ALIENAZIONI IMMOBILIARI NELLA PROCEDURA CONCORSUALE AL DI FUORI DELLE ORDINARIE MODALITÀ COMPETITIVE: TRANSAZIONE E SUBENTRO NEL CONTRATTO PRELIMINARE
Consiglio Nazionale del Notariato
Studio n. 19-2019/E
ALIENAZIONI IMMOBILIARI NELLA PROCEDURA CONCORSUALE AL DI FUORI DELLE ORDINARIE MODALITÀ COMPETITIVE: TRANSAZIONE E SUBENTRO NEL CONTRATTO PRELIMINARE
di Xxxxx Xxxxxxx
(Approvato dalla Commissione Esecuzioni Immobiliari e Attività Delegate il 7 ottobre 2019)
ABSTRACT
Lo studio analizza l’ammissibilità, le modalità procedimentali e gli effetti di alienazioni immobiliari che, pur inserendosi nell’ambito della procedura fallimentare, pongono dubbi ermeneutici circa la loro natura, inducendo a chiedersi se possano beneficiare della disciplina speciale riservata alla vendita avente carattere coattivo, con particolare riferimento al cd effetto purgativo della vendita forzata.
In dettaglio si esamina la disciplina della transazione e del subentro nel contratto preliminare nell’ambito della procedura fallimentare, ripercorrendone l’evoluzione nel corso dei tempi, dal codice previgente del 1865 sino al codice della crisi delle imprese e dell’insolvenza.
In via preliminare, sono stati evidenziati i connotati essenziali della vendita forzata, rimarcandosene lo scopo surrogatorio quale ragione dell’effetto purgativo, il quale è relativo ad atti di liquidazione forzata e rende il bene oggetto della vendita forzata libero dai vincoli che hanno esaurito il loro scopo di garanzia, trasferendosi appunto dal bene al prezzo della vendita. Tale funzione di monetizzazione è funzionale agli scopi del processo esecutivo e fallimentare in quanto consente di distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole del concorso. In virtù del conseguimento di tale scopo, la profonda evoluzione giurisprudenziale, scientifica e normativa ha condotto, nel corso dei tempi, a perfezionare le forme della vendita giudiziaria onde ottenere il prezzo migliore nel tempo minore possibile. Con specifico riguardo alla vendita fallimentare tale evoluzione ha portato alla consacrazione del principio di competitività, in forza del quale si è ritenuta nulla la vendita a trattativa privata nell’ambito del processo fallimentare.
Tale ordine di considerazione ha portato la dottrina e la giurisprudenza a interrogarsi sulla validità dei negozi transattivi immobiliari in ambito fallimentare, chiedendosi se essi non simulino delle vendite a trattativa privata. Xxxxxxxxx il panorama interpretativo, nel presente studio si sostiene che non possa ritenersi aprioristicamente nulla o, al contrario, legittima la transazione immobiliare nell’ambito della vendita fallimentare. Tale valutazione può invece essere condotta in concreto, verificando se ricorrano o meno nella vicenda in esame i requisiti necessari per integrare una transazione effettiva e non fittizia, tra cui la sussistenza di una lite e delle reciproche concessioni. Si è peraltro puntualizzato che, sebbene la valutazione in ordine alla sussistenza di una vera e propria transazione competa agli organi della procedura fallimentare, residua al notaio che venga chiamato a ricevere o ad autenticare un atto transattivo nell’ambito della procedura fallimentare il potere - dovere di valutare la concreta utilizzabilità dell’autorizzazione giudiziale, al pari di quanto accade in altre ipotesi; nondimeno, si è rimarcato che il notaio non può entrare in
valutazioni di ordine fattuale rimesse agli organi della procedura, ma - soprattutto ove ritenga presenti eventuali nullità - può legittimamente ritenere il provvedimento giudiziario inidoneo ai fini dell’atto di cui gli sia richiesta la stipula.
A questo punto, si sono raffigurati gli interrogativi della dottrina e della giurisprudenza circa la natura della transazione debitamente autorizzata in ambito fallimentare, distinguendo in linea di principio due orientamenti opposti. Secondo il primo orientamento, la transazione riveste carattere negoziale e, conseguentemente, non consente l’esplicarsi del potere purgativo da parte del giudice delegato; secondo l’orientamento contrario, la stessa, poiché avviene “invito domino” e nell’ambito di un contesto procedimentalizzato, rappresenta uno strumento di liquidazione dell’attivo in guisa da legittimare il potere purgativo del giudice delegato. Non si è neanche esclusa la percorribilità di una prospettiva ancora diversa, tendente a negare che si possa effettuare una valutazione unitaria in relazione all’operatività dell’effetto purgativo, prescindendo dalle regole di conflitto che vengono in rilievo in funzione della lite. Nondimeno, si è osservato in quest’ottica che, in xxx xx xxxxxxxxx, x xxxxxx xxx xxxxxx normativo attualmente esistente, appare difficile estendere l’operatività dell’effetto purgativo in assenza della funzione di surrogazione del bene nel prezzo.
Contrasto interpretativo del medesimo tenore si è rinvenuto in relazione alle varie ipotesi di subentro nel contratto preliminare previste nell’ambito della legge fallimentare. Ci si è domandato, rispetto ad ognuna di essa, se vi siano i caratteri di coattività oppure no, illustrando anche qui, in linea di massima, due orientamenti contrapposti. Secondo un primo indirizzo interpretativo, il subentro nel contratto preliminare da parte del curatore fallimentare, con la autorizzazione del comitato dei creditori, rientra nell’ambito dell’attività liquidatoria ed integra un atto di liquidazione dell’attivo fallimentare che può condurre all’applicazione del potere purgativo; secondo un diverso orientamento, in tale ipotesi, il curatore s’inserisce nel medesimo rapporto contrattuale e nella stessa posizione del fallito, senza possibilità di invocare la norma di cui all’art. 108 che autorizza la purgazione delle iscrizioni pregiudizievoli.
Tanto delineato, si è sottolineata la difficoltà di assumere una posizione netta in relazione a questa questione interpretativa, per la presenza di un conflitto che sembra inestricabile tra l’esigenza di tutela del promissario acquirente e quella del creditore ipotecario.
Si è anche osservato come il legislatore del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza abbia previsto, all’art. 173, il potere purgativo del giudice delegato in ipotesi di subentro nel preliminare, ma prevedendo un contrappeso alla tutela dei creditori ipotecari, individuato nell’opponibilità alla massa della sola metà degli acconti che il promissario acquirente dimostri di aver versato anteriormente all’apertura della liquidazione giudiziale. Si è detto come questa norma non appaia decisiva per affermare o meno la sussistenza dell’effetto purgativo in ipotesi di subentro nel preliminare nell’ambito della legge fallimentare, potendo essere suscettibile di una duplice chiave di lettura: da un canto potrebbe osservarsi che la circostanza per cui tale norma leghi l’effetto purgativo ad una surrogazione manifesta che nel sistema della legge fallimentare, in assenza di siffatta surrogazione, non possa prospettarsi un effetto purgativo; dall’altro canto, invece, potrebbe reputarsi che il legislatore sia intervenuto (anche) per risolvere il problema sulla posizione pregressa, codificando un effetto purgativo che già, secondo la disciplina della legge fallimentare, può già ritenersi sussistente.
In conclusione si è considerato come l’indagine congiunta della transazione e del subentro nel contratto preliminare porti a ricondurre la ragione dell’effetto purgativo alla surrogazione del bene venduto nel prezzo versato, finalizzata al soddisfacimento dei creditori secondo le regole della par condicio creditorum. Secondo tale studio, il quale in ogni caso non vuole rassegnare conclusioni aprioristiche, che prescindano dalle peculiarità dei casi concreti, in linea di principio,
può dirsi che soltanto gli atti di liquidazione forzata possano beneficiare di disposizioni che ad essi propriamente si riferiscano, tra cui l’effetto purgativo.
Sommario: 1) Premessa. 2) La funzione liquidatoria della vendita forzata come mezzo per la realizzazione della responsabilità patrimoniale e ragione dell’effetto purgativo. 3) L’alienazione immobiliare nelle forme della transazione nella procedura concorsuale: ammissibilità e natura 3.1) Connotati essenziali della transazione. 3.2.) Ammissibilità del trasferimento immobiliare mediante il ricorso allo schema transattivo nell’ambito della procedura fallimentare: il quadro normativo nel corso dei tempi. 3.3) …segue: e il quadro interpretativo 3.4.) Ipotesi ricostruttiva: requisiti per l’ammissibilità del trasferimento immobiliare mediante il ricorso allo schema transattivo e compatibilità con la procedura fallimentare. 3.5) La natura della transazione autorizzata dal comitato dei creditori. 3.6) Un’ipotesi peculiare: la transazione includente l’alienazione della quota indivisa 4) Il subentro nel contratto preliminare: il distinguo tra il subentro ex lege e il subentro volontario. 4.1) La natura della modalità alienativa realizzata tramite il subentro nel contratto preliminare: il quadro interpretativo. 4.2) Riflessioni critiche circa la riconoscibilità dell’effetto purgativo. 4.3) La previsione dell’effetto purgativo correlato all’esecuzione del contratto preliminare nel codice della crisi e dell’impresa. 5) Conclusioni: uno sguardo d’insieme su transazione immobiliare e subentro nel contratto preliminare.
1) Premessa
In questo studio si esaminano l’ammissibilità, le modalità procedimentali e gli effetti di alienazioni immobiliari che, pur inserendosi nell’ambito della procedura fallimentare, pongono problemi interpretativi circa la loro natura, inducendo a chiedersi se possano beneficiare della disciplina speciale riservata alla vendita avente carattere coattivo, con particolare riferimento al cd effetto purgativo della vendita forzata.
2) La funzione liquidatoria della vendita forzata come mezzo per la realizzazione della responsabilità patrimoniale e ragione dell’effetto purgativo
Come noto, la vendita fallimentare, anche laddove sia realizzata con modalità competitive, è ormai da tempo ricondotta al genus della vendita forzata. Questa ricostruzione, nonostante la perdurante assenza di una norma espressa che abbia ricondotto gli stessi effetti del decreto di trasferimento all’atto notarile che realizza la vendita competitiva, è il frutto della elaborazione dottrinale1 e giurisprudenziale2 secondo cui ogni vendita effettuata in sede concorsuale, sia che si
1 La questione della natura della vendita fallimentare è stata oggetto di un annoso dibattito. Già sotto la vigenza dell’antecedente art. 105 legge fall., che si limitava a richiamare le norme del codice di rito in tema di esecuzione forzata, lasciando conseguentemente aperta la questione relativa alla disciplina sostanziale applicabile con riferimento alla suddetta ipotesi di vendita, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria avevano attribuito alla vendita fallimentare natura coattiva, pur nelle ipotesi in cui la stessa trovava attuazione mediante il ricorso alle forme tipiche dell’autonomia privata in quanto essa era caratterizzata, sul piano strutturale, della radicale irrilevanza di qualsiasi iniziativa del debitore e, sul piano funzionale, della causa del soddisfacimento delle obbligazioni pecuniarie (V. ANDRIOLI, Fallimento, voce della Enc. del diritto, Milano, 1967, 439; adde per una sintesi del dibattito X. XXXXXXXX, L’intervento del notaio nelle procedure concorsuali: tra vendita secondo il codice di rito, procedure competitive e altri atti dispositivi, in Processo civile e delega di funzioni, atti del convegno di Roma 17 – 18 giugno 2015). All’indomani dell’introduzione dell’istituto della “vendita competitiva”, secondo la tesi nettamente prevalente, ci troveremmo di fronte ad una vendita avente natura coattiva, in ragione di una pluralità di indici che depongono in tal senso, quali, segnatamente: l’identità della funzione liquidatoria, il particolare regime di legittimazione dell’alienante (id est la
concluda con un provvedimento giudiziale, sia che si concluda con atto notarile, ha carattere coattivo. Tra le diverse argomentazioni invocate per giungere a quest’esito interpretativo si sottolinea che le alienazioni fallimentari prescindono del tutto dal consenso del debitore, avvengono in un contesto procedimentalizzato, caratterizzato da controlli di merito e di legittimità da parte degli organi della procedura, sono necessitate dalla funzione liquidatoria, sottoposte ad un peculiare regime di legittimazione dell’alienante e di scelta dell’acquirente, sulla base di una procedura competitiva.
Precedenti approfondimenti del Consiglio Nazionale del Notariato hanno affrontato la tematica della disciplina applicabile alla vendita fallimentare, sia sotto il profilo della natura, della
mancanza del consenso del fallito alla vendita), l’attuazione dell’interesse (di natura pubblicistica) di soddisfacimento dei creditori, il particolare regime di scelta e selezione dell’acquirente: cfr. in tale prospettiva, ex multis: X. XXXXXXX, Natura della vendita forzata. Traslazione del rischio da “bene a norma”, in Il processo esecutivo. Liber amicorum Xxxxxx Xxxxxxxxxx, a cura di XXXXXXX, XXXXXXX, XXXXXX, XXXXXXX, Xxxxxx, 0000, 1461 ss.; X.XXXXX, La liquidazione dell’attivo fallimentare, in Riv. dir. proc., 2006, 3, 963; XXXXXXXX- XXXXXXXX, Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, diretto da XXXXX - X. XXXXXXX, Bologna, 2007, 1805; XXXXXXXX, Natura giuridica della vendita fallimentare, in Fallimento, 2007, 159 ss.; ID, L’intervento del notaio nelle procedure concorsuali: tra vendita secondo il codice di rito, procedure competitive e altri atti dispositivi, cit., 38 ss.; XXXXXXXXXX, La natura delle vendite fallimentari dopo la riforma delle procedure concorsuali, Giur. comm., 2008, I, 372 ss.; X. XXXXXXX, La vendita forzata. Evoluzione dell’istituto ed attualità del pensiero di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, cit., 714 ss.; XXXXXXX, La liquidazione dell’attivo fallimentare nel correttivo della riforma, in Dir. fall., 2007, II, 864 ss.; XXXXX, Effetti sostanziali delle vendite fallimentari, in Fallimento, 2010, 10, 1143; G.P. MACAGNO, Sospensione della vendita di beni mobili “deformalizzata”: prevalenza della struttura coattiva sugli elementi negoziali, in Fallimento, 2018, 4, 425). Hanno sostenuto la natura coattiva della vendita competitiva anche diversi studi del Consiglio Nazionale del Notariato (Cfr. D’XXXXX, Studio n. 5-2007/E, Le procedure competitive all’interno della riforma della liquidazione dell’attivo, in Studi e Materiali, 2008, 3, 1226 ss., in CNN Notizie del 26 maggio 2008 e reperibile nella banca dati Xxxxxx Xxxxxxxx; ID, Studio n. 17-2010/E, Il trasferimento d’azienda nella procedura fallimentare ed il ruolo del notaio, in Studi e Materiali, 2011, 4, 1399 ss. e in Cnn Notizie del 2 settembre 2011 e reperibile nella banca dati Xxxxxx Xxxxxxxx; ID, I diversi possibili ruoli del notaio nella fase di liquidazione della nuova procedura fallimentare, in Studi e Materiali, Milano, 2011, 1014 ss., in Cnn Notizie del 18 maggio 2011 e reperibile nella banca dati Xxxxxx Xxxxxxxx; XXXXXXX, Studio 16-2011/E, L’atto notarile di trasferimento a seguito di vendita fallimentare, cit.; XXXXXXXXXX, studio 1- 2011/E, Vendita forzata e nuova normativa in materia di conformità dei dati catastali)..In particolare, in un precedente studio del CNN (XXXXXXX, L’atto notarile di trasferimento a seguito di vendita fallimentare, cit.), si è osservato, sotto il profilo strutturale e procedurale, che la vendita fallimentare è un atto ricompreso in uno specifico iter procedimentale, dipendente perciò dal corretto espletamento di una procedura cronologicamente e logicamente presupposta, e sul quale si basano ulteriori atti consequenziali; il trasferimento del bene, sia che avvenga all’esito di atto negoziale, sia che consegua ad un atto giudiziario, si colloca necessariamente ad un determinato punto di un iter procedimentale. La fase della vendita, infatti, non vive di vita propria, ma è funzionalmente dipendente dal corretto espletamento della procedura fallimentare ed ha le sue conseguenze sulla successiva fase di ripartizione dell’attivo. Tale profilo procedurale è evidente nelle ipotesi di vendite gestite dal Giudice delegato ex art. 107, comma 2, l. f., ma non viene meno nel caso di vendite in forme privatistiche: non viene meno, in tal caso, la necessità di una sequenza procedimentale; non vengono meno le interrelazioni con la precedente fase della dichiarazione di fallimento, né con la successiva fase di distribuzione dell’attivo; non variano la funzione del trasferimento, né gli interessi in gioco. Sotto il profilo funzionale, nello stesso studio, si è posto in evidenza che i trasferimenti nell’ambito della liquidazione fallimentare, sia che avvengano per effetto di un decreto di trasferimento, sia che avvengano per effetto di un atto negoziale, sono necessitati dalla funzione liquidatoria, sottoposti ad un peculiare regime di legittimazione dell’alienante e ad un regime di scelta dell’acquirente, sulla base di una procedura competitiva; al contempo, sono assoggettati a controlli e poteri autoritativi tanto forti che ne possono legittimare la caducazione in base a valutazioni di maggior convenienza di altra offerta. Quest’impostazione è stata ribadita anche dall’ultimo studio del Consiglio Nazionale del Notariato in argomento, il quale ha in particolare sottolineato che la forma dell’atto di trasferimento, con il quale si conclude il subprocedimento di vendita, (ossia l’atto notarile anziché il decreto) non determina il venir meno della natura coattiva della vendita competitiva. Trattasi, in altri termini, di differenza di ordine “formale” o comunque non tale da incidere sulla natura coattiva della vendita (X.XXXXXXX-PICCOLO, Vendita fallimentare e atto notarile, studio 31-2018/E).
2 Cass. 16 maggio 2018, n.11957; Cass. 8 febbraio 2017,n. 3310, in Dir.fal., 2017, 896 con nota di X.Xxxxxx.
struttura e della funzione della fattispecie della vendita fallimentare che trova un epilogo in un atto notarile, sia sotto il profilo delle connesse problematiche legate alle specifiche discipline sostanziali in tema di vendita volontaria che prevedono diversi “requisiti” di documentazione a “corredo” del bene da trasferire3. In questa sede occorre soffermarsi non tanto sull’incidenza del dato formale con cui viene realizzata la vendita fallimentare (provvedimento giudiziale o atto notarile), quanto sui caratteri sostanziali essenziali della vendita forzata, al fine di chiedersi se in siffatta categoria possano annoverarsi anche le alienazioni immobiliari conseguenti alla realizzazione del negozio transattivo e al subentro nel contratto preliminare nell’ambito della procedura fallimentare.
È noto quanto l’istituto della vendita forzata sia stato oggetto nel corso dei tempi di indagini e costruzioni teoriche di segno diametralmente opposto finché la dottrina, seguita poi anche dalla giurisprudenza4, superati gli estremi delle tesi pubblicistiche o contrattualistiche, ne ha messo in rilievo la duplice matrice sostanziale e processuale5.
3 Cfr. in questi termini e per i richiami X.XXXXXXX-XXXXXXX, Vendita fallimentare e atto notarile, studio 31-2018/E, cit.
4 Cfr. in particolare Cass. 2 aprile 2014, n. 7708, secondo cui: «Nel vigore del codice di rito del 1942 si sono progressivamente sopite le pluridecennali accese dispute dottrinali sulla natura della vendita forzata, in precedenza dovute ad un vuoto di normativa positiva ed incentrate sulla contrapposizione tra le teorie contrattualistiche e quelle processualistiche o autoritative, che non giova in questa sede ricordare. 4.3. Come esito di tale dibattito e secondo l’opinione ormai prevalente, che valorizza la terzietà ed imparzialità del giudice ed il ruolo svolto dai provvedimenti giudiziali nella vicenda traslativa anche ai fini dell’individuazione della controparte del trasferimento, la vendita forzata, realizzando congiuntamente l’interesse pubblico (connesso a ogni processo giurisdizionale) e l’interesse privato (dei creditori concorrenti e dell’aggiudicatario), costituisce un’ipotesi del tutto sui generis di trasferimento coattivo, che si distingue dall’espropriazione per pubblica utilità per la diversità degli scopi: da una parte, conseguire una somma di denaro per destinarlo coattivamente al soddisfacimento di un credito non onorato e, dall’altra, procurare un bene ad un estraneo alle vicende del credito stesso a fronte del versamento, da parte di lui, del corrispettivo più equo possibile in relazione alle circostanze. Si tratta, in definitiva, di un istituto complesso, che possiede tuttora una “doppia natura”, affine alla vendita solo per gli effetti, invece propria del processo per la struttura. E, benché si riaffermi, anche di recente, la natura prevalentemente giurisdizionale dell’istituto, può concludersi per l’irrilevanza pratica di ogni ulteriore sforzo di razionalizzazione sistematica: dopo la compiuta regolamentazione, da parte del codice civile nel 1942, degli effetti della vendita forzata, può ora sostenersi che la vendita forzata partecipa della natura pubblicistica del procedimento, nel corso del quale convergono e reciprocamente si completano atti i quali, in relazione alla diversità dei loro autori, sono regolati da differenti discipline. 4.4. Se il ruolo del debitore - titolare del diritto da trasferire e quindi formalmente xxxxx causa nella struttura della vendita forzata - rimane assorbito dalla giurisdizione riconosciuta all’organo procedente e quindi nell’esercizio di un potere per definizione originario e prevalente, è soltanto la scelta del terzo acquirente - e, cioè, dell’avente causa - ad essere regolata con un subprocedimento di rilevanza pubblicistica. Pertanto, coerente con la disciplina positiva può dirsi la conclusione per la quale la vendita forzata non è altro che un (sub- ) procedimento che si inserisce nel processo esecutivo: il suo nucleo essenziale è costituito dalla combinazione tra un provvedimento dell’organo esecutivo ed un atto giuridico unilaterale di natura privata (offerta del terzo acquirente). La vendita forzata non può essere regolata sic et simpliciter dalla disciplina di quella volontaria (a cominciare da quella in tema di interpretazione, ma per proseguire con quella in tema di vizi della volontà o validità del vincolo negoziale): i suoi stessi effetti restano regolati da una disciplina speciale, nella quale si ravvisano soltanto alcuni dei principi generali della vendita volontaria, assorbiti e coordinati in vista delle esigenze pubblicistiche del procedimento - esecutivo - in cui essa si inserisce. Nello stesso senso è la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la vendita forzata, costituendo una fattispecie complessa, avviene indipendentemente dalla volontà del debitore esecutato, ricollegandosi al provvedimento del giudice dell’esecuzione (Xxxx. 9 giugno 2010, n. 13824; Cass. 27 febbraio 2004, n. 3970; Cass. 17 febbraio 1995, n. 1730; Cass. 30 luglio 1980, n. 4899; Cass. 5 aprile 1977, n. 1299)».
