Le collaborazioni coordinate e continuative con i lavoratori extracomunitari
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Le collaborazioni coordinate e continuative con i lavoratori extracomunitari
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a cura di Xxxxxxxxxx Xxxxx – Funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena
Il recente intervento della Direzione generale dell’immigrazione del Ministero del Lavoro, nota n.3361 del 22 luglio 2010, che consente la conversione del permesso di soggiorno da motivi di studio a lavoro autonomo per avviare un contratto di collaborazione a progetto, assume un particolare rilievo nel quadro delle difficili procedure di ingresso per lavoro autonomo, che non offrono molti spazi per l’instaurazione di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con uno straniero residente all’estero.
Le procedure di ingresso per i collaboratori autonomi extracomunitari
L’importanza dell’intervento della Direzione generale dell’immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che con una nota del 22 luglio 2010 ha consentito la conversione del permesso di soggiorno da motivi studio a lavoro autonomo a fronte di un’offerta di collaborazione a progetto, si coglie appieno conoscendo le procedure di ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo e le difficoltà che esse attualmente presentano per chi vuole venire in Italia per avviare un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Per i collaboratori provenienti da Paesi comunitari o “neo-comunitari”, non ci sono particolari problemi: la libertà di iniziativa economica garantita nell’ambito dell’Unione europea, assicura ai cittadini degli Stati membri la possibilità di stabilirsi in qualsiasi altro Paese dell’Unione, per esercitarvi qualsiasi attività di lavoro autonomo, anche in forma di collaborazione coordinata e continuativa, alle medesime condizioni dei cittadini di quel Paese. Ad avviso di chi scrive, ciò deve valere anche per i cittadini dei Paesi di più recente adesione alla Ue, che pertanto potranno instaurare un rapporto di collaborazione autonoma senza necessità del nulla-osta richiesto, in molti settori, per l’assunzione dei dipendenti neo-comunitari (naturalmente a condizione che la collaborazione sia genuinamente autonoma).
I cittadini di Paesi non appartenenti alla Ue, invece, qualora intendano svolgere un’attività di lavoro autonomo nel territorio italiano, devono procurarsi, anche tramite un delegato, tutta la documentazione prescritta dall’art.26 del D.Lgs. n.286/98 (Testo unico in materia di immigrazione) e dall’art.39 del DPR n.394/99 (Regolamento in materia di immigrazione):
1) l’attestazione rilasciata dall’Ordine o Albo professionale o dalla competente autorità amministrativa, in data non anteriore a tre mesi, della non sussistenza di motivi ostativi all’esercizio dell’attività (salvo il permesso di soggiorno), qualora essa richieda il possesso autorizzazioni o licenze o l’iscrizione in apposito registri o albi o la presentazione di una dichiarazione o denuncia o altro adempimento amministrativo o il riconoscimento di titoli professionali esteri;
× Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione pubblica di appartenenza.
2) l’attestazione rilasciata dalla Camera di commercio, dei parametri economici relativi alla disponibilità di risorse finanziarie sufficienti all’esercizio di tale attività e comunque non inferiori all’importo dell’assegno sociale;
3) il nulla osta rilasciato dalla Questura (entro 20 giorni), verificata la disponibilità di un alloggio idoneo e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria;
4) il visto d’ingresso per lavoro autonomo, apposto sul passaporto dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel suo Paese (entro 120 giorni);
5) infine, allegare la suddetta documentazione, alla richiesta di permesso di soggiorno per lavoro autonomo, da inoltrare a mezzo posta, entro otto giorni dall’ingresso in Italia, utilizzando l’apposito kit distribuito presso gli uffici postali abilitati (“Sportello amico”).
L’ingresso per lavoro autonomo può essere consentito anche a stranieri che intendano operare come soci prestatori d’opera presso società, anche cooperative, purché costituite da almeno tre anni (art.39, DPR n.394/99).
Nel caso di collaborazioni coordinate e continuative e, più in generale, per tutte quelle attività autonome che non richiedano l’iscrizione nel registro delle imprese o qualsiasi altro adempimento abilitante, la richiesta del visto d’ingresso dev’essere corredata della seguente ulteriore documentazione:
a) contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che preveda un compenso non inferiore al minimo di legge (di cui ai precedenti punti 2 e 3);
b) certificato di iscrizione alla camera di commercio della ditta committente;
c) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal committente o dell’ultimo bilancio depositato, se si tratta di una società di capitali;
d) dichiarazione di responsabilità sulla natura genuinamente autonoma e non subordinata della prestazione, vistata dalla Direzione Provinciale del Lavoro, per i dovuti controlli (Decreto del Ministero degli Esteri del 12/07/2000, G.U. 01/08/2000, all.A, punto 9).
