CONTRATTO
XXXXX XXXXXXX
IL
CONTRATTO
EDIZIONE 2022
Premessa V
PARTE I
IL CONTRATTO IN GENERALE
CAPITOLO 1
Il contratto e la libertà contrattuale
1. La centralità del contratto 1
2. Alle origini del contratto 1
3. Il trapasso dalle figure di contratto alla figura del contratto 2
4. Il contratto come paradigma 2
5. Il fondamento dell’obbligatorietà del contratto 3
6. La libertà contrattuale 4
7. La libertà di contrarre 5
8. La funzione sociale del contratto e le restrizioni alla libertà di contrarre. 5
9. Eguaglianza formale e disuguaglianza reale 6
10. L’inserzione automatica di clausole 6
11. L’obbligo di contrarre. Il contratto imposto. Il monopolio 7
12. Il divieto di discriminazione nei rapporti contrattuali 9
12.1 Il quadro normativo antidiscriminatorio 9
12.2 Il fondamento costituzionale del divieto di discriminazione 11
12.3 La ratio del divieto di discriminazione 11
12.4 Il campo di applicazione del divieto e il rapporto con l’autonomia negoziale 11
12.5 Divieto di discriminazioni e parità di trattamento 13
12.6 Offerta al pubblico e discriminazione 14
12.7 La tutela antidiscriminatoria 14
12.7.1 Il riparto dell’onere della prova 16
12.7.2 I poteri rimediali dell’autorità giudiziaria 17
12.7.2.1 L’ordine di cessazione della discriminazione 17
12.7.2.2 La nullità della clausola discriminatoria 18
12.7.2.3 Il risarcimento del danno 18
12.7.2.4 La tutela costitutiva 19
CAPITOLO 2
Le fonti del diritto dei contratti
1. Il contratto come fonte del diritto (autoregolamento) 21
2. Il diritto europeo dei contratti 21
3. Il diritto internazionale dei contratti 22
4. La Costituzione 22
5. Il contratto nel codice civile 24
6. Il contratto nella legislazione speciale e di settore: il nuovo diritto
dei contratti 25
7. I codici di condotta e il fenomeno dell’autodisciplina 26
8. I codici deontologici 27
9. I codici di comportamento, di autodisciplina e i codici etici 28
CAPITOLO 3
Contratto, negozio e atti unilaterali
1. Contratto e negozio giuridico 29
2. La classificazione dei negozi giuridici 29
3. Gli atti unilaterali 32
4. Le promesse unilaterali 33
4.1 Excursus storico sulle promesse unilaterali 34
4.2. La morfologia delle promesse unilaterali 35
4.3 Promesse unilaterali tipiche e atipiche 36
5. Promessa di pagamento e ricognizione di debito 40
5.1 Natura negoziale della promessa 41
5.2 Contenuto degli oneri di allegazione e prova 42
5.3 L’esigenza “funzionale” della forma e il problema
della recettizietà 43
5.4 Oggetto di promessa di pagamento e riconoscimento di debito 44
5.5. Il riconoscimento dei diritti reali 45
6. Le promesse per causa di garanzia 46
7. Le promesse (atipiche) di fare: il problema della giustificazione
causale 47
8. Promessa unilaterale traslativa o costitutiva di diritti reali 48
9. La promessa al pubblico 49
9.1 Promessa e contratto. Promessa al pubblico e offerta al pubblico 49
9.2 La natura gratuita della promessa al pubblico 51
9.3 La promessa al pubblico nell’analisi economia del diritto 52
9.4 L’oggetto della promessa. Promessa e sistema dei diritti reali 53
9.6 La revoca della promessa: la giusta causa 55
10. Gli atti non negoziali 55
10.1 Gli elementi dell’atto giuridico in senso stretto 57
10.2. La classificazione degli atti giuridici in senso stretto 57
10.3 La disciplina dell’atto giuridico in senso stretto 58
CAPITOLO 4
Il contratto e l’accordo non contrattuale
1. Il significato del termine “contratto” 61
2. La definizione normativa di contratto 61
3. Gli effetti del contratto: costituire, regolare o estinguere 62
4. L’incidenza sui rapporti giuridici 62
5. L’intento giuridico 63
6. L’intento giuridico negativo: deliberate no law. Il patto tra gentiluomini 64
7. I rapporti di cortesia: contestual no law 65
7.1 Analisi dei rapporti di cortesia: trasporto, deposito, comodato,
mutuo e mandato 66
8. La patrimonialità del rapporto 67
8.1 Gli accordi su materie non patrimoniali 68
9. I contratti ad interessi non patrimoniali 69
PARTE II
LA FORMAZIONE DEL CONTRATTO
CAPITOLO 1
La conclusione del contratto
1. Formazione istantanea e formazione ex intervallo temporis del contratto 71
2. Gli schemi di formazione del contratto 71
3. La tassatività degli schemi di formazione del contratto 72
4. Modelli normativi di formazione e requisiti minimi di accordo 73
5. Schema generale e schemi particolari di formazione del contratto. 74
6. Lo schema generale: proposta e accettazione 74
7. Proposta e accettazione: natura giuridica 75
8. L’attitudine vincolativa di proposta e accettazione 75
9. Il carattere ricettizio di proposta e accettazione 76
10. La proposta: caratteri e contenuto 77
11. Proposta e situazioni giuridiche conseguenti 77
12. La cedibilità della proposta 78
13. L’accettazione: la conformità 79
13.1. Tempestività e formalità 79
14. Il silenzio “contrattuale” 80
14.1 I comportamenti concludenti. La protestatio 82
15. La revoca in una prospettiva di sistema 83
15.1 Gli effetti della revoca 86
15.2 La forma della revoca 87
15.3 Revoca e mutuo dissenso 88
15.4 L’attributo della revocabilità. 88
16. La revoca della proposta e dell’accettazione 90
16.1 La natura recettizia della revoca 91
17. La caducazione della proposta e dell’accettazione 92
18. L’offerta al pubblico 94
18.1 La revoca dell’offerta al pubblico 96
18.2. Figure affini. L’invito ad offrire 96
18.2.1. La promessa al pubblico 97
18.3. Offerta al pubblico e discriminazione (rinvio) 97
19. Il luogo di conclusione del contratto 97
20. L’accordo delle parti come risultato del procedimento di formazione
del contratto 98
21. Le componenti del consenso. La cosiddetta «volontà comune» o
«volontà contrattuale» 98
22. Il dogma della volontà e la teoria della dichiarazione 99
23. I rapporti contrattuali di fatto 101
CAPITOLO 2
Gli schemi alternativi di conclusione del contratto
1. Il procedimento aggravato di conclusione del contratto 103
2. I contratti reali 103
2.1 La neutralità e la spiritualizzazione della consegna 104
3. Le forme di conclusione aggravate per volontà delle parti 105
4. Le forme di conclusione aggravate per volontà di una parte 105
5. Il procedimento semplificato di conclusione del contratto 105
6. L’inizio dell’esecuzione del contratto: la ratio 106
6.1. I presupposti 106
6.2. Gli atti di esecuzione 107
6.3. Gli atti di appropriazione 108
6.4. La natura degli atti di esecuzione e di appropriazione 109
6.5. L’avviso 110
6.6. La protestatio 110
7. Il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente 111
8. Le tesi contrattualistiche: la fattispecie come contratto bilaterale 111
8.1 La tesi del contratto a formazione unilaterale 113
8.2 La tesi del negozio (promessa) unilaterale 113
8.3. Il campo di applicazione dell’art. 1333 c.c. 114
8.3.1 L’art. 1333 e i negozi a effetti reali 115
9. La conclusione dei contratti plurilaterali 116
9.1 La conclusione dei contratti con parte soggettivamente complessa . 117 10. L’adesione al contratto aperto 117
10.1 La clausola di apertura come proposta, offerta al pubblico, invito
ad offrire 118
10.2 L’adesione del terzo come negozio unilaterale a se stante 118
10.3 La funzione configurativa della clausola di apertura 118
11. I contratti per adesione 119
11.1 Condizioni generali di contratto 120
12. Il contratto con se stesso: formazione unilaterale del contratto? 121
CAPITOLO 3
La formazione progressiva del contratto
1. La formazione del contratto tra statica e dinamica 123
2. La formazione a tappe del contratto 123
3. Minuta di contratto e puntuazione 124
3.1 La distinzione tra minuta e contratto 125
3.2 Puntuazione completa e puntuazione semplice 127
4. Le lettere di intenti 127
4.1 Lettere di intenti in senso proprio e improprio 128
5. Il pactum de tractando 129
CAPITOLO 4
La responsabilità precontrattuale
1. Buona fede e correttezza nel procedimento di formazione del contratto 131
2. La ratio storica della responsabilità precontrattuale 131
3. La ratio attuale della responsabilità precontrattuale 132
4. La responsabilità precontrattuale nell’analisi economica del diritto 133
5. Il contenuto dell’obbligo di buona fede 134
6. Gli obblighi di informazione (e l’analisi economica del diritto) 134
6.1 Gli obblighi informativi nel codice civile 137
6.2 I doveri di informazione nelle leggi speciali 138
6.3 I doveri convenzionali di informazione 139
6.4. Gli altri doveri di correttezza nelle trattative 139
6.5 I doveri di segretezza e di collaborazione 139
7. Le forme della responsabilità precontrattuale 139
8. Il modello della responsabilità precontrattuale da mancata stipulazione
del contratto 140
8.1 L’impossibilità di concludere il contratto 140
8.2 La revoca della proposta 141
8.3 La responsabilità precontrattuale oltre la trattiva 141
9.1 L’invalidità derivante da violazione di norme imperative 142
9.2 La responsabilità precontrattuale del minore 143
10. Il modello della responsabilità precontrattuale da contratto valido 144
10.1 I “vizi incompleti” della volontà 145
11. L’ambito della responsabilità precontrattuale 146
12. La responsabilità precontrattuale del terzo 147
13. La buona fede e la responsabilità della pubblica amministrazione 149
13.1. Le applicazioni giurisprudenziali 149
14. La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione 151
14.1 Responsabilità precontrattuale “pura” e “spuria” 152
14.2 I presupposti della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione 152
15. La natura della responsabilità precontrattuale 154
16. Il danno risarcibile 157
CAPITOLO 5
I NEGOZI PREPARATORI
1. La proposta irrevocabile 159
1.1 Contenuto e forma della proposta irrevocabile 159
1.2 Gli effetti della proposta irrevocabile 159
1.3. Il termine dell’irrevocabilità 160
1.4 Le irrevocabilità legali 161
2. L’opzione: le differenze con la proposta irrevocabile 162
2.1 L’opzione di fonte legale 163
2.2 Caratteristiche distintive e disciplina del patto d’opzione 163
2.2.1 Opzione e preliminare unilaterale 163
2.2.2 La forma del patto d’opzione 164
2.3. Effetti tra le parti e opponibilità ai terzi 164
3. La prelazione 165
3.1 La prelazione volontaria: le differenze con il contratto preliminare. 165
3.2 La durata della prelazione e le differenze con il divieto di alienare 166
3.3 La causa e la struttura 167
3.4. La forma del patto di prelazione 168
3.5 L’incedibilità della prelazione 168
3.6 La denuntiatio 168
3.7 I limiti al potere di diposizione del concedente di disporre 169
3.8 La violazione della prelazione e la tutela del prelazionario 169
4. La prelazione legale 170
5. Il retratto 171
6. Il contratto normativo 171
6.1 Il contratto normativo interno (o bilaterale) e contratto normativo esterno (o unilaterale) 172
6.1.1. La vincolatività del contratto normativo interno o bilaterale 172
6.2 Il rapporto tra contratto normativo e contratto particolare 173
6.3 Le figure affini al contratto normativo. Contratto tipo e contratto quadro 174
CAPITOLO 6
Il contratto preliminare
1. Nozione ed effetti del contratto preliminare 175
2. La funzione del contratto preliminare 176
3. La natura del contratto preliminare 177
4. Il contratto preliminare bilaterale: distinzione da altre figure 178
5. Il contratto preliminare unilaterale: distinzione da altre figure 178
6. L’ambito di applicazione 178
6.1 Il preliminare di contratto reale 179
6.2 Il preliminare di donazione 179
7. Il preliminare di preliminare 179
8. Il preliminare improprio 181
9. Il preliminare a effetti anticipati 181
9.1 L’evoluzione giurisprudenziale e la riflessione della dottrina
sul “preliminare ad esecuzione anticipata” 182
9.2 La soluzione delle Sezioni Unite 184
9.3 L’inapplicabilità dell’art. 1499 c.c 185
10. Il preliminare per persona da nominare ed a favore di terzo 186
11. Il preliminare di vendita di cosa altrui 187
11.1 Il preliminare di vendita di un bene in comunione 188
11.2 Preliminare di vendita di un bene in comunione legale 188
12. Il contratto preliminare di vendita di cosa futura: la differenza
con la vendita obbligatoria 189
13. Il contratto preliminare con parte plurisoggettiva 189
14. Il preliminare di vendita di bene in comproprietà 190
15. I requisiti del contratto preliminare 191
16. Il rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo: l’ipotesi
della difformità 191
17. I vizi del preliminare: i riflessi sul definitivo 192
18. I vizi del definitivo: la reviviscenza del preliminare 193
19. Il legittimo rifiuto di stipulare il contratto definitivo 193
20. La prescrizione dei diritti nascenti dal preliminare 194
21. La risoluzione del contratto preliminare per inadempimento 194
22. L’eccessiva onerosità sopravvenuta 195
23. Il rimedio speciale previsto per l’inadempimento del contratto preliminare: l’art. 2932 c.c. ed i suoi presupposti 195
23.1 Natura ed effetti della sentenza. La modificabilità del regolamento contenuto nel preliminare 197
23.2. La trascrizione della domanda 199
24. Il preliminare e la tutela per vizi della cosa: l’azione di riduzione del prezzo e quella di esatto adempimento 199
24.1 L’applicabilità dell’art. 1489 c.c . e dell’art. 1482 c.c 202
25. La rescissione per lesione 202
26.1. L’ambito di applicazione della trascrizione del preliminare 205
26.2 Gli atti nei cui confronti opera l’effetto prenotativo 206
26.3 L’effetto prenotativo e la corrispondenza tra il preliminare
trascritto ed il titolo produttivo dell’effetto reale 207
26.4. Limiti temporali dell’efficacia prenotativa della trascrizione
del preliminare 208
26.5. Il privilegio speciale immobiliare per i crediti da inesecuzione
del preliminare e il rapporto con le ipoteche anteriori 209
PARTE III
IL REGOLAMENTO CONTRATTUALE
CAPITOLO 1
Il contratto come regolamento
1. Contratto e regolamento contrattuale 211
2. Elementi essenziali, accidentali e naturali 211
3. Le clausole d’uso 212
4. Le clausole di stile 212
5. Le dichiarazioni di scienza 214
CAPITOLO 2
La causa
1. Il principio causalistico e la mancanza di una definizione di causa
del contratto 215
2. La codificazione del 1942 e la funzione economico-sociale 215
3. L’ipostasi della causa (in concreto) 217
4. I vantaggi della causa in concreto 219
5. La doppia dimensione della causa: in astratto e in concreto 219
6. Differenza tra causa e motivi 220
CAPITOLO 3
Tassonomia della causa del contratto
1. La corrispettività e la causa di scambio 223
2. L’equivalenza delle prestazioni. La causa simbolica e non trasparente 224 3. La causa dei contratti gratuiti 225
4. La causa donandi 225
5. La causa debole 226
6. La causa di garanzia 227
7. I contratti solutori con causa esterna 227
8. Causa e alea 227
8.1 I contratti aleatori tipici 228
8.2 I contratti aleatori per volontà delle parti 229
8.3 Alea bilaterale e unilaterale 229
8.4 La disciplina dei contratti aleatori 230
9. Il contratto astratto: astrazione sostanziale e astrazione processuale 231
10. Il contratto con causa esterna 233
CAPITOLO 4
Causa e tipo
1. La causa come criterio di qualificazione del contratto 235
2. II contratto tipico 235
3. Variazioni del tipo legale 236
4. Il contratto innominato 236
5. La disciplina legale del contratto innominato 237
6. Le variazioni del tipo 237
7. Il contratto transtipico (o metatipico) 238
8. Dal tipo di contratto al contratto-tipo. 239
9. Il contratto misto 240
9.1 La vendita mista a donazione 241
10. Il contratto indiretto 241
11. Il collegamento negoziale 242
11.1 Xxxxx xxxxxxx xxxxx xxxxxx 000
XXXXXXXX 0
Il giudizio causale: il contratto illecito e la meritevolezza
1. Premessa 247
2. L’esistenza della causa 247
2.1. Il giudizio sulla liceità della causa: una ricognizione normativa . 247 3. Le norme imperative 248
3.1 Le norme unilateralmente imperative 249
3.2. La qualificazione della norma tributaria come norma imperativa 249
3.3 La qualificazione della norma penale come norma imperativa 250
3.4 Reati contratto e reati in contratto 252
3.5 La regola di buona fede come norma imperativa 253
4. L’ordine pubblico 253
5. Il buon costume 255
6. II motivo illecito 257
7. La condizione illecita 257
8. La frode alla legge 258
8.1 Il sale and lease back 259
9. Il controllo di razionalità degli spostamenti di ricchezza 260
10. Il controllo di meritevolezza del contratto 261
10.1 Alle origini della meritevolezza 261
10.2 Il controllo di meritevolezza nell’applicazione giurisprudenziale . 263 10.2.1 Una casistica applicativa 263
10.3 Controllo di meritevolezza e contratti atipici 264
10.3.1 Il contratto tipico di assicurazione con clausola claims made 265
10.3. Il controllo di meritevolezza dei contratti tipici 266
CAPITOLO 6
Causa statica e causa dinamica
1. La causa in concreto e la fase di esecuzione del contratto 269
2. Le sopravvenienze che impediscono la realizzazione del programma negoziale 269
2.1 La causa in concreto e la teoria della presupposizione 271
2.2 Una diversa prospettiva ricostruttiva della presupposizione 272
3. La causa in concreto e la giustizia contrattuale 273
CAPITOLO 7
L’oggetto del contratto
1. La nozione di oggetto del contratto 277
2. Oggetto e contenuto del contratto 278
3. L’oggetto e il contenuto nel nuovo diritto europeo dei contratti:
la tutela del contraente debole 278
4. I requisiti normativi dell’oggetto 279
5. Il requisito della possibilità dell’oggetto 279
5.1 Impossibilità originaria e possibilità sopravvenuta. 279
5.2 Impossibilità assoluta e relativa 280
5.3 L’impossibilità parziale 281
5.4. I caratteri dell’impossibilità. Impossibilità materiale e impossibilità giuridica 281
5.5 La distinzione tra impossibilità giuridica e illiceità dell’oggetto 282
6. Il requisito della liceità dell’oggetto 283
6.1 Oggetto illecito e causa illecita 283
7. Il requisito della determinatezza e della determinabilità dell’oggetto . 283
7.1. I criteri per la determinazione dell’oggetto 284
7.2 L’attività di determinazione dell’oggetto e la natura dell’atto
di determinazione 285
7.3. La determinabilità per rinvio 285
8. L’individuazione del bene 286
9. I negozi su cosa futura 286
10. La «prestazione di cosa futura» 287
11. La vendita di cosa futura 288
11.1 Empio spei ed emptio rei speratae 288
11.2 Vendita di cosa futura, vendita di cosa da costruire e contratto
di appalto 289
12. La determinazione dell’oggetto ad opera del terzo (arbitraggio):
l’ambito 291
12.1 Arbitraggio e perizia contrattuale: due istituti diversi a confronto . 292 12.2 L’arbitraggio della parte 293
12.3 L’arbitraggio della parte nei casi previsti dalla legge 295
12.4 La clausola di arbitraggio: contratto completo o incompleto? 295
12.5 La clausola di arbitraggio: effetti tra le parti e nei confronti
del terzo 296
12.6. Clausola di arbitraggio e contratto di arbitraggio 296
12.7 L’atto di determinazione del terzo e la sua incidenza sul contratto 297
12.8. L’esercizio da parte del terzo del potere determinativo 297
12.9 L’impossibilità o il rifiuto del terzo di procedere alla determinazione 298
CAPITOLO 8
L’integrazione del contratto
1. Il contratto incompleto per volontà delle parti 299
2. Tecniche e forme di contrattazione incompleta 300
3. I contratti incompleti nella teoria economica 300
4. Le modalità di determinazione successiva del contratto incompleto 301
5. La determinazione del terzo (rinvio) 301
6. La determinazione consensuale 301
8. Lo ius variandi (rinvio) 302
9. Le sopravvenienze (rinvio) 302
10. Le fonti eteronome del contratto 302
11. L’integrazione con funzione suppletiva e l’integrazione con funzione cogente 303
12. L’integrazione con funzione suppletiva: le norme dispositive 304
13. Usi normativi e usi contrattuali (clausole d’uso) 304
14. L’equità: il significato di un principio poliedrico 306
14.1. Equità interpretativa, correttiva, limitativa e integrativa 306
15. La buona fede quale fonte di integrazione 308
15.1. L’applicazione della buona fede integrativa 309
15.2. La buona fede limitativa 310
15.3. La buona fede correttiva 311
16. L’integrazione cogente: le norme imperative (proibitive e conformative) 311
16.1 La sostituzione automatica di prezzi e clausole 312
CAPITOLO 9
La forma
1. Il principio di libertà delle forme tra passato, presente e futuro 313
2. I contratti per cui è richiesta la forma scritta 314
3. La forma solenne 314
3.1. La forma della donazione indiretta 315
4. I contratti formali e la funzione della forma 315
5. La relatio nei contratti formali 316
6. Il vincolo di forma per relationem 316
6.1 La forma dei contratti su contratti 316
7. La forma del pactum fiduciae: il rapporto con il preliminare e il mandato senza rappresentanza 317
