ragioni di questa scelta del legislatore si deve riflettere sul fatto che esistono due categorie di soggetti che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: le persone che - semplificando - potremmo definire “grandi investitori” e le persone che po- tremmo definire “piccoli investitori”. I piccoli inve- stitori, proprio in ragione del loro limitato investi- mento, non sono in grado di esercitare il controllo sulla società di cui comprano le azioni. Il fine del lo- ro investimento è esclusivamente il ritorno econo- mico: dividendi durante l’investimento e plusvalen- za nel momento della rivendita delle azioni. Gene- ralmente i piccoli investitori non hanno conoscenza degli statuti delle società di cui comprano le azioni. Se fosse consentito inserire in tali società clausole compromissorie, i piccoli azionisti rischierebbero di diventare parte di un arbitrato societario senza ave- re realmente espresso una volontà in tal senso. Per evitare questo risultato, e in un’ottica di tutela del contraente debole, il legislatore vieta che si possano inserire clausole compromissorie nelle società con azionariato diffuso. In particolare l’arbitrato sarebbe uno strumento di soluzione delle controversie trop- po costoso per il piccolo investitore.
Bisogna però dire che la scelta del legislatore di escludere l’arbitrato societario per le società quotate si espone ad alcune critiche.
Da un lato si può osservare che l’acquisto di azioni avviene mediante intermediari finanziari. Siccome questi intermediari sono assoggettati a norme di comportamento, il rispetto di tali regole di condotta dovrebbe garantire una sufficiente tutela in capo ai piccoli investitori.
Inoltre il legislatore, nell’escludere il ricorso all’arbi-
ne del legislatore è quello di evitare che si giunga ad arbitrato in presenza di conflitti fra soci con potere contrattuale completamente differente, la soluzione legislativa avrebbe dovuto essere diversa. Ad esem- pio si sarebbe potuto prevedere, per legge, che le clausole compromissorie statutarie non vincolano i soci che detengono una percentuale del capitale in- feriore (si immagini) al 5% o al 10%. Per ragioni di equità una regola del genere sarebbe però dovuta va- lere per tutti i tipi societari.
In realtà esistono addirittura argomenti che avreb- bero dovuto indurre il legislatore a favorire l’arbitra- to societario nel caso di società quotate o con azio- nariato diffuso.
Si rifletta sul fatto che nel caso di società quotate, il socio ha facilità nel cedere la propria partecipazione (cosa che non avviene nelle società chiuse).
Inoltre sia nelle società quotate sia nelle società con azionariato diffuso, esistono disposizioni particolari a tutela degli azionisti. Mi riferisco, in particolare, alle norme sull’informazione societaria (12).
Deve poi essere tenuto in considerazione il fattore tempo. Le questioni devolute ad arbitrato tendono, generalmente, ad essere risolte più velocemente di quelle rimesse al giudice statale. In questo modo si giunge prima alla necessaria certezza del diritto. Questo vantaggio è comune sia alle società non quo- tate sia a quelle quotate; anzi: nelle società quotate, l’esistenza di controversie può influenzare l’anda- mento delle quotazioni.
In un’ottica poi di comparazione internazionale, il fatto di precludere il ricorso all’arbitrato nelle so- cietà ad azionariato diffuso, pone il “sistema-Italia” in una posizione di tendenziale debolezza competiti- va rispetto a quegli ordinamenti che ne consentono l’utilizzo.
3. L’impossibilità di equiparare un patto parasociale a un atto costitutivo
Venendo alla questione centrale affrontata dal Tri- bunale di Pescara, chi scrive condivide la soluzione prospettata da tale autorità giudiziaria: un patto pa-
trato per le società con azioni quotate o diffuse in
misura rilevante, mostra una diffidenza nei confron- ti dello strumento arbitrale, che - forse - non è giu- stificata. Andrebbe cioè dimostrato analiticamente per quali ragioni l’adesione all’arbitrato è svantag- giosa rispetto al ricorso alla giustizia ordinaria. E poi il piccolo socio è debole anche nelle società non quotate. Anche in una s.p.a. non quotata la lite può sorgere, ad esempio, fra un socio che detiene il 5% del capitale e un socio che ne detiene l’85%. Se il fi-
Nota:
(12) Ai sensi dell’art. 114, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998 “gli emit- tenti quotati e i soggetti che li controllano comunicano al pubbli- co, senza indugio, le informazioni privilegiate di cui all’articolo 181 che riguardano direttamente detti emittenti e le società con- trollate”. E l’art. 114, X.Xxx. n. 58/1998 si applica “anche agli emittenti strumenti finanziari che, ancorché non quotati in mer- cati regolamentati italiani, siano diffusi tra il pubblico in misura ri- levante” (art. 116, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998). In materia di informazione societaria continua sia consentito rinviare a V. San- xxxxxxxx, Die Ad-hoc-Publizität im deutschen und italienischen Recht, Francoforte sul Meno, 2003.
