UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
DOTTORATO DI DIRITTO PRIVATO COMPARATO
-CICLO XXIV-
MODELLI CONTRATTUALI E STRUMENTI PRIVATISTICI IN EUROPA: LE FORME DI GARANZIA AI SENSI DEGLI ACCORDI DI BASILEA
RELATORE COORDINATORE
XXXXX.XX PROF. SA XXXXXX XXXXXXX XXXXX.XX XXXX.XX XXXXXXX XXXXX
CORRELATORE
XXXXX.XX XXXX.XX SANTA XXXXX
TESI DI DOTTORATO DI XXXXXXX XXXXXXX
-ANNO ACCADEMICO 2011/2012-
MODELLI CONTRATTUALI E STRUMENTI PRIVATISTICI IN EUROPA: LE FORME DI GARANZIA AI SENSI DEGLI ACCORDI DI BASILEA
INDICE
Prefazione e ringraziamenti 5
Introduzione… 8
1 Gli Accordi di Basilea 13
1.1 Cenni Storici… 13
1.2 Obbiettivi del “Comitato Basilea” 15
1.3 Gli accordi di Basilea 2 19
1.4 Definizione di Tier 1, Tier 2, e Tier 3… 22
1.5 Valutazione del rischio di credito… 28
2 La Riforma di Basilea III 35
2.1 Introduzione 35
2.2 Gli obbiettivi della riforma… 36
2.3 Le proposte per rafforzare l’adeguatezza del capitale… 39
2.4 Il leverage ratio… 42
2.5 Le misure per mitigare la prociclicità… 44
2.6 Gli interventi per ridurre il rischio di liquidità… 46
2.7 L’impatto delle nuove misure sulle banche italiane 50
2.8 Conclusioni… 51
3 Il mercato del credito 55
3.1 La funzione delle garanzie nel mercato del credito… 55
3.2 Le garanzie come strumento di mitigazione del rischio… 58
3.3 Il mercato delle garanzie… 63
3.4 I soggetti garanti e i soggetti garantiti 66
3.5 La rilevanza delle garanzie ai sensi di Basilea 2… 67
4 Le garanzie personali e reali: un’analisi comparata dei principali modelli europei 76
4.1 Premessa 76
4.2 Le garanzie personali tipiche: la fideiussione, il mandato di credito, l’anticresi, l’avallo 78
4.3 Le garanzie personali atipiche: la fideiussione omnibus, il contratto autonomo di garanzia, le lettere di patronage, le cessioni a scopo di garanzia 83
4.4 Le garanzie personali in diritto comparato: La fideiussione in generale 94
4.5 Le garanzie personali in diritto comparato: il contratto autonomo di garanzia nella scuola tedesca, franco-belga ed inglese 98
4.6 Le garanzie reali: pegno ed ipoteca 100
4.7 Le garanzie reali in diritto comparato: l’ipoteca nel diritto francese ed inglese 109
4.8 Le garanzie reali in diritto comparato: La floating charge nell’esperienza anglosassone 113
5 I consorzi fidi in Italia e in Europa 121
5.1 La formule mutualistica come strumento per agevolare l’accesso al credito… 121
5.2 Il sistema dei Consorzi fidi in Italia: origini e importanza 124
5.3 Le modalità di escussione 131
5.4 Il caso tedesco… 134
5.5 Il caso francese 139
5.6 Il caso spagnolo… 151
6 Conclusioni 157
7 Bibliografia 161
PREFAZIONE E RINGRAZIAMENTI
Con l’elaborazione di questa tesi ho inteso raccogliere l’invito della Xxxxxxx.xx Xxxxxx Xxxxxxx, la quale mi propose, due anni or sono, di sviluppare il tema delle garanzie del credito alla luce delle recenti novità normative degli accordi di Basilea.
Pur essendo una materia molto specialistica, ho avuto modo di analizzare tematiche di ordine più generale legate alle problematiche attuali della crisi finanziaria e del default degli Stati occidentali.
Accingermi oggi a scrivere una tesi sulle forme di garanzie ai sensi degli accordi di Basilea, in un momento in cui ancora tutta la Comunità mondiale deve riprendersi dallo shock della crisi finanziaria del 2008, per di più considerando che trattasi di nuove prospettive legislative, può apparire un’impresa quasi temeraria.
Nell’arco di questi anni di studio ho avuto modo di approfondire molti istituti, tra cui alcuni recentissimi, che, almeno nelle intenzioni del legislatore europeo, dovrebbero finalmente apportare un ammodernamento decisivo e sistematico della materia, e colmare alcune lacune normative soprattutto in tema d’insolvenza bancaria e garanzia creditizia.
Inoltre, non deve essere sottovalutato che questa nuova disciplina rinnova completamente l’atteggiamento che gli Stati europei fino ad oggi hanno avuto: introduce forti spinte alla cooperazione e scambio d’informazioni finalizzate principalmente alla tutela dei consumatori e contribuenti grazie al sempre più diffuso utilizzo delle garanzie nel mercato del credito, specie quelle mutualistiche.
Ho cercato, nell’esposizione, di unire alla chiarezza del dettato, il necessario rigore scientifico che il tema richiede, tentando altresì, con l’umiltà di un neofita del diritto, di proporre alcune criticità formulando una mia interpretazione.
In ultimo, vorrei rivolgere un vivo ringraziamento alla Xxxx.xx Xxxxxx Xxxxxxx, massima giurista in tema di garanzie del credito,
per il costante e validissimo apporto mai venuto meno durante la stesura della tesi.
Ringrazio altresì la Coordinatrice Xxxx.xx Xxxxxxx Xxxxx per la paziente disponibilità e le Xxxx.xx Santa Xxxxx e Rossella Cerchia per la preziosa collaborazione.
Grazie a Xxxxx, che da sempre ha creduto in tutti percorsi professionali da me intrapresi e che sin dall’inizio mi ha supportato in questa impresa.
Sono grato, infine, alle mie piccole Xxxxxx, Xxxxxxx e Xxxxxxx che riempiono e rallegrano quotidianamente la mia vita.
INTRODUZIONE
Le banche svolgono un ruolo fondamentale all’interno del sistema economico poiché permettono di intermediare le risorse finanziarie, raccogliendo e gestendo i risparmi da un lato e fornendo credito e capitali alle imprese dall’altro.
Risulta quindi centrale tutelare il sistema finanziario e garantire la sua stabilità al fine di creare le condizioni per una crescita duratura e sostenibile. In questo contesto si inseriscono gli accordi di Basilea, che sono dei trattati internazionali che riguardano l’adeguatezza patrimoniale delle imprese bancarie e creditizie: i requisiti di capitale, infatti, sono indispensabili alle banche per affrontare le turbolenze dei mercati, sopportare le crisi economiche e quindi, per evitare il fallimento, le sue conseguenze sistemiche.
La normativa riguardante i requisiti di capitale è una materia molto delicata poiché incide direttamente sull’operatività delle banche: se i requisiti di capitale sono eccessivi e l’attenzione è concentrata
esclusivamente sulla tutela dei depositanti allora ci possono essere delle conseguenze negative nella fornitura di credito alle imprese, mentre se i margini prudenziali sono inadeguati le perdite potrebbero essere insostenibili e si potrebbe verificare il fallimento della banca.
Il primo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali è stato emanato nel 1988 dal Comitato di Basilea, il secondo è entrato in vigore nel 2007, mentre il terzo diventerà esecutivo nel 2013.
In particolare l’accordo di Xxxxxxx XX ha introdotto una nuova struttura per la gestione dei “rischi di mercato, di credito e operativi” e ha rafforzato il legame tra il capitale di vigilanza e i rischi effettivamente assunti dagli intermediari.
Per garantire stabilità agli intermediari è necessario quindi identificare, con la maggior precisione possibile, i veri rischi delle controparti e per questo sono stati sviluppati e predisposti dei modelli statistici di misurazione, in particolare per il rischio di credito.
L’accordo di Xxxxxxx XX consente alle banche di scegliere tra tre diversi modelli di valutazione: una metodologia standard, che
utilizza rating esterni, e due metodi di rating interno, uno di base e uno avanzato.
I sistemi di valutazione interna rappresentano uno degli elementi di maggiore innovazione e consistono in un insieme strutturato di metodologie e processi organizzativi che permettono la valutazione del merito di credito di un soggetto o di una posizione. I metodi IRB (Internal Rating Based) si basano su dei parametri stimati internamente: infatti le banche calcolano, grazie alle loro banche dati, alcuni elementi chiave per la valutazione come le probabilità di fallimento (PD), il tasso di perdita in caso di default (Loss given default, LGD), l’esposizione al momento del default (Exposure at default, EAD) e la scadenza effettiva (M). Queste stime sono effettuate grazie a delle particolari tecniche chiamate di “credit scoring”, che consistono in algoritmi matematici che sono in grado di distinguere tra le imprese in buone condizioni e quelle in difficoltà.
Queste tecniche quantitative di valutazione del rischio si sono progressivamente diffuse in Italia a partire dagli anni novanta e con l’entrata in vigore di Basilea II sono state adottate dalla maggior parte degli intermediari.
L’utilizzo di queste tecniche comporta notevoli vantaggi, che riguardano la riduzione dei costi, la facilità di applicazione, l’oggettività delle valutazione e l’aumento di accuratezza delle valutazioni. Di contro l’adozione di tecniche di valutazione standardizzate può rappresentare un problema per le piccole e medie imprese: queste essendo poco trasparenti e poco capitalizzate possono rimanere penalizzate nell’accesso al credito, per quanto riguarda la riduzione dell’erogazioni e l’aumento dei tassi di interesse. Per questo è necessario definire delle procedure di valutazione ad hoc che tengano delle peculiarità e delle esigenze delle PMI e che quindi possano valorizzare uno degli elementi di maggior forza della nostra economia nazionale.
Dopo un breve “excursus” storico, in questa esposizione verrà preso in esame il cambiamento che è derivato dalla creazione del Comitato di Basilea e dalla introduzione di principi inerenti sia il patrimonio delle aziende creditizie che la valutazione del merito di credito attraverso la valutazione del sistema delle garanzie, il cui uso nel mercato del credito è un fenomeno diffuso e riconosciuto.
Nella seconda parte del mio lavoro verrà approfondito il sistema delle garanzie inteso come “strumento di mitigazione del rischio”, la loro funzione e rilevanza alla luce degli accordi di Basilea.
Infine verrà poi tracciata, nell’ultimo capitolo, un’analisi del “mercato” delle garanzie del territorio nazionale, confrontandolo, in un’ottica comparatistica, con il modello tedesco, francese e spagnolo.
GLI ACCORDI DI BASILEA
1.1 Cenni storici
Il 26 giugno del 1974 alle ore 15.30 le autorità dell’allora Repubblica Federale Tedesca disposero la chiusura, e quindi il fallimento, della Bankhaus Herstatt, un istituto di credito tedesco di medie dimensioni con sede a Colonia, associato ad altre banche sia europee che americane, coinvolto in operazioni finanziarie poco chiare che aveva una particolare focalizzazione in transazioni negli Stati Uniti denominate in marchi: questa decisione innescò una reazione a catena creando gravi problemi nei sistemi di pagamento di tutto il mondo. Infatti alcune controparti europee avevano già effettuato pagamenti ingenti in marchi in favore della banca tedesca senza però aver avuto ancora la contropartita in dollari essendo i mercati americani ancora chiusi a causa del fuso orario. La banca americana che fungeva da tesoriera per i pagamenti in dollari della Bankhaus Herstatt sospese tutti i pagamenti in valuta americana a valere sul suo conto lasciando le controparti che avevano già effettuato i pagamenti scoperti per somme ingenti. Altri istituti newyorchesi a loro volta rifiutarono di
eseguire pagamenti in proprio o per conto della clientela fintanto che non avessero ricevuto conferma dell’avvenuto accredito dei relativi controvalori.
Queste turbative si propagarono ulteriormente attraverso il sistema di regolamento netto multilaterale usato a New York tramite la Federal Reserve che fungeva da banca “clearer”.
Statistiche del tempo ritengono che il valore delle transazioni in attesa di regolamento fu di circa 200 milioni di dollari, che le operazioni “a termine”, cioè con regolamento differito nel tempo, dovettero essere sostituite e che pertanto nei tre giorni seguenti il volume dei trasferimenti lordi veicolati da questo sistema si ridusse in misura consistente (si parlò del 60% circa).
Da quel momento il rischio che una controparte di una transazione in cambi “a pronti” o “a termine” consegni la valuta venduta ma non riceva quella acquistata viene denominato “rischio di sostituzione “ o rischio “Herstatt”.
Come vedremo in seguito, tale rischio oggi si è affievolito notevolmente proprio grazie ai nuovi sistemi di controllo posti in essere dalle autorità monetarie di tutti i principali paesi attraverso
la creazione di meccanismi di controllo, praticamente immediato, sulla solvibilità di una controparte 1.