Il visto d’ingresso, in ogni caso, viene rilasciato solo nei limiti delle quote d’ingresso per lavoro autonomo annualmente stabilite dal Governo, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, a norma dell’art.26, co.5, del D.Lgs. n.286/98. Pertanto è possibile che il lavoratore autonomo scopra, solo al termine di tutta la trafila, che le quote d’ingresso disponibili sono esaurite e che dovrà ritentare l’anno successivo, procurandosi nuovamente tutta la documentazione necessaria (che ha una validità limitata nel tempo). È bene sapere, quindi, che ormai da anni il decreto sui flussi migratori prevede quote d’ingresso solo per determinate categorie di lavoratori autonomi (D.P.C.M. 01/04/2010):
◗ imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana; |
◗ liberi professionisti (con il nulla osta del competente ordine o albo professionale); |
◗ soci e amministratori di società non cooperative (esistenti da almeno tre anni); |
◗ artisti altamente qualificati e di chiara fama internazionale; |
◗ artigiani provenienti da Paesi extracomunitari che contribuiscono finanziariamente agli investimenti effettuati dai propri cittadini sul territorio italiano. |
Al di fuori di queste ristrette categorie, come rammenta la Direzione generale per l’immigrazione del Ministero del Lavoro, attualmente non sono previste quote d’ingresso per i collaboratori autonomi ed in particolare per i contratti di collaborazione a progetto.
In verità, una limitata possibilità d’ingresso può ravvisarsi nell’ambito della categoria dei liberi professionisti, che possono improntare la propria attività professionale anche nella forma della collaborazione coordinata e continuativa con un “cliente importante”.
La conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro autonomo
La difficoltà di ottenere il visto d’ingresso per avviare una collaborazione autonoma rende ancor più importante la possibilità offerta dalla Direzione generale dell’immigrazione del Ministero del Lavoro, agli studenti stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia, di ottenere la conversione del loro permesso di soggiorno per motivi di studio, in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, al fine di instaurare una collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità del “lavoro a progetto” (Min. Lavoro, 22/07/2010, prot. n.23/II/3361/06).
Essa può rappresentare senza dubbio una soluzione per trattenere i lavoratori autonomi più qualificati, fermo restando, naturalmente, il doveroso controllo da parte delle Direzioni Provinciali del Lavoro sulla disponibilità nell’ambito delle quote stabilite dal Governo (1˙500 per l’anno 2010 ex art.2 del D.P.C.M. 01/04/2010) e sulla natura effettivamente autonoma del contratto, attraverso un’attenta verifica dei suoi requisiti qualificanti.
Tale nuova apertura, oltretutto, fa seguito al precedente riconoscimento, da parte del Ministero dell’interno (parere del 30/01/2009, prot. n.490), della possibilità per i titolari di permesso di soggiorno per studio di svolgere brevi collaborazioni coordinate e continuative, fino a 1040 ore annue, analogamente a quanto previsto per il lavoro subordinato a norma dell’art.14 del Regolamento.
Certamente la limitazione oraria può destare qualche perplessità, in relazione a una tipologia contrattuale che prescinde dal tempo impiegato e per la quale non è previsto alcun obbligo di registrazione delle ore di lavoro, tuttavia è pur sempre possibile un controllo “sul campo”, per verificare in concreto quale sia l’effettivo impegno orario che il contratto comporta, senza considerare che un impegno eccessivo risulterebbe incompatibile con il profitto scolastico necessario per il mantenimento ed il rinnovo del permesso per studio. In ogni caso, è sicuramente contenuta nel limite di legge una collaborazione di durata non superiore a sei mesi, anche se comportasse un impegno “a tempo pieno”, di quaranta ore settimanali, per ventisei settimane (40 x 26=1040).
