Commercio dei prodotti tessili e liberalizzazione del mercato
Commercio dei prodotti tessili e liberalizzazione del mercato
Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx universitario a contratto di diritto commerciale europeo
Commercio internazionale N. 11/2005, Pag. 5
Dal 1° gennaio 2005 è venuto meno il regime di protezione del settore tessile e dell'abbigliamento (T&A) disciplinato dall'Accordo multifibre che, con un articolato sistema di quote, sin dal 1974 ne governava l'intero commercio internazionale.
Nel quadro di una regolamentazione convenzionale speciale il commercio mondiale dei prodotti T&A, così come quello dei prodotti agricoli, era rimasto escluso dall'Accordo generale sulle tariffe commerciali e sul commercio del 1947. La prima disciplina speciale per i prodotti T&A veniva infatti sottoscritta il 20 dicembre 1973 per poi entrare in vigore il successivo 1° gennaio 1974. La ratio ispiratrice di un tale assetto risiedeva nella determinazione delle economie importatrici di manufatti tessili di limitare l'accesso ai ricchi mercati occidentali e la concorrenza tanto dei Pvs, come dei Pms (d'ora in avanti inclusi nei primi), portatori di produzioni aventi un basso costo della manodopera e quindi del prodotto finale.
Nel corso dell'Uruguay Round la dinamica era stata quella di registrare per un verso la spinta alla liberalizzazione dei mercati, come auspicato dai Pvs e, a contrariis, la volontà di conservare quanto più possibile un sistema protezionistico nell'interesse dei paesi industrializzati ed importatori di questi manufatti. L'esito consacrò il commercio internazionale ai principi di libertà di mercato, pure esaltati dalle disposizione Gatt del 1994, anche per quei comparti sin qui esclusi, non senza però contemplare un progressivo azzeramento delle
c.d. quote.
Il periodo transitorio identificato come Ata e relativo alle quattro tipologie di prodotto ascrivibili rispettivamente ai filati, ai tessuti, ai prodotti tessili ed a quelli dell'abbigliamento si è però rivelato fallimentare. Diversamente da quanto colà stabilito vi sono state unilaterali decisioni nella rivisitazione delle quote (la Ue in ragione dell'estensione a 25 del numero dei propri membri), o della riclassificazione dei prodotti (da parte degli Usa) con il ché ergendosi la sola Norvegia ad unico paese coerente con le previsioni dell'Ata avendo completato la liberalizzazione delle proprie 54 quote già all'esordio del 2001 (si veda la tavola 1).
Lo scenario proposto è apparso di molto diverso rispetto quello cui normalmente si assiste all'interno del Wto. E' prassi negoziale oramai consolidata da qualche tempo che proprio i Pvs sostengano soluzioni protezionistiche delle loro deboli economie, mentre quelli dell'occidente industrializzato, forti del proprio assetto economico-inanziario, tendano piuttosto ad esaltare la liberalizzazione dei mercati. A parere di chi scrive, nella sfida per il tessile, le logiche sono invece cambiate e sul sistema delle quote si è così realizzata una particolarissima inversione dei ruoli.
Era in effetti pacifico, sino a poco tempo addietro, come contingentare i quantitativi di importazioni da un certo paese in ragione della provenienza, fosse in qualche misura una disciplina limitativa della naturale libertà dei mercati.
Che ad un certo Stato fosse consentito produrre ed esportare altrove solo entro certi limiti predeterminati da accordi bilaterali o talora multilaterali era l'esercizio di una antica potestà. Immediata la reminiscenza di un governo quasi coloniale del commercio internazionale o meglio di una precisa scelta di politica economica deputata alla divisione internazionale dei processi e delle attività produttive.
Con il tempo poi il sistema delle quote ha rappresentato più che l'espressione di un dominio delle economie d'occidente su quelle dei Pvs, la difesa di un ricco sistema industriale dall'invasione -vincente secondo le regole naturali del libero mercato -dei manufatti prodotti altrove a basso costo di manodopera.
