INDICE
Note interpretative del
CCNL 22.5..2003
(Le note compendiano tutte le risposte ai quesiti posti dagli associati)
INDICE
INDICE 2
CAPITOLO I 5
IL SISTEMA DI RELAZIONI SINDACALI E ASSETTI CONTRATTUALI 5
Art. 1 - L’informazione e l’esame congiunto a livello nazionale, regionale o territoriale, aziendale
......................................................................................................................................................... 5
Art. 2 - La contrattazione di primo e secondo livello 6
CAPITOLO II 10
COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO 10
Art. 3 - Campo di applicazione 10
Art. 4 - Assunzione del personale 10
Art. 5 - Periodo di prova 11
Art. 6 - Passaggio di gestione 12
Art. 7 - Ristrutturazione e riorganizzazione aziendale 13
Art. 8 - Esternalizzazione dei servizi e/o delle attività aziendali 13
Art. 9 - Cessione, trasformazione, fusione, trasferimento e cessazione dell’azienda 14
CAPITOLO III 15
FORME DEL RAPPORTO DI LAVORO 15
Art. 10 - Contratto di lavoro a tempo parziale 15
Art. 11 - Contratto di lavoro a tempo determinato 19
Art. 12 - Contratto di inserimento/reinserimento 23
Art. 13 - Contratto di somministrazione di lavoro 24
CAPITOLO IV 28
CLASSIFICAZIONE UNICA DEL PERSONALE 28
Art. 14 - Classificazione del personale 28
Art. 15 - Mobilità dei lavoratori 35
Art. 16 - Mutamento di mansioni 35
CAPITOLO V 38
ORARIO DI LAVORO, FESTIVITÀ, RIPOSI, FERIE 38
Art. 17 - Orario di lavoro 38
Art. 18 - Orario di lavoro in regime di attività lavorativa flessibile 39
Art. 19 - Lavoro in prolungamento orario 42
Lavoro straordinario, notturno, festivo 42
Art. 20 - Lavoro domenicale 46
Art. 21 - Giorni festivi 46
Art. 22 - Ferie 48
Art. 23 - Banca delle ore 51
CAPITOLO VI 53
TRATTAMENTO ECONOMICO 53
Art. 24 - Retribuzione 53
Art. 25 - Determinazione convenzionale della retribuzione giornaliera ed oraria 54
Art. 27 - Aumenti periodici di anzianità 55
Art. 28 - Mensilità aggiuntive 56
Art. 29 - Indennità e provvidenze varie 56
Art. 30 - Indennità turni ciclici continui e avvicendati 60
Art. 31 - Trasferimenti 61
CAPITOLO VII 64
INTERRUZIONE E SOSPENSIONE DEL LAVORO 64
Art. 32- Interruzione e sospensione del lavoro per ragioni di forza maggiore 64
Art. 00 - Xxxxxxx 00
Art. 34 - Permessi 64
Art. 35 - Aspettativa per funzioni pubbliche elettive o per cariche sindacali . Permessi per funzioni pubbliche elettive 65
Art. 36 - Trattamento per adempimento delle funzioni elettorali 65
Art. 37 - Congedo matrimoniale 66
Art. 38 - Diritto allo studio 66
Art. 39 - Trattamento per infermità dovuta a malattia o infortunio non sul lavoro 67
“X. Xxxx tti del superamento dei termini del periodo di conservazione del posto” 75
Art. 40 - Infortuni sul lavoro 75
Art. 41 - Inidoneit à sopravvenuta 75
Art. 42 - Tutela della maternità 78
Art. 43 - Tutela delle persone handicappate 79
Art. 44 - Tutela delle persone tossicodipendenti o affette da etilismo 79
Art. 45 - Tutela delle persone affette da immunodeficienza (AIDS) 80
Art. 46 - Permessi per donazione di midollo osseo 80
Art. 47 - Assistenza a malati irreversibili o di lunga durata 80
Art. 48 - Congedi familiari – Permessi per eventi familiari 81
Art. 49 - Aspettativa per adozione e affidamento 83
Art. 50 - Aspettativa per volontariato 83
Art. 51 - Richiamo alle armi 84
CAPITOLO VIII 85
TUTELA DELLA DIGNITA’ DELLA PERSONA 85
Art. 52 - Azioni positive per la realizzazione della parità uomo donna nel lavoro 85
Art. 53 - Prevenzione e repressione delle molestie sessuali 86
Art. 54 - Prevenzione e repressione del mobbing 86
CAPITOLO IX 87
PREROGATIVE E DIRITTI SINDACALI 87
Art. 55 - Prerogative e permessi sindacali 87
Art. 56 - Diritti sindacali 89
Art. 57 - Istituti di patronato 95
Art. 58 - Procedura di raffreddamento e conciliazione delle controversie collettive 95
CAPITOLO X 97
AMBIENTE DI LAVORO - IGIENE E SICUREZZA DEL LAVORO 97
Art. 59 - Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro 97
Art. 60 - Dispositivi di protezione ind ividuale (DPI) e indumenti da lavoro 100
CAPITOLO XI 101
PREVIDENZA COMPLEMENTARE E ATTIVITA’ RICREATIVE, CULTURALI 101
Art. 61 - Previdenza complementare 101
Art. 62 - Attività culturali e ricreative 101
CAPITOLO XII 102
NORME COMPORTAMENTALI E DOVERI DISCIPLINARI 102
Art. 63 - Doveri e divieti 102
Art. 64 - Doveri e responsabilità dei conducenti 102
Art. 65 - Provvedimenti disciplinari 103
CAPITOLO XIII 105
RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO 105
Art. 66 - Estinzione del rapporto di lavoro 105
Art. 67 - Preavviso di licenziamento - Indennità sostitutiva – Dimissioni 105
Art. 68 - Trattamento di fine rapporto 105
CAPITOLO XIV 106
NORME FINALI 106
Art. 69 - Decorrenza e durata del CCNL 106
Art. 70 - Inscindibilità delle norme contrattuali 106
Art. 71 - Commissione nazionale per l’interpretazione delle norme contrattuali 106
ALLEGATI 107
Accordo Interfederale per la costituzione della RSU 107
Regolamento per l’anticipazione del TFR 108
CAPITOLO I
IL SISTEMA DI RELAZIONI SINDACALI E ASSETTI CONTRATTUALI
Art. 1 - L’informazione e l’esame congiunto a livello nazionale, regionale o territoriale, aziendale
Per introdurre l’argomento in materia di sistema di relazioni sindacali e assetti contrattuali, si richiama, innanzitutto, l’attenzione sulla “Premessa” che è volta a valorizzare la centralità del contratto collettivo nazionale nella regolamentazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle imprese, l’autonomia e le distinte responsabilità delle parti, la funzione del sistema di relazioni sindacali ai vari livelli, nel quadro delineato dal Protocollo 23.07.1993 e dall’Accordo Interconfederale sulla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie.
Il sistema di relazioni delineato dal CCNL 22.5.2003 è finalizzato a favorire le trasformazioni del settore attraverso il rafforzamento delle capacità competitive e lo sviluppo delle opportunità offerte dal mercato; il mantenimento dell’integrità del ciclo dei rifiuti; il conseguimento della unicità della tutela contrattuale per i lavoratori impiegati in tale ciclo.
L’articolo contrattuale è diretto a delineare:
i compiti e le attività delle parti nazionali, regionali o territoriali ed aziendali la natura e le materie di pertinenza delle distinte fasi relazionali;
i soggetti dell’interlocuzione.
Le modalità relazionali sono sostanziate da obblighi di :
- informazione : può essere preventiva o consuntiva, a seconda delle questioni trattate;
- esame congiunto: è una modalità di interlocuzione tra le parti finalizzata all’esposizione e all’approfondimento delle rispettive posizioni e non implica, quindi, necessariamente, il raggiungimento di una soluzione concordata;
- contrattazione di I livello e II livello a contenuto normativo ed economico (in attuazione dei principi e dei criteri stabiliti dal Protocollo 23.7.1993).
Dette fasi relazionali hanno sostituito le precedenti sei fasi di interlocuzione previste dal CCNL 31.10.1995 (informazione, consultazione, confronto, confronto negoziale, verifica, contrattazione).
Art. 2 - La contrattazione di primo e secondo livello
L’articolo 2, disciplina soggetti, materie e modalità attraverso i quali si realizzano la contrattazione di I livello e la contrattazione di II livello a contenuto economico e normativo.
La contrattazione di primo livello rappresenta il livello nazionale di categoria: il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), formato da una parte normativa, la cui durata è quadriennale e da una parte economica la cui durata è biennale.
Oggetto della contrattazione di II livello sono, in genere, istituti e materie demandati dal contratto collettivo o diversi rispetto a quelli disciplinati dal CCNL stesso. La contrattazione aziendale tratta, ad esempio, questioni relative all’organizzazione ed alla produttività del lavoro; aumenti retributivi correlati a programmi di incremento della produttività aziendale.
Merita particolare attenzione la disciplina relativa alla contrattazione di secondo livello a contenuto economico, non tanto in materia di “premio di risultato”, per il quale non ci sono cambiamenti di rilievo, quanto con riguardo all’introduzione di due nuovi emolumenti.
PREMIO DI RISULTATO
Come già detto, in conformità con il Protocollo Governo - Parti Sociali del luglio 1993 e senza modifiche rispetto alla corrispondente norma contenuta nel CCNL 31.10.1995, il contratto disciplina le caratteristiche della contrattazione aziendale a contenuto economico ovvero la contrattazione quadriennale, denominata “premio di risultato”, che definisce un’erogazione variabile collegata a risultati concreti di redditività, di produttività, efficienza e qualità, da realizzarsi su programmi ed obiettivi di miglioramento, concordati tra le parti, che possono riguardare l’intera azienda o sue articolazioni organizzative interne o gruppi di lavoratori.
Il premio non è utile ai fini del computo di alcun istituto contrattuale ed è escluso dalla base di calcolo del T.F.R.; va commisurato ai risultati conseguiti ed è, quindi, erogato a consuntivo, dopo l’approvazione del bilancio consuntivo.
La norma contrattuale, inoltre, riconosce la titolarità della contrattazione di 2° livello, per le materie ad essa delegate, alle r.s.a. ovvero alle R.S.U., ove costituite, congiuntamente alle strutture territoriali delle XX.XX. stipulanti.
Sotto l’aspetto fiscale, si ritiene di precisare che le erogazio ni in esame, per fruire della “decontribuzione” (legge n. 135/1997), devono essere incerte nell’an e nel quantum: non possono essere decontribuiti i compensi la cui erogazione sia stata garantita da fonti istitutive, anche attraverso quote minime o meccanismi di corresponsione forfetaria.
Come già accennato, la novità rilevante, in materia di contrattazione di II livello a contenuto economico, consiste nell’istituzione di due nuovi emolumenti definiti : “compenso per la qualità della prestazione” e “compenso individuale di produttività”.
Il compenso per la qualità della prestazione è in vigore a decorrere dal 31 marzo 2004 in virtù dell’Accordo Interfederale del 31.03.2004 che ha soppresso il precedente testo contenuto nell’Accordo del 22 maggio 2003 (applicato nel periodo 22.5.2003 – 31.3.2004). Tale compenso è stato istituito al fine di conseguire recuperi di efficienza gestionale sotto il profilo del miglioramento e dell’economicità dei servizi.
A far data del 31 marzo 2004, qualora non sussistano i presupposti e/o le condizioni per la definizione di accordi aziendali di secondo livello ai sensi del Protocollo 23.7.2003, è data facoltà, alle aziende, di istituire un compenso globale annuo per la qualità della prestazione lavorativa da ripartire fra tutti i lavoratori.
I presupposti e/o condizioni perché si realizzi un accordo di 2° livello sono quelli indicati nell’art. 2, lett. B del CCNL 22.05.2003, sia nella parte “Finalità e requisiti”, sia in quella “Procedura di informazione, verifica e trattativa”.
La definizione e la relativa corresponsione di detto compenso è riferita alla prestazione lavorativa dell’anno precedente. Quindi, qualora non sia in vigore un accordo di secondo livello, trova applicazione, ogni anno, come già detto, la disciplina del premio per la qualità della prestazione.
Il citato accordo del 31 marzo 2004, ha portato l’importo individuale annuo dell’istituto in esame da euro 93,00 a euro 150,00, a far tempo dal primo trimestre del 2005. Tale importo non è uguale per tutti, ma individualizzato secondo gli elementi di valutazione ed i relativi parametri di apprezzamento definiti nell’ambito di misure minime e massime, come stabiliti dal comma 5, dell’art. 2, lett. B, nella parte relativa al “compenso per la qualità della prestazione”, tra cui, ad esempio, l’assiduità al lavoro e l’assenza di provvedimenti disciplinari, nonché il comportamento degli impiegati nei confronti dell’utenza ( ove le mansioni svolte comportino contatti esterni).
Solo per gli impiegati con funzioni direttive e per i responsabili tecnici dell’impresa, l’unico parametro di valutazione da prendere in considerazione, ai fini della determinazione del compenso annuo per la qualità della prestazione, è l’assiduità al lavoro.
L’importo globale che l’azienda deve erogare , è ottenuto moltiplicando le cifre soprarichiamate per il numero complessivo dei dipendenti. Tale somma deve essere integralmente erogata e ripartita fra tutti gli “operai” e gli “impiegati” con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, occupati alla data del 31 dicembre dell’anno precedente l’erogazione del compenso stesso, proporzionalmente ai mesi di servizio prestati.
Nell’ambito della definizione dell’ Accordo di rinnovo del 2° biennio economico 2005 – 2006 del CCNL 22 maggio 2003, le parti stipulanti hanno istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2006, un nuovo emolumento definito “Compenso individuale di produttività”, di importo mensile pari a € 11,50, non utile ai fini di alcun istituto contrattuale e legale.
A seguito del verbale integrativo di “errata corrige”, sottoscritto dalle parti stipulanti in data 6.12.2005, sono state integrate le norme sul “Compenso individuale di produttività” con alcuni commi che ne chiariscono il contenuto e ne rendono più agevole l’applicazione.
Detto compenso, va riconosciuto esclusivamente ai lavoratori non in prova assunti a tempo determinato, oppure a tempo indeterminato che cessino dal servizio nel corso dell’anno. I nuovi commi hanno precisato che il compenso in commento sostituisce per tali lavoratori quello per la qualità della prestazione e, di conseguenza, i lavoratori a tempo indeterminato di cui sopra, non rientrano tra que lli che vanno presi a riferimento ai fini del calcolo di detto “compenso per la qualità della prestazione”.
I nuovi commi hanno, altresì, stabilito che il compenso individuale di produttività compete ai lavoratori soprarichiamati anche nel caso in cui le erogazioni economiche derivanti da accordi di secondo livello non li ricomprendano tra i destinatari. Se, invece, gli accordi di secondo livello prevedano le erogazioni anche a favore di tali lavoratori, le stesse assorbono il compenso individuale di produttività fino a concorrenza se di importo superiore, oppure vengono assorbite da tale compenso se di importo inferiore.
Il compenso individuale di produttività va erogato unitamente alla corresponsione delle competenze di fine rapporto di lavoro (TFR) e commisurato, per i lavoratori a tempo indeterminato, ai mesi di
servizio prestati nell’anno in cui lascino il servizio e, per quelli a termine, ai mesi di durata del rapporto di lavoro.
Per ultimo, l’art. 2 del CCNL prevede, per la contrattazione aziendale a contenuto economico e normativo , attuativa delle clausole di rinvio del CCNL stesso, una specifica procedura. Secondo quest’ultima “entro sette giorni dalla richiesta di una delle parti di attivazione del primo incontro, l’azienda avvia la contrattazione. Decorsi trenta giorni dal primo incontro – fatte salve le eventuali proroghe temporali convenute tra le parti – senza che sia stata raggiunta l’intesa, le parti sono libere di assumere le iniziative più opportune nell’ambito del proprio ruolo e delle proprie competenze.
La norma contrattuale, quindi, stabilisce una moratoria di trenta giorni dal primo incontro tra le parti, con la conseguenza che, decorso tale termine o l’eventuale sua proroga senza il raggiungimento di un’intesa, l’azienda potrà dare applicazione alle proprie proposte di rinnovo dell’accordo sulla specifica materia oggetto della contrattazione e le XX.XX., dal canto loro, potranno decidere le iniziative più opportune da intraprendere.
In via generale, è possibile affermare che, rispetto al quadro normativo delineato dal CCNL 31.10.1995, la definizione del complessivo sistema relazionale ha tenuto conto dell’evoluzione della materia registratasi nei più significativi contratti collettivi nazionali, cercando di operare sulla materia stessa secondo i criteri di sistematicità, di organicità e di distinzione.
CAPITOLO II COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Art. 3 - Campo di applicazione
L’articolo 3 del CCNL in materia di applicabilità del contratto, è stato riformulato per effetto della continua evoluzione del modello istituzionale di gestione dei servizi pubblici e della tipologia giuridica del soggetto gestore individuato dalla legge. Il CCNL è rivolto a tutti i lavoratori addetti al settore dell’igiene ambientale ed a quelli delle altre aree di applicabilità. Il nuovo testo, infatti, estende l’applicabilità del contratto Federambiente ad una serie di attività accessorie e complementari come definite dal CCNL stesso (es. disinfestazione, verde pubblico, servizi funerari e cimiteriali, etc.).
In occasione della sottoscrizione del verbale di accordo del 14 gennaio 2005, le parti hanno convenuto di integrare il CCNL vigente con una disciplina da riservare agli addetti ai servizi funerari e cimiteriali affidati ex novo ad aziende, già costituite o di nuova costituzione, che applicano il CCNL Federambiente, fermo restando, naturalmente, che il CCNL SEFIT – Federgasacqua rimane la disciplina contrattuale di riferimento per regolare il rapporto di lavoro dei dipendenti delle imprese pubbliche locali addetti al settore funerario e cimiteriale.
Detto accordo regola le modalità di transito dei lavoratori tra le due aree contrattuali (funerario e ambientale), definendo una tabella di conversione per quanto attiene ai due sistemi di classificazione del personale, ma recepisce integralmente, senza alcuna modifica od integrazione, tutti gli istituti del CCNL funerario che abbiano rilevanza economica diretta o indiretta, ad iniziare dai livelli retributivi e dai relativi parametri. Questi ultimi verranno sempre adeguati a quanto disporranno i rinnovi del CCNL funerario, come è chiaramente precisato nell’accordo stesso.
Art. 4 - Assunzione del personale
Il paragrafo I “Assunzioni e selezioni del personale”del CCNL 31.10.1995, è stato interamente sostituito dalla nuova disciplina che, al pari di tutti i contratti dei diversi settori, si limita a richiamare le norme di leggi vigenti e quelle contrattuali. Detta norma è in vigore a decorrere dal 31 marzo 2004.
Le nuove disposizioni contrattuali (Sistema di relazioni sindacali e gli assetti contrattuali) prevedono che il piano delle assunzioni ed i relativi criteri, costituiscano oggetto di esame preventivo tra azienda e rappresentanze sindacali, in occasione degli incontri informativi annuali, nell’ambito delle linee generali di evoluzione dell’organizzazione aziendale relative alle politiche occupazionali.
Prima dell’assunzione il lavoratore è sottoposto alle visite mediche di idoneità alle mansioni specifiche, attraverso le strutture sanitarie deputate a tali fini dalle leggi vigenti.
Art. 5 - Periodo di prova
Il periodo di prova è regolato oltre che dal contratto, dall’art. 2096 del codice civile.
In via generale, ci sono novità anche nella regolamentazione del periodo di prova. Il nuovo testo, in vigore dall’1° gennaio 2005, infatti, ha ridotto, per i lavoratori inquadrati nel 5° livello, il periodo di prova da sei mesi a tre mesi.
Il periodo di prova, pertanto, è fissato in sei mesi di effettivo servizio per i lavoratori inquadrati nei livelli 8°, 7° e 6°, “quadri” inclusi e tre mesi per tutti gli altri lavoratori. Il criterio dell’effettività comporta il principio per cui non si tiene conto dei periodi in cui l’attività è sospesa per eventi quali malattia, infortunio, congedo matrimoniale, sciopero, permessi e ferie, con la sola esclusione dei riposi settimanali e delle festività.
Pertanto, in caso di assenza per uno degli eventi indicati dagli artt. 2110 e 2111 c.c. (malattia, infortunio, gravidanza etc.) il decorso del periodo di prova resta sospeso, con decorrenza dal giorno di inizio dell’assenza medesima e in pari misura rispetto alla durata di questa, ad eccezione dell’assenza per malattia per la quale la sospensione del periodo di prova può prolungarsi fino a 180 giorni di calendario. Si precisa che, nell’ambito dei citati 180 giorni, considerato che la norma contrattuale non specifica diversamente, rientra qualsiasi tipologia di malattia, quindi anche le assenze dal lavoro per cure, interventi chirurgici, terapie riabilitative, etc. che siano assicurati attraverso ricovero ospedaliero o day hospital. Superato questo limite di tempo, il rapporto di lavoro in prova, è risolto ad ogni effetto.
Durante il periodo di prova è riconosciuta al datore di lavoro la possibilità di recedere liberamente dal rapporto di lavoro (c.d. licenziamento “ad nutum”)senza obbligo di motivazione (art. 2118 c.c.; art. 4 l.108/90).