5 L’essenza pubblicistica della vendita forzata come vendita coattiva in questi termini era stata colta da autorevole dottrina che ha costruito la categoria dei trasferimenti coattivi (includendovi la vendita forzata unitamente ad altre figure come l’espropriazione per pubblica utilità) assumendone la disciplina della vendita forzata quale prototipo (Cfr. X.XXXXXXXXX, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, 265 ss.; ID, Trasferimenti coattivi, voce del Nuovo xxx.xx., Torino, 1940, 301 ss.). Tale costruzione teorica è stata criticata e superata in ragione della eterogeneità delle ipotesi accomunate sotto tale unica categoria: cfr. gli altri, X.XXXXXX XXXXXX, Vendita forzata, voce dell’Enc.giuridica,
La profonda essenza pubblicistica della vendita forzata è stata in particolare colta6 da quella parte della dottrina che, elaborando la categoria dei trasferimenti coattivi, ne ha evidenziato i caratteri “dell’assenza o contrarietà della volontà del debitore” e dello scopo teso a realizzare la responsabilità patrimoniale. Malgrado le obiezioni sollevate nel corso del tempo a tale ricostruzione dottrinaria, sembra ancora innegabile che la vendita forzata costituisca un trasferimento avente natura coattiva, che si attua tramite un «atto giuridico che costituisce il mezzo prescelto per il raggiungimento di un fine, di interesse pubblico, che ne trascende la sfera degli effetti giuridici»7. In particolare, il trasferimento coattivo non è mai fine a sé stesso: mira a conseguire un altro scopo, rispetto al quale il trasferimento costituisce il mezzo idoneo escogitato dall’ordinamento giuridico. La vendita forzata è finalizzata a procacciare denaro liquido per ottenere coattivamente la realizzazione dei diritti patrimoniali dei creditori: in altri termini l’organo preposto all’esecuzione converte in denaro i beni pignorati del debitore allo scopo di distribuirlo ai creditori. Mentre la vendita volontaria spiega la sua efficacia entro i limiti del proprio schema causale, il trasferimento coattivo è sempre legato alla sua funzione teleologica. Tale scopo ineluttabilmente condiziona le regole della procedura, in quanto l’organo pubblico non agisce con assoluta libertà, come potrebbe agire il venditore volontario, ma deve muoversi entro il binario del processo esecutivo e subirne le limitazioni. Così, ad esempio, oltre all’osservanza delle forme procedurali in senso stretto, l’organo pubblico non può aggiudicare se non al migliore offerente, seguendo una procedura che garantisca la libera determinazione di chi partecipa all’incanto.
Xxxxxxxxxsi sul piano teleologico della vendita forzata consente di porre in luce la ragione del potere purgativo. Come autorevole dottrina ha osservato, la vendita forzata procura nell’esecuzione coattiva il denaro, cioè il mezzo con cui possono essere soddisfatti i diritti dei creditori, e lo procura attraverso la trasformazione in moneta dei beni pignorati. L’effetto fondamentale della stessa è di surrogare il prezzo al bene pignorato, di modificare l’oggetto del potere espropriativo8. Il potere del giudice di ordinare la cancellazione tempera la derivatività della vendita forzata proprio in coerenza con la funzione del processo esecutivo, giacché i creditori prelazionari in esso trovano la loro soddisfazione. Per questo l’effetto purgativo si produce nell’ambito di un sistema di regole tese, da un lato, ad ottenere il miglior prezzo possibile del bene e, dall’altro, a garantire i creditori ipotecari (e degli altri prelazionari) di guisa che essi possano partecipare alle operazioni di vendita, senza subire, inconsapevolmente, la cancellazione dell’ipoteca.
Più in dettaglio, il bene oggetto della vendita viene trasferito all’acquirente libero da quei vincoli pregiudizievoli9 che hanno esaurito il loro scopo trasferendosi dal bene al prezzo della
XXXII, Roma, 1994, 3; X.XXXXXXXXXX, Vendita forzata, voce dell’Enc.del diritto, XLVI, Milano, 1993, 556 ss. Nondimeno, trattasi di elaborazione che conserva la sua validità, come recentemente posto in luce (X.XXXXXXX, La vendita forzata. Evoluzione dell’istituto ed attualità del pensiero di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, cit, 714 s., scritto in cui l’A. pone in luce, al di là delle obiezioni solevate nel corso del tempo, l’attualità del pensiero di X.Xxxxxxxxx, nella parte in cui Questi aveva colto la profonda essenza pubblicistica della vendita forzata), nell’aver individuato gli elementi che contraddistinguono la vendita forzata nella sua connotazione di vendita coattiva.
6 X.XXXXXXX, La vendita forzata. Evoluzione dell’istituto ed attualità del pensiero di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, cit., 714.
7 Cfr. X.XXXXXXXXX, Trasferimenti coattivi, cit., 306, secondo cui «il fine del privato viene a trovarsi entro l’orbita di quello pubblico; e il trasferimento della proprietà non è fine a se stesso ma solo il mezzo idoneo per il conseguimento di quello scopo, ciò spiega l’efficacia del potere estraneo alla volontà del debitore, come causa transmissionis dei diritti a lui pertinenti».
8A.XXXXXX XXXXXX, voce Vendita forzata, in Enx.xxxxxxxxx, XXXXX, Xxxx, 0000, 3 s.
9Sulla tematica delle formalità di cui il giudice dell’esecuzione e il giudice delegato devono ordinare la cancellazione cfr. X.XXXXXXXXXX XXXXXXXX, Studio 192-2017/C, L’ordine di cancellazione di formalità contenuto nel decreto di trasferimento, in Studi e Materiali, 2017, 3-4, 447 ss. e in Rivista dell’esecuzione forzata, 2017, 4, 630 ss.
vendita10, in quanto tale bene non costituisce più parte integrante della garanzia patrimoniale del debitore11.
Strumentali a siffatta funzione surrogatoria sono le forme della vendita forzata le quali tendono al raggiungimento del prezzo migliore possibile per il soddisfacimento dei creditori. In ordine alle forme per la liquidazione dell’attivo, nel corso dei tempi, sia con riguardo al processo esecutivo sia con riguardo a quello fallimentare, si registra una profonda evoluzione dell’elaborazione scientifica e normativa12, tesa a trovare un punto di equilibrio tra «il vendere “presto” e il vendere “bene”»13. Con specifico riferimento alle modalità di liquidazione dell’attivo fallimentare, siffatta evoluzione14 è confluita in particolare nell’affermazione del principio di competitività15, divenuto il cardine della fase di liquidazione fallimentare a partire dalle riforme degli anni 2006-2007 e ancor più valorizzato nel cd. “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”16.
10 Per questo si è sostenuto che l’effetto estintivo e il conseguente ordine di cancellazione non riguardano diritti inopponibili e/o inefficaci nei confronti dell’aggiudicatario, ma formalità ormai inutili perché hanno realizzato il loro scopo pratico: cfr. XXXXXX, Il trasferimento dell’immobile e la stabilità dell’aggiudicazione e della vendita, in Il processo di esecuzione, a cura di XXXXXXX- ROMEO, Padova, 2018, 826; XXXXXXXXXX XXXXXXXX, Studio 192-2017/C, L’ordine di cancellazione di formalità contenuto nel decreto di trasferimento, cit., 447 ss. e in Rivista dell’esecuzione forzata, 2017, 4, 630 ss., che pone in luce come le formalità assoggettabili al potere purgativo del giudice dell’esecuzione o del giudice delegato hanno un punto in comune: «sono quelle nate per assicurare la tutela dei creditori nel processo esecutivo; che servono fino alla trasformazione del bene immobile su cui gravano in una somma di denaro; che a questo momento esauriscono la loro funzione di tutela perché il processo ne tiene conto anche se sono cancellate. Avendo esaurito la loro funzione possono - e quindi devono poter - essere cancellate».
11 Così vd. XXXXXXXXX, voce Espropriazione immobiliare, in Dig.disc.priv., sez.civ., Torino, 1992, VIII, 57.
12 In passato, il primo comma dell’art. 108 legge fall. stabiliva che dovesse procedersi di regola all’incanto, salvo che il giudice delegato disponesse l’impiego - ove ritenuta “più vantaggiosa” - di una procedura “senza incanto”. Le riforme del 2005-2006 hanno mutato profondamente le modalità di liquidazione dell’attivo fallimentare disponendo, all’art. 107 della legge fall., che la vendita venga attuata dal curatore in base alle procedure competitive ovvero dal giudice delegato in base alle disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili. Anche il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (recante “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) prevede, all’art. 216, ha che la vendita fallimentare possa svolgersi o con le modalità competitive o secondo le norme di cui al codice di rito, in quanto compatibili, ma prescrivendo altresì che ambedue si svolgano «con modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche, salvo che tali modalità siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura». 13L’espressione è di X.XXXXXXXXXX, op.cit., 559.
14 In passato, il primo comma dell’art. 108 legge fall. stabiliva che dovesse procedersi di regola all’incanto, salvo che il giudice delegato disponesse l’impiego - ove ritenuta “più vantaggiosa” - di una procedura “senza incanto”. Le riforme del 2005-2006 hanno mutato profondamente le modalità di liquidazione dell’attivo fallimentare disponendo, all’art. 107 della legge fall., che la vendita venga attuata dal curatore in base alle procedure competitive ovvero dal giudice delegato in base alle disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili. Anche il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (recante “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) prevede, all’art. 216, ha che la vendita fallimentare possa svolgersi o con le modalità competitive o secondo le norme di cui al codice di rito, in quanto compatibili, ma prescrivendo altresì che ambedue si svolgano «con modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche, salvo che tali modalità siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura».
15 Cfr., anche per i richiami, P.D’XXXXX, La vendita fallimentare riformata - L’art. 107 L.F. alla luce della legge 132/2015, secondo cui “l’art. 107 l.f, I comma, enuncia sostanzialmente un principio, ossia che tutte le vendite endoconcorsuali devono essere volte alla competitività”.
16 Tale disciplina, in forza di quanto previsto dall’art. 389 dello stesso, entrerà in vigore solo dopo diciotto mesi dalla data di pubblicazione del decreto medesimo in Gazzetta Ufficiale. Il suddetto art. 389, come si spiega nella relazione tecnica del dl.g. 14/2019: “opera una entrata in vigore differenziata, in considerazione della esigenza o meno di particolari attività preparatorie necessarie alla loro attuazione, stabilendo, ai commi 2 e 3, l’entrata in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle disposizioni (segnatamente gli artt. 27, comma 1, 350, 363, 364, 366, 373, 375, 377 e 378) che possono immediatamente agevolare una migliore gestione delle procedure oggetto della Riforma, quali la disposizione sulla competenza per le procedure di amministrazione straordinaria ed i gruppi di imprese di rilevanti dimensioni o che possono immediatamente agevolare l’attività
La Commissione Esecuzioni Immobiliari e Attività Delegate del CNN17 ha dedicato diversi approfondimenti al tema della vendita competitiva, individuandone i connotati essenziali nel sistema incrementale di offerte, nell’adeguata forma di pubblicità18, nella trasparenza endoprocessuale, nelle regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell’offerente e, infine, nella completa ed assoluta apertura al pubblico.
In questa sede ci si chiede, però, se siano ammissibili ipotesi di trasferimenti immobiliari nell’ambito della procedura fallimentare al di fuori dell’enunciato canone di competitività, e se agli stessi possa riconoscersi natura coattiva. Si vedrà che si contrappongono due diversi orientamenti: uno secondo il quale la natura coattiva delle vendite concorsuali consegue non alle forme adottate bensì dalla loro procedimentalizzazione e dall’essere realizzate invito domino; l’altro secondo cui, per il riconoscimento della natura coattiva, sono dati essenziali la competitività del procedimento di vendita e la funzione di surrogazione del bene nel prezzo versato ai fini del riparto del denaro ricavato tra i creditori.
3) L’alienazione immobiliare nelle forme della transazione nella procedura concorsuale: ammissibilità e natura
Si è detto che la vendita fallimentare realizza, alla stregua delle forme previste, un trasferimento teso a surrogare nel prezzo versato il diritto reale sul bene in guisa che il bene oggetto della vendita venga trasferito all’acquirente libero da vincoli pregiudizievoli.
Possono però esservi delle alienazioni immobiliari non precedute da “una fase espropriativa”. In tale ambito può collocarsi il trasferimento immobiliare attuato tramite la transazione in quanto avviene al di là delle “ordinarie modalità” che gli artt. 107 legge fall. e 216 C.C.I. prevedono per la fase liquidativa della procedura fallimentare. Pertanto, dapprima, occorre chiedersi se sia ammissibile; dopodiché potrà indagarsene la natura e verificarne la disciplina applicabile.
Valutarne l’ammissibilità richiede un duplice passaggio argomentativo:
istruttoria nelle procedure concorsuali, nonché le modifiche del codice civile che hanno una funzione in qualche modo preparatoria dell’entrata in vigore delle disposizioni in materia di misure d’allerta. Anche le disposizioni concernenti le garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire di cui alla parte terza entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Da ultimo, viene disposto che le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, come modificati dagli articoli 385 e 386, si applichino anche nelle more dell’adozione dei decreti di cui agli articoli 3, comma 7-bis, e 4, comma 1-bis e che il contenuto della fideiussione e della polizza assicurativa debba essere determinato dalle parti nel rispetto di quanto previsto dalle richiamate disposizioni.
Le restanti disposizioni entrano in vigore dopo diciotto mesi dalla data della pubblicazione del decreto in esame nella Gazzetta Ufficiale, allo scopo di consentire ai soggetti destinatari della disciplina di adottare le necessarie misure organizzative.”
17 Sui dati strutturali e funzionali delle vendite competitive cfr. D’XXXXX, Studio n. 5-2007/E, Le procedure competitive all’interno della riforma della liquidazione dell’attivo, in Studi e Materiali, 2008, 3, 1226 ss., in CNN Notizie del 26 maggio 2008 e reperibile nella banca dati Xxxxxx Xxxxxxxx; ID, Studio n. 17-2010/E, Il trasferimento d’azienda nella procedura fallimentare ed il ruolo del notaio, in Studi e Materiali, 2011, 4, 1399 ss. e in Cnn Notizie del 2 settembre 2011 e reperibile nella banca dati Xxxxxx Xxxxxxxx; ID, I diversi possibili ruoli del notaio nella fase di liquidazione della nuova procedura fallimentare, in Studi e Materiali, Milano, 2011, 1014 ss., in Cnn Notizie del 18 maggio 2011 e reperibile nella banca dati Xxxxxx Xxxxxxxx; XXXXXXX, Studio 16-2011/E, L’atto notarile di trasferimento a seguito di vendita fallimentare.
18 In giurisprudenza da ultimo vd. Cass. 06/09/2019, n.22383 secondo cui: “Lo svolgimento di una procedura competitiva di cui all’art. 107 l. fall. non può svolgersi in tempi eccessivamente ristretti, ma richiede la previsione di un periodo di tempo idoneo a consentire lo svolgimento della pubblicità e la diffusione a terzi dell’invito a partecipare nonché la predisposizione di mezzi idonei a garantire una conoscenza approfondita del bene che si pone in vendita”.
- considerare i caratteri che necessariamente devono ricorrere perché possa discorrersi di transazione (e non di un mero mezzo elusivo delle norme che regolano la fase liquidativa della procedura concorsuale);
- verificarne la compatibilità con la procedura fallimentare.
3.1) Connotati essenziali della transazione
Il codice civile, all’art. 1965, definisce la transazione come il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già insorta tra di loro oppure prevengono una lite che potrebbe sorgere tra di loro19.
Tale nozione non individua un tipo contrattuale in base al contenuto di una o entrambe le prestazioni, ma descrive una funzione assolvibile da qualsiasi prestazione di cui le parti possano disporre: porre fine ad una lite già incominciata o prevenire una lite che può sorgere20. La transazione si presta così ad essere uno schema aperto alle più diverse applicazioni, giacché qualsiasi prestazione appartenente ad altra figura tipica può inerire alla composizione della lite senza determinare l’esorbitanza dallo schema transattivo21.
Presupposto essenziale della transazione è l’esistenza della lite.
La nozione di lite è coincidente con quella di conflitto giuridico22, il quale si sostanzia nel conflitto di interessi qualificato dalla pretesa di uno degli interessati e dalla resistenza dell’altro.
19 Si è autorevolmente precisato che l’art. 1965 indica chiaramente la funzione della transazione, manifestata anche dal significato etimologico della parola “transigere” (da trans e agere): condurre, portare al di là, superare la lite: così XXXXXXX XXXXXXXXXX, La transazione, Napoli, 1975, 4.
20 Così X. XXX XXXXX, voce Transazione (dir.priv), in Enc.del diritto, Milano, 1992, 813.
21 Cfr. X. XXXXXXXX, La transazione, Padova, 2001, 4 ss. Questo connotato del negozio transattivo costituisce una novità dell’impostazione del codice civile del 1942. Infatti, il codice previgente, all’art. 1764, definiva la transazione come il contratto con cui le parti pongono fine a una controversia dando, promettendo, o ritenendo ciascuna qualche cosa. Dunque, la scelta del codice previgente fu quella di una puntuale descrizione delle vicende costituenti il contenuto negoziale, ma non si rivelò appropriata, in quanto, come in ogni formula descrittiva di vicende, il riferimento ad attività e comportamenti dotati pur sempre nonostante l’ampiezza del linguaggio utilizzato di intrinseca specificità determina il rischio dell’incompletezza e le conseguenti difficoltà di inquadramento delle fattispecie concrete, i cui effetti non siano immediatamente ed agevolmente riconducibili ai tipi di prestazione prescelti (dare, promettere, ritenere): così X.XXXXXXX, op.cit., 347. Il contenuto prestatorio delle reciproche concessioni può essere il più vario: a titolo esemplificativo, come specificato in dottrina, può costituire concessione transattiva con riguardo al contratto che definisca una controversia tra proprietari di fondi vicini in ordine a costruzioni realizzate da uno di essi, la rinuncia dell’altro a ricorsi amministrativi, proposti avverso gli atti amministrativi inerenti all’autorizzazione di dette opere; può inoltre la concessione validamente consistere nella disposizione di un diritto o nell’assunzione di un obbligo nei confronti di un terzo, configurandosi in tal modo la transazione come contratto a favore di terzi: cfr. E.DEL PRATO, op.cit., 824.
22 La distinzione tra la lite intesa come conflitto giuridico, ed il conflitto (meramente) economico, o di semplici interessi, può cogliersi così: la lite investe il regolamento di una situazione che si assume già disciplinata dal diritto; il conflitto economico determina le parti a regolare contrattualmente i loro interessi. Dire che la transazione è strumento di composizione del conflitto giuridico equivale a dire che la transazione è strumento di composizione del conflitto giuridico nel senso che gli interessi in conflitto hanno già ottenuto un regolamento giuridico e però si controverte su questo, sì che il conflitto di interessi che era stato composto con l’assegnare all’uno di essi la prevalenza sull’altro risorge sotto l’aspetto di conflitto giuridico. Cfr. X. XXXXXXX, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, 86 – 90, secondo cui: “Il conflitto giuridico ha per oggetto un bene che sia stato già attribuito da una norma; per maggior precisione si può aggiungerei che il conflitto giuridico è conflitto tra interessi che già trovano tutela nella norma: è cioè un conflitto tra diritti, mentre il conflitto economico insorge tra interessi no ancora tutelati, anche se giuridicamente rilevanti. Lo stadio del conflitto economico, nel momento in cui insorge la lite, può allora considerarsi superato: le parti ora ragionano nei termini delle posizioni giuridiche asserite, che sono rispettivamente di vantaggio o di svantaggio”.
Anche in ordine alla “lite che può sorgere” occorre che la pretesa e la contestazione si muovano sul piano del conflitto giuridico e non soltanto economico.
Pertanto, la transazione è strumento di composizione del conflitto giuridico ed è attuata a mezzo delle reciproche concessioni che costituiscono il tratto caratteristico della transazione e riguardano la pretesa e la contesa.
La necessità dell’aliquid datum atque retentum implica che con la transazione è possibile non una qualunque soluzione della lite, ma soltanto quella qualificata dal mutuo sacrificio delle parti. Il carattere di reciprocità deve contraddistinguere le concessioni transattive. Si pone come essenziale nel momento qualificatorio, perché vale a distinguere la transazione dagli alti tipi di atti con funzione transattiva23.
Le reciproche concessioni devono intendersi in relazione alle posizioni che le parti assumono nella lite e non in relazione ai diritti effettivamente spettanti alle parti24. Altrimenti detto, la lite costituisce un diaframma rispetto alla situazione preesistente, rendendola incerta, di modo che essa non possa costituire termine di riferimento per le reciproche concessioni25. In giurisprudenza si è specificato che i requisiti dell’aliquid datum e dell’aliquid retentum non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e contestazioni e pertanto non è necessaria l’esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni26, potendo esse peraltro anche incidere su diritti e beni estranei alla causa ai sensi del secondo comma dell’art. 1965 c.c.27
Allo schema delle reciproche concessioni sono riconducibili essenzialmente due modelli di atti transattivi: quello designato dalla definizione di cui al primo comma dell’art. 1965, cd transazione pura, e quello che fa capo al secondo comma dello stesso articolo, per il quale l’orientamento prevalente, riscontrando elementi di commistione con requisiti funzionali riconducibili a contratti diversi, ha proposto l’appellativo di transazione mista o complessa.
Nella figura più semplice della transazione, le reciproche concessioni restano nell’ambito della situazione giuridica dedotta in lite, identificandosi rispettivamente con l’abbandono di una parte della pretesa e di una parte della contestazione.