8. La forma volontaria 322
9. Forma per la validità e forma per la prova 322
10. La ripetizione (o riproduzione) del contratto 323
CAPITOLO 10
Il neoformalismo contrattuale
1. Le nuove funzioni della forma 325
2. Il principio di trasparenza contrattuale 326
3. La forma informativa 328
4. Violazione della forma informativa e rimedi 329
5. La forma dei contratti bancari 329
6. La forma del contratto per la prestazione di servizi di investimento 330
6.1 La nullità relativa e selettiva. Cenni e rinvio. 331
CAPITOLO 11
Interpretazione del contratto
1. Premessa 333
2. Le regole dell’interpretazione nel codice civile 333
3. Interpretazione soggettiva e interpretazione oggettiva 333
4. L’interpretazione integrativa 334
5. Interpretazione, integrazione, qualificazione 334
6. Il canone dell’art. 1362 c.c 335
7. Il principio di buona fede 335
8. Il principio di conservazione 336
9. L’interpretazione delle condizioni generali di contratto 337
10. L’interpretazione dei negozi unilaterali 337
11. L’interpretazione dei negozi mortis causa 337
PARTE IV
I SOGGETTI
CAPITOLO 1
Le parti del contratto
1. La nozione di parte nel sistema del codice civile 339
2. Parte in senso formale e parte in senso sostanziale 339
3. Determinatezza delle parti 340
4. Identificazione delle parti 340
5. Contratti personali e a rilevanza personale 341
6. Il contratto sotto falso nome e sotto nome xxxxxx: la rappresentanza mascherata 341
7. La legittimazione 343
8. L’autorizzazione 344
9. Incapacità contrattuali e impedimenti 344
CAPITOLO 2
La rappresentanza
1. La nozione di rappresentanza 345
2. I presupposti e le fonti della rappresentanza 346
3. La natura della situazione soggettiva del rappresentante 346
4. La produzione degli effetti del contratto concluso dal rappresentante
nella sfera giuridica del rappresentato 347
5. La c.d. rappresentanza passiva 348
6. Le differenze fra rappresentante e nuncius 348
7. La contemplatio domini 349
8. L’atto di conferimento del potere di rappresentanza: la procura 350
8.1 La forma della procura 350
8.1.1 La procura conferita tacitamente 352
8.2 Procura generale e speciale 352
8.3 Le modificazioni della procura 352
8.4 La subprocura 353
8.5 Cause di estinzione del potere di rappresentanza: la revoca della procura 353
9. I requisiti di capacità del rappresentato e del rappresentante 354
10. Xxxx, errore e violenza nel contratto concluso dal rappresentante 355
11. La disciplina degli stati soggettivi di buona o mala fede 355
12. II conflitto di interessi 356
12.1 Conflitto diretto e conflitto mediato 357
12.2 L’incompatibilità tra interesse del rappresentante e interesse del rappresentato 357
12.3 La predeterminazione delle condizioni e l’autorizzazione
al contratto 358
12.4 Il pericolo di danno 359
12.5 La conosceva o conoscibilità del conflitto di interessi 359
12.6 Legittimazione all’azione di annullamento 360
12.7 La responsabilità del rappresentante per i danni subiti dal rappresentato 360
13. Il contratto con se stesso (autocontratto) 360
13.1 Le condizioni per l’esclusione del conflitto di interessi: a) l’autorizzazione specifica da parte del rappresentato 361
13.2 La determinazione del contenuto del contratto 362
13.3 La presunzione di conflitto di interessi 362
13.4 Legittimazione attiva all’azione di annullamento 363
14. La rappresentanza senza potere 363
14.1 Le due forme della rappresentanza senza poteri: a) il difetto di rappresentanza 364
14.2 l’eccesso di rappresentanza 364
14.3 L’inefficacia del contratto concluso dal falso rappresentante 365
14.4 La ratifica 366
14.5 La ratifica tacita 367
14.6 Effetto retroattivo della ratifica e salvezza dei diritti dei terzi 368
15. La responsabilità del falso rappresentante 368
16. La rappresentanza apparente e il principio generale di apparenza del diritto 370
17. La rappresentanza mascherata: il contratto sotto nome altrui (rinvio) 373 18. La rappresentanza indiretta 373
CAPITOLO 3
Il contratto per persona da nominare e per conto di chi spetta
1. Il contratto per persona da nominare 375
1.1. Le teorie circa la natura giuridica della stipulazione per persona
da nominare e l’efficacia del contratto. 375
1.2 Il campo di applicazione della figura 377
1.3. Contratto per persona da nominare e cessione del contratto 378
1.4. Contralto per persona da nominare e contratto a favore di terzo 379
1.5 Contratto per persona da nominare e contratto per conto di chi spetta 379
1.6. Il problema degli effetti in pendenza di nomina 380
1.7 Requisiti della nomina 381
1.8 L’accettazione dell’eligendo e la procura anteriore al contratto. 382
1.9. Vizi del contratto e della dichiarazione della nomina; impugnazione della dichiarazione di nomina con l’azione pauliana. 382
2. Il contratto per conto di chi spetta 383
PARTE V
GLI EFFETTI DEL CONTRATTO
CAPITOLO 1
La vincolatività e l’efficacia del contratto
1. La vincolatività del contratto: la “forza di legge” 385
2. L’efficacia del contratto 386
3. I tipi di efficacia: contratti costitutivi, regolamentari, dichiarativi, preclusivi 387
4. La categoria dei contratti a effetti reali (o di alienazione): passaggio
del rischio e conflitto con i terzi 387
5. Tipicità e atipicità dei contratti a effetti reali 389
6. Il contratto di accertamento 390
6.1 La funzione e gli effetti del contratto di accertamento 391
6.2 L’accertamento di diritti reali 392
6.3 La trascrivibilità del contratto di accertamento 392
6.4 Il contratto di accertamento negativo 393
6.5 Il contratto di accertamento e la transazione 393
CAPITOLO 2
Il principio consensualistico
1. La regola del consenso traslativo 395
2. Il principio consensualistico e l’opponibilità del contratto di alienazione 395
3. La posizione dell’alienante 397
4. La posizione dell’acquirente 397
5. La tutela dell’alienante per l’inadempimento dell’acquirente 398
6. Il principio consensualistico in una prospettiva di analisi economica
del diritto 398
7. Le deroghe al principio consensualistico 399
7.1 La vendita obbligatoria 399
7.2 La vendita di cosa altrui e la vendita di cosa futura 399
7.3 La vendita alternativa e con facoltà alternativa 400
7.4 La vendita di cosa generica 400
7.5 Il sistema tavolare 401
7.6 Il contratto di appalto 401
7.7 I contratti x.x. xxxxx. La costituzione di pegno e ipoteca 401
7.8 Il trasferimento dei diritti di credito 402
7.9 Il trasferimento dei titoli di credito 404
7.10 Il contratto programmatico e la scissione tra titulus e modus adquirendi 404
CAPITOLO 3
I contratti su contratti: risolutori e modificativi
1. Il patto risolutorio (c.d. mutuo dissenso) 407
1.2 Gli effetti giuridici del patto risolutorio: la sua opponibilità ai terzi 408
2. I patti modificativi: nozione 409
3. Il contratto normativo: cenni e rinvio 410
CAPITOLO 4
Il recesso e le modifiche unilaterali del contratto
1. Il recesso unilaterale: rapporto con il principio della forza di legge contrattuale 411
2. Il recesso unilaterale: nozione e distinzione dalle figure affini 411
3. La fonte del recesso: legale e convenzionale 413
4. Le funzioni del recesso 413
4.1 Il recesso determinativo (di liberazione) 414
4.1.1 La regola generale del recesso dai contratti a tempo indeterminato 414
4.2 Il recesso impugnazione 414
4.3 Il recesso c.d. di pentimento (ius se poenitendi) 415
5. La clausola di recesso (c.d. volontario) 416
6. I presupposti, il perfezionamento e l’efficacia del recesso 416
7. La forma del recesso 417
8. L’esercizio del diritto di recesso 417
9. Gli effetti del recesso 418
10. Lo ius variandi 419
10.1 L’atto di esercizio dello ius variandi: natura ed effetti giuridici 420
10.2 L’ammissibilità dello ius variandi al di fuori dei casi previsti dalla legge: deroga alla disciplina legale e clausola atipica 422
CAPITOLO 5
Contratto e terzo
1. Il principio della relatività degli effetti del contratto e dell’intangibilità
della sfera altrui 425
2. L’efficacia riflessa e la rilevanza esterna del contratto 426
3. L’opponibilità del contratto 427
3.1 Il conflitto con i terzi 427
3.2 Il conflitto con i terzi aventi causa. 428
3.3 Il conflitto con i terzi creditori. 428
4. Il problema della opponibilità del contratto. L’esigenza di sicurezza
della circolazione giuridica 428
5. I requisiti di opponibilità del contratto. 429
6. La trascrizione come regime di pubblicità e di opponibilità 429
6.1 Atti soggetti a trascrizione 430
6.2 L’opponibilità dell’atto come effetto normale della trascrizione 430
6.3 La dichiaratività della trascrizione 431
6.4 La prevalenza del primo trascrivente 432
6.5 Il regime della trascrizione e la responsabilità dell’alienante 432
7. Regimi di opponibilità diversi dalla trascrizione 433
7.1 Le alienazioni mobiliari e la regola possesso vale titolo 433
7.2 Il conflitto con i creditori dell’alienante 433
7.3 Alienazioni di universalità di mobili 433
7.4 L’alienazione di azienda 434
7.5 L’alienazione di eredità 434
7.5.1 Opponibilità e conoscibilità della cessione da parte dei terzi. 435
7.6 La cessione del contratto 435
7.6 Concessioni di diritti personali di godimento 436
8. Le azioni dirette 436
9. Contratto con effetti solo apparenti nei confronti dei terzi 437
10. La promessa del fatto del terzo 437
10.1 Problemi interpretativi e modelli legali 438
10.2 La posizione di promittente, la natura negoziale della promessa
del fatto altrui, il suo fondamento causale 439
10.3 Il contenuto della prestazione dovuta dal promittente 440
10.4 L’impossibilità sopravvenuta del fatto del terzo 441
10.5 La distinzione da figure affini: la fideiussione 441
10.6 Il contratto autonomo di garanzia 442
10.7 Le lettere di patronage 443
10.8 La vendita di cosa altrui 443
10.9 Struttura e forma della promessa del fatto del terzo 443
11. Il divieto convenzionale di alienazione come indicatore variabile
di scelte di sistema 444
11.1 Le condizioni di validità del divieto convenzionale di alienazione 444 11.2 L’interesse apprezzabile 445
11.3 La durata 446
11.4 Il regime degli effetti 446
11.4.1 Il regime degli effetti in una prospettiva di analisi economica
del diritto 447
11.5 Il ruolo dell’art. 1379 c.c. nel sistema: i divieti convenzionali
di alienazione tipizzati dal legislatore 447
11.5.1 Il divieto di cessione dell’usufrutto 448
11.5.2 Il divieto di disposizione dell’enfiteusi 448
11.5.3 Il divieto di cessione del credito 449
11.6 I limiti statutari alla circolazione di azioni e partecipazioni sociali 449 11.7 I patti parasociali 449
CAPITOLO 6
Il contratto a favore di terzo
1. Contratto a favore di terzo e relatività degli effetti del contratto 451
1.1 La nozione di terzo 452
1.2 Contratto a favore di terzo e figure affini: contratto per persona
da nominare e rappresentanza 452
1.3 La determinazione del terzo 452
1.4 L’interesse dello stipulante 453
1.5 Carattere gratuito o oneroso della stipulazione a favore di terzo. Contratto a favore di terzo e liberalità indiretta 454
1.6 L’acquisto del diritto da parte del terzo 454
1.7 L’accettazione del terzo 455
1.8 Il rifiuto del terzo 455
1.9 Potere di revoca e di modifica dello stipulante 456
1.10 Rapporto tra promittente e terzo. Il diritto all’adempimento
della prestazione 457
1.11 Le eccezioni opponibili 458
11.12 Il contratto a favore di terzo come schema generale di contratto: contratto a favore di terzo e diritti reali 459
11.13 Casistica. Ipotesi problematiche. L’accollo 460
11.13.1 Assicurazione per conto altrui e di chi spetta 461
11.14 Contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo. In particolare: il contratto di prestazioni sanitarie 461
11.15 Il contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo
la morte dello stipulante 462
11.16 Negozio mortis causa e post mortem: contratto a favore di terzo
e patti successori 463
CAPITOLO 7
Efficacia riflessa e opponibilità del contratto
1. Rilevanza esterna e opponibilità del contratto. 465
CAPITOLO 8
La cessione del contratto
1. La cessione del contratto 467
2. Requisiti oggettivi della cessione 467
3. Causa della cessione 467
3.1 Oggetto 468
3.2 La forma 469
3.3 Figure affini 469
3.4 La cessione del contratto come schema generale 471
3.5 Struttura trilaterale della cessione e ruolo del consenso del ceduto . 471 3.6 Effetti della cessione 472
3.7 La cessione non liberatoria 472
3.8 Le eccezioni opponibili dal ceduto 473
3.9 Eccezioni opponibili dal cessionario 473
3.10 Eccezioni del contratto di cessione 473
3.11 Garanzia della validità 473
3.12 Vizi del contratto di cessione 474
CAPITOLO 9
Il subcontratto
1. Il subcontratto 475
2. Profili di struttura e differenze con la cessione del contratto 476
2.1 La disciplina giuridica dei rapporti nascenti dal contratto derivato . 477
2.1.1 La disciplina dei rapporti che sorgono dal contratto derivato 477
2.2 L’ambito applicativo 478
2.3 L’azione diretta 479
CAPITOLO 10
La modulazione degli effetti del contratto
1. Premessa 481
2. La condizione e il termine tra gli elementi accidentali del contratto 481
3. Il termine 481
3.1 Il termine iniziale 483
3.2 Il termine finale 483
3.3 Il termine e il problema della disciplina applicabile 484
4. La condizione 485
5. La condizione come meccanismo (non solo) di regolazione degli effetti . 486
6. La condizione e gli altri elementi accidentali del negozio: a) condizione
e termine 486
6.1 Condizione e «modus» 487
6.2 L’evento deducibile in condizione 488
6.3 Le condizioni improprie 489
6.4 La condizione risolutiva di inadempimento 489
6.4.1 La condizione sospensiva di adempimento 490
6.5 Condizione sospensiva e risolutiva 491
7. La condizione unilaterale 492
7.1 La condizione illecita 493
7.2 La condizione impossibile 494
7.3 Vitiatur et vitiat 494
8. Il tipo di evento dedotto: condizione causale, potestativa e mista 495
8.1 La condizione meramente potestativa 495
8.1.1 La condizione meramente potestativa risolutiva 497
9. La pendenza della condizione 498
10. Gli atti conservativi e la condizione sospensiva 499
11. La tutela dell’aspettativa 499
11.1 Gli atti conservativi e la condizione risolutiva 500
12. Atti di disposizione 500
13. Il comportamento delle parti in pendenza della condizione 501
14. La finzione di avveramento della condizione 502
14.1 La causa imputabile 503
14.2 Ambito di applicazione della finzione di avveramento 504
14.2.1 Una digressione sulla finzione del diritto 504
15. La retroattività 506
15.1 Le deroghe alla regola della retroattività della condizione 507
16. I limiti di apponibilità della condizione 508
17. Condizione volontaria e condizione legale 508
17.1 Condizione legale e condizione tacita 508
17.2 Alcune ipotesi di condizione legale 509
17.3 Condizione legale e retroattività: mancanza di una regola generale
nel senso della retroattività o della irretroattività 509
17.4 Condizione legale e finzione di adempimento della condizione: inapplicabilità, in linea generale, della finzione. 510
17.5 Condizione legale e irrevocabilità del consenso 511
CAPITOLO 11
La simulazione, la separazione e la destinazione patrimoniale
1. Simulazione e apparenza 513
2. Il fenomeno della simulazione del contratto nel codice civile e
la necessità di un inquadramento teorico dell’istituto 513
2.1 I tentativi di ricostruzione del fenomeno 514
3. Contratto simulato e accordo simulatorio 515
4. Simulazione assoluta e relativa 515
5. Interposizione fittizia 516
6. Gli effetti della simulazione tra le parti 517
7. Gli effetti della simulazione nei confronti dei terzi 518
7.1 I terzi creditori 519
8. L’azione di simulazione e l’onere della prova 520
9. Il contratto fiduciario 522
9.1 Fiducia romanistica e fiducia germanistica 522
9.2 Il pactum fiduciae 523
9.3 La causa dell’operazione fiduciaria 524
9.4 Abuso del fiduciario e tutela del fiduciante 525
9.5 I creditori del fiduciario 526
10. Il mandato senza rappresentanza: la tutela del mandante 527
10.1 I creditori del mandatario 528
X. Il trust: traslazione, destinazione e separazione patrimoniale 529
10.1 Il trust interno 531
10.2 Il controllo di meritevolezza degli interessi 532
10.2.1 Il trust nella separazione e nel divorzio 533
10.2.2 Il trust a tutela dei soggetti deboli 533
10.2.3 Il trust nei rapporti patrimoniali della famiglia 533
10.2.4. Il trust liberale e il trust testamentario 534
10.3 Trust illecito, abusivo, fraudolento 535
3.4 Il trust autodichiarato 536
11. Il negozio di destinazione: l’art. 2645-ter c.c. 537
11.1 La meritevolezza dell’interesse 538
11.2.1 La destinazione di scopo e l’autodestinazione 539
11.3 Destinazione statica (o dinamica) 540
11.4 La forma e la trascrizione dell’atto 541
11.5 La tutela del beneficiario 542
11.6 La tutela dei creditori 543
11.7 L’estinzione del vincolo 543
12. L’affidamento fiduciario 543
PARTE VI
I RIMEDI
CAPITOLO 1
I rimedi nell’analisi economica del diritto
1. Le funzioni del contratto nell’analisi economica del diritto 545
2. Le condizioni per la conclusione di un contratto efficiente 545
3. Tipi contrattuali e contratti standard come strumenti di riduzione
dei costi di transazione 546
3.1 Le clausole vessatorie 547
4. I limiti all’autonomia negoziale. La nullità 547
4.1 I vizi del consenso e l’incapacità 547
4.1.1 L’errore. Le informazioni 548
4.1.2 L’allocazione del rischio dell’errore 548
5. I doveri di informazione 549
6. Le asimmetrie informative: la selezione avversa e l’azzardo morale.
I fallimenti del mercato 550
7. L’inadempimento e la responsabilità contrattuale: l’inadempimento efficiente e il rimedio in forma specifica 551
7.1 I limiti alla risarcibilità del danno 552
7.2 La clausola penale 552
CAPITOLO 2
I RIMEDI CONTRATTUALI
1. I difetti del contratto 553
2. La teoria dei rimedi contrattuali 554
3. Tipi di rimedi: negoziali, legali e giudiziali 554
4. I rimedi nell’interesse generale e di parte 555
5. I rimedi per difetti originari o sopravvenuti 555
6. Rimedi estintivi (caducatori) e manutentivi (di adeguamento) 555
CAPITOLO 3
L’invalidità del contratto
1. L’invalidità come categoria dogmatica, non legislativa 557
2. L’invalidità come categoria unitaria, ma diversificata 557
3. Le graduazioni dell’invalidità: nullità e annullabilità. L’invalidità convenzionale 557
4. Il rapporto tra invalidità e illiceità 559
5. Il rapporto tra invalidità (annullabilità), risoluzione e rescissione 559
6. Il rapporto tra invalidità e responsabilità 560
6.1 La buona fede tra regola di responsabilità e regola di validità
del contratto 561
6.2 La trasformazione legale delle regole di condotta in regole di
validità 562
7. Il rapporto tra invalidità e inesistenza del contratto 563
8. Il rapporto tra invalidità e inefficacia del contratto 564
8.1 Inefficacia remediale e non remediale 565
8.2 Inefficacia originaria e sopravvenuta 565
8.3 Inefficacia assoluta e relativa 565
8.4 Inefficacia attuale e potenziale 566
9. Forme discusse di invalidità 566
9.1 L’invalidità successiva (o sopravvenuta) 566
9.2 L’usura sopravvenuta 567
9.3 Invalidità pendente 570
9.4 Invalidità derivata 572
9.4.1 Gli (incerti) effetti delle intese restrittive della concorrenza
sui c.d. contratti “a valle” 573
9.4.1.1 La tesi della nullità totale 574
9.4.1.2 La tesi della nullità parziale 575
9.4.1.3 La tesi della sola azione di risarcimento danni 576
CAPITOLO 4
La nullità “codicistica”
1. La nullità: una categoria in cerca di definizione 579
2. La funzione della nullità 579
3. Il sistema delle cause di nullità 580
4. La nullità virtuale. Le norme imperative 581
4.1 Il rapporto tra nullità virtuale, testuale e nullità strutturale 581
4.2 Il campo di applicazione della nullità virtuale 582
4.3 Le norme di comportamento 582
4.4 La regola di buona fede come norma imperativa 583
4.5 Le regole di comportamento specifiche 584
4.6 La figura dei «reati in contratto» e dei “reati contratto” 584
4.7 La riserva di cui alla seconda parte dell’art. 1418, comma 1, c.c. 586
4.7.1 La circonvenzione di incapace 586
4.7.2 Il contratto usurario 587
4.8 Conclusioni e casistica in tema di nullità virtuale 589
4.8.1 Le ipotesi in cui l’ordinamento proibisce il regolamento contrattuale 589
4.8.2 La stipulazione del contratto vietata ad alcuni soggetti 589
4.8.3 Mancanza di autorizzazioni amministrative 590
4.8.4 Vizi del procedimento amministrativo che deve precedere lo svolgimento di attività contrattuale da parte della pubblica
amministrazione. 590
4.8.5 Violazioni di limiti alla autonomia negoziale della pubblica amministrazione e conseguenze sul contratto concluso con il privato.