In conseguenza del fallimento della Bankhaus Herstatt, che peraltro non fu isolato in quanto altre banche sia americane che europee di piccole dimensioni fallirono tra il 1973 ed 1974, i governatori delle banche centrali dei paesi più industrializzati aderenti al cosiddetto “G10” e cioè Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Svezia e Svizzera, decisero di dare vita al “Comitato di Basilea” sotto il patrocinio della Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI): in un primo momento fu denominato “Comitato Cook” in onore di Xxxxx Xxxx, Governatore della Banca d’Inghilterra, il quale era stato tra i principali promotori nonché primo presidente 2.
1.2 Obiettivi del “Comitato di Basilea”
Il Comitato di Basilea è un organismo di consultazione che si riunisce quattro volte l’anno presso la Banca dei Regolamenti
1 Basel Committee on Banking Supervision, Overview of the amendment to the capital accord to incorporate market risks, Jennuary, 1996.
2 Ibidem
Internazionali (BRI), perseguendo l’obiettivo della stabilità monetaria e finanziaria tramite:
- la definizione di norme prudenziali riguardanti la principale fonte di rischiosità bancaria;
- la vigilanza sull’attività bancaria tramite la cooperazione a livello nazionale da parte delle rispettive banche centrali.
Non ha potere legislativo e/o normativo, ma formula proposte e linee guida nell’obiettivo:
• di estendere ed uniformare la regolamentazione di vigilanza a tutte le istituzioni bancarie nel maggior numero possibile di paesi;
• rendere più efficace la regolamentazione di vigilanza bancaria per assicurare la stabilità al sistema nel suo complesso.
Pur considerando che le proposte del Comitato non hanno in teoria potere vincolante, tuttavia le stesse di fatto sono accettate come normativa vincolante da oltre cento paesi.
Nell’ambito delle linee guida fornite viene lasciato un certo margine di discrezionalità alle autorità monetarie di ciascun singolo paese circa le modalità di recepimento degli accordi.
Nel corso del tempo il Comitato di Basilea ha prodotto una serie di iniziative, ma furono le proposte del 1988, note come “BASEL CAPITAL ACCOR”(BCA) a dare il via ad una normativa sull’adeguatezza patrimoniale delle banche per le quali emerse l’importanza di disporre di un patrimonio sufficiente a supportare i pericoli derivanti dalle varie attività poste in essere 3.
In pratica si stabilì che l’esposizione ad ogni rischio assunto, sia esso di natura finanziaria o creditizia, deve essere garantita da un capitale, noto come “capitale di vigilanza.” 4
Le autorità monetarie ritennero che l’8% dell’attivo ponderato per il rischio di credito (dove per attivo ponderato si intende il valore delle attività poste in essere moltiplicate per coefficienti imposti dalle autorità medesime) fosse una ragionevole approssimazione del rischio stesso 5.
Il patrimonio di vigilanza è costituito dal :
3 Beltratti A., Xxxxxxxxx X., Xxxxx X, Neural networks for economic and financial modelling, ITCP, London. 1996.
4 Bianco M. e Casavola P., Italiana Corporate governance, Effects on financial structure and firm performance, European Economic Review, 1999.
5 Himino R., Basilea II – verso un nuovo linguaggio comune, Rassegna trimestrale BRI 2004.
- Patrimonio Base
- Patrimonio Supplementare
Di ambedue vedremo più avanti le definizioni, ma qui è importante rilevare la portata del cambiamento: si introdusse un limite all’attività creditizia delle banche costituito dal capitale delle medesime. Si trattò di una fondamentale innovazione a garanzia della stabilità degli istituti di credito e, conseguentemente, a tutela del risparmiatore 6.
Tuttavia, come vedremo meglio in seguito, esiste anche un rovescio della medaglia consistente nella possibilità che, a fronte di avverse condizioni di mercato come quelle che la comunità finanziaria sta vivendo oggi, le aziende bancarie vedano ridotto il loro capitale di vigilanza in conseguenza, per esempio, di forti perdite. E’ evidente che se il rischio di credito è calibrato sul capitale di vigilanza, una diminuzione di quest’ultimo ha un impatto negativo immediato sull’erogazione del credito alle imprese 7.
6 Xxxxxx E.. Revisiting credit scoring models in a Basel II environment: “Credit Rating: Methodologies, Rationale and Default Risk”, London 2002.
7 Ibidem.
1.3 Gli accordi di Basilea 2
Da Basilea I emerse l’importanza per le banche di disporre di un patrimonio adeguato al rischio assunto. Successivamente l’attenzione del “Comitato di Basilea” si concentrò sulla necessità di rafforzare la normativa sulla stabilità delle banche e il miglioramento dei metodi di misurazione e gestione dei rischi 8.
L’accordo del 1988 presentava dei limiti rilevanti: tra questi il fatto che, nella concessione del prestito non si distingueva tra le imprese prenditrici in funzione del diverso grado di rischio; non si teneva conto della durata dell’investimento e non venivano prese in considerazione né la diversificazione di portafoglio né le tecniche di attenuazione del rischio di credito.
Per ovviare in parte a questi limiti nel 1996 fu introdotta una prima significativa modifica: per il calcolo dei requisiti patrimoniali al rischio di credito venne affiancato il rischio di mercato e per la misurazione di questo rischio venne riconosciuta alle banche la possibilità di scegliere tra un metodo standard e una metodologia interna avanzata.
Nel gennaio 2001 poi il “Comitato di Basilea” rese pubbliche altre importanti proposte relative alla riforma del sistema di
8 Himino R., Xxxxxxxx II – verso un nuovo linguaggio comune, Rassegna trimestrale BRI, 2004.
adeguatezza patrimoniale dando vita a “BASILEA II” o “NEW BASEL CAPITAL ACCORD”. 9
Il nuovo Accordo si basa su 3 pilastri :
• le regole per la quantificazione dei rischi per una migliore determinazione dell’adeguatezza patrimoniale;
• nuovi principi guida per la supervisione da parte degli organi di controllo nazionali volti ad assicurare che gli intermediari si dotino di adeguati sistemi di misurazione dei rischi e ad accertare se le banche valutino in modo corretto la propria adeguatezza patrimoniale in rapporto ai rischi;
• una disciplina di mercato che garantisca la solvibilità del sistema attraverso l’utilizzo dei requisiti di trasparenza delle informazioni. 10
In sostanza i 3 pilastri tentano di correggere i limiti e i vincoli di Basilea I sul sistema di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale (come la poca differenziazione del rischio di credito, le misure di rischio statiche, la mancanza di effetti in caso di
9 Xxxxxxx X. X., Basel II: the new capital accord: strategic analysis of the impact of a Schedule 2 Bank,
Project (M.B.A.), Xxxxx Xxxxxx University, 2004.
10 European Central Bank, The New Basel Capital Accord: Main Features and Implications, Gennuary 2005.
diversificazione del portafoglio, il mancato riconoscimento degli altri rischi) puntando a raggiungere una più alta solidità del sistema finanziario e una maggiore sensitività al rischio, favorendo la parità concorrenziale 11.
Con Xxxxxxx XX si lascia invariata la definizione di patrimonio di vigilanza e il coefficiente minimo di solvibilità che resta all’8%, ma mutano le regole che definiscono il denominatore.
Mentre in Basilea I le ponderazioni da applicare alle attività in essere erano omogenee e poco articolate, secondo Basilea II le stesse tipologie di esposizione hanno coefficienti estremamente differenziati in funzione dei giudizi di merito creditizio assegnati alle singole controparti; inoltre accanto al rischio di credito e di mercato si introducono requisiti anche sul rischio operativo, definito come il rischio di perdite dirette o indirette risultanti dall’inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure di origine esterna 12.
11 Sabato, Implementazione di un sistema di rating interno, 2004.
12 Xxxxxxxxx X., Xxxxxxxxx R., The Basel II Risk Parameters Estimation, Validation and Stress Testing,
Springer Berlin Heidelberg, 2006.
1.4 Definizione di Tier 1, Tier 2 e Tier 3
Per quanto concerne la definizione del patrimonio si distingue tra :
• TIER 1 ossia capitale azionario, riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte, eventuali riserve facoltative, fondo rischi bancari connesso all’attività della banca e strumenti innovativi . Per evitare che il capitale Tier 1 venisse reso meno solido dall'uso di questi ultimi, il Comitato di Basilea decise di limitarne l'inclusione nel Tier 1 al 15%. Escludendo del tutto tali strumenti innovativi dal Tier 1 capital, si ottiene il cosiddetto “Core Tier 1”.
• TIER 2 ossia riserve derivanti da valutazione di beni iscritti nell’attivo ad un valore superiore al loro costo, passività subordinate (normalmente obbligazioni a rendimento più elevato in quanto esposte ad una maggiore rischiosità per il sottoscrittore in caso di “default” della banca), fondo rischi su crediti.
• TIER 3, in genere costituito da obbligazioni di durata massima di 24 mesi.
E’ uno strumento poco usato in quanto deve offrire una remunerazione elevata a fronte di minori garanzie di rimborso per il sottoscrittore 13.
Come abbiamo detto in precedenza, con gli accordi di Xxxxxxx XX non si modifica la misura del rapporto tra patrimonio di vigilanza ed attivo ponderato per il rischio che rimane all’8%, ma cambia, di fatto, il calcolo per la determinazione del denominatore in quanto mutano le percentuali con cui vengono rischiati gli attivi. 14
In questa sede non ci soffermeremo sulle varie percentuali di “rischiatura degli attivi”; è però importante sottolineare come con Xxxxxxx XX sia stata introdotta una maggiore frammentazione più aderente alla realtà. Si passa per esempio da un’unica percentuale del 100% per le esposizioni verso imprese private a cinque classi di ponderazioni (dal 20 al 150%) che meglio identificano le varie tipologie di controparti in funzione della loro affidabilità.
Per i crediti alla clientela privata cosiddetta “retail” si scende dal 100% al 75%.
Gli schemi che seguono dovrebbero aiutare a riassumere:
13 Ibidem
14 Basel Committee on Banking Supervision, Strengthening the resilience of the banking sector, December 2009.
• il nuovo criterio per la determinazione del “Total Capital Ratio” partendo dalla suddivisione delle tipologie di rischi; (tabella 1)
• un esempio pratico di calcolo dell’assorbimento patrimoniale; (tabella 2)
• la definizione dei rischi; (tabella 3)
1.5 Valutazione del rischio di credito
Le metodologie di calcolo delle ponderazioni possono seguire due metodi: 15
- quello standard (presente anche in Basilea I);
- quello dei rating interni a sua volta distinto in base e avanzato.
Il nuovo metodo standard è una versione riveduta e corretta di quello precedente: la novità è la comparsa del rating concesso dalle agenzie specializzate alle varie controparti suddivise, secondo le istruzioni della Banca d’Italia 16, in:
• stati sovrani, a cui normalmente è concesso il massimo livello di credito;
• enti del settore pubblico (province, regioni etc);
• banche ed altre imprese finanziarie;
• imprese non finanziarie;
• esposizioni al dettaglio;
• esposizioni a breve termine;
15 Commissione Europea, Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alle agenzie di rating del credito, novembre 2008.
16 Banca d’Italia, Xxxxxx dei rating interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, Documentazione di consultazione, Xxxx, 0000.
• esposizione verso organismi di investimento collettivo (OIC) Le banche dunque potranno fare affidamento su valutazione esterne del merito creditizio per determinare le ponderazioni del rischio.
Il Comitato 17 definisce “sistema di rating” l’insieme di metodi, procedimenti, dati e sistemi informativi che fungono da supporto alla valutazione del rischio di credito, all’attribuzione dei gradi interni di merito e alla stima quantitativa delle inadempienze e delle perdite.
Le società di rating più note nel mondo finanziario sono Standard & Poor, Moody’s e Fitch. A titolo esemplificativo e senza scendere troppo nel particolare, riportiamo la classificazione internazionalmente più nota delle prime due:
Standard & Poor distingue genericamente tra “short term debt rating” (in genere operazioni fino a 18/24 mesi) e “long term debt rating” con una scala di valori dove, ovviamente AAA indica un livello di affidabilità massimo mentre “D” indica una situazione di “default” cioè di fallimento 18.
17 Commissione Europea, Proposal for a regulation of the european parliament and of the council on amending Regulation, No 1060/2009 on credit rating agencies, Giugno, 2008.
18 European Central Bank, The New Basel Capital Accord: Main Features and Implications, Gennuary 2005.
Anche Moody’s distingue tra debito a lungo termine e debito a breve termine e non differisce in maniera significativa dalla precedente se non per la simbologia usata.
Il limite all’adozione dei rating esterni può essere, per le aziende di credito di piccole dimensioni, la dimestichezza con i mercati internazionali e, quindi, la familiarità con le agenzie di rating.
