La nullità “congenita” delle fideiussioni a garanzia delle operazioni bancarie per violazione delle norme antitrust
La nullità “congenita” delle fideiussioni a garanzia delle operazioni bancarie per violazione delle norme antitrust
LO SCHEMA CONTRATTUALE DELLE FIDEIUSSIONI BANCARIE PUÒ ESSERE MINATO NELLA PROPRIA VALIDITÀ DA UNA GRAVE IRREGOLARITÀ, CHE PUÒ RENDERE INOPERANTE LA GARANZIA
1. La fideiussione è lo strumento tipo che viene richiesto dalle banche per essere tenute indenni dal rischio dell’insolvenza del debitore garantito, in relazione al complesso dei rapporti che quest’ultimo ha con la banca medesima.
Quando le valutazioni sul merito di credito segnalano elementi di incertezza, circa la capacità di rimborso del debitore e non sono disponibili garanzie di natura reale (ipoteche immobiliari), se si vuole accedere al credito bancario, la fideiussione è inevitabile. Da un’indagine di Banca d’Italia, è emerso che nel dicembre dell’anno 2003, le garanzie personali erano presenti nel 18 per cento del totale dei crediti erogati dal sistema bancario.
Nella maggior parte dei casi, il fideiussore vive in una sorta di anestetizzata consapevolezza e si riattiva, con ansia e preoccupazione, soltanto quando la banca escute la garanzia. Di questa, il sottoscrittore conosce l’importo massimo garantito e sa che dovrà far fronte al pagamento a semplice richiesta della banca, senza nulla poter dire e
poco più. Tutte le altre condizioni presenti nel documento sottoscritto, si danno per scontate e le si considerano un male necessario e “inevitabile”, d’altronde, si sente spesso dire dai fideiussori: “non avevo scelta”. Questo è il problema di cui ci occupiamo oggi.
Il presente articolo si propone di dare visibilità alle conseguenze che derivano dalla imposizione del sistema bancario di modelli contrattuali omogenei, se non addirittura identici, privando il fideiussore, sovente l’imprenditore o un familiare interessati all’erogazione del finanziamento, della possibilità di scegliere tra “prodotti” diversificati, con condizioni non uniformi. Si tratta di un fenomeno statisticamente diffuso e risalente nel tempo e ancora oggi attuale.
2. La recente giurisprudenza del Tribunale di Milano (ma non solo), ci dà l’occasione per affrontare il problema in un’ottica diversa e di tutela per l’utente, che è chiamato a farsi parte diligente e valutare il proprio impegno fideiussorio, prima di
essere costretto a farlo, soltanto a seguito della notifica del decreto ingiuntivo. L’aver firmato un documento proveniente da un istituto di credito non è, per ciò solo, sinonimo di validità.
Chi ha avuto la necessità di garantire personalmente l’erogazione di un credito o finanziamento, avrà notato che il testo contrattuale è pressoché identico, anche se proveniente da banche differenti: stesse condizioni, stesse clausole, stessi doveri, stessi limiti e rinunce.
Ciò è dovuto al fatto che nell’anno 2002, l’ABI predispose per i propri associati uno schema contrattuale, contenente clausole pensate per la propria tutela, piuttosto che per quella dei garanti, fondate su una collaudata prassi preesistente: una vera e propria modulistica per i contratti di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie.
La conseguenza è che per oltre vent’anni, sono state fatte sottoscrivere garanzie fideiussorie uniformi, proprio perché gli istituti di credito adottarono il suddetto modello: non c’era possibilità di scelta per gli utenti.
Senza troppo clamore, Banca d’Italia (alla quale, fino alla modifica apportata dalla L. n. 262 del 2005, spettavano le funzioni di Autorità Garante della concorrenza tra istituti creditizi) si mosse al fine di verificare se il suddetto schema e, soprattutto, l’adozione condivisa del suddetto schema, potesse configurare un’intesa restrittiva della concorrenza.
L’esito fu il provvedimento n. 55, del 2 maggio 2005, con cui Banca d’Italia dichiarò il carattere anticoncorrenziale del testo “tipo”, predisposto dall’ABI. Si tratta di un provvedimento antitrust definitivo, con efficacia di giudicato, che non può più essere messo in discussione, che ha sancito l’anticoncorrenzialità dell’intesa tra banche associate all’ABI. Tale schema è stato ritenuto idoneo a determinare, attraverso la standardizzazione contrattuale, una situazione di uniformità lesiva della tutela della concorrenza.
