AGENZIA 4
FTAnews Speciale 2015 - 2016
Indice generale
AGENZIA 4
I parametri per distinguere un agente da un procacciatore 5
Il problema della quantificazione dell'indennità di cessazione del rapporto di agenzia 6
La differenza tra monomandato e esclusiva 7
La mancata contestazione dell'estratto conto provvigioni 8
Le provvigioni indirette 9
La restituzione degli anticipi provvigionali corrisposti agli agenti 10
Le provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto 11
La responsabilità dell'agente in caso di furto del campionario 12
La Cassazione torna a pronunciarsi sulla ripartizione dell'onere della prova tra agente e preponente 13
La Cassazione torna ad occuparsi del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia. 14
E’ legittimo il recesso per giusta causa della preponente se l’agente utilizza espressioni critiche aventi determinate caratteristiche 15
Il risarcimento del danno ulteriore secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea 16
Il concetto di "nuovi clienti" secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea 17
LAVORO 18
Dopo l'attuazione del Jobs Act, necessari per le aziende check up e revisione di modelli e prassi 19
Le collaborazioni rese in regime di partita IVA dopo i decreti attuativi del Jobs Act 21
Le nuove norme sull'utilizzo degli strumenti informatici e di registrazione delle presenze introdotte dal Jobs Act 23
Dal 12 marzo 2016 in vigore la nuova procedura sulle dimissioni e sulle risoluzioni consensuali 24
CONTRATTUALISTICA 26
La joint venture: una delle forme di cooperazione tra imprese 27
Il principio di buona fede nella cessazione del contratto di concessione di vendita 29
La competenza giurisdizionale del giudice italiano in materia di illeciti civili a mezzo internet 30
CONTRATTUALISTICA INTERNAZIONALE 31
La scelta del tipo di intermediario per entrare in un nuovo mercato estero 32
Il contratto internazionale di distribuzione commerciale 33
Il contratto di agenzia in Spagna 35
Il contratto di agenzia nel Regno Unito 37
I contratti con gli agenti e con i distributori del Regno Unito dopo la Brexit 39
AGENZIA
I parametri per distinguere un agente da un procacciatore
Con la sentenza n. 1974 del 2/2/2016 la Sezione lavoro è tornata a pronunciarsi sulla distinzione tra agente e procacciatore d’affari.
Nella sentenza in esame la Suprema Corte ha innanzitutto ribadito le differenze tra le due figure, precisando che i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata zona, realizzando così con quest'ultimo una collaborazione professionale non episodica ed autonoma, con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo.
Per contro, il rapporto di procacciamento d'affari consiste nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie gli ordini dei clienti, trasmettendoli all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali ordini.
Mentre la prestazione dell'agente è stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è, invece, occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.
In altri termini, il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento d’affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento di affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo e ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o la sporadica raccolta di ordini e non l’attività promozionale di conclusione di contratti.
Inoltre nella sentenza in commento la Cassazione ha individuato i parametri per distinguere la figura dell’agente da quella del procacciatore:
• la pattuizione di anticipi provvigionali;
• l’assegnazione di una zona;
• la previsione di un patto di esclusiva;
• la cadenza e gli importi delle fatture;
• l’esistenza di un patto di non concorrenza al termine del rapporto.
In buona sostanza, i suddetti parametri individuati dalla Suprema Corte costituiscono degli indici della non genuinità del rapporto di procacciamento d’affari, che consentono la riqualificazione di tale rapporto come rapporto di agenzia.
Il problema della quantificazione dell'indennità di cessazione del rapporto di agenzia
La disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia risente in maniera significativa dei problemi di sovrapposizione tra codice civile e accordi economici collettivi (a.e.c.).
Infatti, a seguito dei decreti legislativi di attuazione della direttiva 86/653, il testo dell’art. 1751 c.c. è stato completamente modificato, venendo meno la correlazione in precedenza esistente tra codice civile e accordi economici collettivi, ai quali l’art. 1751 c.c. in passato effettuava un espresso rinvio.
Il nuovo testo dell’art. 1751 c.c. non contiene più alcun rinvio agli accordi economici collettivi, che però continuano a prevedere in proposito una disciplina specifica, determinando così non pochi problemi di coordinamento.
Dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale sul tema in esame, è intervenuta la Corte di Giustizia che, con una sentenza del marzo 2006, ha stabilito la sostanziale non conformità degli accordi economici collettivi (in particolare quelli del 1992) con il testo della direttiva 86/653.
Conseguenza diretta della suddetta sentenza della Corte di Giustizia avrebbe dovuto essere la declaratoria di inefficacia delle disposizioni contenute negli accordi economici collettivi, che riguardano la quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia.
Tuttavia in Italia sono seguite due sentenze della Corte di Cassazione dell’ottobre 2006, confermate poi da numerose pronunce successive, secondo cui i criteri di calcolo indicati negli accordi economici collettivi costituirebbero una sorta di minimo garantito per l’agente.
In altri termini, mentre sino al marzo 2006 i criteri degli accordi economici collettivi erano ritenuti maggioritari come un valido e generale metodo di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, l’attuale posizione della giurisprudenza della Cassazione considera gli accordi economici collettivi come un mero trattamento minimo, salva la facoltà dell’agente di richiedere, laddove più favorevole, il diverso trattamento previsto dall’art. 1751 c.c.
Da un punto di vista operativo ne consegue che attualmente, quando cessa un contratto di agenzia, è possibile quantificare l’indennità di cessazione del rapporto dovuta all’agente in una “forbice” compresa tra un limite minimo, calcolato secondo gli accordi economici collettivi, e un limite massimo calcolato in applicazione dell’unica indicazione fornita dall’art. 1751 c.c., ossia un’annualità di retribuzioni calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente negli ultimi cinque anni di durata del contratto oppure calcolate sulla media delle somme percepite dall'agente nel corso dell'intero rapporto, se esso è stato di durata inferiore ai cinque anni.
Peraltro spesso tale “forbice” è molto ampia, in quanto nella prassi la differenza tra il limite minimo e il limite massimo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia consiste in un importo rilevante.
Questa situazione di incertezza può determinare, in sede stragiudiziale, difficoltà per le parti ad individuare soluzioni transattive ragionevoli e, in sede giudiziale, quantificazioni diverse da parte dei giudici in casi simili.
La differenza tra monomandato e esclusiva
Nella prassi i concetti di monomandato ed esclusiva vengono spesso confusi tra di loro, essendo erroneamente considerati come sinonimi.
In realtà tali concetti sono distinti e hanno finalità diverse.
Per poter meglio cogliere tale distinzione occorre fornire prima una definizione dei due concetti.
Il concetto di monomandato è previsto esclusivamente dagli Accordi Economici Collettivi (i cosiddetti “A.E.C.”), secondo cui è agente monomandatario l'agente che si obbliga a prestare la propria attività in favore di un’unica preponente.
L’esclusiva in favore della preponente, invece, è prevista anche dal codice civile e implica per l’agente il divieto di assumere nella zona contrattualmente assegnata incarichi per conto di imprese in concorrenza con la stessa preponente.
E’ evidente, quindi, la differenza tra esclusiva e monomandato, considerando che:
• con la clausola di monomandato la preponente impedisce all’agente di assumere incarichi per qualunque altra preponente, incluse, quindi, le preponenti che trattano prodotti non in concorrenza;
• con la clausola di esclusiva in favore della preponente, invece, quest’ultima impedisce all’agente di assumere, nella zona contrattualmente assegnata, incarichi da parte di preponenti che trattano prodotti in concorrenza, con la conseguenza che (in presenza di una clausola di plurimandato) l’agente può assumere in tale zona incarichi da parte di preponenti che trattano prodotti non in concorrenza.