Da notare inoltre come, ultimamente, alla luce della crisi finanziaria internazionale, siano stati da più parti criticati i criteri in base al quale le società di rating attribuiscono il merito creditizio 19. In particolare ha destato scalpore il fallimento della Xxxxxx Brothers senza che le agenzie di rating fossero in grado di dare, con adeguato anticipo, un segnale al mercato della profonda crisi che ha colpito una delle più quotate e famose banche al mondo. Più propriamente, citando le parole del Parlamento Europeo: “le agenzie di rating non sono riuscite a capire il peggioramento delle condizioni dei mercati e ad adattare in tempo le loro valutazioni”. 20
19 Xxxxxxxx X., Xxxxxxxxx M., Xxxxxxx S., Xxxxxxx M., Xxxxx P., L’organizzazione dell’attività creditizia e l’utilizzo di tecniche di credit scoring nel sistema bancario italiano: risultati di un’indagine campionaria, Questioni di Economia e Finanza, n. 12, Banca d’Italia, Aprile 2008.
20 Cef, Gruppo di lavoro di alto livello del Cef sui meccanismi di stabilità finanziaria transfrontaliera,
XXxxxxxx from the financial crisis for European financial stability arrangements, luglio 2008.
L’accusa più spesso rivolta alle società di rating è quella di essere un po’ troppo generose nell’attribuire il rating 21; per questi motivi il Parlamento Europeo ha ideato un regolamento comunitario mirato ad assicurare condizioni di maggiore trasparenza, indipendenza, efficacia del controllo, qualità ed affidabilità dei rating e della fiducia dei consumatori ed ha approvato una forma di controllo sull’operato delle suddette società da parte del “comitato dei supervisori europei” (Cesr), presso cui saranno accreditate, al fine di evitare o quantomeno limitare la possibilità che l’informazione agli operatori finanziari possa giungere distorta.
Il metodo del rating interno è la vera rivoluzione del nuovo Accordo di Basilea : la possibilità cioè per le banche di ricorrere non solo al rating di un’agenzia esterna specializzata, ma ad un sistema dove gli input per il calcolo del rischio siano il risultato di valutazioni effettuate dalla banca al proprio interno. 22
L’Internal Rating Based” (IRB) può essere semplice (IRB foundation approach) o complesso (IRB advanced approach) e può essere utilizzato da quelle istituzioni creditizie che dimostrano di
21 Xxxxxxx X. e Lotti F., Innovation in the retail banking industry: the diffusion of credit scoring, Review of Industrial Organization, 2005.
22 Sabato G., Implementazione di un sistema di rating interno, 2004.
soddisfare dei requisiti qualitativi la cui osservanza dovrà essere valutata dalle autorità di vigilanza nazionali.
I requisiti più importanti sono i seguenti:
• la banca deve avere un sistema che differenzi prenditori e prodotti in gruppi che hanno un livello simile di rischio di credito;
• le esposizioni creditizie devono essere distribuite tra le varie classi di rischio, senza concentrazioni in una particolare classe;
• il rating deve essere assegnato ai prenditori prima che sia stato preso l’impegno di prestito e periodicamente deve essere rivisto.
In generale il sistema IRB dovrebbe comportare alcuni vantaggi quali:
1. un risparmio di capitale;
2. una miglioria nella formazione dei prezzi del credito e dei servizi meglio legati al contenuto effettivo di rischio;
3. un aumento della capacità della banca di anticipare le situazioni di crisi al fine di ridurre i costi di recupero e migliorare le capacità di recupero.
In ogni caso i modelli interni si basano sul calcolo di 4 elementi fondamentali:
• la probabilità di insolvenza (PD - probability of default) che misura la probabilità (da zero a 100%) che si verifichi la conseguenza del rischio, cioè che il debitore sia inadempiente;
• la perdita in caso di insolvenza (LGD - loss given default) che rappresenta la quota percentuale del credito che si stima di perdere qualora si verifichi l’inadempienza;
• l’esposizione creditizia al momento dell’insolvenza (EAD
- exposure at default) ottenuta stimando come si evolverà l’esposizione dal momento di analisi al momento in cui si potrà verificare l’inadempienza;
• la durata effettiva dell’operazione (M - maturity).
Come è facilmente intuibile la capacità di elaborare modelli di calcolo probabilistico relativi all’insolvenza di un’impresa è tanto più sviluppata quanto più l’istituto di credito è organizzato e quindi, verosimilmente, di dimensioni importanti. In particolare una delle migliori diagnosi delle situazioni aziendali è sviluppata dai cosiddetti modelli di “scoring” basati su tecniche statistiche di analisi il cui obiettivo è ricondurre a unità la valutazione mediante un indicatore sintetico, “score”, del merito creditizio. 23
23 Xxxxxxxx X., Xxxxxxxxx M., Xxxxxxx S., Xxxxxxx M., Xxxxx P., L’organizzazione dell’attività creditizia e l’utilizzo di tecniche di credit scoring nel sistema bancario italiano: risultati di un’indagine campionaria, Questioni di Economia e Finanza, n. 12, Banca d’Italia, Aprile 2008.
LE MODIFICHE DI BASILEA III
2.1 Introduzione
Il 16 aprile 2010 si è conclusa la consultazione pubblica relativa alle proposte del Comitato di Basilea per rafforzare il capitale e la gestione del rischio di liquidità da parte delle banche; nello stesso giorno si è anche chiusa la consultazione della Commissione Europea sulle modiche da apportare alla direttiva sui requisiti di capitale delle banche per tener conto del nuovo pacchetto regolamentare.
Circa un anno fa è terminata la fase di raccolta dei dati che saranno utilizzati dalle autorità per lo studio d’impatto quantitativo 24. Si è trattato di uno sforzo organizzativo notevole per le banche e per le autorità. È ora importante sfruttare appieno le informazioni raccolte al fine di procedere rapidamente alla finalizzazione della riforma delle regole prudenziali.L’impressione che si trae dalla lettura dei position papers dell’industria è di grande preoccupazione per gli effetti che le singole misure proposte e la
24 Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, Dicembre 2010.
loro interazione potranno avere sul settore bancario, sulla sua redditività, sulla sua capacità di fornire sostegno finanziario all’economia 25. Non si può tuttavia tacere che le preoccupazioni avanzate dall’industria non sempre sono apparse argomentate in modo articolato 26; troppo spesso al momento di dissenso sulle opzioni regolamentari non si è accompagnata una fase propositiva adeguata. Soprattutto sui temi più aperti, quelli per i quali vi è maggiore spazio per correzioni e miglioramenti, sarebbero stati molto utili indicazioni progettuali da parte delle banche e degli altri portatori di interesse.
In questo capitolo, richiamerò innanzitutto gli obiettivi fondamentali della riforma di Xxxxxxx XXX, concordati dai Leaders del G20 a Seoul, per poi passare ad analizzare le principali aree di intervento.
2.2 Gli obiettivi della riforma
La crisi che ha colpito due anni fa il sistema finanziario internazionale e che tuttora produce effetti negativi per l’economia mondiale ha fatto ritenere indispensabile un complessivo
25 Ibidem
26 Bank of International Settlements, “Quadro Generale degli sviluppi: interventi senza precedenti per contrastare l acrisi finanziaria mondiale”, Rassegna trimesrtale BRI.
ripensamento della regolamentazione prudenziale 27. Sebbene la crisi sia stata la conseguenza di molti fattori concomitanti, certamente l’apparato regolamentare e di supervisione del settore finanziario non è stato in grado di prevenire l’eccessiva dilatazione dei rischi o di imbrigliare la trasmissione della turbolenza finanziaria.
La revisione da parte del Comitato di Xxxxxxx XXX ha toccato tutti i principali tasselli della regolamentazione finanziaria 28:
• il capitale;
• la leva finanziaria;
• l’operatività nella finanza strutturata;
• il rischio di liquidità.
Nell’aprile 2008 il Financial Stability Board ha emesso le raccomandazioni che hanno contribuito a definire gli elementi essenziali del Piano d’azione adottato dai Leaders del G20.
Il primo elemento del rafforzamento delle regole prudenziali è
l’innalzamento della quantità e della qualità del capitale
27 Bank of International Settlements, Quadro Generale degli sviluppi: il rischio sovrano scuote i mercati,
BRI Relazione trimestrale.
28 Basel Committee on Banking Supervision, “Basel III: International framework for liquidity risk, measurement, standards and monitoring, Dicembre 2010.
regolamentare. Sin dall’inizio della crisi è stato chiaro che molti strumenti inclusi nella definizione regolamentare di capitale non avevano una qualità sufficiente per assorbire le perdite. Analisti di mercato e agenzie di rating hanno iniziato a fare riferimento ad altre definizioni di capitale, assai più ristrette e incentrate sul capitale ordinario. I requisiti regolamentari hanno immediatamente perso la loro funzione di riferimento per valutare l’adeguatezza patrimoniale di una banca.
Alle autorità tecniche è stato anche chiesto di disegnare regole prudenziali e standard contabili che evitino di accentuare la tendenza del settore finanziario a favorire la crescita, talvolta euforica, del credito all’economia nei periodi di maggiore espansione e a ridurla drasticamente all’inversione del ciclo 29.
Parallelamente è stato chiesto il rafforzamento delle regole per il controllo del rischio di liquidità. L’eterogeneità delle regole non ha favorito la gestione integrata della liquidità per i gruppi cross- border, limitandone la mobilità, generando inefficienze e tensioni nei momenti di maggiore pressione sui mercati.
E’ stato inoltre affermato il principio che tutte le istituzioni finanziarie e le infrastrutture di mercato sistemicamente rilevanti
29 Bank of International Settlements, Sostenibilità delle finanze pubbliche nei paesi industriali: rischi e sfide,
80° Relazione annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali, Giugno 2010.
siano assoggettate a forme adeguate di controlli, per evitare l’accumulazione di rischi sistemici e il gioco degli arbitraggi regolamentari 30.
Le linee generali del piano d’azione sono state trasposte in proposte operative dal Comitato di Basilea. L’insieme delle misure mira a ridefinire aspetti importanti dell’assetto regolamentare, in linea con gli obiettivi ambiziosi fissati dal G20. Dalla riforma dovrà uscire un sistema finanziario più prudente, in grado di affrontare le crisi da una posizione di maggiore solidità, riducendo i costi che potrebbero essere addossati alle finanze pubbliche e all’economia reale in caso di dissesto 31.
2.3 Le proposte per rafforzare l'adeguatezza del capitale
Al centro del futuro quadro prudenziale delineato nel pacchetto di riforme rimangono le regole sull’adeguatezza del capitale, strumento essenziale per influenzare gli incentivi all’assunzione di
30 Basel Committee on Banking Supervision, “Basel III: a global regulatory Framework for more resilient banks and banking systems, Dicembre 2010.
31 Mc Xxxxxx, “Basel III and European banking: its impact, how banks might respond and the challenges of implementantation”, Nevembre 2010.
rischi da parte delle banche e per determinare la loro capacità di assorbire perdite 32.
Le proposte prevedono innanzitutto una più adeguata calibrazione del peso di alcuni rischi e, dunque, del patrimonio che le banche devono detenere per farvi fronte. La crisi ha infatti mostrato come i rischi, in particolare quelli di mercato e di controparte, insiti in alcune tipologie di esposizione fossero ampiamente sottostimati. La necessità di “riequilibrare” le ponderazioni è divenuta dunque prioritaria. Requisiti patrimoniali che tengono conto del valore a rischio o delle correlazioni tra attività in condizioni di stress rispondono proprio all’esigenza di prevenire gli eccessi che hanno contribuito in misura significativa alla propagazione della crisi.
Il secondo intervento riguarda il miglioramento della qualità degli
strumenti finanziari che possono essere inclusi nel patrimonio di vigilanza. Si tratta di un intervento irrinunciabile, uno snodo fondamentale della proposta di riforma 33.
Il nuovo pacchetto regolamentare sottolinea l’importanza di una definizione della componente predominante del patrimonio di base, il Core Tier 1, che includa solo elementi con la più forte capacità di assorbire perdite. Per le società per azioni tale
32 Milano F., Finanza Aziendale, dispense del Corso tenuto alla facoltà di Economia della Luiss, 2011.
33 Cournède Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxx, Macroeconomic Impact of Basel III, OECD Economics Department Working Papers, 2011.
componente dovrà essere limitata alle azioni ordinarie e alle riserve di utili. Sono previsti alcuni aggiustamenti per tener conto delle specificità degli strumenti di capitale emessi dalle banche organizzate in forma di società cooperativa.
Saranno introdotte regole più stringenti per l’ammissibilità nel patrimonio supplementare degli strumenti di debito subordinato; scompariranno gli elementi di qualità più bassa (Tier 3). Gli attuali coefficienti patrimoniali minimi relativi al patrimonio totale e a quello di base saranno affiancati da un requisito relativo al Core Tier 1.