Nel caso di transazione complessa, invece, vi è il coinvolgimento di rapporti estranei alla lite. Ad esempio: due persone controvertono sulla proprietà di una striscia di terreno, che ciascuna afferma a sé appartenente, e la striscia è compresa in un fondo più ampio, di proprietà incontroversa, per la parte che eccede la porzione contestata, di uno dei due litiganti. Le parti pongono termine alla lite accordandosi sulla compravendita dell’intero fondo per un prezzo che tiene conto della controversia sorta in relazione alla striscia. Nella più ampia sistemazione di interessi la lite resta assorbita: l’oggetto di essa può dirsi in rapporto di continenza con l’oggetto del negozio concluso dalle parti. Per rimanere nell’ambito della previsione normativa, però, la vendita deve avvenire allo scopo di transigere. Se invece la vendita avviene indipendentemente
23 Parte della dottrina specifica così che l’abbandono della posizione assunta in lite (rinuncia o riconoscimento della pretesa o della contestazione) senza corrispettivo, ricorrendo talune particolari condizioni in ordine al coefficiente causale, possa determinare il superamento della controversia, senza tuttavia dare vita ad una fattispecie riconducibile allo schema di cui all’art. 1965 c.c., proprio per la mancanza del requisito della reciprocità: cfr. X.XXXXXXX, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, 348-349.
24 DEL PRATO, op.cit., 823.
25 XXXXXXX XXXXXXXXXX, La transazione, Napoli, 1975, 14.
26 Cass. 15/05/2003, n.7548
27 Cass. 17/08/1990, n.8330
dall’esistenza della lite e dall’intento di porvi termine, si avrebbe una compravendita pura e semplice, estranea alla previsione di cui all’art. 1965, secondo comma28.
Quanto agli effetti, la transazione è tendenzialmente un contratto dispositivo non traslativo29.
Parte della dottrina e della giurisprudenza ha affermato che la transazione possa produrre effetti traslativi solo quando, a norma dell’art. 1965, secondo comma, si trasferiscano diritti30 con riguardo a rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti.
Ad esempio, se la lite sulla proprietà si risolve mediante concessioni inerenti alla cosa controversa, non si produce alcun effetto traslativo. Quest’ultimo invece ha luogo, limitatamente, al diritto trasferito a norma dell’art. 1965, secondo comma, là dove uno dei contraenti abbandoni integralmente la propria pretesa contro il trasferimento di un altro diritto. Solo nella seconda ipotesi, essendo fuori contestazione il diritto trasferito, sussiste intento traslativo.
3.2) Ammissibilità del trasferimento immobiliare mediante il ricorso allo schema transattivo nell’ambito della procedura fallimentare: il quadro normativo nel corso dei tempi
L’art. 797 dell’abrogato codice del commercio prevedeva espressamente la possibilità di transazioni sopra tutte le contestazioni che interessassero la massa, ancorché relative a diritti immobiliari.
La legge fallimentare, all’art. 35, senza contemplare in modo espresso tale possibilità, considera la transazione come atto di straordinaria amministrazione, richiedendo che sia debitamente autorizzata.
Tale norma ha subito una significativa modificazione a causa dell’accresciuto ruolo che il legislatore ha assegnato al comitato dei creditori, quale «presidio dell’opportunità, della convenienza delle opzioni finalizzate all’amministrazione del patrimonio da liquidare»31. In
28 Secondo E.DEL PRATO, op.cit., 824-825, l’intrinseca dispositività, ossia l’attitudine ad innovare, si esterna nella transazione nel più intenso effetto di plasmare il rapporto controverso senza il tramite dell’obbligazione, precludendo in via definitiva (salvo alcune ipotesi), a mezzo della cd exeptio rei per transactionem finitae, la possibilità di accompagnarne una consistenza diversa da quella risultante dall’accordo e comportando di conseguenza l’eventualità di un sacrificio patrimoniale gravante su entrambi i contraenti. L’unilateralità della rinunzia rispetto alle posizioni assunte nella lite non esclude l’individuazione del tipo, giacché le concessioni reciproche possono comunque inerire a prestazioni estranee al rapporto controverso dal quale l’oggetto del contratto esorbita. È concessione transattiva anche la prestazione di colui che, sorta, ad esempio, contestazione sulla proprietà del fondo che ritiene suo, paghi una somma di denaro a fronte della rinuncia all’avversa pretesa, ponendo in tal modo fuori discussione il proprio diritto.
29 Così X.XXX XXXXX, op.cit., 829- 830, secondo cui l’efficacia dispositiva della transazione da sì che questa innovi il rapporto preesistente. Ciò che varia è la misura di tale innovazione, che può risolversi in una mera modificazione della realtà oggetto di controversia oppure nella sua estinzione e nella costituzione di una situazione nuova, di cui la transazione si pone come fonte esclusiva.
30Cfr. XXXXXX, La transazione, Torino, 2014, 107 s., secondo cui la costruzione ortodossa della natura esclusivamente accertativa della transazione esprimeva la propria contrarietà alla configurabilità della transazione ad effetti reali, in virtù dell’incompatibilità dell’effetto reale con il mero accertamento. Il 2° co. dell’art. 1965 c.c. prevede tuttavia la possibilità per il tramite delle reciproche concessioni di creare, modificare, estinguere rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa o della contestazione delle parti. Si discorre a tale riguardo di transazione traslativa, dominata dal brocardo transigere est alienare. E. DEL PRATO, op.cit., 829. In giurisprudenza cfr. Cass. 15 luglio 2016, n. 14432, secondo cui “La transazione può avere funzione traslativa soltanto con riguardo a rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti, dovendosi ritenere inconcepibile il trasferimento tra le parti in lite, mediante transazione, di un diritto la cui appartenenza sia incerta perché oggetto di contestazione”; nello stesso senso cfr. Cass. 17/09/2004, n. 1873.
31 Così X. XXXXX, I rapporti con gli altri organi della procedura, in Fall., 2007, 1002 ss.
particolare, la diretta partecipazione dei creditori, quali soggetti maggiormente interessati alla realizzazione del loro diritto di credito nella procedura è stata ritenuta fondamentale al fine di comportare risultati efficienti e virtuosi per l’intera procedura fallimentare32.
Mentre in passato la predetta norma prevedeva che il giudice delegato potesse autorizzare, con decreto motivato, il creditore a fare transazioni, sentito il comitato dei creditori33, nell’attuale formulazione34, prescrive che le transazioni debbano essere autorizzate dal comitato dei creditori, previa informativa al giudice delegato, a prescindere dal valore dell’atto stesso; non è tuttavia richiesta l’informativa al giudice delegato ove tali atti siano già stati autorizzati dallo stesso ai sensi del 9° comma dell’art. 104-ter l. fall.35. Può però accadere che la transazione sia autorizzata soltanto dal giudice delegato, nelle ipotesi in cui manchi il comitato dei creditori, ai sensi dell’art. 41, comma quattro, legge fall.36, norma sostanzialmente riprodotta nel CCI, all’art. 140, comma quattro37.
Sull’autorizzazione della transazione da parte del comitato dei creditori, in termini analoghi rispetto a quelli di cui al predetto art. 35 legge fall., sembrerebbe esprimersi l’art. 132 del
32 Così INIZITARI, Compiti del comitato dei creditori e regime della responsabilità, in Autonomia negoziale e crisi d’impesa, a cura di DI XXXXXX - XXXXXXX, Milano, 2010, 696, il quale definisce tale motivo utopistico.
33 Nella formulazione vigente sino al 2006 l’art. 35 legge fall. prevedeva: - “Il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, può autorizzare con decreto motivato il curatore a consentire riduzioni di crediti, a fare transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, a cancellare ipoteche, a restituire pegni, a svincolare cauzioni e ad accettare eredità e donazioni. - Se gli atti suddetti sono di valore indeterminato o superiore a lire 200.000, l’autorizzazione deve essere data, su proposta del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, dal tribunale con decreto motivato non soggetto a gravame. - In quanto possibile, deve essere sentito anche il fallito”. L’art. 31 del dlgs 2006, n. 5 ha sostituito tale norma prevedendo che “Le riduzioni di crediti, le transazioni, i compromessi, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni, lo svincolo delle cauzioni, l’accettazione di eredità e donazioni e gli atti di straordinaria amministrazione sono effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori. - Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati approvati dal medesimo ai sensi dell’articolo 104-ter . - Il limite di cui al secondo comma può essere adeguato con decreto del Ministro della giustizia.”
34 Secondo l’art. 35 legge fall. (Integrazione dei poteri del curatore): “…le transazioni sono effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori. II. Nel richiedere l’autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore formula le proprie conclusioni anche sulla convenienza della proposta. III. Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell’articolo 104-ter comma ottavo. IV. Il limite di cui al secondo comma può essere adeguato con decreto del Ministro della giustizia”.
35 Si discute, in dottrina, se questa forma di controllo preventivo del giudice delegato debba restare confinata sul piano della legittimità, oppure possa estendersi ai profili di merito e convenienza, in coerenza con la dialettica tra gli organi fallimentari, che si esprime anche sul piano della correttezza ed opportunità (cfr. art. 25, comma 1, n. 3, l. fall.), ed in correlazione al parametro di diligenza cui si informa il giudizio di responsabilità del curatore (art. 38 l. fall); si discute anche sulla concreta latitudine dei poteri di intervento del giudice, concretizzabili ora in una preventiva convocazione, con richiesta di chiarimenti, ai sensi dell’art. 25, comma 1 n. 3, l. fall., ora nella possibilità di proporre la revoca del curatore, ex art. 37 l. fall., ora infine nell’esercizio dell’azione di responsabilità ex art. 38 l. fall., se necessario con emissione – nelle more – dei provvedimenti conservativi ex art. 25, comma 1, n. 2, l. fall: Cfr. X. XXXXX, Il giudice delegato, 924.
Nei casi di chiusura della procedura di cui ai numeri 3 e 4 dell’art. 118 legge fall. (ossia quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo, oppure quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura) la transazione (come anche la rinunzia alla lite) deve essere autorizzata dal giudice delegato.
36 Secondo l’art. 41, comma 4, legge fall. “In caso di inerzia, di impossibilità di costituzione per insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori, o di funzionamento del comitato o di urgenza, provvede il giudice delegato”.
37 Secondo l’art. 140, comma quattro, CCI “In caso di inerzia, di impossibilità di costituzione per insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori, o di funzionamento del comitato o di urgenza, provvede il giudice delegato”.
codice della crisi delle imprese e dell’insolvenza38, anche se, nel quadro della nuova disciplina, può trarsi un elemento ulteriore a favore dell’autorizzazione della transazione da parte del giudice delegato alla luce del combinato disposto dello stesso art. 132 CCI con l’art. 213 CCI.
Quest’ultima norma, infatti, non prevede più la semplice trasmissione del piano di liquidazione concorsuale al giudice delegato, ma un controllo «filtro» di ordine preventivo sul programma di liquidazione39 che si risolve nell’autorizzazione della trasmissione di quest’ultimo da parte del curatore al comitato dei creditori. Siffatto controllo preventivo inevitabilmente implica l’approvazione del piano di liquidazione da parte dello stesso giudice delegato.
Sia la norma della legge fallimentare, sia quella del codice della crisi delle imprese e dell’insolvenza non pongono limiti espressi alla possibilità che la composizione transattiva involga un’alienazione immobiliare. Né limiti di sorta sono previsti dalla più generale norma di cui all’art. 1350 c.c. che, al n. 12, nel disciplinare le transazioni relative a rapporti immobiliari, non detta eccezioni per i beni del fallito.
Dal suo canto, l’art. 1965, come già osservato, prevede la transazione come uno schema aperto alle più diverse applicazioni, giacché qualsiasi prestazione appartenente ad altra figura tipica può inerire alla composizione della lite senza determinare l’esorbitanza dallo schema transattivo.
Questi dati normativi indurrebbero a ritenere ammissibile, quantomeno sul piano astratto, la transazione immobiliare nella procedura concorsuale. Xxxxxxx allora chiedersi se ostacoli tale possibilità il principio di competitività che informa la liquidazione concorsuale.
3.3) …segue: e il quadro interpretativo
L’analisi degli interpreti in merito alla tematica in commento ha risentito degli abusi spesso sottesi alle fattispecie pratiche in cui si è fatto ricorso allo schema transattivo nella procedura fallimentare, in assenza sia di una lite reale sia di effettive reciproche concessioni.
Sovente le riflessioni della dottrina e della giurisprudenza hanno valutato la legittimità della compatibilità del trasferimento immobiliare attuato mediante transazione alla luce del divieto di vendere il bene ricorrendo alla trattativa privata. Tale modalità di vendita è stata ritenuta nulla a causa della sua contrarietà, ante riforma del 2007, con la norma imperativa di cui all’art. 108 e, all’indomani della stessa riforma, con il carattere competitivo della vendita40.
38Art. 132 C.C.I. (Integrazione dei poteri del curatore) I. …le transazioni … sono effettuati dal curatore, previa l’autorizzazione del comitato dei creditori. II. Nel richiedere l’autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore formula le proprie conclusioni anche sulla convenienza della proposta. III. Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell’articolo 213, comma 7. IV. Il limite di cui al comma 3 può essere adeguato con decreto del Ministro della giustizia.
39 Così sul controllo del giudice delegato nell’ambito della liquidazione giudiziale X.XXXXXXX, La vendita telematica nel nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Foro it. 2019, V, 393. Adde, sul ruolo del giudice delegato nell’ambito della liquidazione giudiziale, X. XXXXXX, Le vendite forzate nel "codice della crisi e dell’insolvenza", in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
40 In tal senso si è affermato che l’art. 107 legge fall., pur attribuendo al curatore ampia discrezionalità circa le modalità di vendita dei beni del fallimento, esige che la vendita avvenga previa adeguata pubblicità e tramite procedure competitive ed esclude quindi, in ogni caso, che essa avvenga a trattativa privata diretta tra il curatore e il terzo, senza che altri soggetti abbiano avuto la possibilità di partecipare alla liquidazione con le proprie offerte. Cass., 20/12/2011, n. 27667 che ha escluso la legittimità della vendita a trattativa privata all’esito di offerte irrevocabili. Adde, da ultimo, Xxxx. 06/09/2019, n.22383, secondo cui “Lo svolgimento di una procedura competitiva di cui all’art.
Non constano precedenti giurisprudenziali specifici in ordine all’ammissibilità di un trasferimento immobiliare nell’ambito della transazione nella vigenza dell’attuale formulazione dell’art. 35 legge fall. che esaminino il possibile ruolo del comitato dei creditori nell’autorizzazione della transazione.
Sotto il regime previgente la questione in esame, a dire il vero, è stata affrontata poche volte in giurisprudenza. Possono distinguersi due orientamenti diversi.
Secondo un indirizzo interpretativo espresso più volte dalla corte di legittimità, il negozio transattivo posto in essere in ambito fallimentare non si sottrae alla sanzione della nullità che investe il trasferimento immobiliare a trattativa privata, ancorché questo abbia costituito l’oggetto di una delle reciproche concessioni41. A dire il vero, però, tale affermazione è stata resa in relazione a fattispecie in cui la transazione era stata autorizzata malgrado una fittizia contestazione del diritto di proprietà in capo al fallito. In altri termini, la transazione si era risolta in una vendita immobiliare a trattativa privata, ritenuta pertanto illegittima in quanto in contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 108 legge fall.42.
Secondo un diverso orientamento la transazione, se effettiva e non fittizia, può trovare spazio nella procedura fallimentare e, laddove preveda una vendita, non impatta con il divieto di vendita a trattativa privata. In quest’ottica la Corte di legittimità ha osservato che nulla vieta che, laddove il bene da vendere non sia incontestabilmente di proprietà del fallimento, gli organi fallimentari addivengano alla vendita attraverso una compilazione transattiva della contestazione insorta sulla proprietà dei beni stessi, ove ritengano tale via più spedita ed agevole e maggiormente vantaggiosa per la massa dei creditori; in tal caso, non trova applicazione il divieto di vendere un bene immobile nelle forme della trattativa privata, in quanto il negozio transattivo
107 l. fall. non può svolgersi in tempi eccessivamente ristretti, ma richiede la previsione di un periodo di tempo idoneo a consentire lo svolgimento della pubblicità e la diffusione a terzi dell’invito a partecipare nonché la predisposizione di mezzi idonei a garantire una conoscenza approfondita del bene che si pone in vendita”.
41 Cass. n. 3624/ 2004, in Deiure.
42 Cfr. Cass. 2510/94, in Deiure, che ha confermato la nullità di una compravendita per violazione della norma imperativa di cui all’art. 108 partendo dal presupposto che il contratto stipulato non era «affatto una transazione, bensì una mera compravendita»; Cass. 26954/2016, in Deiure, che ha esaminato una fattispecie in cui, mentre alla massa fallimentare risultava di spettanza formale e dai pubblici registri l’intero compendio immobiliare, le controparti (coniugi dei due falliti, soci della società di fatto parimenti fallita) «avevano instaurato un “contenzioso” volto a rivendicare la mera comproprietà superficiaria degli immobili costruiti sui terreni di proprietà dei due fratelli, opponendosi anche all’esecuzione promossa da una banca assistita da ipoteca e speciale regime processuale di azione. E dunque, al di là della ben diversa regola giuridica dell’accessione disciplinante l’acquisto del costruito anche in corso di comunione legale (sin da Cass. s.u. 651/1996 e con prevalenza dell’art. 934 c.c. sull’art. 177 x.x., xxxxx 0, xxxx. x) x.x. x xxx Xxxx. 0000/0000, 9954/1998, 8585/1999, 20508/2010), la controversia non concerneva nemmeno l’intera proprietà degli immobili caduti nella procedura fallimentare, ma solo una porzione dei rispettivi diritti, avendo avuto l’alienazione privatistica perseguita dagli organi fallimentari per oggetto in ogni caso anche diritti privi di qualunque contestazione, così determinandosi al loro trasferimento nel presupposto di una validità unitaria dell’intera operazione dismissiva. Ciò preclude di rinvenire nel complessivo negozio la giustificazione pur eccezionalmente conferita in sede di legittimità alla limitata deroga, mediante transazione, rispetto alla “speciale procedura prevista dalla legge fallimentare per la vendita dei beni immobili in sede di liquidazione dell’attivo” ove manchi il presupposto della “incontestabile proprietà del fallimento” (Cass. 3444/1971), circostanza invero esclusa, divenendo perciò del tutto superflue le risultanze in termini di “convenienza” dell’operazione stessa, invariabilmente sanzionata da nullità ove tesa, come nella specie, ad aggirare una norma imperativa». Adde, ancora, Cass. 11464/2017, in Deiure, la quale ha confermato la decisione impugnata secondo cui il contratto stipulato dal curatore, benché indicato come “atto di transazione con vendita immobiliare”, esulava dalla funzione transattiva nella parte concernente la vendita. Questa non era effetto della transazione, nel senso che non era da annoverare in ambito transattivo, bensì rappresentava, rispetto al complesso aziendale, una vera e propria compravendita slegata dal fine di comporre una lite.
ha un oggetto più ampio della vendita, essendo destinato, attraverso reciproche concessioni, alla definizione di una oggettiva situazione di litigiosità tra le parti43.
Ancora in prospettiva favorevole, la Corte ha in altre occasioni puntualizzato che la transazione tra procedura concorsuale e terzo creditore, consentita, in via di principio, dall’art. 35
l. fall., pur se incidente sulla formazione dello stato passivo, non può ritenersi illegittima in astratto, ma solo in relazione alle sue conseguenze sulla par condicio creditorum44.
Una recente pronunzia di merito45 è andata ben oltre l’affermazione della compatibilità tra transazione immobiliare con la procedura concorsuale ritenendo che essa benefici dell’effetto purgativo proprio delle vendite coattive. In dettaglio ha ritenuto che: «il trasferimento di un immobile effettuato dalla curatela in favore di un terzo nel contesto di una transazione c.d. traslativa (…) non perde la natura di vendita giudiziaria coattiva, anche se viene utilizzato uno strumento complesso e più ampio quale, appunto, la transazione; che, conseguentemente, non mutando l’essenza della vendita, non può che conseguirne la liberazione dell’immobile dai diritti reali iscritti, essendo il creditore ipotecario garantito dalla prelazione conseguente all’ammissione al passivo al privilegio: infatti, il principale effetto delle vendite forzate è quello estintivo o purgativo dei diritti reali di garanzia gravanti sul bene venduto e, in genere, di ogni altro vincolo comunque inerente, posto che con l’apertura del concorso tutti i creditori titolari di siffatti diritti hanno l’onere di partecipare al concorso e perdono definitivamente il diritto di seguito, mentre la garanzia si trasforma in causa di prelazione sul ricavato del trasferimento (…): ne consegue che appare legittimo un provvedimento che, nel contesto di una transazione traslativa, autorizzi la purgazione dei gravami esistenti sul bene trasferito, integrandosi quel provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti previsto dall’art. 2884 c.c.; che, tuttavia, proprio al fine di ottenere quella “definitività”, pur non considerandosi necessario il consenso del creditore ipotecario (trattandosi di un effetto automaticamente conseguente alla vendita coattiva) il provvedimento va comunicato allo stesso».
Quanto alla dottrina46, nella vigenza della legge fallimentare prima delle riforme degli anni 2006-2007, vi era chi riteneva che potesse rientrare in una transazione conclusa dal fallimento
43Cfr. Cass. 14/10/2008, n. 25136, la quale, incidentalmente, sembra ammettere la transazione anche nell’ambito delle procedure fallimentari soggette alla nuova disciplina, sottolineando che la riforma della legge fallimentare si è ispirata al principio di libertà di forme, abbandonando il rigore di cui all’art. 108, e consentendo l’uso di strumenti privatistici; Cass. 26 nov. 1971 n. 3444 (in Giust. Civ., 1972, 1, 529); cfr. anche la pronunzia del Trib. di Roma del 13
novembre 2012.
44 Cass.26/01/1999, n.675. Negli stessi termini vd. Cass. 27/11/2006, n.25132, secondo cui: in tema di fallimento, la transazione tra procedura concorsuale e terzo creditore è consentita, in via di principio, dall’art. 35 l. fall. e, pur se incidente sulla formazione dello stato passivo, non può ritenersi illegittima in astratto, ma solo in relazione alle sue eventuali conseguenze pregiudizievoli della "par condicio creditorum". La richiesta del curatore di poter procedere alla relativa stipulazione è soggetta all’autorizzazione del giudice delegato, da emettersi con provvedimento di volontaria giurisdizione.
45 Così Trib. Messina, 11 aprile 2018 in Il fallimento 12-2018, 1456, con nota di XXXXXXXX, Cancellazione delle formalità ex art. 108 e “atti negoziali del curatore”.