rasociale non può essere equiparato a un atto costi- tutivo, con la conseguenza che a un arbitrato deri- vante da una clausola contenuta in un patto paraso- ciale non possono applicarsi gli artt. 34-36, D.Lgs. n. 5/2003 (13).
Il testo dell’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 si ri- ferisce ad “atti costitutivi”, mentre la rubrica della medesima disposizione menziona le clausole compro- missorie “statutarie”. Emerge dunque, nel contesto dell’arbitrato societario, la differenziazione fra atto costitutivo e statuto. A tale distinzione non va peral- tro attribuito un significato particolare. Per quanto riguarda la s.p.a., i contenuti di atto costitutivo e sta- tuto sono indicati nell’art. 2328 c.c. L’atto costituti- vo deve contenere tutte le indicazioni di cui all’art. 2328, comma 2, c.c., mentre “lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, an- che se forma oggetto di atto separato, costituisce par- te integrante dell’atto costitutivo” (art. 2328, com- ma 3, c.c.). Quindi, dal punto di vista del trattamen- to giuridico, lo statuto è equiparato all’atto costituti- vo. La clausola compromissoria può pertanto essere contenuta sia nell’atto costitutivo sia nello statuto senza che ciò abbia conseguenze di ordine pratico. Dal punto di vista formale, la clausola compromisso- ria riguarda il funzionamento della società e andreb- be inserita nello statuto. Tuttavia anche se fosse con- tenuta nell’atto costitutivo vero e proprio, ciò non dovrebbe comportare alcuna conseguenza. Rispetto a quanto appena osservato per la s.p.a., non pare che una soluzione diversa debba valere per la s.r.l., anche se in questo tipo societario la legge disciplina solo l’atto costitutivo (art. 2463, comma 2, c.c.), mentre nulla dice in materia di statuto.
Nel prosieguo limitiamoci, per semplicità di analisi, a quanto la legge dispone in materia di s.p.a. Con ri- ferimento a questo tipo societario, si rinviene una disciplina specifica dei patti parasociali, negli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. Come risulta dal testo della sentenza in commento, il patto parasociale oggetto della decisione riguardava l’obbligo di riacquisto di un certo numero di azioni. Tale patto parasociale rientra nella definizione data dalla legge (14). In particolare si tratta di un patto parasociale ai sensi della lett. b del comma 1 dell’art. 2341-bis c.c.: quel- li che “pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le con- trollano”. L’obbligo di riacquistare azioni costituisce un limite al trasferimento delle azioni (normalmen- te, difatti, le azioni sono liberamente trasferibili; so- lo in casi eccezionali l’art. 2355-bis c.c. consente di limitare la circolazione delle azioni).
Nel caso di specie il Tribunale di Pescara ha dovuto
interpretare un patto parasociale che impone di riacquistare un certo numero di azioni. Evidente- mente un patto parasociale non è un “atto costituti- vo” della società ai sensi dell’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998.
Le ragioni di tale distinzione sono diverse.
Nel caso di un patto parasociale manca l’elemento “costitutivo” della società. Come dice la stessa paro- la, l’atto costitutivo ha a che fare con la costituzione della società; è l’atto con cui la società viene fonda- ta (più precisamente l’art. 2328, comma 1, c.c. pre- vede che la società può essere costituita per contrat- to o per atto unilaterale). Nel caso di un patto para- sociale non è vi è la costituzione di alcuna società, la quale preesiste al patto. Nel caso affrontato dal Tri- bunale di Pescara ne andava solamente di regolare la futura cessione di azioni di una società già esistente. Una seconda differenza fra il patto parasociale e l’at- to costitutivo concerne la forma. L’art. 2328, comma 2, c.c. prevede difatti che l’atto costitutivo deve es- sere redatto per atto pubblico. Un tale requisito di forma non sussiste per i patti parasociali, che posso- no essere stipulati in qualunque forma.