3. Perché si verifichi tale effetto è necessario che ricorrano nelle fideiussioni tre fattori essenziali, ossia la presenza di tre clausole, che insieme costituiscono la causa invalidante.
Le clausole sono state individuate negli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale ABI: si tratta, nell’ordine, della clausola di reviviscenza, in forza della quale il fideiussore si obbliga “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”; della clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c., secondo cui il fideiussore rimane obbligato nei confronti della banca “fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”; della clausola di sopravvivenza della fideiussione, la quale prevede che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate.
Se le tre clausole sopra trascritte ricorrono nella fideiussione, questa è invalida, nei modi e per i motivi di seguito esposti.
Nullità ex art. 2, L. 287/1990, in materia di disposizioni a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica, in attuazione dell’articolo 41 della Costituzione - cosiddetta Legge Antitrust: dall’intesa “a monte” al contratto “a valle”.
4. In diverse pronunce, alcune delle quali attinenti specificamente alla materia qui trattata (Cass., sez. I, n. 13846/2019; Cass., sez. I, ord. n. 29810/2017), la Suprema Corte ha stabilito che la violazione dell’art. 2 della Legge Antitrust, consumatasi a monte nella predisposizione e nell’adozione uniforme di uno schema contrattuale restrittivo della concorrenza, determina “a cascata” la nullità dei contratti stipulati a valle in conformità al suddetto schema.
Sulla base di tale orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, possiamo affermare che i contratti di fideiussione redatti sul modello ABI sono nulli. Nullità che colpisce anche i contratti stipulati anteriormente al provvedimento della Banca d’Italia (purché uniformi).
Si tratta di vedere, ora, se la nullità colpisca l’intero contratto fideiussorio (nullità totale) o soltanto
alcune clausole (nullità parziale). Sul punto si riscontrano nella giurisprudenza due orientamenti differenti.
Nel primo caso, tutto il contratto si considera come mai stipulato, nel secondo caso si considerano non applicabili le clausole colpite dalla nullità, che sono le clausole sopra individuate. Indipendentemente dalla conclusione a cui si può giungere (le cui motivazioni richiederebbero una più articolata e approfondita motivazione), si può ritenere che per il fideiussore il risultato potrebbe sortire i medesimi effetti (laddove emerga l’inadempimento della banca).
Eliminate le clausole censurate dalla Banca d’Italia dal contratto, perché nulle, tornerà a trovare applicazione la disciplina generale della fideiussione prevista dal codice civile.
In particolare:
» la banca non potrà rivalersi sul fideiussore nel caso in cui i pagamenti da questa incassati per le obbligazioni garantite dovessero essere annullati, dichiarati inefficaci o revocati (clausola di reviviscenza);
» perché il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione garantita (ad esempio, la mancata restituzione alla banca dell’importo finanziato da parte del debitore principale), è necessario che la banca abbia proposto le sue istanze contro il debitore principale entro sei mesi da tale scadenza e le abbia continuate con diligenza o entro due mesi, se il fideiussore aveva espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale (clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.);
» in caso di invalidità del rapporto principale (finanziamento, mutuo, ecc.), questa travolge anche l’obbligazione del fideiussore, dato il suo carattere accessorio (clausola di sopravvivenza della fideiussione).
La clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ., merita una particolare attenzione. Dal punto di vista della banca, la deroga (leggasi, rinuncia) richiesta al fideiussore ha la funzione di esonerare la banca dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze nei confronti del debitore principale entro i termini previsti da tale norma. Tale clausola appare suscettibile di arrecare
alla banca creditrice un significativo vantaggio nel disporre di un termine molto più lungo (sino al verificarsi del termine prescrizionale) per far valere la garanzia fideiussoria, nella tranquillità data dalla disponibilità del patrimonio personale del garante, sempre aggredibile dalla banca, anche oltre il termine.