46 Così X.XXXXXXX, Casi clinici di diritto fallimentare, vol. II, Milano, 1960, 379: «non è la prima volta che nell’esperienza giudiziaria mi accade di rilevare che la realtà ha una fantasia ancor più fervida degli uomini ... Così, nel mio ideale peregrinare con la lanterna di Xxxxxxx alla ricerca di casi sempre ... più clinici nel fertile e non ancora del tutto dissodato campo fallimentare, ho incontrato una vendita fallimentare di un immobile attuato tramite incanto, neppure mediante la meno formale assegnazione del giudice delegato senza incanto (art. 108 legge fall.), bensì mediante transazione con l’acquirente. Il concetto, si badi non è nuovo, basta pensare che l’uso del termine “compromesso” come sostitutivo nella prassi commerciale del termine “preliminare di contratto” risale all’impero del vecchio codice di procedura civile quando non vigeva l’attuale norma (art. 322 c.p.c.) secondo cui il processo verbale di conciliazione davanti al giudice conciliatore in sede contenziosa costituisce titolo esecutivo soltanto se la
anche una cessione di beni immobili o il riconoscimento transattivo dell’altrui proprietà contestata, puntualizzando altresì che «la transazione, qualunque contenuto abbia, si inserisce nel quadro dinamico della procedura fallimentare e delle attività giuridiche dei suoi organi (che può essere anche di diritto sostanziale – ad esempio stipulazione id una transazione) con carattere di strumentalità indiretta rispetto alla liquidazione generale con quelle esigenze sostanziali e formali previste per la transazione, e non anche con quelle previste per il contratto tipico di vendita che ne diventa il contenuto parziale»47. In quest’ottica si affermava la compatibilità della transazione con la procedura fallimentare e la necessità di rispettare in tal caso le esigenze di forma e di sostanza ex art. 35 e non quelle previste per il contratto tipico di vendita che ne diventa il contenuto parziale.
Nella medesima prospettiva, altra dottrina ha ritenuto che «in tal caso, posto che il sistema adottato non può cambiare la natura della vendita che rimane una vendita giudiziaria, è indubbia la liberazione automatica dell’immobile dai diritti reali iscritti. Ma, non avvenendo il trasferimento dell’immobile con un provvedimento ad hoc del giudice (il decreto di trasferimento), è da ritenere che il giudice, successivamente all’avvenuto pagamento del prezzo, sia tenuto ad emettere uno specifico provvedimento con cui si ordina al conservatore la cancellazione dai diritti reali di garanzia iscritti»48.
Diversamente, altra dottrina, pur ritenendo che la vendita a trattativa privata rientrasse nel novero della vendita forzata, non ammetteva la legittimità di forme di vendita non rispettose delle regole tassative poste dal legislatore49.
Altra dottrina invece ammetteva siffatto trasferimento ma vi attribuiva una natura negoziale, negando la possibilità che il giudice delegato cancellasse i diritti ipotecari iscritti e le trascrizioni in quanto nel nostro ordinamento le cause di estinzione dell’ipoteca sono tassative e l’art. 586 non attribuisce al giudice dell’esecuzione un generico potere di disporre la cancellazione al di fuori della vendita forzata e del decreto di trasferimento dell’immobile all’aggiudicatario, ragion per cui se il realizzo del bene non avviene secondo le regole dettate dal codice di rito non si può parlare di vendita giudiziaria ma di vendita su base negoziale50. Questa medesima dottrina
controversia rientra nella competenza di tale giudice. Si usava infatti “fingere” la sussistenza della controversia per avere senza eccessive spese un titolo esecutivo consacrato in un atto pubblico di vendita o di promessa di vendita».
47 PAJARDI, Casi clinici di diritto fallimentare, cit., 383 s. Ciò in quanto con la transazione si può fare praticamente tutto, a meno che non si tratti di diritti indisponibili. In tale ottica si osservava: «se con la transazione si può ottenere qualsiasi risultato giuridico – pratico, se gli organi fallimentari possono istituzionalmente concludere qualunque transazione (nessun diritto, direi, è assolutamente indisponibile per loro, ché, in caso contrario, non sarebbe neppure avocabile al fallimento ex art. 46 legge fall.), può rientrare in una transazione conclusa del fallimento anche una cessione di beni immobili, a maggior ragione poi il riconoscimento transattivo dell’altrui proprietà contestata. Ma se siamo disposti a giungere fin qui, dobbiamo ritenere valido anche il corollario; la transazione, qualunque contenuto abbia, si inserisce nel quadro dinamico della procedura fallimentare e delle attività giuridiche dei suoi organi (che può essere anche di diritto sostanziale – ad esempio stipulazione id una transazione) con carattere di strumentalità indiretta rispetto alla liquidazione generale con quelle esigenze sostanziali e formali previste per la transazione, e non anche con quelle previste per il contratto tipico di vendita che ne diventa il contenuto parziale. Quindi, nel caso, non applicazione dell’art. 108 legge fall., e non necessità dell’assenso dei creditori ipotecari ammessi, e non necessità della notificazione del provvedimento ai creditori ipotecari iscritti (ammessi o no). Applicazione invece dell’art. 35 legge fall., e necessità del parere del comitato dei creditori, nonché necessità del provvedimento collegiale per immobili di valore superiore alle 200.000 lire».
48APICE, Le vendite nelle procedure concorsuali e gli effetti sostanziali e processuali sulle garanzie reali concesse ai creditori, in il Fall. 3/1987, 300.
49 XXXXXX, op.cit.
50 CHIMENTO, Ipoteca iscritta su immobili liquidati dal fallimento senza espropriazione, in Fallimento, 1995, 11, 1082, secondo cui Parte della dottrina ha osservato che è legittimo stipulare una transazione (esempio sui beni indivisi, rinuncia a far valere la revocatoria, etc.) che comporti anche una dismissione del bene. Ma questo riguarda l’atto di
poneva inoltre l’accento sull’assenza di una norma nella legge fallimentare che consentisse il trasferimento della garanzia sul prezzo come nel caso dell’art. 2742 (relativa all’ipotesi del perimento del bene) e che, per il suo carattere speciale, non potrebbe che essere prevista tassativamente dalla legge la surrogazione dell’indennità al bene.
Anche nella vigenza dell’attuale formulazione della norma si registra un dibattito del medesimo tenore.
Vi è chi sottolinea che il trasferimento di proprietà in una situazione di complesse pretese contrapposte possa aver luogo mediante la composizione transattiva della controversia qualora gli organi fallimentari ritengano tale via vantaggiosa per la massa dei creditori. Questa soluzione sarebbe stata avvalorata dalla riforma della legge fallimentare che ha sancito il principio di libertà delle forme abbandonando il rigore di cui al previgente art. 108 legge fall. e consentendo l’uso di strumenti privatistici51. Secondo tale opinione52 «a voler aderire ad una impostazione rigorosa,
disposizione e non può significare, per ciò solo, che si sia proceduto ad una vendita forzata. In simili casi, infatti, il curatore agisce nel quadro della gestione sostitutiva del patrimonio del debitore, subentrando nella medesima posizione giuridica del fallito. E certamente questa caratterizzazione dell’attività del curatore non consente alternative alla natura negoziale degli atti da lui posti in essere, escludendo quindi l’ipotizzabilità di una vendita giudiziaria, anche in senso lato, delle eventuali dismissioni patrimoniali compiute. Com’è noto, nei casi di cui si discute, nei quali il curatore è parte del rapporto, non muta la natura contrattuale della stipulazione, ai fini della vigenza di tutte le clausole e perfino dell’esonero dai vizi, dell’inadempimento, del ritardo ed in genere del regime contrattuale comune. Insomma, in tutti i casi: o si tratta di vendita posta in essere su base negoziale in cui debbono valere tutte le implicazioni connesse (e non si versa nell’ipotesi del 2884 codice civile ma in quella del 2882 codice civile): o se invece si ritenesse che si tratta di vendita forzata deve ugualmente trovare ingresso il potere del giudice di pronunziare decreto di trasferimento. E tale eventualità è pacificamente esclusa. Se dunque si ritiene che nelle fattispecie considerate si tratta di vendita posta in essere su base negoziale, per logica conseguenza si deve altresì dedurre che il giudice non abbia alcun potere di consentire la cancellazione delle ipoteche iscritte, ai sensi dell’art. 586 codice di procedura civile. La riprova di tale assunto sul piano formale sta nella verifica del regime garantista. Nella vendita forzata (sotto qualsiasi forma) i creditori iscritti sono garantiti dall’avviso (art. 498 codice di procedura civile) che necessariamente va loro dato e che li mette nelle condizioni di partecipare all’espropriazione. Nel caso delle vendite fallimentari, il curatore deve a sua volta dare avviso ai creditori iscritti prima di procedere alla vendita del bene gravato da ipoteca (art. 108 legge fallimentare); e la formalità è tanto più essenziale sul piano garantista proprio perché alcuno dei creditori potrebbe aver deciso di non insinuarsi al passivo del fallimento, o potrebbe non averlo ancora fatto. Sicché sarebbe del tutto assurdo che, senza alcuna notizia, il creditore si vedesse cancellata l’ipoteca iscritta sul bene.
51 Cfr. PENTA, La liquidazione dell’attivo fallimentare, Padova, 2015, 372, nota n. 686, segnala i «decreti emessi, ai sensi dell’art. 35 l. f., dal Trib. Pescara 6 maggio 2005 e 24 giugno 2005, inediti, con i quali è stata autorizzata, rispettivamente, la vendita della quota di proprietà del fallito ad un terzo interessato all’acquisto dell’intera proprietà e la divisione stragiudiziale di un compendio immobiliare con assegnazione di una porzione al fallimento unitamente ad un conguaglio in denaro. A fondamento dell’autorizzazione, il tribunale ha posto, nel primo caso, l’opportunità di evitare l’istaurazione di un lungo e costoso giudizio di divisione immobiliare e la convenienza a realizzare l’intero valore di stima della quota; nel secondo caso, oltre al primo profilo, la possibilità di pervenire in tempi rapidi e con risultati prevedibilmente più proficui alla vendita della porzione che sarebbe stata assegnata alla procedura in proprietà esclusiva». Tuttavia, puntualizza l’Autore - «il passaggio maggiormente significativo dei provvedimenti menzionati è rappresentato dalla considerazione per cui, trattandosi di un atto negoziale qualificabile come transazione (sia perché finalizzato ad evitare l’instaurazione di un giudizio, sia in quanto coinvolgente, oltre al terzo acquirente, gli altri proprietari), e non come vendita pura e semplice, l’art. 108 non sarebbe stato ostativo al suo compimento». L’A. (PENTA, La liquidazione dell’attivo fallimentare, cit., 373) puntualizza altresì che, nella valutazione di convenienza, possono confluire previsioni fondate sul maggior interesse del transigente ad assicurarsi quel determinato immobile, che lo inducano pertanto a offrire una contropartita più consistente anche quanto al solo diritto immobiliare oggetto di acquisizione. Ammette l’alienazione delle quote immobiliari ai comproprietari, senza intraprendere un giudizio di divisione, per le procedure di cd nuovo rito (stante la ritenuta ammissibilità della vendita a trattativa privata, purché preceduta da procedure competitive ed adeguate forme di pubblicità ex art. 107, comma 1, FERRO, La legge fallimentare, Padova, 2014, 493.
52 PENTA, La liquidazione dell’attivo fallimentare, cit., 243
l’ordine di cancellazione delle formalità pregiudizievoli, siccome collegato ad un potere eccezionale, non potrebbe essere emanato nel caso di vendita posta in essere nell’ambito di un accordo transattivo. Anche se appare diverso il caso in cui la vendita dell’immobile sia parte di una transazione che involge un oggetto negoziale più ampio della vendita, in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni, e che sia destinata, quale strumento negoziale di prevenzione o definizione di una lite, analogamente ad una sentenza, a coprire il dedotto ed il deducibile».
In senso contrario, sono state esposte53 diverse perplessità rispetto alla validità di negozi transattivi conclusi dagli organi fallimentari mediante i quali si pervenga al trasferimento della proprietà dei beni immobili, sia in relazione alla disciplina ante riforma (tante il divieto di vendita a trattativa privata) sia in ordine alla disciplina attuale. In tale prospettiva si sottolinea, in particolare, che, nell’attuale quadro normativo, nonostante la deformalizzazione e semplificazione delle procedure di liquidazione prodotta, non può affermarsi la natura coattiva del trasferimento immobiliare mediante transazione, pena la violazione dei diritti dei creditori ipotecari i quali, ai sensi dell’art. 54 legge fall., fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati. In questa prospettiva si è posto in luce che, in ipotesi di transazione con cessione del bene ipotecato, il prezzo del bene potrebbe essere diverso dal valore dello stesso tanto che, sebbene l’operazione di transazione possa risultare conveniente e vantaggiosa se valutata nell’economia dell’intera procedura, altrettanto non potrebbe dirsi per gli interessi dei creditori ipotecari. In ossequio alla necessità di garantire i diritti di garanzia reale, in questa prospettiva, si qualifica la transazione immobiliare non come vera e propria attività di liquidazione, bensì come attività di amministrazione del patrimonio fallimentare54. Peraltro si afferma che non è scontato che, in esito alla transazione, i rapporti, i beni e le posizioni giuridiche si trasformino in denaro liquido, immediatamente ripartibile tra i creditori. Tale tipo di trasformazione è infatti propria della fase di liquidazione che si attua mediante le vendite fallimentari. Da ciò consegue che la cessione immobiliare realizzata nell’ambito della transazione soggiace esclusivamente alla disciplina ordinaria e non anche alle norme sulla liquidazione fallimentare. Il giudice delegato, in quest’ottica, non potrebbe adottare il decreto di cancellazione delle ipoteche55.
In prospettiva similare vi è chi ammette che il trasferimento di immobili possa avvenire senza l’espletamento di procedure competitive ma nell’ambito di un accordo transattivo di più ampia portata e ad esso funzionale, precisando però che esso si pone «al di fuori dell’ambito della
53 Vd. MAGGI, La transazione con cessione di immobili acquisiti al fallimento: validità e natura del trasferimento, nota a Xxxx. 14 ottobre 2008, n. 25136, in Fallimento, 2009, 8, 947 ss.
54 Testualmente, secondo l’Autrice in commento (MAGGI, La transazione con cessione di immobili acquisiti al fallimento: validità e natura del trasferimento, cit.) «la transazione non si limita a monetizzare dei valori non liquidi, in vista del riparto fra i creditori concorsuali: essa mira piuttosto a comporre una pluralità di interessi coinvolgendo più rapporti e più posizioni giuridiche (attive e passive) facenti parte del patrimonio del fallito. La transazione determina quindi una trasformazione del patrimonio; non è però detto che, in esito alla transazione, tali rapporti, beni e posizioni giuridiche si trasformino in denaro liquido, immediatamente ripartibile tra i creditori. Tale tipo di trasformazione è infatti proprio della fase di liquidazione che si attua mediante le vendite fallimentari. Da ciò consegue che la cessione immobiliare realizzata nell’ambito della transazione soggiaccia esclusivamente alla disciplina ordinaria e non anche alle norme sulla liquidazione fallimentare. Il giudice delegato non potrà dunque adottare il decreto di cancellazione delle ipoteche e il bene verrà trasferito gravato dalle garanzie reali… i creditori rimarranno insinuati al passivo e potranno soddisfarsi sull’attivo fallimentare col grado di chirografari. Le garanzie reali, invece, potranno essere fatte valere dai rispettivi titolari nei confronti del terzo acquirente, al di fuori del fallimento. La mancata produzione dell’effetto purgativo esclude poi la necessità di rispettare le formalità previste dall’art. 107, terzo comma l.fall., ovvero informare i creditori ipotecari dell’avvio delle operazioni di vendita. Non si presenta infatti l’esigenza di tutelare tali creditori dal rischio dell’estinzione delle garanzie reali».
55 Cfr. MAGGI, La transazione con cessione di immobili acquisiti al fallimento: validità e natura del trasferimento, cit.
vendita forzata, e con la necessaria conseguenza della non applicabilità della relativa disciplina, ad iniziare dalla operatività dell’effetto purgativo; in caso contrario, allorché si ravvisi in concreto una autonomia del trasferimento, pur formalmente inserito nell’ambito dell’accordo transattivo, l’autorizzazione ex art. 35 l.fall. non varrà ad aggirare il presupposto della competitività»56.
3.4.) Ipotesi ricostruttiva: requisiti per l’ammissibilità del trasferimento immobiliare mediante il ricorso allo schema transattivo e compatibilità con la procedura fallimentare
Dall’indagine sin qui compiuta è emerso, anzitutto, che l’istituto giuridico della transazione, quale schema aperto alle più diverse applicazioni, consente di ottenere qualsiasi risultato giuridico- pratico. Il dubbio registratosi nel panorama dottrinale e giurisprudenziale riguarda la possibilità che gli organi fallimentari concludano una transazione avente ad oggetto diritti immobiliari.
Verificare l’ammissibilità di una transazione siffatta in ambito fallimentare richiede, in via preliminare, di appurare se di effettiva transazione si tratti. All’uopo, come osservato, occorre che:
- sussista una lite, intesa come conflitto giuridico, anche potenziale, tra le parti;
- sussistano le reciproche concessioni allo scopo di risolvere tale conflitto;
- la transazione determini un mutamento della posizione originaria tenuta dalle parti in lite, altrimenti si dovrebbe ritenere che un transigente abbia meramente accettato la posizione altrui, effettuando il riconoscimento di un diritto, o una rinuncia, o ancora un atto ricognitivo. Ciò collocherebbe l’atto al di fuori della causa transattiva, e lo esporrebbe alla sanzione della nullità ove si riveli un mero mezzo elusivo del principio di competitività.
In mancanza di tali presupposti, non potrebbe intravedersi un’effettiva transazione57 e l’eventuale trasferimento immobiliare realizzato a trattativa privata dovrebbe qualificarsi un mero artificio per eludere i principi che governano la fase liquidativa della procedura concorsuale.
Laddove sussista una reale composizione transattiva della controversia, nei termini qui precisati, occorre verificare se la transazione che concerna un trasferimento immobiliare sia compatibile con gli scopi della procedura fallimentare.
In mancanza di limiti espressi alla possibilità che il negozio transattivo involga un trasferimento immobiliare nell’ambito della procedura concorsuale, gli stessi potrebbero essere indirettamente ricavati dalle norme, di carattere imperativo, sulla liquidazione dell’attivo, sia prima della riforma, ove dall’antecedente formulazione dell’art. 108 si ricavava il divieto di vendere a trattativa privata, sia dopo la riforma, giacché la libertà delle forme relative alla liquidazione dell’attivo è stata accompagnata anche dalla statuizione dei principi pubblicità, trasparenza e competitività. Tali principi restano inevitabilmente sacrificati nel caso dell’alienazione immobiliare attuata con il ricorso alla transazione. È però possibile tracciare una netta differenza tra la vendita a trattativa privata, illegittima in ambito fallimentare e da ritenersi nulla secondo l’orientamento della corte di legittimità, e la transazione che ha un oggetto più ampio della vendita, in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni. Se questo rilevo sembra capace di superare la
56 MACAGNO, Sospensione della vendita di beni mobili “deformalizzata”: prevalenza della struttura coattiva sugli elementi negoziali, in Fallimento, 2018, 4, 425 s.
57 Potrebbero, a titolo esemplificativo, avanzarsi dubbi sulla validità di una transazione, seppur autorizzata dal comitato dei creditori, le cui reciproche concessioni consistano nella rinuncia alle domande cautelari; affinché possa parlarsi di effettiva transazione, infatti, le concessioni transattive dovrebbero riguardare diritti sostanziali.
problematica legata alla vendita a trattativa privata, occorre esaminare la compatibilità della transazione con la procedura concorsuale alla luce dello scopo cui deve tendere la liquidazione concorsuale.
Non è in discussione che lo scopo della liquidazione dell’attivo consiste nella realizzazione del massimo interesse per la generalità dei creditori58 grazie alla monetizzazione del bene del debitore fallito; le forme competitive previste dagli artt. 107 legge fall. e 216 CCI tendono proprio a raggiungere il prezzo migliore possibile per il soddisfacimento dei creditori.
Ci si chiede però se tali forme possano essere disattese laddove la contestazione della titolarità dei beni in capo al fallito conduca gli organi della procedura fallimentare ad optare, nel quadro della strategia liquidativa, ad una transazione complessa comprendente un trasferimento immobiliare.
A titolo esemplificativo, potrebbe venire in rilievo l’ipotesi in cui, con la transazione, il fallimento rinunzi a far valere il riconoscimento di un diritto immobiliare in contesa (perché oggetto di una causa di nullità, di revocatoria, di usucapione, etc.) verso il pagamento di un corrispettivo. In tale valutazione potrebbero confluire previsioni fondate sul maggior interesse del transigente ad assicurarsi quel determinato immobile, che potrebbero indurlo financo ad offrire una contropartita più consistente anche quanto al solo diritto immobiliare oggetto di acquisizione. Ancora, specie in presenza di una domanda giudiziale opponibile al fallimento, il comitato dei creditori potrebbe ritenere la strada dell’accordo transattivo quella che più celermente possa condurre ad un risultato stabile. Ancora, potrebbe essere autorizzata la vendita di quote immobiliari ad un comproprietario, in esito a transazione di un giudizio di divisione della proprietà comune già pendente o insorgendo; altresì, potrebbe transigersi un’azione ex art. 2932 c.c. dietro il trasferimento della proprietà sotto deduzione di acconti ricevuti dal fallito in bonis.
Al di là dei presupposti sostanziali della transazione, già posti in luce, ci si può chiedere se non rilevino anche dei presupposti specifici della stessa, legati all’ambito fallimentare.
In primo luogo, potrebbe ritenersi che la lite sottesa alla transazione debba essere formalizzata come opposizione allo stato passivo alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel sistema delineato dagli art. 52 e 95 legge fall. (e tanto potrà dirsi anche rispetto al sistema previsto ex artt. 200 ss. CCI), ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito deve essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare dell’accertamento del passivo59.
La necessità che la pretesa sottesa alle reciproche concessioni costituisca oggetto di opposizione allo stato passivo circoscrive il rischio di elusione delle norme imperative che governano la fase liquidativa dell’attivo fallimentare sotto lo scudo di transazioni fittizie.
58 Principio invocato da Trib. Firenze, sez. III, 6/12/2007 che ha ritenuto nulla la vendita a trattativa privata disposta nell’ambito della transazione.
