Renato Santagata
Xxxxxx Xxxxxxxxx
Prof. ord. dell’Università di Napoli « Parthenope »
IL « CONTRATTO DI RETE »FRA (COMUNIONE DI) IMPRESA E SOCIETÀ (CONSORTILE) (*)
Sommario: 1. Premessa e cenni comparatistici. — 2. Evoluzione della legislazione speciale in tema di « contratto di rete » e portata della sua ridefinizione. — 3. Il « contratto di rete » come contratto normativo. — 4. « Contratto di rete » e consorzio: analogie e dif- ferenze. — 5. Il « contratto di rete » come società consortile di diritto speciale. — 6. L’ordinamento patrimoniale del « contratto di rete ». — 7. « Contratto di rete »e desti- nazione patrimoniale compartecipata. — 8. Segue: profili di disciplina della destinazio- ne patrimoniale compartecipata nel contesto del « contratto di rete ». — 9. Il « contrat- to di rete »quale laboratorio per una riforma della disciplina dei consorzi.
1. — Nella legislazione speciale di ausilio e sostegno alle piccole e medie imprese del secolo scorso (in parte tuttora vigente) abbondano i riferimenti all’espressione « consorzio »; al punto da giustificare la ricorrente avvertenza, nelle trattazioni specialistiche, che i fenomeni eterogenei etichettati dal legi- slatore come « consorzi » non sempre possono ricondursi nell’alveo del con- tratto definito dall’art. 2602 c.c., con il quale « più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese »(1).
Epperò le mode cambiano ed i radicali mutamenti che ne conseguono non risparmiano certo il linguaggio legislativo, sempre più permeato da ter- mini ed espressioni recepiti dalle scienze aziendalistiche e/o importati da esperienze giuridiche notevolmente diverse dalla nostra.
(*) Questo scritto è dedicato al ricordo del prof. Xxxxxxxx X. Xxxxxxx.
(1 ) A titolo esemplificativo, e per restare nei confini del diritto commerciale, ci si limita a menzionare il caso, tuttora presente nella vigente legislazione speciale, dei « consorzi di cooperative »previsti dall’art. 27 d.lg.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 (c.d. legge Basevi), nel testo modificato dall’art. 5, l. 17 febbraio 1971, n. 127, che in realtà sono cooperative di secondo grado: ciò in quanto, il loro scopo non concerne una fase dell’attività d’impresa, ma consiste piuttosto nel facilitare il perseguimento delle finalità mutualistiche delle coope- rative « consorziate » (esplicitamente in tal senso, Trib. Napoli 30 aprile 1999, in Foro nap., 1999, p. 354, con osservazioni di X. Xxxxxxxxx, Note minime in tema di « cooperative di secondo grado », ed in dottrina, da ultimo, Bonfante, La nuova società cooperativa, Bo- logna 2010, p. 351 s., al quale si rinvia per altri richiami).
Puntuali indicazioni sulla tendenza indicata nel testo in G.F. Campobasso, Diritto com- merciale 1. Diritto dell’impresa6, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Torino 2008, p. 264 s., nt. 1 e nel classico studio di Xxxxx xx, voce Consorzio (teoria gen.), in Enc. dir., vol. IX, Milano 1961, p. 371 ss.; per un panorama della legislazione di ausilio e sostegno in tema di consor- zi del secolo scorso v., invece, l’accurata rassegna di Miola, Consorzi e società consortili, in Nuova g. civ. comm., 1986, II, spec. p. 217 ss.
Queste nuove tendenze affiorano con prepotenza nel « contratto di rete », la cui travagliata disciplina, inizialmente recata dall’art. 3, comma 4o ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5 (fra le « misure urgenti a sostegno dei settori indu- striali in crisi »), è stata modificata in varie occasioni: una prima volta, in se- de di conversione del decreto legge, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33; poi, dall’art. 1, comma 1o, l. 23 luglio 2009, n. 99, contenente disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, ed infi- ne, da ultimo, dall’art. 42, comma 2o bis, l. 30 luglio 2010, n. 122, recante nuove « misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competi- tività economica ».
La scelta di conferire valore giuridico al concetto economico-aziendale di
« rete »risente degli esiti di talune ricerche condotte da una parte della nostra moderna civilistica (2), a sua volta influenzata dalla potente suggestione eser- citata dal dibattito comparatistico.
Pur senza ripercorrerne qui gli articolati sviluppi, pare doveroso almeno segnalare che la non risalente negazione del valore giuridico al concetto eco- nomico di « network » (3) è stata sottoposta ad una penetrante revisione criti- ca da una dottrina tedesca, puntata sulla necessità di costruire una figura giuridica suscettibile di enucleare relazioni economiche e commerciali (« eco- nomic and business relations ») connotate in virtù della compresenza del pro- filo associativo e degli elementi propri degli accordi di scambio (4): il riferi-
(2 ) Si allude agli studi curati da Cafaggi: Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, Bologna 2004, p. 1 ss.; (con Xxxxxxxx) La crisi di impre- sa nelle reti e nei gruppi, Padova 2005, p. VII ss.; (con Iamiceli), Reti di imprese tra crescita e innovazione legislativa: riflessioni da una ricerca sul campo, Bologna 2007, pp. 11 ss. e 31 ss.
(3 ) Proposta da Buxbaum, Is « Network » a Legal Concept?, in Journ. Institutional and Theoretical Economics, vol. 149 (1993), p. 698 ss., spec. p. 704.
(4 ) Ci si riferisce ai noti studi di Xxxxxxx, fra i quali deve ricordarsi, oltre al classico Unitas Multiplex: Corporate Governance in Group Enterprises, in Regulating Corporate Groups in Europe, eds. by Xxxxxxxx x. Xxxxxxx, Baden-Baden 1990, p. 67 ss., almeno: Beyond Contract and Organisation? The External Liability of Franchise Systems in Ger- man Law, in Franchising and the Law: Theoretical and Comparative Approaches in Eu- rope and in the United States, eds. by Xxxxxxx, Xxxxx-Xxxxx 0000, p. 105 ss.; Piercing the Contractual Veil? The Social Responsability of Contractual Networks, in Perspectives of Critical Contract Law, eds. by Xxxxxxxxxxx, Aldershot 1993, p. 211 ss.; The Many- Headed-Hydra: Networks as Higher-Order Collective Actors, in Corporate Control and Ac- countability, eds. by XxXxxxxx, Xxxxxxxxx x. Xxxxx, Oxford 1993, p. 00 xx.; Xxx Xxxxx xxxxx- xxx Xxxxxxxxx, xx XXX, vol. 165 (2001), p. 550 ss.; e, da ultimo, la monografia in lingua tedesca Netzwerk als Xxxxxxxxxxxxxxx, Xxxxx-Xxxxx 0000, passim e lo studio in lingua in- glese Coincidentia oppositorum: Hybrid Networks Beyond Contract and Organisation, Xxxxxx lectures 2003/4 Yale Law School, in Festschrift in Honour of Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Stanford 2006, disponibile presso il sito xxxx://xxxx.xxx/xxxxxxxxx000000.
Gli esiti di queste importanti ricerche sono stati da ultimo rivisitati dal Xxxxxxx, Net- works and Comparative Sociological Jurisprudence, in Festschrift für Xxxxxxx Xxxxxxx, Berlin-New York 2009, p. 249 ss.; e merita segnalazione anche il tentativo di ricostruzione sistematica delle reti contrattuali recentemente condotto da Xxxxxxxxx, Die Dogmatik der Vertragsnetze, in (207) AcP, 2007, p. 718 ss.
mento è alle catene di franchising, di fornitura o distribuzione organizzata, nelle quali è sovente consacrata una data politica di gestione delle scorte di materie prime e di semilavorati necessari alla produzione, volta a coordinare i tempi di effettiva necessità dei materiali sulla linea produttiva con la loro ac- quisizione e disponibilità nel segmento del ciclo produttivo e nel momento in cui se ne richiede l’utilizzo (cc.dd. just-in-time-systems) (5). In particolare, l’analisi empirica delle catene di fornitura rivela una chiara predilezione dei committenti, pur avvinti da una comunione di scopo, per contratti di scambio bilaterali con ciascuno dei subfornitori, che consentono il mantenimento della facoltà di scelta dei medesimi, scongiurando la formazione di alleanze fra gli stessi, rese possibili dai vincoli associativi (6).
In questi casi, l’esigenza di regolamentazione dei reciproci rapporti dei partecipanti alla catena di distribuzione solleva il problema di conferire rile- vanza giuridica al collegamento negoziale esistente fra i diversi contratti bila- terali ed alla complessa operazione economica sottostante: donde gli sforzi te- si all’individuazione di una figura che consenta di valicare il principio di rela- tività degli effetti del contratto (art. 1372 c.c.) (7), difficilmente adattabile ai
(5 ) Esemplare la fattispecie pervenuta all’esame della Cass. 21 gennaio 2009, n. 1465, in Corr. trib., 2009, p. 475 (ed a p. 829, con nota di Xxxxxx; vedila anche pubblicata in GT Riv. giur. trib., 2009, p. 220, con nota di Lovisolo), consistente in « una serie intersecata di agreements... tra la Piaggio VE s.p.a. e la Daihatsu Motor Company (DMC) per regolare i rapporti di partnership volti ad estendere all’Europa la produzione e commercializzazione del minivan giapponese ». Alla base dell’alleanza industriale vi è una corporate joint ventu- re con costituzione di una società ad hoc (partecipata sia da Piaggio sia da DMC), « cioè la P&D incaricata di acquistare — con cospicuo investimento finanziario — linee di produzio- ne, stampi ed attrezzature specifiche per la costruzione dei veicoli ricevendo in licenza da DMC brevetti e know-how »; P&D conferisce « a sua volta in sub-licenza a Piaggio la tec- nologia di DMC affidandogli in comodato gratuito le attrezzature e gli stampi acquistati per la realizzazione del minivan »; Piaggio costruisce « i veicoli con le proprie catene di mon- taggio e le specifiche attrezzature di proprietà di P&D, cedendo poi a questa ultima il pro- dotto finito ad un prezzo inferiore ai costi (in quanto ammortizzati dalla comodante) »; P&D li rivende « — dopo i finali assemblaggi e l’applicazione dei relativi marchi — ai sin- goli soci » (Piaggio e DMC), che, tramite i propri concessionari, li mettono in distribuzione sui rispettivi mercati di destinazione finale.
(6 ) Cfr., già, i penetranti rilievi di Pardolesi, I contratti di distribuzione, Napoli 1976,
p. 284 s. e, da ultimo, Cafaggi, Introduzione, in Il contratto di rete. Commentario, a cura del medesimo, Bologna 2009, p. 17.
(7 ) Sottolinea questi limiti del collegamento negoziale, con particolare attenzione ai contratti di distribuzione, ad es., Xxxxxxx, I contratti di distribuzione come contratti di
« rete », in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Xxxxxxxx, Torino 2009, p. 229 s., testo e nt. 8, portando l’esempio di un franchisee licenziatario che fa un uso scorretto del marchio, causando una perdita di clientela agli altri franchisee: proprio a causa del princi- pio di relatività del contratto, quest’ultimi non sono legittimati ad esercitare azione di re- sponsabilità contrattuale nei confronti del primo. Altre esemplificazioni, tratte dalla giuri- sprudenza tedesca, in Xxxxxxx, Reti di imprese, « contratto di rete » e individuazione delle tutele. Appunti per una riflessione metodologica, ivi, p. 279 ss.
Giova ricordare tuttavia che, nei più recenti studi della nostra dottrina sul collegamento negoziale (e cfr., X. Xxxxxxx, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova
più moderni fenomeni emersi nella realtà d’impresa. In questo senso si discor- re di « reti di contratti (bilaterali o plurilaterali) collegati », al fine di eviden- ziare la possibile dimensione associativa insita in questi rapporti, che consen- tirebbe di valorizzare la « relazione strumentale di complementarietà tra le attività delle imprese di cui il collegamento contrattuale definito dal contratto di rete diviene espressione »: l’interdipendenza tra le attività, palesata dalla causa e dall’oggetto dei contratti collegati, potrebbe così incidere sul rischio di impresa (8).
Ed a siffatte fenomenologie, in cui la rete è non già un contratto, bensì una « fattispecie di contratti »(9), sembrano esclusivamente riferirsi le inda- gini comparatistiche sopra menzionate (10).
2. — Su un piano oggettivamente diverso deve invece collocarsi il « con- tratto di rete » contemplato dalla legislazione speciale di ausilio e di sostegno alle piccole e medie imprese del 2009 e del 2010.
In un primo tempo (d.l. 5/2009, conv. in l. 33/2009), il legislatore aveva circoscritto la fruizione di (futuri) incentivi ed agevolazioni agli accordi con i quali « due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più atti- vità economiche allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato »: definizione che presupponeva la ricorrenza di
1999, p. 224 ss. e spec. p. 342 ss.; Palazzo, Operazioni economiche e collegamento nego- ziale in una recente ricostruzione, in R. d. comm., 2001, I, p. 387 ss.), si riscontra una revi- sione dell’impostazione tradizionale sugli indici rivelatori del fenomeno ed il tentativo di edificare la nuova categoria concettuale dell’operazione economica (su cui v. ora X. Xx- brielli, L’operazione economica nella teoria del contratto, in R. trim. d. proc. civ., 2009, p. 909 ss. ed in part. p. 916 ss.), che consentirebbe, fra l’altro, di ipotizzare azioni dirette tra i soggetti collocati agli estremi della catena contrattuale.
(8 ) Cafaggi, Introduzione, cit., p. 16. Sull’impossibilità di risolvere la « rete »nel colle- gamento negoziale e sui principali limiti di quest’ultimo si soffermano: Iamiceli, Le reti di imprese: modelli contrattuali di coordinamento, in Cafaggi (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., p. 131 s. nonché, per esemplificazioni, Ead., Dalle reti di imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, in Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., p. 10, nt. 34; Xxxxxxx, Reti di imprese, cit., p. 287 ss.; X. Xxxxxxxxxxxx, Dal colle- gamento negoziale alla causa di coordinamento nei contratti tra imprese, ibidem, p. 61 ss.; e v. anche Crea, Reti contrattuali e organizzazione dell’attività di impresa, Napoli 2008, p. 257 ss. e, da ultimo, l’accenno di Villa, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in G. comm., 2010, I, p. 955 s., anche in relazione alle soluzioni accolte, in Francia, dall’art. 1172 dell’Avant Project sulla riforma del diritto delle obbligazioni, in merito al fenomeno dei contratti interdipendenti.
(9 ) Come puntualizza Crea, op. cit., p. 129, la quale però successivamente (a p. 259) accosta — con un’evidente sovrapposizione di piani sì interferenti, ma nettamente distinti (come si dirà di qui a poco nel testo) — la rete così concepita al gruppo paritetico, che in- vece costituisce un contratto, come dimostra l’art. 2545 septies c.c.
(10 ) Xxx xxxx, da ultimo, i saggi raccolti nel volume curato da Amstutz x. Xxxxxxx, Networks. Legal Issues of Multilateral Co-operation, Oxford 2009 ed in quello a cura di Xxxxxxxxx, From Exchange to Cooperation. Networks and Long-Term Relationships in European Contract Law, Amsterdam 2010.
una retrostante fattispecie associativa (società, consorzio, associazione) affat- to estranea al dibattito comparatistico sopra sintetizzato in tema di
« network » (o « Netzwerk »), avente invece ad oggetto forme ibride non sus- sumibili né nel contract, né nella corporation (11).
L’originalità della definizione appena riportata, congiunta all’articolata disciplina della figura, induceva i primi commentatori — pur con qualche si- gnificativa eccezione (12) — a negare che il « contratto di rete »assumesse ri- lievo meramente pubblicistico, funzionale cioè alla sola fissazione delle condi- zioni per la fruizione dei generici incentivi fiscali, amministrativi e finanziari. Di qui il ricorrente interrogativo se il « contratto di rete » costituisse inedita tipologia di fenomeno associativo fra imprese o rappresentasse, piuttosto, me- ra specificazione di istituti preesistenti nel codice civile: verifica affatto dove- rosa, attesoché qui l’atto di autonomia stabilisce regole per lo svolgimento di un’attività destinata a protrarsi nel tempo ed a coinvolgere terzi, con tutte le conseguenti esigenze di certezza del codice organizzativo adottato dalle par- ti (13). E la dottrina incline a preferire il primo capo dell’alternativa testé pro- spettata, lasciava però nell’ombra sia la reale portata, sia, di riflesso, le pre- sunte differenze della « nuova » figura rispetto ai paradigmi preesistenti (14): si era cioè trascurato di approfondire se le potenzialità del supposto « nuovo » tipo contrattuale fossero già, in ipotesi, conseguibili mediante un accorto, ma-
(11 ) V. per tutti, segnalando la necessità di ripensare la classica dicotomia contratti as- sociativi-contratti di scambio, Teubner, Coincidentia oppositorum: Hybrid Networks Be- yond Contract and Organisation, cit., p. 12 ss.
(12 ) Il riferimento è a Marasà, Contratti di rete e consorzi, in Corr. mer., n. 4/2010, Rassegna monotematica, pp. 9 e 11 s., che, traendo spunto anche dal titolo della legge nel quale è collocata la disciplina del « contratto di rete », ravvisava anche una linea di conti- nuità con la legislazione speciale di sostegno ai consorzi non caratterizzati da finalità anti- concorrenziali, inaugurata dalla l. 30 aprile 1976, n. 374.