Il miglioramento della qualità del patrimonio e la maggiore omogeneità delle regole a livello internazionale sono obiettivi da valutare con favore; essi sono coerenti con l’approccio da sempre seguito dalla Banca d’Italia, il cui rigore nell'applicare le regole prudenziali ha contribuito a preservare la stabilità delle banche italiane anche nelle fasi più critiche 34. Rispetto agli intermediari di altri paesi, che spesso apparivano meglio patrimonializzati prima della crisi, le banche italiane hanno sopportato gli effetti delle turbolenze senza dover ricorrere a interventi pubblici straordinari, fino all'arrivo del recente governo Xxxxx, mantenendo la capacità di raccogliere capitali sul mercato.
34 Citigroups, “Italians Banks”, pubblicato su Borsa Italiana, Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, Aprile 2011.
2.4 Il leverage ratio
Ai requisiti patrimoniali basati sul rischio si affiancherà un leverage ratio: esso consiste nel livello massimo di leva finanziaria ammissibile nell’attività bancaria 35.
L’introduzione di questo strumento ha una duplice finalità: oltre a contribuire, come richiesto dal G20, a contenere il livello di indebitamento nelle fasi di eccessiva crescita economica, il leverage ratio può anche supplire alle eventuali carenze dei modelli interni per la valutazione del rischio, soprattutto di quelli sviluppati per prodotti finanziari particolarmente complessi o innovativi 36. Un punto importante della proposta è l’inclusione nel calcolo del rapporto anche delle attività fuori bilancio, escluse, ad esempio, nella regolamentazione statunitense. Si tratta di un profilo essenziale che pone al riparo dai rischi di arbitraggio regolamentare e di aggiramento del limite.
Il valore massimo di leverage che le banche potranno sostenere sarà definito nella fase di calibrazione delle diverse misure. Esso dovrà essere tale da interagire virtuosamente con l’impianto di Basilea II, così come modificato a seguito della crisi, evitando di
35 Standard and Poor’s, The Basel III Leverage ratio is a raw measure, burt could supplement risk - based capital metrics, April 2010.
36 Commissione Europea, Overview of the results of the pubblic consultation on a EU framework for Cross – border cisiis management in the bamking sector, Marzo 2010.
alterare la struttura di incentivi degli intermediari o di rafforzare la ciclicità delle dotazioni patrimoniali. È chiaro che, al di là delle condivisibili finalità dello strumento, la difficoltà che abbiamo di fronte sta proprio nel definirne l’interazione con le regole in vigore. Alcune prime simulazioni sulle banche italiane, che risentono tuttavia della carenza di serie storiche sufficientemente lunghe, dimostrano che, nelle fasi congiunturali avverse, l’impatto delle perdite sul livello del capitale può essere rilevante, conducendo ad un aumento del grado di leva.
La proposta “di base” contenuta nel documento di consultazione mira a introdurre uno strumento relativamente semplice da calcolare e di agevole lettura da parte del mercato. Opzioni alternative, ad esempio il riconoscimento degli accordi di compensazione (netting) o l’esclusione dal calcolo dell’attivo delle attività più liquide , potranno essere valutate, ma non dovranno introdurre elementi di complessità non coerenti con la filosofia di fondo dello strumento: obbiettivo è evitare che regole contabili diverse conducano a differenze significative nel funzionamento dello strumento in giurisdizioni diverse.
L’iniziale introduzione nell’ambito del secondo Pilastro consentirà in ogni caso di sperimentare il funzionamento
dell’indicatore e di apportare, laddove necessario, le opportune correzioni.
2.5 Le misure per mitigare la prociclicita'
Nei documenti di consultazione, il Comitato ha riservato grande attenzione alle misure per limitare la prociclicita' della regolamentazione finanziaria 37.
Con questo termine si vuole indicare il timore che il nuovo sistema di requisiti patrimoniali relativi al rischio di credito, fondati sui sistemi di rating interni delle banche, possa accentuare le fluttuazioni del ciclo economico aggravando in particolare le fasi recessive: quando il sistema economico attraversa una fase recessiva, le condizioni economico-finanziarie delle imprese tendono a deteriorarsi.
A tal fine è stato proposto un pacchetto di interventi che, nel fronteggiare i diversi aspetti della prociclicità, mirano a completarsi a vicenda. L’ammontare complessivo del buffer di capitale al di sopra del minimo regolamentare sarà dunque dato dalla somma di varie componenti, ciascuna regolata da
37 Xxxxxxxxx Xxxx Xxxxx, Verso una nuova regolamentazione, Gennaio 2011.
meccanismi di funzionamento differenti in considerazione della sua specifica finalità.
La Commissione e' convinta che la prima necessaria componente del pacchetto anticiclico debba essere costituita da un buffer (cuscinetto per la conservazione del capitale) specifico che sia definito in base alle caratteristiche di ogni intermediario; tale strumento ha l’obiettivo di contenere le fluttuazioni del requisito minimo per le banche che adottano i modelli interni per il rischio di credito, soprattutto per quelle che hanno sviluppato sistemi di rating che risentono maggiormente delle oscillazioni cicliche. Pur in assenza di robuste evidenze empiriche sul legame tra requisiti di capitale e ciclo economico, si tratta di uno dei limiti di Xxxxxxx XX che la Commissione ha ritenuto opportuno rimuovere.
La proposta, fortemente sostenuta dalla Banca d'Italia e sulla quale si è trovato il consenso del Comitato europeo dei supervisori bancari (CEBS), si basa sull’applicazione di un fattore di scala, determinato osservando la variabilità delle probabilità di default nel tempo, che riflette la differenza tra le fasi recessive dell’economia o quelle medie di lungo periodo e le condizioni cicliche correnti. Il vantaggio di questi metodi è che, pur preservandone il valore informativo e gestionale, trasformano le probabilità di default stimate dalle banche da point-in-time in
through- the-cycle, senza compromettere lo use test. L’applicazione del fattore di scala garantisce che, all’aumentare delle probabilità di default, l’incremento del requisito minimo sia assorbito dai buffer accumulati, evitando potenziali effetti indesiderati sull’offerta di credito.
La seconda misura prevede la fissazione di un “target ratio patrimoniale”, uguale per tutte le banche, per assicurare che esse siano dotate, in espansione, di un cuscinetto di capitale al di sopra del minimo regolamentare e che le politiche di distribuzione degli utili non determinino la contrazione della base patrimoniale proprio all’insorgere di una crisi. Al fine di perseguire l’obiettivo di conservazione del capitale è stato determinato un legame tra la distanza della banca dal target ratio stesso e le possibilità di pagamento dei dividendi agli azionisti, di riacquisto delle azioni proprie, di attribuzione di bonus al personale: quanto più la banca è lontana dal target tanto minore è la quota di utili che può essere distribuita.
2.6 Gli interventi per ridurre il rischio di liquidità
Una buona gestione del rischio di liquidità si articola in alcune fasi ben distinte:
1. fare previsioni sui flussi di cassa in entrata ed in uscita attesi tramite la suddivisione in periodi quanto più possibili brevi;
2. cercare di coprire gli sbilanci attesi o di investire le eccedenze attese, in modo da ottenere profitti senza esporsi troppo al rischio;
3. l’utilizzo di indici di bilancio descrittivi della situazione e soprattutto dei rischi associati all’attività caratteristica bancaria, quali a d esempio gli impieghi sui depositi o leva finanziaria;
4. la ricerca di diversificazione dei canali di raccolta fondi, così come delle attività;
5. l’utilizzo di riserve adeguate (liquidità, ma anche strumenti prontamente e facilmente liquidabili) con un elevato grado di confidenza, per affrontare almeno nel breve periodo i rischi di liquidità.
L’eccessiva concentrazione della regolamentazione bancaria su presidi di carattere patrimoniale, a scapito di quelli sulla liquidità, era già stata rilevata prima della crisi e lavori sul rischio di
liquidità erano cominciati sia al Comitato di Basilea sia in Europa38.
La crisi finanziaria ha mostrato con quanta rapidità, intensità e durata possa manifestarsi il rischio di liquidità e quali effetti esso possa determinare sulla stabilità degli intermediari e dell’intero sistema, in condizioni di generale incertezza nei mercati 39.
Attraverso l’introduzione di regole quantitative, il Comitato di Basilea ha mirato dunque a evitare che squilibri nella gestione della liquidità possano mettere a repentaglio la stabilità del singolo intermediario e, soprattutto, a ridurre le possibilità di contagio ad altri operatori.
L’assetto generale della disciplina, basato su una prima regola, che
richiede alle banche di disporre di cuscinetti di attività liquide in grado di coprire, anche in condizioni di stress molto severe, deflussi di cassa attesi in un orizzonte di 30 giorni, senza ricorrere al mercato, e su una seconda regola che richiede di evitare squilibri
strutturali nella composizione per scadenza delle passività e attività di bilancio, appare consolidato e relativamente non controverso.
38 Basel Committee on Banking Supervision, Report and Recommendations of the Cross – border Bank resolution Group, Marzo 2010.
39 Bank of International Settlements, Quadro genrale egli sviluppi: in primo piano i timori per la crescita,
Rassegna trimestrale BRI, settembre 2010.
Vari aspetti delle proposte sono invece ancora aperti. Un tema rilevante è, per esempio, la natura delle attività che possono essere incluse nel buffer di attività liquide: la maggiore o minore estensione del novero delle attività ammissibili può determinare conseguenze rilevanti sulle politiche delle banche. È necessario dunque trovare il giusto equilibrio tra la necessità che gli intermediari mantengano profili di liquidità sufficientemente prudenti e quella di garantire adeguati flussi di credito verso la clientela. In questo senso, appaiono condivisibili le proposte avanzate nel corso della consultazione volte, al fine di tener conto delle specificità dei mercati bancari europei e italiani, a considerare nella definizione del buffer di liquidità anche i corporate e covered bonds di migliore qualità 40.
Soprattutto, appare importante che alle banche sia consentito, come anche previsto per i buffer di capitale, di utilizzare nei momenti di maggiore difficoltà le risorse liquide accumulate. La soluzione proposta dalla Commissione europea, che ammette il temporaneo allontanamento dai requisiti imposti dalle due regole
40 Xxxxxxx Xxxxxxx, The Macroeconomic impact of Basel III on the Italian economy, Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia n. 88, Febbraio 2011.
in condizioni di mercato sfavorevoli, introduce condivisibili elementi di flessibilità nella gestione dei buffer 41.
2.7 L'impatto delle nuove misure sulle banche italiane
In Italia, gli effetti della crisi sono stati meno forti grazie a un modello di intermediazione tradizionale, sostenuto da un quadro regolamentare e una vigilanza prudenti. Le banche italiane sono entrate nella crisi con un’esposizione complessivamente contenuta verso i prodotti della finanza strutturata e una minore dipendenza dai mercati della raccolta all’ingrosso 42. Il nostro sistema bancario era e resta caratterizzato dalla prevalenza dell’attività di intermediazione creditizia a favore di famiglie e imprese, dal radicamento sul territorio, da una leva finanziaria contenuta e da una struttura di bilancio nel complesso equilibrata.
La limitata operatività nel campo della finanza innovativa e nella negoziazione di prodotti di credito strutturati induce a ritenere che l’impatto dell’inasprimento dei requisiti patrimoniali risulterà in media contenuto: l’introduzione del leverage ratio non dovrebbe comportare conseguenze importanti.
41 Ibidem
42 Citigroups, “Italians Banks”, pubblicato su Borsa Italiana, Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, Aprile 2011.
Non ci si può però nascondere che le modifiche regolamentari proposte dal Comitato di Xxxxxxx richiederanno alle banche italiane adeguamenti non trascurabili. Sebbene esse partano da una situazione migliore di quella di altri sistemi bancari sul fronte, ad esempio, della qualità del patrimonio, rimangono aperti aspetti importanti delle proposte che potrebbero determinare conseguenze di rilievo.
Quanto alle regole sulla liquidità, appare tuttavia chiara sin d’ora la necessità che le banche italiane aumentino le scorte di attività prontamente liquidabili. Se da un lato il profilo di liquidità del sistema appare complessivamente migliorato, anche grazie alla rafforzata azione di monitoraggio avviata dal 2007 dalla Banca d’Italia, dall’altro permangono sui mercati elementi di incertezza43.
2.9 Conclusioni
Le principali debolezze riconosciute a Basilea II sono state le seguenti:
43 Bank of International Settlements, Dal pronto soccorso alla terapia intensiva: retrospettiva dell’anno trascorso, 80° Relazione annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali, Giugno 2010.
• il fatto che il requisito minimo di capitale fosse inadeguato a sostenere le ingenti perdite che si sono affrontate durante la crisi e che il capitale fosse costituito per lo più da strumenti non in grado di assorbire realmente le perdite;
• il compito di valutare il rischio di controparte spesso non è stato ben svolto né dalle agenzie di rating, cosa che ha creato voci di conflitti di interessi, né dalle stesse banche e dai loro sistemi interni;
• il processo di cartolarizzazione dei crediti: quando una banca cartolarizzava i crediti, poteva semplicemente toglierli dal bilancio e inserirli tra gli elementi fuori bilancio. Viene, con la nuova riforma, punito l’abuso di tale strumento utilizzato prevalentemente come scommessa da pochi grandi investitori privilegiati che hanno innalzato il livello di leva finanziaria dell’intero sistema.