Era preminente allora l'interesse di Xxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxx, Xxxxxxxx, Xxx Xxxxx, Xxxxxxxx, Turchia o Romania di battersi all'interno del Wto per l'abolizione delle quote, così da eliminare i freni legislativi alle proprie esportazioni, nel caso di specie, di prodotti T&A.
In contrapposizione si ergevano gli Stati Uniti di America, il Canada o la stessa Unione europea, che intendevano piuttosto sostenere una politica protezionistica a favore delle proprie industrie.
La Cina sulla scena del commercio mondiale dei prodotti T&A
Se all'inizio la quota all'esportazione era sostanzialmente una tutela per il paese d'importazione ed in particolare per quelle attività (quali la tessile) colà esercitate e non più in grado di reggere la concorrenza internazionale dei Pvs, lo scenario muta con l'affermazione del miracolo economico cinese (1).
Sembra proprio che nel corso dell'Uruguay Round nessuna delle parti -ovvero degli aderenti al Wto -avesse attentamente considerato il nuovo scenario macroeconomico determinato dall'ingresso nel 2001 della Cina nel club del commercio internazionale.
Liberalizzare il commercio planetario dei prodotti T&A avrebbe creato infatti una lotta sud contro sud del mondo, in una corsa al ribasso dei costi, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della tutela dell'ecosistema. A tirare la volata sarebbe stata proprio la Cina, dove i salari sono bassissimi, la forza lavoro immensa, l'inflazione inesistente e la moneta assolutamente stabile. Quella che Natuzzi in una recente intervista sosteneva essere un "particolare sistema" paese privo di sindacati, di una effettiva politica ambientale e di interventi decisi nei confronti delle contraffazioni.
Ricorda una brillante studiosa come in questa corsa verso il fondo sia proprio la Cina a stabilirne la profondità (2).
II mercato del tessile e quello dell'abbigliamento hanno realizzato un fatturato, che sulla base dei dati forniti dal Wto e riferiti al 2003 (si veda la tavola 2), è stato pari ad un export di 321,9 miliardi di dollari.
E segnatamente 185 miliardi di dollari riferiti ai prodotti dell'abbigliamento e 136,9 miliardi di dollari a quelli tessili, con un incremento rispettivamente di circa il 12 e l'11% rispetto l'anno precedente (xxx.xxx.xxx).
Il settore costituisce peraltro il 5,7% delle esportazioni mondiali con indici di incremento percentuali superiori alla media delle merci oggetto di commercio internazionale.
Ben il 55% delle esportazioni mondiali di prodotti tessili sono state realizzate dai Pvs con il quasi totale apporto degli esportatori asiatici che ne hanno coperto il 50% a fronte di un export dei paesi sviluppati pari al 40%, così come evidente dalla tavola 3 elaborata sulla base dei più recenti dati forniti dal segretariato del Wto.
Il volume mondiale delle importazioni muta di poco il precedente scenario ove i Pvs importano in misura percentuale, sostanzialmente identica, a quella delle esportazioni, mentre un differenziale sostenuto rileva per l'Asia esportatore al 50% del volume mondiale di affari, quando importa per il solo 30%.
Per compiutamente intendere lo scenario mondiale del T&A pare opportuno concludere questo esordio esplicativo con l'analisi del settore abbigliamento.
Ebbene è proprio in questo comparto che meglio si comprende la "vitale aggressività" delle economie dei Pvs. Un import contenuto nel 13% a fronte di un export di abbigliamento pari al 72% del volume di affari mondiale. Anche qui con un'Asia che domanda manufatti per il 5% mentre si propone con offerta del 54%. L'Unione europea (con dati raccolti anteriormente all'estensione a 25 membri) esporta invece per il 17% e importa per il 31% del mercato mondiale.
Un effetto, probabilmente inatteso, rispetto quanto anni addietro veniva convenuto nel corso del notissimo Uruguay Round e con la Cina ancora a bussare alla porta del Wto (3).
La progressiva eliminazione delle misure di limitazione delle importazioni si è comunque articolata in quattro fasi da concludersi al 1° gennaio 2005, ovvero ai sensi dell'art. 9 dell'accordo in parola, il primo giorno del 121° mese dall'entrata in vigore dell'Accordo Omc, senza alcuna previsione di proroga.