Infatti la finalità della clausola di monomandato è quella di far sì che l’agente impieghi le proprie energie unicamente per la promozione dei prodotti della preponente, mentre la finalità della clausola di esclusiva è quella di evitare che l'agente svolga in una determinata zona attività promozionale per prodotti in concorrenza.
Pertanto, in presenza di una clausola di monomandato l’agente deve operare per un’unica preponente a prescindere dal tipo di prodotti e dalla zona di riferimento, mentre in presenza di una clausola di esclusiva in favore della preponente (e in regime di plurimandato) l’agente può assumere incarichi nella stessa zona di riferimento da parte di preponenti che trattano prodotti non in concorrenza.
La mancata contestazione dell'estratto conto provvigioni
L’estratto conto provvigioni deve essere consegnato periodicamente all’agente e deve riportare i singoli affari per i quali gli è riconosciuta la provvigione e la misura di quest’ultima.
A volte capita che per alcuni affari la misura della provvigione non corrisponde a quella pattuita nel contratto di agenzia, senza però che l’agente effettui alcuna contestazione al riguardo.
Pertanto si è posto il problema di dare un significato alla mancata contestazione dell’estratto conto provvigioni da parte dell’agente.
Sul punto la giurisprudenza è divisa tra due posizioni contrastanti.
Secondo un orientamento giurisprudenziale l’accettazione tacita e prolungata nel tempo da parte dell’agente di tutti gli estratti conto provvigionali trasmessi periodicamente dalla preponente costituisce elemento sufficiente a far desumere indirettamente anche l’accettazione delle differenti condizioni economiche riconosciute dalla preponente per alcuni specifici affari.
Secondo un altro orientamento giurisprudenziale, invece, qualora un contratto di agenzia contenga una clausola secondo cui l’estratto conto provvigioni si considera approvato se non contestato entro trenta giorni, l’approvazione dell’estratto conto non preclude l’impugnabilità della validità e dell’efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti, in quanto l’approvazione tacita riguarda solo le somme risultanti nell’estratto conto, ma non vale come rinuncia ad eventuali crediti per affari non compresi negli estratti conto approvati.
Le provvigioni indirette
L’art. 1748, II comma, c.c. prevede il diritto dell’agente al riconoscimento delle c.d. provvigioni indirette, ossia le provvigioni anche per gli affari conclusi direttamente dalla preponente con clienti che l’agente aveva precedentemente acquisito per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o categoria o gruppo di clienti riservati all’agente. E’ comunque consentito alla parti di derogare alla predetta disposizione, accordandosi diversamente nel singolo contratto di agenzia.
In altri termini, salvo espresso accordo contrario, l’agente ha diritto alle c.d. provvigioni indirette anche per quegli affari che la preponente ha concluso direttamente con clienti appartenenti alla zona dell’agente o che lo stesso ha in precedenza acquisito per affari dello stesso tipo.
Secondo la giurisprudenza per il riconoscimento in favore dell’agente delle c.d. provvigioni indirette devono coesistere i due seguenti presupposti:
• esclusiva di zona in favore dell’agente;
• espletamento da parte dell’agente di una seppur minima attività promozionale, predisponendo un’organizzazione o svolgendo un’attività quantomeno informativa nei confronti del cliente, da cui scaturisca la conclusione del contratto.
Pertanto il diritto dell’agente alle c.d. provvigioni indirette non è da intendersi come una “rendita” derivante dal solo fatto che lo stesso agente beneficia dell’esclusiva di zona.
In buona sostanza, per il riconoscimento di tale diritto in capo all’agente è necessario anche lo svolgimento, diligente ed assiduo, dell’attività promozionale ed informativa da parte dell’agente stesso, in modo tale che gli affari conclusi direttamente dalla preponente siano comunque riconducibili a tale attività.
La restituzione degli anticipi provvigionali corrisposti agli agenti
Di recente sia la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. lavoro 20/3/2015 n. 5715), sia la giurisprudenza di merito (Trib. Monza Sez. lavoro 7/7/2015) sono tornate ad occuparsi del tema della restituzione degli anticipi provvigionali corrisposti agli agenti.
Il contenzioso tra agente e preponente relativamente alla restituzione degli anticipi provvigionali si verifica per lo più al termine del rapporto di agenzia (specie nel caso in cui è l’agente a recedere), quando la preponente ha corrisposto all’agente provvigioni in eccesso rispetto a quelle effettivamente maturate da quest’ultimo e/o in generale rispetto ai crediti di quest’ultimo derivanti a qualsiasi titolo dal rapporto di agenzia.
Come ribadito dalle due sentenze sopra menzionate, che si inseriscono in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia, la restituzione in xxx xxxxxxxxxx, xx xxxxx xxxx’xxx. 0000 x.x., xxxxx xxxxxxxx provvigionali corrisposti in eccesso ad un agente presuppone che:
• nel contratto di agenzia sia specificato che si tratta di un “anticipo provvigionale soggetto a successivo conguaglio”;
• nell’oggetto delle fatture sia inserita la dicitura “anticipo provvigionale” e non quella “provvigioni” o quella “minimo garantito”;
• l’avvenuto pagamento degli anticipi provvigionali da parte della preponente sia provato in via documentale (ad es. attraverso la produzione in giudizio delle copie delle disposizioni di bonifico);
• la preponente dimostri in giudizio la mancata maturazione da parte dell’agente del diritto alle provvigioni ricevute.
Le provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto
L’art. 1748, III comma, c.c., riconosce all’agente il diritto alle provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto (c.d. provvigioni postume) in due ipotesi:
• se la proposta è pervenuta all’agente o alla preponente prima della fine del contratto;
• se gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dopo lo scioglimento del contratto e la conclusione dell’affare è da attribuirsi prevalentemente all’attività svolta dall’agente.
Il concetto della ragionevolezza del termine di cui all’art. 1748, III comma, c.c. ha dato luogo a diversi problemi interpretativi, che sono stati risolti dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. A.E.C.), attraverso la fissazione di un termine preciso in sostituzione della generica previsione “termine ragionevole” contenuta nel suddetto art. 1748 c.c.
In particolare, sia l’A.E.C. commercio 16/2/2009 (art. 5), sia l’A.E.C. industria 30/7/2014 (art. 6) hanno stabilito un termine di sei mesi dalla data di cessazione del contratto, decorso il quale l’affare non può ritenersi attribuibile all’agente, con la conseguenza che quest’ultimo non ha diritto alle relative provvigioni. Ad ogni modo, per richiedere il pagamento delle provvigioni in questione, è necessario che l’agente abbia consegnato alla preponente una relazione dettagliata con gli affari in xxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxxxxx.
La responsabilità dell'agente in caso di furto del campionario
Gli Accordi Economici Collettivi (cosiddetti A.E.C.) sia del settore commercio, sia del settore industria disciplinano espressamente l’addebito del campionario.
In particolare:
• l’art. 4 dell’A.E.C. settore commercio 16 febbraio 2009 stabilisce che il contratto può prevedere l’addebito totale o parziale del valore del campionario all’agente, nel solo caso di mancata o parziale restituzione o di danneggiamento non derivante dal normale utilizzo, mentre è vietato l’addebito del campionario all’agente per motivi diversi;
• l’art. 3 dell’A.E.C. settore industria 30 luglio 2014 stabilisce che il valore del campionario affidato all’agente potrà essere addebitato in caso di mancata o parziale restituzione o di danneggiamento non dovuto alla normale usura da utilizzo, mentre non è consentito l’addebito del campionario all’agente per motivi diversi.
In base ad una interpretazione letterale delle suddette norme degli A.E.C. sembra possibile addebitare all’agente il valore del campionario in caso di furto, in quanto tale fattispecie non configura un caso di mancata restituzione e/o di danneggiamento derivante dal normale utilizzo del campionario.