Senza dubbio, tali brevi collaborazioni potrebbero essere un “assaggio” della futura professione e favorire la possibilità per lo studente straniero, terminati gli studi, di ottenere la conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro autonomo (si pensi ad esempio allo studente o al neo-laureato in medicina, che intraprenda alcune brevi collaborazioni con uno studio professionale, dal quale potrà poi ricevere un’offerta di collaborazione duratura, che gli consentirà di ottenere la conversione del permesso di soggiorno).
L’istanza di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione professionale in permesso per lavoro autonomo va inoltrata per via telematica, utilizzando la modulistica reperibile sul sito del Ministero dell’Interno (“mod.Z”), allo Sportello unico per l’immigrazione del luogo di residenza del lavoratore straniero, indipendentemente dal luogo di lavoro, come chiarito dalla circolare ministeriale n.1/08.
Nei limiti delle quote disponibili, lo straniero viene convocato presso lo Sportello unico per l’immigrazione per richiedere personalmente il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo ed essere informato in merito alla data in cui potrà ritirarlo presso la Questura (come si legge nelle istruzioni reperibili sul sito xxx.xxxxxxx.xx).
Si segnala, però, che il rilascio del permesso di soggiorno richiede la verifica dei relativi presupposti di legge e pertanto, in occasione della convocazione presso lo Sportello unico per l’immigrazione, dovrà essere presentata la seguente documentazione:
€ l’eventuale nulla-osta dell’Ordine o Albo professionale o della competente autorità amministrativa, qualora l’attività richieda un’autorizzazione o licenza o l’iscrizione in appositi registri o albi o simili adempimenti amministrativi;
€ l’attestazione da parte della Camera di Commercio dei parametri economici relativi alla disponibilità delle risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio dell’attività;
€ la documentazione attestante la disponibilità di risorse adeguate ad intraprendere l’attività e comunque di una somma non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;
€ la documentazione attestante la disponibilità di un alloggio adeguato.
La necessaria verifica della disponibilità di quote rende di fatto estremamente difficile riuscire ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno poiché, considerata la rapidità con cui si esauriscono le quote d’ingresso, è improbabile che l’occasione di lavoro arrivi proprio nel brevissimo lasso di tempo in cui vi sono ancora quote disponibili ed anche che il committente sia disposto a pazientare fino all’emanazione del successivo decreto sui flussi migratori.
Per ovviare a questo inconveniente, in due casi la normativa prevede che il permesso di soggiorno possa essere convertito fin da subito, senza attendere l’emanazione delle successive quote d’ingresso, le quali saranno poi decurtate in misura pari al numero dei permessi di soggiorno così convertiti. Per fruire di tale beneficio, lo studente straniero deve fare istanza utilizzando il modello “Z2” e trovarsi in una delle seguenti condizioni:
a) essere stato regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al raggiungimento della maggiore età (e quindi titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari);
b) avere conseguito il diploma di laurea o di laurea specialistica in Italia.
Al di fuori di queste ipotesi, la conversione del permesso di soggiorno per studio rimane di fatto impraticabile, come dimostra anche la scritta che da tempo campeggia sul sito del Ministero dell’interno: “istanza al momento non ammessa per assenza di quote per l'anno in corso” (xxxxx://xxxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx).
I casi particolari di ingresso “fuori quota” per lavoro autonomo
La difficoltà di ottenere il visto d’ingresso per avviare una collaborazione autonoma rende particolarmente importanti i casi particolari di ingresso “fuori quota” previsti dall’art.27 del D.Lgs. n.286/98 (Testo Unico in materia di immigrazione) e dall’art.40 del DPR n.394/99 (Regolamento di attuazione del Testo unico).
L’art.40, co.22, del Regolamento consente di fare ingresso nel territori italiano, al di fuori delle quote stabilite dal Governo, per svolgere un’attività di lavoro autonomo che rientri in una delle prime quattro categorie individuate dall’art.27 del Testo unico:
a) dirigenti e personale altamente specializzato, con almeno sei mesi di esperienza nel settore;
b) lettori universitari di scambio o madre lingua, a richiesta dell’università o dell’istituto di istruzione superiore o di ricerca, pubblico o privato, che ne attesti la professionalità;
c) professori e ricercatori universitari, a richiesta dell’università o dell’istituto di istruzione superiore o di ricerca, pubblico o privato, che ne attesti la professionalità;
d) traduttori e interpreti, in possesso di un titolo di studio o di un attestato professionale specifico per le lingue richieste (di cui presumibilmente, ma non necessariamente, una sarà l’italiano) rilasciati da una scuola statale o un ente pubblico o un istituto paritario riconosciuto dalla legislazione vigente nel luogo dove esso è stato rilasciato.