Le interdittive antimafia 591
4.8.6 Divieto di stipula del contratto con riferimento alle “modalità” temporali 591
4.9 Alcune considerazioni di sintesi sui criteri di decisione che
emergono dalla casistica giurisprudenziale 592
5. La nullità strutturale 592
5.1 La nullità per difetto di accordo 593
5.2 La nullità per difetto di causa 593
5.3 La nullità per mancanza di oggetto 594
5.4 La nullità per difetto di forma 594
6. Le nullità c.d. “funzionali” (o da disvalore). Contratti illeciti e
contratti “illegali” 594
7. La nullità “testuale” 596
8. L’elaborazione giurisprudenziale sulle ipotesi di nullità testuale extracodicistiche 597
8.1 La vendita di immobile abusivo 597
9. La nullità “impropria” (o “spuria”, o “atipica”): una categoria di
creazione giurisprudenziale applicata ai contratti di locazione 598
10. La simulazione relativa del canone di locazione: insanabile nullità virtuale, testuale o strutturale? 599
CAPITOLO 5
Il regime della nullità “codicistica”
1. Il regime della nullità: un quadro di sintesi 603
2. Gli effetti del contratto nullo 604
2.1 Effetti tra le parti e opponibilità nei confronti dei terzi 604
3. La legittimazione ad agire 605
4. La legittimazione passiva 606
5. La rilevabilità d’ufficio da parte del giudice: presupposti e limiti 606
6. L’imprescrittibilità dell’azione. Usucapione e prescrizione delle azioni
di ripetizione 607
7. Natura ed effetti della sentenza di nullità 608
7.1 La c.d. pubblicità sanante 609
8. Nullità e risarcimento: la responsabilità per conclusione di un contratto nullo 610
9. La nullità parziale 610
9.1 La nullità parziale oggettiva 611
9.1.1 Il rapporto di interdipendenza della clausola nulla con
il contratto 612
9.2 La sostituzione di diritto delle clausole nulle: l’integrazione
del contratto 613
9.3 La nullità parziale soggettiva 615
10. Il recupero del contratto nullo 616
10.1 Il dogma dell’insanabilità del contratto nullo e le eccezioni: le ipotesi classiche di sanabilità mediante esecuzione e le ipotesi di
eliminazione del vizio di creazione giurisprudenziale 616
10.2 La rinnovazione del contratto nullo 619
10.3 La conversione del contratto nullo: la ratio e l’ambito di applicazione 619
10.4 Presupposti della conversione e modo di operare 621
10.5 La conversione formale e la conversione legale 622
CAPITOLO 6
Le nullità speciali
1. Dalla nullità alle nullità. Dalla nullità codicistica alle nullità speciali
di protezione 625
2. Figure emblematiche di nullità “speciali” 626
3. Il nuovo volto della nullità 627
4. Le cause di nullità di protezione 628
5. Il regime giuridico della nullità di protezione 630
6. Il carattere necessariamente parziale della nullità e il problema della conservazione del contratto 630
7. La legittimazione attiva e il rilievo d’ufficio 632
7.1 La nullità “selettiva” 634
8. La “convalida” della nullità di protezione 636
9. Gli effetti della nullità di protezione: efficacia, opponibilità ai terzi, prescrizione dell’azione e natura della sentenza. 638
CAPITOLO 7
L’annullabilità
1. La funzione dell’annullabilità 640
2. Una prospettiva di analisi economica del diritto: la funzione dell’annullabilità fra efficienza e distribuzione 640
3. Le cause di annullabilità: una visione trasversale d’insieme 641
4. Il regime giuridico dell’annullabilità 643
4.1. L’azione di annullamento: i soggetti legittimati 643
4.2 Altre ipotesi di legittimazione: eredi ed aventi causa 643
4.3 Le parti complesse 644
4.4 Pluralità di parti 644
4.5 L’annullabilità assoluta 644
5. La legittimazione passiva 644
6. La non rilevabilità d’ufficio 645
7. La prescrizione dell’azione di annullamento 646
8. L’eccezione di annullamento 646
9. Gli effetti dell’annullamento fra le parti 647
10. Gli effetti dell’annullamento verso i terzi 648
11. L’annullabilità parziale 649
12. L’annullamento ed il risarcimento del danno 649
13. Il recupero del contratto annullabile 650
13.1 La convalida: inquadramento dogmatico della figura 650
13.2 La legittimazione 651
13.3 La natura giuridica della convalida 651
13.3.1 La convalida tacita: natura e modelli 652
13.4 La convalida preventiva e generalizzata 653
13.5 Il campo di applicazione della convalida: il contratto rescindibile
e i negozi unilaterali 653
13.6 La convalida e le figure affini 653
13.7 La rettifica del contratto annullabile 654
13.8 Rettifica, convalida e riduzione a equità 655
CAPITOLO 8
Le cause dell’annullabilità
1. Tassonomia delle cause di annullabilità 657
2. L’incapacità legale di contrattare di una delle parti 657
3. Le singole figure di incapacità legale 658
4. L’annullabilità del contratto stipulato da persona incapace d’intendere
o di volere 661
5. L’amministrazione di sostegno: il regime degli atti compiuti dall’amministratore e dal beneficiario 661
6. I vizi del consenso 663
7. L’errore 663
8. L’errore essenziale, l’errore determinante del consenso e l’errore
sui motivi 665
9. L’errore sulla natura o sull’oggetto del contratto 666
10. L’errore sull’identità o su qualità dell’oggetto della prestazione 666
11. L’errore sull’identità o su qualità dell’altro contraente 667
12. L’errore di diritto 668
13. L’errore di calcolo e la rettifica. L’errore materiale e la correzione 668
14. Riconoscibilità dell’errore 669
15. Errore bilaterale o comune 670
16. L’errore ostativo 670
17. Il dolo negoziale. La distinzione con il dolus bonus 670
17.1 Il contegno del deceptor 671
17.2 Dolo omissivo 672
17.3 Dolo incidente e i vizi incompleti del contratto 672
17.4 Dolo del terzo 673
18. La violenza 673
18.1 La violenza morale: struttura 673
18.2 Il nesso di causalità tra minaccia e consenso. La violenza incidente 674
18.3 L’estrinsecità della violenza. Metus ab intrinseco e timore riverenziale 674
18.4 Contenuto della minaccia. Caratteri della violenza. Minaccia
di far valere un diritto 675
18.5 La minaccia del terzo. La minaccia colposa 676
CAPITOLO 9
La risoluzione per inadempimento
1. La risoluzione nel quadro dei rimedi 677
2. La risoluzione nel sistema dei rimedi sinallagmatici 678
3. La risoluzione per inadempimento nel sistema dei rimedi contro l’inattuazione dello scambio 679
4. Il campo di applicazione della risoluzione per inadempimento:
i contratti a prestazioni corrispettive 680
5. Il presupposto: i “mille volti dell’inadempimento” 680
6. L’imputabilità 681
7. La definitività e l’adempimento tardivo 682
8.1 L’inadempimento anticipato 683
9. La “non scarsa importanza” dell’inadempimento 684
9.1 Il criterio oggettivo 685
9.2 Il criterio soggettivo 686
9.3 L’inadempimento parziale 686
9.4 La risoluzione parziale 687
10. Inadempimenti reciproci 688
11. La legittimazione all’azione di risoluzione 688
12. Dalla domanda di adempimento a quella di risoluzione (e non
viceversa) 688
12.1 La domanda di adempimento subordinata a quella di risoluzione . 690
13. Gli effetti della domanda di risoluzione 690
14. Domanda di risoluzione, costituzione in mora e diffida ad adempiere . . 691
15. L’onere della prova dell’inadempimento 692
16. La prescrizione dell’azione di risoluzione (e della corrispondente eccezione) 693
17. Le clausole di irresolubilità del contratto per inadempimento 694
18. Le clausole che rendono più difficile la risoluzione del contratto
per inadempimento 697
19. Gli effetti della risoluzione del contratto: un quadro di sintesi 697
20. Risoluzione e contratti di durata 698
20.1 La risoluzione del contratto di leasing 699
21. Le restituzioni e la disciplina dell’indebito 700
22. Gli effetti della risoluzione rispetto ai terzi 701
23. Rinuncia agli effetti della risoluzione 701
24. Profili processuali 701
24.1 II danno conseguente alla risoluzione e il risarcimento 702
CAPITOLO 10
La risoluzione di diritto del contratto
1. La risoluzione di diritto 703
2. La risoluzione di diritto nell’analisi economica 703
3. La risoluzione stragiudiziale come sistema tipico 704
4. Risoluzione per via di eccezione? 704
4.1 L’eccezione di risoluzione nell’analisi economica del diritto: vantaggi e inconvenienti 706
4.2 La manifestazione stragiudiziale della volontà di risolvere
il contratto 707
5. Le fattispecie codificate di risoluzione di diritto: analogie e differenze . 707
6. Risoluzione stragiudiziale e imputabilità dell’inadempimento 709
7. La diffida ad adempiere: l’efficienza di uno strumento di autotutela . 710
7.1 Il contenuto della diffida ad adempiere 710
7.2 Natura e caratteristiche strutturali. 710
7.3 La forma 711
7.4 Il contenuto 711
7.5 Analogie e differenze con gli altri strumenti di risoluzione di diritto 711
7.6 Il problema dell’imputabilità dell’inadempimento (rinvio) 712
7.7 Gli effetti della diffida 712
7.8 Il problema della disponibilità dell’effetto risolutorio 713
7.9 Aspetti processuali 714
8. La clausola risolutiva espressa 714
8.1 Contenuto e forma 715
8.2 Le interferenze con la disciplina di protezione del contraente debole. 715
8.3 Gravità e imputabilità dell’inadempimento 716
8.4 Tolleranza del creditore e rinuncia alla clausola risolutiva espressa 716
8.5 Analogie e differenze con la condizione di inadempimento 717
9. Il termine essenziale 718
9.1 Il carattere “essenziale” del termine 718
9.2 L’inadempimento risolutorio: gravità e imputabilità 719
9.3 Il silenzio del creditore e la dichiarazione di interesse per la prestazione dopo la scadenza del termine essenziale 720
9.4 La disponibilità dell’effetto risolutorio 720
CAPITOLO 11
Inadempimento e pene private
1. I limiti dell’azione di adempimento e l’impiego di mezzi di coercizione indiretta: l’astreinte 721
2. Le pene legali-giudiziali oltre l’astreint 722
3. Le pene private negoziali 723
4. La clausola penale 724
4.1 La funzione della clausola penale 724
4.1.1 La clausola penale come patto sulla liquidazione del danno risarcibile 724
4.1.2 La funzione punitiva della clausola penale 725
4.1.3 La teoria mista: la combinazione tra funzione riparatoria e funzione punitiva 725
4.1.4 La funzione della clausola penale nella prospettiva dell’analisi economica del diritto 726
4.2 Al cuore del problema: la questione dei limiti dell’autonomia privata 727
5. La disciplina della clausola penale: la fonte dell’obbligo 728
6. Presupposti di operatività della clausola: a) l’inadempimento dell’obbligazione principale 729
7. I presupposti del diritto alla “prestazione penale”: b) l’irrilevanza della
prova del danno 730
8. Gli effetti della clausola penale: l’obbligo di eseguire la “prestazione penale” 730
8.1 La limitazione del risarcimento del danno 731
8.2 La limitazione del diritto di domandare la prestazione principale 732
9. La penale per il ritardo e la domanda di adempimento 733
10. Il cumulo tra penale per il ritardo e penale per l’inadempimento 733
11. La successione delle domande 733
12. La riduzione della prestazione penale 734
12.1 La riduzione della penale in caso di parziale adempimento 734
12.2 La riduzione della penale manifestamente eccessiva 734
12.2.1 La questione della rilevabilità d’ufficio 736
13. Le clausole penali vessatorie nei contratti dei consumatori e nei
contratti tra imprese 737
14. La caparra confirmatoria: la fattispecie 738
14.1 L’oggetto della caparra e la natura del patto 739
15. La funzione “eclettica” della caparra confirmatoria 739
15.1. Affinità e differenze rispetto ad altre fattispecie 740
15.1.1 L’acconto 740
15.1.2 La cauzione 740
15.1.3 La clausola penale 741
15.1.4 La clausola risolutiva espressa 741
15.1.5 La caparra penitenziale 741
16. Il rapporto con il contratto principale e con la disciplina di protezione
del contraente debole 742
16.1 La riduzione della caparra confirmatoria nel prisma della giurisprudenza 742
16.2 Inadempimento e recesso 743
16.3 Rapporti con gli altri rimedi 743
17. La caparra penitenziale. Affinità e differenze rispetto alla clausola
penale ed alla caparra confirmatoria 744
CAPITOLO 12
Le eccezioni dilatorie
1. Inquadramento 747
2. L’eccezione di inadempimento: la descrizione del fenomeno 747
3. L’eccezione di inadempimento come eccezione sostanziale. 748
4. I presupposti dell’exceptio inadimpleti contractus 748
4.1 Corrispettività ed interdipendenza tra prestazioni 748
4.2 L’inadempimento 749
4.3 L’ordine cronologico delle prestazioni. 750
4.4 Buona fede ed eccezione di inadempimento 750
5. Rapporti tra eccezione di inadempimento e risoluzione. 751
6. Eccezione di inadempimento e prescrizione. 751
7. La sospensione dell’esecuzione della prestazione 752
8. Il mutamento delle condizioni patrimoniali della parte 752
9. La limitazione convenzionale della proponibilità delle eccezioni dilatorie: la clausola solve et repete 753
PARTE VII
LA GIUSTIZIA CONTRATTUALE
CAPITOLO 1
I CONTRATTI ASIMMETRICI
1. Il nuovo diritto dei contratti 755
2. Xxxxx, secondo e terzo contratto 755
3. Il regime normativo del primo contratto: il «contratto di diritto comune» 757
4. Il regime normativo del secondo contratto: il «contratto del consumatore» come nuovo paradigma contrattuale 757
4.1 Giustizia ed equità delle contrattazioni 759
4.2 I presupposti e il sistema di tutela del consumatore contro
le clausole vessatorie: un’ipotesi ricostruttiva 760
4.3 I rimedi all’asimmetria delle parti 762
4.4 La nozione di vessatorietà e i suoi elementi costitutivi ed impeditivi . 764
4.4.1 Lo “squilibrio” di diritti e di obblighi 765
4.4.2 Presunzione di vessatorietà e ripartizione dell’onere
della prova della vessatorietà 765
5. Il terzo contratto: i «contratti diseguali di impresa» 766
5.1 Il contratto di subfornitura 767
5.1.1 La forma del contratto 767
5.1.2 La nullità 768
5.1.3 Le clausole nulle 768
5.1.4 L’abuso di dipendenza economica 769
5.1.5 I rimedi 770
5.1.6 La portata del divieto di abuso di dipendenza economica 771
6. Alcune conclusioni 772
CAPITOLO 2
L’equilibrio originario del contratto
1. La nozione di “giustizia contrattuale” 773
2. Il contratto tra validità e giustizia 773
3. Squilibrio normativo e squilibrio economico del contratto 773
4. Il formante dottrinale tra giustizia commutativa e giustizia distributiva 775
5. Il formante giurisprudenziale: l’evoluzione 777
6. Le tappe del progressivo affermarsi della giustizia contrattuale 778
7. La congruità dell’equilibrio contrattuale nel codice civile 779
8. La congruità dell’equilibrio contrattuale nella legislazione speciale:
un quadro d’insieme e di sintesi 780
8.1 Il contratto giusto nel diritto del consumatore 781
8.2 Il contratto giusto e i contratti d’impresa 783
8.2.1 L’abuso di dipendenza economica. 784
8.2.2 La repressione dell’abuso di dipendenza economica oltre
i confini della subfornitura: alla ricerca di una clausola generale. 785
8.2.3 La “grave iniquità” dei pagamenti nelle transazioni commerciali. 785
9. La congruità dell’equilibrio contrattuale nel soft law 786
10. Il sindacato del giudice sull’equilibrio del contratto attraverso
i principi di solidarietà e buona fede 788
10.1 Il caso della caparra manifestamente eccessiva 790
11. Il sindacato del giudice sull’equilibrio del contratto attraverso
il principio di proporzionalità 791
12. Il sindacato del giudice sull’equilibrio del contratto attraverso
la lente della causa in concreto 791
12.1 Il caso del contratto di assicurazione con xxxxxxxx claims made . 792
13. I rimedi in caso di squilibrio: il potere correttivo del giudice 793
CAPITOLO 3
La rescissione
1. La rescissione nel sistema giuridico 797
2. Il fondamento giuridico della rescissione: la tesi monistica 797
2.1 La tesi eclettica 798
2.2 Il fondamento solidaristico del rimedio rescissorio 799
3. La natura giuridica del rimedio rescissorio 800
4. La rescissione del contratto concluso in stato di pericolo. Profili generali 800
4.1 Lo stato di pericolo: nozione. La gravità del danno e l’attualità
del pericolo 801
4.2 Lo stato di pericolo putativo 802
5. La rescissione del contratto concluso in stato di bisogno: gli elementi costitutivi. La nozione di stato di bisogno 803
5.1 Il nesso di causalità fra bisogno e determinazione della volontà 804
5.2 Lo stato di bisogno putativo 804
5.3 Stato di bisogno e terzo 804
5.4 Stato di bisogno e rappresentante 805
5.5 L’approfittamento 805
5.6 La lesione ultra dimidium 806
6. L’ambito operativo. La rescissione come rimedio di carattere generale 807
6.1 Rescissione e contratti aleatori 807
6.2 Rescissione e contratto preliminare 808
6.3 Rescissione e sentenza ex art. 2932 c.c. 810
7. Rescissione e contratti usurari 810
7.1 La nullità degli interessi usurari 811
8. L’azione di rescissione: profili generali. La legittimazione attiva 812
8.1 La prescrizione 812
9. Gli effetti della sentenza di rescissione fra le parti e riguardo ai terzi . 813 10. L’offerta di riduzione ad equità 814
11. L’inammissibilità della convalida del negozio rescindibile 815
CAPITOLO 4
Il governo sul contratto
1. Il contratto e il rischio delle sopravvenienze 817
2. Tassonomia delle sopravvenienze e della ripartizione dei rischi 817
3. La manutenzione del contratto 818
4. La revisione del contratto tra clausola rebus sic stantibus e principio
pacta sunt servanda 819
5. La fonte dei rimedi di manutenzione del contratto 820
6. I rimedi manutentivi di fonte negoziale 820
6.1 Le clausole di rinegoziazione: hardship clause 822
7. Rimedi manutentivi di fonte legale 823
8. La revisione del contratto di appalto 824
9. Altre ipotesi di rimedi manutentivi di fonte legale 826
10. La manutenzione del contratto come rimedio generale? 827
11. Le sopravvenienze atipiche: la teoria della irrilevanza 828
12. Una nuova prospettiva: l’obbligo di rinegoziare ex bona fide 830
12.1 Le fonti dell’obbligo di rinegoziare: equità e buona fede 830
13. Il contenuto dell’obbligo di rinegoziare 831
14. Il rimedio per l’inadempimento dell’obbligo di rinegoziare:
l’art. 2932 c.c 832
14.1 Il rimedio manutentivo nel codice tedesco e nelle norme
uniformi europee 832
15. La tesi contraria all’esperibilità dell’art. 2932 c.c 833
16. L’obbligo di rinegoziare e la revisione del contratto nelle norme
di gestione dell’emergenza sanitaria Covid-19 836
17. Gli effetti dell’accordo manutentivo fra transazione e novazione 837
CAPITOLO 5
La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e per impossibilità della prestazione
1. Il fondamento e la ratio della risoluzione per eccessiva onerosità 839
2. Il campo di applicazione e i presupposti di operatività dell’istituto 840
2.1 Contratti a esecuzione continuata, periodica e differita 841
2.2 I contratti a effetti reali 841
2.3. Il contratto di appalto (rinvio) 842
3. I contratti aleatori 842
4. L’alea normale del contratto 843
5. I fatti causativi della eccessiva onerosità sopravvenuta:il carattere straordinario e imprevedibile 844
6. Le sopravvenienze normative: la disciplina dell’emergenza sanitaria Covid-19 845
7. Le caratteristiche della prestazione divenuta “eccessivamente onerosa” 845
7.1 La c.d. “onerosità rovesciata” 846
8. Eccessiva onerosità e inadempimento 847
9. La domanda e l’eccezione di onerosità sopravvenuta 847
9.1 Gli effetti della risoluzione (parziale rinvio) 848
10. L’offerta di riduzione ad equità 848
10.1 I criteri per la riduzione ad equità del contratto 849
11. L’eccessività onerosità nei contratti con obbligazioni di una sola parte 850
12. La presupposizione 851
13. Analogie e differenze tra clausola rebus sic stantibus, eccessiva
onerosità sopravvenuta e presupposizione 852
14. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione:
il fondamento e la sistematica codicistica 854
15. Le applicazioni dell’impossibilità sopravvenuta nelle maglie
del codice 855
16. I contratti aleatori 856
17. La perpetuatio obligationis 856
18. Impossibilità ed eccessiva onerosità della prestazione a confronto 856
19. I criteri di valutazione della impossibilità sopravvenuta della
prestazione 857
19.1 L’oggettività dell’impossibilità 857
19.2 L’assolutezza dell’impossibilità 858
19.3 La nozione di impossibilità sopravvenuta quale situazione di impedimento non superabile né prevenibile mediante il dovuto
sforzo diligente 858
20. Il caso fortuito e la forza maggiore 859
21. Il factum principis, il fatto del terzo e il fatto del creditore 860
22. L’impossibilità e le obbligazioni generiche 861
23. L’onere della prova 861
24. L’impossibilità temporanea 861
24.1 Effetti dell’impossibilità temporanea 863
25. L’impossibilità parziale 864
26. Le misure di contenimento dell’emergenza sanitaria Covid-19: impossibilità temporanea o definitiva? 865
26.1 Il recesso dai contratti di pacchetto turistico 867
La risoluzione di diritto del contratto
1. La risoluzione di diritto
Accanto alla risoluzione giudiziale (1453 c.c.), il codice civile prevede tre fattispecie al verificarsi delle quali il contratto si scioglie “di diritto” (artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.).