Il periodo di prova vale anche per il rapporto di lavoro a tempo determinato e per il contratto di inserimento. In particolare, in entrambi i casi, detto periodo non può superare 1/6 della durata del contratto e, comunque, per il rapporto di lavoro a tempo determinato non può superare l’equivalente periodo previsto per le assunzioni a tempo indeterminato.
Art. 6 - Passaggio di gestione
La norma contrattuale in materia di passaggio di gestione, in vigore dal 22 maggio 2003, regola il fenomeno della successione del contratto d’appalto per quanto attiene alle tutele accordate al personale dipendente impiegato nel servizio appaltato con riferimento sia al licenziamento, sia alla procedura di riassunzione sia al trattamento economico dovuto.
La clausola in esame trova applicazione nei confronti dell’azienda (appaltatrice) che cessa e di quella che subentra nel contratto di appalto e non anche nei confronti di quella appaltante che conferisce l’appalto.
Il CCNL, come ogni contratto collettivo di diritto comune, trova applicazione soltanto nei confronti delle aziende aderenti all’associazione imprenditoriale stipulante (nel caso di specie Federambiente) o delle aziende che, pur non essendo iscritte all’associazione datoriale aderiscono implicitamente o esplicitamente al contratto stesso. La norma contrattuale opererà, pertanto, soltanto se l’appaltatore cessante e quello subentrante applicano, entrambi, il CCNL Federambiente.
Alla scadenza naturale del contratto di appalto, pertanto, il personale assunto per svolgere l’attività relativa al servizio appaltato, potrà passare, in modo diretto ed immediato, alle dipendenze dell’azienda subentrante solo ove quest’ultima applichi il CCNL Federambiente.
Nei casi di passaggio di gestione per scadenza del contratto di appalto, l’azienda subentrante si incontra, in tempo utile, con le XX.XX. territoriali ed aziendali per avviare la procedura relativa al passaggio diretto ed immediato del personale in forza nell’impresa cessante nei sei mesi precedenti la scadenza dell’appalto. A detto personale va riconosciuto il trattamento economico e normativo già corrisposto dall’impresa cessante, compresi gli aumenti periodici di anzianità.
Con riguardo agli aumenti periodici di anzianità, le parti stipulanti, in linea con l’orientamento giurisprudenziale in materia, secondo cui l’anzianità di servizio rappresenta la dimensione temporale del rapporto di lavoro ed integra, quindi, il presupposto di fatto di specifici diritti, tra i
quali ad esempio gli “scatti” di anzianità, cui il lavoratore non può rinunciare e che non possono essere oggetto di atti di disposizione (Cass. n. 12756, 1.9.2003), hanno inteso non solo tutelare l’importo in cifra, maturato dai dipendenti sino alla cessazione del rapporto di lavoro con l’azienda cessante, ma anche assicurare loro la continuità dell’applicazione delle disposizioni riferite all’anzianità di servizio applicate dall’azienda cessante.
Ne consegue che, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, con relativa corresponsione di quanto dovuto per effetto della stessa da parte dell’impresa cessante, l’azienda subentrante, ai sensi della norma contrattuale, deve riconoscere al lavoratore subentrato non solo l’importo relativo agli scatti di anzianità maturati, ma anche l’effettiva anzianità di servizio corrispondente alla prestazione resa sino alla risoluzione del rapporto di lavoro con l’impresa cessante.
Quanto sopra è confermato dall’ulteriore previsione contrattuale, di cui al comma 3 del medesimo articolo 6, con la quale le parti hanno voluto riconoscere, al personale in esame, ai fini del passaggio alla posizione parametrale A del medesimo livello professionale, il tempo maturato nella posizione parametrale di tipo B alle dipendenze dell’impresa cessante.
Le motivazioni di quanto sopra esposto trovano fondamento nella necessità di assicurare parità di condizioni e di costi a tutte le aziende che sono impegnate nella gara per l’affidamento dell’appalto.
Art. 7 - Ristrutturazione e riorganizzazione aziendale
In occasione di innovazioni tecnologiche o ristrutturazioni organizzative che hanno implicazioni sui livelli occupazionali, il nuovo testo contrattuale, in vigore dal 22 maggio 2003, prevede un incontro tra impresa, anche aggiudicataria e XX.XX. al fine di ricercare soluzioni atte a garantire l’occupazione di tutti i lavoratori, compresi quelli assunti in caso di passaggio di gestione per scadenza del contratto di appalto.
Art. 8 - Esternalizzazione dei servizi e/o delle attività aziendali
La norma relativa all’esternalizzazione dei servizi e/o delle attività aziendali, in vigore dal 22 maggio 2003, costituisce un’importante novità del nuovo dettato contrattuale.
La norma definisce una specifica procedura che l’azienda deve adottare in caso di esternalizzazione dei servizi e/o delle attività aziendali come definite nell’articolo relativo al “campo di applicazione” del CCNL stesso. È previsto un preventivo momento di informazione, non derogabile, alla RSU o,
in mancanza alle r.s.a., congiuntamente alle strutture territorialmente competenti delle XX.XX. stipulanti il presente CCNL. Tale informazione deve riguardare:
- le condizioni generali di svolgimento delle attività (natura delle attività, forma e durata della gestione, impegno organizzativo);
- eventuale coinvolgimento dei lavoratori in servizio.
La dichiarazione a verbale posta in calce all’articolo, prevede che, in caso di attribuzione all’esterno di attività con l’utilizzo di personale dipendente, vengano inserite clausole che garantiscano allo stesso personale il mantenimento del CCNL Federambiente.
Art. 9 - Cessione, trasformazione, fusione, trasferimento e cessazione dell’azienda
Si applica la disciplina legale vigente: la cessione, la trasformazione e la fusione non comportano la risoluzione del rapporto di lavoro, mentre la cessazione di attività dell’azienda comporta la risoluzione del rapporto di lavoro stesso e attribuisce al lavo ratore il diritto all’indennità sostitutiva di preavviso ed al trattamento di fine rapporto.
CAPITOLO III
FORME DEL RAPPORTO DI LAVORO
Art. 10 - Contratto di lavoro a tempo parziale
La vigente disciplina in materia di lavoro atempo parziale è in vigore a far data del 1° gennaio 2005. La nuova norma contrattuale è stata rivisitata in virtù delle nuove disposizioni di legge vigenti in materia: l’art. 46 del D.Lgs. n. 276/2003 ha introdotto rilevanti modifiche alle disposizioni recate dal D.Lgs. n. 61/2000, già modificato dal D.Lgs. n. 100/2001, con particolare riferimento al lavoro supplementare, al lavoro straordinario, alle clausole flessibili ed elastiche, alle assunzioni a tempo parziale o a tempo pieno.
Il lavoratore a tempo parziale beneficia dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno, in particolare per quanto riguarda: la durata del periodo di prova, la durata del periodo di ferie annuali, la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio sul lavoro, infortuni sul lavoro e malattie professionali, la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, i diritti sindacali, l’importo della retribuzione oraria, i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dal CCNL.
Il trattamento economico da corrispondere ai lavoratori part time è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda: l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa; l’importo della retribuzione feriale, delle festività, della 13^ e 14^ mensilità; dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità, ferma restando l’esclusione dell’incidenza sui predetti istituti delle ore di prestazione lavorativa flessibile, elastica e supplementare in quanto la rispettiva maggiorazione è già comprensiva della suddetta incidenza.
Il contratto a tempo parziale può essere stipulato con riferimento ad ogni ipotesi di rapporto a tempo indeterminato o a termine. Per quanto riguarda le modalità di assunzione si seguono le stesse procedure previste per i lavoratori assunti a tempo pieno.
Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai soli fini della prova. Esso deve indicare puntualmente, tutti gli elementi previsti dalla legge e dal vigente CCNL per la generalità dei contratti di lavoro:
• la durata della prestazione lavorativa : quest’ultima non può essere inferiore alla metà di quello stabilito per il personale a tempo pieno, fermo restando che la durata minima giornaliera è di almeno 3 ore continuative. Tale durata minima trova applicazione nel rapporto di tipo orizzontale, ma non nel rapporto di tipo verticale , la cui durata minima giornaliera della prestazione inizialmente concordata è uguale a quella prevista per il rapporto atempo pieno;
• la collocazione temporale dell’orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese, all’anno, fermo restando che il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere svolto secondo modalità flessibili che consentono la variabilità della collocazione temporale della prestazione lavorativa; e nei rapporti di tipo verticale o misto sono consentite delle clausole elastiche che consentono variazioni in aumento della prestazione lavorativa inizialmente concordata.
Una recente sentenza del Tribunale di Milano (6.4.2006) ha disposto che nel contratto part time è nulla la clausola di distribuzione dell’orario di lavoro, che si limiti a prevedere turni avvicendati a rotazione con la mera indicazione delle fasce orarie entro le quali la prestazione a tempo parziale può essere richiesta, non integrando la stessa gli estremi della necessaria e puntuale indicazione della collocazione temporale della prestazione, così come previsto dall’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 61/2000.
In materia di clausole elastiche, precisiamo che la legge (art. 46 del D.Lgs. n. 276/2003), ha demandato alla contrattazione collettiva di stabilire i massimi di variabilità in aumento del part time di tipo verticale o misto.
L’adozione delle clausole flessibili ed elastiche, ove concordate, comporta sempre l’obbligo di un preavviso minimo nonché l’obbligo di riconoscere la lavoratore specifiche compensazioni da stabilirsi nella contrattazione collettiva: compete, per le sole ore di prestazione lavorativa rese al di fuori dell’orario inizialmente concordato, la quota oraria della retribuzione globale viene maggiorata del 20% (comprensiva dell’incidenza su tutti gli istituti contrattuali e legali, indiretti e differiti). In caso di adozione della clausola elastica, la quota oraria della retribuzione globale viene maggiorata del 20% (comprensiva dell’incidenza su tutti gli istituti contrattuali e legali, indiretti e differiti), per ogni ora di prestazione lavorativa resa in aumento dell’orario inizialmente concordato.
Avuto riguardo alla durata della prestazione a tempo parziale verticale o mista, è facoltà dell’azienda chiedere al dipendente, nel corso dell’anno, prestazioni lavorative rese con modalità elastiche fino al limite massimo del 50% della durata inizialmente pattuita.
Va da se, naturalmente, che per le prestazioni lavorative rese oltre le 36 ore settimanali, ovvero oltre le 40 ore settimanali, spetta al lavoratore part time di tipo verticale o misto, il trattamento retributivo previsto rispettivamente per il lavoro in prolungamento orario e per il lavoro straordinario.
La facoltà aziendale di adottare la modalità flessibile o elastica è subordinata al preliminare consenso del lavoratore, formalizzato attraverso la sottoscrizione di uno specifico patto. In presenza di patto scritto, l’eventuale rifiuto del lavoratore alla prestazione lavorativa è sanzionabile disciplinarmente, con esclusione dei provvedimenti che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro. La facoltà di ripensamento del patto sottoscritto con l’azienda è possibile per il lavoratore con esclusivo riferimento alla clausola elastica, nei tempi e alle condizioni stabiliti, previa esibizione di documentazione idonea a comprovare la sussistenza dei motivi correlati alle 4 fattispecie indicate. Il ripensamento non è possibile nel caso sia stata sottoscritta la clasusola flessibile.
Con riferimento al lavoro supplementare, l’art. 46 del D.Lgs. n. 276/2003, dispone che il consenso del lavoratore non è richiesto qualora l’istituto sia regolamentato dalla contrattazione collettiva, come previsto dal vigente CCNL.
Fatte salve le fattispecie esimenti tassativamente elencate, il rifiuto del lavoratore è sanzionabile disciplinarmente, con esclusione dei provvedimenti che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro.
Per lavoro supplementare si intende la prestazione lavorativa oltre l’orario concordato fra le parti ed entro il limite del tempo pieno. L’esercizio di tale facoltà deve però avvenire nei limiti di quanto previsto dal contratto collettivo.
Il CCNL Federambiente, infatti, stabilisce le causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore part time lo svolgimento del lavoro supplementare ed il numero massimo delle ore di lavoro supplementari effettuabili in ragione dell’anno solare.
Il p. 21 dell’art. 10 dispone che dette prestazioni supplementari non possono superare , in ogni anno solare, il limite massimo complessivo di ore pro capite pari al 40% della prestazione già concordata.
I pp. 22 e 23 del medesimo articolo, tuttavia, stabiliscono che, fermo restando il limite massimo di cui al p. 21, le ore di lavoro supplementare possono essere effettuate, nel caso di part time orizzontale (ipotesi che riguarda il caso specifico), fino al limite massimo dell’orario ordinario giornaliero del corrispondente lavoratore a tempo pieno e nelle giornate nelle quali non sia prevista prestazione.
Quanto alle modalità di effettuazione del lavoro supplementare, il comma 22 le definisce distinguendo tra le diverse tipologie del rapporto di lavoro a tempo parziale.
Come previsto dalle citate disposizioni legislative, le prestazioni di lavoro supplementare effettuate dal dipendente a tempo parziale orizzontale, verticale o misto, sono compensate con la corresponsione della quota oraria della retribuzione globale maggiorata con la percentuale del 10% ovvero del 30% (comprensivi dell’incidenza su tutti gli istituti legali e contrattuali) a seconda che le prestazioni siano effettuate entro ovvero oltre il limite massimo complessivo annuale di ore procapite, pari al 40% del ridotto orario di lavoro inizialmente fissato.
Le parti, in conformità alle vigenti disposizioni legislative in materia (art. 5, c..i 1,2,3, del D.Lgs. 61/2000; Circ. Min. Lav. 18.3.2004, n. 9), hanno previsto la possibilità di trasformare l’originario rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto part time e viceversa. Il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
La conversione dal part time al tempo pieno prevede un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti rispetto a quelle per le quali è prevista l’assunzione. Restano esclusi da questa possibilità i lavoratori a cui siano state comminate sanzioni disciplinari, comportanti, almeno una volta, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (art. 65 ex CCNL 22.5.2003).
In caso di assunzione di nuovo personale a tempo parziale, pur non essendo attestato un diritto di precedenza in capo al personale dipendente, il datore di lavoro deve tempestivamente informare il personale già dipendente con rapporto a tempo pieno e indeterminato occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale al fine di prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti stessi, purchè siano in possesso dei requisiti richiesti.
I lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale, salva una nuova trasformazione a richiesta del lavoratore.
Restano in ogni caso salve le disposizioni più favorevoli al lavoratore.
In ogni caso in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, è necessario accertare la consistenza dell’organico aziendale, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto rapportato a tempo pieno. A tal fine occorre considerare anche l’eventuale lavoro supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche (Circ. Min. Lav. 18.3.2004, n. 9). Ai fini dell’arrotondamento è necessario sommare le frazioni di orario eccedenti la metà dell’orario normale a tempo pieno.
Le diverse misure percentuali stabilite, identificano , in termini di media ogni anno solare, il limite quantitativo dei contratti di lavoro a tempo parziale indeterminato che l’azienda è tenuta a rispettare. In tali misure percentuali non rientrano i contratti di lavoro a tempo parziale determinato, i quali sono ricompresi nelle misure percentuali di contratti a termine, stabilite dall’art. 11, comma 4 del vigente CCNL.
Art. 11 - Contratto di lavoro a tempo determinato
Nella premessa, le parti stipulanti hanno richiamato l’Accordo europeo (Dir. CE 70/99), riconoscendo che i contratti di lavoro a termine rappresentano una tipologia contrattuale funzionale ad attività e servizi specifici, atta a soddisfare sia le esigenze aziendali che quelle occupazionali, sebbene i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro.
La legge (D.Lgs. 368/2001), infatti, emanata in attuazione della citata normativa comunitaria, ha rovesciato l’impostazione precedente fondata sul presupposto del divieto del ricorso al contratto a termine tranne in alcuni casi tassativi elencati dalla legge o dai contratti collettivi.
In via generale, è possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato in presenza di ragioni di carattere tecnico (quali la contingente necessità di disporre di personale con qualifiche e specializzazioni diverse da quelle normalmente possedute dall’organico dell’azienda), produttivo ed organizzativo (quali l’esigenza di far fronte a situazioni o a richieste di mercato al di sopra della
media); sostitutivo ( quando vi sono lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro ed il datore di lavoro ha necessità di avere a disposizione l’intero organico aziendale).
L’art. 10, c. 7 del D.Lgs. 368/2001 affida alla contrattazione collettiva l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a termine stipulato per ragioni di carattere tecnico produttivo, organizzativo o sostitutivo. allo stesso modo, detto articolo elenca tassativamente le ipotesi di contratti a tempo determinato esenti da qualsiasi limitazione quantitativa.
Al riguardo, le assunzioni a tempo determinato per le fattispecie di cui alle lettere h), i), j), k), l) del comma 3 non soggiacciono ad alcuna limitazione quantitativa. Si tratta, in particolare di :
• lavori a carattere tipicamente stagionale. Si tratta di lavori la cui esigenza si pone, di norma, ogni anno per effetto delle condizioni climatiche nelle varie stagioni, come ad esempio: pulitura delle strade da foglie o dalla neve; pulizia degli arenili; disinfestazione, etc.;
• punte di più intensa attività connesse a maggiori richieste di servizi indifferibili, che non è possibile soddisfare con le risorse normalmente impiegate. Si tratta di necessità di incremento dei servizi aziendali che hanno origine non già da condizioni o situazioni impreviste o eccezionali, bensì da situazioni e condizioni conosciute e consuete che, riproponendosi negli anni, richiedono di essere normalmente fronteggiate con un aumento di organico che, in altri periodi dell’anno è attestato, invece, su livelli nettamente inferiori.
• punte di più intensa attività connesse a maggiori richieste di servizi anche indotte dall’attività di altri settori, che non è possibile soddisfare con le risorse normalmente impiegate;
• fase di avvio di nuo ve attività e/o nuovi servizi, per un periodo non superiore a 250 giorni calendariali consecutivi (anche a cavaliere di due anni);
• sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto, a vario titolo.
Diversamente, le assunzioni a tempo determinato per le fattispecie di cui alle lettere a), b), c), d), e),
f) g) di cui al comma 3 sono soggette a limitazione percentuale. Si tratta di condizioni o di situazioni del tutto eccezionali non prevedibili. A tal riguardo fanno eccezione le sole assunzioni a termine per ferie in determinati periodi dell’anno (giugno/settembre e dicembre/gennaio).
Le misure percentuali previste, commisurate al numero complessivo dei dipendenti a tempo indeterminato (sia a tempo pieno che parziale), identificano il limite quantitativo di contratti di
lavoro a tempo determinato che l’azienda è tenuta a rispettare (in termini di media in ogni anno solare).
In materia di apposizione del termine, si rileva che, per il contratto a termine, non è prevista alcuna durata minima, mentre la massima è prestabilita.
Il contratto deve, inoltre, riportare le ragioni che legittimano l’apposizione del limite temporale. Non è sufficiente l’indicazione generica della categoria di motivi per cui è stato apposto il termine. L’one re di provare l’esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine è a carico del datore di lavoro (Cass. 14.4.2005, n. 7745).
Il termine del contratto in esame può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. La proroga è ammessa una sola volta, a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per il quale il contratto è stato stipulato e sia giustificata da ragioni oggettive. Peraltro, le ragioni giustificatrici della proroga, oltre che prevedibili dal momento della prima assunzione, possono essere anche del tutto diverse da quelle che hanno determinato la stipulazione del contratto originario, purchè sempre riconducibili a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. La legge, infatti, non richiede che dette ragioni siano imprevedibili, eccezionali o straordinarie.
In caso di prosecuzione di fatto del rapporto oltre il limite inizialmente fissato, o successivamente prorogato, è stabilito un periodo di “tolleranza “ di 20 giorni (30 per i contratti di durata iniziale pari o superiore a sei mesi), durante il quale il datore di lavoro è tenuto al pagamento di una maggiorazione retributiva pari al 20% per ogni giorno successivo alla scadenza fino al decimo; 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto prosegue oltre il suddetto periodo di tolleranza il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei termini stessi.
Se, invece, tra le due assunzioni a termine non vi è soluzione di continuità e, quindi, non trascorre nemmeno 1 giorno, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dalla data di stipulazione del primo contratto.
Si evidenzia che al contratto a tempo determinato si applica la disciplina prevista dall’art. 2, p. B) del vigente CCNL, in materia di “Compenso individuale di produttività”, il cui approfondimento è rimesso all’esame della disciplina del citato articolo contrattuale.
Il comma 18 dell’articolo contrattuale in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, introduce una rilevante novità rispetto alla previgente disciplina, in quanto stabilisce che il complessivo trattamento economico corrisposto dall’azienda ad integrazione di quanto riconosciuto dal competente is tituto assicuratore, sia in caso di malattia che di infortunio, è pari a 9 giorni calendariali per ogni mese di durata del contratto di lavoro a termine.
In particolare, valutando la norma in esame, si ritiene preferibile individuare a priori il numero complessivo dei giorni per i quali l’azienda corrisponde la citata integrazione, con riferimento all’intero periodo di durata del rapporto di lavoro.
In second’ordine, nell’eventualità che la malattia o l’infortunio comportino un’assenza superiore al numero massimo di giorni per i quali l’azienda corrisponde la citata integrazione, al lavoratore spetterà, per tali ulteriori giorni, solo l’indennità economica previdenziale corrisposta dall’Ente assicuratore. Quest’ultimo, inoltre, è obbligato alla corresponsione solo entro il limite del periodo indennizzabile come previsto dalla legge (180 giorni) e, comunque, massimo fino alla data per la quale è prevista la scadenza del termine del rapporto di lavoro.