E' bene registrare che però quasi la metà del volume delle importazioni si sarebbe dovuta liberalizzare proprio alla scadenza dell'Accordo multifibre. Il Wto aveva infatti predeterminato la liberalizzazione delle importazioni di prodotti tessili e dell'abbigliamento nella misura del 16% dal 1° gennaio 1995; del 17% dal 1° gennaio 1998; del 18% dal 1° gennaio 2002 e del 49% dal 1° gennaio 2005.
La Cina al fine di non turbare il mercato mondiale, ha comunque definito l'entità dei dazi da applicare sull'export dei propri prodotti T&A, allorquando spirato l'Accordo multifibre.
La misura dei dazi per circa 148 articoli del comparto rimane compresa tra i 2 ed i 6 centesimi di dollaro.
L'esperienza del mercato statunitense ed il ruolo dell'Unione europea
Il precedente è quello registrato negli Stati Uniti. In questo paese, grazie alla liberalizzazione dell'import per alcuni prodotti del settore T&A è emerso come la Cina, che deteneva il 10% del mercato americano, fosse riuscita, in pochissimi anni, ad assicurarsene il 72%.
Denuncia un recente monitoraggio statunitense del National Council of Textiles Organizations (Ncto) come la Cina, ove liberalizzato il mercato tessile, abbia puntualmente ridotto i propri prezzi di oltre il 50%. La svolta fornita da Xxxx Xxxxxxxx e poi da Xxxxx Xxxxx ed infine dall'ingegnere ed economista Xx Xxxxxx, attuale Presidente, appare, in termini di economie, senza limiti nella corsa al ribasso se non, come già citato, quelli di volta in volta posti dalla Cina stessa.
Il conflitto tra i paesi del sud emerge comunque al sol verificare come il Messico, nonostante i benefici di una vicinanza geografica agli Usa e dell'adesione al North American Free Trade Agreement (Nafta), abbia visto delocalizzare i propri stabilimenti manifatturieri nella pur lontana Cina.
Ovviamente gli Stati Uniti hanno posto una serie di condizioni a tutela delle proprie produzioni nazionali, limitando ad esempio, lo scorso anno, l'importazione dalla Cina di reggiseni, vestaglie e maglieria.
La stessa Unione europea non ha potuto non registrare con allarme la liberalizzazione di alcuni prodotti tessili atteso che nel solo 2002 i flussi di importazione nel proprio territorio di T&A sono aumentati del 100% con un decremento medio dei prezzi dal 40 al 50% (4).
Per taluni segmenti, ad esempio quello delle giacche a vento, se nel 2001 la quota di esportazioni cinesi all'interno dell'Unione europea era del 15% per un prezzo medio a capo pari ad 18,28 euro nel primo semestre 2004 la stessa quota aveva raggiunto il 74% con un prezzo medio di 6,82 euro.
Per altra analisi l'industria T&A nell'Unione europea rappresenta il 4% della produzione complessiva ed il 7% dell'occupazione e quindi di estrema importanza per la Comunità vieppiù ove -sulla base di dati al 2002 -mentre il settore tessile ha registrato un trend positivo, quello dell'abbigliamento ha subìto un pesante deficit commerciale. Nell'interscambio di settore ha assunto allora estrema importanza la collaborazione con i paesi dell'area euromediterranea, ove sempre nel 2002 l'Ue ha esportato tessile per un valore di 14,6 miliardi di euro ed ha importato 25 miliardi di euro in vestiti, proprio dai paesi di cui sopra (5).
D'altro canto, secondo un trend comune ai paesi importatori, l'Unione europea che pure aveva posto più di 300 quote, nonostante il lungo periodo di progressiva liberalizzazione, risulta debba provvedere ad eliminarne più dei 2/3 ancora operanti al 31 dicembre 2004.