(13 ) Cfr. in luogo di molti, sia pur con riguardo alla tipicità delle società, i limpidi rilie- vi di Abbadessa, Le disposizioni generali sulle società, in Tratt. Xxxxxxxx, vol. 161, Torino 1985, p. 40.
(14 ) E v., Xxxxxxx, I contratti di distribuzione, cit., p. 254, che discorreva di « figura autonoma di rapporto associativo, e intermedia tra il mero contratto “di collaborazione”... e l’organizzazione societaria (della quale non presenta la struttura) ». Xxxxxxxxx invece nel
« contratto di rete »non già di nuovo tipo, bensì un contratto « trans-tipico», Cafaggi, In- troduzione, cit., p. 22 ss.
Ma nel senso dell’equivalenza del « contratto di rete »ad un consorzio con attività ester- na si pronunciavano: Xxxxxx, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Xxxxxxxx, cit., p. 170 ss.; Ferri sn, Manuale di diritto commerciale13, a cura di Angelici e G.B. Xxxxx, Torino 2010, p. 211; Marasà, Con- tratti di rete e consorzi, cit., p. 9 ss.; nonché, sebbene in termini meno espliciti, Villa, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Xxxxxxxx, cit., p. 119; Xxxxxxx, Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete, in Obbl. e contr., 2010, p. 90; Xxxxx, Reti contrattuali fra imprese e trasferimento della conoscenza innovativa, in Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., pp. 180 ss. e spec. 192 s.; e X. Xxxxxxxxxxx, Xxxx e contratti tra im- prese tra cooperazione e concorrenza, ivi, p. 395.
gari combinato, utilizzo dei contratti associativi già regolati dal codice civile; e, soprattutto, risultavano inesplorati gli effettivi margini di valenza civilistica del peculiare oggetto della « rete », descritto nell’art. 3, comma 4o ter e pun- tualizzato nella sua lettera c.
La particolare equivocità di un testo legislativo redatto in modo assai sciatto e frettoloso alimentava la tentazione di affermare il carattere mera- mente pubblicistico della « nuova » figura, sì da scongiurare rischi di confu- sione (15) in un contesto — quello dei fenomeni associativi — in cui il nomen iuris può rivelarsi affatto determinante nell’istanza di assicurare certezza dei traffici (16). Ma il contenuto e la portata della disciplina del contratto bi- o plurilaterale associativo di rete, non del tutto coincidente con il fenomeno economico-aziendale della rete di imprese, non solo rendevano affatto pere- grini simili partiti ermeneutici, ma precludevano la fruizione delle agevolazio- ni a reti non associative tra imprese pur meritevoli di incentivi.
A tali criticità (17) non sembra rimediare la nuova definizione di « con- tratto di rete », recata dall’art. 42, comma 2o bis, l. 30 luglio 2010, n. 122.
Certo, a prima vista, la riformulata nozione parrebbe disegnare una fatti- specie più rispondente al modello economico-aziendale delle reti di imprese, oggetto del dibattito comparatistico schizzato in apertura. Il raffronto con la definizione originaria recata dal d.l. 5/2009 desta infatti l’impressione che il nuovo « contratto di rete »costituisca figura ibrida, trascendente l’àmbito dei contratti associativi ed esclusivamente funzionale a consentire la sommini- strazione degli incentivi statali per lo sviluppo economico agli imprenditori che, a prescindere dal modello di cooperazione utilizzato, « perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità in- novativa e la propria competitività sul mercato ». Deporrebbe in tal senso la circostanza che, nel nuovo testo normativo, l’esercizio in comune « di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa » risulta degradato ad elemento accidentale del « contratto di rete », là dove, nella precedente ver- sione della disposizione, ne costituiva il tratto qualificante ed inderogabile: ciò che insinua il dubbio che il « contratto di rete »non sia oggi più configurabile, necessariamente, in termini di contratto associativo con comunione di scopo.
L’uso del condizionale è però d’obbligo, poiché questa prima impressio-
(15 ) Non a caso più di un interprete avrebbe preferito il silenzio normativo sul punto (e v., oltre allo scritto di Marasà, citato alla nota precedente, M.R. Xxxxxxx, Reti di imprese e contratti di imprese, in Obbl. e contr., 2009, p. 956 ss.; Xxxxxxxx, Il contratto di rete: una soluzione in cerca di un problema?, ivi, p. 932 ss.).
(16 ) Imprescindibile, di nuovo, il riferimento ad Abbadessa, Le disposizioni generali, cit., p. 42, cui adde, per un ragionato inventario delle ipotesi in cui la rilevanza del nomen iuris è determinante per la qualificazione del fenomeno, Marasà, Le società. Società in ge- nerale2, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 2000, p. 260 s.
(17 ) Stigmatizzate da Xxxxxxxx, Il contratto di rete, cit., pp. 937 e 940 s., che avanzava
« il sospetto che si tratti soltanto di formula propagandistica, inutile ai fini civilistici » e, comunque, priva di « ontologia propria ».
ne, alimentata da una superficiale lettura della nuova definizione della fatti- specie, è destinata ad esser successivamente smentita sia da una sua più ap- profondita disamina, sia dall’articolata disciplina ad essa riservata, da cui si evince che la « rete » resta sempre un contratto bi- o plurilaterale associativo con comunione di scopo.
Xx xxxxxx, quanto alla nozione, il perseguimento da parte degli impren- ditori dell’obiettivo di « scambiarsi informazioni o prestazioni di natura indu- striale, commerciale, tecnica o tecnologica » deve avvenire pur sempre nel contesto di un « programma comune di rete » i cui contenuti sono analitica- mente esplicitati dalla lett. c) del comma 4o ter, del novellato art. 3, d.l. 5/2009: occorre in particolare che tale piano specifichi « le modalità di realiz- zazione dello scopo comune ». In punto di disciplina è poi emblematico il ri- chiamo delle « regole generali di legge in materia di scioglimento totale o par- ziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo », contenuto nella successiva lett. d), onde regolamentare le condizioni per l’esercizio del diritto di recesso dal « contratto di rete ».
Già questi rilievi introduttivi attestano che la disciplina del « contratto di rete », arricchita dall’intervento del 2010 e costellata da riferimenti a istituti regolati nel codice civile, non esaurisce la sua portata sul piano pubblicistico. Per converso, tale normativa è intrisa di risvolti civilistici meritevoli di essere scandagliati ed esplorati, anche nella prospettiva di scorgervi possibili chiavi di soluzione a delicati nodi interpretativi posti dalle regole codicistiche riser- vate ad alcune forme di integrazione fra imprenditori, ed ai consorzi in parti- colare (18). Parrebbe anzi che il « contratto di rete » possa fungere da terreno di sperimentazione e di acclimatamento di opzioni legislative suscettibili, in qualche misura, di costituire il futuro statuto dei modelli giuridici di coopera- zione tra imprese. È del resto istruttiva l’esperienza del contiguo campo pro- blematico dei gruppi di imprese, in cui la disciplina contenuta nella c.d. legi- slazione speciale (ad esempio del gruppo bancario) ha costituito importante
« laboratorio » per l’elaborazione delle regole generali (19) successivamente introdotte nel codice civile (art. 2497 ss.).
3. — Xxxxxxxxx nei termini suesposti il programma della ricerca, conviene prendere le mosse dalla disamina del nucleo della disciplina del « contratto di
(18 ) È del resto ormai acquisito l’apporto offerto dalla legislazione speciale alla soluzio- ne delle questioni legate alla mutualità consortile, neppure definita dal codice civile. Cfr. Xxxx, La disciplina codicistica dei consorzi e la sua integrazione, in Studium iuris, 2000, p. 131, cui adde, da ultimo, la ricognizione di Xxxxxx, Consorzi e società consortili, in Cotti- wo-Sarakk-Wkicmaww, Società di persone e consorzi, nel Tratt. Cottino, vol. III, Padova 2004, p. 409, nt. 5.
(19 ) E ci sembra doveroso ricordare la lezione, in proposito, di G.F. Campobasso, Con- trollo societario e poteri della capogruppo nei gruppi e nei gruppi bancari, in I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi, Venezia (16-17-18 novembre 1995), vol. II, Milano 1996, p. 786.
rete », a nostro parere contenuto nella lett. c del comma 4o ter dell’art. 3, d.l. 5/2009, nel testo modificato dall’art. 42, l. 122/2010.
Si prescrive che il contratto debba indicare « la definizione di un pro- gramma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assun- ti da ciascun partecipante » nonché, soprattutto, « le modalità di realizzazio- ne dello scopo comune ». Trattasi insomma di contratto normativo con comu- nione di scopo, qualificato dal suo peculiare oggetto sempre e comunque ine- rente la « collaborazione »fra imprenditori (c.d. contratto di coordinamento): questi ultimi assumono l’obbligo di rispettare l’indirizzo generale fissato nel- l’accordo nello svolgimento di una continuità di rapporti futuri orientati al costante perseguimento dello scopo comune (20). Donde si comprende altresì il vantaggio di addivenire a simili accordi per imprese già legate da contratti di affiliazione commerciale. Ed infatti, posto che la stipulazione del « contrat- to di rete »vincola i partecipanti ad un comportamento leale e rispettoso del- l’altrui sfera giuridico-patrimoniale (cc.dd. obblighi di protezione), il singolo affiliato (franchisee) potrebbe così, ad esempio, agire in via contrattuale con- tro altro consociato il cui comportamento — in ipotesi consistente in un uso scorretto del marchio o degli altri segni distintivi — abbia gravemente leso l’immagine del sistema (21): facoltà questa non consentitagli in virtù del solo contratto bilaterale di affiliazione commerciale, stante il principio di relativi- tà (art. 1372 c.c.).
Il « contratto di rete » è dunque volto a realizzare un coordinamento di attività imprenditoriali « contigue », ma giuridicamente distinte: il che non implica, beninteso, veruna necessità di una destinazione di beni all’attività opponibile a terzi, come risulta dalla stessa lett. c) in esame ove l’istituzione di un fondo patrimoniale comune è prevista come meramente eventuale (22).
(20 ) Richiama la categoria dei « contratti di coordinamento », proprio a proposito dei contratti di distribuzione, Xxxxxxxxx, I contratti, cit., p. 267 s., riprendendo gli studi di Sa- kawdra, Contratti preparatori e contratti di coordinamento, in R. d. comm., 1940, I, p. 29.
V. anche, sebbene in altro contesto, Daccò, L’accentramento della tesoreria nei gruppi di società, Milano 2002, p. 97 ss.; X. Xxxxxxxxx, Il gruppo paritetico, Torino 2001, p. 89, spec. nt. 97.
(21 ) In altri termini, il richiamo ai doveri fiduciari risultanti dalla stipulazione del con- tratto associativo di « rete »(su cui sia consentito rinviare, per i necessari approfondimenti e ragguagli bibliografici, alla nostra op. ult. cit., p. 198 ss.) offrirebbe adeguata soluzione alle delicate problematiche segnalate dalla dottrina citata in nt. 7 (e v., già, la proposta di Xxxxxxxxx, Il franchising: profili sistematici e contrattuali, Milano 1988, p. 208 s., spec. nt. 304, sulla scorta della dottrina francese).
(22 ) È vero che l’istituzione del fondo patrimoniale comune di rete è contemplata dalla norma come accidentale; pare, tuttavia, non aver senso concludere un « contratto di rete » sprovvisto di tale fondo, giacché le agevolazioni fiscali di cui all’art. 42, comma 2o quater,
l. 122/2010, hanno proprio ad oggetto la temporanea sospensione di imposta relativamente al« la quota degli utili dell’esercizio destinati dalle imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete... al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare per realizzare entro l’esercizio successivo gli investimenti previsti dal programma comune di re- te... ». Quale imprenditore rinuncerebbe, allora, alla riservatezza degli obiettivi strategici di
Se ne deduce la piena legittimità di una mera « cassa comune » con funzione di semplice supporto nel conseguimento dello scopo comune, mediante una rapida definizione dei rapporti obbligatori interni (23) ed un agevole soddisfa- cimento di oneri e spese di interesse collettivo.
Pur in assenza di una specifica previsione sull’istituzione di un fondo pa- trimoniale comune, il « contratto di rete » resta comunque caratterizzato da un’organizzazione, embrionale o complessa, nel difetto della quale non sareb- be possibile coordinare le sub-attività dei partecipanti (24); e, poiché il succes- sivo comma 4o quater dell’art. 3, d.l. 5/2009, prescrive in ogni caso la sua soggezione ad iscrizione nel registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante (aggiungendo che « l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti co- loro che ne sono stati sottoscrittori originari ») (25), non può certo ritenersi
cooperazione assicurata dal consorzio senza poter comunque fruire della minima agevola- zione fiscale? V. anche, sul punto, la successiva nt. 25.
(23 ) Come ritenuto possibile, del resto, nelle associazioni temporanee di imprese (Astokfi, Il contratto di joint venture. La disciplina giuridica dei raggruppamenti tempora- nei di imprese, Milano 1981, p. 72; Xxxxxx, Le associazioni temporanee di imprese, Milano 1983, p. 48).
Che i contributi delle imprese aderenti ad un consorzio interno non costituiscano un pa- trimonio autonomo, è sostenuto dalla dottrina prevalente (così, Borcioki, Consorzi e società consortili, in Tratt. Cicu-Messineo-Xxxxxxx, vol. XXX, x. 3, Milano 1985, p. 80 s.; X. Xxxx- ckschkkki, Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi3, in Comm. Scia- loja-Branca, a cura di Xxxxxxx, Bologna-Roma 1992, p. 120; Vokpk Putzoku, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tratt. Xxxxxxx, vol. IV, Padova 1981, p. 418), ma non manca qualche voce contraria (Xxxxx, I consorzi tra imprenditori, Milano 1988, pp. 113, nt. 110, e 167 e 211 ss., spec. nt. 242, sulla base di un’interpreta- zione dell’art. 2609, comma 1o, a nostro giudizio non condivisibile; e soprattutto Xxxxxxxx, Struttura e funzione del fenomeno consortile, Padova 1992, p. 265 ss., che non ravvisa ostacoli all’applicazione dell’art. 2615 c.c. ai consorzi interni).
(24 ) Imprescindibile, al proposito, l’insegnamento di Fkrro-Xxxxx, I contratti associati- vi, Milano 1971, p. 377, in nota, là dove evidenzia che esistono fenomeni associativi che, pur non caratterizzandosi per una destinazione con efficacia reale di beni all’attività, non si risolvono in un mero fascio di obbligazioni negative, implicando per converso un’organiz- zazione unitaria con la funzione di coordinare l’azione dei singoli contraenti.
(25 ) Pubblicità che, se necessaria a rendere trasparente la somministrazione delle age- volazioni fiscali, indubbiamente sacrifica l’istanza di riservatezza degli imprenditori ade- renti al « contratto di rete »in ordine all’effettiva organizzazione interna istituita e, soprat- tutto, agli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva del sodalizio (lett. b, del comma 4o ter). Peraltro, sia osservato per inciso che l’istanza di un simile riserbo potrebbe anche ostacolare la diffusione del « contratto di rete »e rendere tut- tora preferibile il tradizionale consorzio con attività esterna, con riguardo al quale la pub- blicità è circoscritta al solo estratto del contratto: facoltà concessa dagli stessi lavori prepa- ratori al codice civile (Relazione al Re, n. 246). E v., fra gli altri, Marasà, Il contenuto do- cumentale dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi in relazione ai requisiti di qualificazione, in Id., Contratti associativi e impresa, Padova 1995, p. 119; Vi- co, Note in tema di pubblicità delle società di persone presso il registro delle imprese, in R. soc., 1997, p. 975 s., testo e nt. 6.
Per analoghe ragioni, l’imprescindibile iscrizione nel registro delle imprese del « con-
qui — diversamente dai consorzi con attività interna per i quali non è previ- sta alcuna forma di pubblicità — che il suo perfezionamento sia irrilevante per i terzi (26).
Ma proprio tale modalità di iscrizione pare escludere, d’altro canto, che il
« contratto di rete »dia vita, almeno in tal caso, ad un soggetto di diritto au- tonomo dalle imprese partecipanti. In assenza del fondo comune, la sua stipu- lazione genera piuttosto un’impresa collettiva priva di autonomia patrimonia- le (c.d. comunione di impresa), simile all’ipotesi dei coniugi i quali, ancorché in regime di comunione legale, esercitino in comune un’attività economica senza aver concluso un esplicito contratto di società (artt. 186, 189, 190 e 191 c.c.) (27).
4. — Le riflessioni finora compiute offrono lo spunto per un più appro- fondito raffronto tra « contratto di rete »e consorzio, reso strumento generale per la cooperazione tra imprese dalla l. 10 maggio 1976, n. 377: ciò al fine di
tratto di rete »potrebbe forse ostacolare la sua diffusione come « sindacato di gestione »al- meno fra società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, sottratte alla pub- blicità dei patti parasociali prevista dagli artt. 2341 ter c.c. e 122 T.U.F.; benché, in teoria, la fattispecie in questione ben si presterebbe a fungere da patto parasociale concernente la nomina degli amministratori delle società consociate dal quale trae fondamento, di solito, il
c.d. interlocking directorate, che a sua volta assicura uniformità delle strategie di gestione delle società coinvolte nel legame personale. Sull’interlocking directorate come forma di coordinamento tra piccole e medie imprese si sofferma X. Xxxxx, Reti di imprese e modelli societari di coordinamento, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, cit., p. 184; ed in generale su questo fenomeno e la relativa disciplina applicabile si consenta il rinvio a
X. Xxxxxxxxx, Interlocking directorates ed « interessi degli amministratori » di società per azioni, in R. soc., 2009, p. 310 ss.