Rileviamo, inoltre, dal momento che la norma contrattua le non specifica diversamente, che rientrano, nell’ambito del numero massimo di giorni per i quali è previsto il complessivo trattamento economico, per ogni evento morboso, anche i cosiddetti giorni di “carenza” che sono, com’è noto, a totale carico del datore di lavoro.
Per ultimo, ai fini della individuazione della retribuzione da corrispondere per ciascuno dei giorni per i quali è previsto il complessivo trattamento economico, si evidenzia che la norma contrattuale fa espresso riferimento alla retrib uzione globale percepita dal lavoratore in forza delle disposizioni legislative e/o di altre norme.
Il comma 21 dell’articolo in commento, prevede che la metà delle assunzioni a tempo indeterminato disposte annualmente per la medesima qualifica, l’azienda deve dare precedenza ai lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato, con superamento del periodo di prova. Tale previsione riguarda esclusivamente i lavoratori assunti a tempo determinato per le ipotesi previste dall’art. 23, comma 2, della legge n. 56/1987. Tali ipotesi sono tassativamente quelle già individuate dall’art. 9, comma 2 del previgente CCNL.
In relazione alla singola assunzione a tempo determinato di cui al comma 21, il diritto individuale si estingue, in ogni caso, entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Art. 12 - Contratto di inserimento/reinserimento
Il contratto di inserimento è un contratto di lavoro a tempo determinato diretto a realizzare l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di determinate categorie di soggetti, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo (art. 54, D.Lgs. 276/2003). Esso, com’è noto, è subentrato al contratto di formazione e lavoro (c.f.l.), configurando una nuova tipologia contrattuale. I destinatari del contratto in parola possono essere ricondotti a due categorie: giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni; lavoratori svantaggiati: disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni di età che siano privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderano riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno 2 anni; donne di qualsiasi età residenti in un’area geografica ad alta disoccupazione femminile; portatori di handicap.
Il contratto di inserimento deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma scritta e deve contenere il progetto individuale di inserimento. In mancanza della forma scritta il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato. Nel contratto devono essere indicati: durata , periodo di prova (non superiore a 1/6 della durata del contratto stesso); orario di lavoro (a tempo pieno o parziale); il livello di inquadramento (per il conseguimento delle qualifiche previste nel 3° livello, posizione parametrale B, delle aree conduzione e tecnico –amministrativa, il livello di inquadramento attribuito nella lettera di assunzione è individuato convenzionalmente nel 2° livello, parametro B, della tabella delle retribuzioni base parametrali di cui all’art. 24 del vigente CCNL); il progetto individuale di inserimento o reinserimento. Il CCNL contiene un fac simile del progetto individuale di inserimento.
La durata del contratto può variare da 9 a 12 mesi. Per i lavoratori portatori di grave handicap mentale o psichico, la durata del contratto di inserimento può variare da 9 a 36 mesi. Il contratto in commento non è rinnovabile tra le stesse parti: eventuali proroghe sono ammesse entro il limite di durata massima del rapporto previsto dal CCNL (12 o 36 mesi).
Il trattamento economico spettante è quello previsto dall’art. 24 del vigente CCNL, ferma restando la corresponsione delle indennità di cui all’art. 29 del vigente CCNL e delle maggiorazio ni connesse alle specifiche caratteristiche dell’effettiva prestazione lavorativa (prolungamento orario, straordinario, notturno, festivo, etc.), nonché la corresponsione del TFR di cui all’art. 68.
Qualora il contratto in parola venga trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di inserimento viene computato nell’anzianità di servizio ai fini degli istituti previsti dalla
legge e dal CCNL, fatta eccezione per l’istituto degli aumenti periodici di anzianità. In particolare, detto periodo è utile ai fini del periodo di tempo necessario per il passaggio nel livello immediatamente superiore a quello inizialmente attribuito dalla posizione parametrale B alla posizione parametrale A, secondo quanto previsto dall’art. 14 del CCNL.
L’art. 59, comma 2 del D.Lgs. 276/2003 esclude i lavoratori assunti con contratto di inserimento/reinserimento dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e dal CCNL per l’applicazione di particolari normative ed istituti. Per questo motivo, detti lavoratori non possono essere computati, ad esempio ai fini delle misure percentuali previste dall’art. 11, comma 4 del vigente CCNL (rapporto di lavoro a termine). Tuttavia, fa eccezione, al riguardo, quanto convenuto ai fini dell’art. 35 della legge n. 300/70.
Art. 13 - Contratto di somministrazione di lavoro
Il decreto legislativo 276 del 2003 ha compiutamente disciplinato ed innovato la complessa materia dell’interposizione e intermediazione di manodopera, introducendo la nuova figura del contratto di somministrazione di lavoro che, di fatto, si sostituisce al lavoro interinale.
Si ritiene opportuno riportare alcuni chiarimenti relativi all’applicazione di questa nuova tipologia di lavoro contenuti nella circolare del Ministero del Lavoro (n. 7 del 22 febbraio 2005).
In particolare, la somministrazione a termine è ammessa per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Rispetto alla disciplina della fornitura di lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196 del 1997, è venuto meno il limite del ricorso alla somministrazione di lavoro solo per far fronte ad esigenze di carattere temporaneo o eccezionale. Alla stregua dell'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo
n. 276 del 2003 è infatti sufficiente che sussista una ragione di carattere oggettivo, cioè una ragione effettiva e comprovabile, anche se riferibile all'ordinaria attività dell'utilizzatore.
La formula adottata dal legislatore è analoga a quella prevista dal decreto legislativo n. 368 del 2001 con riferimento alle condizioni di ricorso al contratto a tempo determinato (circolare del Ministero del Lavoro n. 42 del 2002).
Tuttavia, per la somministrazione a tempo determinato, il termine non dipende dalla necessità di soddisfare una esigenza temporanea o straordinaria dell' utilizzatore. Più semplicemente, il termine costituisce la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive poste a fondamento della stipulazione del contratto di somministrazione.
Si può, pertanto, fare ricorso alla somministrazione a tempo determinato in tutte le circostanze, individuate dall'utilizzatore sulla base di criteri di normalità tecnico-organizzativa, ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non si può esigere, necessariamente, l'assunzione diretta dei lavoratori alle dipendenze dell'utilizzatore e nelle quali, quindi, il ricorso alla somministrazione di lavoro non assume la finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo.
Diversamente, infatti, la somministrazione poterebbe integrare una ipotesi di somministrazione fraudolenta ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
In presenza di una ragione oggettiva come indicata all'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo
n. 276 del 2003 è, dunque, sempre possibile la stipulazione di un contratto di somministrazione di lavoro anche nelle ipotesi in cui i contratti collettivi si siano limitati, per il settore di riferimento, a normare ed esplicitare solo le ipotesi temporanee che consentono la somministrazione a tempo determinato.
Né può valere, in contrario, richiamare l'articolo 21, comma 2 della legge citata, ai sensi del quale le parti, nell'indicare gli elementi che devono essere contenuti nel contratto di somministrazione, devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi.
Tale disposizione, infatti, fa chiaramente riferimento a ciò che i contratti collettivi possono regolamentare e, dunque, non alle ragioni oggettive a fronte delle quali è ammissib ile la somministrazione.
Tali ragioni sono espressamente previste dal comma 4 del citato articolo 20 che, al riguardo, demanda alla contrattazione esclusivamente l'individuazione di limiti quantitativi all'utilizzazione della somministrazione a tempo determinato.
Il CCNL Federambiente ha operato in tal senso disponendo che i prestatori di somministrazione di lavoro a termine, “non possono superare per ciascun trimestre la media dell’8% dei lavoratori occupati in azienda con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con arrotondamento all’unità superiore dell’eventuale frazione pari o superiore allo 0,5%. In alternativa è consentita la stipulazione di contratti di somministrazione di lavoro sino a 5 prestatori, purchè non risulti superato il totale dei contratti a tempo indeterminato in atto in azienda”.
Le aziende non hanno la facoltà di modificare il limite disposto dal CCNL. Né il testo legislativo, né la norma contrattuale, infatti, demandano tale definizione alla contrattazione aziendale.
Con riferimento alle ragioni di carattere sostitutivo, si precisa, conformemente a quanto già espresso dal Ministero con la circolare n. 42 del 2002 in materia di lavoro a tempo determinato, che l'ampiezza della formula utilizzata legittima l'apposizione di un termine alla somministrazione, indipendentemente dal fatto che il personale da sostituire si sia assentato per ragioni imprevedibili e non programmabili e che il sostituito abbia un diritto legale e non convenzionale alla conservazione del posto di lavoro.
In queste ipotesi, la ragione di carattere sostitutivo è integrata anche nel caso in cui la sostituzione non operi direttamente rispetto a un lavoratore assente ma, piuttosto, rispetto ad un lavoratore sostituito che, a sua volta, era destinato alla sostituzione di un lavoratore assente (c.d. ragione sostitutiva per scorrimento).
Si può, infine, ammettere il ricorso alla somministrazione a tempo determinato anche per le esigenze tipizzate con riferimento alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. Occorre precisare, a questo riguardo che, ove le esigenze che consentono il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato siano invocate per la stipulazione di una somministrazione a termine, è necessario specificare anche la ragione tecnica-organizzativa o produttiva che determina la scelta di apporre un termine alla somministrazione.
La norma contrattuale in materia di somministrazione, pertanto, è conforme alle disposizioni legislative ed è in linea con le direttive definite dalla circolare del Ministero del Lavoro sopra richiamata ed esplicitata.
Il tenore letterale dell’art. 13 del CCNL 22/5/2003, pertanto, è chiaro: le parti stipulanti hanno indicato a titolo esemplificativo e non esaustivo, alcune delle attività che, per ragioni organizzative, possono dar luogo al ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Di conseguenza, anche alla luce dei chiarimenti effettuati ad opera del Ministero, si ritiene che le aziende possono ricorrere alla somministrazione a tempo determinato anc he per ragioni di carattere sostitutivo e/o produttivo non elencate nella norma contrattuale.
DICHIARAZIONE CONGIUNTA
Nel rispetto degli impegni assunti dalle parti stipulanti nella dichiarazione congiunta posta in calce al capitolo dedicato alle forme del contratto di lavoro, le stesse hanno convenuto sulla necessità, in occasione del prossimo rinnovo contrattuale, di disciplinare l’istituto dell’APPRENDISTATO, avuto riguardo all’interesse che detta materia, in particolar modo l’apprendistato professionalizzante, riveste nel settore di riferimento.
CAPITOLO IV CLASSIFICAZIONE UNICA DEL PERSONALE
Art. 14 - Classificazione del personale
In questa sede vengono fornite soltanto alcune indicazioni generali sul nuovo sistema di classificazione del personale, in vigore dal 1° maggio 2003, il quale sostituisce la classificazione del personale disciplinata dall’art. 10 del CCNL 31.10.1995. Detta normativa, è soggetta ad un processo di monitoraggio tra le parti stipulanti (dichiarazione congiunta posta in calce alle norme contrattuali).
Il nuovo sistema di classificazione unica del personale è organizzato per aree operativo funzionali (cinque), con 8 (otto) livelli professionali e 14 (quattordici) posizioni parametrali cui corrispondono 14 retribuzioni base mensili. Il personale inquadrato nelle posizioni parametrali di tipo B, accede alle corrispondenti posizioni parametrali di tipo A del medesimo livello professionale solo dopo che siano trascorsi sei anni di effettiva prestazione.
In particolare, si ritiene che sono utili al decorso dei sei anni di cui sopra, tutte quelle assenze che la legge (art. 2110 c.c.) assimila ad “effettiva prestazione”, in quanto computate nell’anzianità di servizio (ad esempio: malattia, infortunio, gravidanza o puerperio, ferie).
Inoltre, le frazioni di mese pari o superiori a 15 giorni, che la norma contrattuale (art. 27, p. 5 del CCNL vigente) considera utili ai fini della maturazione degli aumenti periodici di anzianità, per analogia, sono utili anche al computo del decorso dei sei anni necessario per il passaggio dalla posizione parametrale di tipo B a quella di tipo A del livello di inquadramento di appartenenza.
Per contro, non sono considerati utili i periodi di aspettativa non retribuita e le giornate di non prestazione non retribuite.
Quanto sopra, tra l’altro, trova conferma nella disposizione contenuta nel CCNL Fise 30.4.2003, all’art. 14, p. 10 (sistema di classificazione unica).
L’attuale sistema di classificazione del personale non può formare oggetto di regolamentazione o modificazione alcuna da parte del secondo livello di contrattazione.
Le aree sono:
- Spazzamento, raccolta, attività accessorie e complementari
- Conduzione
- Impianti e officina
- Tecnico – amministrativa
- Servizi generali
Ogni area ha:
- una propria declaratoria generale illustrativa delle attività che vengono assicurate dalla stessa
- un proprio numero definito di livelli professionali - non superabile
- un correlato numero di declaratorie che evidenziano le caratteristiche ed i requisiti principali degli specifici livelli professionali
- una gamma di profili esemplificativi che evidenziano il grado professionale espresso dalla declaratoria del livello
- un doppio parametro retributivo - con esclusione del 1° e dell’8° livello - il maggiore dei quali si acquisisce con il decorso di sei anni di servizio (a tal fine sono utili tutti i periodi maturati nella posizione parametrale B - anche in più aree operativo funzionali – comunque coperti da retribuzione o da indennità di malattia o infortunio, indennizzati dai competenti istituti assicuratori, nonché i periodi trascorsi in aspettativa per cariche sindacali ai sensi dell’art. 35, comma 2).
Per il personale di 1° livello delle aree professionali, ad eccezione dell’Area spezzamento, raccolta, attività accessorie e complementari - per il quale trova applicazione la relativa “nota a verbale”- in servizio alla data del 30 aprile 2003, l’inquadramento va effettuato con il mantenimento “ad personam” della differenza retributiva tra il vecchio ed il nuovo 1° livello.
Il 1° livello di ciascuna delle aree di classificazione che lo prevedono, non costituisce più un livello di transito : è stabilizzato per tutte le professionalità in esso ricomprese, in quanto è stato soppresso il precedente passaggio automatico al 2° livello.
AREA RACCOLTA, SPAZZAMENTO, ATTIVITA’ ACCESSORIE E COMPLEMENTARI:
Quest’area prevede quattro livelli professionali: 1°, 2°, 3° e 4°.
Le mansioni previste dalla declaratoria del 1° livello professionale vengono svolte:
- dai lavoratori assunti a decorrere dal 1° maggio 2003, inquadrati al 1° livello professionale;
- dai lavoratori già inquadrati al 1° livello ex CCNL 31.10.1995, come ridefinito dall’Accordo Interfederale 22.9.1999, e in servizio alla data del 30 aprile 2003, ai quali, tuttavia, viene riconosciuta la qualifica di 2° livello parametro B. Detta qualifica, è determinata esclusivamente dalla necessità di allineare i livelli retributivi tra il personale già inquadrato nel 1° livello e quello attualmente inquadrato al 2° livello parametro B.
Al 1° livello professionale di quest’area è inquadrato il personale al quale non viene richiesto il possesso del requisito della patente di guida.
Nei livelli 2°, 3° e 4° dell’area spazzamento, raccolta, attività accessorie e complementari, è inquadrato il personale che, “assegnato ad attività di raccolta e spazzamento, … svolge mansioni esecutive, anche con l’ausilio di strumenti, macchinari e veicoli per la guida dei quali è richiesta al più la patente di categoria B” (per il 2° livello può essere sufficiente anche il possesso della sola patente A).
Pertanto, fermo restando il dato soggettivo del possesso della patente di categoria B e quello oggettivo dell’effettivo utilizzo di autoveicoli per i quali è richiesta la citata patente, per definire il corretto livello di inquadramento (2° o 3° ) del personale che svolge attività di raccolta e spazzamento, il discrimine tra i due livelli è dato dalla mono funzione o dalla poli funzione delle mansioni assegnate e non dal tipo di veicolo condotto.
In particolare, il personale addetto all’area in esame, che espleta la mono funzione sul processo raccolta e spazzamento, deve essere inquadrato nel secondo livello, anche se guida, ad esempio, un motocarro (previsto nei profili esemplificativi del 3° livello).
Diversamente, il personale che espleta mansioni polifunzionali nell’ambito del processo sopracitato, deve essere inquadrato nel 3° livello.
La Commissione nazionale di cui all’art. 71, rileva che la disciplina contrattuale prevede l'inquadramento nel 3° livello della suddetta area dei lavoratori che utilizzano “in maniera sistematica e non occasionale autoveicoli per la guida dei quali è richiesto il possesso della patente di categoria B”, a nulla rilevando, per l'area spazzamento e raccolta, il peso complessivo del veicolo utilizzato.
La definizione di lavoratore mono e polifunzionale è contenuta nei commi 4 e 5 dei profili esemplificativi previsti in calce alla declaratoria del 3° livello dell’art. 10 del CCNL 31.10.1995.
AREA CONDUZIONE
L’area conduzione prevede due livelli professionali: 3° e 4°.
La condizione fondamentale per essere inquadrati nell’Area conduzione è quella per cui il lavoratore deve possedere la patente di categoria C e che la guida dei mezzi aziendali avvenga in modo “sistematico e non occasionale”. Inoltre, a norma della declaratoria contrattuale, i lavoratori inquadrati in tale area effettuano attività di carico, scarico e accessorie, manovrando comandi e gli apparati in dotazione agli automezzi utilizzati.
L’area prevede due livelli professionali e quattro posizioni parametrali.
Il discrimine tra i due livelli è costituito sia dalla massa complessiva del mezzo, sia dalla guida in singolo “manovrando da bordo i comandi e gli apparati in dotazione al mezzo utilizzato”.
AREA IMPIANTI E OFFICINA
Nell’area impianti ed officina vi appartiene il personale addetto alla manutenzione di impianti fissi ed addetto alle attività di officina.
Detta area prevede 5 livelli professionali:
al 1° livello sono inquadrati i lavoratori con la qualifica di “manovale”;
al 2° livello sono inquadrati i lavoratori con la qualifica di “operaio comune”;
al 3° livello sono inquadrati i lavoratori con la qualifica di “operaio qualificato”; al 4° livello sono inquadrati i lavoratori con la qua lifica di “operaio specializzato”;
al 5° livello sono inquadrati i lavoratori con la qualifica di “operaio super-specializzato”.
Il verbale di accordo sottoscritto in data 31.4.2004 ha inserito una nota a verbale in calce al V° livello professionale, allo scopo di correggere un refuso contenuto nella relativa disposizione contrattuale sottoscritta in data 22 maggio 2003. La nota a verbale dispone che, qualora il lavoratore, oltre a svolgere le mansioni proprie della qualifica di conduttore/manutentore con patente di 1° grado generale, sia, di norma, addetto a turni avvicendati e continui e abbia il compito di guidare controllare il personale del turno assegnato, allo stesso è riconosciuta, a decorrere dall’1.6.2004, un’indennità mensile pari a € 40.00, che viene corrisposta per 12 mensilità e non dà luogo ad effetti retributivi indiretti o differiti perché la sua misura ne contiene l’incidenza.
Si sottolinea che, per l'attribuzione della predetta indennità, è richiesta la contestuale presenza di tre requisiti: uno oggettivo che attiene alle caratteristiche dell'impianto, la cui conduzione implica necessariamente il possesso della patente di I° grado generale; due soggettivi che riguardano lo svolgimento di turni avvicendati e continui e del compito di guida e controllo del personale del turno.
AREA TECNICO - AMMINISTRATIVA
Nell’area tecnico – amministrativa sono inquadrati i lavoratori dal 3° all’8° livello addetti ai servizi tecnici ed amministrativi, ed i lavoratori con la qualifica di “quadro”.
In materia di normativa quadri, a decorrere dal 1° maggio 2003, il nuovo testo contrattuale, che ha dato piena attuazione alla legge n. 190/1985, dispone che : “la qualifica di quadro è attribuita dall’azienda solo ed esclusivamente a quei lavoratori, sia tecnici che amministrativi che, nell’ambito dell’8° livello, ricoprono ruoli ad alto contenuto professionale …”.
Questo comporta che, tutti i lavoratori assunti a decorrere dal 1° maggio 2003, ai quali le aziende ritengono di attribuire la qualifica di quadro, possono essere soltanto di 8° livello.
Il personale che, alla data del 30 aprile 2003, era “quadro” di 7° livello, conserva “ad personam” tale qualifica unitamente al livello d’inquadramento ed alla relativa indennità di funzione (salva la possibilità, a livello aziendale, di attribuire il superiore livello contrattuale).
L’indennità di funzione, già riconosciuta dal previgente CCNL, corrisposta per quattordici mensilità, continua ad essere prevista anche dalla nuova norma (art. 14) in materia di normativa quadri. L’importo dell’indennità di funzione, utile ai soli fini del TFR, della 13ma e della 14ma mensilità, è rimasto invariato: € 299,55.
La norma in esame, disciplina anche il “premio alla prestazione”. Detto emolumento, la cui misura può essere differenziata e graduata individualmente, viene disposto dalla Direzione aziendale, sulla base di precisi criteri. Detto importo non è utile ad alcun istituto contrattuale e, la relativa erogazione è oggetto di informativa alla RSU o, in mancanza alla r.s.a..