A sostegno della tesi della responsabilità dell’agente in caso di furto del campionario va considerato anche che:
• di solito nei contratti individuali di agenzia si precisa che la preponente rimane proprietaria dei campionari che affida all’agente in comodato d’uso;
• ai sensi dell’art. 1804 c.c. il comodatario è tenuto a custodire ed a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia;
• in base alle norme sulla responsabilità del comodatario, in caso di furto del bene in comodato, il comodatario è responsabile per colpa non in caso di semplice prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ma qualora, avuto riguardo alle circostanze concrete, il comodatario stesso non abbia posto in essere tutte le attività richieste dall’ordinaria diligenza (ad esempio la chiusura dell’autovettura a chiave con i vetri completamente alzati e con il sistema di allarme antifurto inserito durante le soste, anche temporanee; il ricovero dell’autovettura in rimesse private o pubbliche durante le ore notturne).
Pertanto l’agente, per essere esonerato dalla sua responsabilità in caso di furto del campionario, deve riuscire a dimostrare in un eventuale giudizio di aver adottato tutte le misure richieste dall’ordinaria diligenza per evitare tale furto, posto che la mera denuncia penale da parte dell’agente non è di per sé elemento idoneo a liberarlo da tale responsabilità.
La Cassazione torna a pronunciarsi sulla ripartizione dell'onere della prova tra agente e preponente
Con la sentenza n. 486 del 14/1/2016 la Cassazione ha ribadito che la ripartizione dell’onere della prova tra agente e preponente deve tener conto del principio della c.d. riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova.
Tale principio è riconducibile all’art. 24 della Costituzione ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio.
Pertanto, in base al principio giuridico sopra enunciato, in una causa promossa da un agente per il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto potrebbe essere ritenuta fondata la richiesta dell’agente di ottenere tutte le necessarie informazioni di carattere contabile (in possesso della sola preponente) indispensabili per assolvere l’onere probatorio a carico dell'agente relativo all’aumento del numero dei clienti e del volume di affari procurati nel corso del rapporto.
La Cassazione torna ad occuparsi del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia
Con la sentenza dell’11/6/2015 la Cassazione è tornata ad occuparsi del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia. In particolare la Suprema Corte, dopo aver ricostruito l’evoluzione normativa dell’istituto in esame, ha affermato i principi giuridici qui di seguito sintetizzati.
• Ai sensi dell’art. 1751 bis c.c. il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo la cessazione del rapporto di agenzia deve farsi per iscritto e deve riguardare la medesima zona, clientela e prodotti per i quali era stato concluso il contratto di agenzia. La durata massima del patto in questione è di 2 anni.
• A partire dall’1/6/2001 il patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia si applica esclusivamente agli agenti che esercitano la loro attività in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. A.E.C.), a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali.
• Dal tenore letterale dell’art. 1751 bis c.c. non si evince che tale norma prescrive contenuti essenziali del patto a pena di nullità, bensì che esso non può eccedere i limiti posti dalla norma medesima a tutela della libertà negoziale dell’agente per il periodo successivo all’estinzione del contratto di agenzia.
• Se il patto di non concorrenza eccede i limiti previsti dall’art. 1751 bis c.c., esso rimane valido, ma non produce i suoi effetti per la parte eccedente tali limiti.
• La mancata specificazione nel patto di non concorrenza della zona, della clientela o dei prodotti non può determinare di per sé l’invalidità del patto stesso, salvo il caso in cui tali elementi non sono determinati nel contratto di agenzia o comunque non sono determinabili in via interpretativa.
• Sono leciti i patti di non concorrenza stipulati prima dell’1/6/2001 (data di entrata in vigore della legge n. 422/2000 che ha reso oneroso il patto in esame), che non prevedono un compenso per l’obbligo di astensione post contrattuale assunto dall’agente.
• In assenza di una specifica disciplina transitoria predisposta dal legislatore, la legge n. 422/2000 non può trovare applicazione ai patti di non concorrenza stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore, sebbene rispetto ad un rapporto di agenzia cessato successivamente e ad un patto di non concorrenza che non ha ancora avuto esecuzione.
E’ legittimo il recesso per giusta causa della preponente se l’agente utilizza espressioni critiche aventi determinate caratteristiche
Con la sentenza 24/4/2015 il Tribunale di Palermo - Sezione Xxxxxx ha ritenuto legittimo il recesso per giusta causa intimato da una banca ad un promotore finanziario, che aveva utilizzato nei confronti della preponente espressioni critiche aventi le seguenti caratteristiche:
• intento di conseguire ingiustificati vantaggi personali per il promotore anche a detrimento degli interessi della banca;
• modalità tali da generare discredito fuori dall’ambito dei diretti interlocutori del promotore (e cioè i suoi manager), coinvolgendo anche soggetti estranei alla banca.
In particolare il Tribunale di Palermo ha stabilito che quando le critiche di un agente nei confronti della preponente hanno le caratteristiche sopra indicate vengono superati i limiti entro i quali - secondo una precedente sentenza della Cassazione (Cass. n. 12873/2004) - è lecito per un agente manifestare espressioni critiche verso la preponente.
Il risarcimento del danno ulteriore secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea
Con la sentenza 3 dicembre 2015, C-338/14, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che l’art. 17, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che la concessione del risarcimento del danno ulteriore non è subordinata alla dimostrazione dell’esistenza di un illecito imputabile al preponente, che presenti un nesso causale con il danno invocato, ma esige che il danno invocato sia distinto da quello risarcito dall’indennità di fine rapporto.
In Italia l’art. 17, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 86/653 è stato attuato dall’art. 1751, IV comma, c.c., in base al quale il riconoscimento all'agente dell'indennità di fine rapporto non priva comunque lo stesso agente del diritto al risarcimento del danno ulteriore derivante dalla cessazione del rapporto.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza italiana l’art. 1751, IV comma, c.c. si riferisce ai danni ulteriori da fatto illecito (contrattuale o extracontrattuale) connesso alla cessazione del rapporto di agenzia.
Tuttavia con la suddetta sentenza la Corte di Giustizia dell’Unione europea sembra aver stabilito che il riconoscimento a favore dell’agente del risarcimento del danno ulteriore non presuppone necessariamente un illecito imputabile al preponente.
Pertanto il principio di diritto enunciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea potrebbe essere utilizzato per sostenere che l’art. 1751, IV comma, c.c. deve essere interpretato in conformità a tale principio, con la conseguenza che pure in caso di una risoluzione legittima del contratto di agenzia, oltre all’indennità di fine rapporto, si potrebbe richiedere anche il risarcimento dei danni ulteriori, purché tali danni siano distinti da quelli risarciti con l’indennità fine rapporto (ad esempio danni per denigrazione professionale, per ingiuriosità del recesso del preponente, per investimenti non recuperabili, per costi di licenziamento del personale non più utilizzabile).
Sarà, quindi, interessante notare se la giurisprudenza italiana interpreterà l’art. 1751, IV comma, c.c. conformemente alla sentenza 3 dicembre 2015 della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Il concetto di "nuovi clienti" secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea
Con la sentenza 7 aprile 2016, C-315/14, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che l’art. 17, paragrafo 2, lettera a), primo trattino della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che “nuovi clienti” possono essere anche quelli procurati dall’agente che hanno già intrattenuto in precedenza rapporti d’affari con la preponente per quanto riguarda gli articoli commercializzati dalla preponente in una determinata gamma di prodotti, ma non per quanto riguarda quelli per i quali la preponente ha conferito all’agente un incarico di vendita esclusivo.
Per meglio comprendere l’importanza e la novità della sentenza in commento è utile ricostruire brevemente la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza, che è stata emessa in un procedimento promosso da un agente tedesco dopo la cessazione di un rapporto di agenzia con una società tedesca produttrice di vari marchi di montature per occhiali, al fine di ottenere l’indennità di fine rapporto.
La società tedesca collabora con vari agenti, ad ognuno dei quali conferisce solo collezioni di montature per occhiali di determinati marchi, ma non tutta la sua gamma di prodotti.