Un’ulteriore differenza fra l’atto costitutivo e il pat- to parasociale è che il primo riguarda tutti i soci del- la società, mentre il secondo può riguardare anche alcuni soltanto di essi.
Per tutte le ragioni esposte un patto parasociale non può essere equiparato a un “atto costitutivo”, con la conseguenza che non possono trovare applicazione gli artt. 34-36, D.Lgs. n. 5/2003.
Esclusa l’applicabilità delle disposizioni speciali sul- l’arbitrato societario, il giudice civile applica le nor- me del codice di procedura civile. E le regole genera- li stabiliscono che, in presenza di una valida clausola compromissoria, la lite non può essere conosciuta dal giudice, ma deve essere devoluta agli arbitri. Il Tribu- nale di Pescara denega pertanto la propria compe- tenza. La conclusione è che le controversie in mate- ria di patti parasociali non sono assoggettati alla di- sciplina dell’arbitrato societario, ma a quella dell’ar- bitrato di diritto comune (art. 806 ss. c.p.c.).
Note:
(13) Anche Trib. Milano 18 settembre 2008, in Riv. dir. soc., 2009, 322 ss., con nota di X. Xxxxxxx, ha stabilito che l’art. 34, D.Lgs. n. 5/2003 non riguarda le clausole compromissorie con- tenute nei patti parasociali.
(14) L’art. 2341-bis c.c. riguarda i patti che “a) hanno per ogget- to l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle so- cietà che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano;
c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società” (art. 2341-bis, comma 1, c.c.).
4. L’estraneità alla società del designatore degli arbitri
(art. 34, comma 2, X.Xxx. n. 5/2003)
Escludendo l’applicabilità nel caso di specie degli artt. 34-36, D.Lgs. n. 5/2003, il Tribunale di Pescara non approfondisce l’eccezione che è stata sollevata dall’attore. L’attore afferma che la clausola compro- missoria sarebbe nulla per difetto di estraneità alla società del titolare del potere di nomina degli arbitri. Secondo l’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003, “la clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a sog- getto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale”. Risponde a principi-base che devono caratterizzare ogni ordinamento giuridico la necessità che - nei pro- cedimenti tesi alla soluzione di controversie - sia ga- rantita l’uguaglianza dei contendenti, a partire dallo stesso momento in cui viene individuata la persona chiamata a dirimere la lite. Nei procedimenti arbitrali gli arbitri sono normalmente nominati dai litiganti e ciascuna parte ha interesse a scegliere come arbitro un soggetto che si faccia “portavoce” delle proprie istanze nel collegio chiamato a risolvere la controversia. Il conseguente pericolo di parzialità è evidente. Questo rischio va combattuto poiché esso cozza contro i prin- cipi fondamentali dell’ordinamento giuridico, i quali impongono la terzietà di chi è chiamato a dirimere li- ti. Nell’arbitrato societario il legislatore avverte con forza la necessità che siano assicurate l’imparzialità e l’indipendenza dei componenti della corte arbitrale. A tal fine l’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 prevede che la clausola compromissoria deve conferire, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a sog- getto estraneo alla società. Il potere di nomina viene sottratto alle parti (è questa, altrimenti, la soluzione standard in materia arbitrale), per essere affidato a ter- zi. Dunque: nell’arbitrato societario non solo gli arbitri devono essere imparziali e indipendenti, ma lo deve essere la stessa persona che li designa.