Sotto il profilo teorico, la differenza tra la risoluzione giudiziale e quella di
diritto è marcata.
Nel regime della risoluzione giudiziale, il contratto si scioglie solo per ef- fetto della sentenza: fino al momento in cui il giudice accoglie la domanda il rapporto sinallagmatico persiste. La sentenza costituisce elemento indefettibi- le della fattispecie risolutoria: in mancanza di essa, il contratto non si scioglie. Alla pronuncia giudiziale si riconosce carattere costituivo: essa è infatti con- dizione necessaria anzichè si verifichi l’effetto giuridico della « risoluzione ». Nell’universo delle risoluzioni di diritto, invece, il rapporto contrattuale si scioglie al verificarsi di una fattispecie che si perfeziona al di fuori del contesto processuale, senza che occorra un provvedimento giurisdizionale. Di regola, il perfezionamento della fattispecie risolutoria richiede – oltre al verificarsi di un inadempimento va- riamente caratterizzato – una dichiarazione negoziale ad opera del creditore della
prestazione inadempiuta: si può parlare, allora, di risoluzione per atto di parte.
Ricade sul debitore cui viene addebitato l’inadempimento l’onere di agire in giudizio per contestare l’istanza risolutoria della controparte e proporre le domande che ne conseguono (adempimento coattivo; risoluzione del contratto per inadempimento della controparte; risarcimento del danno).
Nel contesto delle risoluzioni di diritto il sindacato giudiziale è: i) eventua- le, in quanto, in linea di principio, rimesso alla scelta del contraente cui viene contestato l’inadempimento; ii) successivo, poichè non determina lo sciogli- mento del contratto, ma accerta una risoluzione gia avvenuta). La sentenza che accerta il verificarsi di una risoluzione di diritto assume, pertanto, caratte- re dichiarativo: essa non scioglie il contratto, ma accerta una fattispecie che si è perfezionata al di fuori del processo.
2. La risoluzione di diritto nell’analisi economica
Le risoluzioni di diritto, in una prospettiva di analisi economica, presentano considerevoli vantaggi pratici. Il contratto si scioglie “economicamente” per effetto di una semplice dichiarazione stragiudiziale, e non al termine di un lungo e costoso iter processuale.
L’agilità con cui il rimedio può essere azionato, poi, ne potenzia l’efficacia deterrente: se il creditore della prestazione inadempiuta può ottenere la riso- luzione con una semplice dichiarazione stra-giudiziale, la controparte interes- sata alla controprestazione è indotta ad adempiere, in quanto si raffigura lo scioglimento del contratto come un’eventualità prossima e concreta.
A fronte di questi vantaggi, sussiste un possibile inconveniente. II contratto potrebbe risolversi anche nel caso in cui la pretesa del creditore fosse infon- data: sarebbe onere della controparte contestarla, per evitare lo scioglimento del rapporto. Il contraente interessato a contestare una iniziativa risolutoria infondata ha la facoltà di promuovere un accertamento giudiziale: se si astie- ne dal farlo questo indica, di regola, che la prospettiva della risoluzione non è infondata.
Nel contesto della risoluzione per sentenza costitutiva, il valore del vincolo contrattuale, minacciato dalla pretesa risolutoria infondata, viene qui salva- guardato dal giudice. La scelta circa la conservazione o lo scioglimento del rapporto contrattuale non è rimessa alla piena disponibilità delle parti, ma assoggettata a controllo pubblico. Il sistema non ammette l’eventualità che il contratto si sciolga pur in assenza di un inadempimento rilevante, perché si ritiene che la mancata attuazione del programma contrattuale pregiudichi interessi di carattere generale.
Sebbene il controllo necessario e preventivo del giudice comporti diversi inconvenienti (aumento dei costi e di tempi; scarsa efficacia deterrente del ri- medio risolutorio), esso evita il rischio che il contratto si possa sciogliere pur in assenza di una alterazione rilevante del sinallagma.
Nell’ottica della risoluzione di diritto, l’attuazione (e la risoluzione) del con- tratto è davvero una “questione privata”, rimessa alla piena disponibilità delle parti. Nella prospettiva della risoluzione giudiziale per sentenza costitutiva, la stessa alternativa si configura diversamente, in quanto si ritiene che l’attuazio- ne del programma contrattuale risponda ad interessi di carattere generale (la circolazione della ricchezza).
3. La risoluzione stragiudiziale come sistema tipico
Le fattispecie di risoluzione “di diritto” sono ancorate al verificarsi di de- terminati presupposti sostanziali e procedimentali (artt. 1454; 1456; 1457). La diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale compongono un sistema chiuso: la risoluzione del contratto non può prodursi in sede stragiudiziale al di fuori delle ipotesi legislativamente previste.
In assenza di un fondamento normativo, il contratto non può essere risolto in modo stragiudiziale.
Se non si verifica una fattispecie tipica di risoluzione di diritto (diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa, termine essenziale), il contratto si scioglie solo mediante sentenza costitutiva. Si nega efficacia alla dichiara- zione stragiudiziale con cui il creditore manifesta la volontà di risolvere il contratto.
Non può essere il recesso lo strumento generale per accordare al creditore deluso la facoltà di liberarsi dal contratto senza una sentenza costitutiva del giudice.
La via giudiziale resta l’unica percorribile in assenza di una delle ipotesi codificate di risoluzione di diritto.
Un’analisi approfondita delle regole elaborate dalla dottrina e delle applica- zioni giurisprudenziali, tuttavia, smentisce la perentorietà dell’affermazione, denotando che il contratto si può risolvere in sede stragiudiziale anche al di fuori dei casi previsti dalla legge.
Nei paragrafi seguenti verranno prese in considerazione due fattispecie “ati- piche” di risoluzione stragiudiziale riscontrabili nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale: l’eccezione di risoluzione e la risoluzione per dichiarazione unilaterale di parte.
4. Risoluzione per via di eccezione?
A differenza di quanto dispone in relazione ad altri rimedi contrattuali, come l’annullamento (art. 1442, c. 4) e la rescissione (1449, c. 2), il codice civile
non prevede espressamente che la risoluzione del contratto possa essere fatta valere per via di eccezione.
Per la precisione, la figura dell’eccezione di risoluzione trova un limitato riscontro legislativo nella disciplina della vendita e dell’appalto, sul terreno della garanzia per i vizi occulti. L’azione redibitoria si prescrive entro un anno dalla consegna, ma il compratore che sia stato convenuto in giudizio per il pa- gamento del prezzo « può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunciato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna (1495, c. 3). Il compratore convenuto in giudizio per l’adempimento è legittimato a domandare in via riconvenzionale risoluzione e risarcimento del danno: non è escluso, tuttavia, che si limiti a far valere la risoluzione del contratto per via di eccezione.
Una disposizione analoga è dettata dall’art. 1667 a favore del committente per il caso di difformità o vizi occulti dell’opera appaltata.
È da verificare, allora, se anche al di fuori della disciplina delle garanzie per i vizi occulti la risoluzione del contratto possa essere fatta valere per via di eccezione; e se questa ipotetica eccezione di risoluzione operi anche in sede stragiudiziale.
È evidente la differenza che intercorre tra l’eccezione di inadempimento (1460 c.c.) e quella di risoluzione. Avvalendosi della prima, il contraente che subisce l’inadempimento si limita a sospendere l’esecuzione della prestazio- ne di cui è debitore, in attesa che la controparte offra la controprestazione. Il rimedio, nella sua fisionomia classica, non comporta la definitiva inattuazione del programma contrattuale, ma ne stimola l’esecuzione.
Mentre l’eccezione di inadempimento si limita a sospendere l’esecuzione del contratto, l’eccezione di risoluzione – come la corrispondente azione – ne determina invece lo scioglimento, precludendo definitivamente la realizzazio- ne dello scambio.
Recentemente, una voce dottrinale ha ricostruito in termini generali la figura dell’eccezione di risoluzione, riconoscendo ad essa pieno diritto di cittadi- nanza nel sistema dei rimedi contrattuali. Nella prospettiva di questa dottrina, l’inadempimento della controparte legittima l’eccipiente non solo a sospen- dere l’esecuzione della prestazione di cui è debitore, ma anche ad affrancarsi definitivamente dal rapporto contrattuale.
La fisionomia dell’eccezione di risoluzione è speculare a quella della corri- spondente azione. Azione ed eccezione condividono il medesimo fondamento giustificativo, che si identifica con il diritto potestativo alla risoluzione del contratto: se alla base della legittimazione a domandare la risoluzione sussiste un diritto potestativo sostanziale che sorge in seguito all’inadempimento, lo stesso presupposto giustifica la legittimazione ad opporre la corrispondente eccezione. Quest’ultima, in quanto basata su un fondamento sostanziale, può operare anche al di fuori del processo.
Una simile ricostruzione non viene condivisa da chi assume che la sentenza di risoluzione abbia carattere costitutivo. Posto che al di fuori delle ipotesi co- dificate di risoluzione di diritto occorre una pronuncia giudiziale, le parti non potrebbero affrancarsi dal rapporto contrattuale in virtù di una determinazione unilaterale, sia pure assunta in risposta ad una richiesta di adempimento.
La figura dell’eccezione di risoluzione è oggetto di contrasto anche nel dirit- to applicato. La giurisprudenza si muove lungo due direttrici diverse.
La prima è netta ed esclude che la risoluzione possa essere fatta valere in via di eccezione.
Alla luce di una seconda direttrice, invece, pur non dandosi espressamente ingresso all’eccezione di risoluzione, si assiste ad una marcata alterazione della funzione svolta dall’eccezione di inadempimento, che in alcune occasioni viene richiamata per giustificare (non già la temporanea sospensione, ma) la definitiva inattuazione del programma contrattuale. A fronte di un’azione di adempimen- to, il convenuto, anziché proporre domanda riconvenzionale di risoluzione, può giustificare il proprio definitivo inadempimento eccependo quello della contro- parte ai sensi dell’art. 1460. Sebbene l’inadempimento del convenuto sia defini- tivo, non occorre che egli domandi la risoluzione: l’art. 1460 viene utilizzato per giustificare la risoluzione del contratto. L’exceptio inadimpleti contractus viene ad assumere le sembianze di una eccezione di risoluzione.
È evidente che, in questo modo, la giurisprudenza accredita la figura dell’ec- cezione di risoluzione, finendo per riconoscerne l’operatività anche al di fuori del contesto processuale. Qualora la controparte sia incorsa in un grave ritar- do, il creditore è legittimato a rifiutare la prestazione offertagli e ad astenersi dal pagare il corrispettivo, affrancandosi così in modo definitivo dal vincolo contrattuale; rifiutando la prestazione tardiva – e, correlativamente, l’esecu- zione della controprestazione – il contraente fedele oppone all’inadempiente l’avvenuta risoluzione del contratto. La legittimità di questo comportamento viene riconosciuta anche al di fuori del contesto processuale: il rifiuto, infatti, permane legittimo sebbene il creditore non abbia domandato la risoluzione.
Il rifiuto della prestazione viene così ad assumere in concreto una valenza risolutoria. Ed è quanto si verifica nei sistemi anglosassoni e nei progetti di unificazione internazionale del diritto dei contratti, in cui il rifiuto della pre- stazione costituisce una delle modalità attraverso le quali il contraente può manifestare la volontà di risolvere il contratto.
4.1 L’eccezione di risoluzione nell’analisi economica del diritto: vantaggi e inconvenienti
In base all’orientamento esposto alla fine del paragrafo precedente, l’ecce- zione di risoluzione, sebbene non sia espressamente prevista dalla legge e ne sia incerto il fondamento teorico, esiste nel diritto applicato, ed opera anche al di fuori del processo. Si tratta, ora, di valutare, in una chiave di analisi eco- nomica del diritto, i vantaggi e gli inconvenienti che l’introduzione di questo strumento comporta.
Un vantaggio certo è quello di evitare la rigidità e la lentezza della risolu- zione giudiziale. In assenza di una clausola risolutiva espressa o di un termine essenziale, il contraente fortemente motivato ad affrancarsi dal rapporto con- trattuale sarebbe tenuto a proporre domanda di risoluzione: la possibilità di far valere l’inadempimento della controparte per via di eccezione con valenza risolutoria lo solleva dall’onere di intraprendere un lungo processo e di affron- tare le relative spese.
D’altra parte, però, la legittimazione a far valere la risoluzione per via di eccezione comporta un rischio rilevante. Mentre il creditore rimane inerte, è possibile che il debitore sostenga costi e sopporti oneri per regolarizzare il proprio inadempimento, sentendosi opporre solo al momento dell’offerta un rifiuto all’adempimento tardivo. L’eccezione di risoluzione, in altri termini, legittima l’inerzia del creditore, che potrebbe manifestare la sua scelta solo al momento dell’offerta: questa dinamica rischia di vanificare gli sforzi compiuti dal debitore per mettersi in condizione di adempiere.
Quest’ultimo profilo richiede una precisazione. Se è vero che il creditore avrebbe potuto manifestare la sua decisione tempestivamente proponendo do- manda di risoluzione, è anche vero che l’incertezza in ordine alla sorte del contratto è stata determinata dall’inadempimento imputabile alla controparte. Su quest’ultima, quindi, va a gravare il rischio dell’inutilità di uno sforzo di adempimento tardivo, vanificato dall’eccezione di risoluzione.
4.2 La manifestazione stragiudiziale della volontà di risolvere il contratto
Nella prassi, accade spesso che il creditore della prestazione inadempiuta manifesti la volontà di risolvere il contratto tramite una dichiarazione stragiu- diziale.
Nulla quaestio se quest’ultima soddisfa i requisiti della diffida ad adempiere (intimazione ad adempiere entro un congruo termine; forma scritta): ricorre la fattispecie di risoluzione stragiudiziale codificata dall’art. 1454 c.c..
Non sempre, tuttavia, la dichiarazione stragiudiziale si identifica con la dif- fida, come avviene quando il creditore dichiara di risolvere il contratto con effetto immediato, senza concedere un termine alla controparte.
In questi casi, si tratta di stabilire quali effetti giuridici derivino da un atto, analogo al recesso, che non integra alcuna fattispecie codificata di risoluzione stragiudiziale (artt. 1454; 1456; 1457).
Secondo una dottrina autorevole, la dichiarazione risolutoria stragiudiziale vincola il suo autore: il principio di buona fede e un’elementare esigenza di ri- spetto degli affidamenti creati precludono al contraente che abbia manifestato la volonta di risolvere il contratto di esigere l’adempimento.
In questa prospettiva, la dichiarazione stragiudiziale produce lo stesso ef- fetto che la legge riconnette espressamente alla domanda giudiziale di risolu- zione del contratto (art. 1453, c. 2): il contraente che ha manifestato la pretesa risolutoria non può mutare avviso e chiedere l’adempimento.
La dichiarazione stragiudiziale risolve il contratto con effetto immediato:
ciò significa che opera, dunque, in modo analogo al recesso.
Se in base a questa opinione l’atto stragiudiziale del creditore può comporta- re la risoluzione del contratto anche al di fuori delle ipotesi tipicamente previ- ste dalla legge, occorre dar conto dell’opinione attestata su posizioni diverse. Si ritiene che solo la domanda giudiziale abbia l’effetto di precludere la suc- cessiva richiesta di adempimento (1453, c. 2); la dichiarazione stragiudiziale, invece, consente al suo autore di mutare avviso e domandare in un secondo tempo l’esecuzione della prestazione.
Si condivide cioè l’assunto secondo cui, al di fuori delle fattispecie tipica- mente previste dalla legge, il contratto si scioglie solo per sentenza costituti- va: di conseguenza, l’atto risolutorio stragiudiziale non preclude il successivo esercizio dell’azione di adempimento.
Il codice civile ammette che il contratto possa sciogliersi mediante recesso. Ma ciò avviene in relazione alla caparra confirmatoria (1385) e all’impossibilita par- ziale della prestazione (1464): cioè in casi particolari. Lo strumento non è conce- pito come un rimedio generale di liberazione dal contratto rimasto inadempiuto.
5. Le fattispecie codificate di risoluzione di diritto: analogie e differenze
Prima di passare ad esaminare separatamente le tre fattispecie codificate di risoluzione stragiudiziale (diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa e
termine essenziale), è opportuno premettere alcune considerazioni in ordine ai rapporti che intercorrono tra di esse.
Si tratta di strumenti di autotutela privata: la parte non inadempiente può re- agire all’inadempimento della controparte liberandosi dal vincolo contrattuale (e, quindi, dall’obbligo di eseguire la propria prestazione), senza necessità di agire in giudizio, per il fatto stesso dell’inadempimento, eventualmente inte- grato da un atto della parte.
Secondo una diffusa opinione, la risoluzione mediante diffida risulta stretta- mente apparentata a quella giudiziale: sia la diffida che la domanda giudiziale postulano la gravità dell’inadempimento; in entrambi i casi, inoltre, il debito- re potrebbe evitare la risoluzione eseguendo la prestazione entro un congruo termine.
In realtà, domanda giudiziale e diffida ad adempiere sono molto diverse, sia per struttura che per effetti. Con la domanda, il creditore manifesta in modo definitivo e incondizionato la scelta di affrancarsi dal vincolo contrattuale: interesse che il legislatore protegge precludendo l’adempimento nel corso del giudizio di risoluzione (art. 1453, c. 3). Il contraente che, invece, opta per la diffida sollecita l’altra parte ad adempiere entro un congruo termine, scaduto il quale il contratto si scioglie: il debitore pub evitare la risoluzione eseguendo la prestazione entro il termine che gli è stato assegnato (art. 1454).
In quest’ottica, la diffida ad adempiere non costituisce un mero duplicato della domanda di risoluzione – ancorché destinato ad operare in sede stra- giudiziale – ma tutela un interesse specifico del contraente fedele: quello di affrancarsi tempestivamente dal rapporto contrattuale, evitando gli inconve- nienti che conseguono all’aggravarsi dell’inadempimento.
Anche clausola risolutiva espressa e termine essenziale si sottraggano alle regole che governano la risoluzione giudiziale, e segnatamente al criterio della gravità dell’inadempimento (art. 1455).
Sono evidenti le differenze strutturali che intercorrono tra la clausola riso- lutiva espressa (art. 1456) e il termine essenziale (art. 1457). Nella prima fat- tispecie, il contratto si scioglie per effetto di un atto del creditore analogo al recesso; nella seconda, la risoluzione consegue automaticamente alla scaden- za del termine. Al verificarsi dell’inadempimento previsto dalla clausola riso- lutiva espressa, il debitore può evitare la risoluzione eseguendo la prestazione prima che il creditore receda; scaduto il termine essenziale, il debitore non è ammesso a sanare l’inadempimento con un’esecuzione tardiva.
Le differenze che intercorrono tra le diverse fattispecie codicistiche di riso- luzione di diritto riflettono le caratteristiche dell’inadempimento imputabile al debitore. Scaduto il termine essenziale, la risoluzione è automatica siccome l’interesse del creditore viene pregiudicato in modo definitivo, egli non è tenu- to a esprimere la volontà di risolvere il contratto. L’automatismo dell’effetto risolutorio è analogo a quello che si riscontra sul terreno dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1463). In entrambi i casi l’attuazione del rapporto contrattuale è compromessa, sicchè non è necessario che il creditore manifesti la sua scelta: la risoluzione appare come una conseguenza obbligata. Quando si verifica l’inadempimento previsto dalla clausola risolutiva espres- sa, la prospettiva è molto diversa: il creditore, infatti, può risolvere il contratto anche qualora l’inadempimento non sia grave ai sensi dell’art. 1455, purchè esso riguardi l’obbligazione prevista dalla clausola e soddisfi i requisiti da essa previsti (art. 1456). Grazie alla clausola risolutiva espressa, il parametro della non scarsa importanza dell’inadempimento viene sostituito da un criterio
convenzionale che è, di regola, più analitico e meno rigoroso: il contraente fe- dele è legittimato a risolvere il contratto. Ecco perchè la risoluzione, in questo caso, non avviene automaticamente, ma richiede una dichiarazione negoziale della parte interessata. L’inadempimento non pregiudica radicalmente l’inte- resse del creditore, e talvolta non soddisfa neppure il requisito della « non scarsa importanza » previsto dall’art. 1455. È possibile, allora, che il creditore conservi interesse per l’esecuzione della prestazione, sicché la risoluzione non consegue ad un automatismo legale: essa deriva da un atto negoziale che ma- nifesta la scelta del contraente deluso (Xxxxxxxxx).
Avvalendosi della diffida, il creditore può affrancarsi tempestivamente dal vincolo contrattuale, prima che l’inadempimento leda gravemente l’in- teresse sotteso al contratto: deve tuttavia concedere al debitore un congruo termine per adempiere. Quando è già maturato un inadempimento grave, è probabile che il creditore, fortemente motivato a liberarsi dal vincolo con- trattuale, non voglia accordare al debitore alcuna possibilità di recupero del rapporto: sceglierà, allora, la via giudiziale, perché in seguito alla notifica- zione della domanda si consolida la prospettiva di conseguire la risoluzione (art. 1453, c. 3).