L’agente che ha promosso la causa in questione aveva ricevuto un incarico per la vendita delle collezioni di montature per occhiali relative a due marchi.
Di conseguenza, tale agente si trovava in concorrenza con gli altri agenti di zona della preponente ai quali era stato conferito un incarico per la vendita di altre collezioni di marchi di montature per occhiali.
La società tedesca aveva fornito all’agente un elenco di clienti comprendente ottici che avevano già acquistato da essa collezioni di montature per occhiali di marchi diversi da quelli oggetto del contratto e, quindi, la medesima società ha sostenuto in causa che tali clienti non potevano essere considerati “nuovi clienti” ai fini dell’ottenimento dell’indennità di fine rapporto.
Per contro, l’agente tedesco ha sostenuto che gli ottici che, grazie ai suoi sforzi, avevano acquistato per la prima volta montature per occhiali con i marchi a lui contrattualmente assegnati dovevano essere considerati come “nuovi clienti”, anche se erano già stati in precedenza clienti della preponente per altri marchi di montature per occhiali.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha risolto la controversia in esame enunciando il principio di diritto sopra riportato, e cioè che “nuovi clienti” possono essere anche quelli procurati dall’agente che hanno già intrattenuto in precedenza rapporti d’affari con la preponente per quanto riguarda gli articoli commercializzati dalla preponente in una determinata gamma di prodotti, ma non per quanto riguarda quelli per i quali la preponente ha conferito all’agente un incarico di vendita esclusivo.
Tale principio potrebbe essere utilizzato anche in Italia nelle cause tra agenti e preponenti riguardanti il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto di cui all’art. 1751 c.c. quando vi sono circostanze analoghe a quelle presenti nella sentenza in commento (in particolare zona non in esclusiva e affidamento all’agente solo di determinate linee di prodotti). Sarà, quindi, interessante notare se la giurisprudenza italiana interpreterà il concetto di “nuovi clienti” conformemente alla sentenza 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
LAVORO
Dopo l'attuazione del Jobs Act, necessari per le aziende check up e revisione di modelli e prassi
Dopo che tutti gli otto decreti attuativi del Jobs Act sono stati approvati, ad inizio 2016 le aziende si trovano di fronte all’esigenza di attuare al loro interno tale riforma, revisionando i modelli contrattuali, le lettere di assunzione, le lettere sulle mansioni, le prassi nonché le regole relative agli strumenti di lavoro ed ai controlli a distanza.
Innanzitutto con il decreto legislativo sulle tutele crescenti le aziende sono state poste di fronte alla necessità di gestire un doppio binario: uno per i vecchi assunti (e cioè per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015) e l’altro per i nuovi assunti (e cioè per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015).Per i lavoratori assunti dal 7 marzo del 2015 il decreto legislativo sulle tutele crescenti fa, infatti, sorgere la necessità di modificare le lettere di assunzione ed i codici disciplinari, la procedura da seguire in caso di licenziamenti fondati su un giustificato motivo oggettivo, il contenuto delle lettere di licenziamento e la procedura da applicare per la loro consegna, oltre che i testi degli accordi in caso conciliazione.
Tutti questi cambiamenti non sono, invece, da implementare per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, a cui continuano ad applicarsi le vecchie regole.
Per contro, il problema del doppio binario non si pone per il decreto legislativo che ha riorganizzato tutti i rapporti di lavoro flessibili e speciali (v. lavoro a tempo determinato, somministrazione di manodopera, apprendistato), in quanto tale decreto si applica a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro data di assunzione. Tuttavia in tal caso è necessario sia un aggiornamento di tutti i riferimenti normativi contenuti nei modelli di contratto già utilizzati, sia una revisione del loro contenuto, in considerazione della nuova disciplina di ciascuna tipologia di rapporto lavoro flessibile e speciale.
Per quanto riguarda poi gli standard di contratto di collaborazione a progetto, le aziende dovranno sostituirli con un nuovo tipo di contratto di collaborazione coordinata e continuativa, essendo entrata in vigore dall’1 gennaio 2016 la nuova disciplina sulle collaborazioni a partita IVA ed essendo anche stati aboliti da tale data i contratti di collaborazione coordinata e continuativa (xx.xx.xx) e quelli di lavoro a progetto.
Inoltre è stata introdotta una nuova disciplina delle mansioni, che impone altresì un adeguamento delle formule aziendali finora utilizzate per il cambiamento delle mansioni.
Per i controlli a distanza diventa poi necessario aggiornare l’informativa prevista dall’articolo 13 del Codice della privacy ed è opportuno identificare quali sono gli strumenti funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa.
Infine diverse modifiche procedurali sono state introdotte relativamente alla tenuta del Libro unico del lavoro, alla gestione del collocamento obbligatorio, alla sicurezza sul lavoro ed al distacco internazionale, che richiederanno anch’esse per le aziende la necessità di una revisione dei modelli contrattuali e delle prassi da seguire.
In buona sostanza, dopo che tutti i decreti attuativi del Jobs Act sono stati approvati, si apre una lunga stagione di implementazione della riforma, la cui parte più importante dovrà essere attuata sui luoghi di lavoro, proprio ad opera delle aziende.
Le aziende dovranno, dunque, analizzare fino in fondo le innovazioni contenute negli otto decreti attuativi del Jobs Act, in modo da adottare modelli contrattuali e prassi conformi alle varie novità introdotte dal Jobs Act.
Le collaborazioni rese in regime di partita IVA dopo i decreti attuativi del Jobs Act
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, uno dei decreti attuativi del Jobs Act, sono stati abrogati gli articoli da 61 a 69 del d.lgs. n. 276/2003 (c.d. riforma Biagi) relativi alla disciplina delle collaborazioni a progetto e di quelle rese in regime di partita IVA.
In particolare, con riferimento alle collaborazioni rese in regime di partita IVA, il Jobs Act ha abolito i requisiti introdotti dalla legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero) per la genuinità delle collaborazioni a partita IVA, che stabiliva la conversione, dapprima in collaborazioni a progetto e, se il progetto mancava, in rapporti di lavoro subordinato delle prestazioni lavorative rese da persone titolari di partita IVA solo al ricorrere di almeno due dei seguenti requisiti:
• collaborazione con il medesimo committente di durata complessiva superiore a otto mesi per due anni consecutivi;
• corrispettivo derivante dalla collaborazione e, pur se fatturato a soggetti diversi, riconducibile al medesimo centro di imputazione di interessi, superiore all’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti nell’arco di due anni solari consecutivi;
• assegnazione del collaboratore di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
Inoltre, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, le prestazioni delle false partite IVA potranno essere ricondotte nell’alveo della subordinazione in presenza delle prove tradizionali attestanti:
• la mancanza di autonomia;
• l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare dell’imprenditore;
• l’utilizzo dei mezzi di lavoro del datore;
• l’inserimento stabile all’interno del processo produttivo;
• la continuità della prestazione;
• la determinazione delle modalità della prestazione da parte del committente;
• la personalità della prestazione.
Infine il d.lgs. n. 81/2015 ha introdotto una sanatoria per le collaborazioni autonome in regime di partita IVA di dubbia genuinità con scadenza successiva al 1° gennaio 2016, a condizione che:
• i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano in sede protetta un accordo conciliativo finalizzato a definire eventuali controversie di natura economica inerenti al pregresso rapporto di lavoro ed alla relativa qualificazione;
• i datori di lavoro si impegnino a non recedere dai rapporti di lavoro neo-instaurati, se non per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, nei dodici mesi successivi alle assunzioni.
Il vantaggio della stabilizzazione consisterebbe nel fatto che con l’assunzione a tempo indeterminato verrebbero ad estinguersi tutti gli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito degli accessi ispettivi effettuati in data antecedente all’assunzione stessa.