La Comunità ha inteso poi applicare il sistema delle c.d. "regole d'origine" che in virtù di convenzioni di libero scambio (6) ha consentito il superamento ante tempore della limitazione delle quote, purché il prodotto finito d'esportazione fosse realizzato su materia prima (tessuti, filati, ecc.) di origine del paese importatore.
E' inevitabile però l'incompletezza del processo industriale con una divisione oltre che verticale anche orizzontale delle lavorazioni e quindi di stretta interdipendenza delle economie più deboli rispetto a quelle più forti.
Le recenti politiche di intervento dell'Unione appaiono comunque determinate non già a favorire linee di credito a favore del comparto del T&A quanto piuttosto ad implementare, con una riduzione od eliminazione delle tariffe doganali e la disapplicazione delle regole d'origine, la costituzione di un'area di libero scambio all'interno dell'area euromediterranea.
Sembra quindi che l'intendimento dell'Unione sia oggi quello di puntare sui rapporti con quei paesi a forte dedizione industriale verso il comparto qui in esame, quali Turchia, Marocco, Egitto e Tunisia, nonché con gli altri paesi affacciati sulle coste mediterranee e nei cui confronti già l'Ue intrattiene il 50% del proprio commercio di T&A.
Recentissimi interventi in sede Ue registrano, ex regolamento Ce 426/05, l'ingresso di misure antidumping al fine di contrastare le esportazioni di tessuti finiti di seta sintetica per l'abbigliamento (Tfcfp) provenienti da imprese cinesi (7).
Nella stessa direzione si inserisce l'inoltro, da parte della Commissione, di specifici questionari indirizzati alle imprese europee, prodromico alla promozione di indagini informali, all'esito delle quali aprire veri e propri negoziati istituzionali nei confronti della Repubblica popolare cinese (8).
Appare però d'obbligo cautela alla luce del necessario bilanciamento tra le esigenze di tutela del settore T&A e quelle, certamente di maggiore ampiezza, relative il più generale commercio dei beni e dei servizi con la Cina (9) all'interno di un quadro di regolamentazione internazionale da tempo definito in sede Wto (10).
Situazione vieppiù sospesa, atteso che per l'adozione di misure di salvaguardia risulta necessaria una delibera a maggioranza qualificata dei 2/3 degli Stati membri, i quali appaiono invero tra loro già divisi sia sul punto dell'opportunità che del modus agendi (11).
Xxxxxxxxx, vinti e l'impero di mezzo
Da pochi mesi il più grande paese comunista del globo realizza oramai, grazie al viatico dello scozzese Xxxx Xxxxx, quanto nessuna opzione politica avrebbe mai neppure lontanamente sognato.
L'impero di mezzo, che già detiene il 17% del commercio mondiale del settore, sulla base delle analisi della Banca Mondiale, a breve potrebbe salire ad una quota pari al 45%.
La Cina, di recente ammessa al club del Wto, sembra proprio destinata a godere appieno dei benefici del liberismo con liberalizzazione degli scambi dei prodotti tessili e dell'abbigliamento.
Una guerra economica con pochi vincitori ma molti vinti. E questi ultimi pare proprio debbano essere i paesi delle c.d. export processing zones, ovvero quelli con le economie votate all'export tessile in percentuali dal 30 al 93% delle proprie esportazioni di manufatti (12).
Come in precedenza argomentato e per ironia della sorte, il protezionismo delle quote nato per limitare l'accesso dei Pvs ai ricchi mercati occidentali, per uno strano disegno divino cui talora si adegua anche l'economia, ha poi di fatto protetto Stati tra i quali il Xxxxxxxxxx, Xxxx, Xxxxxxxx, Xxxxx, Xxx Xxxxx, Xxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Indonesia, Vietnam, Turchia e Romania.
E' sempre il Ncto a rivelare come ben 31 paesi abbiano sofferto la perdita di quota sul neo liberalizzato mercato americano compresa tra il 75 e il 100%. La Thailandia ad esempio se nel 2001 era leader con il 10% già nel giugno 2004 si ritirava ad un più contenuto 3,4% e lo stesso Messico pur favorito dagli accordi Nafta oltre che dalla vicinanza geografica, passava dall'8 al 2%. E, senza andare troppo lontani, l'Italia contraeva la propria presenza commerciale dal 2,5 all'1,4%.