Bisogna peraltro dire che vi è un’altra significativa ra- gione che ha spinto il legislatore a istituire la figura del designatore estraneo. L’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 serve non solo ad assicurare la massima impar- zialità e indipendenza degli arbitri scelti dal designato- re. Tale disposizione cerca inoltre di risolvere l’annoso problema degli arbitrati multiparti. Quando le parti sono più di due, risulta difficile attribuire a ciascuna di esse lo stesso peso nella nomina degli arbitri, principio imperativo cui non è possibile derogare. Per tacere del
fatto che, se ciascuno potesse nominare il “proprio” ar- bitro, in presenza di molte parti si giungerebbe a colle- gi arbitrali composti di un numero eccessivamente elevato di persone, con le conseguenti difficoltà di ge- stione del procedimento (che, per di più, risulterebbe particolarmente costoso per la necessità di pagare tut- ti gli arbitri). A ciò si aggiunga che, in presenza di una pluralità di parti, può risultare difficile assicurare il ne- cessario numero dispari dei componenti il collegio: ciò tende ad accadere quando il numero di parti è dispari (ad esempio tre), con l’effetto che il collegio - aggiun- to il presidente - sarebbe composto di un numero pari di membri (quattro componenti nell’esempio fatto). Questo risultato cozzerebbe contro il disposto dell’art. 809, comma 1, c.p.c., secondo cui gli arbitri possono essere uno o più, purché in numero dispari. È ragionevo- le assumere che questa disposizione sia di rango impe- rativo, sicché la formazione di un collegio arbitrale composto di un numero pari di arbitri non sarebbe le- gittima. Infine si noti che un numero di parti superio- re a due, che pure può non esistere nel momento ini- ziale della controversia, può realizzarsi in un momento successivo, per via di interventi: si pensi al caso in cui alla controversia fra il socio Xxxxx e il socio Xxxx si ag- giunga il socio Xxxxxxxxx. Se la nomina degli arbitri fosse affidata alle parti, gli intervenienti prenderebbe- ro parte a un procedimento nel quale gli arbitri sono stati nominati da altri. Al fine di risolvere queste pro- blematiche l’idea del legislatore è stata quella di sot- trarre il potere di nomina degli arbitri alle parti (per af- fidarlo a un terzo). E questa regola vale sempre, non solo nel caso di arbitrato multiparti, ma anche quando i contendenti sono due. Non si può peraltro non rile- vare come nell’arbitrato societario il pericolo che vi siano più di due parti tende a essere più elevato rispet- to al corrispondente rischio che si presenta nell’arbi- trato ordinario, essendo la società un contratto cui ac- cedono frequentemente più di due soggetti: la società presenta, spesso, più di due soci, i quali possono entra- re in conflitto, determinando una controversia con più parti (15).
Spiegate le ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere la figura del designatore, bisogna cercare
Nota:
(15) La sottrazione alle parti del potere di nomina degli arbitri non dovrebbe presentare problemi di conflittualità con le previsioni della Costituzione. Ciò che il testo costituzionale tutela è il dirit- to di tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e inte- ressi legittimi (art. 24, comma 1, Cost.). Tale principio vieta arbi- trati obbligatoriamente imposti alle parti con eliminazione della tutela giurisdizionale. Le modalità di nomina degli arbitri non li- mitano invece il diritto di agire in giudizio. In questo senso X. Xxxx, L’arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disci- plina di diritto comune, in Riv. dir. proc., 2008, 941.
di comprendere cosa intenda l’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 per “soggetto estraneo alla società”. Anzitutto si deve ritenere che i contraenti del con- tratto di società (ossia i soci) non possano nominare direttamente gli arbitri. La soluzione è pacifica in quanto essi sarebbero prima soggetti designanti e poi, addirittura, parti del contenzioso arbitrale. È dunque condivisibile la posizione recentemente as- sunta dal Tribunale di Salerno, il quale ha affermato che è nulla la clausola compromissoria di una s.a.s. che contempla un collegio di tre arbitri nominato uno da ciascuna delle parti e l’altro di comune ac- cordo dai primi due arbitri ovvero dal presidente del tribunale (16). La nullità deriva dal fatto che tale clausola attribuisce a un intraneo alla compagine il potere di nomina degli arbitri.
Il ruolo di designatore non può però essere assunto nemmeno dall’assemblea, cioè dall’organo compo- sto dalla collettività dei soci. Non si può difatti ra- gionevolmente affermare che l’assemblea sia un sog- getto estraneo alla società.