È più favorevole la posizione del contraente che si avvale della clausola riso- lutiva espressa: da un lato, egli può conseguire la risoluzione tempestivamente, prima che l’inadempimento abbia leso gravemente l’interesse che lo ha indot- to a contrarre; dall’altro, non è tenuto ad accordare al debitore un termine, ma scioglie il rapporto contrattuale con effetto immediato (art. 1456). Se infine l’i- nadempimento si è prolungato a tal punto da compromettere irreversibilmente l’interesse del creditore, la prospettiva che egli intenda esigere la prestazione non è realistica: la risoluzione, allora, non consegue a un atto negoziale, ma a un automatismo legale: è il caso del termine essenziale (art. 1457).
6. Risoluzione stragiudiziale e imputabilità dell’inadempimento
La risoluzione giudiziale del contratto postula l’imputabilità dell’inadempi- mento. Secondo la giurisprudenza, chiamata ad applicare le norme sulla riso- luzione di diritto, anche quest’ultima, al pari della risoluzione giudiziale, non si verifica se l’inadempimento non è imputabile al debitore.
La soluzione accolta dalla giurisprudenza non è in linea con la scelta operata da altri ordinamenti (quello anglo-sassone e quello tedesco), in cui la risolu- zione di diritto si verifica a prescindere dall’imputabilità dell’inadempimento, che rileva ai soli fini del risarcimento del danno.
Il requisito dell’imputabilità finisce per ostacolare la risoluzione stragiudi- ziale del contratto: esso determina, infatti, una asimmetria informativa che complica la gestione stragiudiziale del conflitto determinato dall’inadempi- mento, stimolando il ricorso al giudice. Il debitore può infatti contestare la fondatezza della pretesa risolutoria, adducendo circostanze che la controparte non ha la possibilità di conoscere, in quanto si realizzano al di fuori della sua sfera di controllo: di regola, infatti, il creditore non è in grado di verificare se l’inadempimento è imputabile o non imputabile al debitore. E si rischia di do- ver ricorrere al giudice per stabilire se l’inadempimento è imputabile o meno: la risoluzione (che dovrebbe essere) stragiudiziale sfocia così in un giudizio sull’imputabilità dell’inadempimento.
Quando invece la risoluzione di diritto prescinde dall’imputabilità, è più
semplice gestire la controversia senza ricorrere al giudice. II debitore non può
contestare la fondatezza della pretesa risolutoria deducendo circostanze volte
ad affermare la non imputabilità dell’inadempimento.
7. La diffida ad adempiere: l’efficienza di uno strumento di autotutela
Tra gli strumenti che, nei contratti con prestazioni corrispettive, il codice civile appresta a tutela della parte non inadempiente di fronte all’inadempi- mento dell’altra parte, assume particolare importanza, per la sua singolare ef- ficienza, la diffida ad adempiere.
Lo strumento è previsto e regolato dall’art. 1454 c.c.. Esso rende il creditore sostanzialmente arbitro della sorte del rapporto, consentendogli di: i) ottenere la risoluzione automatica qualora l’inadempimento si protragga oltre un termine congruo – di regola assai breve – da lui stesso stabilito; ii) fissare in tal modo definitivamente la responsabilità del debitore per le conseguenze ulteriori.
In questo senso, la diffida ad adempiere si presenta come espressione di un diritto potestativo attribuito ex lege al creditore, il quale è legittimato a provo- care immediatamente e unilateralmente lo scioglimento del vincolo obbligato- rio, introducendo nella sua struttura un elemento aggiuntivo, cioè un termine di adempimento che, sostituendosi eventualmente a quello previsto in origine e ormai inutilmente decorso, si caratterizza per la sua perentorietà.
7.1 Il contenuto della diffida ad adempiere
La diffida ad adempiere consiste in una intimazione formale, con la quale il creditore (parte non inadempiente, o per aver già regolarmente eseguito la propria prestazione ovvero perché non è ancora scaduto il termine nel quale deve eseguirla) chiede al debitore (parte inadempiente), che non ha eseguito la sua prestazione nei modi e termini previsti, di procedere all’adempimento. Fin qui la diffida ad adempiere coincide, nel suo contenuto, con l’intimazio- ne o con richiesta di adempimento, che è necessaria e sufficiente ai fini della costituzione in mora del debitore (art. 1219 c.c.). Presenta, invece, rispetto a questa, in corrispondenza della sua più rilevante funzione pratica, una mag- giore complessità, che ne mette in evidenza anche la diversa natura giuridica. Nel caso della diffida ad adempiere, infatti, è necessario che la richiesta sia accompagnata dalla fissazione del termine entro il quale l’adempimento deve avvenire, nonché dalla dichiarazione (cosiddetta monizione) che, decorso inu-
tilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto.
È, dunque, indispensabile che la richiesta palesi chiaramente la posizione e l’intento del suo autore, mettendo in evidenza quanto tempo ancora egli è disposto ad attendere la prestazione dovutagli e quale risultato, ove tale tempo decorra inutilmente, egli intende perseguire. E ciò affinché l’altra parte possa regolarsi, e senza farsi illusioni su quelle che potranno essere le conseguenze di una sua eventuale inosservanza del nuovo termine fissatogli. È, appunto, a questa esigenza di immediata chiarificazione delle posizioni delle parti che si ricollega la perentorietà del termine fissato dal creditore, che, come si dirà, non può più essere da questi (unilateralmente) modificato.
7.2 Natura e caratteristiche strutturali.
La diffida ad adempiere è un atto che ha natura negoziale: è ciò che si dedu- ce dalla complessità del suo contenuto e, soprattutto, dalla sua efficacia mo- dificativa del rapporto nel senso voluto dal creditore. È un vero e proprio atto
di volontà, essendo diretta a provocare lo scioglimento del rapporto qualora l’adempimento non venga eseguito nel termine prefissato.
La diffida ad adempiere costituisce, più precisamente, dichiarazione di vo- lontà di esercizio di un diritto potestativo del contraente creditore, a fronte del quale la controparte versa in uno stato di soggezione: se non può opporre vali- de ragioni ostative quale l’eccezione di inadempimento, altro non può fare che eseguire la prestazione o incorrere nelle conseguenze dell’inadempimento.
Si tratta di un negozio unilaterale, di contenuto patrimoniale, al quale per- tanto si applicano, in base al rinvio dell’art. 1324 c.c., le norme generali che regolano la formazione e la validità dei contratti.
7.3 La forma
La diffida richiede ad substantiam una forma. Il comma 1 dell’art. 1454 stabilisce, infatti, che essa deve essere fatta «per iscritto»: la norma adopera la stessa formula che l’art. 1219 c.c. utilizza a proposito della intimazione o richiesta necessaria e sufficiente ai fini della mora.
7.4 Il contenuto
Quanto al suo contenuto, la legge non prescrive la necessità dell’uso di for- mule sacramentali e si ritiene, perciò, che debba aversi riguardo alla sostanza della dichiarazione. Quel che importa, in altri termini, è che essa «ponga l’al- tro contraente in condizione di conoscere con chiarezza che la controparte in- tende che il contratto abbia esecuzione nel termine all’uopo fissato e che, ove questo decorra inutilmente, il contratto stesso si intenderà senz’altro risolto senza che occorra pronuncia giudiziale». Si tratta, perciò, di accertare caso per caso se il contenuto dell’atto risponda a questa esigenza, mettendo chiaramen- te in evidenza l’intenzione del suo autore.
Se, come si è appena detto, la legge non richiede l’uso di particolari formule, essa esige, però, che il termine fissato alla controparte per l’adempimento sia
«congruo», cioè tale da consentire al debitore di poter adempiere tenuto conto dell’interesse del creditore ad ottenere la prestazione nel più breve tempo pos- sibile. Il comma 2 dell’art. 1454 specifica che esso non può essere inferiore a quindici giorni, salvo che le parti, regolando in contratto preventivamente le modalità di una eventuale diffida, abbiano pattuito un termine minimo di- verso, o che un termine minore debba ritenersi congruo in base agli usi o alla natura del contratto. Il giudizio su tale congruità è affidato in concreto alla va- lutazione discrezionale del giudice. Ma è stato ritenuto che ad esso questi non debba procedere, quando il termine assegnato sia superiore al minimo legale di quindici giorni.
7.5 Analogie e differenze con gli altri strumenti di risoluzione di diritto
Rispetto alla clausola risolutiva espressa e al termine essenziale, i quali rap- presentano strumenti di autotutela che si attivano, per così dire, automatica- mente al verificarsi dell’inadempimento, nella diffida ad adempiere è il con- traente non inadempiente a dover attivare il meccanismo nel momento in cui l’altra parte ritarda ad adempiere, mettendo in moto un sistema che peraltro lascia ancora spazio all’adempimento, evitando la risoluzione. Infatti, se il
contraente diffidato adempie nel termine assegnato, è esclusa sia la risolu- zione di diritto, sia la possibilità di chiedere la risoluzione giudiziale del con- tratto, fermo il diritto al risarcimento del danno. Invece, in caso di perdurante inadempimento, il contratto si risolve di diritto senza necessità di ulteriori attività da parte del contraente non inadempiente, essendo peraltro irrilevante un eventuale inadempimento successivo alla scadenza del termine.
7.6 Il problema dell’imputabilità dell’inadempimento (rinvio)
Il meccanismo della diffida ad adempiere produce l’effetto risolutorio solo se sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge, il cui accertamento è de- mandato al giudice: è necessario quindi non solo che sussista effettivamente l’inadempimento grave dell’intimato, ma anche che il diffidante non sia stato a sua volta inadempiente e che l’inadempimento del diffidato non risulti giu- stificato da tale comportamento (inadimplenti non est adimplendum).
Ai fini dell’efficacia risolutiva della diffida rileva lo stato di non adempienza del diffidante, che deve quindi aver adempiuto gli obblighi assunti, o almeno offerto di adempiere. In difetto, l’intimato può paralizzare gli effetti della dif- fida avvalendosi dell’exceptio inadimpleti contractus (art. 1460 c.c.).
I presupposti applicativi della diffida ad adempiere si identificano quindi con quelli della risoluzione giudiziale: entrambe postulano che l’inadempi- mento sia grave e imputabile al debitore. Si ritiene, pertanto, che se non sus- sistono le condizioni per pronunciare la risoluzione ex art. 1453, la stessa non può essere conseguita mediante diffida.
Il momento in relazione al quale valutare la gravità dell’inadempimento coincide secondo alcuni con la recezione della diffida da parte dell’obbligato la scadenza del termine. La giurisprudenza si attesta su quest’ultima posizio- ne.
7.7 Gli effetti della diffida
Gli effetti della diffida si determinano, come quelli di tutte le dichiarazioni ricettizie, a norma degli art. 1334 e 1335 c.c., dal momento in cui l’atto giunge a conoscenza del destinatario.
Si tratta di un negozio unilaterale recettizio: è decisivo è il momento in cui la diffida perviene a conoscenza del debitore e, pertanto – ai fini della presunzio- ne di conoscenza posta dalla seconda delle disposizioni appena richiamate – il momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario.
Nel momento in cui perviene a conoscenza del debitore, la diffida ad adem- piere lo costituisce in mora: l’intimazione, infatti, soddisfa i requisiti di so- stanza e di forma previsti dall’art. 1219, comma 1, c.c.. Ne consegue che il diffidato assume il rischio dell’impossibilita sopravvenuta della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 1221 c.c.).
Tale momento è, allo stesso tempo, quello in cui la diffida diventa definiti- va e irrevocabile. Il che importa – secondo l’opinione prevalente – anche la immodificabilità del termine fissato per l’adempimento. Più correttamente, la revoca è ammissibile, ma solo a condizione che pervenga a conoscenza del de- bitore prima della stessa diffida. In seguito alla recezione, il debitore confida ragionevolmente nella risoluzione del contratto, che è destinata a verificarsi alla scadenza del termine. Se il creditore potesse revocare la diffida ed esigere l’adempimento, tale affidamento verrebbe compromesso: esso sarebbe tute-
lato solo nell’ambito del processo – grazie al divieto di mutare la domanda di risoluzione in domanda di adempimento (art. 1453, c. 2) – ma non in sede stragiudiziale. Per evitare una così manifesta incoerenza, occorre escludere che la diffida possa essere revocata in seguito alla sua recezione da parte del debitore.
D’altra parte, la diffida importa per il suo autore anche un’altra limitazione: avendo, infatti, egli fissato al debitore un nuovo termine per l’adempimento, e contemporaneamente stabilito i presupposti perché, in caso di sua inosservan- za, si verifichi la risoluzione, egli non può più agire per l’adempimento o per la risoluzione con la normale azione ex art. 1453 c.c., che altrimenti avrebbe potuto esperire, né avvalersi degli altri eventuali mezzi, che potrebbero con- sentirgli un diverso soddisfacimento del suo interesse.
Prima della scadenza del termine, il diffidante non può domandare la risolu- zione o l’adempimento. Entrambe le azioni sono incompatibili con la struttura della diffida. La domanda volta a conseguire la risoluzione giudiziale conflig- ge con l’intimazione ad adempiere, perché preclude al debitore l’esecuzione della prestazione con effetto immediato (art. 1453, c. 3); l’azione di adempi- mento è in radicale contrasto con la risoluzione di diritto del contratto, desti- nata a verificarsi alla scadenza del termine. Sul piano applicativo, dunque, quando il creditore propone domanda di risoluzione il diffidato è legittimato ad eseguire la prestazione entro il termine assegnatogli: se la prestazione è sta- ta offerta e rifiutata, il creditore può essere costituito in mora, e il giudice deve rigettare la domanda di risoluzione. Quando, invece, il diffidante propone do- manda di adempimento, il giudice è tenuto a rigettarla, in quanto la prestazio- ne e stata eseguita dal debitore (l’intimazione ha avuto successo) o il contratto si è risolto alla scadenza del termine (l’intimazione è caduta nel vuoto).
7.8 Il problema della disponibilità dell’effetto risolutorio
In giurisprudenza si afferma che dopo l’inutile decorso del termine il diffi- xxxxx può rinunciare unilateralmente all’effetto risolutorio. Data questa pre- messa consegue che: i) scaduto il termine assegnato in un primo tempo, la dif- fida possa essere reiterata una o più volte; ii) anche in seguito alla scadenza del termine il diffidante sia legittimato a recedere trattenendo la caparra ricevuta o esigendo il doppio di quella data ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c.; iii) do- po la scadenza del termine assegnato al debitore l’intimante possa domandare la risoluzione giudiziale del contratto.
In dottrina, l’opinione secondo cui il diffidante potrebbe disporre unilateral- mente dell’effetto risolutorio è stata efficacemente criticata, in quanto: a) essa è incompatibile con il testo dell’art. 1454, comma 3, x.x., xx xxxxx xxx xxxxx xx xxxxxxxxxxx xx verifica di diritto alla scadenza del termine (non è possibile disporre degli effetti di un contratto risolto); b) la facoltà di rinunciare alla ri- soluzione accordata al diffidante pregiudica l’affidamento del debitore, che in seguito alla scadenza del termine confida ragionevolmente nello scioglimento del contratto; c) dopo aver rinunciato agli effetti della diffida, il creditore po- trebbe esigere l’adempimento dell’obbligazione quando ormai il debitore ha orientato attività e risorse in altre direzioni (valgono anche a questo proposito le considerazioni svolte in relazione alla revoca della diffida); d) nel contesto processuale, la posizione del debitore che confida nello scioglimento del con- tratto è protetta dall’art. 1453, c. 2, che preclude il mutamento della domanda di risoluzione in quella di adempimento; la medesima esigenza verrebbe inve-
ce sacrificata in sede stragiudiziale se il creditore potesse disporre liberamente degli effetti della diffida.
7.9 Aspetti processuali
La risoluzione del contratto mediante diffida non possa essere rilevata d’uf- ficio dal giudice. L’affermazione risponde al principio della disponibilità dell’oggetto del processo (art. 112 c.p.c.), e consente di evitare una indebita intromissione giudiziale negli interessi delle parti.
Non si può infatti escludere che il debitore convenuto in giudizio per l’a- dempimento conservi interesse ad evitare la risoluzione eseguendo la presta- zione nel torso del processo. La risoluzione mediante diffida, dunque, deve es- sere eccepita dalla parte interessata al rigetto della domanda di adempimento.
8. La clausola risolutiva espressa
Con la clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) le parti convengono espressamente che il contratto si risolve se una “determinata obbligazione” non è adempiuta secondo le modalità stabilite. In tal caso la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata comunica all’altra che intende avvalersi della clausola.
La funzione della clausola risolutiva espressa è di individuare una o più obbligazioni il cui inadempimento determina con certezza la risoluzione (di diritto) del contratto, sottraendo così al giudice la valutazione della gravità dell’inadempimento posto in essere. Essa risponde all’interesse delle parti di sottolineare l’importanza di una certa prestazione, ricollegandovi al suo ina- dempimento l’automatica risoluzione del rapporto ed eliminando ogni incer- tezza legata allo scrutinio del giudice.
Grazie alla stipulazione della clausola, il creditore della prestazione ina- dempiuta può conseguire la risoluzione in modo più sicuro e tempestivo. Il parametro legislativo della gravità dell’inadempimento (1455) è concepito per governare la risoluzione della generalità dei rapporti sinallagmatici: a tale ap- prezzabile duttilità consegue inevitabilmente un certo grado di indetermina- tezza semantica, che comporta una elevata incertezza in ordine alla sussisten- za dei presupposti della risoluzione.
Stipulando una clausola risolutiva espressa, le parti sostituiscono la regola legislativa con un criterio più preciso e analitico, volto ad identificare l’inadem- pimento che determina lo scioglimento del con-tratto: al verificarsi di esso, il creditore può conseguire la risoluzione con relativa sicurezza, in quanto la rile- vanza della prestazione ineseguita nell’economia del contratto è stata predeter- minata dalle parti e risulta, cosi, sottratta alla discrezionalità giudiziale.
Il creditore che si avvale della clausola risolutiva espressa può affrancar- si dal vincolo contrattuale anche se l’inadempimento non è grave ai sensi dell’art. 1455.
L’efficacia del rimedio risolutorio risulta potenziata, in quanto esso opera prima che l’inadempimento abbia pregiudicato gravemente l’interesse del cre- ditore; si valorizza, così, la funzione deterrente della risoluzione, che stimola il debitore ad adempiere tempestivamente per evitare la perdita del corrispet- tivo (Dellacasa)).
La funzione della clausola risolutiva espressa si coglie anche su un altro pia- no. Può accadere che una delle parti sia stata indotta a concludere il contratto
da motivi specifici, rispetto ai quali anche un inadempimento oggettivamente lieve giustificherebbe la risoluzione. Grazie alla clausola risolutiva espressa, gli interessi che hanno indotto il creditore a contrarre assumono una consisten- za oggettiva, in quanto vengono integrati nel regolamento contrattuale.
Il creditore può poi risolvere il contratto con effetto immediato senza dover assegnare al debitore un congruo termine, come prescrive, in-vece, la disci- plina della diffida ad adempiere (art. 1454). Questo gli consente di tornare immediatamente sul mercato per soddisfare l’interesse che lo ha indotto a contrarre, mentre il diffidante deve attendere che si rinnovi l’inadempimento del debitore.
8.1 Contenuto e forma
Affinché si configuri una clausola risolutiva espressa, occorre che sia stata specificamente individuata l’obbligazione il cui inadempimento determina lo scioglimento del contratto. Se invece la risoluzione e collegata all’inadempi- mento di una qualsiasi delle obbligazioni contrattuali, la pattuizione non può essere qualificata come clausola risolutiva espressa: la giurisprudenza la ritiene una mera clausola di stile, che effettua un rinvio alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento ed è priva di un autonomo valore precettivo.
Alla stessa conclusione si perviene quando le parti effettuano un generico rinvio a tutte le obbligazioni derivanti dal contratto, per riconnettere alla loro violazione lo scioglimento dello stesso: anche in questo caso l’inadempimento risolutorio risulta indeterminato, sicché manca un requisito indefettibile della fattispecie prevista dall’art. 1456.
L’inadempimento che determina la risoluzione può interessare tanto le ob- bligazioni principali, che costituiscono l’architrave del rapporto sinallagma- tico, quanto quelle accessorie, purché sia fatto specifico riferimento ad esse.
La clausola deve prevedere espressamente che all’inadempimento delle ob- bligazioni individuate consegua la risoluzione del contratto. La legge ammet- te, dunque, che il contratto si possa risolvere anche se l’inadempimento non è grave, ma – a tutela dell’inadempiente – richiede che tanto l’obbligazione violata quanto l’esito risolutorio siano espressamente determinati.
A differenza della diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa non è soggetta dalla legge alla forma scritta e può essere stipulata con modalità e tempi diversi rispetto a quelli del contratto a cui accede.
8.2 Le interferenze con la disciplina di protezione del contraente debole.
La clausola risolutiva espressa non può essere ritenuta vessatoria ai sensi de- gli artt. 33 ss. cod. cons.. Essa non è riconducibile a nessuna delle fattispecie in presenza delle quali la vessatorietà si presume fino a prova contraria (art. 33, c. 2): spetta al consumatore, dunque, dimostrare che la pattuizione integra i requisiti previsti dalla definizione di clausola vessatoria data dagli artt. 33, commi 1 e 34. E a tal fine è decisiva l’analisi del contesto negoziale all’interno del quale la clausola si colloca.
A esempio, la vessatorietà è esclusa qualora la clausola risolutiva espres- sa sia bilaterale o venga bilanciata da altre condizioni contrattuali favorevoli per il consumatore. Il professionista può comunque evitare la declaratoria di vessatorietà dimostrando che la clausola risolutiva espressa è stata oggetto di trattativa o riproduce disposizioni di legge (art. 34).