Le proposte del Comitato di Xxxxxxx, sebbene richiedano ulteriori riflessioni e affinamenti, muovono nella direzione indicata dalle massime autorità politiche a livello globale. Esse pongono basi solide per rimediare alle criticità emerse durante la crisi e costituiscono il contributo della comunità dei supervisori al più
ampio ripensamento delle regole che devono guidare uno sviluppo equilibrato del sistema finanziario.
Pur confermando sostanzialmente la filosofia di fondo di Xxxxxxx XX, si prende atto di alcuni limiti della disciplina e si introducono i correttivi necessari a migliorarne il funzionamento e a garantire che essa consegua gli obiettivi per cui era stata ideata. Aspetti, anche non marginali, del nuovo pacchetto di Basilea potranno essere rivisti, modificati e perfezionati anche alla luce dei numerosi commenti ricevuti.
Deve essere chiaro tuttavia che la struttura complessiva della riforma non è in discussione: in futuro non dovranno ripetersi casi di carenti dotazioni patrimoniali, gestione irresponsabile del rischio di liquidità, avventata crescita degli attivi seguita da repentini fenomeni di “deleveraging”(cuscinetto di protezione dell’investimento).
Il rallentamento del processo di revisione delle regole a livello internazionale, che da alcune parti sembra auspicarsi, sarebbe una scelta miope. Si potrebbero determinare fughe in avanti di alcuni paesi, facendo naufragare definitivamente il tentativo di definire un terreno di gioco realmente livellato.
Analogamente, si deve contrastare il pericolo che regole troppo severe siano poi applicate in modo eterogeneo. Affinché i benefici
della revisione in atto possano effettivamente concretizzarsi, è fondamentale definire standard credibili e, almeno in Europa, criteri condivisi per la loro attuazione. Se così non fosse, ne risulterebbero penalizzati soprattutto gli operatori appartenenti alle giurisdizioni tradizionalmente più rigorose.
IL MERCATO DEL CREDITO
3.1 La funzione delle garanzie nel mercato del credito.
In termini generali, le garanzie possono essere definite come “schemi normativi intesi ad offrire a uno o più creditori una tutela rafforzata”, rispetto ai creditori ordinari, tramite l’attribuzione o la conservazione di particolari diritti.
Il principale aspetto su cui la costituzione di garanzie di garanzie tende ad incidere è l’adempimento delle obbligazioni contrattuali, ossia il pagamento della remunerazione pattuita e il rimborso del capitale: ciò può accadere in vari modi, a seconda del tipo di garanzia.
Una distinzione rilevante è quella tra garanzie interne (inside collateral) e garanzie esterne (outside collateral). Con il termine inside collateral si indicano tutti casi in cui un creditore, o una classe di creditori, acquisisca diritti su alcuni o su tutti i beni dell’impresa debitrice, tali da essere posto in una situazione privilegiata rispetto agli altri creditori. Con il termine outside collateral ci si riferisce ai casi in cui il creditore acquisisca diritti
su beni che non appartengono all’impresa debitrice con conseguente ampliamento dei beni su cui il creditore ha il diritto di rivalersi. In una situazione di questo tipo, in caso di inadempimento dell’impresa, il diritto di prelazione del creditore può riguardare singoli beni oppure l’intero patrimonio personale del debitore oppure di uno o più soggetti terzi rispetto all’impresa. Un’altra importante distinzione è tra collateral e guarantee: al primo termine viene associata la nozione di garanzia reale, ovvero un “insieme di titoli o attività reali fornite dal debitore o da terzi a garanzia, parziale o totale, del prestito”; al secondo termine viene associata la nozione di garanzia personale, ovvero “l’insieme degli obblighi contrattuali che impegnano eventuali terzi al pagamento in caso di insolvenza del debitore”. È opportuno, tuttavia, ricordare che in molti casi la letteratura anglosassone utilizza il termine collateral come sinonimo di warranty, cioè di garanzia generica.
Le garanzie, in generale, possono essere utili anche quando l’impresa è sana perché esercitando una maggiore pressione sul debitore, facilitano il realizzo del credito.
L’efficacia di tale funzione è legata, da un lato, all’utilità del bene per l’impresa che si esplica in termini di costi che essa sopporterebbe in caso di realizzo della garanzia, dall’altro alla credibilità della minaccia di realizzo.
La concessione di garanzie, tuttavia, assume rilevanza soprattutto se vi è rischio di insolvenza: in tal caso, le garanzie esplicano pienamente la loro funzione di tutela sia nei confronti dell’impresa, sia nei confronti dei creditori rispetto ai quali offriranno un diritto di prelazione nei confronti dei singoli assets. Il mercato delle garanzie è derivato dal mercato dei finanziamenti offerti alle imprese. Come è noto, i finanziamenti delle attività delle imprese si dividono in due grandi categorie:
1. interni;
2. esterni.
I primi possono essere volatili nel tempo, trattandosi dei profitti d’impresa non distribuiti. Tendono a gonfiarsi nelle fasi di espansione del ciclo economico, ma pure a deteriorarsi quando la congiuntura diventa avversa: non sono, in altri termini, fonti di flussi stabili del finanziamento delle attività di impresa. Le fonti esterne si dividono a loro volta in due grandi categorie:
• il capitale di rischio;
• il capitale di debito.
Tale classificazione origina dalla natura giuridica del rapporto tra prenditore e datore di fondi. L’impresa è debitrice, quando il datore di fondi null’altro può vantare oltre la restituzione del capitale e un interesse. L’impresa è partecipata da un socio, azionista, quando nel conferimento del capitale di rischio il socio rischia il capitale medesimo nell’attività dell’impresa. Il suo diritto non sta nella restituzione del capitale, ma nel trarre dall’impresa i frutti (utili netti) che essa produrrà e distribuirà lungo tutto l’arco della vita: il socio potrà ovviamente anche cedere il suo titolo sul mercato, a condizione di trovare con la controparte un accordo sul valore, che normalmente sarà scollegato dal conferimento iniziale.
3.2 Le garanzie come strumento di mitigazione del rischio di credito
Con la revisione dell’Accordo sul Capitale delle Banche realizzata dal Comitato di Basilea nel giugno del 2004 e recepita dalla disciplina comunitaria nel giugno 2006, è stato esplicitamente riconosciuto il ruolo svolto dalle garanzie quali strumenti di “mitigazione del rischio di credito”: l’acquisizione di garanzie da parte della banca consente infatti una riduzione del capitale che
essa deve accantonare ed opera quindi sul pricing relativo alla concessione del credito.
Il nuovo schema regolamentare contempla un’esplicita disciplina per le tecniche di mitigazione del rischio di credito, da ricondursi sostanzialmente a tre strumenti:
• garanzie reali (financial e physical collateral);
• garanzie individuali (personal guarantees);
• derivati di credito (credit derivatives).
Il “rischio di credito”, al quale è dedicata la maggior parte delle
pagine dell’Accordo di Basilea, è viceversa il rischio assunto dalla banca che vanta un credito nei confronti di un soggetto, il quale risulti insolvente e quindi non faccia fronte ai propri impegni di pagamento. Tale rischio potrà essere valutato dalla banca con due metodi alternativi:
• il metodo standard;
• il metodo basato sui rating interni (Internal Rating Based).
Secondo l’approccio standard i crediti sono ponderati sulla base del rischio associato a ciascun debitore e questo va calcolato utilizzando rating esterni, forniti dall’OCSE (se il credito è verso stati nazionali) o da agenzie private di rating, la cui idoneità va valutata dall’autorità di vigilanza. Ai soggetti senza rating andrà associato un coefficiente di ponderazione pari al 100% (al quale è quindi associato il solito requisito patrimoniale dell’8%), mentre i prestiti in mora andranno ponderati al 150%. Ai crediti del settore retail e collegati a mutui ipotecari sono associati coefficienti di ponderazione favorevoli rispetto agli attuali. Le regole per le piccole e medie imprese (PMI) sono state modificate nell’ultima stesura dell’Accordo, a seguito delle giustificate critiche di chi riteneva inappropriato valutare il rischio di impresa per le PMI alla stregua di quello delle imprese di maggiori dimensioni.
Senza entrare in dettagli tecnici eccessivi, in questa sede ci si limita a ricordare che Xxxxxxx XX, pur nel rispetto di quei principi di base che hanno ispirato Basilea I, ha riformulato i sistemi di misurazione del rischio di credito e ha aggiunto altresì la necessità di considerare altri tipi di rischio soprattutto quello “operativo”
ovvero quello legato a perdite patrimoniali risultanti da inefficienze o inadeguatezze dei processi di valutazione dei rischi: tutto ciò prende il nome tecnico di rating.
Se invece la banca decide di adottare un sistema di rating interni, essa valuterà internamente il rischio associato ai soggetti cui fornisce credito. Le ponderazioni non sono lasciate interamente all’autonomia della banca: la banca avrà facoltà di calcolare alcuni input quantitativi e, sulla base di questi, specifiche formule fornite dal Comitato forniranno il requisito patrimoniale associato alla singola operazione. Gli input quantitativi sono quattro:
• PD (probability of default): è la probabilità che il debitore si dichiari inadempiente entro un certo arco temporale;
• LGD (loss given default): è la perdita che la banca subirà in caso di inadempienza;
• EAD (exposition at default): è l’esposizione in cui si troverebbe la banca in caso di inadempienza; vi appartengono le esposizioni fino a 1 milione di euro da parte di imprese con un fatturato fino a 5.
• M (maturity): è la scadenza residua dell’operazione.
Le autorità di vigilanza dovranno vigilare sul fatto che le banche, nell’implementazione dei sistemi di rating interni, rispettino criteri minimi di idoneità.
L’Accordo di Xxxxxxx XX è altresì molto esplicito per quel che concerne le garanzie personali ed i garanti ammissibili. La presenza di una garanzia può permettere alla banca di scaricare capitale di vigilanza da un lato poiché essa può comportare una diminuzione della PD dell’operazione, dall’altro poiché anche la LGD sarebbe ridimensionata.
Le banche che adottino il metodo standard non possono accettare garanzie personali che non siano irrevocabili e di ammontare incontrovertibile: in caso di insolvenza del debitore, la banca deve potersi rivalere tempestivamente sul garante. La garanzia deve inoltre essere documentata e non è in nessun caso accettabile garanzia da soggetti che abbiano rischiosità maggiore della controparte. I garanti ammissibili sono:
• governi, enti pubblici, banche e SIM con ponderazione di rischio inferiore a quella della controparte;
• altre entità con rating pari o superiore ad A-.
3.3 Il mercato delle garanzie
“Andare in banca senza garanzie”, senza i collaterali, ma per esporre le proprie idee di affari, discutere un business plan, e ottenere il finanziamento bancario sulla base della qualità del progetto è il “sogno impossibile” di generazioni di imprenditori. Un “sogno”, perché il progetto di business (“che cosa farò dei soldi?”) è solo uno dei tanti elementi di giudizio sul merito di credito della controparte che una banca esprime, quando fa il banchiere, ossia quando concede denaro preso appropriatamente a prestito.
Il progetto di business è utile, essenziale per migliorare il giudizio sul merito creditizio dell’impresa, ma il banchiere non è un socio dell’imprenditore: copre una parte dei suoi fabbisogni finanziari con somme di cui vuole rientrare in possesso, perché non sono proprie, e perché non è l’azionista dell’impresa. Non può e non vuole confondere il rischio dell’impresa-cliente con il proprio rischio d’impresa, ossia di non aver adeguatamente valutato il rischio di controparte, di averlo magari sottovalutato, di non aver saputo chiedere le garanzie, i collateral, di aver applicato un tasso insufficiente. Ecco perché chi domanda credito deve prepararsi ad offrire “garanzie”.
Sgombriamo il campo dai luoghi comuni: la “garanzia” non è un arcaico strumento di facilitazione di accesso al credito, reso vetusto dalle innovazioni finanziarie e magari prossimo ad essere abbandonato per imposizione di nuove regolamentazioni come Basilea II e/o in relazione alla presunta “oggettivizzazione”44 del merito creditizio (posto che i sistemi di rating delle banche siano abili ed efficaci nell’adempiere la missione che sta per essere loro affidata).
Chi scrive dimostrerà che le banche hanno sempre avuto un significativo “appetito di garanzie”, che tale appetito è uniformemente presente tra i banchieri: grandi e piccoli, globali o locali. Penso non solo che i rating non renderanno obsolete le garanzie, ma che Xxxxxxx XXX accrescerà proprio l’appetito di garanzie. Xxxxxxx XXX cambierà tuttavia un po’ “il palato” delle banche e le garanzie “appetitose” dovranno avere qualità e caratteristiche particolari. I garanti potranno dormire sonni tranquilli: il loro business non solo sarà florido, ma probabilmente in espansione, purché sappiano offrire le garanzie “appetitose”.