(26 ) V., per la sottolineatura di questo profilo, Mkucci, La nuova normativa sui contrat- ti di rete e il rapporto con i patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Persona e merca- to (xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx), n. 1 (luglio 2009), p. 48; ma cfr. anche i dubbi in proposito sollevati da Xxxxx, Coordinamento consortile per la competitività delle imprese tra codice civile e leggi speciali, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Xxxxxxxx, cit., p. 157; nonché Xxxxxx, Dal consorzio al contratto di rete, cit., p. 171 s., che generalizza l’ipo- tesi del contratto di rete con « destinazione patrimoniale compartecipata » per escludere in ogni caso — a nostro parere, non persuasivamente — il suo inquadramento nello schema societario; impostazione che porta poi l’Autore a chiedersi se sia possibile costituire una so- cietà per il perseguimento degli obiettivi assegnati dalla legge al contratto di rete (p. 174).
(27 ) Cfr., nitidamente, Gakcawo, Le società in genere. Le società di persone3, in Tratt. Cicu-Messineo-Xxxxxxx, Milano 2007, p. 91, e le puntualizzazioni in merito della Vittoria, L’azienda coniugale, in Tratt. Xxxxxxx, vol. XII, Padova 1989, p. 13 s., nel contesto di un’impostazione volta a ridimensionare le differenze tra impresa coniugale e società di fat- to, pur non negando l’assenza di autonomia patrimoniale della prima. Si tenga presente, peraltro, che non mancano autorevoli prese di posizione a favore della natura di società di fatto dell’impresa coniugale (Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, vol. II, Milano 1984, p. 167 ss.; Aukktta, Impresa coniugale quale società, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxxxx, vol. VII, Milano 1987, p. 33 ss.). Una completa ed equilibrata panoramica sul punto in G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2. Diritto delle società7, Torino 2009, p. 38 s., testo e nt. 73.
verificare se effettivamente sussistano significativi margini di non sovrapponi- bilità della prima figura al tipo previsto dall’art. 2602 c.c.
Al riguardo, occorre muovere dalla premessa che il consorzio è, nel no- stro ordinamento, collocato in posizione pressoché simmetrica alla BGB-Ge- sellschaft del sistema germanico (28), avendo in fatto sostituito la società civile del codice del 1865, la cui riesumazione è allora divenuta non più necessaria ai fini della qualificazione giuridica di figure contrattuali associative atipiche. In questo solco il modello consortile è stato ritenuto, con il conforto dei lavori preparatori alla novella, « bonne à tout faire » (29), ed è tornato utile finanche nell’inquadramento giuridico — peraltro non pacifico — delle associazioni temporanee di impresa (30), così sottratte all’area dell’atipicità.
D’altronde, il richiamo dell’autonomia contrattuale (art. 1322, comma 2o, c.c.) si rivela oltremodo problematico nel campo dei fenomeni associativi, dovendosene ricercare i possibili margini tra due pilastri: da un lato, la sussi- stenza di figure associative residuali quali società di fatto ed associazione non riconosciuta, volte ad agevolare la qualificazione della fattispecie a seconda della presenza o dell’assenza dello scopo di lucro (31); d’altro lato e soprattut-
(28 ) V. già Sakawdra, Il diritto delle unioni di imprese (consorzi e gruppi), Padova 1934,
p. 88; Xxxxxx, La concorrenza e i consorzi, in Tratt. Vassalli, vol. X, t. I, fasc. 2, Torino 1954, p. 137.
(29 ) La Relazione illustrativa del disegno di legge presentato al Senato il 13 dicembre 1972, da cui nella sostanza discende la novella del 1976, considerava il consorzio « uno strumento disponibile per ogni forma di collaborazione che non abbia carattere societario e cioè per ogni forma di collaborazione consistente nel mettere in comune l’esplicazione di un servizio o, in genere, di una o più fasi del ciclo di impresa, lasciando tuttavia ferma l’auto- nomia economica delle singole imprese e, di conseguenza, la diretta riferibilità a tali sogget- ti dei risultati delle rispettive imprese ». Cfr., soprattutto, Xxxxxxxx, op. cit., p. 167; nonché, in una prospettiva non dissimile, Tkti, Intervento, in La nuova disciplina dei consorzi, in G. comm., 1978, I, p. 324 s.; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 102 e, da ultimo, Xxxxxx, L’interesse consortile, Milano 2008, p. 4, testo e nt. 2; in giurisprudenza, Cass. 18 marzo 1995, n.
3163, in G. it., 1995, I, 1, c. 1800.
(30 ) Si allude alla ricostruzione proposta da Xxxxxx, Le associazioni, cit., p. 109 ss. (e, del medesimo autore, anche Amministrazione e rappresentanza nei consorzi senza attività esterna, nelle associazioni temporanee di imprese e nel Geie (Gruppo europeo d’interesse economico), in questa Rivista, 1990, I, p. 73, nt. 8, ove puntualizzazione dei limiti di appli- cabilità della disciplina dei consorzi alle associazioni temporanee di impresa), che però non ha incontrato i favori della dottrina prevalente, né tanto meno della giurisprudenza (Cass. 24 febbraio 1975, n. 681, in G. comm., 1976, II, p. 780; X. Xxxxx 30 maggio 1990, n. 32,
in Cons. St., 1990, II, p. 1899; Trib. Milano 27 maggio 1991, in G. it., 1991, I, 2, c. 868, con nota di Xxxxxx), incline a ricomprendere la figura in questione fra i contratti associativi atipici.
(31 ) In senso critico sulla configurabilità di contratti associativi atipici, a ragione, Iwzi- tari, Riflessioni sul contratto plurilaterale, in R. trim. d. proc. civ., 1973, p. 476 ss., a p. 520 s. Giova anche rammentare al proposito che, con specifico riferimento alle società, Spa- da, La tipicità delle società, Padova 1974, p. 435 ss., negava che sotto il profilo organizza- tivo potessero darsi società atipiche, poiché qualsiasi regolamento organizzativo predisposto dall’autonomia privata avrebbe dovuto ritenersi compatibile, a seconda della natura agrico-
to, le medesime esigenze di certezza dei traffici sottese al principio di tipicità delle società scolpito dall’art. 2249 c.c., che riemergono almeno quando le parti intendano conferire al contratto associativo rilevanza esterna (art. 2740 c.c.) (32).
Sulla scorta di questi rilievi pregiudiziali occorre allora interrogarsi se i contenuti della disciplina del « contratto di rete », risultante dall’art. 3, com- ma 4o ter, d.l. 5/2009, come modificata dall’art. 42, l. 122/2010, possano va- lere a renderlo fattispecie ontologicamente diversa dal comune schema con- sortile.
La nuova definizione del « contratto di rete », recata dalla norma testé citata, prevede che l’obbligo dei partecipanti, sempre assunto sulla base di un
« programma comune di rete », possa consistere: a) nel « collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese », così riecheggiandosi la nozione codicistica di consorzio di cooperazione interazien- dale (art. 2602); ovvero b) nell’« esercitare in comune una o più attività rien- tranti nell’oggetto della propria impresa », così alludendo alla società consor- tile (art. 2615 ter); ovvero c) nello « scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ».
Quest’ultima ipotesi non può ignorarsi sul piano dell’inquadramento si- stematico del « contratto di rete »anche perché è stata prevista solo con la ri- formulazione della norma nel 2010: nella precedente versione lo scopo-mezzo della rete coincideva — giova qui ribadirlo — con l’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto sociale delle imprese partecipanti.
Caso tipico di sua ricorrenza è dato dagli accordi di centralizzazione del- le invenzioni (c.d. patent poolings), in virtù dei quali due (o più) imprese, che vantano diritti di esclusiva su parti diverse di un unico processo produttivo, si determinano a convenire modalità per la più proficua utilizzazione economica dei ritrovati mediante concessione in licenza anche a terzi dei diritti di pro- prietà su beni immateriali (33). Pure in questo caso si tratta di coordinare le attività degli imprenditori affiliati in relazione agli obiettivi prestabiliti nel programma di rete, non potendosi pertanto prescindere da un’organizzazio- ne, per quanto embrionale e non esplicitata con l’individuazione — mera- mente facoltativa, secondo il tenore letterale della lett. e) del comma 4o ter dell’art. 3, d.l. 5/2009 — di uno specifico « soggetto prescelto per svolgere
la o commerciale dell’attività esercitata, con la società semplice o con la società in nome collettivo: altrimenti detto, Xxxxx non contestava il fondamento del principio di tipicità, ma ne esplorava le sue dimensioni interne (come ha efficacemente rilevato F. Xx Xxxxxx, Socie- tà in generale. Società di persone, in Tratt. Perlingieri, vol. V, t. 4, Napoli 2004, p. 55).
(32 ) Ed emblematico al riguardo deve ancora ritenersi l’insegnamento di Xxxxxxxx, Di- ritto delle società5, Napoli 1962, p. 13 ss., ricordato di recente da Cottiwo-Wkicmaww, Le società di persone, in Cottiwo-Sarakk-Wkicmaww, Società di persone e consorzi, cit., p. 48.
(33 ) Cfr. Musso, Reti contrattuali, cit., p. 216; ed, ampiamente, Fakck, Sistemi a rete e innovazione nei nuovi settori della tecnica. Cenni sui modelli cooperativi, in D. aut., 2010,
p. 238 ss., ove anche indicazioni bibliografiche.
l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso ».
Ed allora, anche qui la fattispecie contrattuale potrebbe riqualificarsi in termini di consorzio, dato che la sua finalità è perfettamente riconducibile al concetto di « fase »delle imprese consorziate, alla disciplina o allo svolgimen- to delle quali è finalizzato il consorzio (34). L’ampiezza del concetto di « fa- se »(35) consente invero di annoverarvi qualsiasi attività svolta nell’interesse dei consorziati (36), strumentale al conseguimento di un vantaggio economico diretto nella loro sfera patrimoniale (37), di regola consistente in un risparmio di spesa o in un maggior ricavo risultante da una razionalizzazione dei mec- canismi produttivi. E, del resto, il dibattito sui cc.dd. consorzi-fidi ha già da tempo chiarito che lo scopo consortile può ben consistere anche in una presta- zione di servizi a favore delle imprese consociate: ciò consentirebbe di attrarre al modello consortile la gestione comune della contabilità, dei segni distintivi, l’uso comune di banche-dati ed elaboratori elettronici e tutte le prestazioni che formano oggetto dei contratti di affiliazione commerciale (art. 1, l. 6 maggio 2004, n. 129) (38).
Sicché non è dubbio che tali caratteri presenta un’attività comune consi-
(34 ) Di diverso avviso, invece,
Cafacci,
Il nuovo contratto di rete: « Learning by
doing »?, in Contratti, 2010, p. 1146, il quale reputa sussistere, in questo caso, un contratto plurilaterale di scambio: ma la tesi non convince, poiché trascura le implicazioni derivanti dallo « scopo comune » insito nell’adesione al « contratto di rete » (discorre, correttamente di « contratto plurilaterale con comunione di scopo », il Maktowi, Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla l. n. 122/2010, in Notariato, 2011, p. 67). Per una compiuta disamina dell’evoluzione dell’istituto del consorzio, v. Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, cit., p. 3 ss.; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 10 ss.; in termini sintetici, ma con molta efficacia, Gakcawo, Le « fasi dell’impresa » nei consorzi fra imprenditori, in Contratto e impr., 1986, p.2 s.
(35 ) Rimarcata dalla giurisprudenza ormai consolidata (e v., ad es., Cass. 26 luglio 1996, n. 6774, in R. d. ind., 1997, p. 161; Cass. 18 marzo 1995, n. 3163, cit.).
(36 ) Cfr., in particolare, Spada, Funzione e organizzazione consortile tra legge e prassi contrattuale, in L’attività consortile, a cura di F. Xx Xxxxxx, Napoli 1990, p. 250, che ri- marca come « la qualificazione consortile... potrebbe prescindere dalla “strumentalità” del- la fase svolta dall’organizzazione comune rispetto alla disciplina dei contegni imprendito- riali dei consorziati ». Vedi anche Xxxxxx, Xxxxxxxx, cit., p. 441 e Xxxxxxxx, op. cit., p. 262.
Per un inventario delle possibili attività oggetto di organizzazione consortile, v. Xxxxxx- xx, Xxxxxxxx, cit., p. 106 s.; Xxxxx, L’esperienza nell’applicazione della legge di riforma del 1976, in L’attività consortile, cit., p. 240 s., che richiamano entrambi l’art. 6, l. 21 maggio 1981, n. 240.
(37 ) Sulla natura del « servizio » perseguito dai singoli consorziati, è d’obbligo il rinvio ai fondamentali rilievi di Ascarkkki, Riflessioni in tema di consorzi, mutue, associazioni e società, in R. trim. d. proc. civ., 1953, pp. 333 s. e 339 s.; cfr. pure, in tempi a noi più prossimi, le lucide osservazioni di Xxxxxxxx, Consorzi, cit., p. 107 e di Tkti, op. cit., p. 323, il quale correttamente riscontra nel consorzio uno strumento di integrazione consistente, tra l’altro, nella creazione di strutture « comuni »utilizzabili dalle imprese.
(38 ) E v. già Fauckckia, Il franchising, cit., p. 204, orientato a configurare in termini di consorzio con attività interna il vincolo associativo generato dal contratto di franchising.
stente — come è in questo caso di « rete » — « a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica » per in- novare e ad accrescere la competitività delle imprese paciscenti (39): palese è invero lo stretto nesso funzionale tra attività esercitate da quest’ultime ed at- tività comune svolta dalla rete (40); né è discutibile, d’altronde, che tale attivi- tà denoti un grado di complessità tale da potersi isolare ed autonomamente considerare rispetto alle « fasi »di produzione e scambio di beni e servizi nel-
(39 ) Non appare persuasiva l’impostazione volta a ritenere che la rete non sia vincolata al perseguimento dello scopo consortile, potendo anche caratterizzarsi per lo scopo lucrati- vo (Iamickki, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, in Il contratto di rete. Commentario, cit., p. 78 s.). Se ciò fosse vero, la specificazione nel comma 4o ter dell’art. 3, d.l. 5/2009 « dello scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato » risulterebbe mera su- perfetazione, né troverebbero razionale giustificazione gli interventi agevolativi ad esso rife- riti. Sottolinea la « mutualità »del contratto di rete, Maktowi, op. cit., pp. 66 e 70.
Per le medesime ragioni va respinta anche la posizione più sfumata di Xxxxxxx, Introdu- zione, cit., p. 32, testo e nt. 73, secondo cui potrebbe « ammettersi, oltre alla mutualità, una causa lucrativa indiretta » in cui i benefici realizzati tramite l’attività della rete siano, in un primo tempo, trattenuti e versati nel fondo, per poi esser trasferiti ai partecipanti
« secondo modalità definite nel contratto di rete in via generale ovvero in relazione allo spe- cifico affare ». Impostazione la cui finalità consisterebbe nel consentire alla rete la produ- zione di beni o servizi destinati ad esser ceduti a terzi (op. ult. cit., p. 30, nt. 68) ed al con- seguimento di utili distribuibili tra gli aderenti proporzionalmente alla quota di partecipa- zione, così sottratti ai vincoli invece sussistenti nelle società consortili, in cui la ripartizione degli utili ai consorziati dovrebbe avvenire in ogni caso secondo criteri mutualistici (e v.,
T.A.R. Campania Napoli 28 giugno 2006, n. 7183 e Id. 13 giugno 2006, n. 6941, in Ban- che Dati Platinum, Utet Giuridica; Massime del Trib. Milano in materia di omologazione, in R. soc., 1984, p. 1453; Trib. Milano 12 maggio 1984, in G. comm., 1985, II, p. 531, aveva negato l’omologazione ad una società consortile per azioni il cui statuto non contem- plava la ripartizione degli utili secondo criteri mutualistici, ma ne consentiva la distribuzio- ne proporzionale al numero di azioni possedute; analogamente orientato l’App. Ancona 10 novembre 1980, in Vita not., 1981, p. 686, in riforma di Trib. Ascoli Xxxxxx 2 ottobre 1980, ibidem). Uno spunto in questa direzione è solitamente ricavato dall’art. 7, l. 21 mag- gio 1980, n. 240, in materia di società consortili costituite tra piccole e medie imprese, se- condo cui gli eventuali utili, se reinvestiti in società, non possono essere oggetto di imposi- zione fiscale, fermo restando il divieto alla loro ripartizione tra i soci sancito dall’art. 4 di questa stessa legge; non manca, tuttavia, una significativa corrente dottrinale che ritiene non generalizzabile il principio di indistribuibilità degli utili sancito da quest’ultima norma (Xxxxxxxx, Consorzi e società consortili, cit., p. 136 ss.; Xxxxxxxxx, Le società consortili, Mi- lano 1984, p. 134 ss.).