Similmente si deve ritenere che gli altri organi sociali (consiglio di amministrazione e collegio sindacale) non possano avere il potere di nominare gli arbitri (17). Non possono ritenersi soggetti estranei alla società nemmeno i singoli amministratori e i singoli sindaci.
Nell’arbitrato societario il soggetto chiamato a desi- gnare gli arbitri deve essere “estraneo” alla società. Con questa espressione la disposizione richiede qual- cosa di più della mancata appartenenza a uno degli organi della struttura societaria. Può verificarsi il ca- so che la persona chiamata a designare gli arbitri, pur essendo “esterna” alla società, non sia del tutto “estranea” alla medesima, in quanto legata in qual-
In questo contesto si pone l’ulteriore problema (lo affronteremo in dettaglio sotto) che la scelta astrat- ta di un soggetto estraneo alla società viene fatta in un dato momento (cioè quello della stipula dell’atto costitutivo; si supponga nel 2000), xxxxxx xx xxxx- xx xegli arbitri può avvenire a distanza di anni dalla stipula dell’atto costitutivo. Il designatore viene ge- neralmente scelto astrattamente (tipicamente in funzione della sua carica: ad esempio il presidente dell’ordine degli avvocati pro tempore), ma il sogget- to che poi concretamente designa (per esempio il sig. Xxxxx, presidente dell’ordine degli avvocati nel 2010) potrebbe non essere imparziale e indipenden- te in quanto ha qualche legame con le parti in causa (magari è parente di uno dei litiganti). Dunque l’e- lemento della “estraneità” rispetto alla società ha la funzione di assicurare imparzialità e indipendenza “in astratto” (nell’atto costitutivo), ma non può as- sicurarla “in concreto” (nel momento della nomina di determinati arbitri).
Nella prassi la funzione di designatore può essere at- tribuita, ad esempio, al presidente di un ordine pro- fessionale (tipicamente degli avvocati o dei com- mercialisti) oppure al presidente della camera di commercio. Si tenga presente che l’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 usa il termine “soggetto” al posto di quello di “persona” per indicare chi può essere scelto come designatore. Ne consegue che non è ne- cessario che il designatore sia una persona fisica (che ricopra o meno una certa carica) oppure una persona giuridica. Dovrebbe, al contrario, essere consentita anche l’indicazione di enti (in senso am- pio). Fra gli enti che possono svolgere al meglio tale funzione rientrano, ovviamente, le istituzioni arbi-
che modo a una delle parti in causa. “Estraneità” si-
gnifica assenza di legami con la società: è ragionevo- le assumere che essa miri ad assicurare già in capo al designatore imparzialità e indipendenza. Se sono corrette queste osservazioni, lascia allora perplessa la soluzione cui è giunto il Tribunale di Milano in una vicenda di cui ha avuto occasione di occuparsi (18). In tale caso si trattava di una s.r.l. che prevedeva nel suo statuto che il ruolo di designatore sarebbe stato assunto dal presidente dell’Ascomed provinciale di Milano, un sindacato di categoria cui la società era iscritta. L’attore sosteneva che la clausola fosse nulla in quanto tale persona, pur essendo esterna, non po- teva considerarsi estranea alla società. La decisione del Tribunale di Milano, che non accoglie questa te- si, non convince del tutto in quanto - ad avviso di chi scrive - l’iscrizione della società a tale sindacato è indice già “in astratto” di una non sufficiente impar- zialità e indipendenza del designatore.
Note:
(16) Trib. Salerno 12 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, II, 865 ss., con nota di X. Xxxxxxx; in Giur. it., 2008, 2000 ss., con nota re- dazionale.
(17) In materia si deve segnalare Xxxx. 30 marzo 2007, n. 7972, in Società, 2008, 312 ss., con nota di E. E. Xxxxxxxx, la quale ha stabilito che la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società (cooperativa), che deferisca la controversie fra so- cietà e soci a un collegio arbitrale formato da sindaci della so- cietà, è nulla per difetto del requisito della imparzialità degli arbi- tri, in quanto i sindaci, oltre alla funzione di controllo (che, peral- tro, rappresenta anch’essa un aspetto dell’amministrazione del- l’ente societario), hanno un potere d’iniziativa analogo a quello degli amministratori, o in sostituzione o in unione con essi, di modo che il collegio sindacale assume un’importante partecipa- zione nella vita societaria e nell’elaborazione del relativo indiriz- zo, il che rende oggettivamente incompatibile, da parte dei com- ponenti di tal organo, l’esercizio di una funzione “terza” quale quella di giudicare. Anche se questa sentenza dà applicazione a disposizioni anteriori a quelle del D.Lgs. n. 5/2003, essa merita di essere segnalata.