Le nuove norme sull'utilizzo degli strumenti informatici e di registrazione delle presenze introdotte dal Jobs Act
A seguito dell’entrata in vigore di uno dei decreti attuativi del Jobs Act, è stato modificato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, nell’ambito del quale è stato introdotto un nuovo comma, che disciplina in maniera specifica l’utilizzo degli strumenti informatici e di quelli di registrazione delle presenze in azienda.
In particolare tale nuovo comma ha stabilito che:
• agli strumenti informatici (pc, tablet, cellulari, ecc.) ed agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze (badge) in dotazione ai lavoratori per lo svolgimento della loro attività non si applica la procedura autorizzativa (e cioè accordi con i sindacati oppure autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro), che, invece, permane per l’utilizzo degli impianti audiovisivi;
• i dati indirettamente raccolti dall’azienda, attraverso gli strumenti informatici in dotazione ai lavoratori, sono utilizzabili (anche a fini disciplinari) solo a condizione che gli stessi siano stati correttamente e preventivamente informati dall’azienda riguardo alle modalità d’uso di tali strumenti e di effettuazione dei controlli.
In altri termini, a partire dal 24/9/2015, le aziende potrebbero controllare la posta elettronica dei lavoratori o l’uso che i medesimi fanno degli strumenti aziendali (pc, tablet, cellulare, ecc.), purché siano adottati e diffusi regolamenti interni ad hoc, redatti in conformità alle disposizioni in materia di privacy, alle linee del Garante per la protezione dei dati personali ed alle norme contenute nel nuovo art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Alla luce di quanto sopra, da un punto di vista operativo sarebbe opportuno che le aziende contattino quanto prima dei professionisti per rivedere le proprie policy aziendali e/o per implementare dei regolamenti ad hoc sull’utilizzo degli strumenti informatici, degli indirizzi mail aziendali, delle reti interne e di internet, in modo da conformarsi alle nuove norme in materia introdotte dal Jobs Act.
Dal 12 marzo 2016 in vigore la nuova procedura sulle dimissioni e sulle risoluzioni consensuali
Il 12 marzo 2016 entrerà in vigore la nuova procedura telematica sulle modalità di comunicazione delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali, che è stata introdotta da uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il decreto legislativo n. 151 del 14 settembre 2015.
Attraverso le modalità telematiche ed il sistema della doppia autenticazione, la nuova procedura introdotta dal Jobs Act, si prefigge l’obiettivo di garantire:
• il riconoscimento certo del soggetto che effettua la trasmissione (verifica dell’identità);
• la data certa di trasmissione della comunicazione (c.d. marca temporale);
• la possibilità di revoca della comunicazione entro 7 giorni dalla trasmissione;
• l’intervento di un soggetto abilitato per supportare il lavoratore nelle comunicazioni.
Se non si rispetterà la nuova procedura telematica, a partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni e le risoluzioni consensuali saranno inefficaci.
Tale inefficacia, finalizzata a garantire la c.d. “genuinità” delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali, rischia tuttavia di produrre in alcuni casi effetti paradossali.
Infatti il rapporto di lavoro non si interromperà del tutto, se il dipendente si dimetterà con una comunicazione scritta senza utilizzare il modulo telematico o senza effettuare tutte le operazioni previste dalla nuova procedura.
In pratica, il datore di lavoro potrebbe correre il rischio di ritrovarsi come dipendente il lavoratore che volesse tornare in azienda anche molti mesi dopo aver comunicato le proprie dimissioni, senza però rispettare la nuova procedura telematica. Di conseguenza, non va escluso che dal 12 marzo 2016 il datore di lavoro potrebbe addirittura trovarsi di fronte alla necessità di dover chiudere di sua iniziativa il rapporto, licenziando – previo procedimento disciplinare – il lavoratore dimissionario, che non abbia rispettato la nuova procedura telematica disciplinata dal decreto legislativo n. 151 del 14 settembre 2015.
Inoltre con l’entrata in vigore della nuova procedura non verrà del tutto superata l’attuale procedura di convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali stabilita dalla c.d. Riforma Fornero, che continuerà ad applicarsi nei seguenti casi:
• dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro con le lavoratrici xxxxx durante la gravidanza;
• dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro con le madri o con i padri nei primi tre anni di vita del bambino;
• dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro con le madri o con i padri nei primi tre anni dalle comunicazioni di proposta di incontro con il minore adottando o dall’invito ai genitori adottivi a recarsi all’estero, a seconda di come si svolga l’iter di adozione internazionale.
La nuova procedura telematica non si applicherà neppure al lavoro domestico e nel caso di dimissioni e risoluzioni consensuali intervenute presso le sedi protette o le commissioni di certificazione.
CONTRATTUALISTICA
La joint venture: una delle forme di cooperazione tra imprese
La joint venture si colloca nell'ambito delle forme di cooperazione tre imprese (anche di Stati diversi), quali ad esempio gli accordi di subfornitura, di,franchising, ecc.
Di solito le imprese che decidono di dar luogo a una joint venture si pongono come obiettivo la realizzazione di un progetto comune di natura industriale o commerciale, che vede l'utilizzo sinergico di risorse apportate da ciascuna impresa partecipante.
Il ricorso a tale forma di accordo è dettato, quindi, dalla necessità di mettere insieme diversi know how e capitali per la realizzazione del progetto comune di investimento.
Nel nostro ordinamento la joint venture non ha una disciplina specifica, essendo un contratto atipico.
La dottrina definisce la joint venture come un contratto con cui due o più imprese, anche appartenenti a Stati diversi, si impegnano a collaborare nella realizzazione di un un'opera o nella prestazione di un servizio determinato per suddividere i rischi e sfruttare le reciproche competenze.
La Cassazione ha precisato che "...con il termine joint venture vengono indicate le varie e diverse forme di associazione temporanea tra due o più imprese finalizzate all'esercizio di un'attività economica in un settore di comune interesse, siano esse rivolte all'esecuzione di un opera complessa, ovvero limitate alla prestazione di particolari servizi o al compimento di un singolo affare. Per quanto la nozione di joint venture utilizzata nella sua accezione corrente non consenta per la sua ampiezza e generalità, di delineare un preciso istituto giuridico, generalmente nel diritto straniero, soprattutto quello anglosassone, dove questa figura è sorta, si distingue tra contractual joint ventures (o unincorporated joint ventures) e joint venture corporations (o incorporated joint ventures). Nelle prime l'accordo di cooperazione tra le imprese non dà vita ad un'organizzazione distinta da quella dei co-venturers; nelle seconde, invece, le parti prevedono la costituzione di una società di capitali, cui affidare la conduzione dell'iniziativa congiunta. Solo in questo secondo caso si ha la nascita di una nuova società, mentre nel primo caso i co-venturers conservano la loro autonomia: caratteristica del contratto di joint venture è proprio quella di ritenere ogni imprenditore responsabile per la propria parte di opera" (Cass. civ., 17/5/2001 n. 6757).
Nella prassi si distinguono, quindi, due tipologie di joint venture:
• le joint ventures societarie;
• le joint ventures contrattuali.
Le joint ventures societarie
Nel caso di joint ventures societarie gli imprenditori partecipanti costituiscono vere e proprie società di capitali (c.d. veicoli) finalizzate all’esecuzione di un sottostante contratto di joint venture e dirette a gestire iniziative comuni ai partecipanti per poi dividerne gli utili.
Le caratteristiche principali delle joint venture societarie sono le seguenti:
• l’identità comune spendibile nei confronti dei terzi;
• un’organizzazione strutturata e stabile;
• la possibilità di finanziamenti/garanzie anche da parte di soggetti terzi non partecipanti alla joint venture.
In buona sostanza, le joint ventures societarie vengono considerate dagli imprenditori come “alleanze” per così dire a tempo indeterminato.