(40 ) Deve fermamente dissentirsi da Xxxxxxx, Introduzione, cit., p. 28 s. (condiviso da Xxxxx, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in G. comm., 2010, I, p. 848), là dove ritiene che la rete, diversamente dal consorzio, potrebbe essere costituita anche per lo svol- gimento di attività non strumentali a quelle dei consorziati, ma aventi un’importanza stra- tegica per le imprese aderenti. È stato infatti da tempo chiarito che nel concetto di « fase » di impresa, cui fa riferimento l’art. 2602 c.c., può annoverarsi qualsiasi attività svolta nel- l’interesse dei consorziati, sicché la qualificazione consortile « potrebbe prescindere dalla “strumentalità” della fase svolta dall’organizzazione comune rispetto alla disciplina dei contegni imprenditoriali dei consorziati » (così, Spada, Funzione e organizzazione, cit., p. 250).
le imprese consociate, come appunto dimostra la necessaria esplicitazione dei suoi contenuti nel « programma comune di rete » (art. 3, comma 4o ter, lett. c, d.l. 5/2009, novellato dall’art. 42, l. 122/2010) (41).
Ne costituisce ulteriore riprova il riferimento, nell’attuale definizione di consorzio, ad un’organizzazione comune predisposta dagli imprenditori « per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive impre- se »: in esso è infatti implicita la possibile configurazione di una pluralità di modelli consortili (42), caratterizzati da un grado più o meno intenso di coe- sione fra le imprese consociate in relazione alle funzioni di coordinamento as- segnate dalle parti all’organizzazione comune.
A quest’ultimo riguardo, l’occasione è propizia per distinguere il « con- tratto di rete »dal contratto di gruppo paritetico, esplicitamente regolato dal- la nuova disciplina delle società cooperative (art. 2545 septies c.c.), ma certa- mente utilizzabile anche da società lucrative (arg. ex art. 2497 septies): altro è, invero, esercitare in comune una o più attività economiche rientranti negli oggetti delle proprie imprese (43) ovvero una fase consistente nella ricerca, nella diffusione e/o nell’applicazione di innovazioni industriali o commerciali acquisite dalle società coinvolte nel « contratto di rete »(art. 3, comma 4o ter, primo pr., d.l. 5/2009); altro è esercitare in comune la complessiva fase di di- rezione e coordinamento strategico delle società stesse, ciò che costituisce il tratto distintivo del diverso contratto di gruppo paritetico. Tale differenza si traduce, all’evidenza, in un ben diverso grado di integrazione tra le imprese coinvolte nei due sodalizi: nella « rete » i partecipanti conservano la loro au- tonomia economica, oltreché giuridica; nel gruppo paritetico, la contitolarità della fase di direzione strategica necessariamente implica, invece, la perdita della prima. E, sul piano normativo, il distinguo non è senza conseguenze: per un verso, va escluso che il « contratto di rete » possa generare l’esercizio di
(41 ) Paiono oltremodo significativi, nella prospettiva indicata nel testo: da un lato, l’os- servazione di M.R. Xxxxxxx, Reti contrattuali, cit., p. 299, secondo cui lo strumento consor- tile « veniva utilizzato proprio per quelle forme di coordinamento che oggi vengono descrit- te in chiave di coordinamento di rete »; dall’altro, il rilievo di Xxxxxx, L’interesse, cit., p. 53 s., testo e nt. 70, che la dottrina giuridica ha sostanzialmente tralasciato di valorizzare la piena rispondenza della fattispecie e della disciplina consortile ai modelli organizzativi delle reti di imprese, trascurando che proprio il consorzio costituisce « il modello giuridico di ri- ferimento predisposto dall’ordinamento per regolare l’attività delle organizzazioni reticola- ri ».
Sulla autonomia della « fase »dell’impresa svolta tramite un’organizzazione comune, v. per tutti le stimolanti osservazioni di Martorawo, Consorzi e forme societarie, in R. soc., 1982, p. 1157 s.
(42 ) Cfr., ad esempio, P. Pkrkiwcikri, Xxxx’attività consortile, in L’attività consortile, a cura di F. Xx Xxxxxx, cit., p. 302, per il quale la pluralità di « modelli consortili con funzio- ni diverse... è ampiamente confortata dalla lettura della legislazione speciale ».
(43 ) Proprio il confronto tra le due fattispecie consente di giustificare il limite dell’og- getto sociale delle imprese aderenti al contratto, apparso invece difficilmente comprensibile a Bricawti, La nuova legge sui « contratti di rete » tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, p. 194.
un’attività di direzione e coordinamento di società (ex art. 2497 septies c.c.), con la conseguente applicazione della relativa disciplina (contenuta negli artt. 2497 ss. c.c.); per altro versante, invece, non sembra preclusa l’estensione analogica al « contratto di rete »di quei frammenti di disciplina del « gruppo cooperativo paritetico »(art. 2545 septies c.c.) rispetto ai quali il diverso grado di integrazione nelle due fattispecie si profila neutrale: il che rende possibile realizzare, sia pur entro determinati limiti, una feconda « circolazione » (id est: reciproca integrazione) di discipline delle forme di integrazione tra imprese.
Questo ragionamento offre, ad esempio, più di un elemento a suffragio dell’eventuale partecipazione al « contratto di rete »di enti pubblici e privati, espressamente prevista per il gruppo cooperativo paritetico (art. 2545 septies, comma 1o, n. 3, c.c.) e non invece per il primo, malgrado le indicazioni emer- se dai lavori preparatori (44) e l’innegabile circostanza che proprio Università e centri di ricerca siano le entità elettivamente indicate per coadiuvare le im- prese nella crescita della propria capacità innovativa e competitività sul mer- cato (art. 3, comma 4o ter, d.l. 5/2009, riformulato dall’art. 42, l. 122/2010). Tuttavia, l’omissione non pare preclusiva di tale partecipazione (45), sempreché la sua strumentalità al perseguimento degli obiettivi divisati dalla norma venga adeguatamente esplicitata nel programma comune di rete; non sussiste infatti alcuna norma imperativa che la impedisca e, d’altra parte, la ratio della sua previsione nell’art. 2545 septies è nella natura mutualistico- consortile del gruppo paritetico, non estranea alla « rete », e non già nell’eser- cizio concertato della fase di direzione strategica delle società associate, carat- teristico del gruppo. Né può argomentarsi dall’analogia con la disciplina dei consorzi, ai quali — salvo quanto previsto da leggi speciali — possono parte- cipare soltanto imprenditori (art. 2602 c.c.), poiché nella norma speciale in commento la portata del riferimento agli imprenditori intende circoscrivere il novero dei destinatari delle agevolazioni statali connesse all’innovazione, non già la cerchia di entità suscettibili di coinvolgimento nella « rete ». Piuttosto, sembra non azzardato interpretare la norma speciale nel senso che alle « re- ti » possano aderire — purché in funzione del perseguimento, da parte degli imprenditori consociati, degli obiettivi indicati dall’art. 3, comma 4o ter — anche enti quali Università, alle stesse condizioni richieste per la loro parteci-
(44 ) Nel corso dei lavori preparatori alla l. 122/2010, si registra invero un emendamen- to (proposta emendativa 42.3 in V Commissione in sede referente, pubbl. nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni il 22 luglio 2010) del seguente tenore: « Possono parteci- pare ai contratti di rete costituiti da più imprenditori anche soggetti a carattere associativo, centri di ricerca, fondazioni ed enti, anche privi di personalità giuridica, pubblici o privati, le cui attività siano funzionali allo sviluppo del programma comune di rete».
Benché questo emendamento non sia stato poi recepito nel testo definitivo di legge, non sembrano però sussistere ostacoli, sul piano sistematico, a ritenere ammissibile la parteci- pazione alla rete degli enti ivi indicati.
(45 ) Come ritengono invece, Xxxxxxx, Introduzione, cit., p. 32 (per il quale tale parteci- pazione dovrebbe stimarsi nulla, in applicazione analogica della disciplina dei consorzi); Grawikri, Il contratto di rete, cit., p. 937 e Bricawti, op. loc. ultt. citt.
pazione a consorzi dall’art. 00 xxx, x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (inserito dal- l’art. 13, l. 9 dicembre 1985, n. 705) (46).
5. — Tanto acquisito, occorre però subito puntualizzare che la definizio- ne del « contratto di rete »sembra contemplare anche una sua più complessa configurazione in termini di società consortile di diritto speciale, là dove con- sente di « esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa ».
Né varrebbe obiettare che la causa della « rete »consiste nel generico mi- glioramento della capacità innovativa e della competitività sul mercato, poi- ché in una simile eccezione si annida una sovrapposizione di piani da tener ben distinti. Altro è infatti lo scopo-mezzo del « contratto di rete », che qui consiste nell’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto delle imprese consociate, in assenza del quale il contratto in questione deve ri- tenersi nullo; altro è il suo scopo-fine, appunto individuato in quel migliora- mento della capacità innovativa e della competitività sul mercato, il cui rilie- vo è all’evidenza confinato al piano dei rapporti con la Pubblica Amministra- zione, in relazione alla concessione (ed all’eventuale restituzione) dei benefici amministrativi e finanziari concessi alla « rete »(47).
La possibile natura societaria del « contratto di rete »(48) pare piuttosto
(46 ) Più esattamente, tale partecipazione: a) deve esser volta alla progettazione ed ese- cuzione di programmi di ricerca finalizzati allo sviluppo scientifico e tecnologico; b) deve consistere esclusivamente in un apporto di prestazione d’opera scientifica, sicché oggi è pie- namente ammissibile la partecipazione di un’Università in una s.r.l. consortile (prima della riforma del 2003 non lo era: cfr. Xx Xxxxxxx, L’associazione a fini di ricerca scientifica: for- me giuridiche, in questa Rivista, 1993, I, p. 601 s.); c) il « contratto di rete »deve escludere l’Università dalla prestazione di ulteriori eventuali contributi in denaro (come invece con- sentito dall’art. 2615 ter, comma 2o, c.c.); d) la partecipazione dell’Università deve essere paritaria in relazione all’impostazione dei programmi di ricerca.
Merita peraltro attenzione la proposta, de iure condendo, di intervenire direttamente sull’art. 2602 c.c., concedendo anche a non imprenditori la facoltà di una partecipazione in misura non prevalente al consorzio, pur con una limitazione dei voti complessivamente at- tribuibili, che non dovrebbero superare il terzo dei voti complessivi (Xxxxx, Coordinamento consortile, cit., p. 164).
(47 ) Per uno spunto in questa direzione, C. Scocwamickio, Dal collegamento, cit., p. 75.
(48 ) Configurazione, questa, in linea con l’evoluzione della disciplina europea delle for- me di cooperazione tra imprese che, prendendo atto della modesta diffusione del gruppo europeo d’interesse economico, si è recentemente affidata a modelli societari semplificati (emblematica l’esperienza francese della société simplifiée). E questa tendenza è stata asse- condata, a ben vedere, anche dalla nostra riforma del diritto delle società di capitali del 2003, che ha potenziato la duttilità della società a responsabilità limitata, anche nella pro- spettiva di renderla fruibile come joint venture in operazioni coordinate di gestione e di fi- nanziamento dell’attività d’impresa [cfr., già in fase di gestazione della riforma, M. Rksci- cwo, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a respon- sabilità limitata, in Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, a cura di Xxxxxxx, Patriarca e Presti, Milano 2003, p. 41, che sottolineava l’utilità della nuova s.r.l.
« al fine di delineare gli assetti di una joint-venture paritaria »; nonché, da ultimo, l’accen-
confortata dalla prescrizione in materia di forma, dovendosi lo stesso redigere per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (art. 3, comma 4o ter, 2o pr.) a seconda del tipo di società utilizzato per il conseguimento delle finalità esplicitate dalla legge (artt. 2251 e 2328, comma 2o, c.c.); là dove, per con- verso, l’art. 2603 c.c. si limita a prescrivere la forma scritta a pena di nullità per il contratto di consorzio, giammai richiedendo l’atto pubblico (49).
Non meno significativo è poi il riferimento ai « conferimenti... che cia- scun partecipante si obbliga a versare » al fondo patrimoniale comune della
« rete » (art. 3, comma 4o ter, lett. c) che, se esplicitamente istituito, costitui- sce oggetto di esclusiva garanzia patrimoniale per i creditori della « rete» ed è stabilmente vincolato al perseguimento delle finalità comuni, come dimostra anche la necessaria, correlativa previsione della « misura » e dei « criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e dei contributi successivi »eseguiti dagli affiliati.
D’altro canto, i presunti ostacoli alla configurazione in termini societari del « contratto di rete »paiono agevolmente superabili.
Risulta affatto irrilevante, per cominciare, la possibile assenza del- l’espressione « società consortile » nel testo contrattuale, non rinvenendosi nell’ordinamento alcuna norma che ne imponga l’utilizzo (50).
Né determinante è l’eventuale mancanza di una denominazione e di una sede della « rete »: la lett. e) del comma 4o ter dell’art. 3, d.l. 5/2009, come modificato dalla l. 122/2010, prevede infatti la necessità di indicare nel con- tratto il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale dell’eventuale soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto, non già della « rete » medesima. La diversa impostazione (51) si espone però all’immediata obiezione che tali elementi non sono affatto essen- ziali per la qualificazione in termini societari dell’esercizio in comune dell’at- tività di impresa, come dimostra la circostanza che il contratto di società ben
no di Bkawdiwi, Categorie di quote, categorie di soci. Considerazioni sui diritti particolari dei soci di società a responsabilità limitata tra struttura personalistica e struttura capitali- stica, Milano 2009, p. 126 s., testo e nt. 170, e soprattutto, con specifico riferimento alle reti di impresa (ma prima della loro previsione nella disciplina del 2009), X. Xxxxx, Reti di imprese, cit., p. 214].
Si pensi, nella prospettiva che qui interessa, all’attuale possibilità di conferire opera e servizi (pur con la prestazione di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria a garanzia dell’intero valore ad essi attribuito: art. 2464, comma 6o, c.c.) ed assegnare ad un socio, in ipotesi dotato di un importante know-how, una quota non proporzionale ai confe- rimenti (art. 2468, comma 2o), oppure diritti particolari di carattere amministrativo o pa- trimoniale (art. 2468, comma 3o, c.c.): e proprio clausole statutarie che riconoscano simili prerogative possono valorizzare adeguatamente le peculiarità connesse allo scopo-fine con- sortile del « contratto di rete »strutturato come s.r.l.
(49 ) Ma cfr. la diversa opinione di Xxxxxx, Contratti di rete e consorzi, cit., p. 10, secon- do cui la disciplina della forma del « contratto di rete »collimerebbe con quella dei consorzi.
(50 ) Così, Trib. Roma 1 febbraio 2010, in Banche-Dati Platinum, Utet Giuridica. (51 ) Patrocinata dalla Iamickki, Dalle reti di imprese, cit., p. 29.
possa esser concluso per fatti concludenti e che, nelle società di fatto, manca per definizione un atto costitutivo dal quale risultino denominazione e sede della società. Non sarebbe del resto corretto, in base ad una supposta essenzia- lità della denominazione e della sede nelle società registrate, desumere l’incon- ciliabilità della natura societaria col « contratto di rete »proprio perché neces- sariamente registrato (52): ciò in quanto queste indicazioni sono previste in te- ma di società in nome collettivo (artt. 2292 e 2295, nn.2e 4, c.c.) e non anche per la società semplice, benché anch’essa soggetta, almeno se esercente attività agricola, all’iscrizione nel registro delle imprese con efficacia dichiarativa.
Neppure vale a infirmare il possibile inquadramento societario del « con- tratto di rete » il riferimento all’« organo comune incaricato di eseguire il contratto di rete » che, in assenza di diversa previsione contrattuale, « agisce in rappresentanza delle imprese » aderenti (art. 3, comma 4o ter, lett. e) (53). Pur prescindendo dalla valenza dispositiva della norma ora in questione — la quale consente una conformazione dell’« organo » condivisibilmente rimessa all’autonomia privata (54) —, che la rende perciò affatto neutrale sul piano della qualificazione della fattispecie, occorre al riguardo rilevare che il riferi- mento all’« organo », ben lungi dal rivelarsi « atecnico », si appalesa invece oltremodo sintomatico della necessaria rilevanza esterna del « contratto di re- te »e della configurabilità di un rapporto gestorio e di rappresentanza di tipo organico in capo ai soggetti ad esso preposti (55). Il richiamo dell’« organo »
(52 ) Così, invece, Maktowi, op. cit., p. 68, secondo cui l’iscrizione del « contratto di re- te »presso il registro delle imprese di ciascuna partecipante attesterebbe l’ineludibile assen- za di soggettività della fattispecie in esame.
Ma l’assunto pare infondato, in quanto (come lo stesso Xxxxxxx riconosce: a p. 69) la fun- zione di tale pubblicità consiste nell’evitare che le imprese partecipanti « possano sfruttare in maniera impropria i vantaggi, anche fiscali, che la legge connette alla partecipazione alla re- te », non potendo affatto reagire, quindi, sulla qualificazione giuridica della fattispecie.
(53 ) Diametralmente opposta l’impostazione della Camardi, I contratti di distribuzione, cit., pp. 254 e 261 ss., per la quale il « contratto di rete » servirebbe proprio a sottrarre la forma aggregativa scelta dalle parti al regime della società; cui adde: Iamickki, op. loc. ultt. citt. e Bricawti, op. cit., p. 194.