Riflessi sul mercato del lavoro
Mesi addietro un'indagine del Business Week rivelava come la libertà dei mercati rischiasse di provocare la perdita di circa 30 milioni di posti di lavoro di cui 22 milioni di manodopera femminile. Dati confermati e resi più allarmanti dall'evidenza dei fatti.
Ampio il confronto su questi temi. Xxxxx Xxxx del Contemporary China Centre dell'Università nazionale australiana scrive sull'autorevole Aspenia che un limite al contagio della competizione sud -sud dovrebbe essere un accordo generale tra i paesi del sud del Mondo, volto a determinare un solido terreno di norme per la stabilità dei salari. Ma ricorda come l'inserimento di clausole di carattere sociale nei programmi del Wto è oramai precipitata su un binario morto (13).
Rileva positivamente l'adesione della Cina all'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e la conseguente adesione ai princìpi dell'Organizzazione e quindi alle previsioni della dichiarazione di Philadelfia come ai dettati delle successive convenzioni.
Se è ben vera la difficoltà dell'Oil nell'effettivamente applicare la lettera degli accordi ed ancor di più sanzionare le inadempienze, rimane una indicazione di principio valida per tutti i paesi membri. Recita la dichiarazione Oil del 1998 che tutti i membri, anche qualora non abbiano ratificato le convenzioni in questione, hanno un obbligo, dovuto proprio alla loro appartenenza all'organizzazione, di rispettare, promuovere e realizzare, in buona fede e conformemente alla Costituzione i principi riguardanti i diritti fondamentali che sono oggetto di tali convenzioni (14).
Ma, forse per l'esplodere di una sorta di neo rivoluzione industriale, non può non rilevarsi una sostanziale assenza di tutela delle condizioni di lavoro.
L'inesistenza di un sistema di prevenzione, protezione e gestione dei rischi oltre a provocare infortuni e malattie sul lavoro, spesso favorisce incendi e distruzioni di opifici dove talora la regola edilizia, più che ispirata dal feng shui, è dettata dalla regola del "tre in uno". Ovvero assembramento in un unico edificio sia del magazzino, che del reparto produttivo che del dormitorio per le maestranze.
Nonostante recenti positive normative sul lavoro, più di un osservatore denuncia la distanza tra un impianto normativo meramente formale ed una realtà ove, ad esempio, l'orario di lavoro medio si aggira sulle undici -dodici ore al giorno ed i livelli salariali sono polverizzati a seconda del grado di industrializzazione delle diverse aree, dell'età e di una miriade di altri fattori. Certamente il continuo ricorso ai Mingong, i giovani contadini emigrati delle province rurali, l'utilizzo del lavoro minorile, il ricorso esponenziale al lavoro straordinario, il difetto di un apparato sindacale rappresentativo, consentono un'agguerrita concorrenza internazionale da parte della Cina, specie nelle attività, quali quelle del T&A, estremamente labour intensive. Ma la Cina ha intrapreso, non pare possibile negarlo, la lunga marcia delle riforme (15).
Monitoraggio, preferenze regionali, clausolee antidumping
In sede di primo rapporto sulla liberalizzazione del settore T&A è stato evidenziato come laddove fosse emersa una situazione di grave compromissione economica delle realtà locali si sarebbero potute applicare le previsioni dettate dalla c.d. clausole di salvaguardia (16). Disciplina di tutela accordata agli Stati Uniti quale condizione per l'ingresso della Cina nel Wto, tale per cui ai primi verrebbe concesso, con
l'intervento di uno specifico Committee For the Implementation of Textile Agreements (17), di poter bloccare importazioni ritenute di grave pregiudizio per il mercato americano.
Il binomio monitoraggio e applicazione di regimi speciali di protezione dei mercati locali appare uno strumento di non rara pratica, ma in parziale contrasto con i principi informatori dell'Organizzazione mondiale del commercio.
Altra via, già sperimentata dagli Usa è stata poi quella degli accordi regionali, negoziati proprio con la Cina quale pacchetto di condizioni per l'esordio nel Wto.