Le joint ventures contrattuali
Nel caso di joint ventures contrattuali la collaborazione tra gli imprenditori partecipanti si realizza esclusivamente sulla base di uno o più contratti, tra loro collegati, volti ad individuare i ruoli, i compiti e le responsabilità delle parti per il raggiungimento di un target comune in un arco di tempo non lungo e comunque ragionevolmente predeterminato dalle parti stesse.
Le caratteristiche principali delle joint venture contrattuali sono le seguenti:
• il raggiungimento, tramite gli accordi con altri imprenditori, di un obiettivo che ciascun partner
contrattuale non può o non vuole raggiungere da solo;
• la mancanza di particolari formalità;
• la maturazione degli effetti fiscali della collaborazione tra imprenditori direttamente in capo ai singoli partecipanti;
• la maggiore flessibilità e possibilità di “uscita” per i singoli imprenditori partecipanti.
In buona sostanza, le joint ventures contrattuali vengono considerate dagli imprenditori come “alleanze” per così dire a tempo determinato.
Il principio di buona fede nella cessazione del contratto di concessione di vendita
Nell’esecuzione di un qualsiasi contratto il principio di buona fede non solo opera come criterio di reciprocità, imponendo a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, ma costituisce anche un dovere giuridico autonomo a carico di entrambe le parti, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali.
Ne deriva che, nel contratto di concessione di vendita, colui che abbia acquistato merce con segni distintivi del concedente ha diritto alla commercializzazione del prodotto anche successivamente alla data di cessazione del rapporto, qualora il contratto di concessione di vendita non regolamenti le modalità di smaltimento delle giacenze di magazzino rimaste invendute a tale data e, in particolare, non preveda un obbligo di riacquisto dei beni da parte del concedente, né la facoltà di smaltirli da parte del concessionario.
In tal caso, quindi, il concedente non può opporsi alla circolazione di un prodotto nel territorio di uno Stato membro dell’Unione Europea, quando tale prodotto sia stato immesso sul mercato dal concessionario con il consenso preventivo del concedente.
La competenza giurisdizionale del giudice italiano in materia di illeciti civili a mezzo internet
In caso di illeciti civili compiuti a mezzo internet, attraverso la distribuzione di prodotti senza la necessaria licenza proveniente dal titolare del marchio, sussiste al competenza giurisdizionale del giudice italiano, laddove i prodotti siano stati offerti in vendita in Italia.
Infatti, ai sensi dell’art. 7.2 del Regolamento UE n. 1215/2012, quando una persona è domiciliata in un altro stato membro, sussiste in materia di illeciti civili la competenza giurisdizionale del giudice italiano se quest’ultimo è l’autorità giurisdizionale del “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.
Per giurisprudenza comunitaria e nazionale, il luogo in cui si è verificato l’evento dannoso è sia quello in cui si è verificata l’azione da cui è derivato il danno, sia quello in cui si è verificato il danno.
Pertanto in presenza di atti illeciti a mezzo internet (ad esempio l’utilizzazione non consentita di segni distintivi nell’ambito della distribuzione di prodotti sul territorio italiano) non è rilevante stabilire quale sia il luogo in cui sono stati caricati i contenuti del sito internet. Ciò che rileva ai fini della competenza dell’autorità giurisdizionale italiana è che tali prodotti siano stati offerti in vendita sul territorio italiano.
CONTRATTUALISTICA INTERNAZIONALE
La scelta del tipo di intermediario per entrare in un nuovo mercato estero
Quando un’impresa decide di entrare in un nuovo mercato estero deve innanzitutto decidere se avvalersi di intermediari in senso stretto oppure di intermediari-rivenditori.
Gli intermediari in senso stretto (e cioè agenti di commercio, procacciatori d'affari, ecc.) sono soggetti che promuovono la conclusione di contratti in cambio di una provvigione.
Gli intermediari-rivenditori (e cioè distributori, importatori esclusivi, ecc.) svolgono compiti analoghi sotto il profilo commerciale a quelli degli intermediari in senso stretto, ma operano come acquirenti-rivenditori, remunerati attraverso un margine (differenza tra prezzo di acquisto e rivendita).
Per l’impresa esportatrice le due figure sopra indicate rappresentano, rispetto all’apertura di una propria filiale all’estero, una soluzione intermedia assai interessante per i seguenti motivi:
• tali figure comportano per l’impresa esportatrice costi limitati, per di più rapportati alle vendite effettive (vuoi a titolo di provvigione per gli intermediari in senso stretto, vuoi come margine lasciato all’intermediario-rivenditore);
• tali figure possono consentire all’impresa esportatrice di realizzare, attraverso una struttura dedicata una propria politica di commercializzazione, prevedendo ad esempio che gli intermediari in senso stretto o gli intermediari-rivenditori si impegnino a non distribuire prodotti in concorrenza.
Ad ogni modo, esistono delle differenze anche operative tra le due figure: l’intermediario in senso stretto consente all'esportatore un più efficace controllo sulla clientela (alla quale sarà l'esportatore a vendere direttamente), mentre gli intermediari-rivenditori tendono ad escludere l’impresa esportatrice da ogni rapporto con gli acquirenti finali.
Al tempo stesso però, l’intermediario–rivenditore organizza tutta la fase della rivendita, sollevando l’impresa esportatrice ed i clienti finali da una serie di incombenze (sdoganamento, spedizione al destinatario, magazzinaggio), oltre che rivelandosi di solito più adatto allo svolgimento di servizi accessori, che richiedono la predisposizione di apposite strutture. Ciò spiega il successo della figura dell’intermediario–rivenditore nella vendita di prodotti per i quali sono richiesti anche servizi accessori.
Inoltre, per quanto riguarda la suddivisione dei rischi commerciali, nella distribuzione attraverso intermediari in senso stretto il rischio di insolvenza del cliente finale rimane interamente a carico dell’impresa esportatrice.
Nella distribuzione attraverso intermediari-rivenditori, invece, gli stessi assumono per intero sia il rischio della mancata rivendita dei prodotti acquistati, sia quello del mancato pagamento da parte dei clienti.
Tuttavia nella prassi tale differenza è molto attenuata: nei frequentissimi casi, in cui l’intermediario- rivenditore paga la merce posticipatamente con il ricavato delle vendite da lui effettuate, l'insolvenza dei clienti finali si ripercuoterà di fatto sull’impresa esportatrice.
Il contratto internazionale di distribuzione commerciale
Sempre più spesso si parla di internazionalizzazione delle imprese italiane, ma al momento di organizzare la propria rete commerciale all’estero l’imprenditore si trova di fronte a diverse opzioni, ognuna delle quali può incidere in maniera significativa sul buon esito o meno della sua iniziativa imprenditoriale.
Uno dei contratti più utilizzati per la creazione di una rete commerciale all’estero è - insieme al contratto internazionale di agenzia - il contratto internazionale di distribuzione commerciale (detto anche contratto internazionale di concessione di vendita).
Nonostante nella maggior parte dei paesi UE o extra UE il contratto di distribuzione commerciale non sia regolato dalla legge, stanno però emergendo in alcuni Paesi (ad esempio Portogallo, Belgio, Germania, Spagna e Israele) prassi giurisprudenziali che, in presenza di determinati presupposti, prevedono in favore del distributore il riconoscimento di un’indennità in caso di cessazione del contratto.
Il contratto internazionale di distribuzione può essere a tempo determinato oppure a tempo indeterminato. Con tale contratto l’impresa esportatrice si obbliga a fornire per la durata del contratto stesso i prodotti oggetto della concessione ad un rivenditore/distributore e quest’ultimo, a sua volta, si obbliga ad acquistarli dall’impresa esportatrice ed a rivenderli in un determinato territorio (un paese straniero o più spesso un’area geografica omogenea), agendo in nome proprio, per proprio conto ed a proprio rischio.