(54 ) In ipotesi di pluralità di progetti imprenditoriali, può così istituirsi un comitato per ogni iniziativa e/o un unico comitato di coordinamento; inoltre, è possibile anche assegnare a quest’organo compiti di valutazione degli stadi di attuazione del progetto comune nelle singole imprese, nonché funzioni di mediazione in ipotesi di controversie fra i consociati: cfr. Xxxxxxx-Xxxxxxxx, La governance del contratto di rete, in Il contratto di rete. Commen- tario, cit., p. 49 ss., ai quali si consenta di aggiungere il richiamo all’approfondimento già svolto sul punto, sia pur con riferimento all’organizzazione interna dei gruppi paritetici, in
X. Xxxxxxxxx, Il gruppo paritetico, cit., p. 128 ss., i cui risultati sembrano estensibili al contratto di rete. V. anche, nella recente dottrina statunitense, Giksow-Sabkk-Xxxxx, Con- tracting of Innovation: Vertical Disintegration and Inter-firm Collaboration, in Columbia Law Review, vol. 109 (2009), spec. p. 480.
(55 ) Giova poi rammentare gli argomenti, ormai risalenti (cfr., in particolare, X. Xxxx- ckschkkki, Consorzi3, cit., p. 146; G. Miwkrviwi, Concorrenza e consorzi2, in Tratt. Grosso- Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Milano 1965, p. 84; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 191 s.), che militerebbe-
vale insomma a collocare, almeno tendenzialmente, il « contratto di rete » fra le « relazioni interimprenditoriali strutturate », nelle quali i preposti all’uffi- cio direttivo sono chiamati all’esercizio della funzione amministrativa in virtù della posizione rivestita in seno all’organizzazione; ciò che impedisce — come ormai acquisito anche in tema di consorzi (56) — di risolvere il loro rapporto negli schemi del mandato e della rappresentanza. Assai infelice pare, pertan- to, il riferimento al « mandatario comune »nella lett. e) del comma 4o ter del- l’art. 3, d.l. 5/2009, come modificato dalla l. 122/2010.
Non appare dunque corretto inferire che la governance presupposta dal
« contratto di rete » sia indefettibilmente più « leggera » rispetto all’organiz- zazione di un consorzio o di una società consortile: l’opinione contraria è del resto animata soltanto dalla finalità di sottrarre la « nuova » figura all’appli- cazione dei controlli dell’autorità governativa sui consorzi (e sulle società con- sortili), non tenendo però conto che le norme che li prevedono (artt. 2618- 2619 c.c.) non hanno mai ricevuto attuazione (non essendo state mai emana- te le disposizioni richieste dall’art. 111, disp. att., c.c.) e risultano ormai paci- ficamente inapplicabili per effetto dell’abrogazione dell’ordinamento corpora- tivo e per contrasto con i princìpi costituzionali (57).
Per altro versante, va tenuto presente che la disciplina dell’amministra- zione delle società di persone ha carattere suppletivo rispetto all’assenza di una diversa pattuizione dei soci (art. 2257, comma 1o, c.c.); sicché la configu- razione di un contratto di società non implica affatto l’erezione di una ben definita struttura organizzativa, essendo ben possibile riscontrarne gli estremi
— come dimostrano gli esiti del dibattito sulla c.d. « comunione di impresa »
— già in presenza di una concorde volontà di svolgere in comune un’attività economica da parte di più soggetti (58).
ro contro la configurazione dei soggetti preposti all’organo consortile alla stregua di meri mandatari persino nei consorzi con attività interna (discorre, più genericamente, di « figure di produzione dell’azione », Fkrro-Xxxxx, I contratti associativi, cit., p. 282 ss.; v. anche Spada, La tipicità, cit., p. 141), in ogni caso rimarcando il ruolo tutto sommato relativo ri- vestito in proposito dall’assenza di soggettività giuridica (Xxxxxx, Amministrazione e rap- presentanza, cit., p. 67 ss.).
(56 ) E v., soprattutto, Xxxxxxxx, Consorzi, cit., p. 336 ss.; Xxxxxxxx, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi: funzionamento, in I consorzi e l’attività notarile: costituzione, capacità negoziale e scioglimento, Palermo, s.d. ma 1984, p. 61 ss.;
X. Xxxxxxxxxxxxx, Consorzi3, cit., p. 144 ss.; X. Xxxxxxxxx, Concorrenza e consorzi2, cit., p. 84; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 189 ss.; Xxxxxx, L’interesse, cit., p. 203 ss.; Vokpk Putzoku, I consorzi per il coordinamento, cit., p. 403 ss.
(57 ) La centrata critica all’opposto avviso di Xxxxxxx-Xxxxxxxx, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, in Obbl. e contr., 2009, p. 597, è di M.R. Xxxxxxx, Reti contrattuali e abuso, cit., p. 306, nt. 37; e sul punto cfr. anche Pkrowk, L’interesse, cit., p. 19, ed ivi ulteriori indicazioni.
(58 ) In questo senso è orientata la dottrina largamente prevalente (cfr., fra gli altri, X. Xxxxxxxx, Società e comunione, Napoli 1971, pp. 40 ss., 116 ss., 149 ss. e 309 ss.; Buowo- cork, Le società. Disposizioni generali, in Comm. Xxxxxxxxxxx, Milano 2000, p. 266 ss.; G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2. Diritto delle società7, cit., p. 37; Dkwozza, Responsabili-
Tale rilievo consente anche di respingere la presunta differenza tra socie- tà e « contratto di rete » fondata sulla presenza di soggettività solo nella pri- ma e non anche nel secondo (59): distinguo, questo, che trascura gli esiti del dibattito sulla soggettività delle società di persone, nel contesto del quale ri- corre l’avvertenza metodologica circa l’impossibilità di trarre conclusioni di diritto dal dato meramente estrinseco della presenza o assenza di soggettività (o personalità) giuridica, utilizzato dalla giurisprudenza per motivare soluzio- ni già dimostrate in base ad altri elementi di giudizio o comunque altrimenti argomentabili; conclusioni di diritto devono piuttosto trarsi dalla sola disci- plina positiva dell’istituto, sia esso una società o un « contratto di rete », sic- ché determinante ai fini qualificatori è il solo regime di autonomia patrimo- niale della figura associativa (60).
tà dei soci e rischio d’impresa nelle società personali, Milano 1973, p. 99; Gakcawo, Le so- cietà in genere3, cit., p. 78 ss.; Tawzi, Godimento del bene produttivo e impresa, Milano 1998, p. 315 ss.) e la giurisprudenza ormai consolidata (Cass. 6 febbraio 2009, n. 3028, in
Notariato, 2009, p. 252 e Xxxx. 27 novembre 1999, n. 13291, in D. giur. agr., 2000, p.
533, nonché, da ultimo, Trib. Napoli 10 giugno 2009, in Società, 2010, p. 675).
A favore della comunione d’impresa, oltre al suo teorizzatore (Mkssiwko, Manuale di di- ritto civile e commerciale7, vol. I, Milano 1957, p. 343, seguito, sia pure entro certi limiti da Brawca, Della comunione4, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1965, p. 12 ss.), si è espressa una giurisprudenza ormai remota (App. Roma 31 marzo 1949, in R. d. comm., 1949, II, p. 353, con nota critica di Dossktto, Impresa, società, comunione; Trib. Firenze 21 marzo 1960, in Giur. tosc., 1960, p. 959, commentata criticamente da Xxxxxxx, Rasse- gna di giurisprudenza (1960-1961), in R. soc., 1961, p. 276 s., che rilevava come la pre- senza di una contitolarità d’impresa comporterebbe il grave problema di identificare con si- curezza i momenti decisivi per stabilire, in presenza di un esercizio di fatto, il senso in cui è avvenuta la scelta delle parti; nonché Trib. Bologna 12 febbraio 1976, in G. comm., 1977, II, p. 244).
(59 ) Analogamente orientato, sul punto, Xxxxxxxx, Profili generali del contratto di rete, in Reti di impresa: profili giuridici, finanziamento e rating, Milano 2011, par. 4. Rimarca la differenza ora indicata nel testo, all’opposto, Xx Xxxx, Xxxxxxxxx e reti. Le tutele, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Xxxxxxxx, cit., p. 268, la cui impostazione è proba- bilmente influenzata dall’antica tendenza volta ad attribuire rilievo decisivo alla soggettivi- tà [esemplare la motivazione di Xxxx. 28 agosto 1952, n. 2784 (in R. d. comm., 1953, II, p. 9 ss., e spec. 13 s., con nota critica di Xxxxx, L’interpretazione della legge e la personalità giuridica delle società), ove leggesi: le società « sono sempre soggetti di diritto (soggetto collettivo)... e a questo soggetto è riferibile la proprietà del patrimonio e dell’azienda socia- le: ... fra i singoli componenti e il patrimonio sociale si interpone un quid novi, al quale il patrimonio appartiene giuridicamente »] piuttosto che all’autonomia patrimoniale. Si tratta però di tendenza brillantemente confutata dalla più moderna ed autorevole dottrina giu- scommercialistica (v. i richiami nella nota successiva).
(60 ) E v., soprattutto, Gakcawo, Le società in genere3, cit., p. 152 ss. (ove anche ampia rassegna di giurisprudenza) e, da ultimo, Buowocork, La liquidazione della quota agli eredi del socio defunto e lo psicodramma della soggettività delle società di persone: un contributo positivo della Corte Suprema, in G. comm., 2000, II, p. 403, in margine a Cass., sez. un., 26 aprile 2000, n. 291, ivi, cui xxxx, con riferimento ai consorzi, Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, cit., p. 85 s., testo e nt. 176.
Di diverso avviso, ma isolatamente, Fkrri sn, Delle società3, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1981, p. 10, nt. 13.
Se così è, non deve ravvisarsi alcun ostacolo alla possibile sussunzione del
« contratto di rete » nel tipo societario cui corrisponda il regime patrimoniale in concreto adottato dalle imprese consociate. Non va del resto sottaciuto che proprio l’ingiustificata contrapposizione al regime residuale della società di fatto induceva un’autorevole dottrina a sostenere la natura societaria finanche delle associazioni temporanee d’impresa per la gestione in comune di appalti pubblici (61), pur al cospetto di una disciplina priva di qualsiasi riferimento all’« esercizio in comune di attività economica », su cui invece la definizione del « contratto di rete »è appuntata al fine di non risolverla in un mero coor- dinamento tra attività.
6. — Resta quindi da stabilire il significato del richiamo del regime patri- moniale dei consorzi con attività esterna (artt. 2614 e 2615 c.c.) applicabile,
« in quanto compatibile » al fondo patrimoniale comune eventualmente isti- tuito dal « contratto di rete ».
Tale richiamo risulta affatto decisivo nell’escludere l’imprescindibile in- quadramento del « contratto di rete »nello schema del consorzio e, di riflesso, nel riconoscere la sua possibile configurazione anche in termini di società consortile di diritto speciale.
La clausola di compatibilità potrebbe anzi assumere un significato più generale ed intenso, reagendo sull’interpretazione dell’art. 2615 ter c.c.: ciò nel senso di escludere l’operatività del regime patrimoniale dei consorzi là do- ve il « contratto di rete »sia costituito in forma di società consortile per azioni o a responsabilità limitata, vigendo in tal caso le regole inderogabili stabilite per il tipo societario prescelto. Risulterebbe così consacrata la tesi — di recen- te patrocinata dalla Suprema Corte (62) — per la quale la responsabilità dei
(61 ) Il riferimentoèa C.M. Biawca, La gestione in comune di un appalto pubblico: asso- ciazione temporanea, consorzio, società di fatto o contratto associativo innominato, in que- sta Rivista, 1983, II, p. 653 s. Ma le interferenze con la società di fatto sono riconosciute anche da Xxxxxx, Le associazioni temporanee, cit., p. 58, là dove la cooperazione tra le im- prese assuma connotati di maggiore intensità, sino ad integrare gli estremi della gestione comune; e v. pure O. Troiawo, Cooperazione stabile, plurisoggettiva e contraente unico, Milano 2001, p. 134 ss., nonché, in giurisprudenza, ma ricorrendo alla discutibile figura della società apparente, Cass., sez. lav., 27 ottobre 1995, n. 11152, in Giust. civ., 1995, I, p. 1005.
(62 ) Ci si riferisce alla limpida decisione di Xxxx. 27 novembre 0000, x. 00000 (xx So- cietà, 2004, p. 717, con commento di Bowavkra, Disciplina applicabile alle società consor- tili a r.l.,e in G. comm., 2005, II, p. 387, con nota di Xxxxxx, La posizione della Cassazione sulla disciplina delle società consortili: i limiti della rilevanza causale sulla forma societa- ria), che convincentemente argomenta dall’art. 2615 ter, comma 2o, che consente la previ- sione statutaria di un obbligo di contribuzione in denaro dei soci ulteriore rispetto ai confe- rimenti: la presenza di questa disposizione si giustifica, infatti, proprio in chiave di eccezio- nale deroga, per le società consortili, alla disciplina del tipo societario prescelto che, ove fosse una s.p.a. od una s.r.l., non consentirebbe prestazioni accessorie in denaro (art. 2345, comma 1o, c.c.; sulla ratio del divieto di prestazioni accessorie in denaro, da ritenersi gene- rale e quindi applicabile anche alla s.r.l. pur nell’attuale silenzio normativo sul punto, v.
soci nelle società consortili è regolata esclusivamente secondo il regime patri- moniale del tipo societario prescelto, qui sostitutivo di quello consortile. Co- rollario di tale ricostruzione — tuttora non pacifica (63) — è dunque che, in caso di società consortile per azioni o a responsabilità limitata, per le obbliga- zioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio, risultando inapplicabile l’art. 2615, comma 2o, là dove prevede la responsabilità solidale dei singoli consorziati con il fondo consortile per le obbligazioni assunte dagli
ora Bkrtokotti, Società con prestazioni accessorie, Milano 2008, p. 280 ss.). Aderisce al- l’orientamento della Suprema Corte, il Trib. Napoli 1 luglio 2004, in G. comm., 2006, II, p. 1181, con nota adesiva di Scawo, Il regime di responsabilità dei soci di società consortili a responsabilità limitata; Trib. Isernia 13 marzo 2004, in R. not., 2004, p. 1558; App. Roma 17 giugno 2008, in Banche-Dati Platinum, Utet Giuridica; e v., pure, il decreto del Trib. Alba 5 giugno 1997, in Società, 1997, p. 1181, con commento adesivo di Xx Xxxxxxx, I soci di s.r.l. consortile mantengono la responsabilità limitata.
L’inapplicabilità alle società consortili dell’art. 2615, comma 2o, c.c. è sostenuta nella letteratura manualistica e dalla dottrina prevalente (Borcioki, Consorzi, cit., p. 199; G.F. Campobasso, Diritto commerciale 1. Diritto dell’impresa6, cit., p. 278 s.; Marasà, Consorzi e società consortili, Torino 1990, p. 121; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 320; Vokpk Putzoku, I consorzi, cit., p. 345 e, da ultimo, Xxxxxx, Xxxxxxxx, cit., p. 544, cui adde, per un aggiorna- to quadro di riferimenti, Packiuca, Sub art. 2615 ter, in Codice civile annotato con la dot- trina e la giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxxxxxxx, libro V, tomo II, Napoli 2010, p. 2869 s.; Xxxxxxxx, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tratt. Re- scigno, vol. 182, Torino 2009, p. 323, nt. 23).
(63 ) E v., di recente, Trib. Milano 17 novembre 2005 (in Società, 2006, p. 725, con commento critico di Xxxxxxxx, Contrasto di opinioni circa la responsabilità del socio di so- cietà consortile a r.l.), sulla premessa che l’attività è svolta dalla società consortile sempre per conto di ciascuna delle imprese socie, sicché inciderebbe solo sul piano del coordina- mento delle attività di quest’ultime e non anche sulla responsabilità per le obbligazioni as- sunte nell’interesse di una di esse; v. anche l’originale ricostruzione del Trib. Cagliari 18 aprile 2003, in R. d. comm., 2003, II, p. 357, che giunge a postulare l’applicabilità dell’art. 2615, comma 2o, ad una s.r.l. consortile sull’assunto che i suoi soci risponderebbero limita- tamente delle obbligazioni sociali solo nella loro qualità di soci, ma non anche nella diversa qualità di consorziati nel cui esclusivo interesse la società consortile abbia agito: occorre- rebbe cioè distinguere tra rapporti tra soci e terzi da un lato (con riguardo ai quali la re- sponsabilità dei soci resterebbe limitata) e rapporti tra i terzi e l’impresa consorziata per conto della quale la società consortile ha agito (con riferimento ai quali troverebbe invece applicazione l’art. 2615 c.c.).
