Anno XIX
Anno XIX
n. 5
Settembre - Ottobre 2005
L’accordo di “consigment stock” internazionale
di Xxxxxx Xxxxxxxxx
Il temine in questione individua uno dei contratti atipici del commercio estero, di cui si registra negli ultimi tempi una sempre più ampia frequenza di utilizzo anche in Italia, dove tale strumento sta guadagnando un rapido consenso negli ambienti industriali, sia tra le piccole che le grandi imprese.
Si tratta in sostanza di un contratto di fornitura con effetti traslativi differiti, in base al quale un soggetto (il fornitore) trasferisce beni di sua proprietà presso un deposito di un’altra azienda sua cliente, solitamente collocata all’estero, nel quale i beni rimangono stoccati fino al momento in cui quest’ultima ne effettua il prelievo, momento dal quale viene a determinarsi anche l’obbligo di pagamento. Il compratore, di conseguenza, differisce il momento dell’esborso finanziario (corrispondente al prezzo delle merci) al momento del loro prelievo dal magazzino. Tramite l’accordo di consignment stock l’azienda cessionaria può quindi disporre immediatamente dei beni di cui ha bisogno per il processo produttivo, tenendoli a propria disposizione in un luogo vicino alle linee di produzione, così da poterli facilmente prelevare in base alle sue esigenze, effettuando il pagamento delle singole partite prelevate solo al momento in cui ne avviene l’effettivo utilizzo.
La caratteristica principale dell’accordo di consignment stock è costituita pertanto dal fatto che l’effetto traslativo della proprietà si verifica per l’acquirente non già al momento della consegna della fornitura al cessionario, ma al momento del prelievo della stessa da parte di quest’ultimo dai locali in cui è immagazzinata, prelievo che può essere effettuato sia in blocco che a più riprese, in base alle esigenze dell’azienda. Oggi, grazie alle attuali tecnologie informatiche che consentono lo scambio elettronico di dati, il fornitore può essere aggiornato continuamente e con immediatezza riguardo all’utilizzazione delle merci fornite in conto consignment stock al proprio cliente, di modo da poter provvedere con altrettanta immediatezza alla fatturazione del venduto.
Il fornitore delle merci pertanto, conserva la proprietà dei beni sino al momento in cui il cliente esprime l’intenzione di acquistarli, a prescindere dall’uso che quest’ultimo intenda fare della merce.
Infatti l’accordo in questione trova applicazione non solo nei casi in cui il cessionario dei beni sia un diretto utilizzatore della merce (com’è il caso ad es. di un’azienda che acquista materie prime o prodotti semilavorati per trasformarli in prodotti finiti), potendo essere lo schema negoziale in questione essere utilizzato anche da soggetti che svolgono la semplice attività di rivendita di beni importati, i quali dunque si limitano ad effettuarne la commercializzazione senza eseguire alcuna operazione di trasformazione sugli stessi. Molti importatori, anche nel nostro Paese, ricorrono di fatto a tale meccanismo per introdurre in Italia prodotti di aziende estere, i quali vengono lasciati giacere nel proprio magazzino senza alcun impegno finanziario e/o rischio commerciale, determinandosi l’effettivo acquisto di tali prodotti (e quindi l’obbligo di pagamento) solo al momento in cui essi vengono effettivamente rivenduti.
A prima vista, l’accordo di consignment stock sembrerebbe presentare vantaggi per la sola azienda concessionaria, dato che è quest’ultima a trarre i maggiori benefici, sia sotto il profilo finanziario (differimento della nascita dell’obbligo di pagamento al momento dell’effettivo prelievo della merce), che operativo (merce già a disposizione del cliente nel proprio magazzino, il quale procede al suo acquisto solo se e nel momento in cui essa è convenientemente utilizzabile). In realtà esso produce vantaggi anche a carico del fornitore, il quale ha innanzitutto la possibilità di conseguire notevoli risparmi sia dal punto di vista produttivo che logistico attraverso l’invio di grossi quantitativi di merce in luogo di una serie di invii a più riprese di piccoli quantitativi di merce, ottimizzando e riducendo i costi di gestione delle spedizioni ed ottenendo significative economie di scala. Inoltre, gli consente un abbattimento del costo di magazzinaggio dei prodotti oggetto della fornitura, essendo quest’ultimo onere di fatto trasferito ai clienti, i quali devono provvedere allo stoccaggio delle merci loro inviate. Va infine tenuto conto anche del fatto che l’accordo in questione consente ai fornitori di avere una migliore percezione delle esigenze dei propri clienti all’estero, così da meglio programmare le proprie forniture e di rifornirli con maggiore rapidità, con conseguente miglioramento del proprio servizio.