Rappresenta, invece, una novità la previsione del riconoscimento dell’assistenza legale e la copertura delle spese collegate a procedimenti civili e penali, cui il “quadro” sia sottoposto per fatti direttamente connessi con l’esercizio delle funzioni svolte e non dipendenti da suo dolo o colpa grave.
La Commissione nazionale per l’interpretazione delle norme contrattuale di cui all’art. 71 del vigente CCNL, ha chiarito che ai lavoratori con la qualifica di quadro competono, al pari degli altri lavoratori, tutte quelle indennità che il vigente CCNL prevede (reperibilità, indennità neve, notturno, etc.). non gli spettano, invece, quei compensi che sono connessi, come stabilisce la citata norma, alle prestazioni eccedenti l’orario di lavoro previsto dall’art. 17 del CCNL. In altri termini, il lavoratore quadro che viene chiamato a svolgere , ad esempio, il servizio neve, avrà diritto alla relativa indennità, alla reperibilità ove spetti, ma non avrà diritto al pagamento delle ore straordinarie effettuate , sia notturne che diurne, le quali trovano compenso nella specifica indennità di funzione attribuita mensilmente, salvo che non sia richiesto loro dall’azienda il rispetto di un prestabilito orario di lavoro.
Infatti, la normativa del lavoratori “quadri”, prevede espressamente che, per tali lavoratori, in materia di orario di lavoro, “si applica quanto stabilito dall’art. 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003, salvo che non sia richiesto loro dall’azienda il rispetto di un prestabilito orario di lavoro”.
È, quindi, affidata alla discrezionalità dell’azienda, nell’esercizio del suo potere di organizzazione dell’attività, l’assunzione di decisioni in merito all’orario di lavoro di detto personale.
La timbratura in entrata e/o in uscita, eventualmente richiesta dall’azienda, di per sè non comporta l’obbligo di rispettare un orario di lavoro predeterminato.
Infatti, il datore di lavoro è tenuto ad assicurare il lavo ratore “quadro”, al pari degli altri dipendenti, oltre che per eventuali infortuni a danno del lavoratore stesso, anche contro il rischio di responsabilità civile verso terzi conseguente a colpa nello svolgimento delle proprie mansioni contrattuali (art. 5 legge n. 190/1985).
Pertanto, l’obbligo di timbratura può essere richiesto dal datore di lavoro non necessariamente al solo scopo di controllare il rigido rispetto dell’orario contrattuale di lavoro, ma anche per avere un riferimento ai fini assicurativi.
Al contrario, se l’obbligo di timbratura è richiesto dall’azienda affinché il lavoratore con la qualifica di quadro osservi l’orario contrattuale di lavoro, questo comporta che l’azienda stessa applichi, ove se ne verifichino le condizioni, le disposizioni contrattuali in materia di prolungamento orario e/o straordinario.
A tal riguardo, una sentenza del Tribunale di Milano (24 gennaio 2002), ha precisato che “il quadro è pur sempre un lavoratore dipendente e pertanto deve organizzare la propria prestazione in modo utile al datore di lavoro ed in orari nei quali possa coordinarsi con il resto del personale, nonché osservare le disposizioni datoriali compreso quelle relative alla timbratura in ingresso e/o in uscita”.
Premesso che la Commissione paritetica ha chiarito, in data 24.1.2005, che, a termini di contratto, il personale inquadrato nei livelli 7° e 8° ha la qualifica di impiegato direttivo, lo stesso art. 14 dispone che, per tali lavoratori (nota a verbale posta in calce all’area tecnico – amministrativa), in materia di orario di lavoro (analogamente a quanto disposto per i “quadri”), “si applica quanto stabilito dall’art. 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003, salvo che non sia richiesto loro dall’azienda il rispetto di un prestabilito orario di lavoro”.
Qualora l’azienda intende non chiedere a detto personale il rispetto di un prestabilito orario di lavoro, in forza del vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto che intercorre tra questi lavoratori ed il datore di lavoro stesso, non è tenuta ad applicare le disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro (prolungamento orario e/o straordinario).
Per quanto attiene all’importo “forfettizzato” che l’azienda intenda attribuire a detti lavoratori a compensazione delle ore di lavoro eventualmente prestate in eccedenza rispetto a quelle minime contrattualmente previste (36 ore), si ritiene che sia assimilabile, quanto ad effetti, all’istituto del superminimo.
AREA SERVIZI GENERALI
Nell’area servizi generali è inquadrato il personale addetto alle attività di supporto all’organizzazione e produzione dei servizi aziendali, inquadrati dal 1° al 5° livello professionale .
Vi appartengono, a titolo esemplificativo : portieri, centralinisti, addetti alle pulizie interne, addetti al rifornimento carburante, sorveglianti beni aziendali e addetti di magazzino, addetto al lavaggio automezzi.
Art. 15 - Mobilità dei lavoratori
Nel nuovo sistema di classificazione del personale, dal momento che, ai fini della individuazione di equivalenti professionalità, non sussiste differenza fra le mansioni previste dalle diverse aree operativo funzionali, a parità di livello, il lavoratore può essere adibito a tutte le mansioni appartenenti al medesimo livello di inquadramento professionale, anche se relative a differenti aree operativo funzionali, in relazione alle esigenze aziendali organizzative, tecnico produttive e di mercato.
È consentita, come nel precedente CCNL, la mobilità del lavoratore tra aziende di igiene urbana, e, salvo diverso accordo tra le parti, opera la ricongiunzione dell’anzianità e non viene chiesto lo svolgimento del periodo di prova.
Art. 16 - Mutamento di mansioni
Il principio generale è quello per cui l’azienda ha il potere di determinare la struttura dell’organizzazione aziendale e, a questo scopo, quello di attribuire al lavoratore mansioni diverse in corso di rapporto: è il c.d. “ius variandi”, che letteralmente significa “diritto di variare”.
Tale diritto, per quanto di estensione ampia, non può mai essere illimitato, a rischio, in caso contrario, di pregiudicare situazioni meritevoli di tutela. Se poi il diritto di variare incide su profili
che riguardano da vicino la personalità dell’uomo, appare più comprensibile l’esigenza di stabilire con una certa rigorosità i limiti all’esercizio del diritto medesimo.
Posto dunque, che lo ius variandi non può essere illimitato, il legislatore è intervenuto con l’art. 2103 c.c. che stabilisce, alla stregua dell’art. 16 del CCNL vigente, che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.
Tale divieto di diminuzione, che non ha valore sia se disposta dal datore di lavoro, sia se concordata
– stante che ogni patto contrario è nullo- vale in ogni caso in cui il compenso pattuito per il lavoro da svolgere, anche in sede di contratto individuale, venga ridotto salvo che si tratti di compenso connesso a particolari circostanze di tempo e luogo nelle quali sia resa la prestazione lavorativa (Cass. Civ. Sez. Lav. n.16106/2003).
Inoltre, come esplicitamente dettato dal citato art. 2103 c.c, non è possibile l’assegnazione a mansioni inferiori neanche a mezzo di accordi collettivi. Tuttavia tale divieto è derogabile solo nelle ipotesi di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, per motivi sanitari inerenti alla sua persona e nel corso di procedure di mobilità quando gli accordi sindacali prevedono il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori in esubero, con l’assegnazione di mansioni diverse e, più in generale, quando l’accordo costituisce l’unica alternativa al licenziamento.
Nello specifico, la norma contenuta nell’art. 16 del CCNL vigente al p. 5) legittima l’azienda, in presenza di esigenze organizzative, tecnico-produttive o sostitutive a richiedere al lavoratore lo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle previste dalla qualifica di appartenenza, ma soltanto in modo occasionale, saltuario e marginale, senza che ciò comporti alcun peggioramento economico e morale. Questa previsione rappresenta una novità rispetto alla precedente disciplina, che non prevedeva in alcun modo la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, se non in caso di inidoneità sopravvenuta, al fine di salvaguardare il posto di lavoro.
Il nuovo articolo contrattuale dispone, allo stesso modo del previgente articolo in materia di mutamento di mans ioni che, qualora lo svolgimento di mansioni superiori non abbia avuto luogo per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (salvo il caso di mancato rientro del dipendente sostituito), l’assegnazione nel superiore livello di inquadramento diviene definitiva dopo un periodo di tre mesi di effettivo servizio, fatta eccezione per i lavoratori con la qualifica di quadro, per i quali occorrono sei mesi consecutivi di effettivo svolgimento delle mansioni.
Qualora, però, l’azienda, in forma esplicita e dietro preciso mandato scritto, assegni temporaneamente il lavoratore a svolgere mansioni appartenenti ad un superiore livello di inquadramento, deve riconoscere allo stesso il trattamento economico corrispondente all’attività svolta.
In particolare, se la fattispecie di cui sopra, peraltro prevista al punto 2 del nuovo art. 16 “mutamento di mansioni”, è determinata dalla necessità di sostituire temporaneamente un lavoratore assente, si ritiene che il trattamento economico da erogare al lavoratore a cui sono state assegnate le diverse mansioni, corrisponda al livello e al parametro posseduto dal lavoratore sostituito, che può avere o la posizione parametrale A, oppure quella B.
Al contrario, invece, se l’assegnazione a mansioni superiori, non è determinata dalla necessità di sostituire altro lavoratore, riteniamo che il trattamento economico da erogare sia quello di cui al parametro B del livello corrispondente alle mansioni effettivamente svolte, alla luce del punto 3.1 del citato art. “Posizioni parametrali del sistema di classificazione”.
Sotto il profilo relazionale, il nuovo articolo 16 dispone una modifica sostanziale rispetto alla previgente procedura: è stato eliminato l’obbligo della “contestuale” informazione scritta alle organizzazioni sindacali aziendali, le quali, ora, devono essere informate con periodicità semestrale delle variazioni di inquadramento e dei definitivi mutamenti di mansione effettuati nell’ambito dello stesso livello di inquadramento.
CAPITOLO V
ORARIO DI LAVORO, FESTIVITÀ, RIPOSI, FERIE
Art. 17 - Orario di lavoro
Il X.Xxx. n. 66 dell’8 aprile 2003 (G.U. 14/4/2003, s.o. n. 61), come integrato e modificato dal D.Lgs. n. 213 del 19 luglio 2004 (G.U. 17/8/2004, n. 192), ha completamente ridefinito la disciplina legale in materia di orario di lavoro.
La nuova normativa contrattuale, che ha recepito “in toto” le disposizioni legislative di cui sopra, dispone che è da intendersi come orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni”.
Questa nuova definizione dell’orario di lavoro ha una portata più ampia del precedente concetto di lavoro “effettivo”(R.D.L. 692/23, art. 3), ricomprendendo, così, anche i periodi in cui i lavoratori sono obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la loro opera in caso di necessità.
Il p. 3 della lettera B dell’art. 17, precisa che, salvo particolari deroghe derivanti da esigenze logistico – organizzative, le operazioni accessorie quali vestizione e svestizione (c.d. tempo tuta), doccia, etc., devone essere effettuate fuori dell’orario di lavoro.
L’orario normale di lavoro è fissato dall’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 66/2003 in 40 ore settimanali, tuttavia la contrattazione collettiva ha la facoltà sia di stabilire un orario inferiore che di riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno.
L’art. 17 del CCNL 22/5/2003, fissa, lasciando immutata la precedente normativa, la durata normale dell’orario di lavoro in 36 ore settimanali per tutti i lavoratori, distribuite, di norma, su 5 o 6 giorni alla settimana.
La norma contrattuale, inoltre, stabilisce che “l’articolazione dell’orario giornaliero di lavoro viene stabilita dall’Azienda con apposito ordine di servizio, previo esame congiunto con la RSU o, in mancanza con le r.s.a.”.
Secondo un orientame nto giurisprudenziale (Trib. Bergamo 1991), qualora il contratto collettivo obblighi il datore di lavoro ad un previo confronto con le r.s.a. prima di decidere la distribuzione dell’orario, e non sia raggiunto un accordo tra le parti, il datore di lavoro conserva il suo diritto di stabilire unilateralmente la disciplina dell’orario. Nel caso in cui , invece, sia richiesto l’accordo con le r.s.a., in mancanza di questo, il datore di lavoro non potrà esercitare il proprio potere (Pret. Milano 1983).
Pertanto, una volta espletato detto esame congiunto che, ai sensi dell’art. 1 del citato CCNL, può definirsi come un momento di discussione tra l’azienda e la rappresentanza sindacale, per lo più preventivo rispetto al provvedimento aziendale, anche se lo stesso abbia avuto esito negativo, visto che non è un accordo, l’azienda potrà articolare diversamente il turno di lavoro dei dipendenti, anche ampliandone la durata giornaliera.
Mentre per normale articolazione dell’orario di lavoro, come già detto, è sufficiente l’esame congiunto, nell’ipotesi in cui il lavoratore sia tenuto, per ragioni tecniche connesse al servizio, a svolgere la propria prestazione in un luogo diverso da quello abituale, le relative modalità di utilizzo, tra cui l’articolazione dell’orario di lavoro, sono oggetto di intesa aziendale (p. 6, lett. B, art. 17).
Art. 18 - Orario di lavoro in regime di attività lavorativa flessibile
L’istituto dell’orario di lavoro in regime di flessibilità, in vigore dal 1° gennaio 2005, è una novità per il CCNL Federambiente. Questo istituto consente alle aziende di far fronte alle variazioni cicliche delle esigenze produttive, senza, tuttavia, influire sulla quantificazione dell’organico aziendale e senza influire su eventuali accordi aziendali già in atto, concernenti programmi di attività lavorativa flessibile.
L’adozione di un orario multiperiodale, permette all’azienda di far superare l’orario normale di lavoro in alcuni periodi dell’anno e ridurlo, per compensazione, in altri periodi, senza che gli incrementi siano considerati lavoro straordinario.
Prima di esaminare la disciplina contrattuale, è opportuno riportare brevemente la disposizione normativa (D.Lgs. n. 66/2003, art. 4), in materia di durata massima dell’orario di lavoro, in quanto
l’istituto dell’orario di lavoro in regime di flessibilità si armonizza con la disciplina di seguito riportata.
I commi 2 e 3 dell’art. 4 del D.lgs. 66/2003, dispongono che la durata media dell’orario di lavoro, con riferimento ad un periodo di quattro mesi (periodo minimo), non può, in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
La contrattazione collettiva, oltre a determinare la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, ha la facoltà di elevare il periodo di riferimento da 4 fino a 6 mesi e, in caso di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, fino a 12 mesi.
Ai fini del computo di detta media, l’art. 6 del citato X.Xxx. 66/2003, dispone che non devono essere presi in considerazione i periodi di ferie, malattia, nonché i riposi compensativi del lavoro straordinario goduti (art. 23 – banca delle ore).
Con riferimento a quanto sopra considerato, il CCNL Federambiente ha fissato in 36 ore la durata massima dell’orario settimanale e non ha disposto alcun innalzamento del periodo quadrisettimanale di riferimento.
Pertanto, qualora nell’azienda non sia in atto alcun programma di orario flessibile, la durata normale dell’orario di lavoro settimanale di 36 ore, può essere incrementata, purchè nel quadrimestre di riferimento, venga comunque rispettata la media di 48 ore settimanali, comprese le ore di lavoro in prolungamento e/o in straordinario.
Nel caso in cui, invece, l’azienda abbia programmato una modulazione flessibile dell’orario di lavoro, questa può essere realizzata con riferimento a:
• singole settimane: fermo restando lo svolgimento di 36 ore settimanali, è consentito effettuare, in alcuni giorni della settimana, fino a 8 ore giornaliere, ed in altri giorni, a compensazione, un orario inferiore a 6 ore (per la settimana lavorativa di sei giorni) ed inferiore a 7 ore e 12 minuti (per la settimana lavorativa di cinque giorni);
• più settimane: fermo restando lo svolgimento nel periodo di riferimento di una media di 36 ore settimanali, è consentito superare, in alcune settimane, le 45 ore settimanali (da compensare mediante corrispondenti riduzioni in altre settimane). Xxxxxxx, però aggiungere, che il limite delle 45 ore settimanali, non è stato configurato dal CCNL come una soglia
assolutamente invalicabile. Infatti potrà essere elevato dalla contrattazione aziendale, così come il monte ore annuo individuale complessivo di prestazioni lavorative eccedenti l’orario normale che potranno essere svolte in regime di flessibilità (si tratta delle 100 ore indicate dall’art. 18, comma 4).
Il comma 12 dello stesso art. 18 stabilisce, infatti, che “il ricorso a prestazioni programmate in attività lavorativa flessibile, oltre i limiti di cui ai commi 3 e 4, è oggetto di contrattazione aziendale a contenuto normativo di cui all’art. 2”.
Le prestazioni lavorative rese dalla 36ma alla 45ma ora, fino ad un massimo di 100 ore (elevabile dalla contrattazione aziendale) sono compensate con la retribuzione base parametrale oraria maggiorata del 15% per le prime 80 ore, del 20% per le residue 20 ore. Detto trattamento economico è comprensivo dell’incidenza su tutti gli istituti contrattuali e legali, indiretti e differiti.
Nei periodi in cui siano in atto programmi di attività lavorativa flessibile, non è consentito chiedere al lavoratore prestazioni di lavoro in prolungamento orario e/o straordinario, tanto meno è consentito chedere prestazioni nel giorno programmato come riposo settimanale.
In caso di malattia o infortunio non sul lavoro in giornate in cui la modulazione flessibile dell’orario di lavoro prevede prestazioni oltre il normale orario giornaliero (6 ore o 7ore e 12 minuti), le ore programmate in eccedenza e non effettuate devono essere recuperate nell’ambito del medesimo ovvero successivo programma.
La normativa contrattuale, tuttavia, non disciplina il diritto al recupero nelle ipotesi in cui si verifichino assenze per infermità per malattia o infortunio non sul lavoro in giorni in cui sia stata programmata una ridotta attività lavorativa.
A tal fine, è possibile far riferimento ad una sentenza giurisprudenziale (Pret. Milano 16 febbraio 1998) secondo la quale nel caso di assenza giustificata nei periodi programmati di recupero, il lavoratore ha diritto allo spostamento del recupero o al pagamento di un’indennità sostitutiva.
Le modalità di attuazione della flessibilità sostituiscono oggetto di esame preventivo, nel corso di appositi incontri tra le imprese e la R.S.U. o in mancanza, le r.s.a., congiuntamente alle strutture territorialmente competenti delle XX.XX. stipulanti il CCNL.
Art. 19 - Lavoro in prolungamento orario Lavoro straordinario, notturno, festivo
Prolungamento orario:
Dal momento che l’orario settimanale previsto dal CCNL Federambiente è pari a 36 ore, si considera lavoro in prolungamento orario, il lavoro prestato oltre l’orario contrattuale ed entro il limite legale (40 ore).
Detto istituto è stato introdotto, per la prima volta nel CCNL vigente ed è in vigore, appunto, dal 22 maggio 2003.
Le ore di lavoro in prolungamento orario (dalla 37ma alla 40ma compiuta) sono compensate con la retribuzione individuale oraria maggiorata :
- del 30% per le prestazioni feriali diurne
- del 45% per le prestazioni feriali notturne
- del 60% per le prestazioni festive diurne
- del 75% per le prestazioni festive notturne
Lavoro straordinario:
Il lavoro straordinario, ai sensi della norma contrattuale, è il lavoro autorizzato e compiuto oltre le 40 ore settimanali. L’art. 1, comma 2, lett. C) del D.Lgs. 66/2003, lo definisce come il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro.
Le prestazioni di lavoro straordinario sono compensate con la retribuzione individuale oraria maggiorata :
- del 31% per le prestazioni feriali diurne
- del 50% per le prestazioni feriali notturne
- del 65% per le prestazioni festive diurne
- del 75% per le prestazioni festive notturne
Il CCNL vigente ha incrementato, a decorrere dal 22 maggio 2003, il tetto massimo di prestazioni procapite annue straordinarie portandolo da 135 ore a 175. Il CCNL lascia alla contrattazione aziendale a contenuto normativo la possibilità di definire un superiore limite orario annuo.
Le prestazioni lavorative rese nelle prime 26 ore feriali del monte annuo di cui sopra, sono compensate con la retribuzione individuale oraria maggiorata del 15%.
In linea con l’orientamento espresso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Circ. n. 8 del 3 marzo 2005), il limite delle 250 ore annue di lavoro straordinario pro – capite previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 66/2003 è operante solo in caso di carenza assoluta di qualsiasi disciplina delle prestazioni oltre il normale orario di lavoro nell’ambito del contratto collettivo applicato.
Di conseguenza, dove è presente una disciplina collettiva contrattuale in materia di ricorso al lavoro straordinario, le relative previsioni devono avere la prevalenza su quelle legali.
Pertanto, ai sensi del combinato disposto della norma legale e di quella contrattuale, la contrattazione aziendale può fissare un limite quantitativo di ore di lavoro straordinario annue pro- capite anche superiore a quello legale (250). Detto limite, peraltro, è superabile senza conseguenze sanzionatorie al verificarsi di tre condizioni: nei casi di eccezionali esigenze tecnico –produttive con impossibilità di fronteggiarle mediante assunzione di altri lavoratori; nei casi di forza maggiore o pericolo grave alle persone o alla produzione; in occasione di altri eventi particolari (D.lgs. n. 66/2003, art. 5, comma 4).