(18) Trib. Milano 18 luglio 2005, in Giur. comm., 2007, II, 171 ss., con nota di S. A. Xxxxxxx.
trali (19), le quali possono essere utilmente indicate negli atti costitutivi come soggetti designatori degli ar- bitri. In questo caso spetterà ai regolamenti arbitrali dell’istituzione arbitrale determinare chi deve procede- re alla nomina degli arbitri. Nell’ipotesi d’individuazio- ne, nella clausola compromissoria statutaria, di un en- te diverso da un’istituzione arbitrale (ad esempio: “la nomina degli arbitri verrà effettuata dalla camera di commercio”) saranno le regole di funzionamento del- l’ente richiamato a determinare chi debba concreta- mente procedere alla nomina. Generalmente si tratta della persona che ha la rappresentanza dell’ente.
La legge stabilisce espressamente che, nel caso in cui il potere di nomina di tutti gli arbitri non è conferi- to a soggetto estraneo alla società, si verifica una nullità. Essendo esplicitata dal testo normativo, si tratta di una nullità c.d. “testuale” (ai sensi dell’art. 1418, comma 3, c.c.). Bisogna però chiedersi quale sia la reale portata di tale nullità: significa che è nul- la l’intera clausola compromissoria oppure che sono nulle le sole modalità di nomina degli arbitri? Al ri- guardo si deve sottolineare che la disposizione di legge avrebbe potuto essere scritta in modo migliore, specificando l’oggetto della nullità: “a pena di nul- lità della clausola” oppure “a pena di nullità delle mo- dalità di nomina”. A un’attenta lettura della disposi- zione si evince tuttavia che l’inciso “a pena di nul- lità” è collocato nel periodo che recita “conferendo in ogni caso, [a pena di nullità], il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società”. Già dunque dal punto di vista testuale è preferibile la tesi secondo cui la nullità colpisce solo le moda- lità di nomina (e non l’intera clausola).
Bisogna però dire che in giurisprudenza e in dottrina si sono levate voci in senso contrario: si è cioè soste- nuto, radicalmente, che l’intera scelta in favore del- l’arbitrato sarebbe nulla. Ad esempio: secondo il Tri- bunale di Catania la clausola statutaria che devolve le controversie fra soci e società alla cognizione di un collegio di arbitri composto di tre membri nominati uno da ciascun contendente e il terzo d’accordo fra le parti o in mancanza dal presidente del tribunale è nulla, va dichiarata priva di effetti e va espunta dal contratto sociale (si tratta di una nullità radicale che priva di qualsivoglia effetto nella sua interezza la ori-
strumento arbitrale. È opportuno dunque, anche in un’ottica di favore dell’arbitrato, ricercare nell’ordi- namento delle disposizioni che consentano - pur eli- minando la parte nulla della clausola (quella avente a oggetto le modalità di nomina degli arbitri) - di mantenere in forza la scelta arbitrale delle parti.