44 Oggettivazione significa che le regole di valutazione del rischio, in base alle quali verranno concessi i prestiti, e il costo di tali prestiti per gli imprenditori sono uguali per tutti gli operatori bancari: pertanto, il credito non verrà più concesso in base a parametri soggettivi e quindi legati alla persona che ne fa richiesta.
Molti giuristi si sono chiesti se esista un mercato delle garanzie e se questo sia un bene che si possa acquistare e vendere in altri termini.
Secondo me la risposta è affermativa e negativa: si potrebbe infatti parlare di “quasi mercato”, tante sono le imperfezioni che lo caratterizzano.
Incominciamo con il distinguere le garanzie in due grandi categorie per natura giuridica: quelle “reali”, ossia i pegni sui beni
mobili e le ipoteche sui beni immobili. Quelle “personali”, la
seconda categoria, ossia le fideiussioni: gli impegni assunti da un garante a sostituirsi al debitore in caso di inadempimento di quest’ultimo.
Le banche hanno una incline preferenza per le prime, ed è comprensibile: in caso di pegno, il bene mobile, tipicamente si tratta di valori mobiliari, è già in loro possesso quando si registra l’inadempimento. In caso di ipoteca, normalmente il valore immobiliare sottostante è più che congruo rispetto al valore residuo del prestito quando si manifesta l’insolvenza, e ciò per di più compensa anche le spese legali di recupero. Le garanzie personali richiedono una più macchinosa procedura di recupero specie quando sono sussidiarie (come quelle dei Confidi che
vedremo nel prossimo capitolo), possono essere escusse solo dopo il debitore principale.
3.4 I soggetti garanti e i soggetti garantiti
L'introduzione del Nuovo Accordo di Basilea impone una profonda rivisitazione e ridefinizione delle logiche operative e gestionali riferite alla politica di concessione dei prestiti delle banche con l'obiettivo di raccordare le modalità di determinazione del capitale di vigilanza alle modalità di valutazione e di concessione del credito.
Il passaggio suddetto si realizza nella misura in cui si:
a) definiscono le componenti elementari di misurazione del rischio di credito;
b) identificano le modalità di determinazione delle componenti suddette;
c) differenziano le logiche di misurazione per segmento di controparte;
d) specificano le modalità di attuazione delle nuove regole riferite al capitale di vigilanza.
La portata del cambiamento è vasta e decisiva per orientare l'intero sistema creditizio a nuove logiche di gestione: l'accordo di Basilea specifica tuttavia quelli che devono essere i requisiti richiesti alle "garanzie" in generale per essere accettate nella prospettiva di mitigazione del rischio. Tali requisiti si articolano in:
• requisiti oggettivi (in quanto riferiti alla garanzia di per sé);
• requisiti soggettivi (in quanto riferiti al garante).
I tratti essenziali delle due disposizioni portano a individuare nella copertura diretta, nella copertura integrale e incondizionata da un lato e nella natura di banca, impresa o ente pubblico dotati di un rating almeno pari a BBB dall'altro lato gli elementi di riconoscibilità della garanzia.
3.5 La rilevanza delle garanzie ai sensi di Basilea 2
Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le Banche, introdotte dalla Banca d‟Italia con la Circolare n. 263 del 27/12/2006, recepiscono il Nuovo Accordo sulla “Convergenza
internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali” (“Basilea II”) e l‟omologa normativa 13 comunitaria dettata dalle direttive UE n. 48 e n. 49 del 14.06.2006. Il complessivo sistema di regole prudenziali governato dalla circolare 263/2006 si fonda su “tre pilastri”, che disciplinano:
• i nuovi requisiti patrimoniali (“primo pilastro”), ossia i
coefficienti patrimoniali obbligatori di vigilanza che configurano la dotazione minima di capitale che ogni intermediario deve possedere per fronteggiare i rischi tipici della sua attività e per la cui misurazione sono utilizzabili metodologie alternative di calcolo caratterizzate da differenti livelli di complessità sia nelle tecniche di computo sia nei requisiti organizzativi e di controllo;
• il processo di controllo prudenziale (“secondo pilastro”),
ossia il sistema di controlli interni di cui ciascuna banca deve dotarsi per assicurare l‟adeguatezza patrimoniale ed organizzativa, attuale e prospettica, a fronte di tutti i rischi rilevanti per la sua attività (“Internal Capital
Adequacy Assessment Process” – ICAAP) ed il sistema dei controlli esterni che l‟Autorità di Vigilanza esercita su stabilità, efficienza, sana e prudente gestione degli intermediari stessi (“Supervisory Review and Evaluation Process – SREP), per verificare l‟affidabilità e la coerenza dei risultati ed adottare, ove la situazione lo richieda, le opportune misure correttive;
• l’informativa al pubblico (“terzo pilastro”), ossia gli
obblighi informativi verso il mercato che ogni banca è chiamata ad assolvere (disciplina di mercato) in materia di adeguatezza patrimoniale, esposizione ai rischi e relativi sistemi di identificazione, misurazione e gestione. In particolare, le disposizioni prudenziali concernenti il cosiddetto “terzo pilastro” impongono specifici obblighi di informativa al pubblico – diretti a rafforzare la disciplina di mercato – che riguardano i profili di adeguatezza patrimoniale e di esposizione ai rischi nonché le caratteristiche dei sistemi interni preposti all‟identificazione, alla misurazione ed alla gestione dei rischi stessi.
L’impiego di tecniche di “Credit Risk Mitigation” è volto a ridurre o a trasferire il rischio di credito: tuttavia, poiché l‟accettazione di garanzie personali e finanziarie non può accrescere altri rischi (come, ad esempio, il rischio legale, il rischio operativo, il rischio di liquidità o il rischio di mercato) è necessario che la banca, nel processo di ricerca e definizione del ruolo delle garanzie tenga in adeguata considerazione questi ultimi aspetti (ed ecco perché non tutte le banche potranno adottare i medesimi “schemi organizzativi”).
Le tecniche di mitigazione del rischio sono:
• le garanzie personali ed i credit derivatives, i cui requisiti
minimi sono riconducibili ai seguenti aspetti:
• Copertura diretta
• Copertura esplicita
• Copertura irrevocabile
• Copertura incondizionata
• Escussione diretta del garante
• Obbligo diretto del garante
• Copertura in base al valore dell’esposizione (principio del “valore di mercato”)
• Valore “legale”
Tutte le condizioni sopra elencate possono essere prese in considerazione se, e solo se, il garante è riconducibile ai seguenti
soggetti:
- Stati;
- Enti pubblici e banche con ponderazione di rischio inferiore a quella del debitore;
- Imprese con rating pari almeno ad A-
SOLO il rispetto contemporaneo di tutti questi presupposti permette la corretta applicazione del cosiddetto principio del substitution ceiling, ovvero la sostituzione dell‟obbligato principale con il garante.
2) Le garanzie reali “finanziarie”
E’ la parte più complessa del sistema di mitigazione del rischio inserito nel documento di Xxxxxxx XX. L’obiettivo delle garanzie reali ed il loro trattamento è funzione sia degli aspetti specifici delle singole attività,
sia dell’organizzazione dell’intermediario stesso. Inoltre, viene previsto un sistema di accettazione più elastico (ad esempio, un numero superiore di attività accettabili come garanzia di un’operazione), quando è dimostrato un maggiore commitment dell’intermediario nel valorizzare i differenti aspetti delle singole attività poste a garanzia.
In definitiva, la normativa esposta nel nuovo documento evidenzia, da un lato, una maggiore sensibilità a numerosi profili di rischio creditizio e, dall’altro lato, livelli di complessità decisamente superiori di quanto non fosse possibile riscontrare nella versione precedente dell’accordo.
I requisiti minimi delle garanzie reali o finanziarie sono riconducibili ai seguenti aspetti:
- Certezza “legale”
• Deve esistere la possibilità per la banca di escutere direttamente l’attività posta a garanzia;
• Devono esistere tutte le misure volte alla tutela dell’intermediario (ad esempio, limiti alla possibilità di trasferimento della proprietà)
- Bassa correlazione con l’affidamento sottostante
• Il valore dell’attività posta a garanzia non può dipendere dalla qualità creditizia di chi l’ha posta in essere (ad esempio, titoli azionari del debitore)
- Disponibilità di robusti processi di gestione del rischio
• Devono esistere tutte le procedure in grado di garantire una veloce liquidazione delle posizioni incagliate in modo da sfruttare adeguatamente il controvalore delle garanzie ottenute.
Le garanzie reali ammissibili sono:
• Depositi in contante presso la banca
• Oro
• Titoli di debito con rating assegnato da ECAI riconosciute, se questi rating sono pari ad almeno:
• Strumenti di capitale, incluse le obbligazioni convertibili, compresi in uno dei principali indici;
• Certificati trasferibili di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e quote di fondi comuni (a patto che la valorizzazione avvenga giornalmente e che la tipologia di titoli inseriti negli stessi sia compatibile con gli strumenti accettabili come garanzia;
• Titoli di debito non classificati da ECAI riconosciute, ma che presentino contemporaneamente caratteristiche ben precise:
1. Emessi da banche
2. Quotati su mercati ufficiali
3. Di primo grado
Al verificarsi di particolari condizioni, le banche possono utilizzare come strumenti mitiganti il rischio anche:
• Azioni non comprese in uno dei principali indici, ma quotate in mercati ufficiali;
• Certificati di organismi di investimento collettivo/quote di fondi comuni che comprendono tali azioni.
Attualmente, anche alla luce degli accordi, si può affermare che le garanzie reali finanziarie offerte, come vedremo in seguito nell’esperienza italiana del mondo Confidi, non presentano alcuna caratteristica di mitigazione del rischio. Tutto ciò capita a causa di alcuni elementi comuni:
- la garanzia non è esplicita e non permette un legame diretto tra posizione della banca e quantità di risorse disponibili per la stessa in caso di default della controparte;
- oggi non assume più importanza il fatto che la garanzia diventi facilmente escutibile al momento del default, perché si tratta di un aspetto che va vagliato prima dell’erogazione;
- la banca, anche per le cause precedenti, non è in grado di quantificare la perdita in caso di default (tecnicamente LGD – loss given default) proprio perché riceve una “garanzia complessiva”;
- molto spesso le garanzie fornite non sono “a prima richiesta”, ma successive ai tentativi di escussione in capo all’obbligato principale.
LE GARANZIE PERSONALI E REALI: UN’ANALISI COMPARATA DEI PRINCIPALI MODELLI EUROPEI
4.1. Premessa
Il mondo economico è largamente basato sulla disponibilità di garanzie e, pertanto, le normative che disciplinano i crediti hanno una notevole influenza sulla salute dell’economia. Con il termine “garanzie personali”, alla stregua di quelle reali, si fa riferimento a garanzie atte a rafforzare le aspettative del creditore in relazione al conseguimento della prestazione del debitore. Le garanzie presentano carattere personale quando forniscono al creditore un ulteriore patrimonio sul quale rivalersi in ipotesi di inadempimento del debitore.
Emerge subito come il termine garanzie personale sia in realtà assai generico: infatti vi si possono fare rientrare diverse figure di contratti che, seppur simili quanto alla ratio che li caratterizza, sono tuttavia da tenere distinti.
Le garanzie personali possono essere:
- Tipiche: la fideiussione, il mandato di credito, l’anticresi e l’avallo;
- Atipiche, ossia rimesse alla esclusiva creazione dei privati: la fideiussione omnibus, il contratto autonomo di garanzia, le lettere di patronaggio e le varie forme di cessione a scopo di garanzia.
Per scoprire le origini storiche delle garanzie personali occorre risalire indietro nel tempo. Il più antico codice che abbia disciplinato le garanzie personali è quello di Xxxxxxxx, nel 2250 AC: questo codice anticipava la moderna disciplina delle corporate surety.
Anche i Romani nel 150 AC avevano sviluppato una complessa disciplina delle garanzie personali. Molti secoli dopo, nell’epoca giustinianea, la fideiussione era così radicata nel sistema dei commerci, da essere la più usata, anche se non la sola forma di garanzia. Le origini dei diritti di contribution e di subrogation vanno fatte risalire proprio al diritto romano, la cui estesa disciplina della Fideiussione avrebbe poi ispirato tutti i codici dell’Europa continentale.
Il diritto inglese45, d’altra parte, si è sviluppato in questo campo in modo autonomo, attingendo poco dal diritto romano, ma la disciplina sostanziale delle garanzie appare sorprendentemente simile.
45 Xxxxxx, “History and economics of Suretyship, 1927”.
Nel periodo anglosassone, le garanzie erano un requisito indispensabile di ogni transazione. Una legge così dichiarava: “Nessun individuo può acquistare o barattare senza garante e testimoni”.
Nel XIV secolo si è visto il graduale passaggio dalla pratica della garanzia tramite testimoni a una visione prettamente contrattuale del rapporto tra la parti.
Inoltre, ai tempi di Xxxxxxxxxx X, iniziava a prendere piede la convinzione del carattere oneroso della concessione di garanzia.
