LE CARATTERISTICHE DEL CONTRATTO A TEMPO DETRMINATO
LE CARATTERISTICHE DEL CONTRATTO A TEMPO DETRMINATO
La disciplina del contratto a tempo determinato (d.lgs. n. 368/2001) è stato oggetto di molteplici interventi legislativi, che ne hanno modificato in modo significativo la portata applicativa.
Questo lavoro ha come obiettivo quello di sottolineare i risvolti pratici che ne conseguono per il settore degli studi professionali.
L’ACAUSALITA’ DEL CONTRATTO A TERMINE
La legge n. 92/2012 ha introdotto il c.d. contratto a termine acausale, vale a dire che il contratto a termine può essere stipulato anche in assenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, per una sola volta e per un massimo di 12 mesi (anche per la prima missione in caso di somministrazione).
La stessa legge, inoltre, in alternativa alla acausalità del primo rapporto a termine, aveva ammesso che la contrattazione collettiva nazionale (o, su delega anche la contrattazione aziendale) potesse prevedere la stipulazione di contratti a termine acausali, senza il limite di durata, ma:
a) entro il limite del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’unità produttiva; e
b) nell’ambito di un processo organizzativo caratterizzato da:
- avvio di una nuova attività;
- lancio di un nuovo prodotto;
- cambiamento tecnologico;
- fase supplementare di un progetto di ricerca;
- rinnovo, proroga di una commessa.
Con il DL n. 76/2013 (convertito in L.99/2013), tuttavia, viene meno l’ipotesi alternativa su richiamata e all’art. 7, comma 1 si ammette il ricorso al contratto a termine acausale anche in tutte le ipotesi previste dai contratti collettivi nazionali o aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Dunque, la differenza rispetto a quanto previsto dalla Riforma Fornero è che la possibilità offerta ai contratti collettivi di individuare altre ipotesi di acausalità è aggiuntiva e non alternativa all’ipotesi di stipula del primo rapporto a termine acausale di durata non superiore a 12 mesi, che, detto in altri termini, significa che i contratti collettivi potranno prevedere che il contratto a termine “acausale” possa avere una durata maggiore di 12 mesi ovvero che possa essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano già avuto un rapporto di lavoro subordinato con lo stesso datore di lavoro.
DIVIETI
Il contratto a termine non può essere stipulato:
• per sostituire i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
• presso unità produttive nella quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato. Tale divieto non si applica in caso di sostituzione di lavoratori assenti, di assunzioni di lavoratori in mobilità, qualora si tratti di contratto di durata non superiore ai 3 mesi o nel caso vi sia una deversa disposizione da parte di accordi sindacali tra le parti.
• presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del rapporto o una riduzione dell’orario di lavoro, con diritto al trattamento dell’integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine.
• presso le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza del lavoro.
PROROGA E PROSECUZIONE DEL CONTRATTO
La proroga del contratto a termine è ammessa in presenza di determinate condizioni:
• consenso del lavoratore,
• una sola volta;
• sussistono ragioni oggettive (a eccezione del contratto acausale);
• si riferisce alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
Come detto in precedenza, con la DL 76/2013, inoltre, si ammette la proroga del contratto acausale. La Legge n. 92 del 2012, invece, ne vietava espressamente la possibilità (art. 4 c. 2 bis).
La proroga può riguardare anche i contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge 76/2013 e non ancora scaduti.
PROSECUZIONE
La legge n. 99/2013 ammette la possibilità che il contratto a termine (anche acausale) possa proseguire oltre il termine pattuito, per 30 giorni (se la durata del contratto è massimo 6 mesi) o per 50 giorni (se la durata del contratto è superiore a 6 mesi). Superati tali termini il contratto si trasforma in un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il datore di lavoro, tuttavia, ha l’obbligo di corrispondere una retribuzione maggiorata del 20% per i primi dieci giorni aggiuntivi e del 40% per i giorni successivi fino al trentesimo o cinquantesimo.
È eliminato – con effetto su tutti i contratti a tempo determinato – l’obbligo di comunicare al Centro per l’Impiego la decisione di voler far proseguire il rapporto oltre il termine pattuito.
È salvo, viceversa, l’obbligo di comunicazione, entro 5 giorni, della proroga del termine iniziale fissato o della trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato, da effettuare esclusivamente in via telematica.