In altre parole, la norma legale fissa sia limiti quantitativi che qualitativi alla prestazione di lavoro straordinario, sia direttamente, sia rinviando alla contrattazione collettiva. In particolare, dal punto di vista quantitativo, appare sanzionabile (art. 18bis, comma 6 del D.Lgs. n. 213/2004) il datore di lavoro che faccia superare il limite di lavoro straordinario contrattualmente fissato (inferiore a 250 ore), richiedendo prestazioni straordinarie pro-capite superiori a 250 ore, senza che operino le ipotesi di cui al comma 4 (casi eccezionali, forza maggiore, eventi particolari, ecc.).
Nell’ipotesi, invece, in cui la contrattazione collettiva ( o quella aziendale a contenuto normativo a cui rinvia il CCNL Federambiente), fissi un limite superiore a 250 ore annue pro–capite di lavoro straordinario, tale previsione opera quale scriminante rispetto alla violazione di tale limite, per cui solo al superamento della previsione quantitativa posta dalla contrattazione, il datore di lavoro potrà
essere assoggettato alla sanzione, salva l’operatività delle ipotesi di cui al comma 4 (casi eccezionali, forza maggiore, eventi particolari, ecc.).
Ad ogni buon fine, evidenziamo che le prestazioni di lavoro straordinario restano in ogni caso utilmente computabili ai fini delle disposizioni sulla durata massima settimanale dell’orario di lavoro, fissata dall’art. 4, commi 2 e 3 in 48 ore settimanali medie su base quadrimestrale e sanzionata dall’art. 18bis, n. 3.
Il nuovo CCNL, ha eliminato l’obbligo, a carico dell’azienda, di comunicare trimestralmente, alle istanze sindacali le notizie riassuntive del lavoro straordinario, fornite analiticamente per area o per reparto.
In caso di superamento delle 48 ore settimanali, attraverso prestazioni di lavoro straordinario, per le unità produttive che occupano più di dieci dipendenti, il datore di lavoro è tenuto ad informare, entro trenta giorni dalla scadenza del periodo di riferimento (quadrimestre), la Direzione provinciale del lavoro – settore ispezione – competente per territorio (D.Lgs. 66/2003, art. 4).
Com’è noto, al personale direttivo di 7° e 8° livello ed ai lavoratori con la qualifica di “quadro” non si corrispondono le maggiorazioni previste per il prolungamento orario e/o per il lavoro straordinario, salvo che ad essi non ve nga richiesto “il rispetto di un prestabilito orario di lavoro”. (art. 17, comma 5 del D.lgs. n. 66/2003).
Il CCNL, inoltre, consente che, in alternativa alle maggiorazioni retributive previste per il lavoro straordinario, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi. Le ore prestate oltre l’orario normale di lavoro, pertanto, vengono accantonate in un monte ore individuale (c.d. banca delle ore – art. 23 CCNL vigente).
Le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario festivo assorbono l’indennità domenicale disposta dall’art. 20.
Lavoro notturno:
Il D.Lgs. 66/2003, disciplina il lavoro notturno dall’art. 11 all’art. 15, riprendendo in larga misura il contenuto del D.Lgs. n. 532/1999.
La norma contrattuale vigente, continua a considerare il lavoro notturno quello autorizzato e compiuto tra le ore 22.00 e le ore 06.00.
Il lavoratore, per poter svolgere lavoro notturno deve essere ritenuto idoneo mediante accertamento ad opera delle strutture sanitarie pubbliche competenti o per il tramite del medico competente (D.Lgs.66/2003, art. 11, c.1).
E’ cambiata la percentuale di maggiorazione destinata a compensare il lavoro notturno: al lavoratore notturno spetta la retribuzione individuale oraria maggiorata del 33%, sia per le prestazioni notturne svolte in turni avvicendati, che in turni non avvicendati.
Il vigente CCNL, conformemente alle disposizioni legislative, prevede alcune limitazioni al lavoro notturno: è fatto divieto, ad esempio, di adibire al lavoro notturno le lavoratrici in gestazione dal momento in cui sia stato accertato lo stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, etc. (art. 19, pp. 13 e 14).
Scompare l’obbligo di dotare il personale impegnato a svolgere lavoro notturno, di apparecchi ricetrasmittenti.
Infine, per la definizione di “lavoratore notturno” e per le misure dirette a salvaguardare la salute e la sicurezza dei dipendenti adibiti al lavoro notturno, si richiamano le disposizioni di legge (D.Lgs. 66/2003, artt. 13 e 14).
Lavoro festivo:
La norma contrattuale definisce lavoro festivo quello autorizzato e compiuto nei giorni festivi individuati dall’art. 21.
Le prestazioni di lavoro rese nei giorni festivi sono compensate con la retribuzione individuale oraria maggiorata:
- del 50% in caso di festivo diurno
- del 75% in caso di festivo notturno
Art. 20 - Lavoro domenicale
La norma contrattuale in materia di lavoro domenicale è rimasta invariata rispetto a quella contenuta nel CCNL 31.10.1995.
La disciplina in esame distingue i lavoratori che prestano servizio domenicale “normale”, dai lavoratori che prestano servizio domenicale in via “eccezionale”.
Ai primi, ossia a quei lavoratori che svolgono la propria prestazione di lavoro di domenica - in turni con riposo settimanale obbligatorio fissato in altro giorno della settimana, è riconosciuta un’indennità minima pari a € 4.13, che può essere incrementata previa contrattazione aziendale. (Ad ogni buon fine si precisa che la norma contrattuale non prevede che detta indennità possa essere fraziona ta in relazione al numero di ore effettivamente lavorate nel giorno di domenica).
Ai secondi, ossia a quei lavoratori per i quali il lavoro domenicale è una prestazione del tutto eccezionale, poiché prestano normalmente attività lavorativa dal lunedì al venerdì (o sabato), usufruendo costantemente del riposo domenicale, la prestazione lavorativa resa nella giornata di domenica è compensata con la sola maggiorazione prevista per il lavoro festivo, fermo restando il diritto del lavoratore a fruire di un riposo compensativo in altro giorno della settimana.
Qualora il riposo domenicale non fruito, non venga recuperato, in via del tutto eccezionale, in altro giorno della settimana, è considerato festivo e straordinario. Per tale prestazione è previsto il pagamento della retribuzione individuale incrementata con le maggiorazioni fissate dalla norma contrattuale (art. 19).
Art. 21 - Giorni festivi
L’articolo contrattuale che disciplina le festività, in vigore a far data del 1° gennaio 2005, è stato riformulato allo scopo di rendere più agevole la lettura e l’applicazione della norma stessa.
Il comma 1 dell’articolo 21, in conformità alla legge 260/1949, contiene l’elencazione dei giorni festivi. Nel testo contrattuale, per un mero errore materiale, era stata inserita nell’elenco in parola anche la domenica di Pasqua. Per correggere tale errore che, ai fini retributivi, comportava una eccessiva compensazione, le parti stipulanti hanno sottoscritto un verbale integrativo di errata
corrige, con il quale il giorno di Pasqua è stato soppresso dall’elenco dei giorni festivi di cui al p. 1
.
In virtù di tale correzione, il trattamento economico da corrispondere ai lavoratori per la giornata di Pasqua è quello previsto dal p. 10 dell’articolo in esame (21 del CCNL 22.5.2003).
Per il giorno di Pasqua, a tutti i lavoratori, va corrisposto, in aggiunta alla normale retribuzione, un importo pari ad una giornata di retribuzione globale, indipendentemente dall’effettuazione della prestazione lavorativa.
Per i dipendenti, invece, che prestano attività lavorativa nel giorno di Pasqua, dal momento che le parti hanno chiarito (verbale integrativo di errata corrige) che tale giorno non è compreso nell’elenco dei giorni considerati festivi, va corrisposto, oltre al trattamento di cui sopra, quello previsto dal CCNL per il lavoro domenicale.
In materia di festività infrasettimanale, la Commissione nazionale per l’interpretazione delle norme contrattuali, ha chiarito che in caso di festività infrasettimanale lavorata, al lavoratore compete, in aggiunta alla normale retribuzione, una ulteriore giornata di retribuzione (100%), maggiorata con la percentuale prevista dal CCNL per il lavoro festivo (50%).
Diversamente, nel caso in cui la festività infrasettimanale venga fruita e, quindi, non sia lavorata, al lavoratore non spettano ulteriori competenze rispetto a quelle normalmente percepite.
Le festività nazionali e religiose soppresse dalla legge 54/1977, sono regolate dall’Accordo Nazionale Interconfederale del 27/7/1978, il quale è stato poi parzialmente modificato a seguito del ripristino, a decorrere dall’anno 1985 (D.P.R. 792/1985) della festività del 6 gennaio (Epifania)e, a decorrere dall’anno 2000 (legge n. 336/2000), della festività del 2 giugno (festa della Repubblica).
Quanto sopra, ha comportato, con riferimento al CCNL Federambiente, la riduzione del numero dei giorni di permesso retribuito riconosciuti ai lavoratori, fermo restando il numero dei giorni riconosciuti a titolo di ferie.
Il vigente CCNL prevede (cosa che di fatto avviene già dal 2000), “a compensazione ed in luogo delle festività civili e religiose soppresse …, che i giorni di permesso retribuito sono due oppure tre dove l’orario settimanale è ripartito su sei giorni.
Qualora l’azienda chieda al dipendente di prestare la propria attività nei giorni del 6 gennaio e/o del 2 giugno, tale prestazione sarà retribuita con le maggiorazioni previste per il lavoro festivo.
Infine, le parti stipulanti, con la dichiarazione posta in calce all’articolo in esame, hanno soppresso, a decorrere dal 1° maggio 2003, i “tre giorni festivi supplementari” previsti al p. 1 del precedente art. 30. Di conseguenza, per i lavoratori in servizio alla data del 30 aprile 2003, dette giornate vengono trasformate in ferie da aggiungersi al monte ore annuale spettante o in equivalente economico, previo esame congiunto in sede aziendale.
Nel caso in cui, l’azienda decida, previo esame congiunto, di non incrementare il monte ore feriale spettante ai lavoratori in forza al 30 aprile 2003, ma di monetizzare le 3 giornate, per “valore equivalente” si intende quello derivante dal calcolo di 3 giorni di retribuzione giornaliera ottenuta così come previsto dall’articolo 24 del CCNL 22.5.2003.
Art. 22 - Ferie
La norma contrattuale, in materia di ferie, è conforme alle nuove disposizioni legislative vigenti. L’art. 10 del D.Lgs. 66/2003 che disciplina le ferie annuali, introduce significative novità rispetto alla disciplina del Codice Civile (art. 2109), fissando alcuni principi inderogabili già contenuti nell’Accordo Interconfederale del 1997.
In particolare, il citato art. 10, come modificato dal decreto legislativo n. 213 del 2004, stabilisce che “fermo restando quanto previsto dall’art. 2109 del Codice Civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane.
Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’art. 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei diciotto mesi successivi al termine dell’anno di maturazione”.
(La violazione di tale disposizione è punita, ai sensi del comma 3 dell’art. 18bis del D.Lgs. 66/2003, con la sanzione amministrativa da euro 130,00 a euro 780,00 per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione).
Le parti stipulanti il CCNL, tuttavia, nell’ambito della loro autonomia negoziale, hanno stabilito un termine meno ampio dei diciotto mesi, entro il quale possono essere fruite le ferie residue.
Infatti, l’art. 22, comma 13 del CCNL ha disposto che “nel caso di provate esigenze di servizio, le ferie possono essere fatte godere al lavoratore fino al 31 maggio dell’anno successivo a quello di maturazione”.
Pertanto, dal combinato disposto dell’art. 10 del D.Lgs. 66/2003 e dell’art. 22 del CCNL 22/5/2003, ed anche alla luce delle considerazioni della Circolare n. 8/2005 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che disciplina alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, tra cui la fruizione annuale delle ferie, si evince che nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva stabilisca termini meno ampi per la fruizione delle ferie stesse, il superamento di questi ultimi, quando sia comunque rispettoso del termine dei diciotto mesi, determinerà una violazione esclusivamente contrattuale.
Si rileva, inoltre, che l’attuale D.Lgs. 66/2003 risulta informato al più rigoroso principio dell’irrinunciabilità alla fruizione del periodo minimo di ferie, in conformità all’interpretazione che ne ha dato la più recente giurisprudenza di legittimità. Infatti, riprendendo la prescrizione della direttiva CE 93/104, il comma 2 dell’art. 10 del decreto legislativo vieta la sostituzione del suddetto periodo minimo con l’indennità sostitutiva di ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite è irrinunciabile, poiché è finalizzato a reintegrare le energie psicofisiche spese nella prestazione lavorativa (art. 36, c. 3, Cost.; art. 2109 c.c.; art. 10 D.Lgs. 66/2003). È nullo ogni diverso accordo, tra datore e prestatore di lavoro, che non sia giustificato da eccezionali esigenze aziendali.
Nella norma vigente è stato reso esplicito e tassativo che le ferie non possono essere concesse durante il periodo di preavviso per la cessazione del rapporto di lavoro.
Il numero delle giornate di ferie spettanti al dipendente in ragione d’anno è rimasto invariato: infatti sono attribuiti, per ciascun anno, 26 giorni lavorativi quando l’orario di lavoro è ripartito su 6 giorni a settimana e 22 giorni lavorativi, quando l’orario di lavoro è ripartito su 5 giorni a settimana.
Per i dipendenti in servizio alla data del 30/4/2003, i tre giorni di ferie di cui alla dichiarazione delle parti stipulanti posta in calce all’art. 21, si aggiungono a quelli sopra definiti.
A tale numero si aggiungono anche i due gio rni di ferie di cui al p. 12 del citato art. 21.
In sintesi , in base alle disposizioni contrattuali vigenti (artt. 21 e 22), il numero dei giorni che va riconosciuto ai lavoratori a titolo di ferie e di permesso retribuito è :
• i dipendenti per i quali l’orario settimanale è ripartito su cinque giorni, hanno diritto a 24 giorni di ferie (artt. 22, p. 3 e 21, p. 12), alla festività del Santo Patrono, a 2 giorni di permesso retribuito (art. 21, p. 12) e, per il personale in servizio alla data del 30 aprile 2003, a tre giorni di ferie o all’equivalente economico (dichiarazione a verbale scritta in calce all’art. 21);
• i dipendenti per i quali l’orario settimanale è ripartito su sei giorni, hanno diritto a 28 giorni di ferie (artt. 22, p. 2 e 21, p. 12), alla festività del Santo Patrono, a tre giorni di permesso retribuito ( art. 21, p. 12) e, per il personale in servizio alla data del 30 aprile 2003, a tre giorni di ferie o all’equivalente economico (dichiarazione a verbale scritta in calce all’art. 21).
Il datore di lavoro può scegliere il periodo in cui le ferie devono essere fruite nel contemperamento dell’esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. Un tale potere, però, non può essere esercitato in modo da vanificare le finalità cui è preordinato l’istituto.
In questo quadro generale, il CCNL Federambiente, dispone che la durata minima delle ferie non può essere inferiore ad un giorno lavorativo.
A conferma di quanto sopra, la Commissione nazionale per l’interpretazione delle norme contrattuali, di cui all’art. 71 del vigente CCNL, in risposta ad un quesito posto da un’azienda associata, ha precisato quanto segue: “ le parti concordemente rilevano che, alla luce delle norme legislative vigenti e contrattuali, le ferie debbono, di norma, avere carattere continuativo. Pertanto, è esclusa la possibilità di godere delle stesse a ore”.
La legge ed i contratti collettivi stabiliscono quando le assenze dal lavoro devono essere considerate servizio effettivo ai fini della maturazione delle ferie.
La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che le ferie maturino solo in presenza di una prestazione lavorativa o di un’assenza che, per legge o per contratto, sia equiparata alla prestazione.
La sentenza di Cassazione (n. 1315 del 15 febbraio 1985) dispone che, poiché l’esercizio del diritto di sciopero comporta, in relazione alla sinallagmaticità che caratterizza le prestazioni delle parti del rapporto di lavoro, il venir meno dell’obbligo di corrispondere la retribuzione, lo stesso non è utile ai fini del conseguimento del diritto alle ferie annuali retribuite, salve disposizioni della disciplina collettiva più favorevoli ai lavoratori.
Con riguardo, invece, ai permessi sindacali, il CCNL dispone che non danno luogo alla maturazione di ferie, tranne il caso che non superino i due mesi nell’anno solare.
Art. 23 - Banca delle ore
Il vigente CCNL ha introdotto, per la prima volta la disciplina della banca delle ore. A tale istituto, disponibile dal 1° maggio 2003, le parti hanno dato carattere sperimentale e, per tale motivo, le stesse si sono assunte l’impegno di incontrarsi per una verifica degli esiti applicativi dello stesso.
Nonostante questa peculiarità, l’istituto della banca delle ore, al pari di tutti gli altri previsti dal CCNL in vigore, atteso che la sua applicabilità non è rimessa alla discrezionalità delle parti interessate, ha una valenza generale “erga omnes”.
La sua applicabilità, come si evince, del resto, dal tenore letterale della norma contrattuale, si fonda sulla qualificazione di clausole normative che viene attribuita a quella parte di disposizioni contrattuali le quali, avendo per oggetto la disciplina del rapporto individuale di lavoro, sono destinate a vincolare il comportamento del singolo lavoratore e dell’azienda datrice di lavoro.
L’azienda non può applicare detto istituto solo ad una parte di lavoratori ed accordare, a chi ne faccia richiesta, trattamenti diversi .
L’istituto della banca delle ore, pertanto, deve essere applicato alla generalità dei lavoratori secondo le disposizioni dettate dalla stessa norma contrattuale. Esso è funzionalmente concepito per attuare
una maggiore e migliore flessibilità temporale della prestazione lavorativa e rappresenta uno strumento per la gestione della stessa.
Consiste ne ll’accantonamento, su di un conto individuale, di un numero di ore prestato in più oltre l’orario normale, la cui entità e modalità di fruizione vengono definite dalla norma contrattuale.
L’istituto prevede che, con cadenza mensile l’azienda accrediti nella banca delle ore di ogni singolo lavoratore il 50% delle ore prestate oltre il normale orario di lavoro (prolungamento orario e lavoro straordinario) ed il 50% del lavoro supplementare svolto dal personale a tempo parziale, fermo restando il pagamento della sola percentuale di maggiorazione prevista dal CCNL per il prolungamento orario, per il lavoro straordinario e per il lavoro supplementare.
I 2/3 delle ore accreditate sul conto individuale possono essere fruite a richiesta del lavoratore, con un preavviso di almeno 15 giorni, mentre 1/3 viene fruito come da programmazione aziendale, comunicata con un preavviso di almeno 15 giorni.
Le ore accreditate nella “banca” devono essere fruite entro il 31 dicembre di ciascun anno e, in caso di proroga, non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello dell’ “accredito”.
In buona sostanza, a fronte di una maggiore durata della prestazione lavorativa rispetto al normale orario di lavoro, il lavoratore matura un “credito” cui consegue il diritto al recupero – per un periodo corrispondente – della maggiore prestazione effettuata.
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CAPITOLO VI TRATTAMENTO ECONOMICO
Art. 24 - Retribuzione
Le nozioni di retribuzione utilizzate nei diversi istituti contrattuali sono definite in modo dettagliato nella norma relativa alla “retribuzione”, la quale contiene alcune sostanziali modifiche rispetto a quanto previsto nel CCNL 31.10.1995.
La nuova retribuzione base parametrale è la risultante del conglobamento del minimo contrattuale in vigore alla data del 30 aprile 2003, dell’indennità di contingenza in vigore alla data del 31 dicembre 1991 e dell’E.D.R. ex Accordo nazionale 20 dicembre 1999.
Tali componenti retributive, dunque, sono sostituite ed assorbite nei nuovi importi della retribuzione base parametrale riportati nella tabella di cui all’art. 24, lett. c) del “Chiarimento a verbale delle parti stipulanti”, del vigente CCNL.
Non è stato conglobato nella nuova retribuzione base mensile l’E.D.R. di € 10.33, corrisposto per 13 mensilità, derivante dall’Accordo Interconfederale 31.7.1992, che continua ad essere corrisposto secondo i relativi criteri istitutivi e rientra tra le voci tassative che compongono la retribuzione globale.
Nella nozione di retribuzione individuale, oltre alla retribuzione base parametrale ed agli aumenti periodici di anzianità, ora compaiono le dizioni:
1. “eventuale aumento di merito o superminimo, a carattere individuale”;
2. “eventuale assegno ad personam”.
Il superminimo rappresenta un elemento retributivo totalmente nuovo per il contratto Federambiente, il quale può costituire per le aziende uno strumento di gestione individuale, rispondendo all’esigenza di differenziare i trattamenti nell’ambito di politiche retributive rivolte a premiare il merito.
Le aziende, infatti, possono discrezionalmente riconoscere al proprio personale quote retributive aggiuntive individuali rispetto a quanto previsto dal CCNL, secondo criteri autonomamente definiti di riconoscimento del merito, di incentivazione/motivazione, di gestione per obiettivi, nei limiti della strumentazione giuridicamente disponibile sia come metodologia, sia come forma retributiva.
Per quanto attiene all’ attribuzione del superminimo, i cui criteri generali di attribuzione sono previsti tra le materie oggetto di esame congiunto, anche la Commissione Paritetica di cui all’art. 71 del CCNL, si è espressa affermando che il superminimo è, appunto, un ele mento eventuale che concorre a costituire la retribuzione individuale dei lavoratori, pertanto l’azienda può scegliere di applicare o meno questo istituto e definire le modalità di riconoscimento con i relativi importi.