Se contenuta in un contratto intercorso tra imprese, la clausola risolutiva espressa può manifestare l’abuso di dipendenza economica compiuto da uno dei contraenti ai danni dell’altro, ed incorrere nella sanzione della nullità pre- vista dall’art. 9 della legge 192/1998. Una clausola risolutiva espressa imposta unilateralmente a carico dell’impresa economicamente debole può costituire una delle “condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminato- rie”, cui la disposizione fa riferimento per esemplificare l’abuso di dipendenza economica (art. 9, c. 2). Anche in questo caso è nuovamente decisiva l’analisi del contesto negoziale nel quale la pattuizione si inserisce.
8.3 Gravità e imputabilità dell’inadempimento
È opinione comune che la stipulazione di una clausola risolutiva espres- sa preclude al giudice di sindacare la gravita dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c. Inserendo la clausola net regolamento contrattuale, le parti valutano preventivamente la rilevanza dell’inadempimento collegando ad es- so la conseguenza della risoluzione: l’applicazione del parametro legale della non scarsa importanza dell’inadempimento rischierebbe di alterare una scelta compiuta in esercizio dell’autonomia privata.
In assenza di specifiche pattuizioni in senso contrario, la giurisprudenza ri- tiene che l’inadempimento previsto dalla clausola debba essere imputabile al debitore: si ripropone su questo specifico terreno una prospettiva già messa in evidenza all’inizio di questo capitolo, con riguardo alla risoluzione di diritto. Si discute se le parti possano prevedere che il contratto si risolva anche quando l’inadempimento non sia imputabile al debitore. Secondo un orientamento dot- trinale, una clausola risolutiva espressa così conformata sarebbe nulla, in quan- to «altererebbe... la fisionomia funzionale e strutturale del tipo di obbligazione
dedotta nel rapporto, elidendo alla radice l’operatività degli artt. 1218 e 1256». In realtà, la declaratoria di nullità non appare fondata su un idoneo fonda-
mento giustificativo. Prevedendo che il contratto si risolva al verificarsi di un inadempimento non imputabile al debitore le parti non violano nessuna norma imperative: l’art. 1256 non può definirsi tale, specie se derogata in senso favo- revole al creditore della prestazione ineseguita.
8.4 Tolleranza del creditore e rinuncia alla clausola risolutiva espressa
Il creditore a favore del quale è stata pattuita la clausola risolutiva espressa può manifestare nei confronti dell’inadempimento un atteggiamento impron- tato a tolleranza. Egli può inoltre rinunciare ad avvalersi della clausola espres- samente (attraverso una dichiarazione con cui manifesta la volontà di non far valere la pretesa risolutoria) o tacitamente (per mezzo di comportamenti incompatibili con la volontà di risolvere il contratto).
Nell’argomentazione giurisprudenziale, tolleranza e rinuncia hanno effetti
diversi.
La prima giustifica l’inadempimento del debitore per il passato, ma non pre- clude al creditore di avvalersi della clausola risolutiva espressa nel futuro. Il creditore che fino ad un certo momento sia stato tollerante può sollecitare il debitore ad una puntuale esecuzione della prestazione e, rinnovandosi l’ina- dempimento, dichiarare di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa. La risoluzione è invece preclusa se ii creditore, in passato tollerante, manifesta repentinamente la volontà di ottenere lo scioglimento del contratto.
La rinuncia preclude al contraente fedele di avvalersi della clausola risolu- tiva espressa anche in relazione all’inadempimento che si rinnova in un mo- mento successivo. Essa non si limita a giustificare l’inadempimento pregres- so, ma impedisce il funzionamento del meccanismo risolutorio per il futuro.
8.5 Analogie e differenze con la condizione di inadempimento
L’eventualità che le parti deducano l’inadempimento ad oggetto di una con- dizione risolutiva è stata prospettata nell’ambito di questo stesso volume (si veda il capitolo dedicato agli elementi accidentali del contratto).
Al verificarsi dell’inadempimento dedotto quale fatto condizionante, il con- tratto si risolve di diritto, come avviene in presenza di una clausola risolutiva espressa. Le differenze intercorrenti tra quest’ultima e la condizione di ina- dempimento sono, però, molto significative: i) verificatosi l’inadempimento, il contratto si scioglie automaticamente, senza che il creditore debba manife- stare la volontà di risolvere il contratto, come prevede, invece, l’art. 1456, c. 2; ii) l’avveramento della condizione opera retroattivamente anche rispetto ai terzi, pregiudicando l’acquisto del bene che costituisce oggetto del contratto condizionato; iii) non sembra che il danno derivante dall’inadempimento pos- sa essere risarcito, poichè l’avveramento della condizione elimina retroattiva- mente il rapporto contrattuale.
i) Quanto all’automaticità dell’effetto risolutorio, si osserva che di regola la condizione di inadempimento ha carattere unilaterale, in quanto è posta nell’e- sclusivo interesse di una parte (il creditore): ne consegue che quest’ultimo è legittimato a rinunciare agli effetti della condizione e a domandare l’adem- pimento. Stante il carattere unilaterale della condizione, dunque, la sorte del rapporto contrattuale non è rimessa interamente alla scelta del debitore, che con l’inadempimento ne determina la risoluzione: il creditore conserva la pos- sibilità di esigere l’esecuzione della prestazione rinunciando tempestivamente all’effetto risolutorio. La condizione di inadempimento è da ritenersi potesta- tiva, ma non meramente potestativa: il suo avveramento comporta conseguen- ze negative per l’inadempiente in quanto determina la perdita del diritto al corrispettivo: la scelta operata dal debitore non è quindi arbitraria.
ii) Riguardo al profilo degli effetti che l’avveramento della condizione pro- duce rispetto ai terzi, l’art. 1458 c.c. dispone che la risoluzione non pregiudi- ca i diritti acquistati dai terzi “anche se è stata espressamente pattuita”: sotto questo aspetto il regime della clausola risolutiva espressa e quello della con- dizione di inadempimento non sono del tutto assimilabili. Il verificarsi della condizione risolutiva determina infatti la retroattività dell’effetto caducatorio anche rispetto ai terzi. Una voce dottrinale ha ipotizzato un’attenuazione della retroattività “reale” della condizione, volta a tutelare l’affidamento dei terzi di buona fede, equiparando gli effetti della condizione di inadempimento a quelli della clausola risolutiva espressa. L’indiscriminata opponibilità ai terzi dell’effetto risolutivo è invece sostenuta da chi rimarca le differenze intercor- renti tra la clausola risolutiva espressa e la condizione risolutiva di inadem- pimento. Il contratto caratterizzato da clausola risolutiva espressa determina un trasferimento pieno del diritto e dei poteri di disposizione ad esso inerenti. Con il contratto sotto condizione risolutiva le parti realizzano programmati- camente un’attribuzione patrimoniale precaria: la clausola condizionale limita fin dall’inizio le prerogative e il potere di disposizione dell’avente causa, e questo si riflette sulla stabilità dell’acquisto compiuto dal terzo.
Del resto la posizione del terzo, minacciata dall’avveramento della condizione, viene tutelata almeno in parte dalle regole che disciplinano la circolazione dei diritti. Se è stato acquistato un bene mobile, l’affidamento del terzo di buona fede viene protetto dalla regola “possesso vale titolo” (art. 1153), che – prefigurando un acquisto a titolo originario —limita la retroattività reale dell’effetto risoluto- rio. Quando, invece, il contratto ha ad oggetto un bene immobile o mobile regi- strato la nota di trascrizione deve menzionare la condizione (art. 2659 c. 2). L’ac- quirente del bene, pertanto, è in grado di verificare la sussistenza della condizione non solo consultando il titolo, ma anche prendendo visione della nota contenuta nel registro particolare delle trascrizioni (art. 2664). Qualora la nota di trascrizio- ne ometta di fare riferimento alla condizione, i suoi effetti non sono opponibili al terzo: se quest’ultimo non ha potuto ravvisare la sussistenza della condizione di inadempimento consultando la nota, il suo acquisto non viene pregiudicato.
iii) Come si è anticipato, clausola risolutiva espressa e condizione di ina- dempimento si differenziano ulteriormente in relazione al risarcimento del danno contrattuale. In base al regime legale (art. 1360 c.c.), l’avveramento del fatto condizionante elimina retroattivamente gli effetti del contratto, con la conseguenza che l’inadempimento risulta privo di rilevanza sul piano risarci- torio. La disciplina è tuttavia derogabile: l’autonomia privata può ammettere il risarcimento del danno anche in caso di condizione risolutiva di inadempi- mento. Le parti possono infatti escludere o limitare nel tempo la retroattività dell’effetto risolutorio che consegue all’avveramento della condizione, giusti- ficando, così, il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.
9. Il termine essenziale
Nelle due fattispecie considerate fino a questo momento (diffida ad adem- piere e clausola risolutiva espressa, artt. 1454 e 1456), il contratto si risolve per effetto di un atto negoziale del contraente che subisce l’inadempimento: tali sono la diffida ad adempiere e la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa.
Nel caso del termine essenziale, invece, scaduto il termine per l’adempi- mento, il contratto si risolve automaticamente se entro tre giorni il creditore non dichiara di essere interessato ad esigere l’esecuzione della prestazione (art. 1457, c. 1). A differenza di quanto avviene in relazione alla diffida ad adempiere ed alla clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore non scioglie il vincolo contrattuale, ma lo preserva.
Decorsi i tre giorni dalla scadenza del termine, la risoluzione avviene di di- ritto sebbene non sia stata espressamente pattuita (art. 1457, c. 2). Anche sotto questo profilo la fattispecie si differenzia dalla clausola risolutiva espressa: non occorre, infatti, che l’effetto risolutorio sia stato esplicitato dalle parti contestualmente alla previsione del termine.
9.1 Il carattere “essenziale” del termine
L’art. 1457 c.c. non agevola l’interprete nell’individuazione dell’essenzia- lità del termine, che costituisce il presupposto applicativo della disposizione. La legge si limita a prevedere che il termine debba considerarsi essenziale nell’interesse del creditore.
In giurisprudenza e nella dottrina prevalente si ritiene che l’art. 1457 si ap- plichi a due fattispecie alquanto eterogenee, rispettivamente qualificate come termine essenziale « oggettivo » e « soggettivo».
Il termine essenziale è oggettivo quando in seguito alla scadenza la pre- stazione diviene inutile per il creditore. L’inadempimento che consegue alla scadenza del termine essenziale è definitivo, in quanto compromette radical- mente l’interesse del creditore. Ecco perché il contratto non si risolve in virtù di una dichiarazione negoziale, ma di un automatismo legale: se l’inadempi- mento, sub specie di ritardo, lede in modo definitivo l’interesse del creditore, è fisiologico che il rapporto si estingua. Non si può escludere, tuttavia, che in ipotesi eccezionali ii creditore conservi interesse a conseguire la prestazione nonostante la scadenza del termine: la legge prevede, allora, che egli possa esigere l’esecuzione della prestazione entro tre giorni, evitando la risoluzione del contratto (art. 1457, c. 2).
L’interprete non dispone di criteri sicuri sulla base dei quali identificare l’es- senzialità del termine. Il regolamento contrattuale può essere considerato il principale punto di riferimento per l’interprete chiamato a valutare l’essenzia- lità del termine. È ipotizzabile, tuttavia, che nell’ambito di tale giudizio pos- sano assumere rilievo anche i motivi che hanno indotto il creditore a contrarre, purché il debitore li conoscesse o potesse conoscerli con l’ordinaria diligenza. Quando all’atto della conclusione del contratto il debitore non dispone delle informazioni necessarie per ritenere l’essenzialità del termine, non è razionale che in seguito alla scadenza egli “subisca” la risoluzione: i rimedi più appro- priati sono, in questo caso, la riduzione del corrispettivo e il risarcimento del danno da ritardo, non la risoluzione integrale del rapporto. Quando, invece, all’atto della conclusione del contratto il debitore dispone di tutte le informa- zioni necessarie per valutare l’essenzialità del termine, la risoluzione è piena-
mente giustificata.
Come si è anticipato, l’art. 1457 viene ritenuto applicabile anche al c.d. ter- mine soggettivamente essenziale. Il termine è ritenuto essenziale in quanto espressamente qualificato come tale dalle parti. L’essenzialità soggettiva non si desume, dunque, dall’incidenza del ritardo sugli interessi del creditore, ma da una clausola contrattuale che evidenzia l’importanza del rispetto del termi- ne ai fini dell’attuazione dello scambio o prefigura lo scioglimento del contrat- to qualora l’inadempimento si protragga oltre la scadenza.
Alcuni autori sono diversamente orientati: essi riconducono il c.d. termine soggettivamente essenziale alla figura della clausola risolutiva espressa (art. 1456), e ritengono applicabile l’art. 1457 solo nel caso in cui alla scadenza la prestazione diviene inutile per il creditore. Secondo questa posizione, dunque, il termine essenziale propriamente detto è solo quello oggettivo: alla variante soggettiva si applica la disciplina della clausola risolutiva espressa. Quando le parti qualificano come essenziale un termine alla scadenza del quale l’utilità della prestazione non viene meno, esse individuano l’obbligazione interessata dall’inadempimento e il termine scaduto il quale il contratto può essere risol- to. L’operazione coincide con quella realizzata mediante la pattuizione di una clausola risolutiva espressa: qualificando il termine come essenziale le parti valutano preventivamente l’importanza dell’inadempimento che si protrae ol- tre la scadenza, neutralizzando il sindacato del giudice culla gravita dello stes- so (1455). Trova quindi applicazione l’art. 1456 anziché 1’art. 1457.
9.2 L’inadempimento risolutorio: gravità e imputabilità
E opinione diffusa che il giudice chiamato a decidere sulla risoluzione con-
seguente alla scadenza del termine essenziale non possa valutare la gravità
dell’inadempimento. A sostegno di tale tesi viene sovente addotto lo stretto rapporto di affinità che sussiste tra il termine essenziale e la clausola risoluti- va espressa: in entrambi i casi, le parti valuterebbero preventivamente la rile- vanza dell’inadempimento nell’economia del contratto, sicché il giudice non potrebbe sindacarne la gravità ai sensi dell’art. 1455 c.c..
La risoluzione conseguente alla scadenza del termine essenziale postula,
però, che l’inadempimento sia imputabile al debitore.
9.3 Il silenzio del creditore e la dichiarazione di interesse per la prestazione dopo la scadenza del termine essenziale
La risoluzione non si verifica se entro tre giorni dalla scadenza del termine il creditore comunica alla controparte che intende esigere l’esecuzione della prestazione. Si tratta di un atto negoziale recettizio, che deve pervenire a co- noscenza del debitore prima del decorso del terzo giorno.
La legge prevede la possibilità che l’accordo delle parti o gli usi dispongano
diversamente (art. 1457, c. 1).
Si discute sulla natura giuridica del silenzio che contribuisce a determinare la risoluzione del contratto. In base a una prima opinione, esso costituisce un comportamento concludente che manifesta tacitamente la volontà di risolvere il contratto. Una diversa tesi qualifica il silenzio come un mero fatto costituti- vo della fattispecie, rilevante nella sua consistenza obiettiva: esso contribuisce a determinare la risoluzione del contratto anche se non consegue ad una scelta consapevole del creditore. Quest’ultimo ha facoltà di manifestare espressa- mente la volontà di risolvere il contratto prima del decorso dei tre giorni, an- ticipando, così, l’estinzione del rapporto.
Scaduto il termine, il debitore non può evitare la risoluzione eseguendo la prestazione prima del decorso dei tre giorni previsti dalla legge. In seguito alla scadenza la prestazione diviene inutile per il creditore, sicché è ragionevole che egli sia legittimato a rifiutarla.
9.4 La disponibilità dell’effetto risolutorio
Come per la diffida ad adempiere e la clausola risolutiva espressa, anche in relazione al termine essenziale la giurisprudenza afferma che il creditore può rinunciare unilateralmente agli effetti della risoluzione. Sebbene siano decorsi più di tre giorni dalla scadenza del termine, il creditore potrebbe ripristinare gli effetti del contratto ormai risolto con una decisione unilaterale.
Quando il creditore sollecita l’adempimento dell’obbligazione dedotta ad oggetto del contratto risolto o accetta il pagamento offerto dal debitore, si ri- tiene che tale condotta sia sintomatica della volontà di rinunciare agli effetti della risoluzione.
Sebbene i criteri identificativi della rinuncia implicita non siano univoci, la giurisprudenza riafferma il principio secondo cui il creditore può disporre unilateralmente dell’effetto risolutorio. Le critiche espresse in dottrina al ri- guardo sono già state messe in evidenza a proposito della diffida ad adempiere e della clausola risolutiva espressa.
Le pene private sono caratterizzate dalla finalità di dissuadere dall’inadem- pimento di obblighi attraverso la minaccia di sanzioni che prescindono dalla riparazione delle conseguenze dannose eventualmente derivanti dall’inadem- pimento. La funzione punitiva della pena privata è una costante concettuale dell’istituto, sì che la pena si applica indipendentemente dal verificarsi del danno. La pena privata rappresenta uno strumento addirittura più efficace ri- spetto al risarcimento del danno: il debitore può non trovare nell’obbligazione risarcitoria derivante dall’inadempimento una ragione sufficiente per astenersi dal suo comportamento inadempiente, poiché la misura prevedibile del risar- cimento, ancorata al limite del danno, è inferiore al vantaggio che gli deriva dal proprio inadempimento.
4. La clausola penale
L’art. 1382 c.c. definisce la clausola penale come quella «clausola con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione».
La clausola penale produce un effetto tipico: «la penale è dovuta indipen- dentemente dalla prova del danno» (art. 1382, comma 2, c.c.). Ciò significa che il creditore può ottenere la penale senza dover provare di aver subito dan- no; e che il debitore non può liberarsi dall’obbligo di prestare la penale pro- vando l’inesistenza del danno.
La clausola penale produce poi un effetto naturale, quello di «limitare il risarcimento alla prestazione promessa» (art. 1382, comma 1, c.c.). Effetto naturale, perché, prosegue il 1° co. Dell’art. 1382, esso si verifica «se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore».
Se la penale è per l’inadempimento, non si può chiedere insieme la presta- zione principale e la penale; il cumulo è consentito se la penale è per il ritardo (art. 1383 c.c.).
In entrambi i casi, la penale può essere diminuita equamente dal giudice (art. 1384 c.c.).
4.1 La funzione della clausola penale
Sono due i principali orientamenti consolidatisi sulla funzione della clausola penale: uno incentrato sulla funzione risarcitoria e l’altro incline a riconoscere al- la clausola penale una funzione afflittiva, quale funzione esclusiva o concorrente.
4.1.1 La clausola penale come patto sulla liquidazione del danno risarcibile
Secondo un primo orientamento, la clausola penale assolverebbe una fun- zione liquidatoria del risarcimento del danno, i cui presupposti andrebbero comunque ricercati nella disciplina ordinaria, a partire dall’imputabilità dell’i- nadempimento. L’efficacia del patto penale opererebbe dunque sul piano della prova del danno (non necessaria) e su quello della sua liquidazione: tale liqui- dazione sarebbe infatti anticipata al momento della stipulazione della clauso- la e non più rinnovabile in seguito all’inadempimento, salva l’applicazione dell’art. 1384 c.c. in tema di riducibilità della penale manifestamente eccessi- va o applicata in ipotesi di adempimento parziale.
La natura liquidatoria della penale spiegherebbe in particolare il divieto di cumulo con la prestazione principale, non essendo consentito, neppure se-
condo la disciplina ordinaria, cumulare risarcimento integrale e domanda di adempimento. Come nel caso del risarcimento liquidato secondo la disciplina di fonte legale, è invece consentito cumulare domanda di adempimento e ri- sarcimento/penale per il semplice ritardo.
Secondo questa impostazione si spiegherebbe anche perché la risoluzione del contratto (per inadempimento) non tolga efficacia alla clausola penale, ma ne costituisca il necessario presupposto.
4.1.2 La funzione punitiva della clausola penale
Parte della dottrina critica l’approccio sopra illustrato, mettendo in luce la funzione sostanzialmente “afflittiva” o “punitiva” della clausola penale.
L’elemento centrale di tale approccio è rappresentato dalla dissociazione tra penale e danno quale disposta dal 2° co. Dell’art. 1382 c.c., là dove il legisla- tore impone l’adempimento della penale indipendentemente dalla prova del danno. Tale disposizione viene interpretata nel senso di prescindere non solo dalla prova dell’ammontare del danno, ma anche da quella della sua esistenza. Dalla dissociazione tra prestazione penale e danno deriva una totale ina- deguatezza della clausola penale a fungere da strumento di riparazione del- le conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento. In questa prospettiva, il divieto di cumulo tra penale e prestazione principale si spiegherebbe avendo riguardo ai generali principi del divieto di arricchimento ingiustificato, men- tre l’istituto della riducibilità della penale, di cui all’art. 1384 c.c., dovrebbe ricondursi a un altrettanto generale principio di proporzionalità tra sanzione e
violazione (a cui la sanzione reagisce).
Ne consegue che il parametro di riferimento per valutare la natura eccessiva del suo ammontare non è nel rapporto tra penale e danno astrattamente risarci- bile, bensì nel rapporto tra penale e interesse del creditore quale configurato al momento della stipulazione della clausola (di qui l’uso dell’imperfetto “ave- va” riferito alla titolarità di tale interesse in capo al creditore).
Nella più ampia prospettiva della teoria della sanzione, la clausola penale di- viene «misura predisposta dall’ordinamento giuridico per rafforzare l’osservanza delle proprie norme ed eventualmente per porre rimedio agli effetti dell’inosser- vanza». La clausola penale assolve una funzione afflittiva fondata non sul princi- pio della riparazione, ma su quello della retribuzione (il «rendere male per male», secondo la prospettiva qui richiamata). Alla clausola andrebbe riconosciuta una “tipica” (nel senso di normalmente caratterizzante) “funzione di pena”.