Nell’ordinamento italiano esiste una particolare figura contrattuale che presenta notevoli affinità con l’accordo di consignment stock, rappresentata dal contratto estimatorio (regolato dagli artt. 1556 -1558 cod. civ.), il quale viene definito (art. 1556) come quel contratto con cui " …una parte consegna una o più cose mobili all'altra, e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito". L’elemento caratterizzante del contratto in questione è rappresentato quindi dalla facoltà concessa all’affidatario di una o più cose mobili di alienare nel proprio interesse le cose ricevute e di restituire le quantità rimaste invendute, senza che osti alla sua configurazione la mancata esplicita previsione di un termine per l’esercizio dell’indicata facoltà di restituzione (in questo senso, Cass. Civ., Sez. Lavoro, 29.10.1991, n. 11504 e Cass. Civ., Sez. III,
06.04.1982, n. 2137). Tipico esempio di rapporto estimatorio è quello tra edicolante ed editore, dove il prezzo dei giornali e delle riviste costituisce ricavo per l’editore, mentre per il rivenditore il ricavo è rappresentato dal solo aggio riconosciutogli sulle vendite (vedasi Commissione Tributaria Centrale, Sez XIII, 16.07.1997, n. 3935 e Cass. Civ. Sez. I, 06.05.1987, n. 4188).
Il contratto estimatorio dunque, al pari dell’accordo di consignment stock, consente a chi riceve i beni di disporre di una scorta di prodotti senza dovere sostenere impieghi finanziari sino al momento del loro impiego (entrambi presuppongono dunque una pluralità di movimentazioni di merce a fronte di un unico trasferimento della proprietà). Questa analogia tra i due contratti consente di applicare, con gli opportuni adattamenti, molte delle clausole tipiche del contratto estimatorio al contratto di consignment stock. Anche sotto il profilo tributario molte regole dettate specificamente per il contratto estimatorio si estendono all’accordo di consignment stock. A quest’ultimo proposito, si può considerare la Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 235/E del 18 ottobre 1996, la quale espressamente estende l’applicabilità della normativa di cui all’art. 6, comma 2, lett. d), dPR 633/1972, specificamente dettata per i contratti estimatori, all’ipotesi in cui determinati beni vengano inviati dall'Italia in un altro Stato membro in conto consignment stock, stabilendo che ai fini IVA, l’operazione di cessione intracomunitaria si considera effettuata “all’atto della loro rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione”. Nell’ipotesi in considerazione quindi, poiché il passaggio della proprietà viene differito al momento del prelievo dei beni da parte del destinatario-cessionario, si presume che anche l'acquisto intracomunitario si realizzi in tale momento, ma in ogni caso non oltre un anno dalla consegna. Ancora, l’articolo 39 del DL 331/1993, con chiaro riguardo al caso dell’azienda che riceve dalla Ue beni in conto consignment stock, prevede che “nel caso di beni ricevuti in dipendenza di contratti estimatori e simili, l’acquisto di essi si considera effettuato all’atto della loro rivendita o del prelievo da parte del ricevente ovvero, se i beni non sono restituiti anteriormente, alla scadenza del termine pattuito dalle parti e in ogni caso dopo un anno dal ricevimento”. [sul punto si è pronunciato anche il Ministero per l’Economia e Finanze, il quale con R.M. n. 44/2000, ha precisato che, relativamente ai beni inviati in Italia da un altro stato membro, affinché si possa beneficiare della disposizione in esame, il gestore del deposito Iva deve essere lo stesso soggetto che ha ricevuto la merce in conto consignment stock (realizzandosi quindi la particolare fattispecie di gestione di un deposito Iva in conto proprio)].
Infine, l’ultimo provvedimento relativo al contratto in questione, promanante dall'Agenzia delle Entrate (Risoluzione 5 maggio 2005, n. 58/E), fornisce alcuni chiarimenti in merito al trattamento applicabile, ai fini dell’imposizione IVA, alle operazioni di cessione di beni effettuate nell’ambito
di un contratto di consignment stock ed in particolare in merito al rilevamento del plafond in ipotesi di cessione di beni al di fuori del territorio comunitario, in esecuzione di contratti di consignment stock. In essa viene infatti stabilito che tali vendite sono considerate come cessioni all'esportazione, non imponibili ex art. 8, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 633/1972. Il rilevamento del plafond, tuttavia, non avviene al momento dell'invio dei beni al deposito nel Paese terzo, ma nel successivo momento in cui l'acquirente preleva i medesimi beni dal deposito che vengono, quindi, fatturati dal fornitore. La Risoluzione precisa anche che nel diverso caso in cui i beni siano stoccati presso un deposito all'estero di proprietà del fornitore nazionale, l'operazione si configura non più come cessione all'esportazione, ma come cessione fuori campo IVA, non concorrendo pertanto alla formazione del plafond.