Nella nozione di retribuzione individuale non è più compresa l’indennità speciale aziendale (istituita dal CCNL 17.5.1976); allo stato l’istituto continua ad essere corrisposto ai lavoratori in servizio alla data del 30.4.2003 (dalle sole aziende che già la corrispondevano) ed è affidata alla trattativa aziendale la problematica relativa all’automatica estensione ai nuovi assunti dell’indennità in parola (solo nelle aziende in cui è già riconosciuta al personale in forza al 30.4.2003).
La nuova nozione di retribuzione globale si compone quattro elementi tassativi: retribuzione individuale, indennità di funzione prevista per i quadri, indennità di funzione del conduttore/manutentore di 5° livello…, E.D.R. di cui all’Accordo Interconfederale del 31.7.1992 (€ 10,33).
Art. 25 - Determinazione convenzionale della retribuzione giornaliera ed oraria
È stata introdotta una nuova metodologia di calcolo per la paga oraria e giornaliera. Tale novità consiste nel prendere a riferimento un diverso divisore convenzionale utile a determinare la retribuzione oraria. Questa si ottiene dividendo la retribuzione mensile per 169 (nuovo divisore convenzionale), mentre la retribuzione giornaliera si ottiene, in tutti i casi, moltiplicando la retribuzione oraria per il numero convenzionale 39 e dividendo il risultato per 6 (sei).
Art. 26 - Corresponsione della retribuzione
La disciplina relativa ai tempi di corresponsione della retribuzione è rimasta invariata rispetto a quella prevista dal CCNL 31.10.1995.
Art. 27 - Aumenti periodici di anzianità
I criteri applicativi dell’istituto degli aumenti periodici di anzianità, come pure i relativi importi in cifra fissa, sono rimasti inalterati, ad eccezione della durata della maturazione che da biennale è diventata triennale. Il 1° gennaio 2006 è stato riconosciuto a tutti i dipendenti il primo aumento periodico di anzianità triennale, in diretta relazione ai mesi di servizio prestati nel triennio 1.1.2003
– 31.12.2005.
L’aumento periodico di anzianità è riferito al livello di inquadramento posseduto dal lavoratore al momento dell’erogazione stessa.
Il nuovo sistema contrattuale contiene una novità rilevante nell’ipotesi di passaggio di livello. Infatti, qualora nell’arco del triennio precedente l’erogazione della competenza economica in esame, il lavoratore passa ad un livello di inquadramento superiore, lo stesso mantiene l’importo in cifra degli aumenti maturati nel livello più basso ed il nuovo “scatto” di anzianità è quello previsto dal suo nuovo livello di inquadramento (art. 27, p. 8). L’importo relativo al superiore livello di inquadramento, naturalmente, è erogato in proporzione al numero dei mesi di appartenenza al nuovo livello stesso. Infatti, la norma contrattuale cita espressamente: “la frazione del triennio in corso è utile agli effetti del successivo aumento periodico”.
Nella nuova norma è stato soppresso il p. 7 della precedente disciplina (art. 16, CCNL 31.10.1995), riferito all’aumento periodico maturato dal personale collocato in quiescenza prima della data di erogazione dell’aumento di anzianità stesso.
Detta formulazione era pleonastica poiché, com’è noto, i c.d. scatti di anzianità rappresentano aumenti di retribuzione periodici stabiliti in rapporto all’anzianità di servizio misurata dalla permanenza in azienda che, insieme all’indennità di fine rapporto, costituiscono il principale automatismo retributivo correlato all’anzianità del lavoratore.
La natura dell’aumento periodico di anzianità comporta, “de plano”, il diritto del lavoratore a vedersi riconosciuta, nell’ultimo mese di retribuzione, la frazione (trentaseiesimi) di aumento economico maturato, anche nel caso in cui lo stesso venga collocato in quiescenza prima del momento di erogazione dell’aumento periodico di anzianità stesso.
Nell’ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, la riduzione della quantità (cioè dell’orario) del lavoro prestato, determina una proporzionale riduzione della retribuzione complessiva in tutte le sue componenti, compresi gli scatti di anzianità (Xxxx. N. 14633/1999). In caso di trasformazione del rapporto di lavoro in senso inverso, naturalmente, la retribuzione complessiva subisce un proporzionale aumento.
Art. 28 - Mensilità aggiuntive
13ma mensilità: a differenza del precedente CCNL, è stato specificato il periodo di maturazione: 1° gennaio – 31 dicembre di ciascun anno.
14ma mensilità: è cambiato la data entro cui deve essere erogata: 30 giugno anziché 31 luglio.
Il periodo di maturazione è stabilito tra il 1° luglio ed il 30 giugno dell’anno successivo. Restano comunque valide le diverse prassi, eventualmente esistenti a livello aziendale, di corresponsione delle mensilità aggiuntive e dei rispettivi periodi di maturazione.
Art. 29 - Indennità e provvidenze varie
Nel nuovo articolo contrattuale in materia di indennità sono state soppresse le indennità relative all’alloggio ed alla sede di lavoro. Detta soppressione segue la logica di un ammodernamento del contratto, con eliminazione delle voci che le parti stipulanti non ritengono opportuno siano affrontate dalla contrattazione nazionale.
In materia di sede di lavoro, infatti, la norma relativa all’orario di lavoro (art. 17, lett. B, p.6), demanda alla contrattazione aziendale la relativa disciplina, disponendo: “le modalità di utilizzo del personale che, per ragioni tecniche connesse alla gestione del servizio, sia tenuto a svolgere la propria prestazione in un posto diverso da quello abituale, sono oggetto di intesa aziendale”.
La prima delle indennità disciplinate dall’art. 29 è quella relativa al rimborso spese di trasporto. La norma contrattuale prevede che, qualora il dipendente, previa autorizzazione dell’azienda, ovvero aderendo alla richiesta di quest’ultima, usi il proprio mezzo di trasporto per servizio, la stessa azienda sarà tenuta a corrispondergli un rimborso commisurato alle tariffe ACI.
Com’è noto, infatti, ogni anno, con provvedimento dell’Agenzia dell’Entrate, vengono pubblicate le tabelle elaborate dall’ACI che individuano il valore del fringe benefit relativo alle autovetture e
ai motocicli aziendali dati in uso promiscuo ai dipendenti. Dette tabelle, dopo aver individuato il tipo di vettura e la serie, forniscono il costo chilometrico nonché l’importo annuo del fringe benefit del dipendente a cui si deve il rimborso.
La norma contrattuale, quindi, dispone di tener conto, ai fini della determinazione dell’indennità chilometrica da rimborsare, dei valori relativi ad autovetture benzina di cc. 1300 che effettuino una percorrenza media annua di km. 20.000. Tali valori vanno presi a riferimento anche se la cilindrata e la percorrenza media annua dell’autovettura effettivamente utilizzata dal dipendente non sono tali. La cilindrata e la percorrenza media annua da considerare sono quelle relative alla marca dell’autovettura utilizzata dal dipendente.
La seconda indennità disciplinata è quella relativa al rimborso per spese di testimonianza. Il lavoratore intimato dall’autorità giudiziaria a rendere testimonianza in contenziosi civili e penali, è corrisposta la retribuzione globale e, quindi, il giorno di assenza dal lavoro va considerato a tutti gli effetti giorno di attività lavorativa, solo se tali procedimenti giudiziari siano instaurati per cause inerenti al servizio e non invece per motivi estranei all’azienda. In quest’ultimo caso, dal momento che la legge riconosce al lavoratore che adempie a doveri civici, il diritto a permessi retribuiti o non retribuiti, è applicabile l’art. 34 del vigente CCNL che dispone, appunto, la possibilità per le aziende di accordare, compatibilmente con le esigenze di servizio, brevi permessi retribuiti o meno.
La nuova disposizione relativa all’indennità di trasferta, non indica più alcuna percentuale da corrispondere al lavoratore come rimborso per le spese non documentabili, bensì chiarisce, in via gene rale, che spetta alla contrattazione aziendale la definizione del trattamento economico spettante al lavoratore in trasferta, eccezion fatta per l’ipotesi prevista dall’art. 17, lett. B, c. 6 (sede di lavoro). In ogni caso, la norma contrattuale dispone che l’indennità di trasferta non fa parte della retribuzione a nessun effetto del contratto.
L’indennità di maneggio denaro, prevista dall’art. 29 del CCNL Federambiente, spetta nel caso in cui le normali mansioni svolte dal lavoratore comportino il maneggio di denaro con responsabilità per eventuali errori.
L’indennità di maneggio denaro viene corrisposta pro-rata anche a chi sostituisce temporaneamente il lavoratore preposto al servizio. Ovviamente, detto lavoratore avrà diritto all’indennità di
maneggio di denaro solo ove assuma su di se la responsabilità relativa alle riscossioni e/o ai pagamenti effettuati.
Per l’indennità sgombero neve, il CCNL 22.5.2003 demanda, allo stesso modo del precedente, alla contrattazione aziendale il compito di individuare un’indennità per il personale addetto allo sgombero neve. Il CCNL dispone, inoltre, che deve essere prevista un’indennità di importo inferiore alla precedente per quei lavoratori che operano a supporto dei colleghi addetti allo sgombero neve.
Il CCNL prevede, inoltre, l’onere per l’azienda del rimborso per le spese sostenute per il rinnovo della patente dal personale che conduce veicoli per la guida dei quali è richiesto il possesso della patente.
L’azienda si accolla un onere economico, quale quello del rinnovo in esame, solo se la patente stessa costituisce un requisito necessario al lavoratore per l’espletamento delle proprie mansioni.
La norma parla genericamente di “veicoli per la guida dei quali è richiesto il possesso della patente” e, quindi, si ritiene che il rimborso della spesa sostenuta per il rinnovo della patente sia dovuto al lavoratore assunto a tempo indeterminato, titolare o normalmente impiegato come sostituto, che utilizza un qualsiasi veicolo per l’espletamento delle proprie mansioni.
Anche l’indennità di reperibilità, sostanzialmente, non è mutata rispetto alla precedente formulazione. È rimesso alla contrattazione aziendale il compito di definire l’organizzazione, l’articolazione della reperibilità, nonchè l’importo della relativa indennità. Il CCNL fissa gli importi minimi dell’indennità di reperibilità al di sotto dei quali la contrattazione aziendale non può scendere e dispone che le effettive prestazioni di lavoro effettuate su chiamata dal personale reperibile sono retribuite secondo le norme sul lavoro straordinario. (La reperibilità costituisce una prestazione strumentale e accessoria del rapporto di lavoro ed, in quanto tale, ne deriva che ciò che conta al fine delle ore lavorate è la durata della prestazione effettivamente svolta e non la durata del turno di reperibilità).
Nelle aziende in cui non opera il servizio mensa, il CCNL prevede la possibilità, in sede aziendale, previo esame congiunto, di individuare soluzioni alternative.
In caso di irrealizzabilità del servizio mensa , l’azienda non può corrispondere la relativa indennità sostitutiva.
L’irrealizzabilità del servizio, cui fanno riferimento le parti stipulanti, non è legata a situazioni determinate individuate a priori, bensì è una ipotesi del tutto eventuale che si potrebbe verificare, per ragioni diverse, in ogni singola realtà aziendale. Si è pensato, infatti, ad eventuali esigenze produttive ed economiche del datore di lavoro che potrebbero indurlo a non adottare il servizio in questione.
L’azienda, ad esempio, potrebbe non essere dotata di strutture idonee ad accogliere il servizio di ristorazione o potrebbe non avere garanzie igienico sanitarie tali da garantire la realizzabilità del servizio in modo conforme alle prescrizioni di legge.
La norma contrattuale non relaziona l’applicabilità del servizio mensa ad un precisa tipologia di orario di lavoro.
In via generale, tuttavia, il servizio in esame, vista l’organizzazione ed i costi che comporta, viene applicato nelle aziende in cui la generalità dei dipendenti è occupata in attività lavorativa durante orari che, normalmente, sono destinati alla pausa pranzo e/o cena.
La normativa legislativa (D.Lgs. n. 66/2003, art. n. 8), in materia di pausa giornaliera, prevede solo che, qualora l’orario giornaliero superi le sei ore, il lavoratore deve beneficiare di una pausa finalizzata al recupero delle energie psico – fisiche ed all’eventuale consumazione del pasto. La definizione della modalità e della durata della pausa è rimandata alla contrattazione collettiva. In mancanza, il lavoratore ha diritto ad una pausa, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti, la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo produttivo.
In particolare, poiché il CCNL Federambiente non disciplina l’istituto della pausa giornaliera finalizzata, come detto, al recupero delle energie psico – fisiche, la normativa da prendere a riferimento è quella legislativa.
In materia di indennità, la novità rilevante del CCNL 22.5.2003, risiede nell’istituzione
dell’indennità integrativa.
Le parti stipulanti hanno introdotto detta indennità con l’Accordo di rinnovo del biennio economico 2005 – 2006 sottoscritto in data 24 giugno 2005.
A decorrere dal 1° aprile 2006, l’indennità integrativa spetta, in egual misura (Euro 11.00), a tutti i dipendenti, fermo restando che per quelli a part time va proporzionalmente ridotta in relazione alla minore prestazione lavorativa.
L’indennità integrativa, corrisposta per 12 mensilità, è già comprensiva dell’incidenza su tutti gli istituti legali e contrattuali, pertanto, non è utile agli effetti del computo di alcuno di essi, fatta eccezione per il trattamento di infermità per malattia e infortunio non sul lavoro, infortunio sul lavoro e maternità.
Detta indennità, essendo una competenza fissa e continuativa, va collocata nel corpo del cedolino paga e trattata come le altre indennità previste dal CCNL e corrisposte anch’esse in maniera fissa e continuativa.
Tale indennità integrativa non è legata alla effettiva presenza del lavoratore in servizio e, di conseguenza, le assenze retribuite a vario titolo a termini di legge o di contratto non influiscono sulla misura dell’importo mensile in parola.
In caso di assunzioni nel xxxxx xxx xxxx, xx xxxxxxxx xx xxxx non superiori a 15 giorni di calendario non sono utili ai fini della corresponsione dell’indennità integrativa. Le frazioni uguali o superiori a 15 giorni sono da considerare, invece, come mese intero.
Art. 30 - Indennità turni ciclici continui e avvicendati
L’art. 30 del CCNL disciplina le indennità per turni ciclici, continui e avvicendati.
In merito al significato del termine “turno avvicendato” , esistono più orientamenti giurisprudenziali (Tribunale di Genova, 29 maggio 2001, Tribunale di Genova 19 giugno 2001) secondo cui per avvicendamento o alternanza sui turni non ci si riferisce all’alternanza, relativa al singolo lavoratore turnista, dell’orario interamente diurno con l’orario notturno, bensì, in conformità alle previsioni del
CCNL, a turni astrattamente considerati nell’ambito di un complesso organizzativo che prevede un avvicendamento programmato degli orari di prestazione e del giorno di riposo.
La Commissione interpretativa ha stabilito che la corresponsione dell’indennità turni presuppone l’espletamento di turni di lavoro senza soluzione di continuità tra di loro, così da assicurare l’ininterrotto svolgimento dell’attività.
E’ pertanto necessaria la contemporanea sussistenza di tutte le seguenti condizioni ai fini della corresponsione della indennità contrattuale:
• omogeneità: le mansioni dei turni in oggetto devono essere uguali;
• ciclicità: i turni devono avere un andamento sequenziale nel corso di un predefinito arco temporale;
• continuità: non deve esserci interruzione nell’espletamento dell’attività, la quale deve svolgersi 24 ore su 24, ed il lavoratore non deve abbandonare il lavoro fin quando non sia stato sostituito (art. 17, lett. B, p. 4 del CCNL vigente);
• avvicendamento: i lavoratori devono alternarsi su turni così definiti.
È opportuno ricordare che il p. 3, lett. a) della norma contrattuale, prevede che le indennità per turni ciclici continui e avvicendati “ sono onnicomprensive e compensano, pertanto, ogni altro istituto contrattuale previsto dal CCNL…”.
Pertanto, riguardo alle festività, di norma, esse sono compensate dall’indennità turno, a meno che ci siano in azienda accordi differenti rispetto alla previsione contrattuale.
Art. 31 - Trasferimenti
Viene introdotto per la prima volta l’istituto del trasferimento che, fermo restando il rispetto delle norme di tutela fissate dalla legge (art. 2103 c.c., come riformulato dall’art. 13 della legge n. 300/1970; art. 22 l. n. 300/1970), individua i casi in cui il lavoratore ha diritto alle provvidenze di carattere essenzialmente economico previste dal CCNL.
Il datore di lavoro, nell’ambito del suo potere discrezionale, quindi, può unilateralmente decidere di far svolgere la prestazione lavorativa in luogo diverso da quello indicato nel contratto di lavoro, avvalendosi dell’istituto del trasferimento.
Con il trasferimento il datore di lavoro dispone una modificazione definitiva del luogo in cui il lavoratore sarà chiamato a rendere la sua prestazione, nel senso che esso viene mutato senza alcuna previsione di durata e, dunque, con carattere di stabilità.
Si ritiene opportuno soffermarsi sulle tutele che devono essere accordate al lavoratore in caso di trasferimento.
L’art. 2103 c.c. dispone che il lavoratore può essere trasferito “da una unità produttiva ad un’altra” solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive”. In mancanza di tali condizioni, il trasferimento è illegittimo e suscettibile di essere annullato.
In realtà l’art. 2103 c.c. parla solo genericamente di trasferimento, senza alcuna indicazione in ordine alla distanza tra la sede di origine e quella di destinazione. Pertanto, la norma sembrerebbe operare tutte le volte in cui sia disposto il trasferimento da una unità produttiva all’altra, a prescindere dalla distanza tra le due sedi di lavoro.
A risolvere il citato problema interpretativo è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza n. 5153/99 distinguendo due ipotesi, a seconda che il trasferimento sia disposto nell’ambito dello stesso comune o di comuni diversi.
La Corte rileva che in questo ultimo caso si impone al lavoratore un vero e proprio spostamento territoriale, con conseguenti disagi personali e familiari. Di conseguenza, la tutela del lavoratore deve essere massima e la nozione di unità produttiva deve essere intesa in senso lato, come una qualunque sede aziendale, a prescindere da qualsiasi requisito dimensionale e di autonomia. In altre parole, quando il trasferimento avviene nell’ambito di diversi comuni, l’art. 2103 c.c. opera tutte le volte in cui sia disposto lo spostamento del lavoratore da una sede aziendale ad un’altra.
Diverso è il caso in cui il trasferimento viene disposto nell’ambito del medesimo comune. In questo caso il lavoratore subisce un pregiudizio minore tale da giustificare un’attenuazione della tutela legislativa.
Il CCNL, all’art. 17 punto 6, specifica che sono oggetto di intesa aziendale le modalità di utilizzo del personale tenuto a svolgere la propria prestazione in un posto diverso da quello abituale, mentre l’art. 31 disciplina l’istituto del trasferimento precisando che “l’azienda, cercando in ogni caso di contemperare le proprie esigenze con l’interesse personale del lavoratore, può trasferirlo, per motivi tecnici, organizzativi e produttivi da una ad altra sede di lavoro, situata in località diversa da quelle abituale”. In aggiunta, la norma prevede l’obbligo di preavviso dei motivi di trasferimento di almeno 30 giorni calendariali.
Tuttavia, alla stregua dell’art. 2103 c.c., anche il succitato art. 31 non fa alcun riferimento riguardo alla distanza tra la sede di origine e quella di destinazione. Il problema, semmai, è quello di comprendere se l’obbligo del preavviso opera tutte le volte in cui venga disposto il trasferimento indipendentemente dalla distanza tra le due sedi di lavoro.
Le disposizioni legislative e la giurisprudenza prevalente aiutano a risolvere tale problema interpretativo. Ed infatti, con riferimento al caso specifico, si può sostenere che qualora il lavoratore venga trasferito da una sede aziendale all’altra dislocate però sullo stesso territorio o comune, l’obbligo di preavviso di 30 giorni non sussiste atteso che il trasferimento in questione non comporta per il lavoratore un tale disagio personale da giustificare o legittimare la procedura di cui all’art. 31 CCNL.
Diversamente, l’obbligo di preavviso sopraindicato sussiste invece nel caso in cui il trasferimento implichi uno spostamento del lavoratore da una sede di lavoro all’altra dislocate però in comuni o città diverse. In tal caso il preavviso trova la sua ratio nel pregiudizio maggiore che subirebbe il lavoratore, “costretto” a far fronte a sacrifici significativi sia a livello personale e sia a livello familiare.
CAPITOLO VII INTERRUZIONE E SOSPENSIONE DEL LAVORO
Art. 32- Interruzione e sospensione del lavoro per ragioni di forza maggiore
Questa norma contrattuale, immutata rispetto alla precedente, prevede la possibilità che il lavoratore, per ragioni di forza maggiore, non possa prestare la propria opera. In tal caso il lavoratore deve comunque rimanere a disposizione dell’azienda, la quale protrà adibirlo ad altro lavoro, nel rispetto delle disposizioni in materia di mutamento di mansioni.
Art. 33 - Assenze
Rispetto alla disciplina del CCNL 31.101995, la quale contene va in un’unica norma le disposizioni relative ad assenze, permessi, congedo matrimoniale e permessi per i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive, il CCNL 22.5.2003 ha separato i vari istituti, modificandone i relativi contenuti.