59 Cfr., sull’onere, nel sistema delineato dagli artt. 52 e 95 legge fall., di insinuare al passivo attraverso lo speciale procedimento endofallimentare previsto da dette norme ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito, nella giurisprudenza di legittimità: Cass. 5/08/2011, n. 17035, in Fallimento, 2012, 6, 735; ss. civ., Cass. 10640/2012; Cass. n. 19975/2013; Cass. n. 1115/2014). Xxxxx stesso principio, nella giurisprudenza di merito, cfr., ex multis,: Trib. Novara 21 febbraio 2012; Trib. Roma 13 marzo 2019; Trib. Genova 24 gennaio 2012; Trib. Trieste, 17 agosto 2017; Trib. Reggio Xxxxxx 17 gennaio 2014; Trib. Roma 19 settembre 2016; Trib. Ancona 15 aprile 2015; Trib. Bari 09 maggio 2012; Trib.Vicenza 17 maggio 2016. Anche prima della riforma introdotta dal X.Xxx. 9 gennaio 2006, n. 5, la “Nel sistema delineato dagli artt. 52 e 95 legge fall., qualsiasi ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare deve essere dedotta, nel rispetto della regola del concorso, con le forme dell'insinuazione al passivo(Cass.28481 del 2005).
In altri termini, accedendo a questa tesi, evidentemente, si riduce il rischio del ricorso alla transazione in via strumentale.
In secondo luogo, laddove il curatore ritenga che l’operazione transattiva rappresenti la strada migliore nell’ambito della strategia liquidativa, a norma dell’art. 35 legge fall., potrebbe attuarla soltanto ove essa superi il vaglio di merito del comitato dei creditori e quello di legittimità del giudice delegato60, salvo che non ricorra l’ipotesi dell’assenza del comitato dei creditori, in cui a sorreggere l’atto transattivo vi sarebbe la sola autorizzazione giudiziale.
Quanto al ruolo del comitato dei creditori nell’autorizzazione sottesa alla norma in esame, sul piano astratto, da un lato, potrebbe addursi che i creditori non autorizzerebbero un negozio che li possa pregiudicare, dall’altro lato, però, il comitato non può considerarsi, quantomeno in ogni caso, portatore di un interesse superiore che trascende quello dei singoli creditori. Ciò potrebbe accadere laddove il comitato sia formato in gran parte da creditori chirografari. Xxx può avvenire, però, che nel comitato dei creditori si confrontino, al di là dei casi di vero e proprio conflitto d’interesse, convenienze diverse e magari confliggenti a causa della progressiva proliferazione dei privilegi, dell’introduzione di tecniche contrattuali in grado di destinare parte del patrimonio dell’impresa ad uno specifico affare, che hanno determinato una frammentazione delle ragioni creditorie61. Pertanto, l’operazione di transazione potrebbe risultare conveniente e vantaggiosa se valutata nell’economia dell’intera procedura, ma non rispetto a singoli creditori o al fallito. In tale evenienza al singolo creditore, nonché a ciascun terzo che sia portatore di un interesse potenzialmente e concretamente interessato dall’atto62, non resterebbe che esperire il reclamo ex art. 36 legge fall. 63, per violazione di legge64.
60 Secondo parte della dottrina al giudice delegato sono riconducibili tre tipologie di controllo: il cd. controllo di denotazione secondo cui il giudice deve quindi verificare se l’atto liquidativo era previsto dal programma ed in caso contrario deve negare l’autorizzazione convocando il curatore per chiarimenti o invitandolo ad un supplemento di programma; il cd controllo di connotazione, più stringente, secondo cui il giudice deve verificare i caratteri dell’atto liquidatorio, quali la tipologia, la forma giuridica, le condizioni, i parametri di stima e valutazione del bene modalità di individuazione del contraente, attività pubblicitaria; e infine un controllo cd di correlazione (o di coerenza) tra atto e programma, vale a dire che il giudice delegato dovrà, altresì valutare, se il singolo atto liquidativo è sincronico rispetto all’intero programma di liquidazione e se quel determinato atto è coerente con la strategia liquidativa generale evidenziata nel programma di liquidazione. Sul punto cfr. anche per i richiami P. D’XXXXX, Le funzioni del notaio nella fase di liquidazione dell’attivo, cit.
61 Così T. XXXXXXXXX, Aspetti del funzionamento del comitato dei creditori come disegnato dalla riforma della legge fallimentare, in Fallimento, 2009, 1, 110; xxxx XXXXXXXX, Il comitato dei creditori, in Le procedure concorsuali, Il fallimento, Trattato diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx e Costa, Torino, 1957, t. 1, 511, secondo cui i componenti del comitato non potranno mai dimenticare la loro qualità di parte direttamente interessata, il che fa dubitare che il comitato sia realmente portatore di un interesse superiore, che trascende quello dei singoli creditori.
62 Cfr. X.XXXX, I reclami, 903, secondo cui la legittimazione, dal punto di vista attivo, si è arricchita rispetto al passato di un nuovo soggetto, il curatore, sicuramente legittimato a reclamare nei confronti delle autorizzazioni e dei dinieghi del comitato. Secondo l’Autore è altrettanto certa, specularmente, la legittimazione del comitato dei creditori nei confronti degli atti e dei comportamenti omissivi del curatore.
63 In merito a questo profilo, mentre nel sistema previgente era prevalente l’orientamento secondo cui il reclamo ex art. 36 l. fall. non fosse un’impugnazione in senso proprio, giacché, da un lato, il curatore non era organo giurisdizionale e, dall’altro, la legge non prevedeva alcun termine per l’impugnativa, bensì una mera doglianza volta a sollecitare l’intervento riparatore del giudice delegato, con la riforma, la procedimentalizzazione e la limitazione del sindacato alla sola violazione di legge hanno indotto a pensare che tale reclamo abbia natura impugnatoria e attribuisca al giudice delegato ed al tribunale fallimentare in grado di appello il potere di riesaminare integralmente il provvedimento e di adottare un atto sostitutivo (MACRÌ, I reclami endofallimentari, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di Xxxxx, 955-956.). In senso opposto, tuttavia, si è osservato che il reclamo dell’art. 36 l. fall. non è uno strumento di impugnazione in senso proprio, ma, piuttosto, uno strumento di controllo da parte del giudice delegato sugli atti del curatore e del comitato dei creditori, che dà luogo ad un procedimento destrutturato ove il curatore interviene personalmente a tutela dell’interesse della procedura e non di un interesse personale e che il
In terzo luogo, la considerazione degli interessi dei singoli creditori potrebbe riflettersi sul piano del controllo di legittimità rimesso al giudice delegato e condurre a ritenere che la finalità pubblicistica della realizzazione della garanzia patrimoniale in tal caso condizioni il rapporto di proporzionalità tra le reciproche concessioni. Se ad avviso dell’impostazione prevalente di regola non occorre, in ordine al negozio transattivo, un equilibrio economico tra le reciproche concessioni, laddove esse siano inserite nel contesto della procedura fallimentare, potrebbe ritenersi necessario considerare, anche ai fini del controllo del giudice delegato, il valore venale del bene, alla luce della perizia di stima, che dovrebbe essere posta in base alla transazione. In tal guisa, anche in ossequio all’insegnamento della Suprema Corte, potrebbe verificarsi che non venga alterata la par condicio creditorum.
Ciò precisato, prima di esaminare la natura della transazione in ambito fallimentare, è d’uopo puntualizzare che la valutazione in ordine alla sussistenza di una vera e propria transazione, evidentemente, compete agli organi della procedura fallimentare. Naturalmente residua al notaio che venga chiamato a ricevere o ad autenticare un atto transattivo nell’ambito della procedura fallimentare il potere - dovere di valutare la concreta utilizzabilità dell’autorizzazione giudiziale, al pari di quanto accade in altre ipotesi (a titolo esemplificativo si pensi ai procedimenti di volontaria giurisdizione); nondimeno, il Notaio non può entrare in valutazioni di ordine fattuale rimesse agli organi della procedura, ma - soprattutto ove ritenga presenti eventuali nullità - può legittimamente ritenere il provvedimento giudiziario inidoneo ai fini dell’atto di cui gli sia richiesta la stipula.
3.5) La natura della transazione autorizzata dal comitato dei creditori
Secondo la tesi qui sostenuta è legittimo il trasferimento immobiliare transattivo nella procedura concorsuale ove si tratti di una transazione effettiva, prescelta dal curatore come strada migliore nell’ambito della strategia liquidativa, autorizzata dal comitato dei creditori e sottoposta al controllo di legittimità del giudice delegato, il quale all’uopo verifica anche il rapporto di proporzionalità tra le reciproche concessioni sulla base della perizia di stima.
Xxxxxxx chiedersi se siffatto trasferimento possa annoverarsi nell’ambito della vendita forzata oppure se abbia natura negoziale.
Come nel caso della vendita forzata, anche nel caso della transazione possono riconoscersi alcuni caratteri di coattività.
Si tratta certamente di un trasferimento oneroso, in quanto la transazione, indipendentemente dal concreto contenuto delle prestazioni, prevede atti di disposizione causalmente interdipendenti attraverso il reciproco abbandono delle rispettive pretese, dando luogo ad una nuova situazione sostanziale.
richiamo contenuto nella citata norma all’esigenza di tutela del contraddittorio evoca certamente il rispetto di garanzie processuali, ma non offre alcun argomento per individuare l’intensità di tale garanzie, né conferma la necessità della difesa tecnica, posto che le esigenze del contraddittorio debbono essere rispettate anche in procedimenti di natura contenziosa nei quali le parti possono stare in giudizio personalmente (Trib. Chieti 10.8.2010, in xxx.xxxxxx.xx).
64 In merito si è affermato che, in ogni caso, vengono in rilievo i tre tradizionali vizi di legittimità, cioè la violazione di legge, l’incompetenza e l’eccesso di potere, comprendendosi nell’area di tutela della violazione di legge anche la legittimità cd. sostanziale, ossia il rispetto delle elementari regole di buona amministrazione e, comunque, il dovere di adempiere con diligenza all’amministrazione, dovere la cui inosservanza, trattandosi di condotta imposta dalla norma, integrerebbe una violazione di legge. Cfr. XXXX, op.cit.; XXXXX, op.cit., secondo cui tale vizio deve intendersi nella sua massima latitudine, ricomprendente quindi anche l’incompetenza e l’eccesso di potere, quanto meno nelle sue figure sintomatiche dello sviamento dalla causa, della mancanza, contraddittorietà, perplessità ed illogicità della motivazione, e della disparità di trattamento.
Si tratta altresì di un trasferimento posto in essere, in assenza o contro la volontà del debitore, nell’ambito di un procedimento giurisdizionale teso alla realizzazione della responsabilità patrimoniale, sottoposto all’autorizzazione del comitato dei creditori e al controllo del giudice delegato.
Nondimeno, mentre la vendita mira a monetizzare valori non liquidi, determinando una trasformazione del patrimonio immobiliare in valori liquidi ai fini del riparto tra i creditori, la transazione mira a comporre una pluralità di interessi coinvolgendo più rapporti e posizioni giuridiche facenti parte del patrimonio del fallito. Determina una trasformazione del patrimonio ma non è detto che, in esito alla transazione, i rapporti, i beni e le posizioni giuridiche si trasformino in denaro liquido immediatamente ripartibile tra i creditori65. È pertanto assente la funzione di monetizzazione del bene, specie quando non è previsto alcun conguaglio.
Xxxxxxx allora chiedersi se l’assenza della funzione di monetizzazione del bene pregiudichi il riconoscimento del carattere di coattività all’atto in discorso e in particolare l’operatività dell’effetto purgativo della vendita forzata.
Sul piano astratto possono delinearsi due possibili prospettive ermeneutiche.
Secondo una prima prospettiva interpretativa, la transazione in discorso potrebbe essere qualificata come un’attività sostitutiva del curatore, mediante la quale il curatore subentra nella medesima posizione del fallito per cui gli atti che compie hanno natura negoziale e il giudice delegato non potrebbe emettere il decreto di cancellazione delle ipoteche.
Con particolare riguardo al potere purgativo, si osserva, in questa prospettiva, che ai sensi dell’art. 2878 c.c., le cause di estinzione dell’ipoteca sono tassative. Nell’ambito della vendita forzata la consumazione del diritto del creditore può conseguire dalla liquidazione del bene nel procedimento esecutivo in cui questi abbia partecipato o comunque sia stato messo in condizioni di partecipare onde concorrere alla distribuzione del ricavato. Nondimeno, le previsioni di cui all’art. 586 c.p.c. e 108, secondo xxxxx, legge fall., e 217 C.C.I. circa il potere purgativo del giudice, non attribuiscono a questi un potere generico di disporre la cancellazione delle ipoteche al di fuori della vendita forzata o del trasferimento dell’immobile all’aggiudicatario. Con riguardo alla fattispecie transattiva in esame non può ipotizzarsi, invece, un meccanismo di surrogazione o comunque di trasferimento della prelazione sul ricavato dell’alienazione, che comporti cioè il diritto del creditore di soddisfarsi sulla somma di denaro ottenuta in cambio della dismissione del bene. Né si può stabilire quale parte dell’ammontare liquidato dovrebbe sottoporsi al vincolo reale, in quanto il corrispettivo realizzato con la transazione che comporti anche la vendita del bene ben potrebbe non essere pari al valore di detto bene. Siffatta transazione, in altri termini come non costituisce un mezzo di liquidazione così non potrebbe implicare l’applicazione di una disposizione, quale l’art. 108, secondo comma, legge fall. che è scritta precisamente per la liquidazione. Essa, sebbene autorizzata dal comitato dei creditori, non dovrebbe pertanto essere equiparata al provvedimento “che trasferisce il bene espropriato” e, conseguentemente, non potrebbe eliminare il diritto di prelazione del creditore ipotecario, il quale, salvo il suo accordo, sopravvive al fallimento.
L’estinzione dei diritti di garanzia reale, nell’ipotesi in disamina, potrebbe allora conseguire soltanto grazie all’intervenuto consenso o rinuncia del creditore, ipotesi verificabile se il creditore sia chiamato a partecipare alla transazione, di xxxxx che venga rinegoziata la garanzia reale. Al di là
00 Xxx. Xx. MAGGI, La transazione con cessione di immobili acquisiti al fallimento: validità e natura del trasferimento, nota a Xxxx. 14 ottobre 2008, n. 25136, in Fallimento, 2009, 8, 947 ss.
di questa ipotesi, il bene verrebbe trasferito con la garanzia ipotecaria e il connesso diritto di sequela del creditore ipotecario.
Né sembrerebbe invocabile, per ottenere un trasferimento transattivo del bene libero da vincoli ipotecari, la norma di cui all’art. 35 legge fall. che annovera (anche) la cancellazione dell’ipoteca tra gli atti che il curatore può effettuare con l’autorizzazione del comitato dei creditori. Questa norma sembra infatti non derogare ai principi generali in tema di cancellazione di ipoteche, e in particolare alla norma di cui all’art. 2883 c.c. in base alla quale i cd amministratori necessari (tra cui vi è anche il curatore fallimentare66), ancorché autorizzati ad eseguire il credito e a liberare il debitore, non possono consentire la cancellazione dell’iscrizione ove il credito non sia soddisfatto67. In questa prospettiva, pertanto, il potere di cancellare l’ipoteca ex art. 35 legge fall. sembrerebbe invocabile qualora sia stato soddisfatto il credito assistito dalla garanzia ipotecaria della cui cancellazione si tratti.
In una prospettiva diversa ci si potrebbe chiedere se la transazione immobiliare debitamente autorizzata, poiché avviene “invito domino” e nell’ambito di un contesto procedimentalizzato, con i connessi controlli e autorizzazioni, possa essere ritenuta uno strumento di liquidazione dell’attivo fallimentare in guisa da legittimare il potere purgativo. In tal senso, si postuli che la transazione sia ritenuta dal curatore (che ha il compito di valutare la strategia liquidativa) e dal comitato dei creditori la strada da preferire alla competitività proprio in funzione della migliore realizzazione dell’attivo, ad esempio in un caso in cui vi sia il rischio del depauperamento dei beni. In quest’ottica può richiamarsi il trend evolutivo della giurisprudenza della Corte di legittimità che, sia pur senza una disamina estesa, ha in più di un’occasione affermato che «ogni vendita effettuata in sede concorsuale è, invero, vendita giudiziaria, atteso che le alienazioni fallimentari prescindono dal consenso e da qualsiasi attività del debitore»68. Sarebbe in tale prospettiva legittimo il provvedimento purgativo che, nel contesto di una effettiva transazione traslativa, autorizzasse la purgazione dei gravami esistenti sul bene trasferito.
In prospettiva similare, parte della dottrina, che sembra ricondurre carattere coattivo a siffatta transazione, non manca di aggiungere che «sarà compito degli organi di controllo verificare che le reciproche concessioni non vengano ad incidere in maniera da alterare le cause di prelazione»69.
Tanto rappresentato, il profilo in esame è estremamente delicato e controverso.
A ben vedere, peraltro, non può neppure escludersi la percorribilità di una prospettiva diversa, tendente a negare che si possa effettuare una valutazione unitaria in relazione
66 Tale condizione è richiesta per il rappresentante legale dell’incapace ma anche per qualsiasi altro amministratore, nella cui ampia dizione devono intendersi compresi non soltanto i rappresentanti delle persone giuridiche, ma anche gli amministratori cc.dd. necessari - come il curatore per gli immessi nel possesso dei beni dell’assente, l’erede beneficiato, il curatore del fallimento, il curatore dell’eredità giacente - ed il rappresentante volontario che mutui il suo titolo da una procura generale (XXXXXXX, Le ipoteche, Roma, 1961, 417; GORLA, Del pegno. Delle ipoteche, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 2784-2899, Bologna-Roma, 1973, 444; RUBINO, L’ipoteca mobiliare ed immobiliare, in Tratt. Cicu, Messineo, XIX, Milano, 1956, 533).
67 Taluno (GORLA, op.cit., 444) sostiene che il credito si deve intendere soddisfatto soltanto se sia verificato l’adempimento, mentre altri precisano che poiché il legislatore parla più in generale di soddisfazione del credito, egli intende includere tutte le ipotesi in cui il credito possa ritenersi soddisfatto (GENTILE, op.cit., 417).
68 Cass. 16 maggio 2018, n.11957. In tale prospettiva è possibile ascrivere altra pronunzia della suprema corte secondo cui in ogni caso per la vendita fallimentare “non importa se attuata in forma contrattuale e non tramite esecuzione coattiva” trova applicazione l’art. 108, comma 2, legge fall. Cass. 8 febbraio 2017, n. 3310, in Dir.fal., 2017, 896 con nota di X.XXXXXX.
69 XXXXXXXX, op.cit., 1465.
all’operatività dell’effetto purgativo, prescindendo dalle regole di conflitto che vengono in rilievo in funzione della lite.
È infatti possibile prospettare una pluralità di contestazioni dedotte nelle reciproche concessioni cui corrisponderebbero altrettante regole di risoluzione del conflitto: a titolo esemplificativo, potrebbe proporsi una transazione onde risolvere una lite sulla divisione, o sull’esecuzione in forma specifica del contratto o, ancora, su una pretesa petitoria (quali le azioni di usucapione o di regolamento di confini).
Questa possibile eterogeneità delle fattispecie impedisce, in questa prospettiva, di postulare un regime unico relativo all’effetto purgativo della transazione. Può tuttavia osservarsi, in questa prospettiva, che, in xxx xx xxxxxxxxx, x xxxxxx xxx xxxxxx normativo attualmente esistente, appare difficile estendere l’operatività dell’effetto purgativo in assenza della funzione di surrogazione del bene nel prezzo.
In altri termini, può rimarcarsi, dal punto di vista pragmatico del notaio chiamato a ricevere o autenticare un atto transattivo nell’ambito della procedura fallimentare, che sarà possibile ottenere il decreto purgativo a seconda delle concrete ipotesi che vengono in rilievo.
3.6) Un’ipotesi peculiare: la transazione includente l’alienazione della quota indivisa
Il tema qui affrontato presenta ancora maggiore delicatezza laddove si pensi all’ipotesi in cui siano acquisite al fallimento quote di beni indivisi70, considerata in tal caso l’assenza di una disciplina ad hoc della liquidazione della quota acquisita al fallimento nella legge fallimentare, sia nel codice della crisi delle imprese e dell’insolvenza.
Considerata la mancanza di siffatta disciplina, nel corso dei tempi, è stato inevitabile per la liquidazione della quota indivisa nel fallimento pensare alle norme di cui al codice di rito, benché previa valutazione di compatibilità tra le norme relative al processo di espropriazione forzata e quelle relative alla legge fallimentare.
Alla stregua della disciplina attuale, per la liquidazione della quota indivisa, astrattamente potrebbero seguirsi le norme di cui al codice di rito ovvero le procedure competitive.
Laddove si seguano le norme di cui al codice di rito, potrebbe prospettarsi l’applicabilità de plano degli artt. 599 ss. c.p.c., compreso il potere purgativo in caso di vendita della quota.
Laddove si seguano modalità competitive, sarebbero valide le argomentazioni circa il carattere coattivo della vendita competitiva, compreso il potere purgativo del giudice delegato. Inoltre, il curatore potrebbe prevedere forme più duttili per la vendita della quota, ma non la trattativa privata, che non può annoverarsi, secondo l’impostazione sostenuta da parte della dottrina e dagli studi di questo Consiglio Nazionale del Notariato, nella nozione di vendite competitive.
70 Com’è noto, nell’assenza di una disciplina specifica della legge fallimentare in relazione al modo di liquidare le quote ricadenti nella massa attiva, si è da sempre discuso sulla possibilità di ricorrere alle norme del codice di rito. Nell’ottica in cui si ritenga ammissibile ricorrere alla disciplina dettata dal codice di rito, occorre valutare la compatibilità della disciplina codicistica con le procedure concorsuali e quindi, quale che sia il programma liquidatorio adottato, verificare quali fra i vari istituti previsti dagli artt. 599 ss. c.p.c. o da altre norme rilevanti in materia sia applicabile. La verifica di compatibilità deve considerare le due modalità che l’art. 107 prevede per la fase liquidativa, ma deve anche tenere conto che anche nell’ipotesi di vendita competitiva vi sono determinati istituti posti a presidio dei diritti dei terzi comproprietari e di altri interessati che non possono essere ignorati e dei quali bisogna accertare la compatibilità con i principi propri della procedura concorsuale. Cfr. XXXXXXX, Comunione di beni ed espropriazione forzata, Milano, 2011, 499.