Quando si redige un contratto internazionale di distribuzione commerciale è opportuno definire in maniera chiara e dettagliata i seguenti aspetti:
• il ruolo del distributore;
• l’imposizione di listini di rivendita, di obbligo di acquisto in esclusiva e in generale tutte quelle obbligazioni che potrebbero configurare una sorta di dipendenza commerciale;
• le obbligazioni del distributore, che assume nel paese di riferimento il ruolo di venditore del prodotto in concessione;
• un territorio proporzionato alle effettive capacità imprenditoriali del distributore, che potrà essere designato come unico distributore dei prodotti contrattuali oppure affiancato dall’impresa esportatrice (che così si riserva la possibilità di effettuare vendite dirette) o ancora essere posto in competizione con un numero limitato di concorrenti tutti parte della rete distributiva;
• il listino prezzi e la modalità di adeguamento dei prezzi medesimi, i termini e le condizioni di fornitura e resa della merce, la suddivisione degli oneri, dei rischi di trasporto e dei costi accessori;
• i mezzi di pagamento e le garanzie bancarie da presentare all’impresa esportatrice per il pagamento degli stock ordinati dal distributore;
• gli obblighi e i divieti che graveranno in capo al distributore in caso di importazione di un prodotto caratterizzato da marchio e brevetto;
• la legge applicabile al contratto;
• la giurisdizione e la scelta del foro competente in caso di contenzioso o, in alternativa, di arbitrato internazionale.
Di solito le imprese italiane non prestano la dovuta attenzione agli aspetti sopra indicati e preferiscono utilizzare modelli contrattuali standard (se non addirittura sottoscrivere accordi predisposti dal distributore estero), senza effettuare preliminarmente una valutazione delle singole clausole contrattuali con un esperto di contrattualistica, in modo da cercare di prevenire complessi e costosi contenziosi internazionali basati su legislazioni e prassi giurisprudenziali diverse da quella italiana.
Il contratto di agenzia in Spagna
Il contratto di agenzia in Spagna è regolato dalla legge 12/1992 del 27 maggio 1992 (“Ley 00/0000, xx 00 xx xxxx, xxxxx Contrato de Agencia”), che ha recepito nell’ordinamento spagnolo la direttiva 86/653/CEE. L’agente di commercio può essere sia una persona fisica, sia una persona giuridica.
L’agente di commercio può operare per più preponenti, se non è stato diversamente pattuito. E’ necessario però il consenso della preponente se l’attività per un’altra preponente riguarda merci o prestazioni dello stesso tipo o simili e si pone in concorrenza con essa.
La legge spagnola non stabilisce alcuna forma particolare per il contratto di agenzia, ma in ogni momento ciascuna delle parti può pretendere dall’altra una stesura per iscritto dell’accordo.
Ad ogni modo determinate clausole contrattuali, come ad esempio quella sulla provvigione oppure quella sul c.d. "star del credere", necessitano sempre della forma scritta.
In Spagna, a differenza dell’Italia, il c.d. “star del credere” è valido, con la conseguenza che, secondo la legge spagnola, in caso di insolvenza dei clienti, l’agente risponde senza limiti, purché lo “star del credere” sia stato pattuito per iscritto e a fronte del riconoscimento di una provvigione aggiuntiva.
Il contratto di agenzia può essere a tempo determinato o indeterminato. In mancanza però di accordo tra le parti sulla durata del contratto, lo stesso si presume a tempo indeterminato.
La legge spagnola ammette la risoluzione immediata del contratto (a tempo determinato o indeterminato), qualora si verifichi una delle seguenti situazioni:
• violazione totale o parziale degli obblighi legali o contrattuali da parte dell’altro contraente;
• stato di insolvenza dell’altro contraente.
In caso di risoluzione del contratto (a tempo determinato o indeterminato), se l’agente ha acquisito nuovi clienti per la preponente o ha sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti preesistenti, l’agente medesimo ha diritto ad un indennizzo, se la preponente ottiene dalla precedente attività dell’agente sensibili vantaggi come prima e se il pagamento dell’indennizzo corrisponde ad equità.
L’indennizzo non deve superare l’importo medio annuale delle provvigioni ottenute dall’agente negli ultimi cinque anni; se, invece, l’intera durata del rapporto contrattuale è inferiore, l’indennizzo viene calcolato sul relativo periodo.
Inoltre sussiste il diritto al risarcimento del danno per l’agente se il contratto a tempo indeterminato viene risolto unilateralmente dalla preponente: tale diritto comprende sia il risarcimento dei danni che l’agente subisce per effetto della risoluzione anticipata del contratto, sia il risarcimento dei danni derivanti dal mancato ammortamento delle spese sostenute dall’agente medesimo su indicazione della preponente per l’esecuzione del contratto.
Entrambi i suddetti diritti dell’agente sono esclusi in caso di recesso da parte dell’agente, a meno che tale recesso sia imputabile al comportamento della preponente.
Nel contratto di agenzia può essere pattuito un divieto di concorrenza post-contrattuale, la cui durata non può superare i due anni.
Tuttavia la legge spagnola non stabilisce l’ammontare dell’indennità dovuta all’agente in tal caso, ma lascia alle parti la possibilità di determinare l’importo di tale indennità.
Il contratto di agenzia nel Regno Unito
La figura dell’agente di commercio è stata regolata in Europa dalla Direttiva 86/653/CEE del Consiglio UE del 18 dicembre 1986 relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti.
Nel Regno Unito il diritto dei contratti di agenzia è dominato dal principio della libertà contrattuale. Vi sono al momento restrizioni solo relativamente ad alcuni diritti e doveri fondamentali dei contraenti in ragione della xxxxxxxx Xxxxxxxxx UE sugli agenti, che è stata recepita in Gran Bretagna con la legge The Commercial Agents (Council Directive) Regulations 1993.
Inoltre, valgono i principi generali della legislazione contrattualistica e della concorrenza.
In buona sostanza, la maggior parte degli articoli della suddetta Direttiva è destinata a dare una tutela minima all’agente e, quindi, non può essere derogata a suo svantaggio.
Ciò riguarda le norme degli artt. 3 e 4 (diritti e doveri dei contraenti), l’art. 10 commi 2 e 3 (sussistenza ed esigibilità del diritto alla provvigione), l’art. 11 comma 3 (diritto alla provvigione), l’art. 13 comma 1 (diritto di entrambi i contraenti di pretendere un esemplare scritto del contratto), l’art. 17 (diritto all’indennizzo dell’agente dopo la fine del contratto), l’art. 19 (illiceità degli accordi che escludono il diritto all’indennizzo).
Ne consegue che, qualora una clausola contrattuale si discosti dal contenuto dei predetti articoli, tale clausola è nulla in quanto illecita e sarà di volta in volta sostituita dalla norma applicabile della Direttiva UE sugli agenti, mentre il resto del contratto resterà valido.
Operativamente nel Regno Unito ogni persona fisica o giuridica può essere agente, non essendo necessario che abbia la sede o la residenza in Gran Bretagna per poter svolgere tale attività.
L’agente non è tenuto a iscriversi alla Camera di Commercio, né ad un albo, non ci sono accordi di categoria vincolanti, né sussiste per le preponente alcun obbligo di versare contributi, trattenute o quote annuali.
Per contro, tutti gli obblighi previdenziali gravano esclusivamente sull’agente.
Nel Regno Unito il contratto di agenzia non è sottoposto ad alcun requisito di forma, nonostante la sopra citata Direttiva UE sugli agenti preveda la forma scritta.
Inoltre va considerato che, sebbene anche il contratto di agenzia concluso in forma orale sia da ritenersi valido, ciascuno dei contraenti può comunque pretendere dall’altro una copia scritta del contratto che ne riporti l’esatto contenuto.
Il contratto di agenzia non è sottoposto ad obblighi di registrazione.