La formulazio ne relativa alle assenze, contiene una disciplina della giustificazione di ogni assenza uguale a quella prevista dalla legge in caso di denunciata malattia, stabilendo che in caso di qualsiasi assenza il lavoratore , fermo l’onere di darne avviso immediato, deve giustificare l’assenza non oltre il terzo giorno, salvo caso di comprovato impedimento. In caso contrario il lavoratore si considera dimissionario.
Art. 34 - Permessi
Al lavoratore che ne faccia richiesta possono essere concessi dall’azienda, compatibilmente con le esigenze di servizio e sempre che ricorrano giustificati motivi, permessi di breve durata con facoltà di corrispondere o meno la retribuzione.
Ai soli lavoratori che abbiano superato il periodo di prova, può essere concesso, nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti, un periodo di aspettativa fino ad un massiomo di un anno, senza decorrenza di retribuzione e di anzianità. In altri termini, questo comporta che ogni lavoratore ha diritto, nell’arco della vita lavorativa, ad un solo periodo di aspettativa che può durare massimo un anno. La richiesta di periodi inferiori determina la perdita dei restanti mesi.
Durante l’assenza i lavoratori hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro ed, al termine del periodo di aspettativa, hanno diritto, salva espressa rinuncia, a rientrare in azienda e ad essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
Art. 35 - Aspettativa per funzioni pubbliche elettive o per cariche sindacali . Permessi per funzioni pubbliche elettive
Il CCNL, ha previsto una specifica norma contrattuale che disciplina i permessi per i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o sindacali.
La norma contrattuale si uniforma alla disciplina legale di riferimento. La legge n. 265 del 3 agosto 1999, che rientra tra le norme introdotte dalla riforma degli Enti locali (ora confluite nel T.U.E.L.), prevede, infatti, alcune agevolazioni che il legislatore ha inteso riconoscere a tutti i lavoratori, pubblici e privati, chiamati a ricoprire cariche pubbliche negli Enti locali.
L’art. 24 della citata legge disciplina “permessi e licenze” del lavoratore coinvolto nella vita dei consigli, delle giunte e/o degli organi esecutivi comunali, provinciali, metropolitani, etc.
In particolare, il p. 5 dispone che le assenze dei lavoratori di cui ai commi 1, 2, 3, 4 del medesimo articolo, sono retribuite dal datore di lavoro, il quale chiederà poi il rimborso all’Ente dell’intero importo anticipato. A carico di quest’ultimo, infatti, sono sia le retribuzioni che gli oneri connessi (contributi, premi, assicurazioni, etc.). Tale rimborso, precisa la norma, deve avvenire entro 30 giorni dalla richiesta documentata del datore di lavoro e non è soggetto ad Iva.
La disposizione contrattuale (art. 35), inoltre, prevede che, laddove il tempo necessario per l’espletamento del mandato - del dipendente chiamato a coprire cariche pubbliche elettive - ricada in un’ora ricompressa nel turno di lavoro, il datore di lavoro deve riconoscergli un permesso per la durata dell’intero turno di lavoro, con decorrenza della retribuzione globale.
Art. 36 - Trattamento per adempimento delle funzioni elettorali
La formulazione contrattuale richiama le disposizioni di legge vigenti in materia.
Art. 37 - Congedo matrimoniale
La nuova formulazione contrattuale ricalca quella precedente, ossia dispone che il lavoratore che contrae matrimonio, sia esso assunto a tempo indeterminato che a tempo determinato, ha diritto a 15 giorni di permesso retribuito (da non computarsi nel periodo di ferie annuali), da usufruire entro 30 giorni dalla data del matrimonio.
Al lavoratore in prova che contrae matrimonio, il periodo di permesso cui ha diritto è sempre pari a 15 giorni, ma l’azienda retribuisce solo i primi 7 giorni.
Il nuovo testo contrattuale, alla luce delle disposizioni di legge vigenti, non contiene più il riferimento al lavoratore assunto con contratto di formazione.
Precisiamo che il periodo di permesso retribuito è legato all’evento (matrimonio) e come tale, è concesso anche a quei lavoratori che contraggono matrimonio più di una volta, avente comunque validità civile.
Art. 38 - Diritto allo studio
La normativa del diritto allo studio è regolata nelle linee generali dalla legge n. 300/1970, mentre la contrattazione collettiva ha apportato miglioramenti alla disciplina legale.
In particolare, l’art. 38 del CCNL, definisce il numero dei giorni di permesso spettanti ai lavoratori che devono sostenere le prove d’esame e, al p. 9, dispone che detti giorni possono essere concessi anche ai lavoratori che hanno già conseguito il diploma di scuola secondaria superiore o diploma di laurea, purchè si tratti di corsi di specializzazione attinenti al diploma conseguito.
Il citato articolo, inoltre, prevede, per la frequenza ai corsi scolastici e ai corsi professionali attinenti ai servizi erogati ed all’attività aziendale, un monte ore di permessi retribuiti fruibile nella misura di 150 ore per anno scolastico.
L’indicazione delle caratteristiche dei corsi sopra evidenziati, risponde ad una precisa funzione di garanzia sia per il datore di lavoro che per il lavoratore: delimitando l’area in cui si possono esercitare i diritti previsti dalla norma contrattuale a quelle scuole che forniscono, in particolare, una formazione culturale attinente ai servizi aziendali, si tutela, da un lato, il lavoratore e non si
aumentano, dall’altro, incondizionatamente, gli oneri dell’imprenditore nel momento in cui deve adottare le misure necessarie ad attuare il diritto allo studio costituzionalmente garantito (art. 34 Cost.), con un considerevole peso sia sotto il profilo economico, sia sotto quello della delimitazione del suo potere direttivo.
Nel caso in cui i lavoratori abbiano già conseguito un diploma di scuola media superiore e chiedono permessi per conseguirne un secondo, si è del parere che l’azienda possa concedere permessi in occasione delle giornate di esame e non anche le 150 ore di cui al p. 5. Ed ancora, riteniamo che i lavoratori iscritti a corsi universitari, possano usufruire oltre che dei giorni di permesso in occasione degli esami (p. 4) e delle agevolazioni previste dal p. 2 della citata norma contrattuale, anche delle
150 ore di permesso di cui al p. 5, allorquando il datore di lavoro, nell’ambito della sua discrezionalità, valuti il titolo universitario attinente all’attività svolta dal lavoratore nell’ambito dell’azienda o, comunque, ritenga che il titolo di studio conseguito, possa, in qualche modo, tornare utile all’organizzazione dell’azienda stessa.
Art. 39 - Trattamento per infermità dovuta a malattia o infortunio non sul lavoro
La nuova disciplina contrattuale è entrata in vigore a partire dal 31 marzo 2004 e sostituisce integralmente l’art. 38 del CCNL 31.10.1995.
Date le finalità del trattamento in parola, allo scopo di non pregiudicare le situazioni individuali regolate fino al 30 marzo 2004 da una disciplina diversa, le parti hanno convenuto - come attesta la Norma di prima applicazione in calce all’articolo - che sono nulli, ai fini della nuova regolamentazione, i trattamenti economico- normativi goduti fino a tale data. Pertanto, per tutti i dipendenti, dal 31 marzo 2004, inizia un nuovo conteggio per le assenze per malattia.
Inoltre, le parti hanno convenuto che alla data suindicata del 31 marzo 2004 cessa di trovare applicazione il trattamento INPDAP, previsto per l’aspettativa dal punto 5 del citato art. 38.
Rispetto al precedente art. 38, il nuovo articolo è stato strutturato, sotto il profilo formale, in sette paragrafi ognuno dei quali riguarda uno specifico aspetto dell’intero trattamento che regola l’assenza dal lavoro per infermità dovuta a malattia non sul lavoro. L’infortunio sul lavoro in precedenza regolato dall’ art. 37, ha ora una sua nuova disciplina, di cui si dirà successivamente.
Le disposizioni del nuovo articolo si applicano ai dipendenti non in prova assunti a tempo indeterminato.
Per i lavoratori in prova, il periodo di prova rimane sospeso fino ad un massimo di 180 giorni di calendario calcolati dal giorno di inizio della malattia.
“A. Obblighi di comunicazione e certificazione – Visite di controllo”
Il dipendente è tenuto a comunicare l’assenza all’azienda prima dell’inizio dell’orario di lavoro stabilito, così che l’azienda stessa possa adottare tempestivamente le misure necessarie a non pregiudicare la funzionalità del servizio.
Il certificato medico giustificativo dell’assenza deve essere redatto entro 24 ore dall’inizio dell’evento morboso: ciò implica che il dipendente ha l’onere di attivarsi tempestivamente anche qualora l’evento morboso inizi in giorno feriale prelavorato retribuito (ad esempio, di sabato) ovvero in giorno festivo (con ricorso al servizio di guardia medica).
Anche in caso di prosecuzione della malattia, il lavoratore deve richiedere la certificazione medica di prosecuzione possibilmente entro 24 ore dalla scadenza della prognosi precedente. In tal modo si presume che i successivi periodi di malattia, regolarmente documentati, costituiscano un unico evento morboso.
Entro 2 giorni dal rilascio, tale certificato deve pervenire all’azienda ovvero essere spedito alla stessa con raccomandata A.R.
Il dipendente deve informare preventivamente l’azienda qualora debba assentarsi dal domicilio o dalla dimora per le necessità cui il comma si riferisce.
Analogamente, il la voratore è tenuto a comunicare preventivamente all’azienda la variazione, anche temporanea, del domicilio o della dimora inizialmente resi noti.
Il tardivo invio del certificato medico costituisce assenza ingiustificata: tale comportamento nonché la tardiva comunicazione all’azienda sono inadempimenti contrattuali sanzionati ai sensi delle norme disciplinari.
Analogamente, costituisce assenza ingiustificata, ai sensi delle norme disciplinari, qualunque assenza del lavoratore all’atto della visita di cont rollo nelle fasce orarie di reperibilità, fatto salvo il caso in cui sia stato rispettato l’obbligo di informare preventivamente l’azienda.
Le giornate di assenza ingiustificata non sono coperte dal corrispondente trattamento economico e, quindi, non sono utili ai fini del calcolo del periodo di comporto.
Qualora gli inadempimenti di cui ai due capoversi che precedono siano determinati da un impedimento, questo dovrà essere comprovato dall’interessato.
“B. Determinazione del periodo di conservazione del posto di lavoro: comporto breve e comporto prolungato”
Si sottolinea, innanzi tutto, che la riforma dell’istituto del trattamento economico-normativo per infermità dovuta a malattia o a infortunio non sul lavoro introduce delle nuove tutele ai fini del recupero dello stato di salute e del conseguente ripristino dell’attività lavorativa, anche sotto il profilo del trattamento economico.
La prima principale innovazione risiede nell’istituzione del periodo di comporto breve e del periodo di comporto prolungato, inclusi entrambi – ai fini della conservazione del posto di lavoro – nel più ampio periodo di riferimento dei 1.095 giorni calendariali precedenti ogni nuovo ultimo evento morboso.
La seconda consiste nella previsione di un periodo per terapie che impongano ricovero ospedaliero e/o day hospital: tale periodo si aggiunge, infatti, al periodo di comporto breve, come pure a quello di comporto prolungato, nel più ampio periodo di riferimento appena richiamato, sempre ai fini della conservazione del posto di lavoro.
In particolare, l’istituzione del periodo di comporto breve introduce il criterio del computo “per sommatoria” delle assenze per infermità, con la conseguenza che, ai fini della conservazione del posto, tutti i periodi di assenza si sommano senza alcuna eccezione o discontinuità temporale.
E’ stata dunque superata la precedente norma di cui all’art. 38, punto 4, del ccnl 31.10.1995 che considerava quale prosecuzione del periodo di malattia unicamente quella che interveniva “non oltre 90 giorni dalla ripresa del servizio dopo la cessazione della malattia precedente”.
Merita, peraltro, di essere evidenziato che le nuove disposizioni risolvono la carenza normativa denunciata in più sentenze dai giudici del lavoro nell’ultimo quinquennio, proprio relativamente al fatto che la mancanza del criterio “per sommatoria” nell’art. 38 discriminava tra dipendenti assenti per infermità per uno stesso periodo di tempo in un arco di tempo predeterminato (nel giudicare equitativamente, i diversi magistrati avevano allora fatto riferimento “per relationem” alla prevalente disciplina contrattuale nazionale in materia, che traguarda le assenze in un arco temporale prefissato, ad esempio pari a 36 mesi).
Con la soluzione adottata, le parti hanno dunque inteso evitare il più possibile il protrarsi e il diffondersi di un significativo contenzioso in materia, che negli ultimi anni si era trasferito dalla sede aziendale a quella giudiziaria.
Il nuovo sistema di computo del periodo di conservazione del posto opera secondo il criterio dinamico – diffuso e consolidato in larga parte della più importante contrattazione collettiva nazionale – del trascinamento temporale: a partire dal 1° giorno di assenza per infermità, ogni consecutivo giorno di assenza trascina dietro di sé il periodo mobile di 1.095 giorni calendariali e dentro questo periodo i giorni di conservazione del posto non possono superare il periodo complessivo di assenza pari a 365 giorni calendariali.
All’inizio di ogni nuova assenza per infermità occorre pertanto verificare quanta parte dei 365 giorni calendariali siano ancora disponibili di lì in avanti, fermo restando che ogni consecutivo giorno che protrae l’assenza sposta in avanti di un uguale numero di giorni il periodo di riferimento di 1.095 giorni calendariali.
Questo criterio opera esclusivamente “per sommatoria” di più periodi di assenza per infermità, di modo che nel periodo di riferimento di 1.095 giorni calendariali precedenti ogni nuovo evento morboso non siano superati i 365 giorni calendariali di conservazione del posto.
Qualora, il dipendente sia assente dal lavoro per cure, interventi chirurgici, terapie riabilitative, ecc. che siano assicurati attraverso ricovero ospedaliero o day hospital, debitamente certificati, il periodo di conservazione del posto di 365 giorni calendariali è aumentato di un ulteriore periodo di durata massima di 120 giorni calendariali sempre nel periodo mobile di riferimento di 1.095 giorni calendariali. Ciò significa che i giorni di ricovero ospedaliero, oltre che concorrere ai fini del computo delle assenze per malattia, aumentano il periodo di comporto sia esso breve o prolungato, di tanti giorni quanti sono stati quelli di ricovero ospedaliero, fino ad un massimo di 120, fruibili anche in maniera frazionata.
Esemplificando: a partire dal primo giorno di ogni nuovo ultimo ricovero occorrerà accertare nei
1.095 giorni calendariali precedenti quanta parte dei 120 giorni calendariali siano già stati utilizzati, così da stabilire se e quanti ne restano disponibili.
Il periodo di comporto prolungato di 545 giorni calendariali nei 1.095 giorni calendariali precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso si esplica attraverso tre distinte ipotesi: una legata ad un’unica assenza ininterrotta, due relative a ben determinate assenze non continuative.
La prima ipotesi è rappresentata da un unico evento morboso continuativo comportante un’assenza ininterrotta che superi i 365 giorni calendariali di comporto breve: in questo caso, il dipendente ha diritto a ulteriori 180 giorni calendariali di comporto che diventa, pertanto, prolungato, sempre nei
1.095 giorni calendariali precedenti il primo giorno di assenza.
La secondo ipotesi che dà diritto al comporto prolungato in parola si realizza qualora, pur essendo già stati utilizzati i 365 giorni calendariali di comporto breve nei 1.095 giorni calendariali precedenti il nuovo ultimo evento morboso, vi siano stati, nei predetti 1.095 giorni calendariali,
almeno 2 periodi di assenza per malattia (giustificati anche da più certificati medici), ognuno dei quali di durata continuativa pari o superiore a 90 giorni calendariali.
La terza ipotesi si realizza qualora, pur essendo già stati utilizzati i 365 giorni calendariali di comporto breve nei 1.095 giorni calendariali precedenti il nuo vo ultimo evento morboso, il dipendente abbia in corso un’assenza continuativa dovuta a un evento morboso di durata pari o superiore a 90 giorni calendariali.
Con riferimento alla seconda e terza ipotesi, si precisa che il passaggio dal comporto breve al comporto prolungato non richiede alcuna specifica domanda da parte del dipendente interessato, in quanto l’azienda è tenuta a dare applicazione alle norme pertinenti in maniera automatica.
Ciò pone per l’azienda, evidentemente, la necessità di una efficace sorveglianza dei casi individuali che potrebbero dar luogo all’applicazione delle norme relative al comporto prolungato. A questo riguardo, il comma 8 prevede l’obbligo di comunicazione aziendale che cade nel mese di gennaio di ogni anno.
Infine, anche nelle ipotesi di comporto prolungato trova applicazione quanto stabilito dal comma 3, a proposito delle assenze, debitamente certificate, comportanti ricovero ospedaliero e/o day hospital.
“C. Trattamento economico”
La prima principale innovazione riguarda l’estensione del trattamento economico alla durata del periodo di comporto prolungato.
La seconda riguarda la previsione di tale trattamento anche nei giorni di assenza per ricovero ospedaliero e/o day hospital, in aggiunta a quello spettante per i due distinti periodi di comporto.
In tutte le fattispecie contemplate dal presente paragrafo, spetta al dipendente l’intera retribuzione globale mensile netta, ad integrazione del trattamento erogato dall’Istituto assicuratore.
In particolare, per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, l’indennità di malattia a carico INPS è dovuta per le giornate indennizzabili comprese in un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare.
La suddetta indennità viene anticipata al lavoratore dal datore di lavoro che, recupera successivamente, attraverso il sistema di conguaglio in fase di pagamento di contributi previdenziali.
Dal 181° giorno in poi, invece, l’indennità di malattia è totalmente a carico del datore di lavoro.
Ai lavoratori del terziario (in tale ambito rientra il CCNL Federambiente), l’indennità a carico INPS spetta in misura pari al 50% della retribuzione media globale giornaliera per le giornate indennizzabili comprese nei primi venti giorni di malattia; e pari al 66,66% a decorrere dal 21° giorno in poi.
Tuttavia, in caso di ricovero in luogo di cura, ai lavoratori non aventi familiari a carico l’indennità giornaliera a carico dell’Istituto spetta in misura pari a 2/5 delle misure normali sopraindicate:
20% per i primi 20 giorni
26,66% a decorrere dal 21° giorno in poi
“D. Periodo di aspettativa per infermità”
Le novità sono molteplici.
La prima novità è costituita dalla previsione di due distinti periodi di aspettativa connessi ai due distinti periodi di comporto: 90 giorni calendariali per il comporto breve; 270 giorni calendariali per il comporto lungo.
La seconda consiste nel fatto che l’aspettativa connessa al comporto prolungato può essere fruita anche in maniera frazionata, mentre quella connessa al comporto breve può essere utilizzata solo in maniera continuativa.
La terza novità riguarda l’incidenza che il periodo di aspettativa ha rispetto al sistema di calcolo del periodo di conservazione del posto.
La richiesta di aspettativa per infermità – che deve essere supportata da una specifica certificazione medica – non può essere rifiutata e sarà cura dell’interessato inoltrare richiesta scritta all’azienda “prima del superamento del limite” del comporto breve o di quello prolungato.
La formulazione utilizzata permette al dipendente di presentare domanda entro un termine certo, anche nell’ultimo giorno del periodo di comporto.
Al raggiungimento del limite del periodo di comporto breve e perdurando l’assenza per infermità, il dipendente ha facoltà di richiedere un periodo di aspettativa per motivi di salute.
Questo specifico periodo ha la durata massima di 90 giorni calendariali e deve essere utilizzato esclusivamente in maniera continuativa: l’utilizzo di una parte dei 90 giorni cui faccia seguito la ripresa dell’attività lavorativa comporta, nel periodo di riferimento, la perdita della parte residua.
Per contro, il dipendente che, ad esempio, abbia fatto richiesta di soli 40 giorni calendariali a tale titolo, qualora ne abbia bisogno, ha diritto a chiedere di godere dei residui 50, nel periodo di riferimento di 1.095 giorni calendariali, sempreché tra i due periodi non vi sia soluzione di continuità.
Al raggiungimento del limite del periodo di comporto prolungato e perdurando l’assenza per infermità, il dipendente ha facoltà di richiedere un periodo di aspettativa per motivi di salute della durata massima di 270 giorni calendariali.
In questo caso, tuttavia il periodo può essere utilizzato anche in maniera frazionata, proprio per consentire di seguire, ad esempio, terapie a cadenza ciclica.
Il periodo di comporto breve e quello di comporto prolungato sono inseriti nel più ampio periodo di riferimento di 1.095 giorni calendariali precedenti l’ultimo nuovo evento morboso.
Al fine di non alterare tale rapporto, le parti hanno convenuto che il periodo di aspettativa utilizzato
– breve o prolungato che sia – va ad aumentare i 1.095 giorni calendariali di un numero di giorni pari a quelli effettivamente utilizzati a tale titolo.
All’interno di tale complessivo periodo di riferimento, il periodo di aspettativa – breve o prolungato
– può essere richiesto una sola volta.
“X. Xxxxxxx del superamento dei termini del periodo di conservazione del posto”
Superati i distinti periodi di conservazione del posto e perdurando lo stato di infermità, qualora il rapporto di lavoro non venga risolto da nessuna delle parti, lo stesso rimane sospeso a tutti gli effetti, senza corresponsione della retribuzione. Non è previsto un limite di durata e l’anzianità decorre solo agli effetti del preavviso.
Art. 40 - Infortuni sul lavoro
Il nuovo articolo innova ed amplia quanto previsto dalla previgente disciplina, di cui all’art. 37 del CCNL 31.10.1995.