Il permesso di soggiorno “fuori quota”, in ogni caso, non può essere utilizzato per l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro (art.40, co.23 del Regolamento). Ad avviso di chi scrive, fino a più autorevole indicazione, si ritiene che l’autorizzazione non possa
essere rilasciata con le modalità previste per i casi di ingresso “fuori quota” per lavoro subordinato (che oltretutto imporrebbero l’inesigibile stipula del “contratto di soggiorno per lavoro subordinato”), bensì con quelle previste per il lavoro autonomo.
L’istanza dovrà quindi essere presentata alla Questura territorialmente competente, allegando tutta la documentazione normalmente richiesta per tale tipologia di ingresso: dall’eventuale abilitazione professionale, alla disponibilità di un alloggio e di risorse economiche adeguate e comunque non inferiori all’importo annuo dell’assegno sociale, senza tralasciare la documentazione relativa all’azienda committente, normalmente richiesta per tutte le collaborazioni coordinate e continuative (certificato della camera di commercio; ultima dichiarazione dei redditi; ultimo bilancio depositato).
Dovrà inoltre essere corredata dell’ulteriore documentazione necessaria a comprovare la sussistenza dei presupposti previsti per fruire dello specifico caso particolare di ingresso “fuori quota”, di cui alle precedenti lettere da a) a d), tenendo presente che non è possibile ricorrere alla “autocertificazione” di stati, fatti e qualità personali non verificabili da parte delle competenti autorità italiane e che le certificazioni delle autorità estere devono essere tradotte e legalizzate dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana in quel Paese (come prevede l’art.2 del Regolamento).
Dovrà essere allegato, infine, il contratto che lo straniero è chiamato a svolgere in Italia, preventivamente certificato dalla Direzione Provinciale del Lavoro, al fine di verificare che non si tratti invece di un rapporto di lavoro subordinato (art.40, co.22 del Regolamento). La procedura di ingresso per lavoro autonomo, infatti, a differenza di quella per lavoro subordinato, non coinvolge lo Sportello unico per l’immigrazione e quindi alla Direzione Provinciale del Lavoro viene affidato un ruolo, per così dire, di consulenza esterna.
Letteralmente, la disposizione potrebbe far riferimento alla certificazione dei contratti di lavoro introdotta dalla c.d. “Riforma Biagi” (Art.76 del D.Lgs. n.276/03), la quale, tuttavia, richiede una procedura complessa e lunga fino a trenta giorni, la convocazione di una Commissione di certificazione composta di ben nove membri e la comparizione personale delle parti, che risulterebbe problematica per un lavoratore straniero privo del permesso di soggiorno, anche se il presidente della commissione, per comprovati motivi, può consentire alle parti di farsi rappresentare da un delegato (art.5, co.3, D.M. 21/07/2004). Potrebbe ritenersi, però, che la norma abbia inteso introdurre un nuovo e diverso provvedimento di certificazione, rilasciato solo a questi fini dalla Direzione Provinciale del Lavoro, senza la necessità di convocare i nove membri della commissione di certificazione, né le parti, con procedure ed effetti assolutamente diversi da quelli previsti dalla “Riforma Biagi”. In proposito sarebbe quantomai necessario un autorevole chiarimento ministeriale.
Collaboratori regolarmente soggiornanti ad altro titolo
In conclusione, la difficoltà di ottenere il visto d’ingresso dall’estero per avviare una collaborazione autonoma non deve indurre nell’equivoco che non sia possibile stipulare un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un lavoratore straniero già regolarmente soggiornante, in virtù di un permesso di soggiorno ottenuto anche ad altro titolo. Oltre al lavoro autonomo, infatti, vi sono anche diversi altri motivi di soggiorno che consentono di svolgere qualunque attività lavorativa11:
€ lavoro subordinato (non stagionale) o attesa occupazione;
€ motivi familiari, adozione ed affidamento;
€ motivi umanitari, protezione sociale, asilo politico;
€ studio e formazione professionale (fino a 1040 ore annue).
11 Artt.6 e 18, co.5 del Testo unico; art.14 del Regolamento.