Da tale deroga, ne esce avvantaggiata esclusivamente la banca, la cui diligenza potrebbe risultare disincentivata dal proporre le proprie istanze tempestivamente, con svantaggio del garante, che si ritroverebbe impegnato sine die. Chi si trova ad operare a stretto contatto con banche e fideiussori è ben consapevole che ottenere la liberazione di questi ultimi, è pressoché impossibile, sin tanto che permane la pendenza con la banca e ciò anche dopo anni che l’obbligazione restitutoria del debitore principale è scaduta.
Ma grazie all’intervento dell’Organo garante della concorrenza, e della giurisprudenza che ha recepito il provvedimento, la dichiarazione di nullità della clausola in esame, rimette la situazione in equilibrio e la banca non potrà pretendere alcunché dal fideiussore, se non darà prova di essersi attivata nei termini prescritti dalla norma codicistica sopra richiamata.
5. Il tutto ha origine dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che da tempi ormai risalenti, in materia di tutela della concorrenza, ha stabilito che la nullità che colpisce l’accordo originario (nel nostro caso il “modello” ABI), si riflette anche sugli atti che ne rappresentano l’esplicazione diretta, quali i contratti che hanno recepito tale modello, con la conseguenza che, sia l’intesa originaria a monte, sia la sua esplicazione a valle, sono per legge inopponibili agli utenti finali.
Tale principio trova origine nel diritto comunitario a tutela della concorrenza, che ha efficacia diretta nei singoli Stati e crea automaticamente diritti in capo ai singoli soggetti, che il giudice nazionale deve tutelare in forza del primato del diritto comunitario. Non si tratta di una scelta discrezionale, ma di un dovere volto a fornire una tutela effettiva. Al giudice territoriale è preclusa la possibilità di rimettere in discussione i fatti costitutivi della sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza (Cass., 20 giugno 2011, n. 13486). Trattasi di prova privilegiata
costituita dagli atti del procedimento pubblicistico che, nel nostro caso, è quello conclusosi con il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia.
Onere della prova del fideiussore: utilizzo uniforme dello schema ABI da parte delle banche o sola corrispondenza al modello ABI
6. La nullità, perché possa essere valutata dal giudice, deve essere eccepita e si deve dar prova dei motivi sottesi alla nullità stessa. L’onere probatorio spetta alla parte che la eccepisce.
Anche in questo caso, la soluzione la troviamo nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il fideiussore, che voglia ottenere la declaratoria di nullità, non dovrà, come sostiene invece qualche voce isolata nella giurisprudenza di merito, provare l’utilizzo uniforme dello schema ABI da parte delle banche in generale e della banca garantita, in particolare; ma dovrà dimostrare la “sola” coincidenza oggettiva delle condizioni contrattuali pattuite con quelle di cui agli artt. 2, 6 e 8 del modello ABI.
Riscontrata la conformità, opererà la presunzione che l’adozione da parte della banca di tale modello, è conseguenza dell’intento distorsivo della concorrenza assunto “a monte”, già definitivamente accertato e sanzionato da Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005, di cui si è detto sopra.
Vero è, che la nullità, in quanto tale, è anche rilevabile d’ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo e, quindi, per la prima volta anche in comparsa conclusionale.
Sul punto specifico è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenze nn. 26242 em 26243 del 2014), che hanno stabilito che il giudice ha il potere-dovere di rilevare d’ufficio, laddove emerga dagli atti di causa, l’eventuale nullità del contratto, sottoponendo la relativa questione alle parti e ciò al fine di evitare pronunce giurisdizionali, che si basino sulla validità del contratto in realtà invalido o che, addirittura, finiscano per sancirne la “non invalidità”, così di fatto sanandolo.
7. La tesi maggiormente accolta dalla giurisprudenza è quella della nullità parziale. Da ciò consegue che è necessario verificare, caso per caso, la presenza delle suddette clausole nel contratto di fideiussione, eccependone, all’occorrenza, la nullità. In caso di accoglimento, troveranno applicazione le norme del codice civile, che regolano la materia, in modo più bilanciato tra i reciproci interessi del garante e del garantito. L’accoglimento della domanda di nullità comporta anche il diritto al risarcimento dei danni, se patiti e se provati.
Studio WMR - Milano
Avv. Wolfango X. Xxxxx Dott.ssa Xxxxxxxxxx X. Xxxxx