Tale funzione potrebbe declinarsi secondo due modelli alternativi: i) quello della c.d. “penale pura”, in cui le parti non fanno alcun riferimento al profilo del danno e del suo risarcimento; ii) quello della c.d. clausola penale “non pura”, in cui, secondo la volontà delle parti, la prestazione dovuta rappresenta una penale e costituisce allo stesso tempo la misura del risarcimento del dan- no. È a questa ipotesi che si deve avere riguardo quando si è in presenza di un patto di risarcibilità del danno ulteriore ex art. 1382, 1° co., ult. Parte, c.c..
4.1.3 La teoria mista: la combinazione tra funzione riparatoria e funzione punitiva
Su un diverso piano si colloca la teoria che ritiene la funzione punitiva con- corrente della clausola penale con la funzione riparatoria.
In questa prospettiva, che merita condivisione, la componente afflittiva del- la clausola penale è eventuale, e compare nelle clausole volte a produrre un
«risultato più che risarcitorio», mentre ciò che caratterizza la clausola in via primaria è la funzione di coercizione e di stimolo all’adempimento.
Anche la Relazione al codice civile sottolinea tale ultima funzione: «il va- lore giuridico dato alla clausola penale dall’art. 1382 è quello di limitare il danno, salvo che le parti non ne abbiano convenuto il risarcimento integrale. Nell’art. 1382 non si allude alla funzione coercitiva che alla clausola assegna- va l’art. 1209 cod. civ. del 1865, perché tale funzione è solo indirettamente esercitata dalla penale».
La funzione principale della clausola penale è dunque da ricercare non sul piano della mera afflizione, ma su quello anzitutto della riparazione del danno. Si deve però al contempo cogliere la specificità della clausola nell’apprestare una misura convenzionale volta alla soddisfazione dell’interesse del creditore e atta a fungere da strumento di coazione indiretta dell’inadempimento.
Con la clausola penale le parti disciplinano gli effetti dell’inadempimento in modo diverso da quello stabilito dalla legge, concordando una preventiva e convenzionale liquidazione del danno. In questo senso, la clausola penale as- solve una funzione risarcitoria. Al contempo, però, la clausola soddisfa anche una funzione sanzionatoria, perché commina per l’inadempimento una pena privata consistente in una prestazione che il soggetto inadempiente dovrà ef- fettuare nei confronti del creditore indipendentemente dal danno sofferto da quest’ultimo.
La clausola penale, in tale prospettiva, assolve una funzione sia risarcitoria, sia sanzionatoria: liquida preventivamente e forfetariamente i danni e, allo stesso tempo, rappresenta una sorta di pena privata per l’inadempimento. La finalità propria della clausola penale, dunque, è duplice: rafforzare il rapporto obbligatorio, inducendo all’adempimento dietro minaccia di applicazione di una sanzione e, al contempo, liquidare preventivamente la prestazione risarci- toria per il danno patito dal creditore.
Senza dunque negare la funzione riparatoria della clausola penale, questa prospettiva consente di esaltare il ruolo dell’autonomia negoziale delle parti: esse sono infatti libere di costruire la clausola penale nelle molteplici varianti che la soddisfazione di propri interessi richiede.
Ne emergono una serie di soluzioni ammissibili, in cui l’accordo è incentra- to sul “dosaggio” tra funzione liquidatoria e funzione afflittiva.
4.1.4 La funzione della clausola penale nella prospettiva dell’analisi economica del diritto
In una prospettiva di analisi economica, la clausola penale è in grado di scongiurare il rischio del c.d. inadempimento efficiente. È tale l’inadempi- mento che per il debitore risulta conveniente, in quanto il costo necessario per l’esecuzione della prestazione dovuta è superiore al danno risarcibile in caso di inadempimento: quest’ultimo è efficiente perché più conveniente rispetto all’inadempimento.
La clausola penale è in grado di rendere inefficiente l’inadempimento: la misura della penale può essere fissata ad un ammontare tale da rendere non conveniente la mancata esecuzione della prestazione dovuta, innalzando i co- sti connessi all’inadempimento al di sopra del danno risarcibile.
Sempre in una prospettiva di analisi economica, la clausola penale svolge una «funzione di segnalazione», consentendo al debitore di rassicurare il cre- ditore circa la sua effettiva affidabilità e al creditore esigente di acquistare una sorta di assicurazione contro il rischio di inadempimento.
L’efficienza della clausola dipende da una superiore capacità delle parti di stimare costi e danni attesi e di definire dunque una regola più adeguata sul piano riparatorio, atta a includere anche componenti del danno oggettivamen- te non prevedibili o solo soggettivamente apprezzabili.
Può risultare efficiente anche adottare una clausola sovra-compensativa: cioè una clausola che prevede come dovuta in caso di inadempimento una somma superiore al danno derivante dall’inadempimento. Ciò accade in par- ticolare quando si voglia proteggere (e dunque incentivare) il compimento di investimenti specifici, che servano a ridurre i costi di adempimento e/o a au- mentare il valore della prestazione per il creditore. In queste ipotesi la clausola penale corregge i limiti di un risarcimento che sarebbe altrimenti destinato a fallire nel suo compito di indurre forme efficienti di adempimento, poiché normalmente orientato a salvaguardare la c.d. aspettativa contrattuale e non invece il c.d. affidamento riposto nella corretta esecuzione e dunque gli inve- stimenti che a quell’affidamento conseguono (Iamiceli).
Queste osservazioni non consentono di ignorare i limiti che la clausola pe- nale può scontare proprio sul piano dell’efficienza. Xxx non ricorrono gli ele- menti di contesto sopra individuati e soprattutto ove le parti hanno modo di imporre unilateralmente clausole penali fortemente penalizzanti al solo fine di innalzare i costi di inadempimento e di appropriarsi abusivamente di risorse altrui, la clausola può generare forme di redistribuzione della ricchezza atte a scoraggiare gli scambi e in alcuni casi impedire il corretto funzionamento del mercato. Questa è la ratio di alcune discipline speciali sulla clausola penale, ad esempio quella contenuta nel codice italiano del consumo (v. amplius infra).
4.2 Al cuore del problema: la questione dei limiti dell’autonomia privata
Ammettere che la clausola penale possa assolvere, in modo cumulativo, le due principali funzioni, riparatoria e/o afflittiva, lascia insoluto il problema dei confini dell’autonomia privata in materia di pene private.
Occorre stabilire:
1) se, al di fuori dell’uso della clausola penale, le parti possano configurare ulteriori sanzioni dell’inadempimento atte, ad esempio, non solo a prescindere dalla prova del danno, ma anche a sottrarsi al divieto di cumulo tra sanzione privata e richiesta di adempimento e al divieto di cumulo tra prestazione risar- citoria e prestazione penale.
2) se, pur restando nell’ambito della fattispecie “clausola penale”, le parti possano derogare ai divieti di cumulo tra prestazione risarcitoria e prestazione penale, nonché sottrarsi al controllo giudiziale sulla manifesta eccessività del- la misura della sanzione ex art. 1384 c.c.
I due problemi, seppure correlati, attengono a profili diversi: il primo è ine- rente all’ammissibilità ex art. 1322, comma 2, c.c. c.c. di pene private nego- ziali atipiche; il secondo riguarda la natura derogabile o inderogabile della disciplina della clausola penale.
Riguardo al problema sub 1), parte della dottrina tende a fornire risposta negativa al quesito, invocando anche in materia privatistica il principio di tipi- cità delle sanzioni: non sarebbero quindi ammissibili patti atipici che dispon- gono l’applicazione di pene private in caso di inadempimento. Secondo altra parte della dottrina la configurabilità di sanzioni aventi fonte negoziale deve misurarsi invece con il criterio di meritevolezza, come previsto per i contratti atipici (si sarebbe dunque al di fuori di un principio di tipicità): valutazione
peraltro non richiesta nella misura in cui il patto sia riconducibile allo schema (già tipico) di cui agli artt. 1382 ss. c.c..
Questa seconda prospettiva merita condivisione. Il principio di tipicità del- le sanzioni, proprio della materia penale, ha un fondamento non estendibile come tale alla materia civilistica, considerato l’impatto della sanzione penale sulla sfera personale e sociale dell’individuo; impatto di cui è priva la pena privata.
Sono quindi ammissibili i patti atipici che comportano pene per l’inadem- pimento, se superano il vaglio di meritevolezza del risultato perseguito dalle parti. La meritevolezza è già stata valutata a monte dal legislatore per quanto concerne la clausola penale.
Ciò consente di riconoscere nell’ordinamento l’operatività di altri strumenti sanzionatori di fonte negoziale non riconducibili allo schema della clausola penale. È il caso, ad esempio, del patto di mera liquidazione del danno risar- cibile: l’accordo è rivolta a definire il quantum dell’obbligazione risarcitoria, lasciando intatto per la disciplina dell’an l’operare delle norme ordinarie. Tale patto non consente di prescindere dalla sussistenza di un danno, ma solo dalla prova del suo ammontare. Ha quindi un’incidenza diversa da quella prodotta dalla clausola penale e di portata senz’altro minore di quella: ciò dovrebbe bastare a superare il test di meritevolezza ex art. 1322 c.c.. Si deve piuttosto riflettere sull’applicazione estensiva della disciplina della clausola penale sot- to il profilo della riducibilità ex art. 1384 c.c..
Riguardo alla questione 2), è diffusa l’opinione che assegna natura imperati- va alle norme che disciplinano la clausola penale. In altri termini, riconosciuta nella fattispecie «clausola penale» la generale manifestazione del potere nego- ziale istitutivo di sanzioni private contro l’inadempimento consistenti nell’im- posizione di obblighi di prestare, si esclude che tale potere possa esercitarsi derogando ai divieti legali di cumulo tra prestazione penale e prestazione ri- sarcitoria o sottraendosi al giudizio di manifesta eccessività di cui all’art. 1384 c.c.
5. La disciplina della clausola penale: la fonte dell’obbligo
La prestazione dovuta a titolo di penale trova la sua fonte in un atto di natura negoziale, a struttura bilaterale. Si tratta di un patto che coinvolge sia il debi- tore che il creditore di un’obbligazione (c.d. principale) il cui inadempimento (imputabile) determina il sorgere dell’obbligazione penale.
Si discute se il negozio-fonte dell’obbligazione penale sia atto distinto dal contratto che genera l’obbligazione principale o coincida con esso, rappresen- tandone una parte, una “clausola”.
Secondo un primo orientamento, il problema del rapporto tra clausola pena- le e contratto-fonte dell’obbligazione principale deve essere esaminato nella prospettiva degli interessi perseguiti dalle parti e dunque della causa del pat- to sulla penale. Si mette così in luce come le parti che stipulino una clauso- la penale perseguano uno scopo ben distinto da quello proprio del contratto principale: vogliono infatti che una di esse esegua una certa prestazione nel caso in cui non adempia una certa obbligazione. Tale scopo non sarebbe tale da “modificare” lo scopo del contratto principale: il patto sulla penale sarebbe perciò autonomo.
Secondo un diverso orientamento, condiviso dalla giurisprudenza e fonda- to in particolare su argomenti di tipo testuale, la clausola penale non assurge
a negozio autonomo, ma ha carattere accessorio rispetto al contratto fonte dell’obbligazione principale. Ne deriva che il patto sulla penale: i) eredita da quel contratto la disciplina inerente alla forma; ii) subisce la sospensione degli effetti se al contratto si applica una condizione sospensiva; iii) è oggetto del medesimo giudizio di validità che dovesse riguardare il contratto, non poten- dosi sottrarre ad esso, salva l’applicazione dell’art. 1419 c.c.; iv) viceversa, difficilmente la sua nullità può determinare la nullità dell’intero contratto ex art. 1419 c.c. trattandosi appunto di clausola accessoria.
Questa prospettiva riconosce tra le due obbligazioni (quella “penale” e quel- la principale) un preciso collegamento, che viene declinano nel senso dell’ac- cessorietà. Tale collegamento (e non l’unicità del negozio) spiegherebbe l’e- stensione della nullità del contratto principale sulla validità della clausola e la stessa ininfluenza dell’invalidità della clausola penale sul contratto principale.
6. Presupposti di operatività della clausola: a) l’inadempimento dell’obbligazione principale
L’art. 1382 c.c. prevede che la prestazione “penale” sia dovuta dal debitore in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento.
Il duplice riferimento all’inadempimento e al ritardo nell’adempimento ri- evoca chiaramente la struttura dell’art. 1218 c.c. Da un’interpretazione siste- matica dell’art. 1382 c.c. si evince che inadempimento e ritardo debbano esse- re imputabili al debitore affinchè costui possa ritenersi obbligato al pagamento della penale. Come ai sensi dell’art. 1218 c.c., l’onere della prova circa la non imputabilità del fatto impeditivo dell’adempimento spetta al debitore.
Nulla impedisce alle parti di stipulare un diverso patto ai sensi del qua- le il debitore sia tenuto al pagamento della prestazione penale a prescindere dall’imputabilità dell’inadempimento o del ritardo. In questo caso, però, si parla di clausole di assunzione del rischio, la cui natura e funzione sono diver- se da quelle della clausola penale.
Se, come nel giudizio di responsabilità, l’inadempimento e il ritardo devono essere imputabili, non si richiede invece che siano di particolare gravità o che il ritardo consista nella violazione di un termine “essenziale”. In tal senso la giurisprudenza sottolinea chiaramente la distanza tra presupposti di operati- vità della clausola penale e presupposti della risoluzione per inadempimento. Quanto al ritardo, neppure si ritiene che esso debba essere sancito dalla co-
stituzione in mora del debitore.
Nella logica di accessorietà che contraddistingue la clausola penale, ina- dempimento o ritardo devono riguardare esattamente l’obbligazione che le parti hanno considerato quale oggetto della clausola penale. Nella prassi, in- fatti, accade spesso che i contraenti intendano così rafforzare non qualsiasi obbligo assunto con il contratto, ma quella particolare obbligazione o quella particolare caratteristica dell’obbligazione che, più delle altre, contribuisce alla soddisfazione dell’interesse del creditore.
Già sul piano dell’individuazione dell’obbligo da “rafforzare” si manifesta dunque quella potenziale selettività della clausola che le parti possono sce- gliere di sfruttare, sostanzialmente mantenendo in vigore una logica di doppio binario: il binario della clausola penale per l’obbligo “rafforzato”; il binario dell’azione di responsabilità da inadempimento e del risarcimento del danno per tutti gli altri obblighi.
7. I presupposti del diritto alla “prestazione penale”: b) l’irrilevanza della prova del danno
Il presupposto di esigibilità del diritto alla prestazione penale è l’inadem- pimento imputabile del debitore, non invece il danno determinato dall’ina- dempimento (o dal ritardo). L’art. 1382 c.c. prevede infatti che il diritto a tale prestazione spetti «a prescindere dalla prova del danno».
Secondo l’interpretazione di dottrina e giurisprudenza, tale “astrazione” non riguarda soltanto il piano dell’ammontare del danno, ma anche quello della sua stessa sussistenza.
Questo aspetto non deve essere sottovalutato. Prescindere dal danno signi- fica infatti poter omettere tutta quella parte del giudizio di responsabilità che intorno al danno si costruisce, a partire dal nesso di causalità, per procedere con la valutazione della natura del danno (patrimoniale o non patrimoniale), della sua prevedibilità o meno.
La semplificazione del giudizio, come appena illustrata, incontra un limite e un ridimensionamento nell’ipotesi in cui le parti abbiano stabilito che il cre- ditore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore e diverso da quello coperto dall’importo della prestazione penale. La risarcibilità del danno ulte- riore presuppone e richiede la valutazione dell’intero danno, non solo sotto il profilo del quantum, ma anche sotto il profilo dell’an, con tutto ciò che ne consegue in termini di causalità, prevedibilità, concorso del creditore, natura patrimoniale o meno del danno.
8. Gli effetti della clausola penale: l’obbligo di eseguire la “prestazione penale”
L’art. 1382 c.c. considera oggetto della clausola penale l’obbligo del debi- tore inadempiente di eseguire una «determinata prestazione». Prima ancora di entrare nel merito dell’oggetto della prestazione, preme sottolineare la natura obbligatoria del vincolo che nasce dalla clausola penale. La prestazione pe- nale è prestazione e dunque oggetto di un rapporto obbligatorio (collegato a quello principale, come illustrato nei paragrafi precedenti).
Fuoriescono dunque dallo schema della clausola penale sia la produzione di effetti reali (che in ogni caso contrasterebbe con l’art. 2744 c.c.), sia la mera sospensione o estinzione di diritti.
La natura obbligatoria degli effetti della clausola penale fa sì che la sod- disfazione dell’interesse del creditore possa attuarsi, come in ogni rapporto obbligatorio, solo grazie all’adempimento della prestazione penale. In caso di inadempimento, trovano applicazione le norme generali sulla responsabilità del debitore .
Ferma la natura obbligatoria del rapporto giuridico generato dalla clausola penale, la prestazione penale deve presentare gli attributi di cui all’art. 1174 c.c.: deve trattarsi dunque di prestazione suscettibile di valutazione economica e deve soddisfare un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.
In dottrina si ritiene che questo inquadramento sia compatibile con l’attribu- zione del diritto alla penale a favore di un terzo. Ricorrerebbe allora lo sche- ma del contratto a favore di terzo, la cui disciplina richiede essa stessa che lo stipulante vanti un “interesse” giuridicamente rilevante alla «deviazione degli effetti» del contratto. Deve correlativamente ammettersi che in un contratto a favore di terzo, la penale sia stipulata a favore dello stipulante.
La prestazione penale può consistere tanto in una prestazione pecuniaria, quanto in una prestazione non pecuniaria. Rimane sostanzialmente isolata l’o- pinione di chi ritiene che la clausola penale possa prevedere soltanto presta- zioni in denaro.
Quando la prestazione penale consiste in una prestazione non pecuniaria si pone però il problema della compatibilità con il divieto del patto commissorio (art. 2744 c.c.). Se la clausola penale si sostanzia nell’obbligo del debitore di trasferire la proprietà di un bene in conseguenza dell’inadempimento, v’è il rischio di elusione dell’art. 2744 c.c.. In realtà, la funzione della clausola pe- nale è diversa da quella del patto commissorio: la prima è volta a risarcire un danno da inadempimento (e a sanzionare lo stesso inadempimento), la secon- da assolve una funzione di garanzia del creditore. Il rischio di approfittamento e di arricchimento ingiustificato del creditore che è alla base del divieto del patto commissorio non si prospetta nel caso della clausola penale, poiché la stessa legge ne prevede la riduzione ad opera del giudice in caso di manifesta eccessività.
8.1 La limitazione del risarcimento del danno
Se la nascita dell’obbligazione penale rappresenta l’effetto principale della clausola in esame, quest’ultima produce ulteriori effetti rilevanti per il credi- tore.
Tra questi particolare rilievo ha l’effetto di limitare il risarcimento del danno alla prestazione determinata per la penale ai sensi dell’art. 1382 c.c.
A ben guardare la disposizione contiene due regole: i) l’una secondo la qua- le, salve le deroghe contemplate su cui ci si soffermerà oltre, non è possibile cumulare penale e risarcimento integrale del danno; ii) l’altra, per cui con la stipulazione della clausola penale, il creditore “consuma” il diritto di optare (per l’applicazione della clausola penale o) per la disciplina ordinaria del ri- sarcimento, seppur considerata in alternativa alla prima. In tal senso la clauso- la penale va nettamente distinta dalla caparra confirmatoria, la quale consente comunque al creditore di preferire il rimedio risarcitorio applicato secondo le norme ordinarie (Iamiceli).
Come si è avuto modo di illustrare sopra, questi aspetti della disciplina sono alla base dell’inquadramento funzionale della clausola, intesa come strumento di liquidazione del danno o di punizione del debitore inadempiente.
L’effetto di limitazione si spiega facendo riferimento al generale principio del ne bis in idem: non si può risarcire due volte lo stesso danno, generando un arricchimento in favore del danneggiato.
La norma, nel prevedere che il creditore possa domandare l’esecuzione della prestazione penale ma non il risarcimento del danno, è norma dero- gabile in una sola direzione: quella che consente il cumulo tra la penale e il risarcimento del danno non coperto dalla penale (il c.d. danno ulteriore). Risulta invece confermato il divieto di cumulo tra penale e risarcimento in- tegrale, nonché l’esaurimento della facoltà di invocare il risarcimento del danno secondo le regole ordinarie in sostituzione dell’applicazione della clausola penale.
Si tratta dunque di una derogabilità, per così dire, limitata o specificamente orientata: ciò, se per un verso rende più flessibile il funzionamento della clau- sola penale, per l’altro ne preserva alcune caratteristiche strutturali che l’auto- nomia privata non è in grado di alterare validamente.
Come dottrina e giurisprudenza correttamente osservano, la determinazione del danno ulteriore richiede la determinazione del danno integrale, da cui, per differenza, può desumersi l’ammontare del danno ulteriore.
8.2 La limitazione del diritto di domandare la prestazione principale
L’art. 1383 c.c. espressamente vieta il cumulo tra domanda di adempimento della prestazione penale e domanda di adempimento della prestazione princi- pale. Un simile cumulo è consentito nella sola ipotesi in cui la penale sia stata prevista per il semplice ritardo.
Il divieto si applica alle sole prestazioni rimaste inadempiute, con la conse- guenza che, in caso di rapporti di durata, il creditore può domandare la pre- stazione penale (per l’inadempimento delle prestazioni scadute) senza perdere il diritto a chiedere l’adempimento delle prestazioni che andranno a scadere successivamente.