Ulteriore strumento difensivo, sulla cui applicazione si ritiene di fare affidamento è in questo senso quello della clausola shipped before. In altri termini i prodotti di natura tessile partiti dai paesi di produzione prima del 1° gennaio 2005, sarebbero ancora soggetti al regime delle quote, a nulla valendo l'ingresso successivo a tale data nei paesi di importazione. Ma evidentemente si tratta di un mero differimento temporale.
Diverso sostenere allorquando si invocano le citate clausole di salvaguardia la cui disciplina generale è contemplata dall'art. XIX Gatt 1947 (18). In buona sostanza tali previsioni eccezionali accordano ad uno Stato (o nel caso della Comunità alla stessa Unione europea), la facoltà di adottare misure restrittive in deroga all'Accordo generale. Opzioni pronte ad attivarsi laddove l'adempimento a quest'ultimo sia tale da determinare anche potenzialmente la crisi dei produttori nazionali di prodotti similari o concorrenti a quelli oggetto di un anomalo, eccessivo ed imprevedibile aumento delle importazioni.
Lo strumento può essere a valenza generale, con efficacia erga omnes delle misure applicate, oppure a carattere speciale. In tale ultima applicazione il provvedimento a limitazione delle importazioni viene adottato nei confronti di un singolo Stato. Attesa la gravità e specificità del provvedimento lo stesso, nella sua piena efficacia, non è stato mai effettivamente applicato. Peraltro, proprio in sede di Uruguay Round i membri del Wto si sono impegnati a porre termine a tutte le misure applicate in regime di salvaguardia dalle importazioni entro il termine di otto anni dalla loro adozione o di cinque anni dall'entrata in vigore dell'Organizzazione mondiale del commercio.
E' importante registrare che nel corso dei negoziati per l'ingresso della Cina nel Wto è stato però contemplato, a favore dei paesi importatori, un più facile ricorso alle misure di salvaguardia, anche speciale con una durata sino a dodici anni.
Quanto alle nuove misure restrittive ne è consentito il ricorso ove acclarato il danno grave all'industria locale e sempre che le stesse siano proporzionate al pregiudizio subìto. Anche in questo caso esiste un rigido termine temporale poiché la durata non può superare i quattro anni rinnovabili al massimo per pari periodo.
L'art. 6 dell'Accordo Wto sulle misure di salvaguardia contempla poi degli interventi provvisori a difesa delle economie aggredite da anomale importazioni. Ed infatti, ove provato che l'incremento delle importazioni abbia causato o minacciato di causare un grave pregiudizio alla posizione di una industria nazionale, con provvedimento d'urgenza, potranno applicarsi aumenti tariffari per un periodo comunque non superiore ai 200 giorni.
Attento alla legittimità ed alla congruità delle clausole di salvaguardia è deputato, ai sensi dell'art. 3 del citato Accordo, un Comitato sulle misure di salvaguardia istituito sotto l'autorità del Consiglio per gli scambi di merci ed aperto alla partecipazione di qualsiasi membro che intenda aderirvi.
In fattispecie di contenzioso avente per causa petendi proprio la corretta applicazione delle clausole di salvaguardia, l'Organizzazione mondiale del commercio ha seguito una linea d'intervento restrittivo nel riconoscere legittimità a siffatte previsioni. Ripetutamente però le restrizioni al commercio tra Stati o l'inserimento di quote a contingentamento delle esportazioni ove interdetti per la disciplina generale (o per la difficoltà di applicazione delle clausole in parola), si sono realizzati in ragioni di convenzioni bilaterali.
Infine per la difesa commerciale vengono spesso invocate le c.d. misure anti-dumping. A differenza delle clausole di salvaguardia incardinate a protezione di una economia in crisi, gli interventi anti-dumping rilevano quale barriera a fenomeni di concorrenza, nel caso di specie, internazionale.
