Contract
Integrazione salariale straordinaria - Obbligo datoriale di comunicare alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere - Omissione - Conseguenze - Illegittimità del provvedimento di sospensione - Diritto del lavoratore alla retribuzione piena ed alla relativa contribuzione - Rinunzia da parte del lavoratore alla retribuzione a seguito di transazione - Inopponibilità all’INPS.
Corte di Appello di Brescia - 27.06.09. n. 132 - Pres. e Rel. Nuovo - I.C.M. srl (Avv. ti Abrami, Collia) - INPS (Avv. Tagliente)
In caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione aziendale, il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali gli specifici criteri di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi; tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e l’eventuale successiva transazione con il datore di lavoro è inopponibile all’INPS che, chiamato in causa, abbia azionato il correlativo diritto al versamento integrale della contribuzione sugli emolumenti retributivi dovuti.
FATTO - Per quanto qui ancora rileva, occorre premettere che con distinti ricorsi depositati, per ciascuno, in anni differenti, corrispondenti ai vari provvedimenti di collocazione in cassa integrazione, S.F., L.B., G.F. e C.B., dipendenti della società I.C.M. s.p.a. e I. s.r.l., chiedevano al giudice del lavoro del Tribunale di Brescia di dichiarare illegittimi e comunque annullare i provvedimenti con i quali i ricorrenti erano stati collocati in tempi diversi in CIGS; ordinare la riammissione in servizio nel posto e nelle mansioni precedentemente occupate e condannare la società convenuta al pagamento di tutte le differenze economiche maturate e non percepite dalla data di ciascun illegittimo provvedimento di CIGS alla pronuncia, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
A sostegno di tali domande sostenevano di essere dipendenti della convenuta; che con accordi del 17.9.2004, del 23.9.2004 e del 24.9.2005 era
stata conclusa la procedura per l’applicazione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria; che quindi erano stati posti in CIGS, ma che tale provvedimento doveva ritenersi illegittimo perché l’azienda non aveva precisato i criteri di scelta e previsto la “rotazione dei lavoratori” da collocare in CIGS, non motivando in alcun modo tale decisione (art. 1, commi 2, 7 ed 8, L. 223/91).
La I.C. si costituiva ritualmente nei giudizi sostenendo l’infondatezza delle domande. Nel merito la società, per quanto qui ancora rileva, affermava la legittimità dei provvedimenti di CIGS in quanto erano stati assolti tutti gli oneri di informazione e consultazione da parte dell’azienda, richiamando tutti gli incontri ed i verbali di accordo intervenuti fra le parti sociali, i quali avevano accompagnato tutta la procedura. Circa la mancata adozione della rotazione la società rilevava, attraverso l’interpretazione delle norme di riferimento, che essa poteva anche non essere attuata per motivi di ordine tecnico- organizzativo, che non doveva necessariamente essere comunicato alle organizzazioni sindacali. Precisava comunque che la scelta dei ricorrenti era derivata dalla corretta applicazione dei criteri di scelta previsti dalla legge, e segnatamente dal criterio delle “esigenze tecnico-organizzative”, stabilito negli specifici accordi sindacali quale prioritario rispetto agli altri.
I ricorsi venivano notificati successivamente anche all’INPS perché la sentenza facesse stato nel confronti dell’Istituto il quale si limitava, costituendosi, a prendere atto della controversia e a formulare riserva di richiedere l’integrale versamento dei contributi in caso di accertata illegittimità della Cassa integrazione e di correlativo versamento del’intera retribuzione.
I ricorsi venivano riuniti e istruiti e all’esito il primo giudice dichiarava illegittimi i provvedimenti di CIGS (tranne che nei confronti di B.C. per il quale dichiarava le cessazione della materia del contendere), condannava alla corresponsione dell’intera retribuzione per i periodi meglio indicati in sentenza per ciascun lavoratore e condannava altresì alla regolarizzazione contributiva nei confronti dell’INPS.
Ricorreva in appello la I.C. riproponendo, per quanto qui ancora rileva, le proprie tesi in ordine alla piena regolarità della procedura adottata; si costituivano i lavoratori (F., F. e L.B.) e l’INPS per la conferma.
Prima dell’udienza fissata per la trattazione intervenivano, a seguito di
comparizioni spontanee all’udienza del 9.10.2008 il F. e il F. e del 16.10.2008 il B., le transazioni con i lavoratori che riconoscevano “la legittimità della collocazione in CIGS” e davano atto della data nella quale erano rientrati dalla cassa integrazione e, quanto al F., che il 27.6.2008 era intervenuto il recesso.
Pertanto la causa, all’odierna udienza, veniva discussa e decisa limitatamente alla questione della legittimità del provvedimento di CIGS e dell’indicazione dei ricorrenti ai quali era stata applicata senza alcuna rotazione, sotto il solo profilo della sussistenza dell’obbligo contributivo nei confronti dell’INPS.
DIRITTO - L’appello è infondato.
La difesa della società in fatto sostiene che in concreto le garanzie procedimentali sarebbero state rispettate mediante la stipulazione degli accordi sindacali sopra ricordati.