Anche in ordine alla quota indivisa lo strumento transattivo non potrebbe costituire uno strumento elusivo dei principi di competitività della liquidazione concorsuale.
Sennonché, a quanto consta, una prassi largamente diffusa nella giurisprudenza di merito ha consentito per lungo tempo la vendita della quota immobiliare al comproprietario dell’immobile ricorrendo alla transazione (del giudizio di divisione, istaurato oppure insorgendo) ai sensi dell’art. 35 legge fall.
Tendenzialmente, nei provvedimenti giurisprudenziali, il tribunale autorizzava il curatore a transigere le questioni relative al giudizio di divisione e, per l’effetto, a trasferire la proprietà della quota indivisa al comproprietario mediante atto da stipularsi dinanzi ad un notaio, a spese dell’acquirente e dopo l’integrale pagamento del prezzo. Il decreto veniva emesso, previa acquisizione del parere del curatore, del comitato dei creditori, dei creditori iscritti e degli altri condividenti e non aveva effetto purgativo delle formalità e dei pesi gravanti sull’unità immobiliare71.
Le considerazioni sino ad ora svolte condurrebbero a ritenere che, laddove non si rinvengano i requisiti stabiliti per la transazione, l’eventuale trasferimento immobiliare realizzato a trattativa privata della quota indivisa rappresenti un mero artificio per eludere le norme imperative che governano la fase liquidativa della procedura concorsuale72.
71 Così cfr. XXXXXX, La liquidazione dell’attivazione nella prassi del tribunale di Palermo, Il fall. n. 4/2005, 396; ROVIELLO, La liquidazione dell’attivo nella prassi del Tribunale di Firenze, ibid., 392; DELUCCHI, La liquidazione dell’attivo nella prassi del Tribunale di Genova, ibid., 394; LIMITONE, La liquidazione dell’attivo nella prassi del Tribunale di Padova, 395, il quale dà atto che presso il tribunale di Padova non si conosce né si consentirebbe la prassi in soccorso.
Secondo Trib. Lamezia Terme, 18 febbraio 1982, in Foro it., 1982, I, I, 1717, nella liquidazione dell’attivo fallimentare, è consentita la vendita a trattativa privata di immobili quando risulti l’unica forma possibile di alienazione e rappresenti un vantaggio evidente per i creditori (nella specie: il giudice delegato ha autorizzato la vendita a trattativa privata della quota indivisa di un immobile gravato da ipoteca iscritta da un creditore ammesso al passivo, subordinandola alla condizione del previo pagamento del credito ipotecario da parte dell’offerente e della cancellazione dell’ipoteca). Trib. Genova, 17 aprile 1997, autorizza a transigere l’insorgendo giudizio di divisione: autorizza il curatore a cedere le quoti indivise cadute nel fallimento ad alcuni dei comproprietari utilizzando la formula della transazione di insoergendi giudizi di divisione. Tale decisione è stata criticata da parte della dottrina (GRAMAGLIA, Vendita di immobili (quoite indivise) mediante transazione, in Fall,, 12/1997, 1231 ss.) la quale, pur non negando la possibilità per il fallimento di stipulare transazioni in materia immobiliare, ritiene che nella fattispecie affrontata dal tribunale genovese difettino i presupposti delle reciproche concessioni, poiché “un conto è transigere una lite in corso nella quale i comproprietari hanno assunto posizioni processuali ben definite, anche in ordine alla valutazione del compendio immobiliare e quindi delle singole quote; un conto è transigere l’insorgendo giudizio, nel quale queste posizioni non sono ancora state assunte sarebbe necessario che già nella fase pregiudiziale si fosse evidenziato un contrasto tra le parti, oppure che con la transazione le stesse rinuncino a pretese o contestazioni”. Peraltro, l’autorizzazione a transigere, in assenza delle reciproche concessioni, si risolve in una vendita a trattativa privata.
72Rileva X. XXXXX, Vendite immobiliari difficili: comproprietà, multiproprietà e beni all’estero, Il Fallimento, n. 12/1994, ss. 1209, che «nella prassi fallimentare la liquidazione della quota indivisa si realizza, al di fuori della vendita disposta con il sistema dell’art. 108 legge fallimentare, mediante il frequente utilizzo di tecniche sostanzialmente elusive del limite dell’asta (ovvero della vendita senza incanto ex art. 570 codice di procedura civile). Infatti il metodo della trattativa privata diffusamente presiede al raggiungimento di intese con i comproprietari (non falliti, né esecutati) ovvero con terzi interessati all’acquisto (talora designati dai creditori comuni al fallito ed al terzo non fallito) al fine di perfezionare un trasferimento della proprietà la cui cornice procedimentale finale spesso difetta di requisiti coerenti con l’autorizzazione alla transazione, frequentemente concessa dal tribunale ex art. 35 legge fallimentare sul presupposto di una assai poco reale contestazione del diritto di proprietà in capo al fallito ovvero della legittimazione a disporne in capo al curatore. Il quadro omologativo di tali accordi negoziali talora è l’instaurato giudizio divisorio, altre volte direttamente una transazione compositiva di una lite extragiudiziale più o meno documentata nella sola corrispondenza delle parti private con il curatore. La qualità di vendita coattiva comunque propria dell’alienazione autorizzata dagli organi concorsuali, ove superi il vaglio di invalidità, di fatto ha rappresentato un’alternativa (poco
Non dovrebbe tuttavia escludersi l’ammissibilità di tale strumento laddove la transazione risolva effettivamente una lite (già instaurata oppure no) tra le parti e determini un mutamento della posizione originaria tenuta dalle parti in lite grazie alle reciproche concessioni. Tali contestazioni potrebbero riguardare il diritto sulle quote, sui valori delle stesse, sulla comoda divisibilità ecc.
Laddove si ritenesse in tali termini ammissibile la transazione avente ad oggetto la quota indivisa del fallito, occorrerebbe chiedersi, in punto di regime applicabile, se possa operare l’effetto purgativo della vendita forzata.
Come sopra, laddove si ritenga imprescindibile per l’operatività dell’effetto purgativo la funzione surrogatoria, il giudice delegato non potrebbe emettere in quest’ipotesi il decreto purgativo, pena l’ingiustificata compromissione delle istanze creditorie. La cancellazione delle ipoteche potrebbe però conseguire all’intervenuto consenso o rinuncia del creditore, ipotesi verificabile se il creditore sia chiamato a partecipare alla transazione, di guisa che venga rinegoziata la garanzia reale.
Diversa conclusione potrebbe assumersi ritenendo che la transazione debitamente autorizzata, avente ad oggetto la quota indivisa, poiché avviene invito domino e nell’ambito di un contesto procedimentalizzato, teso alla realizzazione dei creditori, benefici dello statuto relativo alla vendita fallimentare: non verrebbero meno né il dato procedimentale, con i connessi controlli di merito e di legittimità, né, sul piano funzionale, il dato dell’irrilevanza del consenso del debitore.
4) Il subentro nel contratto preliminare: le ipotesi di “subentro volontario” e di “subentro
ex lege”
La legge fallimentare, nella sua stesura originaria, non si occupava della disciplina degli effetti del fallimento sul contratto preliminare ma prevedeva soltanto una disciplina di portata generale dei contratti in corso di esecuzione.
Tale disciplina è stata, dapprima dagli interpreti e poi dal legislatore, estesa anche ai contratti preliminari.
Secondo la regola generale, stabilita dall’art. 72 legge fall., se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, laddove nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le disposizioni previste, resta sospesa, finché il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.
In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’articolo 2645 bis del codice civile, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno, e gode del privilegio di cui all’articolo 2775-bis del codice civile, a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.
Un’eccezione alla regola generale è prevista dall’ultimo comma dell’art. 72, il quale esclude che il curatore possa sciogliere il preliminare trascritto che abbia ad oggetto un immobile
pubblicizzata ma non rara) di ritenuta «convenienza coattiva» per le frequenti impasses connesse alle problematiche liquidazioni delle quote: essa non ha, tuttavia, saputo esprimere alcuna convincente o stimolante rimeditazione del rigore (e della maggior trasparenza) collegati dall’art. 108 legge fallimentare al divieto implicito della trattativa privata».
destinato ad abitazione principale o alla sede principale dell’attività di impresa del promissario acquirente o dei suoi parenti o affini entro il terzo grado. In tal caso, il curatore è tenuto a subentrare nel contratto pendente e a darvi adempimento, senza alcuna possibilità di propria autonoma e diversa determinazione, salvo naturalmente l’inadempimento del promissario acquirente in bonis. Il legislatore con questa norma ha voluto accordare una «tutela in forma specifica del diritto alla proprietà del bene»73. In tal modo, il diritto del promittente acquirente, nelle ipotesi considerate dalla norma in esame, non è soggetto a regolazione concorsuale.
Conviene segnalare anche l’ipotesi - diversa da queste prospettate, ma apparentemente collocata su un piano contiguo74 - del rapporto tra l’esercizio da parte del promissario acquirente in bonis dell’azione ex art. 2932 e dal curatore della facoltà di scioglimento del contratto. Al riguardo sono prospettabili due fattispecie:
a) il promissario acquirente ha proposto, prima del fallimento, la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare a norma dell’art. 2932 c.c., ma non l’ha trascritta, ovvero l’ha trascritta, a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, ma successivamente al fallimento del promittente venditore;
b) il promissario acquirente ha proposto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare a norma dell’art. 2932 c.c., e l’ha trascritta a norma dell’art. 2652 x.x., x. 0, xxxxx xxx xxxxxxxxxx del promittente venditore.
Nel primo caso, la giurisprudenza di legittimità75 ha affermato che il curatore, anche se il giudizio sia stato riassunto nei suoi confronti (L. Fall., art. 43) e fino a quando, in tal caso, non sia stato definito con il passaggio in giudicato della sentenza (a lui, quindi, opponibile ex artt. 2908 e 2909 c.c.), può in ogni momento efficacemente avvalersi della facoltà, di ordine sostanziale, di scegliere se subentrare oppure provocare lo scioglimento del rapporto a norma della L. Fall., art. 72.
Quanto al secondo caso, per lungo tempo ha prevalso la tesi secondo cui il curatore del fallimento del promittente venditore rimanesse titolare del potere di provocare lo scioglimento del contratto preliminare fino alla formazione del giudicato sulla sentenza costitutiva a noma dell’art. 2932 c.c.c, in quanto modalità alternativa allo spontaneo adempimento di entrambe le parti a procurare il trasferimento del bene.
Le sezioni unite della corte di cassazione, in senso contrario, riprendendo un proprio precedente arresto, hanno affermato che il curatore fallimentare del promittente venditore di un immobile non può sciogliersi dal contratto preliminare con effetto verso il promissario acquirente, ove questi abbia trascritto prima del fallimento la domanda ex art. 2932 c.c. e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta, in quanto, a norma dell’art. 2652, n. 2, la trascrizione della sentenza di accoglimento prevale sull’iscrizione della sentenza id fallimento nel registro delle imprese. In quest’ottica, ha sottolineato che l’art. 45 legge fall. va coordinato non solo con gli artt. 2652 e 2653, ma anche con l’art. 2915, secondo xxxxx, sicché sono opponibili ai creditori fallimentari non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, ma anche le sentenze pronunziate dopo tale data, se le relative domande sono state in
73 Così LUMINOSO, Vendita, preliminare di vendita e altri contratti traslativi, 246, al quale si rimanda per i problemi esegetici posti dalla norma in esame.
74 Cfr. XXXXXXX, La problematica cancellazione delle ipoteche iscritte in caso di subentro del curatore nel preliminare, in il fallimentarista 13 Febbraio 2017.
75 Cass. sez. un. 16 settembre 2015, n. 18131.
precedenza trascritte76. Pertanto, il curatore, in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore - parte del giudizio X. Xxxx., ex art. 43, ma terzo in relazione al rapporto controverso - mantiene senza dubbio la titolarità del potere di scioglimento dal contratto sulla base di quanto gli riconosce la L. Fall., art. 72., ma, se la domanda sia stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento da parte del curatore non è opponibile nei confronti dell’attore promissario acquirente a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2. Ciò xxxxxxxxx se la sentenza sia accolta ed è trascritta a sua volta77.
Delineate queste ipotesi di esecuzione del contratto preliminare possiamo ora indagarne la
natura.
4.1) La natura della modalità alienativa realizzata tramite il subentro nel contratto
preliminare: il quadro interpretativo
Il tema della natura delle ipotesi di esecuzione del contratto preliminare in ambito fallimentare è molto controverso. Possono prospettarsi due tesi diametralmente opposte.
Un primo indirizzo, dottrinale e giurisprudenziale, ritiene che le vendite concorsuali, in cui rientrano quelle effettuate in caso di subentro nel contratto preliminare, abbiano in ogni caso natura coattiva, in quanto avvengono invito domino e nell’ambito di un contesto procedimentalizzato; pertanto sono soggette all’efficacia purgativa78.
In senso similare è stato affermato che la alienazione di un bene immobile, in esecuzione di un preliminare stipulato dal fallito e non trascritto, ed effettuata dal curatore fallimentare con la autorizzazione del comitato dei creditori, rientra nell’ambito dell’attività liquidatoria che il curatore è tenuto a compiere nel corso della procedura concorsuale, anche se non effettuata secondo le regole della esecuzione forzata individuale o comunque con altre procedure competitive. Per questa ragione si è ritenuto plausibile che l’esecuzione del preliminare integri, sia pure con riferimento ad un singolo bene, un atto di liquidazione dell’attivo fallimentare anche se posto in essere con modalità diverse da quelle previste dall’art. 107 l.f.; parimenti si è osservato che tale liquidazione viene compiuta nell’interesse della procedura e con lo stesso rigore procedimentale (autorizzazione del comitato dei creditori) previsto per il normale programma di liquidazione. Alla luce di ciò, si ipotizza «che l’attività di alienazione del curatore, in esecuzione del preliminare, possa essere disciplinata, quanto meno sotto il profilo della cancellazione dei gravami, dalla norma di cui all’art. 108 L.F.» 79.
In questa prospettiva interpretativa può ascriversi una recente pronunzia della Suprema corte la quale ha affermato che, nell’ipotesi di vendita immobiliare conseguente ad un subentro del curatore nel contratto preliminare stipulato dal fallito, per il credito assistito da garanzia ipotecaria
76 Cass. sez. un. 16 settembre 2015, n. 18131; adde successivamente, in senso conforme, Cass. 5 settembre 2016, n.
17627, Giust. civ., Mass. 2017; Cass. 30 maggio 2018, n. 13687.
77 Xxxxxx affermato, secondo la corte di legittimità, si coniuga con l’effetto prenotativo che attua la trascrizione della domanda ex art. 2652 c.c., n. 2, il cui meccanismo pubblicitario si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento. Il giudice, pertanto, può senz’altro accogliere la domanda pur a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto: con una sentenza che, a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene dalla massa attiva del fallimento. Diversamente, se la domanda trascritta non viene accolta, l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda cessa, con la conseguente opponibilità all’attore della sentenza dichiarativa di fallimento rendendo, in tal modo, efficace, nei suoi confronti, la scelta del curatore di sciogliersi dal rapporto.
78 XXXXXXXX, Cancellazione delle formalità ex art. 108 e “atti negoziali” del curatore, cit., 1464.
79 Cfr. Risposta a quesito 35/2012 - E, inedita, est. CALDERONI.
sull’immobile, trovano applicazione le medesime regole previste per la vendita fallimentare: decreto purgativo di cui all’art. 108 legge fall. e ammissione del credito al passivo con rango privilegiato sull’intero prezzo pagato, incluso l’acconto versato al venditore in bonis80. La Corte sembra dunque equiparare la vendita conclusa mediante il subentro del curatore nel contratto preliminare alla vendita fallimentare (conclusa con modalità competitive ovvero conclusa secondo le norme del codice di rito), laddove afferma testualmente che «vertendosi in tema di vendita fallimentare - non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva - trova applicazione l’art. 108, comma 2, L. Fall.».
Secondo un diverso indirizzo interpretativo81, la prospettiva ermeneutica da ultimo esposta determina un’ingiustificata ed illegittima lesione degli interessi del creditore ipotecario (oltre a far emergere una disparità di trattamento tra la posizione del creditore del promittente venditore dichiarato fallito e, in generale, i creditori di un promittente venditore in bonis), il quale, in violazione del diritto di sequela, si vedrebbe costretto a concorrere solo sulla frazione del prezzo- valore dell’immobile pagata dal promissario al curatore (tenuto conto che, di norma, non è più recuperabile l’acconto già pagato dal promissario al fallito quando era in bonis). Un tale risultato, secondo tale dottrina, non è concepibile al di fuori di una procedura coattiva aperta al mercato e finalizzata al realizzo dell’intero prezzo, solo in presenza della quale l’ottenimento di un prezzo di vendita eventualmente inferiore al credito ipotecariamente garantito potrebbe giustificare la conseguente perdita economica subita dal creditore iscritto, mentre allo stesso scopo è certo inidonea la scelta di subentro del curatore nel contratto, e ciò anche quando nessuna facoltà di scelta la norma gli attribuisca, ma il contratto definitivo debba essere da lui stipulato obbligatoriamente ai sensi dell’art. 72, ultimo comma, l.fall. (quando l’immobile abbia la destinazione ivi prevista). Infatti, anche in tal caso la soluzione del subentro, per quanto obbligata o “necessitata”, è e resta soluzione contrattuale quoad naturam. In quest’ottica si sottolinea che:
«appare quindi inspiegato (ed inspiegabile) anche come si possa considerare non pregiudicata la posizione del creditore ipotecario per effetto di un’ammissione al passivo che può avere tutt’al più ad oggetto solo la frazione residua di prezzo pagata dal promissario, e non certo quella che la S. Corte considera come possibile ammissione “con rango privilegiato sull’intero prezzo pagato, incluso l’acconto versato al venditore in bonis”, ipotesi del tutto irrealizzabile se si considera che tale acconto non viene certo acquisito all’attivo, essendo stato oggetto di incameramento da parte del fallito prima del fallimento. In definitiva, escluso che il subentro del curatore nel contratto preliminare pendente ex art. 72 possa considerarsi come vendita giudiziale coattiva, il curatore dovrà rispettare la lex contractus, e il Giudice delegato non potrà disporre alcuna cancellazione di ipoteche iscritte, quanto meno se il creditore ipotecario non dia a tal fine il suo assenso preventivo (nel qual caso il rigore teorico potrebbe anche cedere il passo alla semplificazione processuale)»82.
80 Vd. Cass. 8 febbraio 2017, n. 3310, in Dir.fall. 2017, 3-4, 889 ss., con nota di X. XXXXXX “La sorte dell’ipoteca sull’immobile venduto dal curatore per subentro nel preliminare stipulato dal fallito”. Secondo tale pronunzia vi sarebbe così una perfetta equivalenza, sotto questo profilo, ad una vendita nelle forme dell’esecuzione forzata. Per altro verso, gli acquirenti non ottengono alcun vantaggio, rispetto all’eventuale compravendita stipulata con il venditore in bonis, dal momento che, in tal caso, avrebbero pagato il prezzo a condizione della cancellazione dell’ipoteca: in ipotesi, mediante versamento diretto del prezzo, o di parte di esso, alla banca.
81 XXXXXXX, La problematica cancellazione delle ipoteche iscritte in caso di subentro del curatore nel preliminare, 13 Febbraio 2017 .
82Così XXXXXXX, La problematica cancellazione delle ipoteche iscritte in caso di subentro del curatore nel preliminare, cit. In quest’ottica adde X.XXXXXX, La sorte dell’ipoteca sull’immobile venduto dal curatore per subentro nel preliminare stipulato dal fallito Dir. Fall., 2017, 3-4, 889, secondo cui il trasferimento al promissario acquirente del bene immobile dopo il fallimento del promittente venditore, vuoi per scelta del Curatore di subentrare
In senso in parte diverso, altra dottrina83 ritiene doveroso discriminare tra le ipotesi di subentro ex lege e le ipotesi di subentro volontario. Il subentro del curatore, in un contratto preliminare di compravendita in luogo del debitore fallito, segue le regole negoziali posto che il curatore sceglie di vincolarsi alla legge del contratto, mentre, laddove decida di sciogliersi dal vincolo, il bene verrà liquidato secondo gli artt. 104 ter ss. l.fall., vale a dire con le forme ed i modi delle vendite forzate fallimentari. Diversamente, tale dottrina qualifica il subentro da parte del curatore nel preliminare trascritto, ai sensi dell’art. 72, ultimo comma, l.fall., come atto dovuto. Questo carattere assegnerebbe natura “coattiva” a questa modalità traslativa e, conseguentemente, imporrebbe l’applicazione dell’art. 108 l.fall. che prevede la cancellazione su ordine del giudice delle iscrizioni ipotecarie. Xxxxxxxxx, secondo la medesima dottrina, dalla disciplina propria dell’art. 108 l. fall. deriva inoltre che la pronuncia dell’ordine di cancellazione da parte del giudice delegato è subordinata all’effettivo versamento del prezzo: se è vero che nel caso di cui all’art. 72, ult. comma, l.fall. la vendita assume le caratteristiche della vendita forzata, è incontestabile che il giudice, a norma dell’art. 108 l.fall. può ordinare la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie solo dopo il versamento del prezzo sul quale dovrà soddisfarsi, in via privilegiata, il creditore ipotecario. Solo nell’ipotesi di cui all’art. 72, ult. comma, l.fall. (ipotesi peraltro oggetto di esame dalla sentenza della Suprema Corte prima richiamata) sussisterebbe il potere del giudice delegato di ordinare la cancellazione dei vincoli in caso di vendita negoziale.