A parere di chi scrive è preferibile la soluzione che, pur eliminando il meccanismo di nomina degli arbi- tri non affidato a un estraneo, per il resto fa salva la scelta delle parti in favore dell’arbitrato societario. Potrebbe difatti trovare applicazione l’art. 34, com- ma 2, periodo 2, D.Lgs. n. 5/2003, il quale stabilisce che - ove il soggetto designato non provveda - la no- mina è richiesta al presidente del tribunale. Si po- trebbe insomma equiparare la nullità delle modalità di nomina previste nella clausola compromissoria alla mancata designazione ad opera del terzo: il ter- zo non ha provveduto in quanto, per assenza dell’e- lemento dell’estraneità, non era legittimato a farlo. Ne consegue che il potere d’individuazione degli ar- bitri si trasferisce all’autorità giudiziaria. Questa so- luzione deve a maggior ragione operare nei casi in cui è la stessa clausola compromissoria a offrire un’alternativa. Il Tribunale di Milano ha avuto oc- casione di occuparsi di una clausola che demandava alla parti la nomina degli arbitri; tale clausola però prevedeva altresì la possibilità di rivolgersi al presi- dente dell’ordine dei commercialisti per ottenere la nomina degli arbitri (21). Correttamente l’autorità giudiziaria milanese distingue le due parti della clau- sola: la prima parte è nulla, la seconda no. La nullità della prima parte non comporta la nullità dell’intera clausola compromissoria, in quanto vi sopperisce la seconda parte, che - demandando al presidente del- l’ordine dei commercialisti il ruolo di designatore degli arbitri - assicura l’obiettivo della legge (cioè che il designatore sia estraneo alla società).
Passando ora ad analizzare brevemente i compiti del designatore, la sua funzione è quella - quando ne do- vesse sorgere l’esigenza - di “designare” gli arbitri, cioè di individuarli e di procedere allo loro nomina. Il suo ruolo è quello di nominare l’arbitro unico oppure il collegio arbitrale chiamato a decidere la controversia societaria. Bisogna dire che, mentre nell’arbitrato or- dinario è prevista esplicitamente la possibilità che gli
ginaria scelta compromissoria) (20). La lite sarebbe
insomma sottratta del tutto a decisione arbitrale e potrebbe essere discussa solo dinanzi a un giudice sta- tale. Contro questa soluzione milita però (oltre al- l’incerto elemento testuale) la ratio della disposizio- ne: ad avviso di chi scrive non si può non tenere in debito conto l’espressione di volontà delle parti, le quali si sono chiaramente espresse in favore dello
Note:
(19) Sulla possibilità che la funzione di amministrazione di arbi- trati possa essere affidata a delle società cfr. X. Xxxx, La società di arbitrato amministrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 779 ss.
(20) Trib. Catania 26 novembre 2004, in Corr. giur., 2005, 1131 ss., con nota di X. Xxxxxxxxxxx.
(21) Trib. Milano 22 dicembre 2006, in Giur. it., 2007, 399 s., con nota di S. A. Xxxxxxx.
arbitri siano uno o più di uno (art. 809, comma 1, c.p.c.), ciò non è detto espressamente nel contesto dell’arbitrato societario, dove il legislatore parla di “arbitri” al plurale. Tuttavia pare ragionevole assume- re che sia lecita anche la nomina di un arbitro unico. Xxxx, l’arbitro unico è addirittura preferibile in un’ot- tica di risparmio di costi (anche se un collegio offre il vantaggio di una decisione in potenza maggiormente approfondita, in quanto assunta da più persone).
Come si accennava sopra, un problema lasciato aper- to dalla legge è quella della possibile parzialità e di- pendenza del designatore. Può cioè capitare che il designatore, pur essendo stato scelto dall’atto costi- tutivo sulla base della sua estraneità alla società, sia in qualche modo interessato alla controversia in cor- so: un conto è la generale estraneità alla società del presidente della camera di commercio, un altro con- to è capire se il sig. Xxxxx (presidente della camera di commercio di una certa città in un dato momento) abbia un interesse nella specifica controversia socie- taria che richiede ora la nomina di arbitri. Si pensi al caso estremo in cui la controversia riguarda una so- cietà di cui la moglie del designatore è socia. In una ipotesi del genere il designatore potrebbe dirottare la propria scelta in favore di arbitri che non offrono suf- ficienti garanzie di imparzialità e indipendenza, al fi- ne di favorire una parte. È evidente che questo pro- blema, che non si pone al momento della nascita della società ma nel momento successivo in cui sorge l’esigenza di nominare arbitri, non può invalidare la clausola dell’atto costitutivo (22). Tale clausola è va- lida, se assicura “astrattamente” l’estraneità del desi- gnatore; il problema concreto è che il designatore,
nomina arbitri che non presentano i necessari requi- siti di imparzialità e indipendenza, allora tali arbitri potranno essere ricusati ai sensi dell’art. 815 c.p.c. Mentre si può dubitare dall’applicabilità dell’art. 815 c.p.c. ai designatori, è difficile dubitare del fatto che tale articolo si applichi agli arbitri. Si tratta del- la soluzione adottata dal Tribunale di Milano (24). Nella scelta degli arbitri il designatore dispone di am- pia autonomia. Non dovrebbe tuttavia essere invalida una clausola compromissoria che fissi le caratteristiche che i potenziali arbitri devono rivestire. Si pensi alla possibilità di richiedere l’iscrizione in albi professionali (ad esempio avvocati o commercialisti). Una clausola del genere limita certamente la possibilità di scelta del designatore, ma non configura una pre-determinazione degli arbitri da parte dell’atto costitutivo.