Peraltro, come già ha affermato il primo giudice, gli accordi non contenevano alcun riferimento alla mancata attuazione dei meccanismi di rotazione e solo un generico riferimento ai criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223 del 1991, tale da non consentire un minimo di riconoscibilità dei criteri di scelta dei lavoratori interessati alla sospensione.
A fronte di ciò la difesa della società ha puntualizzato che effettivamente tale accordo richiamò i criteri dall’art. 5 cit., peraltro “compatibilmente con le esigenze tecnico-produttive e organizzative” e che d’altra parte, quanto al criterio della rotazione, subordinava la possibilità di attivazione, la società si impegnava a valutare positivamente la possibilità di applicazione “compatibilmente con le esigenze tecnico-organizzative, per le funzioni fungibili, nell’ambito degli accordi con le RSU”.
Corre quindi l’obbligo di dar conto del corretto articolarsi della procedura. Va innanzitutto sottolineata la rilevanza del disposto dell’art. 1, comma 7,
laddove impone l’osservanza di un obbligo di comunicazione alle componenti sindacali, che si incentra in una articolata informativa; tale comunicazione deve infatti esporre le cause della sospensione, la relativa prevedibile entità e durata, il numero dei lavoratori interessati ed i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, enunziando i motivi dell’eventuale mancato ricorso ad essa.
Disattendendo l’impostazione accolta da una linea interpretativa (Cfr. Cass. 8 ottobre 1996 n. 8788; Cass. 6 dicembre 1997 n. 12406), le Sezioni Unite hanno sostenuto che l’onere del datore in ordine alla comunicazione e all’eventuale esame congiunto, riguardando in generale i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, ricomprende anche quelli concernenti le modalità della rotazione. A maggiore specificazione, si è precisato che quest’ultimo adempimento potrebbe essere aggirato qualora il datore di lavoro indichi nel programma che accompagna la richiesta di integrazione salariale i motivi del mancato ricorso alla rotazione, provvedendo a segnalare gli altri criteri adottati al fine di individuare i lavoratori da sospendere. Conseguentemente, si è sostenuto che anche questi criteri debbono formare oggetto della comunicazione e dell’esame congiunto, la cui omissione determina una violazione che direttamente incide sulla legittimità del procedimento e del successivo provvedimento amministrativo di concessione del beneficio, con l’ulteriore conseguenza che il giudice adito dal lavoratore che contesta la sospensione può rilevarne la illegittimità e disapplicare il provvedimento di sospensione (Cfr. Cass. 17 marzo 1988 n. 2882; Cass. 9
novembre 1998 n. 11263).
In sostanza, nell’ambito degli obblighi di comunicazione il criterio della rotazione ha finito con l’assumere una rilevanza centrale; e l’adempimento relativo è stato ritenuto indefettibile, richiedendosi anzi l’elaborazione e la indicazione dei criteri alternativi che l’impresa intenda adottare per pervenire alla individuazione del personale da sospendere.
Le sezioni unite hanno motivato la rigida soluzione attraverso il ricorso ad un criterio di interpretazione sistematica riconoscendo che attraverso la l. n. 223, cit. si era realizzato il superamento del precedente sistema normativo. Il sistema precedente era infatti caratterizzato dal riconoscimento della spettanza al datore di un notevole margine di manovra in materia di sospensione in Cassa integrazione guadagni straordinaria, in ragione della intrinseca insindacabilità delle scelte imprenditoriali. In effetti gli unici correttivi consistevano nell’eventuale autolimitazione mediante il ricorso alla negoziazione sindacale, ferma rimanendo l’operatività dei criteri di razionalità, di buona fede e non discriminazione (Cfr. C. cost. 23 giugno 1988 n. 694(1); Cass., Sez. Un., 13
ottobre 1993 n. 10112; Cass. 19 maggio 1995 n. 5517); salva la precisazione
che, comunque, anche in questo specifico contesto, si era opportunamente rilevato che le intese o gli accordi raggiunti a conclusione della consultazione sindacale, pur producendo effetti endoprocessuali e non negoziali (a meno di espressa previsione in tal senso, previo conferimento di specifico mandato all’organizzazione sindacale da parte dei singoli lavoratori) tuttavia avevano la funzione di fornire all’autorità amministrativa utili elementi di valutazione, tenendo conto che l’attività delle organizzazioni sindacali non si esplica nell’esercizio di un potere di stipulare contratti collettivi aventi vigore erga omnes, ma nella veste di soggetti istituzionalmente portatori di interessi diffusi e riferibili a tutti i lavoratori coinvolti nella procedura (Cfr. Cass. 19 maggio 1995 n. 5517, cit.; Cass. 27 marzo 1997 n. 2719; Cass. 15 ottobre 1990 n.
10073)(2).
In questi termini, nella L. n. 223, cit. è stata ravvisata una sostanziale palingenesi rispetto al passato, anche se in certa misura anticipata dall’evoluzione maturata medio tempore.