L'art. 2 dell'accordo relativo all'applicazione dell'art. VI del Gatt 1994 recita che "ai fini del presente accordo, un prodotto è da considerarsi oggetto di dumping, cioè immesso in commercio da un paese in un altro a prezzo inferiore al suo valore normale, se il prezzo di esportazione di tale prodotto, esportato da un paese all'altro, è inferiore a quello comparabile, praticato nell'ambito di normali operazioni commerciali, per un prodotto similare destinato al consumo nel paese di esportazione".
La misura è già stata ampiamente applicata dall'Unione europea, atteso che, come rammenta Cavalieri (19), circa la metà delle misure anti-dumping adottate dalla Ue sono state applicate proprio nei confronti di prodotti cinesi.
D'altro canto la disciplina anti-dumping, a differenza delle previsioni in tema di clausole di salvaguardia, è ben radicata in un apposito codice che ha recepito gli accordi del Xxxxxxx Round e del Tokyo round (20).
Si badi comunque che la norma internazionale non vieta il dumping, quanto piuttosto intende regolare gli strumenti di reazione all'importazione sotto costo. L'imposizione di un dazio anti-dumping è consentita infatti ad uno Stato membro il quale accerti un danno rilevante alla propria industria e comunque limitatamente al periodo di vigenza di siffatto pregiudizio.
\tbegin~\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx8575~\p1~\d10~Tavola 1 - Schema integrazione quote stabilito dall'accordo Ata\d0~\cell~\row~
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\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx921~\p1~\d10~II\d0~\cell~
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\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx921~\p1~\d10~III\d0~\cell~
\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx2951~\d10~Dall'85ømese (1ø gennaio 2002)\d0~\cell~
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\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx921~\p1~\d10~IV\d0~\cell~
\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx2951~\d10~Dal 121ø mese (1ø gennaio 2005)\d0~\cell~
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\tbegin~\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx475 pt~\p1~\d10~Tavola 2 - Ex Wto tessile\d0~\cell~\row~
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\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\bt1~\cellx475 pt~\p1~\d10~\b~(percentage shares)\b0~\d0~\cell~\row~
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\xx0x\xxxxx000x\x0x\x00x000\x0x\xxxxx
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\intbl~\br1~\bl1~\bt1~\cellx475 pt~\d10~Note: The figures exclude Eu (15) intra-trade and Hong Kong, China re-export.\d0~\cell~\row~
\intbl~\br1~\bl1~\bb1~\cellx475 pt~\d10~Source: Wto Secretariat.\d0~\cell~\row~\tend~
Note:
(1) Mercato cinese comunque tutt'altro che omogeneo atteso che nell'impero celeste si parlano sette lingue, ottanta dialetti e coesistono sviluppi differenziati per aree ben distinte anche geograficamente (dal gelo del nord alle zone subtropicali del sud) oltre che per reddito, cultura, alfabetizzazione e stili di vita, come da più parti viene segnalato in tutta la sua problematicità rispetto l'ingresso nel Wto. Ex
plurimis cfr. Xxxxxx, "Commercio mondiale a rischi protezionismo", in Corriere della Sera del 10 novembre 2001, e di recente Zakaria,
"Does the future belong to China", in Newsweek del 9 maggio 2005. Interessante l'intervento polemico di Zingales, "Che follia" le barriere, in L'espresso del 12 maggio 2005.
(2) Xxxx, "Gli standard di lavoro: il gioco al ribasso", in Aspenia Il tempo della Cina di Aa.vv, Mi 2003, 107.
(3) Per una approfondita disamina delle tensioni determinate dalla Cina all'interno del sistema del commercio mondiale si veda Restal, "Da
dove viene la concorrenza sleale", in Aspenia, cit., 136 e, rimanendo ai media, da ultimi, Camozzi, "Aiuto il tessile si sfile", in Panorama del 12 maggio 2005 e Maggi, "Invasione made in Cina", in l'Espresso del 12 maggio 2005.
(4) Riferisce da ultimo Il Sole 24 Ore del 14 settembre 1994 in "Tessile, grandi manovre anti-Cina, che grandi aziende quali la Weiquaio
Texile, il più grande cotoniere cinese hanno quasi raddoppiato l'offerta di prodotti nella prima metà del 2004".