A favore dell’applicazione dell’art. 2615, comma 2o, c.c., alle società consortili si è poi espressa una dottrina autorevole, ancorché minoritaria [Fkrri sn, già prima della novella del 1976 nella voce Consorzio, cit., p. 382 e, posteriormente ad essa, ne In tema di società consortili, in R. d. comm., 1981, II, p. 184 e nel Manuale13, cit., p. 208 s. (traendo spunto, qui, anche dall’attuale disciplina della trasformazione eterogenea); l’opinione di Xxxxx xxxxx- tava condivisa, ante riforma del 1976, da X. Xxxxxxxxxxxx, La concorrenza e i consorzi, in Tratt. Vassalli, vol. X, t. 1, fasc. 2o, Torino 1970, p. 374 e, posteriormente ad essa, da Co- rapi, Consorzi e società consortili: trasformabilità e partecipazione alle gare per pubblici appalti, in R. d. comm., 1993, I, p. 611 s. (ed anche in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx, vol. II, Padova 1997, p. 1507); v. pure Fkrrktti, Osservazioni in tema di disciplina delle società consortili, in R. d. ind., 1982, I, p. 412 ss., incline però ad escludere che nelle socie- tà consortili si possa procedere a ripartire il debito dell’insolvente pro-quota tra i soci: rego- la, questa, stimata tipica dei consorzi, in considerazione dell’assenza di regole di salvaguar- dia dell’effettività della consistenza del fondo consortile].
organi del consorzio. Né sarebbero ammissibili, per contrasto con le regole in- derogabili del tipo, clausole atipiche dello statuto di società consortile per azioni o a responsabilità limitata che, riproducendo il disposto dell’art. 2615, comma 2o, c.c., contemplassero un regime di responsabilità solidale dei soci per le obbligazioni consortili (64).
Il possibile inquadramento del « contratto di rete » nello schema societa- rio non assume rilevanza meramente dogmatica.
Si pensi all’incerta sorte di un « contratto di rete » con difformità più o meno accentuate rispetto allo schema delineato dal legislatore: privo, ad esempio, di ogni indicazione circa il fondo comune, il programma dell’attività comune o gli obiettivi strategici del sodalizio (65). In queste evenienze, la nul- lità del « contratto di rete »per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali non può elidere la rilevanza giuridica dell’attività comune svolta, della trama dei rapporti posti in essere tra le parti del contratto e/o l’organo esecutivo dello stesso ed i terzi. E, ravvisati gli estremi di un esercizio in comune di attività economica, non sembra azzardato applicare il regime residuale della società in nome collettivo irregolare (arg. ex art. 2249 c.c.) (66).
È vero che, nella disciplina del « contratto di rete », la scelta implicita, consistente nell’omissione di ogni indicazione circa il fondo patrimoniale co- mune della rete, comporta l’applicazione del regime residuale dell’impresa collettiva priva di autonomia patrimoniale (c.d. comunione di impresa). Al-
(64 ) Eppure, la legislazione speciale e la casistica giurisprudenziale attestano la sussi- stenza di rilevanti interessi, sovente pubblici, ad aggiungere la responsabilità delle singole imprese socie di una società consortile alla garanzia del patrimonio sociale. Emblematica la disciplina degli appalti di lavori pubblici (comb. disp. art. 13, comma 1o e 2o, e 10, comma 1o, lett. e, l. 11 febbraio 1994, n. 109, nonché art. 96, d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554), che esplicitamente sancisce la responsabilità solidale dei soci di una società consortile ag- giudicataria dell’appalto, in qualsiasi tipo costituita nei confronti della Pubblica Ammini- strazione, nonché nei riguardi delle imprese subappaltanti e dei fornitori.
Ma proprio queste norme speciali sono indicative dell’inammissibilità di simili clausole atipiche, in assenza di una specifica previsione del legislatore. Cfr. Xx Xxxxxxx, Sub art. 2615 ter, in Codice commentato delle società2, a cura di Xxxxxxxx, Xxxxxx, Marziale, Ror- dorf, Salafia, (Ipsoa) Milano 2007, p. 1921 s., che rileva come la clausola in questione tutelerebbe i terzi oltre il loro affidamento; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 320; ed in giurispru- denza, in senso preclusivo, sulla premessa del palese contrasto di queste clausole con il carattere essenziale della s.r.l., Xxxx. 27 novembre 2003, n. 18113, cit., seguita da Trib. Napoli 1 luglio 2004, cit.; e già App. Roma 11 febbraio 1974, in G. comm., 1974, II, p. 532.
Diversamente orientati, e cioè in senso favorevole alla validità in ogni caso delle stesse, cfr. Xxxxxxxx, op. loc. ultt. citt. e Xxxxxx, Consorzi e società consortili, cit., p. 611 s.
(65 ) Solleva tale problematica Xxxxxxx, Reti di imprese, cit., p. 292 s. E cfr. anche l’ac- cenno di Gkwtiki, op. loc. citt., che considera nullo il « contratto di rete » privo del pro- gramma, per difetto di un elemento essenziale.
(66 ) Stante la preclusione all’utilizzo della società semplice posta dall’art. 2615 ter, comma 1o, c.c., sulle cui motivazioni non vi è concordia di vedute: v., ad es., Xxxxxxxx, Con- sorzi, cit., p. 150; Xxxxx, I consorzi, cit., p. 288 s. e Vokpk Putzoku, Le società consortili, in Tratt. Colombo-Portale, vol. 9, Torino 1992, p. 277.
trettanto innegabile pare, tuttavia, che l’operatività di tale regime presuppo- ne pur sempre la sussistenza di un « contratto di rete » regolarmente regi- strato.
Insomma, nel silenzio normativo sulle conseguenze della mancanza o del- la difformità dei requisiti rispetto alla configurazione normativa, la riqualifi- cazione del « contratto di rete » invalido in termini di società di fatto sembra fornire la risposta più convincente a tali problemi di disciplina (67).
Sotto altro profilo, il regime patrimoniale del « contratto di rete »si rive- la maggiormente idoneo a salvaguardare la posizione dei creditori del sodali- zio rispetto a quello dei consorzi, caratterizzato dall’assoluta mancanza di norme di tutela dell’integrità del fondo consortile, oltreché di disposizioni ine- renti alla pubblicità ed all’approvazione della situazione patrimoniale, volte a rendere i terzi consapevoli dell’effettiva consistenza del patrimonio comu- ne (68). Lacune queste che, al fine di attenuare la disparità di trattamento fra creditori del consorzio e creditori di società di capitali — per le quali il legi-
(67 ) Xxxxxxx, invece, il « contratto di rete » fosse inquadrato esclusivamente nello schema del consorzio, diverrebbe assai più arduo prefigurare le conseguenze dell’inosser- vanza di uno dei requisiti indicati dalla sua disciplina positiva, recata dall’art. 3, comma 4o ter ss., d.l. 5/2009. Si tende infatti correttamente ad escludere che il « consorzio irrego- lare » possa essere disciplinato come una società irregolare, esplicitamente contemplata dal nostro legislatore. Non resterebbe che esplorare, allora, l’effettiva praticabilità della xxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx xxxxx (xxx. 1424 c.c.): percorso tuttavia assai acci- dentato, avvertendosi in proposito (cfr. Xxxxxx, op. cit., p. 104 s., che pur ravvisa in astratto la possibilità di convertire un consorzio nullo per vizio di forma in mandato col- lettivo) « che non sempre la conversione è possibile, perché non sempre si può dimostrare che le parti avrebbero voluto un contratto diverso e più semplice ». E x. xxxxx, xx xxxxxx- xx, Xxxx. 00 dicembre 1996, n. 10970, in G. comm., 1998, II, p. 31, che convincentemen- te esclude l’applicabilità dell’istituto della conversione del negozio nullo ai contratti asso- ciativi.
(68 ) Cfr. soprattutto le notazioni critiche di Xxxxx sn, Consorzi e società consortili: an- cora una modificazione occulta del codice civile, in R. d. comm., 1976, I, p. 130, riprese e sviluppate da X. Xxxxxxxxx, in La nuova disciplina dei consorzi, in G. comm., 1978, I, p. 312 s.
Per Borcioki, Consorzi, cit., p. 366 ss., gli argomenti prospettati nel testo non andreb- bero tuttavia sopravvalutati: da un lato può osservarsi che la responsabilità limitata non è prerogativa esclusiva dei gruppi organizzati in forma corporativa (e v. anche Spada, Inter- vento, in La nuova disciplina dei consorzi, in G. comm., 1978, I, p. 335), dall’altro va sot- tolineata la possibilità di integrare, in via interpretativa, la scarna disciplina sulla situazio- ne patrimoniale dei consorzi. Il B. non enfatizza inoltre l’assenza di una disciplina a presi- dio della corretta formazione del capitale e della tutela della sua integrità, mancante altresì nelle cooperative ai cui soci pur si concede la responsabilità limitata.
Tali argomenti a difesa dell’intervento legislativo, in parte persuasivi, non sembrano tuttavia idonei a scalfire la distinzione fra obbligazioni « schiettamente consortili », disci- plinate al comma 1o dell’art. 2615, e obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati, il cui regime è invece delineato nel comma 2o (in senso critico su tale distinguo, fra le altre, Trib. Roma 24 settembre 1970, in Casi e materiali di diritto commerciale 1. Società per azioni, vol. I, Milano 1970, p. 39, che enfatizza il rilievo del
« profilo soggettivo dell’obbligazione »).
slatore ha previsto ben diverse e più efficaci cautele —, avevano indotto la dottrina più sensibile (69) — non senza però significative voci contrarie (70)— a circoscrivere l’ambito della responsabilità limitata per le obbligazioni con- sortili (art. 2615, comma 1o, c.c.) ai soli debiti attinenti alle operazioni stret- tamente funzionali alla promozione ed al coordinamento dell’attività svolta in comune (cc.dd. obbligazioni « schiettamente consortili »), ossia derivanti da
« spese generali » necessarie per l’esistenza del consorzio (quali, ad es., gli oneri di funzionamento degli organi consortili e degli impianti con i correlati- vi costi di gestione, le spese per i servizi, per il personale nonché per l’attività di promozione posta in essere dal consorzio nell’interesse comune dei consor- ziati).
(69 ) Nella medesima direzione sembrano orientati: G.F. Campobasso, Diritto commercia- le 1. Diritto dell’impresa6, cit., p. 273; Gakcawo, Le « fasi dell’impresa », cit., p. 9; Iudica, La responsabilità contrattuale degli appaltatori in joint venture, Milano 1984, p. 38 s.; Xxxxxxxx, Struttura e funzione, cit., p. 187 s.; Vokpk Putzoku, I consorzi, cit., p. 418 e da ultimo, sostanzialmente, Xxxxxx, L’interesse, cit., p. 226 s. Non sembra contraria all’opi- nione accolta nel testo la decisione di Xxxx. 16 luglio 1979, n. 4130 (in G. comm., 1980, II,
p. 179, con nota di Vokpk Putzoku, Responsabilità del consorzio e responsabilità dei con- sorziati), attesoché le obbligazioni derivanti da un’attività di promozione (ad esempio me- diante la stipulazione di un contratto di agenzia) diretta a realizzare le generali finalità consortili sono certamente da ricomprendersi nel comma 1o dell’art. 2615 c.c.
Peraltro, se si considera la complessità che le strutture consortili possono talora assume- re, il novero e l’entità delle obbligazioni per le quali sussiste la responsabilità esclusiva del fondo consortile non risulteranno di certo ristrette, palesandosi anzi, con estrema evidenza, l’inadeguatezza della disciplina pubblicitaria dei consorzi ed il privilegio accordato al ceto imprenditoriale (cfr. Cabras, in La nuova disciplina dei consorzi, in G. comm., 1978, I, p. 339).
(70 ) E vedi, in particolare, Xxxxx, I consorzi, cit., p. 218 ss., il quale, nel tentativo di ampliare il campo di applicazione del comma 1o dell’art. 2615, sostiene che i casi in cui il consorzio agisca nell’interesse esclusivo dei singoli consorziati costituiscano in realtà un’ec- cezione alla regola, richiedendosi la presenza di uno specifico mandato del singolo consor- ziato; ne desume, così, un obbligo di informazione del terzo in relazione alla circostanza che il consorzio non rappresenta, nella singola operazione, il reale dominus.
Tali osservazioni non appaiono tuttavia idonee a scalfire le conclusioni raggiunte nel testo. Del resto, il M. non sembra individuare, in concreto, le ulteriori obbligazioni (oltre alle cc.dd. spese generali) per le quali dovrebbe esclusivamente rispondere il fondo con- sortile, limitandosi a richiamare una relazione, di per sé insignificante, fra regola ed ecce- zione.
Né sembra condivisibile la tesi di Xx Xxxxxxx, Appunti sulla responsabilità patrimoniale nei consorzi con attività esterna, in R. soc., 1983, pp. 1411 s. e 1431 s., che ritiene applica- bile l’art. 2615, comma 2o, anche per le obbligazioni assunte per conto della generalità dei consorziati; obbligazioni da farsi rientrare, a nostro avviso, nel regime previsto dal comma 1o (non a caso il comma 2o parla di singoli consorziati). Al riguardo, non pare probante l’argomento secondo cui la disciplina della responsabilità del consorzio non può « dipende- re dal numero dei consorziati interessati agli affari del consorzio », posto che qui si tratta solo di distinguere tra affari che riguardano il consorzio in quanto autonomo soggetto di di- ritto — e quindi, di riflesso, la generalità dei consorziati — ed affari che invece appaiono ictu oculi relativi ad uno o più imprenditori aderenti. Per una puntuale replica, v. Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, cit., p. 374; nonché Xxxx. 16 luglio 1979, n. 4130, cit.
Ed invero, l’istituzione di un fondo comune e, di riflesso, l’operatività di un regime di autonomia patrimoniale presuppone, nella disciplina del « con- tratto di rete », l’avvenuta pubblicità delle previsioni circa « la misura ei cri- xxxx di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi succes- sivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo »; e siffatta fondamentale regola di trasparenza meriterebbe di essere estesa, de iure condendo, alla disciplina dei consorzi tra imprenditori.
7. — Xxxxx considerazioni fin qui sviluppate è emerso che il regime patri- moniale adottato, implicitamente o esplicitamente, nel « contratto di rete » può comportare la sua qualificazione in termini di comunione d’impresa (=impresa collettiva priva di autonomia patrimoniale), consorzio ovvero so- cietà consortile.
Rimane da esaminare il caso in cui il programma comune di rete consen- ta che « l’esecuzione del conferimento », da parte delle imprese consociate, possa avvenire « mediante apporto di un patrimonio destinato » costituito ai sensi dell’art. 2447 bis, comma 1o, lett. a, c.c. (art. 3, comma 4o ter, lett. c, d.l. 5/2009).
Benché l’equivoca formulazione normativa contempli tale fattispecie tra le regole del fondo patrimoniale comune, essa se ne differenzia radicalmente.
Difatti, i patrimoni destinati a specifici affari, « apportati » da ciascu- na impresa partecipante, non divengono di titolarità formale della « rete », che qui non costituisce centro di imputazione di diritti e di obblighi diver- so dagli affiliati; tali patrimoni continuano formalmente ad appartenere al- le società consociate, pur costituendo garanzia esclusiva per il soddisfaci- mento delle obbligazioni contrattuali sorte nello svolgimento dell’attività esplicitata nel programma comune di rete (art. 3, comma 4o ter, lett. b e c, d.l. 5/2009).
Tanto si evince sia dalla disciplina contabile dei patrimoni destinati a specifici affari, qui non derogata, là dove ne impone una distinta indicazione nello stato patrimoniale della società (art. 2447 septies, comma 1o, c.c.), sia dai limiti stessi del vincolo di destinazione, la cui istituzione non vale a modi- ficare il regime di responsabilità della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito (art. 2447 quinquies, comma 3o, ult. pr.).
In definitiva, in questo caso il « contratto di rete » non vale ad istituire alcun « fondo consortile » ai sensi dell’art. 2614 c.c., sicché non può trovare applicazione la disciplina della responsabilità verso i terzi declinata dall’art. 2615. Emblematica è infatti la mancata estensione vuoi dell’obbligo delle persone che hanno la rappresentanza della « rete » di redigere la situazione patrimoniale ai sensi dell’art. 2615 bis osservando le norme relative al bilan- cio di esercizio della società per azioni, nonché a depositarlo presso il registro delle imprese; vuoi delle disposizioni penali in materia societaria.
Il legislatore ha dunque esplicitato le potenzialità del coordinamento tra
patrimoni destinati a cementare forme di integrazione tra imprese, già rimar- cate all’indomani della loro introduzione nel nostro ordinamento (71); non ha però previsto alcuna specifica disciplina operativa della fattispecie in questio- ne, integralmente rimessa alla ricostruzione degli interpreti.
Anzitutto, siffatta forma di coordinamento tra patrimoni va resa esplici- ta nelle singole deliberazioni di costituzione del vincolo, dovendo ivi risulta- re il piano economico-finanziario attestante la congruità del patrimonio ri- spetto all’affare (art. 2447 ter, comma 1o, lett. c); e, poiché ai fini di tale giudizio di congruità occorre considerare che il patrimonio dedicato di cia- scuna società è diretto alla realizzazione solo di una frazione ideale dell’affa- re, non possono evidentemente mancare nella delibera adeguati riferimenti all’attività di pianificazione strategica alla quale il vincolo di destinazione è funzionale (72).