Una volta fissate le coordinate di riferimento sistematico, le Sezioni Unite hanno collocato gli adempimenti procedurali istituiti nell’ambito dell’elaborazione maturata nel settore pubblicistico, considerando che la nozione di procedimento amministrativo si attagli ad una fattispecie complessa, coinvolgente anche più organi o soggetti; e su tale presupposto, si è sostenuto che l’invalidazione dell’atto procedimentale può derivare da un vizio che infici non solo il provvedimento finale, ma anche uno qualsiasi degli atti formanti la serie coordinata e collegata, anche se costituente un momento intermedio della serie: ciò sia sotto il profilo della nullità (per mancanza di un elemento essenziale richiesto dalla legge), sia quello dell’annullabilità (per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge), ricorrendo quest’ultima ipotesi ogni qualvolta si verifichi un contrasto con una norma imperativa; rimarcandosi al riguardo la differenza tra l’annullabilità, sussistente allorquando l’atto non sia conforme alla previsione della legge, dalla mera irregolarità, consistente nella violazione di regole prescriventi adempimenti di contenuto meramente formale o marginale rispetto alla sostanza della fattispecie.
Con riferimento alla nuova disciplina della mobilità, le Sezioni Unite hanno rimarcato come l’esame congiunto tra datore e organizzazioni sindacali
sia diretto a sollecitare la regolamentazione sindacale del potere del datore di lavoro di procedere alla sospensione della prestazione lavorativa: conseguentemente, la funzione pregnante della comunicazione dei criteri di individuazione è stata ritenuta integrare una garanzia procedimentale, finalizzata all’obiettivo di rendere trasparente, e verificabile, la scelta del datore di lavoro in funzione di tutela dei lavoratori interessati.
Su tale presupposto, alla comunicazione è stata assegnata una duplice funzione: quella di porre le organizzazioni sindacali in grado di concordare la scelta dei lavoratori da sospendere, e correlativamente di assicurare la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa. Questa seconda accezione è stata desunta dalla considerazione che il previsto obbligo di comunicazione assolve non solo il compito di consentire al sindacato l’espletamento della tutela di interessi diffusi, ma anche quello di rappresentare i lavoratori direttamente coinvolti nella procedura; con la conseguenza che la violazione del relativo obbligo non si esaurisce nella antisindacalità della condotta, ma investendo un elemento essenziale (e non meramente formale o marginale) è causa di illegittimità del provvedimento finale, nel momento in cui preclude la verifica del corretto esercizio del potere datoriale, ed impedisce il perseguimento dello scopo normativo, consistente nella tutela della posizione dei lavoratori coinvolti nella procedura. In sostanza, negli obblighi di comunicazione è stata ravvisata una valenza bilaterale: una di rilievo sindacale attinente alla gestione generale degli esuberi, e l’altra individuale, concernendo la specifica selezione dei singoli interessati dal provvedimento.
In questo quadro, si è ritenuto che qualsiasi iniziativa assunta dal datore al fine di limitare o altrimenti escludere l’operatività della rotazione gli impedisca di liberarsi dall’obbligo di corrispondere la retribuzione, qualora nella comunicazione sia stata omessa la indicazione degli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, dei lavoratori interessati dalla sospensione.
Questa Corte aderisce integralmente a questo orientamento delle Sezioni Unite (cfr. Cass. 11 maggio 2000 n. 302) che, componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato che in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea
eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi (in base al combinato disposto degli art. 1, settimo comma, legge 23 luglio 1991 n. 223 e 5, commi quarto e quinto, legge 20 maggio 1975 n. 164), tale illegittimità potendo essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata.
Ne consegue che deve essere confermata la sentenza nel capo in cui afferma l’inefficacia dei provvedimenti che hanno posto in cassa integrazione i lavoratori F., B. e F. senza che la dichiarazione da costoro resa in sede di transazione (“II dipendente, riconoscendo la legittimità della collocazione in CIGS..”) possa avere la minima influenza sulla decisione, non essendo più nella disponibilità dei lavoratori il correlativo diritto, azionato nella presente controversia da parte dell’INPS, al versamento integrale della contribuzione.
E’ certamente vero, come sostiene l’appellante, che comunque anche i lavoratori appellati avrebbero, sia pure a turno, effettuato periodi di cassa integrazione, ma è anche vero che l’accertamento dell’illegittimità comprende l’intero provvedimento e che sarebbe stato onere della datrice di lavoro provare come e in che misura, attuando una corretta rotazione, gli originali ricorrenti sarebbero stati collocati legittimamente in CIGS.
Ne consegue che la condanna alla regolarizzazione contributiva nei confronti dell’INPS deve essere confermata integralmente sia pure fino alla data in cui ciascuno dei ricorrenti ha dichiarato di essere rientrato dalla cassa integrazione - cosi corretto l’errore materiale del dispositivo che fa riferimento alla data delle dimissioni (che vale per il solo F., essendo gli altri ancora dipendenti) e non a quella della cessazione della CIGS: per L.B. il 20.8.2007, per G.F. il 31.8.2008 e per S.F. il 27.6.2008.
(Omissis)
(1) V. in q. Riv., 1988, p. 1631
(2) Idem, 1991, p. 241