LIMITI QUANTITATIVI
La eventuale fissazione dei limiti di utilizzo del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Tuttavia, il d.lgs. n. 368/2001 (art. 11, c.7) dispone che sono esclusi da tale limite i contratti di lavoro a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modificazioni;
c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
d) con lavoratori di età superiore a 55 anni.
SUCCESSIONE DEI CONTRATTI
Alla scadenza deI contratto a termine, il legislatore consente di riassumere il lavoratore con un nuovo contratto a tempo determinato, rispettando però le seguenti condizioni (pena la conversione del secondo contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato):
• devono essere trascorsi almeno 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi;
• devono essere trascorsi almeno 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai 6 mesi.
Detto limite può essere ridotto o, addirittura annullato, in tutte le ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle XX.XX. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La L. n. 247/2007, nel tentativo di porre un freno alla precarietà del lavoro, ha introdotto, in aggiunta all’obbligo di osservare un intervallo tra un’assunzione a termine ed un’altra, un limite oggettivo alla successione di contratti a termine, vale a dire un tetto massimo complessivo di 36 mesi (riferito a mansioni equivalenti). Pertanto, superati i 36 mesi, non è possibile effettuare un nuovo contratto di lavoro tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore. Occorre sottolineare, tuttavia, che tale termine soggiace ad un principio di effettività, in forza del quale devono essere computati soltanto i mesi o i giorni di svolgimento del rapporto di lavoro, escludendo quindi i periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro.
Esiste, altresì, un’ipotesi derogatoria in cui è consentito il superamento del limite dei 36 mesi, a condizione che:
• il rinnovo avvenga per un’unica volta;
• lo stesso xxxxxxx debba avvenire presso la DPL competente per territorio;
• vi deve essere una assistenza di un rappresentante sindacale;
• la durata del rinnovo non sia superiore a quello previsto dal CCNL di riferimento. Nel caso degli studi professionali tale limito è fissato in 8 mesi (elevabile a 12 mesi dalla contrattazione territoriale).
Infine, il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 18/2012, ha stabilito che al termine dei 36 mesi è comunque possibile utilizzare il lavoratore attraverso le Agenzie di lavoro somministrato.
DIRITTO DI PRECEDENZA
Il diritto di precedenza consiste nella possibilità per i lavoratori, che hanno prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato, di essere preferiti ad altri lavoratori in caso di nuove assunzioni da parte dello stesso datore di lavoro. Il diritto spetta a tutti i lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, e si articola giustappunto in un diritto di precedenza in caso di assunzioni a tempo indeterminato, effettuate dal datore di lavoro nei 12 mesi successivi alla scadenza del contratto a tempo determinato, con riferimento alle mansioni già espletate dal lavoratore in esecuzione dei rapporti a termine.
Il lavoratore interessato a fare valere il diritto in parola deve manifestare tale volontà al datore di lavoro entro 6 mesi dalla scadenza del contratto. Inoltre, il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Dunque, il lavoratore resta fuori da tutte le nuove opportunità lavorative che si realizzino, presso la medesima azienda, decorso un anno dalla cessazione del suo rapporto di lavoro.
RECESSO
Il contratto a tempo determinato si risolve per:
• scadenza del termine (senza alcuna comunicazione al Centro per l’Impiego);
• per giusta causa ex art. 2119 c.c. con inevitabile risoluzione del rapporto di lavoro senza preavviso;
• per morte del lavoratore;
• cessazione dell’attività del datore di lavoro;
• per impossibilità sopravvenuta della prestazione (ex art. 1463 c.c.).
La scadenza del termine in un contratto a tempo determinato o l’ultimazione della prestazione non consentono la conservazione del posto per una lavoratrice che usufruisca della tutela legata alla maternità (l’art. 54, c. 3, del Tu n. 151/2001).
Il lavoratore può, tuttavia, recedere anche attraverso l’istituto delle dimissioni, oppure le parti possono decidere di risolvere prima del tempo il rapporto. In questi due ultimi casi, tuttavia, sarà necessario attivare la procedura di convalida prevista dall’art. 4, c. 17 e ss. l. n. 92/2012.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare al Centro per l’Impiego la cessazione del rapporto a termine, entro i cinque giorni successivi, qualora il recesso avvenga in un periodo diverso da quello concordato all’atto della stipula del contratto o della successiva proroga.