L’art. 1383 c.c. si limita a regolare il rapporto tra i due meccanismi di attua- zione dei diritti senza instaurare alcuna precisa sovrapposizione o correlazio- ne tra le due prestazioni, quella principale e quella penale.
Così, dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono che la prestazione principale e la prestazione penale non possano dirsi oggetto di obbligazioni alternative ai sensi dell’art. 1285 c.c.2: non solo perché non è il debitore a poter scegliere tra l’uno o l’altro adempimento, come di regola accade nelle obbligazioni alternative (benché la facoltà di scelta possa essere attribuita al creditore); non solo perché comunque non spetterebbe al debitore alcun potere di fissare un termine al creditore titolare del potere di scelta, con conseguente riattribuzione a costui di tale potere se il creditore lascia scadere il termine as- segnatogli (v. art. 1287, 2° co., c.c.); ma anche, e forse ancor prima, perché le due obbligazioni hanno origine e natura autonoma e soddisfano due interessi diversi, sebbene l’uno (quello oggetto della penale) accessorio (e dunque di- pendente dall’altro). A ben guardare l’obbligazione penale sorge solo in pre- senza dell’inadempimento, mentre il diritto alla prestazione principale sorge sulla base del titolo (contrattuale o meno, se si aderisce alla tesi estensiva) ben prima dell’inadempimento (Iamiceli).
Diversamente dal diritto al risarcimento del danno, la cui sussistenza o il cui contenuto è comunque influenzato dalla clausola penale, non potendosi in alcun caso richiedere il risarcimento del danno integrale in presenza di tale clausola, il diritto alla prestazione principale continua a sussistere indipen- dentemente dalla clausola penale. È solo l’effettivo esercizio del potere di domandare la penale che “consuma” il potere di scelta del creditore, rendendo inammissibile una successiva domanda di adempimento. A tale domanda può peraltro accompagnarsi quella di risarcimento del danno da ritardo (da rico- noscersi secondo la disciplina ordinaria), posto che l’efficacia limitativa del risarcimento riguarda il danno da inadempimento e non quello da ritardo.
L’applicazione della clausola penale è concepita dal legislatore come stru- mento di attuazione o di soddisfazione sostitutiva del c.d. “interesse di aspet- tativa” del creditore. Questo spiega perché la penale non possa cumularsi con il risarcimento (che, pur in diversa veste, svolge o potrebbe svolgere sotto questo profilo funzione analoga) e spiega anche perché il creditore non possa ottenere contestuale soddisfazione di quell’aspettativa ricevendo sia il bene atteso che il bene sostitutivo. La logica è dunque, di nuovo, quella del ne bis in idem (Iamiceli).
9. La penale per il ritardo e la domanda di adempimento
L’art. 1383 c.c. sottrae esplicitamente la penale prevista per il semplice ri- tardo alla regola del divieto di cumulo tra penale e domanda di adempimento. La ratio va ravvisata nel fatto che la penale per il ritardo tende a salva- guardare un interesse, quello alla tempestività della prestazione, che è defi- nitivamente leso e comunque non recuperabile con l’adempimento tardivo. Da questa ratio si traggono alcuni elementi di riflessione circa una eventuale estensione di questa regola oltre l’ipotesi della penale per il semplice ritardo, con particolare riguardo ad alcune penali aventi funzione (prevalentemente)
afflittiva.
Per altro verso l’analisi della giurisprudenza consente di riflettere sulla cri- ticità e sulla difficoltà di una chiara demarcazione tra penale per il “semplice” ritardo e penale per l’inadempimento. L’uso dell’aggettivo semplice sembre- rebbe infatti imporre un onere di particolare attenzione nella definizione di questi confini.
10. Il cumulo tra penale per il ritardo e penale per l’inadempimento
Le parti possono cumulare le due tipologie di penale: quella per il ritardo e quella per l’inadempimento. Questa combinazione consente al creditore di domandare separatamente o contestualmente entrambe le prestazioni pena- li, non appena ne ricorra il relativo presupposto (ritardo e/o inadempimento) oppure può cumulare la penale per il ritardo con la richiesta di adempimento. Mentre infatti l’art. 1382, 1° co., x.x. xxxxxxxxx xx xxxxxxxx xxxxxx x xxxxxxx- xxxxx integrale del danno e il secondo vieta il cumulo tra penale e richiesta di adempimento, facendo salvo appunto il caso della penale per il ritardo, nulla impedisce di cumulare entrambe le prestazioni penali a diverso titolo previste dalle parti.
11. La successione delle domande
Nel vietare il cumulo in oggetto, l’art. 1383 c.c. stabilisce che le due do- mande (di applicazione della clausola penale e di adempimento) non possono essere proposte “insieme”. L’uso dell’avverbio non deve trarre in inganno. Esiste o può esistere una dinamica temporale in cui il creditore inizialmente insiste sull’adempimento per poi modificare la sua domanda in domanda di at- tuazione della clausola penale. La situazione è assolutamente analoga a quella regolata espressamente dall’art. 1453, 2° co., c.c. in tema di successione tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione.
È utile a tal proposito precisare che la domanda di applicazione della clau- sola penale in nulla assomiglia alla domanda di risoluzione, per presupposti, natura ed effetti: ne consegue che l’una domanda non può sottintendere l’altra, se non espressamente formulata, né richiede l’accertamento dei presupposti che la contraddistinguono.
Ciò precisato, è invece vero che, data la medesima alternatività instaurata dal legislatore tra domanda di adempimento, per un verso e, per l’altro, rispettiva- mente, attuazione della clausola penale o risoluzione del contratto, è parimenti rilevante nei due casi che, una volta che sia stata esercitata l’opzione incompa- tibile con la domanda di adempimento, il debitore inizi a fare affidamento sul fatto che tale adempimento in natura non gli venga più richiesto. Ammettere la
possibilità di un ripensamento significherebbe dunque imporre al debitore un onere eccessivo e contrario alle regole della correttezza (Iamiceli).
12. La riduzione della prestazione penale
L’art. 1384 c.c. individua due presupposti in presenza dei quali il giudice può ridurre la prestazione penale: i) il parziale adempimento della prestazione da parte del debitore inadempiente; ii) il carattere manifestamente eccessivo della prestazione penale in relazione all’interesse che il creditore aveva all’a- dempimento.
I presupposti sopra indicati attribuiscono al debitore un potere di azione o di eccezione volto ad ottenere una diminuzione dell’importo dovuto. Non è in- vece previsto analogo potere per il creditore per una eventuale modificazione verso l’alto, ad esempio in ipotesi di importo manifestamente irrisorio.
12.1 La riduzione della penale in caso di parziale adempimento
L’art. 1384 c.c. stabilisce che il giudice possa ridurre l’ammontare della pre- stazione penale se il debitore ha parzialmente adempiuto la prestazione.
Secondo una prima basilare lettura dell’art. 1384 c.c. l’esercizio del potere equitativo del giudice di ridurre la penale in caso di parziale adempimento del debitore tende a ristabilire un equilibrio di tipo quantitativo tra ammontare della penale e natura dell’inadempimento.
Non sempre, infatti, la clausola penale è strutturata sulla base di un criterio di gradualità, facendo corrispondere, ad esempio, agli stati di avanzamento della prestazione, una diversa e gradualmente meno onerosa quantificazione della prestazione penale. Piuttosto, accade spesso che la penale sia prevista per l’inadempimento tout court, senza che venga in considerazione l’adempi- mento parziale da parte del debitore.
Nella prospettiva liquidatoria, la riduzione si spiega per una presunta mino- re dannosità dell’inadempimento parziale. Nella prospettiva punitiva, per una tendenziale minore “deprecabilità” dello stesso. In entrambe le prospettive lo strumento si fonderebbe su un’esigenza di proporzionalità.
Nell’inciso finale dell’art. 1384 c.c. in cui si stabilisce che la valutazione equi- tativa del giudice deve essere compiuta avendo riguardo all’interesse che il cre- ditore aveva all’adempimento. Questo riferimento sembra ricondurre la matrice della riduzione della penale a un giudizio inquadrato nell’ambito della buona fede esecutiva prima ancora che dell’equità. Il bilanciamento operato dal giudi- ce non è solo e tanto un bilanciamento tra poste quantitativamente determinate, ma è anche e soprattutto un bilanciamento tra interessi: l’interesse del debitore a non subire forme abusive di esercizio del potere di esigere la prestazione penale piena in circostanze in cui l’interesse del creditore sia stato parzialmente soddi- sfatto; l’interesse del creditore alla soddisfazione del credito e a non subire de- curtazioni della prestazione penale in ragione di adempimenti parziali di scarsa o nulla utilità sul piano qualitativo oltre che quantitativo.
12.2 La riduzione della penale manifestamente eccessiva
La riducibilità della prestazione penale manifestamente eccessiva risponde a un’esigenza di controllo sul contenuto dell’accordo. Tale controllo è posto dal
legislatore a presidio di un principio di proporzionalità tra prestazione penale e interesse del creditore.
Il potere del giudice di ridurre la penale può anche essere letto come una forma di protezione della parte debole, vittima dell’abuso del creditore in sede di formazione del contratto. Ma in una nota decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione resa sulla scia di un precedente filone giurisprudenziale, il Supremo Collegio ha avuto modo di negare che la disciplina in oggetto sia posta a tutela di interessi particolari e, specificamente, dell’interesse del debi- tore, preferendo invece inquadrare l’art. 1384 c.c. nell’ambito degli strumenti di controllo dell’autonomia contrattuale.
Nel fare ciò, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale precedente, la Corte ha collegato tale controllo all’operatività di principi generali, alcuni dei quali di fondamento costituzionale, quali il dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 cost.) e il principio di inesigibilità come limite alle pre- tese creditorie; principi da valutarsi secondo i canoni della buona fede ogget- tiva e della correttezza. Di qui l’inderogabilità della norma che conferisce al giudice il potere di ridurre la penale, in quanto posta a presidio di interessi di carattere superindividuale.
L’inquadramento dell’istituto nell’ambito della correttezza contrattuale con- sente al giudice di affrancarsi da una esclusiva attenzione ai profili di forma- zione dell’accordo per mettere in risalto l’inerenza dell’intervento del giudice alla fase attuativa del rapporto, realizzato mediante la correzione del contenu- to della clausola concordata tra le parti con riconduzione della stessa ad equità (Iamiceli).
Così inquadrato, l’istituto della riduzione della prestazione penale assolve una «funzione correttiva di riequilibrio contrattuale», collocandosi nel più ampio spettro degli strumenti di controllo dell’autonomia privata legati all’at- tuazione del principio di buona fede esecutiva.
La norma, introducendo una forma di limitazione dell’autonomia privata, riveste carattere eccezionale, dovendosi quindi escluderne l’applicazione ana- logica a istituti affini. Può leggersi in questa prospettiva quella giurisprudenza che nega l’applicabilità dell’art. 1384 c.c. alla caparra confirmatoria oppure all’indennità spettante al promissario di una promessa del fatto del terzo.
I più recenti orientamenti giurisprudenziali, orientati a rileggere il fonda- mento del controllo dell’autonomia privata in chiave di principi costituzionali, sembrano in verità sottrarre a tale disciplina il carattere di eccezionalità che aveva nelle letture precedenti, rendendo nuovamente attuale il tema dell’ap- plicazione estensiva dell’art. 1384 c.c.
Ciò di cui più profondamente si discute è se e in che misura il giudice sia chiamato ad entrare nel merito delle scelte negoziali: l’art. 1384 c.c. pone un problema di confini dell’autonomia privata e di determinazione del ruolo del giudice nell’esercitare un potere di controllo sul rispetto di tali confini. Il pun- to critico è nella definizione dei criteri che presiedono a tale giudizio.
L’art. 1384 c.c. offre un’unica risposta a questo interrogativo: avere riguar- do all’interesse del creditore che costui “aveva” all’adempimento. Di fronte a questo (unico ma non univoco) criterio si aprono diverse opzioni interpre- tative.
Il principale snodo interpretativo si presenta là dove il giudice deve sce- gliere se collocarsi in una prospettiva ex ante rispetto all’inadempimento o al ritardo, vale a dire quella della stipulazione della clausola, oppure in una prospettiva ex post, vale a dire quella dell’applicazione della penale. In ogni
caso il giudizio inerisce ai confini dell’autonomia privata, nell’uno legandosi maggiormente o esclusivamente alla formazione dell’accordo, nell’altro alla fase esecutiva del contratto.
Offrendo segnali alterni, la giurisprudenza ha mostrato di poter percorrere l’uno o l’altro di questi itinerari interpretativi.
Nella prima prospettiva ha inteso tener fede alla lettera dell’art. 1384 c.c. là dove il riferimento all’interesse del creditore è declinato (rectius, coniugato) al passato.
Nella seconda prospettiva, la giurisprudenza ha creduto di poter, in un cer- to senso, “attualizzare” l’interesse del creditore, ponendolo al centro di una valutazione che, ammantata dei caratteri di una stima svolta “in concreto” quali peraltro indotti dalla natura equitativa del giudizio, in concreto appunto finisce per ripercorrere un ideale processo di (ri)determinazione della penale adeguata, tenendo conto di elementi che si collocano nella fase esecutiva del rapporto.
In questa seconda prospettiva, oggi prevalente, sembra prendere corpo l’i- dea di un’equità intesa quale potere cogente del giudice in funzione di limita- zione dell’autonomia privata. Il giudice non tanto assume le vesti delle parti per percorrere una giudizio retrospettivo ed ipotetico del tipo «se le parti aves- sero determinato “la giusta penale”, allora…»; quanto assume le vesti di un valutatore imparziale (quale indubbiamente è) per verificare se, “al momento dell’attuazione della clausola”, quest’ultima risponda alla funzione di tutelare l’interesse del creditore: interesse che il creditore “aveva” all’adempimento ma che oggi deve essere riferito a quella prestazione “sostitutiva” che è la prestazione penale.
Il danno è “tra” i criteri di riferimento per la rideterminazione della penale. Molto spesso si afferma che tale criterio non può però essere esclusivo. Si prendono in considerazione anche criteri quali la gravità dell’inadempimen- to, il tipo di inadempimento (definitivo o temporaneo), il comportamento del creditore (anche successivo all’adempimento/inadempimento del debitore), il costo sostenuto da costui in vista del contratto.
Tra gli elementi diversi dal danno, merita ulteriore attenzione il valore della prestazione, a cui pure spesso si fa riferimento, in diversi casi, al fine di con- siderare questo valore come un tetto massimo al di sopra del quale la penale è considerata manifestamente eccessiva.
12.2.1 La questione della rilevabilità d’ufficio
Fino ad alcuni anni fa la dottrina quasi unanime e la giurisprudenza preva- lente ritenevano che solo il debitore potesse proporre domanda di riduzione della prestazione penale, in via di azione (principale o riconvenzionale) o in via di eccezione. Si escludeva invece la rilevabilità d’ufficio della questione.
La conclusione si fondava (e per parte della dottrina si fonda tuttora): i) sulla generalizzazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato come declinato nell’art. 112 c.p.c.; ii) sulla natura della riduzione della penale quale strumento volto a proteggere un interesse di parte; iii) sulla intrinseca incapacità del giudice di valutare l’adeguatezza della penale in assenza di un apparato probatorio, quale solo la parte interessata avrebbe potuto produrre.
La giurisprudenza più recente ha criticato gli argomenti appena menzionati, facendo invece valere, a supporto della tesi favorevole ad ammettere la rileva- bilità d’ufficio, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 1384 c.c.: la norma viene considerata come volta alla protezione di interessi generali dell’or-
dinamento, la cui applicazione non può essere condizionata dalla richiesta della parte interessata (la quale neppure potrebbe derogare alla generale riducibilità della penale mediante accordo in tal senso concluso con il debitore)
Lo stesso art. 112 c.p.c. ammette l’esistenza di eccezioni non proponibili soltanto dalle parti, ma rilevabili d’ufficio dal giudice, come deve intendersi l’eccezione regolata dall’art. 1384 c.c., che non dispone nel senso della neces- saria proposizione di parte.
La riducibilità d’ufficio della clausola penale muta profondamente il quadro applicativo della disciplina in esame ed esalta le preoccupazioni di parte del- la dottrina rispetto ai rischi del controllo giudiziale dell’autonomia privata in funzione correttiva.
13. Le clausole penali vessatorie nei contratti dei consumatori e nei contratti tra imprese
L’art. 33, 2° co., lett. f), c. cons., introduce una presunzione di vessatorietà per ciò che riguarda le clausole che hanno per oggetto o per effetto di imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo.
La disciplina del codice del consumo si distingue chiaramente da quella codicistica, che dunque resta applicabile ai contratti tra imprese, ai contratti tra soggetti che non siano, rispettivamente, professionisti e consumatori e ai contratti di consumo che includano appunto penali non pecuniarie o penali di qualunque natura a carico dei professionisti.
Mentre, ex art. 1384 c.c. la clausola penale manifestamente eccessiva non è perciò invalida ma (valida e) riducibile, il codice del consumo la include nell’ambito della lista di clausole presuntivamente vessatorie e perciò nulle (ove la presunzione non sia superata), con quanto ne consegue in termini di rilevabilità di ufficio, azione inibitoria delle associazioni dei consumatori, va- lidità del contratto in cui la clausola (nulla) è inserita, onere della prova a cari- co del professionista circa l’esistenza di specifiche trattative aventi ad oggetto la clausola, quale circostanza che neutralizza la presunzione di vessatorietà.
Ove non sia nulla (perché, ad esempio, specificamente negoziata), ma co- munque manifestamente eccessiva, l’art. 38 c. cons., quale norma di rinvio al codice civile per quanto non previsto nel codice speciale, consente di applica- re alla clausola l’art. 1384 c.c.. Ne consegue che, anche là dove la disciplina consumeristica nulla ha potuto per neutralizzare la clausola sproporzionata, lì il codice civile autorizzerebbe il giudice non a dichiarare nulla la clausola, ma addirittura a rideterminarla secondo equità: ciò, come visto, anche in assenza di domanda o eccezione di parte.
Si discute che cosa accada invece in ipotesi di nullità della clausola e, in par- ticolare, se, dichiarata la nullità ex art. 36 c. cons., il giudice possa procedere alla rideterminazione della stessa. Sul punto si ritiene che l’art. 1384 c.c. si applica soltanto a clausole valide e non può dunque avere riguardo a clausole vessatorie e perciò nulle. Per queste varrebbe la più ampia tutela prefigurata dal codice del consumo, che prevede la caducazione della sola clausola nulla. Quando ha a che fare con l’interesse del consumatore, il giudice non è dun-
que chiamato a misurarsi con il difficile compito del giudizio di xxxxxx.
Per quanto riguarda i contratti tra imprese, sono due i possibili riferimenti normativi.
Il primo è rappresentato dall’art. 9, l. n. 192/1998 sulla subfornitura. La clausola penale può esser considerata quale manifestazione dell’abuso (di di- pendenza economica) del contraente e dunque nulla ai sensi della norma spe- ciale.
Un secondo elemento di valutazione emerge dalla disciplina dei termini di pagamento nelle cc.dd. transazioni commerciali. L’art. 7, comma 1, del d.lgs.
n. 231/2002 dispone la nullità dell’accordo inerente alle conseguenze del ritar- dato pagamento se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natu- ra della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraen- ti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, tale accordo risulti gravemente iniquo “in danno del creditore”. L’ultimo com- ma della medesima norma aggiunge che il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità dell’accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, applica i ter- mini legali ovvero riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo.
La disposizione si distingue dalle altre non solo perché, riguardando pre- stazioni di natura pecuniaria, finisce per regolare patti sostanzialmente ricon- ducibili alla materia degli interessi moratori convenzionali, ma soprattutto in quanto ha ad oggetto forme di abuso condotte ai danni del creditore avente diritto alla penale/interessi di mora e non in pregiudizio del debitore tenuto ad eseguire tale prestazione accessoria. Al di là di queste differenze, deve osser- varsi che in tal caso il legislatore combina la nullità della clausola con un po- tere di intervento modificativo da parte del giudice: un intervento che in prima battuta prevede l’applicazione dei criteri/tassi legali e solo in via suppletiva prospetta il ricorso all’equità. Peraltro lo stesso ricorso all’equità appare cor- redato da una serie di parametri di riferimento atti a ridurre la discrezionali- tà del giudice e a migliorare la capacità conformativa e cogente dell’equità sull’autonomia delle parti (Iamiceli).
14. La caparra confirmatoria: la fattispecie
Si ha caparra confirmatoria quando, contestualmente alla conclusione del contratto, una parte (tradens) consegna all’altra (accipiens) a titolo di caparra una somma di denaro o una quantità di altre cose fungibili (art. 1385, c. 1). Se il tradens adempie, la caparra gli viene restituita o imputata alla prestazione dovuta; se invece è inadempiente, l’accipiens può recedere dal contratto rite- nendo la caparra, che compensa il danno derivante dall’inadempimento.
Quando l’accipiens è inadempiente, il tradens può recedere ed esigere il dop- pio della caparra: la somma consegnata all’atto della conclusione del contratto gli viene restituita, in misura doppia con funzione risarcitoria (art. 1385, c. 2).
Peraltro, la parte che recede ritenendo la caparra ricevuta o esigendo il dop- pio di quella data è esonerata dalla prova del danno derivante dall’inadempi- mento.
La caparra confirmatoria prefigura, così, un’ulteriore fattispecie di risoluzio- ne stragiudiziale, che si coniuga con una rilevante semplificazione del quadro probatorio: il contratto si scioglie mediante recesso e il creditore non ha l’o- nere di provare il danno subito, liquidato preventivamente nella misura della caparra. Il creditore, peraltro, permane legittimato a domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto (art. 1385, c. 3): in questo caso, il danno deve essere provato, e il risarcimento viene determinato in base alle regole generali (artt. 1223 ss.).