4.2. Le garanzie personali tipiche: la fideiussione, il mandato di credito, l’anticresi, l’avallo
La fideiussione è collocata all’interno del codice civile nella parte dedicata ai singoli contratti. Si tratta di una collocazione comune nell’ambito dei paesi di civil law e rispecchia la distinzione classificatoria tra garanzie personali e garanzie reali46.
A norma dell’art. 1936 cod. civ. la fideiussione è il contratto mediante il quale un soggetto, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di una obbligazione altrui.
46 A. Xxxxx, Garanzia in Eng. Giur., XIV, Roma, 1989, 10
In tal senso, la garanzia viene definita personale poiché il creditore può soddisfarsi sopra il patrimonio di una persona diversa dal debitore, riguardando esclusivamente il patrimonio del fideiussore. La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza.
L’origine del rapporto fideiussorio scaturisce da un obbligo o da un onere. Secondo un insegnamento tradizionale, l’obbligo per sua natura, subordina un interesse proprio a un interesse altrui, mentre l’onere subordina un interesse proprio ad un altro interesse proprio. Entrambi sono accumunati dall’elemento del vincolo della volontà, ma c’è differenza nell’elemento sostanziale, perché nel caso di obbligo il vincolo è imposto per la tutela di un interesse altrui, mentre in caso di onere, per la tutela dell’interesse proprio. Sia l’obbligo che l’onere possono avere fonte legale o negoziale.
Carattere fondamentale della fideiussione è l’accessorietà rispetto all’obbligazione principale garantita47
L’accessorietà è una particolare figura di connessione giuridica: connessione vi è tra l’obbligazione fideiussoria e quella garantita, non in base a un’ulteriore qualificazione della relazione tra le due obbligazioni che si aggiunga a quella dell’accessorietà, ma proprio
in forza di questa accessorietà. Alla base del nesso tra le due
obbligazioni vi è una comune finalità pratica e cioè la realizzazione dell’interesse che ha giustificato la costituzione dell’obbligazione garantita.48
Da ciò ne discende che a) la garanzia sussiste se e fino a quando sussiste l’obbligazione cui accede; b) la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore né può essere prestata a condizioni più onerose (art. 1941); c) la fideiussione non è valida se non è valida l’obbligazione principale; d) il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salvo quella derivante dall’incapacità (art. 1945).
L’art. 1937 cod. civ. dispone che la volontà di voler prestare la fideiussione deve essere espressa, di conseguenza la costituzione di una obbligazione fideiussoria non potrà avvenire per facta concludentia.
In linea generale il fideiussore si considera obbligato in solido con il debitore principale, tuttavia le parti possono convenire il “beneficio di escussione”, ossia l’obbligo della previa escussione del debitore principale. Può essere altresì stabilito il “beneficio della divisione”, in virtù del quale il debito viene suddiviso in tanti
48 M. Fragali, Fideiussione, cit., 69.
parti quanti sono i fideiussori ed ogni fideiussore può esigere che il creditore richieda solo la sua parte49 (art. 1947 cod. civ.).
Il fideiussore, tuttavia, gode di diritti per la propria tutela come la surroga nei diritti che il creditore aveva contro il debitore: il fideiussore può utilizzare contro il debitore originario tutti i mezzi di garanzia (pegno, ipoteca, ecc.) di cui era titolare il creditore. Altresì, il fideiussore che ha adempiuto al posto del debitore potrà agire in regresso contro quest’ultimo, tale previsione ha lo scopo di permettere la restituzione al fideiussore di tutto ciò che abbia pagato per il debitore principale.
Il mandato di credito è il contratto mediante il quale una persona si obbliga verso un’altra persona a far credito ad un terzo (art. 1958 cod. civ.). La norma prevede che la persona che ha incaricato l’altra di far credito risponde come fideiussore di un debito futuro. Tale figura negoziale rientra nello schema della fideiussione. Il mandato di credito mira al medesimo risultato pratico cui tende la fideiussione, poiché entrambi i negozi sono votati a procurare un rafforzamento della pretesa creditoria e ad agevolare il debitore nella propria richiesta di credito. Tuttavia sussistono numerose differenze tra i due istituti giuridici.
49 Cass. Civ., ASent. 17 luglio 2009, n. 16807
Il mandato di credito in un momento iniziale, aspira a procurare credito al debitore, e lo scopo di rafforzamento non si attua se il credito non è concesso, mentre nella fideiussione lo scopo di garanzia è essenziale e immediato. Dal mandato di credito non deriva nessuna obbligazione a causa fideiussoria, bensì un’obbligazione sussidiaria di colui al quale è stata fatta promessa di far credito al terzo.
Infine il mandato di credito sorge anteriormente all’obbligazione alla quale quella del promissario accede, mentre la fideiussione è successiva all’obbligazione garantita e, anche quando venga prestata per un’obbligazione futura, comporta sempre una garanzia effettiva, mentre il mandato di credito resta sempre promessa di credito al terzo prima che rafforzamento dell’obbligazione che attua la promessa stessa.
L’art. 1960 cod. civ. disciplina l’anticresi come quel contratto mediante il quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinchè questi ne percepisca i frutti, imputandoli prima agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale.
La funzione di questo contratto è duplice: di garanzia (rappresentata dalla consegna dell’immobile) e solutoria (rappresentata dal pagamento degli interessi e del capitale
mediante i frutti del fondo). L’anticresi dura finchè il creditore sia stato interamente soddisfatto del proprio credito, salvo che sia stata stabilita la durata, che non può mai superare i dieci anni.
L’avallo è una forma di garanzia tipica dei titoli di credito che consiste in una dichiarazione con la quale l’avallante assicura il pagamento della cambiale nei confronti di ogni possessore del titolo legittimato a esercitare il diritto in essa incorporato.
A differenza del fideiussore, l’avallante non si obbliga verso un determinato creditore, ma assicura il pagamento nei confronti di chiunque risulti legittimo portatore del titolo.
Sono ritenute incompatibili con l’avallo e, dunque inapplicabili tutte le disposizioni fideiussorie che sottendono un’accessorietà tra rapporto garantito e rapporto di garanzia, quali artt. 1939 e1945 cod. civ.
4.3. Le garanzie personali atipiche: la fideiussione omnibus, il contratto autonomo di garanzia, le lettere di patronage, le cessioni a scopo di garanzia
In risposta alla sopravvenuta esigenza di adeguare le forme di garanzia alla dinamica e alla rilevanza assunta dal sistema dei
flussi finanziari, la prassi negoziale, specie nella regolamentazione dei rapporti banca-cliente, ha modellato lo schema tipico della fideiussione in modo da attribuirle una funzione di copertura omnicomprensiva dell’esposizione debitoria del cliente nei confronti della banca creditrice e di rafforzamento della tutela delle ragioni creditorie, così ottenendo, al contempo, una riduzione dei tempi e degli oneri connessi all’erogazione del credito.
Tale funzione viene realizzata attraverso l’inclusione nel modello contrattuale della fideiussione di una clausola, così detta omnibus, con la quale un soggetto si obbliga personalmente nei confronti di una banca a garantire, entro il limite di un importo predeterminato, tutte le obbligazioni che il debitore principale assumerà nei confronti della banca stessa. Dunque, se alla scadenza pattuita o al momento in cui la banca deciderà di recedere dal rapporto il debitore principale non sia in grado di provvedere all’estinzione dei suoi debiti, la banca potrà rivolgersi al fideiussore omnibus, il quale dovrà pagare anche se non era a conoscenza dell’entità dei debiti del garantito. In altre parole, non occorre chiedere garanzie per ogni operazione bancaria, giacché tale tipo di fideiussione riguarda anche i debiti futuri.
La funzione causale della fideiussione omnibus permane identico a quello della fideiussione sic et simpliciter considerata in quanto entrambe assolvono la medesima funzione di garanzia.
Il profilo che distingue tali due forme di garanzia investe, invece, l’ambito oggettivo del negozio in quanto, nella garanzia della fideiussione omnibus si estende alla garanzia dell’adempimento (anche) delle obbligazioni che il fideiuvato assumerà successivamente nei confronti del creditore.
La fideiussione omnibus presenta, quindi, i lineamenti di una forma di garanzia “in divenire”, connessa causalmente a un rapporto obbligatorio principale anch’esso contemplato come in fieri.
La dottrina e la giurisprudenza hanno dubitato, specie nel passato, della validità di questa garanzia in quanto non sufficientemente determinata. La dottrina, infatti, riteneva (e ritiene tutt’ora) che, nonostante l’art. 1938 c.c. contempli espressamente la possibilità di configurare una fideiussione a garanzia di obbligazioni future, il negozio costitutivo di tale garanzia non può sottrarsi alle norme generali in tema di oggetto del contratto, con inerente applicabilità delle disposizioni che sanciscono la nullità dell’operazione negoziale in ipotesi di oggetto non determinato e non determinabile.
Tuttavia, tali dubbi non hanno più ragione di essere dopo la modifica apportata dalla legge 17 febbraio 1994, n. 154 sulla trasparenza bancaria all’art. 1938 c.c., nel senso di subordinare la validità della fideiussione futura alla condizione che sia specificato l’importo massimo garantito.
Occorre, tuttavia, interrogarsi se, per soddisfare la prescrizione dell’art. 1938 c.c., sia sufficiente inserire nel negozio costitutivo della garanzia un qualsiasi limite di importo, anche se sproporzionato rispetto ai prevedibili sviluppi dell’attività con il cliente o alle reali capacità di rimborso di quest’ultimo, oppure se sia necessaria la previsione di un importo ragionevole e congruo rispetto a quella capacità e a quella attività.
L’adesione alla prima interpretazione comporta l’esclusione della insindacabilità dell’importo massimo garantito in termini di ragionevolezza e di congruità, di modo che il significato dell’innovazione legislativa si esaurisce nel richiamare semplicemente l’attenzione del fideiussore sull’entità dell’impegno assunto, così da indurlo ad una più consapevole determinazione50
50 In tal senso, Terranova, Profili dell’attività bancaria, Milano, 1989, 84).
Questa opzione ha il pregio della semplicità e della certezza, pur limitando i rimedi a disposizione del garante, cui non resta che la scelta tra prestare o meno la fideiussione.
L’adesione al secondo orientamento interpretativo consente di attribuire all’innovazione normativa più incisività e tutela del contraente normalmente debole nell’ambito delle fideiussioni bancarie attive. Tale tesi, tuttavia, non pare inserirsi nel contesto normativo legislativo, poiché manca ogni riferimento normativo alla natura e alla fonte dell’obbligazione garantita, in funzione della quale possa effettuarsi un sindacato in termini di ragionevolezza o di congruità del massimale.
Nella pratica degli affari, però, l’ostacolo rappresentato da tale limite viene aggirato facendo convenire al fideiussore un importo massimo garantito di entità notevolissima, in modo tale che non possa comunque essere raggiunto nel caso specifico.
Nella prassi delle relazioni negoziali in ambito commerciale, economico e finanziario è stata elaborata da tempo una peculiare figura di garanzia personale, divergente dal tipo fideiussorio disegnato dal legislatore, atta a garantire al beneficiario l’utile soddisfazione della propria pretesa creditoria attraverso il rafforzamento dello strumento della garanzia, realizzato
disancorando parzialmente le vicende del rapporto principale dalle vicende del rapporto di xxxxxxxx.
In effetti, con il contratto autonomo di garanzia a prima richiesta un soggetto si impegna al versamento, in favore del beneficiario, della somma garantita, senza possibilità alcuna di avanzare eccezioni attinenti al rapporto principale tra beneficiario e terzo garantito.
Il vantaggio che questa figura, nata dalla pratica del commercio internazionale (bid bond o performance bond), attribuisce al creditore-beneficiario è evidente, avendo questi la certezza di ricevere il denaro non appena ne faccia richiesta, senza che il garante (di regola una banca o una compagnia di assicurazioni) possa opporgli alcuna eccezione (finanche quella dell’avvenuto pagamento): egli dovrà pagare, appunto, a “prima richiesta”; solo successivamente il debitore-garantito potrà far valere le proprie ragioni, chiedendo la restituzione di quanto versato. Proprio per ciò si è dubitato della legittimità di questa figura, facendo leva sulla sua mancanza di causa e di accessorietà: dubbi che, tuttavia, la giurisprudenza, in maggioranza, ha respinto51.
51 Cfr. Cass. Civ., sentenza 3 marzo 2009, n. 5044; Cass., Sez. un., sentenza 27
febbraio 2008, n. 5090).
L’elemento caratterizzante del contratto autonomo di garanzia consiste nella autonomia e nell’indipendenza che la garanzia assume nei confronti del rapporto di valuta, rispetto al quale risulta reciso quel vincolo di accessorietà e scisso quel legame di dipendenza che connotano in modo identificativo la garanzia fideiussoria.
L’autonomia del contratto di garanzia determina l’assunzione da parte del garante dell’impegno di pagare al beneficiario della garanzia “a semplice” richiesta del creditore, con rinuncia ad opporre le eccezioni relative al rapporto garantito.