Il contratto è, di solito, a tempo determinato, ma ove si protragga oltre il termine stabilito diventa a tempo indeterminato. Non vi sono norme relative ad un periodo di prova dell’agente.
Nel caso in cui manchi un accordo contrattuale sull’ammontare della provvigione, il compenso dell’agente viene determinato, ai sensi dell’art. 6 della suddetta Direttiva UE, secondo la remunerazione “usuale” e/o “ragionevole”.
Il preavviso minimo per la risoluzione è di un mese per i contratti annuali, due mesi per i biennali, tre mesi per quelli che durano tre o più anni.
Alla risoluzione del contratto l’agente ha diritto a un indennizzo o a un risarcimento danni pari “all’attuale valore di mercato del contratto se questo fosse durato nel tempo”.
La legge non dispone un modello inderogabile, rimettendo la scelta ai contraenti.
La forma più comune di liquidazione è il risarcimento del danno finalizzato ad una compensazione calcolata sulla base del pregiudizio insito per l’agente nell’interruzione del rapporto.
Non vi sono disposizioni di legge che impongano una clausola di non concorrenza post-contrattuale: i contraenti possono, quindi, decidere liberamente che l’agente sia obbligato ad astenersi per un certo periodo di tempo dopo la cessazione del contratto da ogni attività di concorrenza in danno del preponente e che in cambio di questa limitazione della sua libertà lavorativa riceva un’indennità. Sotto il profilo del diritto della concorrenza, tale clausola è lecita soltanto se si riferisce esattamente ai prodotti del preponente, se è limitata ad una determinata zona e non supera una certa durata.
La durata massima consentita, ai sensi dell’art. 20 comma 3 della citata Direttiva UE sugli agenti, è di due anni. Inoltre, sempre secondo tale Xxxxxxxxx, la clausola sulla concorrenza necessita, come detto, della forma scritta.
Nel Regno Unito l’agente può servirsi di un ausiliario, il quale è obbligato soltanto nei confronti dell’agente, ma non ha con il preponente alcuna relazione contrattuale.
Di conseguenza, laddove il contratto principale (tra agente e preponente) sia dichiarato nullo o annullabile, ciò non determina comunque alcun effetto sul contratto con l’ausiliario, che rimane valido.
In linea di massima gli accordi sulla competenza giudiziaria sono possibili, così come eventuali clausole sul diritto applicabile. Tuttavia, qualora il giudice competente in base all’accordo contrattuale non dovesse applicare il diritto del relativo Paese, si dovrà ovviamente considerare che ciò comporta rilevanti costi aggiuntivi (ad esempio per le asseverazioni in relazione al diritto applicabile secondo il giudice o per l’intervento di un interprete).
Laddove le parti non abbiano stabilito nulla in merito al diritto applicabile, si applica il diritto del Paese nel quale l’agente esercita la propria attività. Infine va tenuto presente che all’interno del Regno Unito esistono giurisdizioni differenti, in considerazione delle varie nazioni che lo compongono.
I contratti con gli agenti e con i distributori del Regno Unito dopo la Brexit
Il 23 giugno 2016 si è svolto il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, meglio noto come referendum sulla “Brexit”, che si è concluso con un voto favorevole all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
In pratica per gli Stati dell’Unione Europea il Regno Unito diventerà un partner “extracomunitario”, il che implicherà, tra l’altro, anche la rinegoziazione dei vari contratti di agenzia e di distribuzione che le imprese italiane hanno, rispettivamente, con gli agenti e con i distributori del Regno Unito.
Per l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione Europea ci vorranno due anni, ma non si conoscono ancora le modalità con cui il Regno Unito attuerà la sua uscita e, quindi, al momento non è possibile esprimersi con certezza su quali saranno gli effetti della Brexit sui contratti in essere con gli agenti e con i distributori del Regno Unito.
Tuttavia, in questa prima fase, è opportuno che le imprese italiane tengano in considerazione le seguenti indicazioni di carattere generale.
A) È importante verificare la giurisdizione applicabile ai contratti in essere con gli agenti e con i distributori del Regno Unito, in quanto:
• se i contratti attualmente in essere con gli agenti del Regno Unito non prevedono nulla relativamente alla giurisdizione, allora, secondo le norme internazionali, il giudice competente sarà quello del Regno Unito, qualora l’agente svolga la sua prestazione in tale Stato;
• se i contratti attualmente in essere con i distributori del Regno Unito non prevedono nulla relativamente alla giurisdizione, allora, secondo le norme internazionali, il giudice competente sarà quello del Regno Unito, qualora la distribuzione avvenga in tale Stato.
B) È essenziale verificare la legge applicabile ai contratti in essere con gli agenti e con i distributori del Regno Unito, in quanto:
• se i contratti attualmente in essere con gli agenti del Regno Unito non prevedono nulla relativamente alla legge applicabile, allora, secondo le norme internazionali, la legge applicabile sarà quella del Regno Unito, qualora l’agente abbia la sua residenza abituale in tale Stato;
• se i contratti attualmente in essere con i distributori del Regno Unito non prevedono nulla relativamente alla legge applicabile, allora, secondo le norme internazionali, la legge applicabile sarà quella del Regno Unito, dovendosi applicare la legge del paese di residenza del distributore.
C) È fondamentale tenere presente che la Direttiva CEE 653 del 18 dicembre 1986 riguardante gli agenti di commercio è applicabile solo se l’agente svolge la sua attività in un Paese UE, con la conseguenza che, a seguito della Brexit, tale direttiva in teoria non sarà più applicabile agli agenti operanti nel Regno Unito.
D) È importante considerare che nel Regno Unito il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto è disciplinato dal Commercial Agent Regulations n. 3053/1993, che è la legge con cui è stata data attuazione in tale paese alla Direttiva CEE 653 del 18 dicembre 1986. A seguito della Brexit, tale legge continuerà ad essere valida, finché il Regno Unito non deciderà se modificarla o meno.
E) È essenziale tener conto che, ai fini della quantificazione dell’indennità di fine rapporto dovuta all’agente alla cessazione del rapporto, il Commercial Agent Regulations n. 3053/1993 rimette alle parti la possibilità di scegliere tra un'indennità di clientela, limitata ad un massimo di un anno di provvigioni sulla media degli ultimi cinque, dovuta se e nella misura in cui l'agente abbia sviluppato una clientela da cui il preponente possa trarre vantaggio (c.d. modello tedesco) oppure una riparazione del pregiudizio, senza un limite massimo, che viene normalmente calcolata intorno ai due anni di provvigioni (c.d. modello francese). In mancanza di scelta delle parti, secondo il Commercial Agent Regulations n. 3053/1993, si applica il c.d. modello francese.
F) È fondamentale considerare che nel Regno Unito, così come in Italia, il contratto di distribuzione non è regolato dalla legge. In caso di cessazione di un contratto di distribuzione nel Regno Unito, al pari dell’Italia, non è previsto in favore del distributore il riconoscimento di un’indennità di fine rapporto.
G) È importante tener presente che se ai contratti attualmente in essere con i distributori del Regno Unito si applica la legge italiana, allora, secondo la giurisprudenza italiana, il distributore che ha acquistato merce con segni distintivi del concedente ha diritto alla commercializzazione del prodotto anche successivamente alla data di cessazione del rapporto, qualora il contratto di distribuzione non regolamenti le modalità di smaltimento delle giacenze di magazzino rimaste invendute a tale data e, in particolare, non preveda un obbligo di riacquisto dei beni da parte del concedente, né la facoltà di smaltirli da parte del distributore.
In conclusione, negoziare, redigere e concludere contratti con agenti e distributori del Regno Unito dopo la Brexit richiederà maggiori attenzioni e comporterà problematiche più complesse rispetto a quelle relative ai contratti con agenti e distributori di paesi dell’Unione Europea, per cui sarà necessario affidarsi ad un esperto di contrattualistica internazionale, che valuti attentamente le circostanze specifiche del singolo contratto.