In giurisprudenza, su una posizione di ancor maggior rigore, ha escluso l’operatività del potere purgativo, anche nel caso del subentro ex art. 72, comma 8, legge fall., una pronunzia di merito secondo cui «vi è una sostanziale differenza …tra la situazione del curatore che procede a vendere un immobile ex art. 107 l.f. con atto notarile, previa stima, adeguata pubblicità e procedura competitiva, essendo tale vendita qualificabile come vendita fallimentare anche se realizzata in forma privatistica, e la situazione del curatore che subentra in un contratto preliminare di compravendita pendente al posto del fallito, subentro con cui il curatore si vincola alla legge del contratto ed è tenuto ad adempiere a tutte le varie obbligazioni che facevano carico al fallito (compresa, ad esempio, quella di liberare l’immobile da ipoteche pagando il creditore ipotecario iscritto). Nel primo caso la forma notarile nulla toglie al carattere coattivo della vendita e dunque al fatto che essa si attui “invito domino”; mentre, in caso di subentro del curatore, questi si inserisce nel medesimo rapporto contrattuale e nella stessa posizione del fallito e deve adempiere alle obbligazioni che gli facevano carico, senza alcuna possibile deroga che derivi dalla possibilità di invocare la norma di cui all’art. 108, comma 2, che autorizza la purgazione delle iscrizioni pregiudizievoli rispondendo alla ratio di liquidare l’immobile e trasferirlo all’acquirente libero da pesi e vincoli proprio per effetto del concorso e della natura coattiva del procedimento di vendita. Peraltro, opinare diversamente potrebbe determinare una ingiustificata lesione degli interessi del curatore ipotecario, il quale, in violazione del diritto di sequela, che dovrebbe
nel contratto preliminare a sensi dell’art. 72 legge fall. vuoi per l’effetto retroattivo della sentenza ex art. 2932 cod. civ. ottenuta dal promissario acquirente, non è una “vendita fallimentare”, ma va sostanzialmente equiparata alla vendita negoziale che il promittente venditore avrebbe dovuto stipulare in assolvimento dell’obbligazione assunta con il preliminare, anche la sorte del credito garantito da ipoteca sull’immobile che forma oggetto di quel trasferimento dovrebbe non essere dissimile da quella che vi sarebbe stata in una vendita negoziale: il creditore ipotecario ha un diritto di sequela, perciò il credito ipotecario va soddisfatto.
83 XXXXXX, Subentro del curatore nel preliminare e operatività dell’art. 108 l.fall., in Xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx Osserva XXXXXXXX, op.cit., 1463 - 1464 che tale opinion avrebbe il pregio di tutelare la speciale categoria di soggetti contemplati dall’art. 72, comma 8, legge fall. e sarebbe dunque sorretta dalla ratio legis sottesa alla norma in parola, oltre che ad essere basata sulla stretta attinenza alla fattispecie decisa dalla corte di cassazione nella sent. 3310/2017. Xxxxxxxxx, obietta l’A., “resta fermo che tale ultima lettura non può che porsi in (parziale) contrasto, oltre che con la lettera della decisione suddetta, con l’orientamento in tema di natura in ogni caso coattiva delle vendite concorsuali.
consentirgli di rivalersi sull’immobile acquisito dal terzo, si vedrebbe costretto a concorrere solo sulla frazione del prezzo – valore dell’immobile pagata dal promissario al fallito quando era in bonis. Un tale risultato economicamente penalizzante per il creditore ipotecario, rispetto al quale la vicenda circolatoria dovrebbe invece restare indifferente proprio per il diritto di sequela di cui dispone, non è concepibile al di fuori di una procedura coattiva aperta al mercato e finalizzata al realizzo dell’intero prezzo, solo in presenza della quale l’ottenimento di un prezzo di vendita eventualmente inferiore al credito ipotecariamente garantito potrebbe giustificare la conseguente perdita economica subita dal creditore iscritto. Pertanto ne consegue che non può applicarsi l’art. 108 legge fall.., atteso che la stipulazione dell’atto definitivo di vendita ex art. 72 comma 8 non costituisce una forma di vendita coattiva. Né può ritenersi in mancanza di una espressa disposizione legislativa, che sia la stessa ratio dell’art. 72, comma 8 legge fall., ad imporre al giudice delegato l’adozione dell’ordine di cancellazione»84.
4.2) Riflessioni critiche circa la riconoscibilità dell’effetto purgativo
La fattispecie in discorso presenta un conflitto che sembra inestricabile il quale vede contrapporsi l’esigenza di tutela del promissario acquirente e quella del creditore ipotecario. Laddove in occasione del contratto preliminare sia corrisposto un acconto, magari di entità considerevole, accogliendo la tesi sul riconoscimento del potere purgativo, le ragioni del creditore ipotecario sarebbero svilite, potendo farsi valere solo sul saldo corrisposto al curatore. Riconoscere a tale alienazione carattere coattivo, con le conseguenze in merito all’effetto purgativo, solo perché è inserita in un contesto procedimentale sembra non considerare che in tal caso è assente, in tutto o in parte, la funzione liquidatoria della vendita.
Nel sistema della legge fallimentare, se l’art. 108 legge fall. prevede il potere purgativo del giudice delegato, in consonanza con il medesimo potere del giudice dell’esecuzione ex art. 586 c.p.c., è perché il curatore esercita il potere espropriativo nell’interesse del ceto creditorio. Tale effetto dovrebbe coerentemente essere escluso laddove il curatore si ponga come semplice sostituto del fallito nell’adempimento dei suoi obblighi.
Più in dettaglio, laddove si ritenga che il potere purgativo del giudice delegato tragga il suo fondamento dalla funzione liquidatoria della vendita, difficilmente potrebbe qualificarsi l’atto di subentro volontario del curatore quale atto di liquidazione dell’attivo fallimentare dell’esecuzione del preliminare.
Xxxxxxxxx non può affermarsi aprioristicamente se sussista o meno la finalità liquidatoria in ipotesi di esecuzione del contratto preliminare, a prescindere da una verifica da effettuare caso per caso, alla luce del rapporto tra conguagli già versati e prezzo residuo da corrispondere.
Può dubitarsi che vi sia una finalità liquidatoria qualora vengano dedotti dal residuo prezzo da pagare degli acconti di rilevante importo, versati quando il fallito era in bonis, i quali non sono ormai recuperabili alla massa attiva. In quest’ottica, tale alienazione non potrebbe dunque beneficiare di una disposizione che affonda la sua radice giustificativa nella funzione liquidatoria della vendita coattiva. Invero, in tale fattispecie parrebbe che il curatore s’inserisca nel rapporto contrattuale nella medesima posizione del fallito, dando esecuzione alle obbligazioni che gli facevano carico, esercitando, a quanto pare, un diritto potestativo di carattere sostanziale85. In tale fattispecie, alla stregua delle riflessioni che fanno capo ad autorevole dottrina, parrebbe non
84Così Trib. Milano 21 settembre 2017.
85Cass. 9 agosto 2017, n. 19754, Giust. Civ., Mass. 2017.
potersi parlare di trasferimento coattivo come accade in altre ipotesi in cui, pur attuandosi il trapasso del diritto a mezzo dell’organo pubblico, esso costituisce l’effetto di un diritto potestativo precedentemente attribuito all’acquirente, e il trasferimento segue come effetto inevitabile all’esercizio di quel diritto86.
Tali considerazioni condurrebbero a ritenere che l’esecuzione del preliminare, in ipotesi di subentro volontario del curatore, vada qualificata come vendita negoziale in quanto si tratta di attività sostitutiva del curatore.
L’assenza della finalità liquidatoria, se ritenuta fondamento del potere purgativo del giudice delegato, dovrebbe condurre a risultati analoghi anche rispetto alla fattispecie del subentro ex lege nel contratto preliminare avente ad oggetto un immobile finalizzato a costituire abitazione principale oppure sede principale dell’impresa87.
A conclusioni diverse non potrebbe condurre la circostanza che il subentro ex lege ex art. 72, ult. comma, sia un atto dovuto del curatore: ciò, infatti, non consente di qualificare tale modalità alienativa come coattiva, perché non contiene tutti gli altri elementi del trasferimento coattivo prima passati in rassegna. Atto dovuto ed esecuzione coattiva possono avere in comune l’effetto estintivo dell’obbligazione, ma conservano una natura radicalmente diversa. L’atto dovuto è quell’atto giuridico con il quale si adempie all’obbligo tipico nascente da un determinato rapporto giuridico e quindi si pone in essere la causa di estinzione del rapporto stesso. Entro i limiti stabiliti dal preesistente rapporto obbligatorio l’atto dovuto esaurisce da sé solo il proprio compito. Esso è legato al rapporto obbligatorio inscindibilmente, ed è solo per questo legame e nei limiti in cui esso opera capace di produrre l’estinzione dell’obbligazione88. Il trasferimento coattivo, invece, come già osservato, non è mai fine a sé stesso: mira a conseguire un altro scopo, rispetto al quale il trasferimento costituisce il mezzo idoneo escogitato dall’orientamento giuridico. La vendita fallimentare è finalizzata a procacciare denaro liquido per ottenere coattivamente la realizzazione dei diritti patrimoniali dei creditori. Mancando questo requisito, sembrerebbe difficile invocare l’art. 108 legge fall. In quest’ordine di idee a nulla varrebbe obiettare che l’art. 72, comma 8, quale espressione di interessi pubblicistici, miri ad assicurare una tutela speciale alle categorie di soggetti ivi contemplati in quanto il legislatore, quantomeno nel quadro della legge fallimentare, non si è mai spinto sino a prevedere il trasferimento del bene purgato in caso di fallimento del costruttore dei promissari acquirenti d’immobili da costruire adibiti ad abitazione principale o a sede principale dell’impresa.
Quanto infine all’ipotesi del preliminare oggetto di una domanda giudiziale trascritta prima del fallimento, pure in tal caso sembrerebbe di escludere un potere purgativo del giudice delegato, giacché il passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c. pone ormai la fattispecie al di fuori dal tema dei contratti pendenti ex art. 72 e ss. l.fall.: la sentenza è costitutiva e come tale già tiene
86 PUGLIATTI, Trasferimenti coattivi, cit., 306, il quale in tal senso rende gli esempi della facoltà di rendere comune un muro divisorio spettante al proprietario del fondo contiguo; dell’esercizio del diritto di prelazione legale con efficacia reale; dell’acquisto della proprietà del fondo enfiteutico da parte del domino utile che esercita il diritto di affranco, a termini dell’art. 1574.
87Ipotesi peraltro, come rilevato in dottrina, in cui vi è maggiore impatto pratico del problema della possibile compromissione delle ragioni dei creditori ipotecari visto che nelle altre ipotesi di subentro nel contratto preliminare vi è, a monte, una valutazione di convenienza da parte del curatore: cfr. XXXXXXXX, Cancellazione delle formalità ex art. 108 e “atti negoziali” del curatore, cit., 1462.
88 PUGLIATTI, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, cit.
luogo del contratto traslativo non concluso; pertanto non vi è più alcunché da adempiere da parte del curatore, non vi è alcun contratto in cui subentrare89.
In direzione diametralmente opposta, inducono a riconoscere un potere purgativo del giudice delegato, in tutte le ipotesi di subentro del curatore nel contratto preliminare, i più recenti orientamenti della Corte di legittimità e di parte della dottrina secondo cui elementi dirimenti per l’applicabilità della disciplina in tema di vendita forzata, compreso l’effetto purgativo, riguardano l’essere l’alienazione invito domino nonché realizzata in un contesto procedimentale in cui rilevano controlli di merito e di legittimità da parte degli organi della procedura, al di là delle forme con cui viene attuata l’alienazione.
4.3) La previsione dell’effetto purgativo correlato all’esecuzione del contratto preliminare nel codice della crisi e dell’impresa
Il codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della legge delega, ha previsto, all’art. 173, un’autonoma regolazione del contratto preliminare, anche in merito alla disciplina relativa agli immobili da costruire. Essi di norma seguono la disciplina generale prevista dall’art. 172 (sospensione del contratto in attesa della decisione del curatore circa il subentro o lo scioglimento) ma in alcune ipotesi tale criterio subisce deroghe. La norma revisiona, in particolare, alcune disposizioni contenute nell’art. 72, commi 3, 7, e 8 L.F. ed inserisce ulteriori precisazioni alla luce anche della più recente giurisprudenza di legittimità in tema di opponibilità della domanda di esecuzione in forma specifica trascritta prima dell’inizio della procedura.
In dettaglio, secondo l’art. 173, comma primo, del codice della crisi e delle imprese, il curatore può sciogliersi dal contratto preliminare anche qualora il promissario acquirente abbia proposto e trascritto prima dell’apertura della liquidazione giudiziale la domanda ex art. 2932 c,c,, ma lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene
89 Così XXXXXXX, La problematica cancellazione delle ipoteche iscritte in caso di subentro del curatore nel preliminare, cit. Tale Autore puntualizza che «non vi sarebbe alcun adempimento cui dovrebbe in ipotesi assolvere il curatore neppure ove la sentenza ex art. 2932 c.c. fosse condizionata e il promissario acquirente decidesse di pagare il prezzo oggetto della condizione. Infatti il pagamento determinerebbe in quel caso in modo automatico l’effetto traslativo prima condizionato (appunto a detto pagamento) senza alcuna necessità di formalizzazione da parte del curatore. Al più potrebbe ipotizzarsi – non già la rogitazione di un atto traslativo ormai sovrabbondante al cospetto di un giudicato costitutivo ex art. 2932 c.c. – ma la semplice redazione di un atto scritto e autenticato avente valore di ricevuta ai fini della sua (eventuale) trascrivibilità per rendere noto ai terzi l’intervenuto effetto traslativo verificatosi ex lege a seguito del pagamento, ossia del verificarsi dell’evento sub condicione. Ma certo un tale effetto traslativo automatico in nessun modo potrebbe qualificarsi come vendita, nettampoco giudiziale, che possa dirsi quindi soggetta alla disciplina dell’art. 108 l.fall.. In altre parole, non può in alcun modo - neppure in tal caso - ipotizzarsi che il giudice delegato ordini la cancellazione dell’ipoteca, atteso che la sentenza costitutiva è già passata in giudicato e l’effetto traslativo dipende da un mero atto non negoziale quale il pagamento». Secondo parte della dottrina non verrebbe in rilievo, in caso di passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c. il problema dell’effetto purgativo in quanto, alla luce degli art. 45 legge fall, 2652-2653, e 2915, secondo comma, c.c., gli effetti della pronunzia di accoglimento dell’azione di cui all’art. 2932 si saldano con l’effetto prenotativo prodotto dalla domanda giudiziale e, di conseguenza, il bene si considera uscito dal patrimonio del promittente venditore dal tempo della domanda (X.XXXXXX, La sorte dell’ipoteca sull’immobile venduto dal curatore per subentro nel preliminare stipulato dal fallito Dir. Fall., 2017, 3-4, 889). In senso contrario a quest’ultima opinione cfr. XXXXXXXX, op.cit., 1464, secondo cui in tale ipotesi «si discute non di effetti della sentenza ex art. 2932 c.c., ma di rapporto fra preliminare trascritto e definitivo. In definitivo qui trattiamo e siamo in presenza di una vendita concorsuale, non dell’effetto della pronunzia». Tale autore asserisce peraltro: «è proprio da quest’osservazione che si percepisce una possibile area di (ulteriore) criticità della soluzione offerta dall’orientamento» di cui a Cass. 3310/2017 in quanto «a fronte di soggetti entrambi promissari acquirenti aventi le medesime caratteristiche di cui all’ultimo comma dell’art. 72 cit., l’uno più diligente, che abbia promosso l’azione ex art. 2932 c.c. ante declaratoria di fallimento, si vedrà accolta la domanda ma non cancellate le formalità ed in particolare l’ipoteca; l’altro, meno sollecito, avrà diritto alla stipulazione del definitivo da parte del curatore, e otterrà la cancellazione ex art. 108 l. fall. (dormientibus iura succurunt?).»
successivamente accolta. Come rilevato dalla Relazione illustrativa, la soluzione adottata dal codice della crisi coniuga il rispetto dei principi in materia di trascrizione delle domande giudiziali e del relativo effetto prenotativo, con la salvaguardia delle ragioni della massa, nel caso in cui la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare non sia xxxxxxx00.
Qualora il contratto preliminare trascritto ex art. 2645 bis venga sciolto, ai sensi del secondo comma dell’art. 173, il promissario acquirente potrà presentare domanda di ammissione al passivo del proprio credito, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno, con privilegio ex art. 2775 bis cc; ciò a condizione, tuttavia, che gli effetti della trascrizione del preliminare non siano cessati prima della data di apertura della procedura.
Non può essere sciolto il contratto preliminare trascritto se abbia ad oggetto un immobile ad uso abitativo del promissario acquirente (o dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado) o non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dello stesso promissario acquirente, sempreché ricorra una duplice condizione, che rappresenta una novità rispetto al testo del previgente articolo: da un lato, gli effetti della trascrizione non devono essere cessati prima dell’apertura della procedura e, dall’altro lato, il promissario acquirente deve richiedere l’esecuzione nel termine e con le modalità per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi su beni compresi nella procedura91.
Nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita è previsto che l’immobile sia trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui si trova92.
Novità importante della disciplina in discorso riguarda l’espresso riconoscimento del potere purgativo in caso di subentro nel contratto preliminare, al fine, come si legge nella Relazione illustrativa, non solo di «tutelare l’interesse del promissario acquirente ad acquistare un bene
90Parte della dottrina ha precisato che le conseguenze dello scioglimento del contratto preliminare differiscono in base all’esito della domanda. Se questa viene accolta lo scioglimento del contratto da parte del curatore non è opponibile al promissario acquirente che ha ottenuto la sentenza di trasferimento del bene, il quale è sottratto alla massa attiva; se la domanda non è accolta, cessa l’effetto prenotativo della sua trascrizione e o scioglimento dal contratto diviene opponibile al promissario acquirente. La nuova disciplina non è condivisa da parte della dottrina la quale rileva che il curatore non potrà vendere il bene prima che la domanda ex art. 2932 sia accolta cfr. X. XXXXXX, La liquidazione giudiziale (art. 121-239), in Crisi di impresa e dell’insolvenza. Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, 2019, 140. Altra dottrina (X.XXXXXXX, La liquidazione giudiziale, in La riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Torino, 2019, 417), in senso che sembra adesivo, spiega come la formulazione della norma induca a ritenere che il curatore ancorché decida di sciogliersi dal contratto, dovrà necessariamente attendere l’esito della definitività della pronunzia che decide sulla domanda del promissario acquirente con ovvie ricadute negative sia in termini di maggiori oneri che matureranno sugli immobili appresi in liquidazione, sia in termini di allungamento dei tempi di chiusura.
91 BARANCA, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (a cura di Xxxxxxxxxx), Pisa, 2019, 166, secondo cui la novità in materia, dunque, riguarda l’introduzione di un’eccezione al limite di scioglimento: il curatore, anche quando l’immobile sia destinato a costituire l’abitazione principale o la sede principale dell’impresa del promissario acquirente potrà decidere se sciogliere il contratto preliminare laddove gli effetti della trascrizione siano cessati prima della data dell’apertura della liquidazione giudiziale e il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nel termine e con le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura. Chiarisce XXXXXXX, op. ult. cit., 91, la seconda condizione richiesta riconduce l’esecuzione del preliminare ad un onere di iniziativa del promissario acquirente e lo canalizza poi nell’alveo formale della verifica delle domande aventi ad oggetto i diritti sui beni anche perché, in questo modo, può trovare soluzione, secondo le regole generali, la questione di come possa trovare attuazione e soddisfazione l’interesse del promissario acquirente all’esecuzione specifica del contratto preliminare nei casi in cui il contratto abbia ad oggetto edifici in corso dai costruzione, di fatto non completabili dal curatore: è ragionevole ipotizzare, infatti, che in tal caso la domanda di esecuzione in forma specifica si converta in domanda di ammissione al passivo per l’equivalente pecuniario della prestazione mancata.
92 Ciò, come chiarisce parte della dottrina, serve per escludere qualunque rivendicazione basata su una discrasia tra lo stato effettuale dell’immobile e quanto era stato in origine contrattualmente previsto, discrasia di cui il curatore no è responsabile (XXXXXXX, op. ult. cit., 91)
libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli», ma anche di «dirimere i contrasti giurisprudenziali in ordine alla natura - coattiva o meno - della vendita effettuata dal curatore in adempimento del contratto preliminare». Pertanto, secondo l’art. 173, il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo.
Nondimeno, come chiarisce la Relazione suddetta, al fine di individuare un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela del promissario acquirente con la salvaguardia dell’interesse dei creditori, attesi anche i rilievi critici segnalati dalla giurisprudenza, secondo il dettato normativo di cui al quarto comma della norma richiamata “Gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato”.
Questa disciplina ha già suscitato, già nei primi commenti, diversi dubbi interpretativi93 e critiche circa la legittimità della scelta effettuata dal legislatore.
Ai nostri fini è d’uopo porre in evidenza che il legislatore non ha previsto sic et simpliciter un potere purgativo del giudice delegato in caso di subentro nel contratto preliminare, ma ha tentato di garantire una tutela ai creditori prelazionari, in ragione della mancanza dell’elemento della funzione liquidatoria nell’ipotesi in esame. Infatti, come contrappeso del potere purgativo ha previsto l’opponibilità alla massa degli acconti nella misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostri di aver versato prima dell’apertura della liquidazione giudiziale94.
93 Ci si può interrogare, tra l’altro, sulla prova degli acconti versati. Secondo parte della dottrina (XXXXXXXX, in Commento al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, a cura di D’Arrigo, Xx Xxxxxx, Xx Xxxxxx, Xxxxxx, I quaderni di inexecutivis, 2019, 235), tale dimostrazione dovrà essere effettuata alla luce della data certa.