Si rende allora necessaria una sostanziale corrispondenza tra obiettivi strategici indicati nei singoli piani economico-finanziari redatti da ciascuna società destinante e la pianificazione globale (73), da esplicitare, sia pur nei suoi tratti essenziali, nel « programma di rete » (art. 3, comma 4o ter, d.l. 5/2009). Quest’ultimo documento riveste un ruolo fondamentale poiché, enunciando diritti ed obblighi assunti da ciascuna consociata nonché le mo- dalità di realizzazione dello scopo comune, deve definire puntuali regole di
(71 ) Approfondisce l’utilizzo di patrimoni destinati come forma di cooperazione, anche internazionale, tra imprese, La Rosa, Patrimoni e finanziamenti destinati ad uno specifico affare. « Ottica destinazione » e « ottica separazione »: analisi delle prospettive di sviluppo e dei profili di rischio connessi ai nuovi strumenti di « federalismo » patrimoniale e finanzia- rio, Milano 2007, p. 356 ss.; cui adde, volendo, X. Xxxxxxxxx, Patrimoni destinati e rap- porti intergestori. I conflitti in società multidivisionali, Torino 2008, p. 31 ss. Discorrono al riguardo di coordinamento fra patrimoni destinati: Iwzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447 bis, lettera a, c.c.), in Contratto e impr., 2003, p. 168; Fimmawò, Le destinazioni « industriali » dei patrimoni sociali, in R. d. priv., 2004, p. 838; Mawzo- Sciowti, Patrimoni dedicati e azioni correlate: « cellule » fuori controllo, in Società, 2003, p. 1332, che ne sottolineano l’idoneità a consentire forme di cooperazione fra imprese (ad esempio, joint ventures); Rubiwo Dk Ritis, La costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, diretto da Abbadessa e Portale, vol. I, Torino 2006, p. 860, ove manifesta l’impressione che una soluzione del genere possa rivelarsi fiscalmente più conveniente rispetto alla mera attri- buzione di un apporto ad un unico patrimonio destinato costituito da una sola società; cfr., pure, G. Pkscatork, La funzione di garanzia dei patrimoni destinati, Milano 2008, p. 155 s., che ritiene il coordinamento tra patrimoni possibile solo in caso di affari frazionabili: il che non sembra, tuttavia, affatto necessario, come dimostra proprio la disciplina del « con- tratto di rete ».
(72 ) Sembra preferibile ritenere che il « programma di rete »valga di per sé ad unifica- re le iniziative imprenditoriali, creando un’interdipendenza tra le attività esercitate dalle
s.p.a. aderenti al contratto. In termini parzialmente diversi, però, Xxxxxxxx, Contratto di re- te, cit., p. 87 s.
(73 ) Cfr., proprio con riguardo alle reti di imprese, il recente studio di Xxxxxxxxx, La pianificazione strategica nelle reti di imprese, in Riv. it. rag. econ. az., 2005, p. 386 ss., ri- preso da La Rosa, Patrimoni, cit., spec. pp. 363 e 368 s.
coordinamento e di armonizzazione funzionali a prevenire comportamenti op- portunistici e conflitti tra le imprese aderenti alla rete (74).
Orbene, non v’è dubbio che anche tale fattispecie possa prestarsi all’eser- cizio in comune di un’attività imprenditoriale, ossia dello « specifico affare » al quale sono asserviti i patrimoni destinati « coordinati »; ad essa è certa- mente riferibile, del resto, la definizione del « contratto di rete »di cui al pri- mo periodo del comma 4o ter, dell’art. 3, d.l. 5/2009, in quanto pure qui due o più imprese possono « esercitare in comune una o più attività rientranti » nei rispettivi oggetti allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato.
È perciò innegabile il carattere associativo della fattispecie, pur se l’as- senza di un fondo comune ne impedisce la sussunzione nel paradigma socie- tario.
Non resta insomma che configurare questa fattispecie di « contratto di rete » in termini di « cointeressenza reciproca » (75), con efficacia reale, negli utili e nelle perdite (c.d. cointeressenza propria: art. 2554 c.c.): figura specifi- camente collocata dal diritto azionario tedesco fra i contratti di integrazione tra imprese (Gewinngemeinschaft: § 292 AktG) e, nel nostro sistema, da tem- po accostata al modello consortile (76). In particolare, il coordinamento dei patrimoni destinati genera un’impresa comune non societaria, del cui risulta- to economico le società partecipanti si gioveranno nella rispettiva quota di pertinenza. Possono così realizzarsi, in punto di integrazione, esiti abbastanza
(74 ) In argomento sia consentito richiamare ancora X. Xxxxxxxxx, Patrimoni destinati e rapporti intergestori, cit., p. 33, nonché, sebbene in un’ottica aziendalistica, La Rosa, op. cit., p. 361 ss., che prospetta un modello di « gestione dominata »ed uno di « gestione con- divisa »delle risorse così isolate; v. anche l’accenno, forse meritevole di maggiore approfon- dimento, in Scarpa, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, in Contratto e im- pr., 2010, p. 172.
(75 ) In tal senso ci eravamo già pronunciati in op. ult. cit., p. 31, coltivando uno spunto di Cokombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Ban- ca, borsa e tit. cred., 2004, I, p. 33, che puntualizzava trattarsi di cointeressenza senza la partecipazione alle perdite; e v. anche Fimmawò, Le destinazioni, cit., p. 837 s.
Del resto, la cointeressenza è stata sempre caratterizzata in virtù dello scopo di coalizio- ne e di assicurazione di un medesimo rischio ed in tal guisa distinta dall’associazione in partecipazione (cfr. X. Xxxxxxx, voce Cointeressenza, in Noviss. dig. it., vol. III, Torino 1957, p. 438 s.; Xxxxxx Xxxx, voce Cointeressenza, in Enc. dir., vol. VII, Milano 1960, p. 308; Wkicmaww, voce Cointeressenza, in Dig. disc. priv. - sez. comm., vol. III, Torino 1988,
p. 124 s.; Cottiwo-Sarakk, Le associazioni economiche, in Cottiwo-Sarakk-Wkicmaww, op. cit., p. 367 s.; Xxxxxxx, L’associazione in partecipazione, in Comm. Xxxxxxxxxxx-Busnelli, Milano 2008, p. 694).
Ma cfr. Fkrri sn, Manuale13, cit., p. 211, per l’inquadramento di questa peculiare fatti- specie nello schema del consorzio con attività interna: classificazione tuttavia discutibile, non soltanto in ragione dell’indubbia originalità della figura in discorso, ma anche della sua imprescindibile rilevanza esterna.
(76 ) La contiguità tra cointeressenza e consorzi era sottolineata già da X. Xxxxxxx, L’as- sociazione in partecipazione, Milano 1959, p. 125 (e Id., voce Cointeressenza, cit., p. 439 ss.).
prossimi all’erezione di una c.d. unincorporated joint venture (i cui parteci- panti non rinunciano all’autonomia giuridica né economica). Con una dove- rosa avvertenza: sarebbe riduttivo risolvere, in considerazione della mancata entificazione, questo peculiare paradigma — com’è invece avvenuto con ri- guardo alle unincorporated joint ventures — in una « combinazione pura- mente contrattuale », connotata in virtù dell’« occasionalità della cooperazio- ne tra imprese » propria, « all’origine, della joint venture » (77), intesa come
« associazione temporanea di imprese ».
L’originalità di questa configurazione di « contratto di rete » consiste piuttosto nella confluenza di aspetti contrattuali ed organizzativi, insiti nel ri- lievo reale delle delibere di costituzione dei patrimoni destinati (art. 2447 quinquies c.c.) e nella stessa pubblicità del « contratto di rete » al quale gli stessi risultano asserviti.
In questa prospettiva, il coordinamento tra le delibere istitutive dei patri- moni destinati assume un rilievo organizzativo non trascurabile e tale da fon- dare l’obbligo giuridico-formale dell’organo preposto all’esecuzione del « con- tratto di rete » di adottare decisioni all’esito di una valutazione oggettiva e ponderata dell’interesse di tutte le consociate. Torna quindi utile la clausola generale dei « princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale », de- clinata dall’art. 2497 c.c., in quanto « regola di comportamento » volta a scongiurare squilibri tra costi e benefici per una data impresa e, comunque, un’attività esecutiva del « contratto di rete » che accentui il rischio per una consociata rispetto all’alea incombente sugli altri partecipanti: e si pensi ad un « contratto di rete » la cui attuazione implichi una sostanziale deviazione dagli obiettivi imprenditoriali palesati nel piano economico-finanziario che accompagna ciascuna delibera istitutiva del vincolo.
Siffatto inasprimento dei doveri dell’organo esecutivo del « contratto di rete », pur in assenza di espliciti appigli testuali (78), trova a nostro avviso fonte e ragione giustificativa nella predisposizione di un programma di rete, che deve necessariamente riallacciarsi — vale qui ribadirlo — ai piani econo- mico-finanziari redatti da ciascuna società « da cui risulti la congruità del pa- trimonio rispetto alla realizzazione dell’affare », nonché le « modalità » e le
« regole relative al suo impiego, il risultato che si intende perseguire e le ga-
(77 ) Secondo l’impostazione invece prediletta da Xxxxxxxx, Il contratto di rete, cit., p. 938, che discorre di « occasione (temporanea) di cooperazione »soddisfatta mercé il « con- tratto di rete ».
Le citazioni di cui al testo sono tratte da Cottiwo-Sarakk, Le associazioni, cit., p. 376.
(78 ) Ma per una critica dell’inadeguatezza della disciplina dei consorzi sul punto ed una proposta de iure condendo di « regolare la responsabilità degli amministratori sulla base della diligenza professionale », x. Xxxxx, Coordinamento, cit., p. 164.
Ci si consenta inoltre il richiamo del nostro lavoro Patrimoni destinati e rapporti inter- gestori, cit., p. 100 ss., ove abbiamo applicato i princìpi di cui al testo a società multidivi- sionali con patrimoni destinati, ravvisando il fondamento di un’attività di direzione e coor- dinamento di autonomi centri di profitto anche in questo contesto.
ranzie offerte ai terzi »(art. 2447 ter, comma 1o, lett. c; cfr. anche l’art. 2447 decies, comma 2o, lett. b). Giova infatti rammentare che il legislatore ha asse- gnato al piano un fondamentale valore organizzativo consistente in ciò, che il giudizio tecnico degli amministratori ivi manifestato, per un verso, vale a giu- stificare la limitazione di responsabilità della società nella specifica intrapresa e, per l’altro, costituisce l’esclusivo strumento di apprezzamento della decisio- ne gestoria di destinazione patrimoniale da parte dei terzi. Il piano deve espli- citare — con uno spiccato livello di dettaglio operativo, funzionale alla for- mazione di accurate ed attendibili previsioni economico-finanziarie — il com- plessivo progetto imprenditoriale, descrivendo analiticamente l’attività ed i suoi prevedibili sviluppi, illustrando il relativo programma produttivo, le strategie di pianificazione degli investimenti ed assegnazione delle risorse, le politiche finanziarie adottate nel suo svolgimento nonché, soprattutto, l’equi- librio economico-finanziario dell’intera operazione e le modalità di accanto- namento degli eventuali proventi (art. 2447 quinquies, comma 1o) nel com- pendio destinato o nel patrimonio generale della società, in ossequio al requi- sito della congruità del primo rispetto allo « specifico affare »(79).
Sennonché il collegamento tra programma di rete e piano economico-fi- nanziario che accompagna le singole delibere costitutive dei patrimoni desti- nati viene in considerazione ai fini di un’efficiente ed equa imputazione delle responsabilità nelle inevitabili ipotesi di conflitti tra classi di creditori delle imprese consociate e, al limite, di insolvenza di una di esse. Poiché la fattispe- cie in questione è caratterizzata dalla pluralità di patrimoni destinati allo
« specifico affare » esplicitato nel programma di rete, restanti di pertinenza delle singole società aderenti (cointeressate agli utili e alle perdite), i criteri di imputazione degli utili e delle perdite che l’organo esecutivo del « contratto di rete » è chiamato ad applicare (80) — in assenza, beninteso, di diversa previ- sione contrattuale — vanno ricavati dal principio dettato dall’art. 2553
c.c. (81): sicché gli utili dell’intrapresa comune, da conteggiare ai singoli com-
(79 ) Per la dimostrazione e gli opportuni ragguagli, v. R. Sawtacata, op. ult. cit., p. 96 ss.
(80 ) Dalle osservazioni compiute nel testo consegue allora che il terzo deve preventiva- mente richiedere l’adempimento dell’obbligazione all’organo comune, dotato del potere di rappresentanza della « rete » e sarà quest’ultimo ad imputare successivamente il debito ai singoli patrimoni destinati secondo il criterio proporzionale o quello diverso prescelto nel
« contratto di rete ». Ritiene che « il terzo che intesse un rapporto giuridico con l’organo co- mune non [possa] aggredire uno qualsiasi dei patrimoni destinati al medesimo affare »an- che Scarpa, La responsabilità patrimoniale delle imprese contraenti per le obbligazioni as- sunte a favore di una rete tra loro costituita, in Resp. civ., 2010, p. 411, il quale però non si dà carico di approfondirne le ragioni, né di individuarne il fondamento giuridico.
(81 ) Benché la disciplina della cointeressenza propria, contenuta nell’art. 2554 c.c., non richiama la regola della ripartizione delle perdite dettata dall’art. 2553 per l’associazione in partecipazione, quest’ultima norma può nondimeno trovare parziale applicazione con rife- rimento alla specifica fattispecie di cointeressenza che stiamo esaminando nel testo. Ed in- vero, la principale differenza al riguardo tra associazione in partecipazione e cointeressenza propria consiste nella possibilità che la responsabilità del cointeressato(-imprenditore) per
pendi separati, sono proporzionali alla consistenza degli stessi e nella stessa misura vanno imputate le perdite. Resta ferma però la facoltà di adottare cri- xxxx di imputazione alternativi — l’art. 2553 c.c. si apre con una salvezza di patto contrario, qui senz’altro applicabile —, sempreché puntualizzati nel
« contratto di rete », magari finalizzati a valorizzare la pertinenza di determi- nate operazioni all’interesse di una specifica consociata (82).
Una puntuale definizione di questi criteri consente di discernere, in parti- colare: per un verso, la violazione degli obblighi di costante mediazione fra eterogenei e talora divergenti interessi imprenditoriali delle aderenti e di effi- ciente allocazione del rischio derivante dall’attività della « rete » fra le mede- sime, incombenti sull’organo preposto alla gestione del sodalizio; per altro versante, l’inottemperanza del dovere di diligenza professionale nella predi- sposizione di un attendibile piano economico-finanziario, da imputarsi invece agli amministratori delle singole consociate. La chiarezza e la completezza della documentazione costituisce, insomma, elemento determinante per una trasparente gestione del sodalizio e la prevenzione dei conflitti interni; obietti- vo, quest’ultimo, in funzione del quale sembra altresì opportuno individuare, in punto di governance, amministratori delegati alla gestione del patrimonio destinato all’affare nelle singole s.p.a. aderenti che, al contempo, partecipino all’elaborazione della strategia comune nell’organo comune investito dell’at- tuazione del « contratto di rete »(83).
La sua disciplina vale insomma a consacrare, sul piano giuscivilistico, l’attuale carattere della joint venture di strumento di cooperazione stabile tra imprenditori dotato o privo di soggettività; connotato che risponde all’evolu- zione economica del fenomeno, utilizzato per investimenti sempre più proiet-
l’attività svolta possa esser illimitata (e v. da ultimo, anche per indicazioni, Xxxxxxx, L’as- sociazione, cit., p. 696); là dove, invece, l’art. 2553 esclude che le perdite che colpiscano l’associato in partecipazione possano superare il valore del suo apporto.
Nel nostro caso, quest’ultimo regime è sostituito dalle specifiche regole dei patrimoni destinati a « specifici affari », secondo cui la società per azioni (cointeressata) risponde en- tro i limiti del suo apporto (ossia del patrimonio destinato allo specifico affare) soltanto per le obbligazioni contrattuali sorte nell’esecuzione del medesimo; è invece fatta salva la re- sponsabilità illimitata (con tutto il suo patrimonio « generale ») per le obbligazioni derivan- ti da fatto illecito. Ed appunto in ciò risiede l’unica differenza rispetto al regime declinato dall’art. 2553 c.c., in tema di associazione in partecipazione, nonché, di riflesso, la nostra preferenza per l’inquadramento della fattispecie in esame nello schema della cointeressenza propria (il cui regime, rispetto alla responsabilità per le perdite accumulate nella comune intrapresa, è del resto coincidente con quello della società in nome collettivo irregolare: v., ultra, il paragrafo successivo, nonché l’accenno di Micwowk, op. loc. ultt. citt.).
(82 ) Previsioni di tal sorta — si badi — alimentano i conflitti tra le classi di creditori dei singoli aderenti alla rete, stante la generale inefficienza dei criteri di imputazione sostanzia- le dei debiti di impresa (e v., in merito, le osservazioni già svolte nel nostro Patrimoni desti- nati e rapporti intergestori, cit., p. 233).
(83 ) Sulle modalità di governance funzionali a prevenire conflitti di interessi, v. le solu- zioni proposte in X. Xxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 204 ss., condivise dalla Iamickki, Contratto di rete, cit., p. 88 x.
xxxx nel medio-lungo termine, con regolamenti di interessi non imperniati sul- l’occasionalità dell’affare, né tanto meno sulla temporaneità dell’intrapre- sa (84). Ma, soprattutto, il fecondo collocamento dei patrimoni destinati a spe- cifici affari nello sfondo delle tecniche di articolazione dell’attività d’impresa, ora esplicitato dal legislatore, offre alle imprese in forma di società per azio- ni (85) la possibilità di avvalersi di joint ventures non entificate che, pur non
(84 ) Come intuito già dall’Astokfi, Il contratto di joint venture, cit., p. 56 s., ripreso da Cottiwo-Sarakk, op. loc. ultt. citt. V. anche, nell’ottica della cooperazione internazionale, la ricognizione di Guacckro, Impresa comune e joint venture nel diritto antitrust: prospettive internazionali, in Aa.Vv., L’integrazione fra imprese nell’attività internazionale, Torino 1995, p. 23 ss.