La carenza dell’elemento dell’accessorietà come caratteristica fondamentale del contratto autonomo di garanzia distingue tale figura dalla fideiussione52.
La dottrina dominante e la giurisprudenza, all’esito di una analisi comparativa con la funzione del negozio fideiussorio (funzione consistente nella garanzia dell’adempimento dell’obbligazione altrui) hanno individuato la causa del contratto autonomo di garanzia nella traslazione del rischio economico inerente al contratto principale dalla sfera patrimoniale del creditore a quella del garante.
52 Cass. Civ., sez. III, 9 novembre 23006, n. 23900.
Il rischio traslato consiste nel mancato raggiungimento da parte del soggetto garantito del risultato economico cui era prodromico il negozio garantito.
La ricerca di forme e strumenti flessibili di garanzia, conformi alle esigenze negoziali manifestatesi nella prassi del commercio e della finanza, ha dato origine alle c.d. lettere di patronage con cui, in occasione dell’erogazione di un mutuo, dell’apertura di credito o della stipulazione di un contratto di finanziamento, un soggetto legato da particolari rapporti con il beneficiario della somma eroganda rende dichiarazioni, in forma epistolare, circa lo stato del debitore. Le lettere di patronage consistono in dichiarazioni in uso nei rapporti commerciali con cui il dichiarante, con diversa intensità ed efficacia, presenta al potenziale creditore un soggetto terzo, al fine di rafforzare il convincimento che costui farà fronte ai propri impegni futuri.
La “forza” di garanzia53 della lettera di patronage può variare: da quella minimale di una mera raccomandazione, senza alcun particolare valore giuridico, a quella di vera e propria fideiussione.
53 L’obbligo di indicazione dell’importo massimo garantito previsto per le fideiussioni per obbligazioni future o condizionali dall’art. 1938 c.c., nel testo novellato dalla l. 154/92, corrisponde ad un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico ed ha valenza generale, applicandosi anche alle garanzie atipiche e, tra queste, alle lettere di patronage (Xxxx. Civ., sez. III, sentenza 26 gennaio 2012, n. 1520)
A seconda del tenore, tali dichiarazioni possono, quindi, assumere carattere informativo o impegnativo.
Solitamente il soggetto dichiarante (patronnant) è titolare di una partecipazione di controllo (o comunque tale da consentire l’esercizio di un’influenza dominante) sull’ente beneficiario del finanziamento o legato ad esso da accordi parasociali o da vincoli contrattuali: situazioni, queste, che giustificano e fondano l’interesse del patronnant alla prestazione della dichiarazione.
Il tratto distintivo della lettera di patronage rispetto alla fideiussione risiede nella natura dell’obbligazione assunta dal patronnant nei confronti del creditore, consistente non nella garanzia dell’adempimento dell’obbligazione altrui, ma nell’assunzione di un impegno qualitativamente diverso da quello del debitore.
Diversa, quindi, è la funzione54, non essendo volta la lettera di patronage a garantire in senso tecnico l’adempimento dell’obbligazione altrui (come avviene per la fideiussione) ma essendo prodromica a instillare nel creditore il convincimento che il patrocinato adempierà all’obbligo restitutorio.
54 X. Xxxxxxxx, Le garanzie atipiche innominate nel sistema del codice civile del 1942, in Banca Borsa, 1992, 727).
La divergenza causale è supportata sul piano formale dall’art. 1937 c.c., in forza del quale la manifestazione della volontà di assumere l’obbligazione fideiussoria deve essere espressa in modo inequivocabile, pur potendo non risultare da atto solenne.
Questione ampiamente dibattuta è stata quella riguardante la natura, giuridica o metagiuridica, delle lettere di patronage.
Secondo un primo orientamento, le dichiarazioni in esse contenute sarebbero inidonee a vincolare giuridicamente il dichiarante, stante il carattere morale delle stesse. Si affermava, in particolare, che l’aver fatto ricorso a tali dichiarazioni piuttosto che agli strumenti di garanzia riconosciuti dalla legge, fosse indice delle volontà delle parti di escludere il vincolo giuridico in capo al dichiarante.
Il carattere metagiuridico impedirebbe l’assunzione di alcun obbligo di garanzia da parte del dichiarante né di alcun obbligo giuridicamente vincolante.
Detta presunzione è superabile con la prova contraria che la parti abbiano inteso confinare le loro relazioni nella sfera sociale e della sola cortesia. La presunzione di giuridicità delle lettere de quibus è, peraltro, corroborata dalla circostanza del loro utilizzo da parte di operatori professionali, della particolare cura e attenzione con le
quali vengono redatte e del rilievo degli interessi economici coinvolti nelle operazioni in cui vengono impiegate55.
Esistono, da ultimo, delle forme di garanzie che, in realtà, costituiscono dei veri e propri contratti traslativi (anche tipici), i quali tuttavia, vengono utilizzati dalle parti come garanzia dell’adempimento di un’obbligazione. Si pensi, a titolo di esempio, all’alienazione di una cosa o alla cessione di un credito a scopo di garanzia, alla vendita con patto di riscatto o di retrovendita, al riporto, al sale and lease back.
In tutte queste ipotesi il bene ceduto (immobile, credito, ecc.) garantisce, in caso di inadempimento, il soddisfacimento del credito; in modo, tra l’altro, anche più vantaggioso rispetto alle normali garanzie reali, poiché qui non occorre dar luogo alla complessa procedura esecutiva, visto che il creditore – al momento dell’inadempimento del debitore – già si trova nella titolarità del bene alienato in garanzia.
55 X. Xxxxxxx, Lettere di patronage deboli e responsabilità del patronnant, in Banca Borsa, 1994, 43; X. Xxxxxxxx, Lettere di patronage “deboli” e responsabilità del patronnante, in AA.VV., Le garanzie contrattuali, Fideiussione e contratti autonomi di garanzia nella prassi interna e nel commercio internazionale, Milano, 1994, 485.).
4.4. Le garanzie personali in diritto comparato: la fideiussione in generale
Nei sistemi continentali la fideiussione (cautionnement, Burgschaft) è prevista dai codici come contratto, in forza del quale il difeiussore garantisce al creditore l’adempimento di un’obbligazione altrui: la stipulazione avviene quindi tra il fideiussore ed il creditore garantito.
Nel sistema inglese, invece, il contract of guarantee può assumere i connotati della fideiussione, oltre a quelli dell’accollo, con o senza intervento del creditore .
Il tipo legale consacra dovunque il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria, che viene travolta dall’invalidità del rapporto garantito.
Anche in diritto inglese si rinviene questa regola, oggetto di una imitazione della soluzione di civil law: l’accessorietà venne infatti accolta dalla sentenza Xxxxxx & Company x. Xxxxxx-Xxxxx, del 1947.
Particolare interesse riveste la fideiussione concessa senza controprestazione, la quale produce obbligazioni a carico di una sola parte e, pertanto, il contratto si conclude con la manifestazione di volontà del solo fideiussore. La dottrina italiana è concorde nell’applicare l’art. 1333 c.c., mentre il gli interpreti
tedeschi lo associano al 766 BGB, limitando l’onere formale soltanto alla dichiarazione del fideiussore, ammettendo l’accettazione tacita da parte del creditore. Anche nel diritto francese si ammette l’accettazione tacita.
In diritto inglese trova applicazione la regola sugli unilateral contracts: il fideiussore non può revocare la promessa e pertanto il contratto è concluso nel momento in cui il creditore garantito attua il comportamento previsto dal fideiussore.
Nei sistemi di common law la situazione è più complessa. In effetti, le corti inglesi hanno sviluppato la teoria del promissory stoppe, ossia una dichiarazione relativa a fatti o a proprie intenzioni che vincola l’autore verso il destinatario che abbia fatto affidamento sulla dichiarazione, che abbia di conseguenza agito autonomamente.
Negli Stati Uniti questa teoria è stata accompagnata da un intenso riesame del requisito della consideration, in caso di ragionevole affidamento del promissario. Si è così sviluppata l’azione di reliance in virtù della quale la fideiussione gratuita obbliga il promittente se questi può ragionevolmente aspettarsi l’affidamento del creditore, o di un terzo, i quali di conseguenza subiscano un detriment economico irreversibile .
Oltre che nella prassi bancaria italiana, anche in quella di molti paesi, sia di civil law sia di common law, si è sviluppato il ricorso alla fideiussione omnibus: cautionnement générale o continuino guaranty.
In civil law la diffusione di questa forma negoziale è dovuta anche alla circostanza che non si è sviluppato un sistema di garanzie reali senza spossessamento sul capitale circolante dell’impresa, idoneo a garantire la restituzione dei finanziamenti necessari allo svolgimento dell’attività, cosa che, al contrario, è avvenuta nei paesi di common law, i quali si sono dimostrati più pronti ad adeguarsi a tale esigenza del mercato.
Il tema della nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto è stato affrontato anche dalla dottrina di altri paesi.
In Germania, la Corte suprema ha ritenuto valida la clausola di fideiussione omnibus solo se di ammontare limitato.
In Francia l’Association Francaise des Banques ha raccomandato alle aziende di credito di fissare, per quanto possibile, un limite al cautionnement omnibus richiesto.
Di solito il contratto di fideiussione omnibus viene redatto per iscritto. Nei paesi in cui non vi sono norme legali che prescrivono una determinata forma e, quindi, a titolo di esempio in Italia (cfr. art. 1937 c.c.), in Francia (art. 2051 code civil), in Spagna (art.
1827 codigo civil), ciò può essere spiegato dalla vigenza di regole che ammettono la prova testimoniale sull’esistenza del contratto solo a determinate condizioni.
In altri sistemi giuridici la forma scritta è composta direttamente dalla legge a fini probatori. Ciò avviene in Inghilterra, in base allo Statute of Frauds del 1667, e nei paesi di common law che l’hanno adottato, tra cui gli Stati Uniti.
L’obbligo del fideiussore, in base all’art. 7, 1 comma, dell’ABI è quello di pagare all’azienda di credito “quanto dovutole per capitale, spese, tasse e ogni altro accessorio”.
Come detto, in Italia egli deve versare la somma a semplice richiesta, senza potersi valere delle eccezioni proprie del debitore. Le clausole contrattuali relative all’ambito della copertura garantita e all’automatismo dell’escussione sono frequenti anche nella prassi bancaria francese e tedesca.
Negli Stati Uniti la continuing guaranty è, di regola, absolute, nel senso che il guarantor è tenuto a pagare se il debitore non adempie, senza poter pretendere che il creditore, in prima battuta, intraprenda contro quest’ultimo tutte le azioni legali possibili.
4.5 Il contratto autonomo di garanzia: la scuola tedesca, franco-belga ed inglese
L’ordinamento tedesco ha ammesso la validità di contratti di garanzia autonomi ed ha anche provveduto ad elaborare un quadro teorico di riferimento.
All’interno di tale ordinamento trova spazio la regola della causalità dei contratti obbligatori la quale coesiste con l’attribuzione ai privati del potere di obbligarsi astrattamente: a ciò servono le promesse di pagamento indipendenti previste da 780 e 781 B.G.B., che obbligano di per sé, senza riguardo ad un determinato scopo negoziale .
Giuristi ed interpreti, intenzionati a non subordinare la validità di promesse obbligatorie all’enunciazione di una causa, appaiono poco propensi a dubitare della validità di promesse che esprimono una causa specifica, quale la garanzia: di fronte all’indicazione della causa (Zweck), essi non avvertono l’esigenza di oggettivarla in un rapporto fondamentalmente valido. Ad essi risulta sufficiente che lo scopo di garanzia abbia un termine di riferimento in un effettivo interesse del creditore.
Gli interpreti francesi e belgi hanno accolto favorevolmente i contratti autonomi di garanzia, nonostante si tratti di due
impostazioni che hanno sempre affermato la necessità della causa per la validità di ogni contratto.
Così, la giurisprudenza francese ha qualificato senza indugio come causali le garanzie bancarie, identificando la causa nel rapporto principale e riconoscendo la causalità in ragione del loro legame con il rapporto principale. Così, si afferma che la giustificazione delle garanzie bancarie sta nella strumentalità alla soddisfazione degli interessi regolati nel rapporto principale.
La giurisprudenza belga in un primo momento si era orientata per l’astrattezza che, comunque, non ostacolava la validità, mutando poi orientamento. L’ordinamento belga afferma che le garanzie bancarie danno vita ad obbligazioni giustificate dalla sola volontà delle parti, in quanto indipendenti dal rapporto principale.
Pare che le garanzie autonome abbia tratto origine proprio dal diritto inglese.
La stessa terminologia corrente richiama un istituto peculiare, il bond, il quale è un atto di tipo under seal con il quale un soggetto si impegna a pagare a favore di un altro una somma certa di denaro. Come anche, è richiamato il sottotipo conditional bond, nel quale l’impegno diviene efficace nel caso in cui non si verifichi il comportamento umano o il risultato dedotto quale condizione.