94 Vd. XXXXXXX, ll nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Milano, 2019, 90 secondo cui, testualmente: Secondo parte della dottrina «il codice ha ritenuto di prevedere ora espressamente il potere del giudice delegato di cancellare il vincolo ipotecario (e in genere le iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché le trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo), ma questo ha potuto farlo solo in contropartita della sopra ricordata previsione secondo cui gli acconti che il promissario acquirente dimostri di aver pagato prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo. Tale previsione, infatti, impone all’acquirente di versare, oltre al residuo prezzo non ancora corrisposto, anche la metà di quello già pagato, il che basta senza dubbio a collocare il subentro del curatore fuori dalla logica del contratto, derogando al principio pacta sunt servanda, e traslando la fattispecie questa volta sì nell’ambito della liquidazione coattiva (visto che, imponendosi all’acquirente di riversare due volte lo stesso acconto, si stravolge il diritto quesito della sua anteriore posizione negoziale). Si tratta di una soluzione di compromesso che non assicura di per sé né una maggiore disponibilità della curatela a subentrare nei preliminari, né la concreta possibilità di farlo. Non la concreta possibilità di subentrare, anche quando il curatore opti per tale soluzione, poiché la previsione secondo cui gli acconti del promissario acquirente sono opponibili per la metà non rende più il curatore realmente libero di subentrare nel preliminare. Certo non ritengo possibile un diritto interdittivo del creditore ipotecario, poiché il diritto al subentro riguarda solo le parti contraenti, e non il terzo creditore garantito. Questi non potrebbe nemmeno lamentare un pregiudizio economico certo come effetto del subentro del curatore, potendo esservi o meno tale pregiudizio a seconda dei singoli casi, dovendo comunque considerarsi che il creditore ipotecario potrà far valere l’ipoteca su un prezzo residuo maggiore di quello letterale (dovendo a questo sommarsi la metà degli acconti). Ma non è escluso che, quando in concreto un pregiudizio sia riscontrabile, la possibilità di cancellare l’ipoteca costituisca una lesione del diritto di garanzia, suscettibile in ipotesi di farsi valere sul piano della illegittimità costituzionale. In ogni caso è certo, però che sarebbe il promissario acquirente ad avere il diritto di opporsi alla scelta del subentro da parte del curatore, poiché essa si pone fuori dalla legge del contratto. In altre parole, se il curatore …subentrasse rispettando le regole contrattuali e quindi riconoscesse per intero la pregressa situazione (accreditando per intero gli acconti prima ricevuti dal promittente venditore) l’acquirente non potrebbe sfuggire alla decisione del curatore, ma potrà farlo certamente quando il curatore pretenda di subentrare ex art. 173 accreditandogli solo la metà degli acconti pagati, non potendo essergli imposta una prestazione diversa e maggiore di quella cui si era obbligato anteriormente ex contractu. Di
Si tratta di una soluzione di compromesso95 di cui è già stata paventata l’illegittimità in virtù del riconoscimento “d’ufficio” dell’opponibilità di una somma percentuale prefissata, anziché dell’intero credito di cui il promissario acquirente riesca a fornire prova del pagamento96. Secondo altri, però, il pregiudizio del creditore ipotecario in caso di subentro nel contratto preliminare non è scontato ma dipende dalle circostanze legate ai singoli casi, giacché in ogni caso il creditore ipotecario dovrebbe poter far valere l’ipoteca su un prezzo residuo maggiore di quello letterale (dovendo a questo sommarsi la metà degli acconti). Ma non è escluso che, quando in concreto un pregiudizio sia riscontrabile, la possibilità di cancellare l’ipoteca costituisca una lesione del diritto di garanzia, suscettibile in ipotesi di farsi valere sul piano della illegittimità costituzionale97. Per altra dottrina, invece, nella logica della norma alla residua metà opponibile dell’acconto, che appunto l’acquirente non dovrà versare, corrisponderà a questo punto, e in difformità di uno dei punti critici della sentenza n. 3310/2017, un credito chirografario dell’ipotecario»98.
Orrore chiedersi se l’art. 173 CCI possa costituire uno strumento interpretativo in merito alla disciplina prevista per l’esecuzione del contratto preliminare nell’ambito della legge fallimentare.
Questa norma tenta di recidere il nodo gordiano che avvolge l’esigenza di ottenere un immobile libero, attesa sia la promessa contrattuale di cui al preliminare sia il contesto in cui avviene la vendita, e l’esigenza di garantire l’effettività della tutela dei creditori prelazionari, in ossequio alla realizzazione della responsabilità patrimoniale, quale cardine della vendita forzata.
A ben vedere, tale norma non appare decisiva ai fini interpretativi in discorso, poiché è suscettibile di una duplice lettura interpretativa.
Da un canto potrebbe ritenersi che la circostanza secondo cui tale norma leghi l’effetto purgativo ad una surrogazione e, quindi, ad una necessaria falcidia degli acconti versati, manifesta che nel sistema della legge fallimentare, in assenza di siffatta surrogazione, non possa prospettarsi un effetto purgativo: in quel sistema l’esecuzione del contratto preliminare rappresenta non una vendita forzata, ma un’esecuzione del contratto di diritto comune, alle medesime condizioni cui l’avrebbe eseguita il fallito.
Dall’altro canto, invece, potrebbe reputarsi che il legislatore sia intervenuto per risolvere il problema sulla posizione pregressa e codificare un effetto purgativo che già poteva ritenersi sussistente, sulla scorta della tesi secondo cui ogni vendita che avviene nell’ambito fallimentare è una vendita forzata e come tale beneficia della relativa disciplina.
5) Conclusioni: uno sguardo d’insieme su transazione immobiliare e subentro nel contratto preliminare
conseguenza, solo quando il promissario acquirente liberamente acconsenta al subentro del curatore secondo le nuove modalità previste dall’art. 173 del Codice, tale subentro potrà validamente ed efficacemente realizzarsi e determinare poi il potere del giudice delegato di disporre la cancellazione delle efficienze iscrizionali e trascrizionali.
95 XXXXXXXX, Cancellazione delle formalità ex art. 108 e “atti negoziali” del curatore, cit., 1464, secondo cui il legislatore sembrerebbe aver individuato una soluzione per così dire di sintesi e compromesso fra le due posizioni sopra riportate, risolvendo la questione della qualificazione della porzione di prezzo già corrisposta in acconto.
96 BARANCA, op.cit., 167.
97 Così vd. XXXXXXX, ll nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Milano, 2019, 90, secondo cui in ogni caso è certo, però, che sarebbe il promissario acquirente ad avere il diritto di opporsi alla scelta del subentro da parte del curatore, poiché essa si pone fuori dalla legge del contratto.
98CRIVELLI, op.ult.cit., 1464.
Nel corso del presente lavoro ci si è chiesto, in primo luogo, se e in quale misura siano ammissibili alienazioni immobiliari nell’ambito della procedura fallimentare al di fuori del canone di competitività che informa le vendite fallimentari.
In secondo luogo ci si è domandato se le stesse possano essere incluse nell’ambito della nozione di vendita forzata, tanto da beneficiare della disciplina ad essa applicabile, con particolare riguardo alla controversa operatività, in dottrina e in giurisprudenza, del cd effetto purgativo.
La scelta di esaminare congiuntamente transazione e subentro nel contratto preliminare è dovuta alla circostanza che in entrambi i casi vi è un trasferimento in cui è assente la funzione surrogatoria tipica della vendita forzata tanto da indurre a dubitare che si tratti di atti di liquidazione forzata che possano conseguentemente beneficiare del potere purgativo.
Tale esame congiunto, tuttavia, ha dapprima richiesto di analizzare partitamente il trasferimento attuato mediante negozio transattivo e il subentro nel contratto preliminare.
In via ancora preliminare è stato sottolineato come l’annoverabilità anche delle vendite competitive nel genus della vendita forzata, nell’assenza di una norma espressa che abbia ricondotto gli stessi effetti del decreto di trasferimento all’atto notarile che realizza la vendita competitiva stessa, costituisca il frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale secondo cui ogni vendita effettuata in sede concorsuale, indipendentemente dal dato formale che abbia struttura di provvedimento o di negozio, è vendita giudiziaria principalmente poiché avviene invito domino, nell’ambito di un contesto procedimentalizzato e al fine di attuare la responsabilità patrimoniale.
Ai fini del tema in esame però è sembrato dirimente più che la medesima natura del decreto giudiziale e dell’atto notarile che realizzano la vendita fallimentare, riflettere sulla sostanza di atti di alienazione immobiliare che, pur inserendosi nell’ambito delle vendite fallimentari, non sono preceduti da una fase espropriativa né hanno una funzione liquidativa.
Così si è cercato di porre in luce i connotati essenziali della vendita forzata e, in particolare, se ne è rimarcato lo scopo surrogatorio quale ragione dell’effetto purgativo. In merito si è osservato che il potere purgativo è relativo ad atti di liquidazione forzata e rende il bene oggetto della vendita forzata libero dai vincoli che hanno esaurito il loro scopo di garanzia, trasferendosi appunto dal bene al prezzo della vendita. Tale funzione di monetizzazione è funzionale agli scopi del processo esecutivo e fallimentare in quanto consente di distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole del concorso.
In virtù del conseguimento di tale scopo, la profonda evoluzione giurisprudenziale, scientifica e normativa ha condotto nel corso dei tempi a perfezionare le forme della vendita giudiziaria onde ottenere il prezzo migliore nel tempo minore possibile. Con specifico riguardo alla vendita fallimentare tale evoluzione ha portato alla consacrazione del principio di competitività.
Alla luce di tale principio si è ritenuta nulla la vendita a trattativa privata nell’ambito del processo fallimentare. Tale ordine di considerazione ha portato la dottrina e la giurisprudenza a interrogarsi sulla validità dei negozi transattivi con cui si addivenga ad un’alienazione immobiliare in ambito fallimentare, chiedendosi se essi non simulassero vendite a trattativa privata.
Delineati i dubbi registrati nel panorama dottrinale e giurisprudenziale, nel presente studio si sostiene che non può ritenersi aprioristicamente nulla o, al contrario, legittima la transazione immobiliare nell’ambito della vendita fallimentare. Tale valutazione può invece essere condotta in concreto, verificando se ricorrano o meno nella vicenda in esame i requisiti necessari per integrare
una transazione effettiva e non fittizia, tra cui la sussistenza di una lite e delle reciproche concessioni.
In particolare, secondo la tesi qui sostenuta, è legittimo il trasferimento immobiliare transattivo nella procedura concorsuale ove si tratti di una transazione effettiva, prescelta dal curatore come strada migliore nell’ambito della strategia liquidativa, autorizzata dal comitato dei creditori e sottoposta al controllo di legittimità del giudice delegato.
Più in particolare, sono stati rilevati i seguenti indici a sostegno della legittimità di tale transazione:
a) in primo luogo, la necessità che la pretesa sottesa alle reciproche concessioni costituisca oggetto di opposizione allo stato passivo circoscrive il rischio di elusione delle norme imperative che governano la fase liquidativa dell’attivo fallimentare sotto lo scudo di transazioni fittizie;
b) in secondo luogo, la transazione deve superare il vaglio di merito del comitato dei creditori e quello di legittimità del giudice delegato, salvo, come precisato sopra, che non si versi in ipotesi di assenza del comitato dei creditori, in merito alla quale, a sorreggere l’atto transattivo, vi sarebbe solo l’autorizzazione del giudice delegato;
c) in terzo luogo, proprio la considerazione degli interessi dei singoli creditori potrebbe riflettersi sul piano del controllo di legittimità rimesso al giudice delegato e condurre a ritenere che la finalità pubblicistica della realizzazione della garanzia patrimoniale in tal caso condizioni il rapporto di proporzionalità tra le reciproche concessioni.
Si è puntualizzato che, sebbene la valutazione in ordine alla sussistenza di una vera e propria transazione competa agli organi della procedura fallimentare, naturalmente residua al notaio che venga chiamato a ricevere o ad autenticare un atto transattivo nell’ambito della procedura fallimentare il potere - dovere di valutare la concreta utilizzabilità dell’autorizzazione giudiziale, al pari di quanto accade in altre ipotesi (a titolo esemplificativo si pensi ai procedimenti di volontaria giurisdizione); nondimeno, il notaio non può entrare in valutazioni di ordine fattuale rimesse agli organi della procedura, ma - soprattutto ove ritenga presenti eventuali nullità - può legittimamente ritenere il provvedimento giudiziario inidoneo ai fini dell’atto di cui gli sia richiesta la stipula.
A questo punto, si sono raffigurati gli interrogativi della dottrina e della giurisprudenza circa la natura di siffatta transazione, distinguendo in linea di principio due orientamenti opposti.
Secondo il primo orientamento, la transazione in ambito fallimentare è ammissibile ove rappresenti, secondo gli organi della procedura, la via più spedita ed agevole per procedere alla liquidazione dell’attivo; nondimeno essa riveste carattere negoziale. Conseguentemente non consente l’esplicarsi del potere purgativo da parte del giudice delegato ma, affinché il bene sia trasferito libero da vincoli occorre che vi sia il consenso del creditore prelazionario, ipotesi verificabile se il creditore sia chiamato a partecipare alla transazione, in guisa che venga rinegoziata la garanzia reale. Al di là di questa ipotesi, il bene verrebbe trasferito con la garanzia ipotecaria e il connesso diritto di sequela del creditore ipotecario. Come osservato non sembrerebbe invocabile, per ottenere un trasferimento transattivo del bene libero da vincoli ipotecari, la norma di cui all’art. 35 legge fall. che annovera (anche) la cancellazione dell’ipoteca tra gli atti che il curatore può effettuare con l’autorizzazione del comitato dei creditori. Questa norma sembra infatti non derogare ai principi generali in tema di cancellazione di ipoteche, e in
particolare alla norma di cui all’art. 2883 c.c. in base alla quale i cd amministratori necessari (tra cui vi è anche il curatore fallimentare), ancorché autorizzati ad eseguire il credito e a liberare il debitore, non possono consentire la cancellazione dell’iscrizione ove il credito non sia soddisfatto. In questa prospettiva, pertanto, il potere di cancellare l’ipoteca ex art. 35 legge fall. sembrerebbe invocabile qualora sia stato soddisfatto il credito assistito dalla garanzia ipotecaria della cui cancellazione si tratti.
Si è visto come l’orientamento contrario postula che la transazione immobiliare debitamente autorizzata, poiché avviene “invito domino” e nell’ambito di un contesto procedimentalizzato, con i connessi controlli e autorizzazioni, rappresenti uno strumento di liquidazione dell’attivo fallimentare in guisa da legittimare il potere purgativo. Tale orientamento sembra avvalorato da alcune pronunzie della Corte di legittimità le quali, invero senza una estesa disamina degli atti di liquidazione forzata e della ragione del potere purgativo, hanno affermato che ogni vendita effettuata in sede concorsuale rappresenta una vendita giudiziaria, atteso che le alienazioni fallimentari prescindono dal consenso e da qualsiasi attività del debitore. Sarebbe in tale prospettiva legittimo il provvedimento purgativo che, nel contesto di un’effettiva transazione traslativa, autorizzasse la purgazione dei gravami esistenti sul bene trasferito, sempreché, quantomeno secondo le opinioni più prudenti, gli organi della procedura controllino che non ne risulti alterata la par condicio creditorum.
Tanto rappresentato, rimarcata la delicatezza del profilo in esame, non si è neanche esclusa la percorribilità di una prospettiva ancora diversa, tendente ad escludere che si possa effettuare una valutazione unitaria in relazione all’operatività dell’effetto purgativo, prescindendo dalle regole di conflitto che vengono in rilievo in funzione della lite. È infatti possibile prospettare una pluralità di contestazioni dedotte nelle reciproche concessioni cui corrisponderebbero altrettante regole di risoluzione del conflitto. Questa possibile eterogeneità delle impedisce di postulare un regime unico relativo all’effetto purgativo della transazione. Ciò nonostante si è osservato che, in xxx xx xxxxxxxxx, x xxxxxx xxx xxxxxx normativo attualmente esistente, appare difficile estendere l’operatività dell’effetto purgativo in assenza della funzione di surrogazione del bene nel prezzo.
Contrasto interpretativo del medesimo tenore si è rinvenuto in relazione alle varie ipotesi di subentro nel contratto preliminare previste nell’ambito della legge fallimentare. Ci si è domandato, rispetto ad ognuna di essa, se vi siano i caratteri di coattività oppure no, illustrando anche qui due orientamenti contrapposti.
Secondo un primo indirizzo interpretativo, l’alienazione di un bene immobile, in esecuzione di un preliminare stipulato dal fallito, ed effettuata dal curatore fallimentare con la autorizzazione del comitato dei creditori, rientra nell’ambito dell’attività liquidatoria che il curatore è tenuto a compiere nel corso della procedura concorsuale, anche se non effettuata secondo le regole della esecuzione forzata individuale o con le procedure competitive. Per questa ragione si è ritenuto plausibile che l’esecuzione del preliminare integri, sia pure con riferimento ad un singolo bene, un atto di liquidazione dell’attivo fallimentare anche se posto in essere con modalità diverse da quelle previste dall’art. 107 l.f. e pertanto si è affermato che l’attività di alienazione del curatore, in esecuzione del preliminare, possa essere disciplinata, quanto meno sotto il profilo della cancellazione dei gravami, dalla norma di cui all’art. 108 L.F
Ad avviso di un diverso orientamento, nel caso del subentro del curatore, questi si inserisce nel medesimo rapporto contrattuale e nella stessa posizione del fallito e deve adempiere alle obbligazioni che gli facevano carico, senza alcuna possibile deroga che derivi dalla possibilità di invocare la norma di cui all’art. 108, comma 2, che autorizza la purgazione delle iscrizioni pregiudizievoli rispondendo alla ratio di liquidare l’immobile e trasferirlo all’acquirente libero da
pesi e vincoli proprio per effetto del concorso e della natura coattiva del procedimento di vendita. Peraltro, opinare diversamente potrebbe determinare una ingiustificata lesione degli interessi del curatore ipotecario, il quale, in violazione del diritto di sequela, che dovrebbe consentirgli di rivalersi sull’immobile acquisito dal terzo, si vedrebbe costretto a concorrere solo sulla frazione del prezzo – valore dell’immobile pagata dal promissario al fallito quando era in bonis. Un tale risultato economicamente penalizzante per il creditore ipotecario, rispetto al quale la vicenda circolatoria dovrebbe invece restare indifferente proprio per il diritto di sequela di cui dispone, non è concepibile al di fuori di una procedura coattiva aperta al mercato e finalizzata al realizzo dell’intero prezzo, solo in presenza della quale l’ottenimento di un prezzo di vendita eventualmente inferiore al credito ipotecariamente garantito potrebbe giustificare la conseguente perdita economica subita dal creditore iscritto.
Sintetizzati così i due orientamenti diametralmente opposti, deve riconoscersi la difficoltà di assumere una posizione netta in relazione a questa questione interpretativa, per la presenza di un conflitto che sembra inestricabile tra l’esigenza di tutela del promissario acquirente e quella del creditore ipotecario. Laddove in occasione del contratto preliminare sia corrisposto un acconto consistente, accogliendo la tesi sul riconoscimento del potere purgativo, le ragioni del creditore ipotecario sarebbero svilite, potendo farsi valere solo sul saldo corrisposto al curatore. Riconoscere a tale alienazione carattere coattivo solo perché è inserita in un contesto procedimentale sembra non considerare che in tal caso è assente, in tutto o in parte, la funzione liquidatoria della vendita che sembrerebbe costituire la ragione del potere purgativo del giudice delegato. Laddove si ritenga che il potere purgativo del giudice delegato tragga il suo fondamento dalla funzione liquidatoria della vendita, difficilmente potrebbe qualificarsi l’atto di subentro volontario del curatore quale atto di liquidazione dell’attivo fallimentare dell’esecuzione del preliminare. Non vi è finalità liquidatoria specie se vengono dedotti dal residuo prezzo da pagare degli acconti di rilevante importo, versati quando il fallito era in bonis, i quali non sono ormai recuperabili alla massa attiva. In quest’ottica, tale alienazione non potrebbe dunque beneficiare di una disposizione che affonda la sua radice giustificativa nella funzione liquidatoria della vendita coattiva.
Con ciò non può negarsi che l’attuale evoluzione della normativa e della giurisprudenza sembra deponga per la maggiore valorizzazione del “contesto procedimentalizzato” in cui sono inserite tali alienazioni, le quali, secondo recenti pronunzie giurisprudenziali e parte della dottrina, perciò dovrebbero beneficare della disciplina relativa alle vendite coattive, compreso l’effetto purgativo. In quest’ottica, il contesto giurisdizionale e l’irrilevanza del consenso dell’alienante conserverebbero valore preminente ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile alla vendita, di guisa che possa conseguirne la liberazione dell’immobile dai diritti reali iscritti.
Si è visto però come il legislatore del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza abbia previsto, all’art. 173, il potere purgativo del giudice delegato in ipotesi di subentro nel preliminare non senza premurarsi di assicurare (con previsione di cui si è paventata l’illegittimità costituzionale) un contrappeso alla tutela dei creditori ipotecari individuato nell’opponibilità alla massa della sola metà degli acconti che il promissario acquirente dimostri di aver versato anteriormente all’apertura della liquidazione giudiziale.
Questa norma tenta di recidere il nodo gordiano che avvolge l’esigenza di ottenere un immobile libero, attesa sia la promessa contrattuale di cui al preliminare sia l’ambito in cui avviene la vendita, e l’esigenza di garantire una tutela effettiva ai creditori ipotecari, in ossequio alla realizzazione della responsabilità patrimoniale sottesa al fondamento stesso di vendita forzata.
La stessa, tuttavia, non appare decisiva ai fini della sussistenza o meno dell’effetto purgativo in ipotesi di subentro nel preliminare. Come visto, può infatti segnalarsi una duplice chiave di lettura sulla possibile valenza interpretativa di questa norma.
Da un canto potrebbe osservarsi che la circostanza secondo cui tale norma leghi l’effetto purgativo ad una surrogazione e, quindi, ad una necessaria falcidia degli acconti versati, manifesta che nel sistema della legge fallimentare, in assenza di siffatta surrogazione, non possa prospettarsi un effetto purgativo.
Dall’altro canto, invece, potrebbe reputarsi che il legislatore sia intervenuto anche per risolvere il problema sulla posizione pregressa codificando un effetto purgativo che già, secondo la disciplina della legge fallimentare, può e poteva ritenersi sussistente, sulla scorta della tesi secondo cui ogni vendita che avviene nell’ambito fallimentare è una vendita forzata e, come tale, beneficia della relativa disciplina.
In conclusione, l’indagine congiunta della transazione e del subentro nel contratto preliminare nell’ambito della procedura fallimentare ha condotto a ricondurre la ragione dell’effetto purgativo alla surrogazione del bene venduto nel prezzo versato, finalizzata al soddisfacimento dei creditori secondo le regole della par condicio creditorum. Consequenziale a tale analisi e rispettosa dei diritti dei creditori ipotecari sembrerebbe - in assenza di norme espresse e alla luce dell’attuale impianto dottrinale e giurisprudenziale - l’affermazione secondo cui soltanto gli atti di liquidazione forzata possano beneficiare di disposizioni che ad essi propriamente si riferiscano e dunque dell’effetto purgativo che colpirebbe i vincoli che con la vendita hanno esaurito il loro scopo di garanzia. Alla luce delle norme e dei principi generali in tema di ipoteca, sembrano invece destinati a sopravvivere al fallimento i diritti dei creditori ipotecari laddove sia assente la funzione di liquidazione, a meno che i creditori stessi non partecipino all’accordo, prestando il proprio consenso alla cancellazione dell’ipoteca.
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