Ad ogni modo, la sostanziale identificazione della joint venture nell’associazione tempo- ranea d’impresa — che dunque costituisce solo una delle possibili forme di manifestazione del fenomeno — ricorre tuttora sia nella letteratura specialistica (Bortokotti-Morrksi, voce Joint ventures, in Noviss. dig. it. Appendice, vol. IV, Torino 1983, p. 553 s.), sia nella ma- nualistica (per tutti, G.F. Campobasso, Diritto commerciale 1. Diritto dell’impresa6, cit., p. 286; ma cfr. anche il cenno di Fkrrara jr-Corsi, Gli imprenditori e le società14, Milano 2009, p. 166, a joint ventures costituite in forma di società per azioni).
(85 ) E non anche alle s.r.l., come di contro ritiene Mkucci, op. cit., p. 52, sulla base del- la supposta categoria della destinazione patrimoniale e dell’evoluzione dell’ordinamento (ma in senso critico, correttamente, Xxxxx, Frammenti, cit., p. 854 s., testo e nt. 62).
Gli è, tuttavia, che il nuovo art. 2645 ter non vale di per sé ad estendere l’istituto dei patrimoni destinati a « specifici affari »a tipi diversi dalla s.p.a., s.a.p.a. e dalle cooperati- ve (ad esempio, s.r.l.), anche perché gli interessi perseguibili con l’atto di destinazione sem- brano da riferire necessariamente a soggetti determinati o determinabili (Mi. Xxxxxx, L’atto di destinazione: problemi applicativi, in R. not., 2006, p. 1183; X. Xxxxxx, L’art. 2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto e impr., 2006, p. 1735 s.), co- munque diversi dal disponente (non giunge a ritenere necessario un beneficiario diverso dal disponente, invece, Spada, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in RDS, 1/2007, p. 21; e, più radicalmente, nel senso che il beneficiario possa essere lo stesso dispo- nente, purché non persegua un fine egoistico, Xxxx, Xxxxx note sulla trascrizione di atti di destinazione, in questa Rivista, 2007, I, p. 2 s.).
Dagli artt. 2447 bis ss. sembra infatti emergere, almeno nel diritto societario, che gli in- teressi dei creditori siano tuttora sacrificabili soltanto nei limiti ed alle condizioni analitica- mente previsti dalle norme testé menzionate (così, con argomenti persuasivi, Xxxxx Ekcuk- ta, Il rapporto tra l’art. 2645 ter e l’art. 2740 c.c.: un’analisi economica della nuova disci- plina, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, pp. 210-211; X. Xxxxxxxxx, Vincoli di destinazio- ne importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in questa Rivi- sta, 2007, I, p. 334 s.); del resto, uno spunto in tal senso potrebbe ricavarsi da una corretta interpretazione del principio di tipicità racchiuso dall’art. 2249.
Xx xxxxxx, sono ormai ben noti i limiti di operatività del comma 2o dell’art. 1322 — ap- punto richiamato dal nuovo art. 2645 ter — in materia societaria, nel senso che le esigenze di tutela della posizione dei terzi non consentono pattuizioni atipiche che alterino i regimi legali di responsabilità per le obbligazioni sociali [e v., ad esempio, Spada, La tipicità, cit., pp. 52 ss. e spec. 58-59, ove, richiamando l’art. 2740 cpv. ed il dogma della nominatività delle figure di patrimonio separato, scrive che « il privato non può dettar regole sulla misu- ra della rilevanza dei suoi impegni per l’ordinamento generale, cioè non può sostituirsi al- l’ordinamento nell’organizzare la funzione precettiva dei privati per esso rilevante e, co- munque, non può organizzarla nei confronti della generalità dei terzi, se lo strumento più duttile predisposto per giuridicizzare i regolamenti privati, il contratto, si caratterizza strut- turalmente per la coincidenza tra parti dell’atto e parti del rapporto »(corsivo aggiunto); e
consentendo un’imputazione autonoma dell’attività d’impresa svolta in co- mune, rendono possibile circoscrivere il rischio nei limiti del patrimonio dedi- cato all’intrapresa comune, pur senza sopportare i costi ed oneri (anche e so- prattutto fiscali) dell’entificazione.
Poiché un simile esito non era perseguibile in passato mediante la c.d. unincorporated joint venture, il « contratto di rete » con « destinazione patri- moniale compartecipata »deve reputarsi, sul piano civilistico, utile strumento ibrido con il quale è possibile combinare i tipici vantaggi dell’ente — in ter- mini di (parziale) limitazione del rischio e minimo sostrato organizzativo — con i benefici delle flessibili forme di integrazione puramente contrattuali. Cumulo che, almeno sulla carta, si presenta allettante per i finanziatori istitu- zionali (banche, società finanziarie, fondi sovrani) nella sovvenzione di opera- zioni lunghe e complesse anche in nuovi mercati (e si pensi alla Cina o all’In- dia) o, comunque, in settori con barriere all’ingresso e/o accentuati margini di rischio (86).
8. — La fattispecie testé illustrata è caratterizzata dalla combinazione tra
« destinazione patrimoniale compartecipata » e « contratto di rete ». L’iscri- zione di quest’ultimo nel registro dell’imprese ove hanno la sede tutte le im- prese-s.p.a. contraenti (art. 3, comma 4o quater, d.l. 5/2009) presuppone al- lora l’avvenuta iscrizione della deliberazione costitutiva del patrimonio desti-
l’efficace sintesi di Abbadkssa, Le disposizioni generali, cit., p. 40], fra i quali pare doversi ricomprendere — benché il punto meriti maggiore approfondimento — la disciplina della destinazione patrimoniale a « specifici affari ».
Posta l’illegittimità di convenzioni innominate volte ad alterare il regime di responsabi- lità (qui) della società nei confronti dei terzi, andrebbero pertanto respinte (conf. Spada, Articolazione, cit., p. 25) le recenti, timide proposte di consentire, mediante il richiamo al nuovo art. 2645 ter, la costituzione di patrimoni destinati « atipici » da parte di società a responsabilità limitata, quantunque nel rispetto delle regole organizzative previste dalla fattispecie legale (autonoma contabilità, diritto di opposizione dei creditori sociali, obbligo di « menzione » ecc.: Lkwzi, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645 ter c.c., in Contratto e impr., 2007, p. 244 ss.) ed, in specie, del limite quantitativo del dieci per cento, posto dal comma 2o dell’art. 2447 bis (X. Xxxxxx, L’art. 2645 ter, cit., p. 1760).
Ancor meno persuadono i tentativi di sostenere, sulla base di una — peraltro assai di- scutibile — interpretazione letterale della disciplina del « contratto di rete », che le s.r.l. contraenti possano, in virtù dell’adesione alla rete, costituire patrimoni destinati (come in- vece ritiene Gkwtiki, Una prospettiva, cit., p. 90, nt. 28); lo stesso dato testuale pare infatti militare in senso contrario là dove, stabilendo che la costituzione del vincolo di destinazione possa avvenire « ai sensi dell’art. 2447 bis, comma 1o, lett. a) », implica l’osservanza dei li- miti e delle condizioni previste da quel paradigma normativo.
(86 ) E si pensi anche a mercati in cui l’accesso è ostacolato da significative barriere al- l’entrata, quali la presenza di particolari tecnologie. Quest’ultime, peraltro, potrebbero ben costituire oggetto di « apporto »al patrimonio destinato, così favorendo la cooperazione tra imprese (cfr. La Rosa, op. cit., p. 368 s.). Più in generale, sui profili giuridici della coopera- zione internazionale tra imprese, utili spunti per la ricostruzione delle interferenze tra mo- mento contrattuale ed aspetto societario o istituzionale possono ancora trarsi dalla lettura di Carbowk-D’Awckko, Cooperazione tra imprese e appalto internazionale (Joint ventures e Consortium Agreements), Milano 1991, p. 32 ss.
nato da parte della singola consociata, ai sensi dell’art. 2447 quater c.c. (87). E, poiché tale deliberazione deve risultare da verbale redatto da notaio in for- za del rinvio di questa norma all’art. 2436 c.c. (88), sembra che, almeno in questo caso, il « contratto di rete » debba necessariamente rivestire la forma dell’atto pubblico.
Il legislatore riserba tuttavia il più assoluto silenzio in ordine all’attuazio- ne del « contratto di rete » in questa peculiare ipotesi, malgrado l’art. 2447 quater, comma 2o, stabilisca che, nel termine di sessanta giorni dall’iscrizione della delibera costitutiva del patrimonio destinato nel registro delle imprese, i creditori sociali anteriori all’iscrizione possano fare opposizione. In particola- re, sarebbe stato qui opportuno riprodurre la disposizione, prevista in tema di fusione (art. 2502 c.c.), secondo cui il « contratto di rete »può essere attuato soltanto dopo sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2447 quater, comma 1o, poiché, ai sensi dell’art. 2447 quinquies, solo con il decorso di questo termine senza opposizioni dei creditori si consolida il vinco- lo di destinazione.
In assenza di un simile precetto non appare possibile negare che il notaio verbalizzante la delibera costitutiva dei patrimoni destinati delle società con-
(87 ) Proprio in ragione delle peculiarità della fattispecie che ora stiamo esaminando, si giustifica la previsione dell’iscrizione del « contratto di rete »nel registro delle imprese del- la sede di tutte le imprese aderenti, là dove invece nei consorzi l’iscrizione è prevista nella sede ove è localizzato l’ufficio deputato allo svolgimento dell’attività consortile (art. 2612 c.c.).
(88 ) A dire il vero, questo punto non è pacifico, ma a tale esito deve a nostro giudizio pervenirsi benché l’art. 2447 quater non riproduca la specificazione — invece presente in materia di obbligazioni e di aumento delegato del capitale (artt. 2410, comma 2o e 2443, comma 3o) — secondo cui la deliberazione di costituzione del patrimonio destinato « deve risultare da verbale redatto da un notaio ». Ed invero, a livello sistematico, un intervento del notaio circoscritto alla fase del deposito della delibera significherebbe giungere al risul- tato inaccettabile di sottrarre a qualsiasi controllo il contenuto della delibera istitutiva di vincoli di destinazione sul patrimonio della società (e, di riflesso, deprivare di qualsiasi uti- lità l’eventuale opposizione dei creditori ex art. 2447 quater, comma 2o), dato che l’ufficio del registro delle imprese è tenuto al solo controllo inerente la « regolarità formale della do- cumentazione »; d’altronde, sul piano testuale, lo stesso rinvio all’art. 2436 implica il ri- chiamo di una procedura di deposito ed iscrizione delle delibere (modificative) nel registro delle imprese che presuppone un preventivo controllo di legalità espletato, in via esclusiva, dal notaio verbalizzante.
Del resto, qualora il significato del comma 1o dell’art. 2447 quater si esaurisse nel rin- vio al comma 5o dell’art. 2436, la prima previsione sarebbe destituita di ogni efficacia pre- cettiva: ciò in quanto essa, in relazione agli effetti della deliberazione, verrebbe inevitabil- mente assorbita dal disposto del successivo comma 1o dell’art. 2447 quinquies, secondo cui la delibera di costituzione del patrimonio destinato non ha effetto se non dopo sessanta giorni dalla sua iscrizione nel registro delle imprese e sempreché non vi siano state opposi- zioni da parte dei creditori anteriori o non sia intervenuto un provvedimento del tribunale che autorizzi l’esecuzione previa prestazione di idonea garanzia. Per un quadro di riferi- menti sulla questione, sia consentito rinviare a X. Xxxxxxxxx, Patrimoni destinati e rapporti intergestori, cit., p. 147 s., note 22 e 23, anche per la diffusa trattazione dei conflitti di in- teressi connessi all’istituzione dei patrimoni destinati.
sociate possa contestualmente stipulare l’atto pubblico avente ad oggetto il
« contratto di rete »fra le medesime ed iscriverlo nel registro delle imprese. Il che solleva però il problema del regime da applicare nelle ipotesi di opposi- zioni alla delibera da parte dei creditori di una delle società partecipanti, che non abbia prestato agli opponenti l’idonea garanzia disposta dal tribunale ex art. 2447 quater, comma 2o, c.c.
Ebbene, non sembra che questa vicenda possa minare l’efficacia del
« contratto di rete », che coinvolge peraltro anche società per azioni nelle quali il vincolo di destinazione si è potuto invece consolidare. Non è quindi dubbio che la società per azioni aderente risponda con tutto il suo patrimonio nei confronti dei suoi creditori opponenti; e, qualora al vincolo di destinazio- ne si fossero opposti tutti i suoi creditori, troverebbe applicazione, rispetto al- le obbligazioni assunte nell’esecuzione del « contratto di rete », il regime del- l’impresa collettiva priva di autonomia patrimoniale (comunione di impresa). È infatti proprio a quel regime che occorre attingere allorché il vincolo di de- stinazione è inefficace, come ad esempio per il regime di responsabilità delle
s.p.a. consociate rispetto alle obbligazioni derivanti da fatto illecito compiuto nell’esecuzione dell’attività svolta mediante il « contratto di rete » (art. 2447 quinquies, comma 3o, 2o pr., c.c.).
9. — La disamina fin qui svolta stimola una riflessione conclusiva.
Certo, è fuori contestazione la necessità di un ripensamento della discipli- na del codice civile delle forme associative d’impresa, e dei consorzi in parti- colare, le cui norme costituiscono in più punti evidente retaggio dell’origina- ria funzione anticoncorrenziale dell’istituto, mal adeguandosi alla sua preva- lente (se non esclusiva) attuale funzione di cooperazione interaziendale. Em- blematico il regime patrimoniale, in cui l’autonomia del fondo consortile non è assistita da una completa pubblicità sull’ammontare, né da presidi adeguati a salvaguardia della sua integrità.
E questa esigenza è resa più urgente dalla riforma del diritto societario del 2003 che, ridefinendo ruolo e disciplina della società a responsabilità limitata e, per altro verso, incentivando la trasformazione di consorzi in so- cietà di capitali, sembra implicitamente (89) indicare la s.r.l. (consortile)
(89 ) Ed infatti, l’art. 2500 octies disciplina esplicitamente la trasformazione di consorzi in società di capitali (lucrative), non prevedendo la diversa ipotesi di passaggio da consorzi a società consortili. Tuttavia, la prima vicenda implica un mutamento ben più radicale del- la seconda, in cui cambia solo l’ente e non anche il suo scopo, a differenza della prima; e ciò consente non soltanto di inferire l’ammissibilità della trasformazione di consorzi in so- cietà consortili, ma di sostenere anche il suo assoggettamento al favor — consistente nella decisione a maggioranza dei consorziati, anziché all’unanimità come per le altre modifiche del contratto (salvo diversa previsione del contratto) — previsto dalla norma in questione [sul punto vi è sostanziale concordia di vedute, malgrado sia controversa la natura di tra- sformazione omogenea (come ritiene Cktra, Le trasformazioni « omogenee » ed « eteroge- nee », in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, Torino 2007, p. 170 ss.) o eterogenea (in questo senso, in-
qualeforma organizzativa elettiva per la cooperazione nell’attività d’impresa. In considerazione di ciò, merita severe critiche un « episodico »interven-
to legislativo che, animato da uno scopo puramente propagandistico, ha pre- ferito introdurre nel nostro ordinamento una « nuova » figura ibrida, piutto- sto che intervenire alla radice del fenomeno civilistico regolato, ripensando l’ormai risalente disciplina dei consorzi e delle società consortili nel segno di una maggiore flessibilità di modelli e di un accentuato rigore dei correlativi regimi patrimoniali.
A parziale difesa del legislatore potrebbe tuttavia invocarsi proprio quella funzione di « laboratorio »del « contratto di rete »segnalata in apertura. Nel senso che la specialità dell’intervento mirerebbe a sperimentare l’idoneità di talune soluzioni normative adottate per il « contratto di rete »ad esser poi ge- neralizzate, in una prospettiva de iure condendo, per migliorare ed ammoder- nare l’attuale disciplina codicistica dei consorzi e delle società consortili, se- gnando altresì i confini di derogabilità delle regole del tipo societario prescel- to in ragione delle peculiarità dello scopo-fine consortile (90).
xxxx, Xxxxxxxx, Consorzi, società consortili e trasformazione eterogenea, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, vol. III, t. III, Milano 2005, p. 3668 s.; Xx Xxxxxx, Gli effetti della riforma sulla disciplina delle società consortili, in R. soc., 2006, p. 228 s.) della fattispecie trasformativa de qua] per la riorganizzazione dell’impresa che culmini nell’adozione dei modelli capitalistici (così, Pakmikri, Autonomia e tipicità nella nuova trasformazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, vol. 4, cit., p. 114 s.), quand’anche lo scopo-fine resti consortile.
(90 ) Esemplare la proposta di Xxxxx, Coordinamento, cit., p. 163, di una disciplina del capitale sociale della s.r.l. consortile tale da non render necessaria la modificazione del ca- pitale in caso di aumento o riduzione della compagine sociale.