La legge si occupa infine del caso in cui il terzo non provveda: “ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luo- go in cui la società ha la sede legale” (art. 34, comma 2, periodo 2, D.Lgs. n. 5/2003). Il problema è che la legge non fissa un termine per la decisione da parte del designatore. Dal punto di vista pratico sarebbe op- portuno che l’atto costitutivo fissasse tale termine. In assenza di un termine, va effettuata una valutazione secondo ragionevolezza. Indicativamente ci si può orientare a venti giorni, trattandosi del termine che è concesso al convenuto in arbitrato per nominare il proprio arbitro (art. 810, comma 1, c.p.c.) (25). Se decorre il termine previsto espressamente nell’atto costitutivo oppure il termine da reputarsi “ragionevo- le”, l’attore può rivolgersi al presidente del tribunale per ottenere la nomina dell’arbitro.
proprio in riferimento a una specifica nomina di ar-
xxxxx, si trova in una situazione che non può definirsi imparziale e indipendente.
La legge tace e non prevede un meccanismo di astensione/ricusazione del designatore. Dal punto di vista pratico è naturalmente auspicabile che il desi- gnatore in situazione di conflitto si astenga dal no- minare gli arbitri (e in questo caso la nomina ver- rebbe effettuata dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 34, comma 2, periodo 2, D.Lgs. n. 5/2003). Tuttavia non si può avere certezza che ciò avvenga sempre nella prassi. Si potrebbe allora pensare a un’applicazione analogica (23) dell’art. 815 c.p.c. Contro l’estensibilità analogica di tale disposizione al caso qui in esame milita peraltro il rilievo testua- le che la norma generale disciplina la ricusazione de- gli “arbitri” e non quella dei “designatori”.
Bisogna tuttavia dire che il problema della possibile parzialità e dipendenza del designatore può essere ri- solto “trasferendolo” sugli arbitri: se il designatore
Note:
(22) X. Xxxxxxx, op. cit., 118.
(23) L’art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 5/2003 prevedeva che “per quan- to non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”. Sulla base di questa disposizione l’utilizzo di norme del codice di procedura civile avveniva non per via “analogica”, ma per xxx xx “xx- xxxxxx”. Xxxxxxx peraltro evidenziare che l’art. 1, D.Lgs. n. 5/2003 è stato abrogato dall’art. 54, L. n. 69/2009. Per quanto riguarda le controversie in corso si continua ad applicare tale art. 1 (e si può par- lare di applicazione per via di “richiamo”). A decorrere dal 4 luglio 2009 l’art. 1, D.Lgs. n. 5/2003 non può più - invece - essere applica- to, in quanto abrogato. Ciò non toglie, mi pare, che il giudice civile possa comunque - in via analogica - dare applicazione alle disposi- zioni del c.p.c. in funzione di integrazione delle norme in materia di arbitrato societario. Questa soluzione sembra sensata anche per il fatto che le disposizioni sull’arbitrato societario sono particolarmen- te brevi e non in grado di coprire tutte le questioni, talvolta anche di dettaglio, che si possono porre nel corso del procedimento.
(24) Trib. Milano 18 luglio 2005, in Giur. comm., 2007, II, 171 ss., con nota di S. A. Xxxxxxx.
(25) Sulla natura non perentoria di tale termine cfr. Cass. 2 di- cembre 2005, n. 26257, in Giur. it., 2006, 1463 ss., con nota di X. Xxxxxxxxxxx.
Giurisprudenza
Merito