(5) Così in xxx.xxxxxxxxxx.xxx. "Il mondo della moda alla fine dell'era a.C. (avanti Cina)" e per interventi sui quotidiani si veda "Ue-sponda
sud, si riparte dal tessile di Sessa" in Il Sole 24 Ore del 22 luglio 2004 e Xxxxxxxx, "Senza limiti l'export nella Ue", in Il Sole 24 Ore del 31 dicembre 2004.
(6) Si veda per tutte l'Everything But Arms del 2001 ove l'Ue, Pvs e Pms hanno convenuto una liberalizzazione delle esportazioni di questi
ultimi paesi verso quelli d'Europa.
(7) Le disposizioni in parola contemplano misure di contenimento per quei prodotti importati dalla Cina ed aventi filamenti di poliestere
testurizzati e/o non testurizzati, tinti o stampati per un valore eguale o superiore all'85% del manufatto.
(8) Come riportato da Xxxxxx, "Tessile pressing su Bruxelles", in Il Sole 24 Ore del 26 aprile 2005.
(9) Lo stesso negoziatore europeo Xxxxx Xxxxxxxxx ha ritenuto che eventuali misure non possano che essere "equilibrate, proporzionali e
difendibili", come riportato da Balistri, "Perse 13.000 aziende e avanzano i cinesi", in Il Sole 24 Ore del 4 maggio 2005.
(10) Prospettazione di cautela avanzata dallo stesso direttore generale del Xxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx il quale ha ritenuto (in Merli, "E' presto per far scattare quote contro i tessili cinesi", in Il Sole 24 Ore del 6 aprile 2005) di non raccomandare iniziative unilaterali e di
attendere piuttosto dati certi riferibili quantomeno al primo semestre 2005.
(11) In sede di recente riunione dei Ministri del Commercio Estero in Lussemburgo, a fronte di richieste di intervento spiegate dai tredici paesi più sensibili alla problematica (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Polonia, Grecia, Belgio, Slovenia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Lituania e Cipro), residua ben più d'una resistenza sostenuta dal fronte definito "nordico - liberista" poco disponibile ad applicare
regimi limitativi unilaterali alle importazioni di T&A della Cina (x. Xxxxxx art. cit.).
(12) Come già sostenuto da questo autore, "Cina comunista, ma avida di liberismo", in Libero 29 dicembre 2004, pensiero condiviso anche
da Tessa, "La liberalizzazione" in Affari e Finanza di La Repubblica 10 gennaio 2005 e da Sessa, "I paesi emergenti chiedono tutele", in Il Sole 24 Ore del 31 dicembre 2004.
(13) Xxxx, cit., p. 107.
(14) Così in "Dichiarazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sui Princìpi ed i Diritti fondamentali nel lavoro ed i suoi seguiti", in
G.u. 12 giugno 2000, n. 135.
(15) Dal titolo di un articolo di Cavaliera in Corriere della Sera del 1° ottobre 2004.
(16) In dottrina internazionalistica vedi per tutti Bestagno, "Le clausole di salvaguardia nel diritto internazionale", Xxxxxxx, 1998.
(17) Misure di salvaguardia che vennero applicate nel passato dagli Stati Uniti per limitare nel 2002 l'importazione di prodotti dell'acciaio da
parte della Ue, poi abolite in quanto ritenute illegittime da parte del Wto l'anno successivo.
(18) Per una lettura approfondita in tema di organizzazione di commercio internazionale e, in particolare di disciplina delle misure di
salvaguardia vedi Xxxxxxxxx, "L'Organizzazione Mondiale del Commercio", 2° ed., Xxxxxxx, 2004, 16.
(19) Cavalieri R., "Ma la Cina sa stare alle regole?" in Aspenia.
(20) Un lungo percorso con esordio nello statunitense Antidumping Act del 1916 in buona parte recepito dall'art. VI Gatt 1947, ai contrasti relativi la riserva applicativa accreditata agli Usa e non all'Ue e sino alla rivisitazione perfezionata nel corso dell'Uruguay round.