In particolare, si richiama l’attenzione sul comma 7, in cui le violazioni indicate costituiscono grave inadempimento contrattuale e sono sanzionate ai sensi delle norme disciplinari.
Art. 41 - Inidoneità sopravvenuta
L’articolo contrattuale in materia di inidoneità sopravvenutà è stato modificato alla luce delle nuove disposizioni di legge intervenute a disciplinare la materia (legge n. 68/1999). La novità rilevante della nuova disciplina, risiede nel fatto che l’eventuale giudizio di inidoneità temporale o definitiva allo svolgimento delle mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto od alle quali è stato successivamente adibito, ma non anche inidoneo a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa, non determina più l’automatico avvio, ad opera dell’azienda, della procedura di risoluzione del rapporto di lavoro. Tale procedura, ai sensi del CCNL 31.10.1995, poteva essere interrotta dalla sola domanda del lavoratore di essere mantenuto in servizio per svolgere mansioni diverse da quelle cui era adibito prima dell’accertamento medico.
La nuova formulazione prevede, invece, che nei casi di cui sopra, è la stessa azienda che verifica la possibilità di mantenere in servizio il lavoratore con mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte ovvero, in mancanza, con mansioni inferiori, le quali risultino compatibili con il suo stato di inidoneità fisica.
Solo qualora non sia possibile ricollocare il lavoratore o lo stesso rifiuti la ricollocazione proposta, l’azienda può procedere al suo licenziamento. In tal caso, il CCNL disciplina il trattamento economico spettante al lavoratore licenziato: è previsto il riconoscimento di una somma “una tantum” (come da tabella). L’esonero avviene senza corresponsione di detta somma se il lavoratore, al momento del licenziamento, ha un’età anagrafica pari a quella stabilita dalle disposizioni in materia previdenziale per il collocamento a riposo per i limiti di età, diminuita di un anno.
Alla somma “una tantum”, ove spettante, si aggiunge, ai sensi dell’art. 67, l’indennità sostitutiva del preavviso. Infatti, il p. 8 del citato articolo contrattuale, considera la cessazione del rapporto di lavoro per comprovata incapacità lavorativa del dipendente tra le causali per le quali compete al lavoratore, in ogni caso, l’indennità sostitutiva del preavviso.
L’individuazione di soluzioni alternative di allocazione del dipendente, necessita di un incontro congiunto tra la Direzione aziendale, le r.s.a. delle Organizzazioni stipulanti il CCNL ed il lavoratore interessato.
La valutazione congiunta è opportuno che avvenga ogni qual volta gli organi competenti esprimano un giudizio di inidoneità permanente o temporanea (lett. c e d del p. 6 dell’art. 41) a svolgere le mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto o alle quali è stato successivamente adibito, ma non anche inidoneo a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa.
Lo scopo di questo incontro, infatti, non solo è quello di cercare di individuare mansioni diverse ed equivalenti rispetto a quelle per le quali il lavoratore è risultato inidoneo, bensì anche quello di individuarne altre non equivalenti od anche inferiori a quelle di assunzione o a quelle alle quali è stato successivamente adibito.
Tale incontro (di cui al p. 8 del citato art. 41), è necessario anche ai fini dell’attuazione della procedura prevista dal punto III, lettera b) dell’ Accordo Nazionale Interfederale del 15 gennaio 1997 , che prevede la possibilità di sospendere il lavoratore giudicato inidoneo alle proprie mansioni, ma non anche inidoneo ad altre mansioni, dal servizio senza retribuzione né contributi, qualora le esigenze funzionali non consentano di ricollocarlo temporaneamente in altre attività compatibili con il suo stato di salute e con le esigenze funzionali aziendali.
In via generale, si può quindi affermare che l’art. 41 del CCNL dà coerente svolgimento alle disposizioni legislative in materia di accertamento di idoneità (D.Lgs. 626/94 e D.Lgs. 242/96). La norma contrattuale è anche conforme a quanto stabilito dall’art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604. Xxxx, procedimentalizza rigorosamente il potere datoriale di risoluzione del rapporto per inidoneità sopravvenuta.
È diritto dell’azienda far constatare, in ogni momento, l’idoneità psicofisica del lavoratore a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto od alle quali è stato successivamente adibito (art. 41, p. 1).
L’accertamento dell’idoneità lavorativa del dipendente è demandata al medico competente. Tale accertamento risponde ad una logica di tutela del lavoratore, essendo diretto ad accertarne il grado di compatibilità con le mansioni svolte, nonché l’assenza di “controindicazioni” al lavoro cui è destinato (art. 16, c. 2, D.Lgs. 626/94).
Lo stesso lavoratore colpito da inabilità sopravvenuta può chiedere di essere sottoposto a visita medica collegiale, secondo la vigente normativa.
La sola richiesta di quest’ultima non determina la sospensione della procedura di licenziamento eventualmente inoltrata dall’azienda a seguito del giudizio di inidoneità del lavoratore a qualsiasi attività lavorativa reso dal medico competente investito dall’azienda stessa.
Nelle more dell’acquisizione del giudizio dell’organo collegiale, il lavoratore giudicato totalmente inidoneo dal medico competente, non può prestare in alcun caso la propria opera poiché l’azienda si esporrebbe a responsabilità ex art. 2087c.c.. Il lavoratore, pertanto, deve essere sospeso dal servizio senza retribuzione né contributi, salva sua richiesta di ferie o permessi ai sensi dell’art. 34 del vigente CCNL.
Per il predetto periodo di sospensione dal servizio senza retribuzione né contributi, il lavoratore potrà anche chiedere, a titolo di miglior favore ed in deroga al vigente Regolamento per l’anticipazione del T.F.R., un acconto di quest’ultimo nella misura massima di tre mensilità di retribuzione globale come definita dall’art. 24, p. 4 del vige nte CCNL.
In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, resta comunque fermo che il profilo attinente al rapporto di lavoro ed alla sua eventuale risoluzione per sopravvenuta inidoneità opera su un piano del tutto diverso da quello pensionistico, senza che quest’ultimo condizioni il primo.
La corresponsione della pensione di inabilità, infatti, è possibile solo dopo che il rapporto di lavoro sia già cessato.
Art. 42 - Tutela della maternità
La disciplina della maternità prevede, come la precedente regolamentazione del CCNL 31.10.1995, che l’azienda integri, durante il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro dovuta a gravidanza e puerperio, fino al raggiungimento del 100%, l’indennità giornaliera assicurata dall’INPS nella misura stabilita dalla legge, salvo quanto previsto dall’art. 00, x. 00 xxx xxxxxxx XXXX, xx xxxxxxx di contratti di lavoro a tempo determinato.
Per ogni altro fine, valgono le disposizioni di legge vigenti in materia. Per tale ragione, infatti, sono stati cassati alcuni commi previsti dalla precedente disciplina.
Art. 43 - Tutela delle persone handicappate
La disciplina della tutela delle persone handicappate, in vigore dal 31.3.2004, è di nuova istituzione e dà attuazione a quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 e successive modificazioni. Ne deriva che, per l’applicazione delle citate norme (legali e contrattuali) si osservano anche le disposizioni emanate dai Ministeri, dalle strutture e dagli organismi pubblici competenti.
Art. 44 - Tutela delle persone tossicodipendenti o affette da etilismo
La disciplina della tutela delle persone affette da tossicodipendenza è mutata sia dal punto di vista formale, sia da quello sostanziale.
La nuova disposizione contrattuale è conforme a quanto previsto dal DPR 309/1990, il quale dispone che i lavoratori tossicodipendenti con contratto a tempo indeterminato ed i lavoratori familiari di tossicodipendenti, possono fruire, anche in maniera frazionata, di un periodo di aspettativa non retribuita, di durata massima pari a tre anni – al fine di prendere parte a programmi terapeutici riabilitativi presso i servizi sanitari delle ASL o di altre strutture abilitate.
Il lavoratore interessato all’aspettativa deve fare accertare lo stato di tossicodipendenza al servizio per la tossicodipendenza (c.d. SERT), istituito presso ciascuna ASL (Circ. Min. Lav. 6/12/1991, n. 164). La norma contrattuale, inoltre, dispone che, qualora il lavoratore non riprenda servizio entro dieci giorni dal completamento del programma terapeutico o dalla scadenza del periodo massimo di aspettativa, ovvero dall’eventuale interruzione anticipata del programma terapeutico, il rapporto di lavoro si intende risolto. Il periodo di aspettativa non è utile ai fini dell’anzianità di servizio.
Dal momento che, il comma 12 del presente articolo dispone che la disciplina in esame tiene conto anche delle disposizioni emanate dai Ministeri, dalle strutture e dagli organismi pubblici competenti, si evidenzia che nella Gazzetta Ufficiale n. 75 del 30 marzo 2006, è riportata l’intesa sancita nella seduta del 16 marzo 2006 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in cui sono individuate le attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi, ai fini del divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 30 marzo 2001, n. 125.
Tra le suddette attività sono previste quelle di trasporto svolte dagli addetti alla guida dei veicoli per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categoria B, C, D, E.
La disciplina in esame trova applicazione anche per le persone affette da etilismo.
Art. 45 - Tutela delle persone affette da immunodeficienza (AIDS)
Nel rispetto della legge 5 giugno 1990, n. 135, le aziende, compatibilmente con le esigenze tecnico organizzative, devono essere disponibili a concedere ai lavoratori assunti a tempo indeterminato una aspettativa non retribuita e non utile ai fini dell’anzianità di servizio (per un periodo non superiore a tre anni) o in alternativa permessi non retribuiti per brevi periodi (fino ad un massimo di otto mesi) per assistere il coniuge o un parente entro il 2° grado affetto da AIDS, che necessiti di apposite terapie domiciliari o presso strutture sanitarie pubbliche.
Nell’attuazione dei propri adempimenti, l’azienda avrà cura di tutelare la riservatezza dei lavoratori interessati.
Art. 46 - Permessi per donazione di midollo osseo
In conformità con gli artt. 4 e 5 della legge n. 52/2001, la nuova norma contrattuale, in vigore dal 31.3.2004, dispone che i lavoratori dipendenti che donano (gratuitamente) il midollo osseo hanno diritto a permessi retribuiti per l’espletamento degli atti preliminari alla donazione. Il donatore ha altresì diritto, previe comprovate certificazioni, a conservare la retribuzione globale per le giornate di degenza necessarie all’effettuazione degli accertamenti e delle analisi finalizzati a verificare l’idoneità alla donazione. Per le giornate di degenza e di convalescenza, adeguatamente documentate dalla struttura presso la quale è avvenuto l’intervento, si applicano le disposizioni contrattuali in materia di malattia.
Art. 47 - Assistenza a malati irreversibili o di lunga durata
La norma in esame, in vigore a far data del 31.3.2004, fermo restando la disciplina di legge in vigore per la materia in commento (Legge n. 104/1992), attribuisce ai lavoratori che necessitino di assistere il coniuge, il convivente o un parente entro il 3° grado, anche non convivente, affetti da malattie irreversibili o di lunga durata, di ottenere orari flessibili individuali e/o permessi non
retribuiti anche xxxxxxxxxxxxxxxx, previa presentazione di idonea documentazione e compatibilmente con le esigenze tecnico organizzative aziendali.
Art. 48 - Congedi familiari – Permessi per eventi familiari
A) Permessi per eventi e cause particolari
Il CCNL 31.10.1995 disciplinava la materia dei permessi per eventi e cause particolari, quali ad esempio il lutto, all’interno della norma relativa alle assenze ed ai permessi. La vigente formulazione, conforme alle disposizioni di legge vigenti in materia, ha una veste contrattuale autonoma.
L’art. 48, lett. A), infatti, ha recepito “in toto” le disposizioni legislative in materia di congedi per eventi e cause particolari ed, analogamente all’art. 4 della legge n. 53/2000 ed agli artt. n. 1 e 3 del regolamento di attuazione del citato art.4 (D.M. n. 278/2000), attribuisce al lavoratore il diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge, anche legalmente separato, o di un parente entro il secondo grado (in linea retta o collaterale) anche se non convivente, nonchè di un componente la famiglia anagrafica del lavoratore stesso.
Ai sensi del DPR 30 maggio 1989 n. 223 (art. 4), la famiglia anagrafica è costituita da "un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune" (quindi anche la famiglia di fatto).
La norma contrattuale, pertanto, allo stesso modo dell’art. 1 dello schema di regolamento citato, prevede un preciso procedimento per la richiesta ed il godimento dei permessi retribuiti per eventi e cause particolari.
Il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro l’evento che dà diritto al godimento dei predetti permessi e i giorni nei quali intende godere dell’astensione lavorativa. Tali permessi retribuiti devono essere fruiti entro 7 giorni dal decesso, dall’accertamento dell’insorgenza della grave infermità o dall’accertamento dell’insorgenza della necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi terapeutici. Sono, infine, esclusi dal computo dei giorni di permesso i giorni festivi e quelli non lavorativi.
La norma contrattuale in esame, limitatamente all’evento luttuoso, al p.10, apporta una deroga migliorativa alla tutela “minima” fissata dalla legge.
Quest’ultima, come già precisato, dispone che il lavoratore ha diritto a tre giorni di permesso all’anno in caso di decesso di familiari anche non conviventi, nonché di un componente la famiglia anagrafica. Il numero dei giorni di permesso retribuito è fisso, non moltiplicabile nell'anno in considerazione del numero di eventi luttuosi.
La deroga migliorativa della norma contrattuale dispone che, qualora il decesso riguardi familiari conviventi e non intervenga in periodi di ferie o di malattia del lavoratore stesso, la concessione dei tre giorni di permesso retribuito è estesa ad ogni evento luttuoso che cada nel medesimo anno. ( I giorni di lutto non interrompono il godimento dei periodi di ferie o di malattia soprarichiamati e tanto meno possono essere fruiti al rientro dalle ferie o dalla malattia stessa).
In alternativa ai giorni di permesso, la norma contrattuale, analogamente alle disposizioni di legge vigenti in materia, prevede la possibilità, in caso di documentata grave infermità del coniuge, anche legalmente separato, o di un parente entro il secondo grado, anche non convivente, o di un soggetto componente la famiglia anagrafica del lavoratore, che l’azienda ed il lavoratore stesso concordino diverse modalità di espletamento dell’attività lavorativa comportanti una riduzione dell’orario di lavoro complessivamente non inferiore ai giorni di permesso che vengono sostituiti.
B) Congedi per gravi motivi familiari
La disciplina contrattuale prevede, analogamente alle disposizioni di cui al D.M. 278/2000, che il lavoratore può chiedere un periodo di congedo per gravi motivi relativi alla propria situazione personale, oppure a quella del convivente (se risulta da certificazione anagrafica), dei portatori di handicap, parenti o affini entro il 3° grado (anche non conviventi) e dei seguenti soggetti: coniuge, figli (legittimi, legittimati, naturali o adottivi) e, in loro mancanza, discendenti prossimi, genitori e, in loro mancanza, ascendenti prossimi, anche naturali; adottanti; generi e nuore; suocero e suocera; fratelli e sorelle germani o unilaterali.
Il congedo può essere utilizzato per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni nell’arco della vita lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini
previdenziali. Durante il periodo di congedo il lavoratore non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa.
I gravi motivi che ne giustificano la richiesta sono quelli tassativamente elencati nell’art. 2 del Regolamento attuativo (D.M. n. 278/2000), al quale si fa rinvio.
La norma contrattuale disciplina il procedimento per la richiesta e per la concessione, anche parziale o dilazionata nel tempo, o il diniego del congedo, assicurando il contraddittorio tra il dipendente ed il datore di lavoro ed il contemperamento delle rispettive esigenze.
Il lavoratore che intende usufruire del congedo è tenuto a dichiarare la sussistenza delle ragioni per le quali chiede il congedo stesso. Quando l’evento che dà titolo al congedo è il decesso (per il quale non abbia avuto la possibilità di utilizzare permessi retribuiti nello stesso anno ai sensi lett. A) dell’art. 47, il lavoratore è tenuto a documentarlo con la relativa certificazione. Il lavoratore, una volta superata la durata minima del congedo, ha diritto a rientrare nel posto di lavoro anche prima del termine del congedo stesso, dandone preavviso non inferiore a 7 giorni.
Art. 49 - Aspettativa per adozione e affidamento
Xxxxx restando che ai lavoratori che scelgono di adottare o avere in affidame nto (temporaneo o preadottivo) bambini è accordata dalla legge una protezione analoga a quella prevista per la maternità (l. n. 53/2000), la presente norma contrattuale, introdotta per la prima volta nel CCNL 22.5.2003, prevede la possibilità di concedere ai lavoratori di cui sopra , compatibilmente con le esigenze tecnico – organizzative aziendali, periodi di aspettativa non retribuita (fino ad un massimo di un anno), previa presentazione di documentazione rilasciata dal giudice dei minori. Durante tale periodo non c’è decorrenza né di retribuzione, né di anzianità.
Art. 50 - Aspettativa per volontariato
Anche la disciplina del volontariato è affrontata per la prima volta nel CCNL 22.5.2003. La norma contrattuale dispone che i lavoratori assunti a tempo indeterminato appartenenti ad organizzazioni di volontariato (legge 266/1991, art. 17), hanno diritto, compatibilmente con le esigenze organizzative aziendali, di fruire di un regime di orario di lavoro concordato nell’ambito di una distribuzione flessibile degli orari.
Agli stessi lavoratori, qualora ne facciano richiesta, l’azienda può concedere un periodo di aspettativa non retribuita (senza decorrenza di anzianità), di durata non superiore ad un anno.
Considerata la natura di servizio pubblico essenziale gestito dalle aziende associate a Federambiente, i dipendenti aderenti alle associazioni di volontariato, fermo restando quanto disposto dal DPR 613/1994, sono tenuti prioritariamente, in caso di emergenza determinata da eventi calamitosi, a disposizione dell’azienda per interventi di carattere tecnico e per tutte le attività di supporto connesse a detti interventi.
Art. 51 - Richiamo alle armi
A differenza del CCNL 31.10.1995, il quale disciplinava il servizio militare, il vigente CCNL, in vigore dall’1.1.2005, norma esclusivamente il richiamo alle armi.
Stante la disciplina di legge vigente in materia (RDL 1825/24; L. 653/40; artt. 2110 e 2111 c.c.; L. 370/55), infatti, i lavoratori dipendenti possono essere richiamati al servizio militare per una qualunque esigenza delle Forze armate (ad esempio per corsi di addestramento e di aggiornamento), mantenendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro e percependo un’indennità economica. La disciplina del richiamo alle armi si applica anche ai lavoratori :
- in prova (in tal caso il periodo di prova resta sospeso);
- in preavviso di licenziamento ( deve essere conservato il posto di lavoro e corrisposto il trattamento fino alla fine del richiamo alle armi);
- assunti a tempo determinato (la decorrenza del termine del contratto vienensospesa ed il lavoratore conserva il posto di lavoro per un periodo pari a quello prestato sotto le armi); etc..
Il periodo di richiamo alle armi deve essere computato nell’anzianità di servizio ed ai fini del calcolo del TFR.
I dipendenti richiamati alle armi devono riprendere servizio entro 30 giorni calendarialidal collocamento in congedo, altrimenti si considerano dimissionari.
CAPITOLO VIII
TUTELA DELLA DIGNITA’ DELLA PERSONA
Art. 52 - Azioni positive per la realizzazione della parità uomo donna nel lavoro
La nuova disciplina in materia di azioni positive per la realizzazione della parità tra uomo e donna, tiene conto dell’obiettivo primario della legge (L. 125/1991; D.Lgs. 196/2000; L. 28.11.2005, n. 246, art. 6; D.Lgs. 11.4.2006 n. 198) di garantire che nei luoghi di lavoro vi sia una parità effettiva tra uomo e donna, attraverso l’introduzione, appunto, di azioni positive, che rimuovano le disuguaglianze che , di fatto, impediscono la realizzazione della parità tra i sessi nel mercato del lavoro.
A tal fine, le parti stipulanti, si sono assunte l’impegno di costituire una Commissione nazionale paritetica (composta da 8 elementi) che abbia l’incarico di riunirsi annualmente al fine di esaminare:
1. l’andamento dell’occupazione femminile nelle aziende sulla base dei dati qualitativi e quantitativi forniti dalle stesse nell’ambito del sistema informativo vigente.
A tal proposito, le aziende che occupano più di 100 dipendenti, hanno l’obbligo, almeno ogni due anni, di redigere e di trasmettere alle rappresentanze sindacali aziendali ed al consigliere regionale di parità un rapporto sulla situazione maschie e femminile nell’azienda.
Nel rapporto devono essere esaminati gli aspetti essenziali della gestione del personale (assunzioni, formazioni, retribuzioni, licenziamenti, etc.), trattando separatamente le informazioni per lavoratori e lavoratrici.
Il rapporto deve essere riferito al complesso delle unità produttive, nonché per ciascuna unità produttiva con più di 100 dipendenti. Nel computo della forza lavoro deve essere considerata tutta la forza lavoro a qualunque titolo occupata in azienda e deve essere trasmesso entro il 30 aprile dell’anno successivo alla scadenza di ciascun biennio.
2. proporre specifiche sperimentazioni di azioni positive da realizzare in sede aziendale.
Art. 53 - Prevenzione e repressione delle molestie sessuali
La nuova disciplina in materia di prevenzione e repressione delle molestie sessuali, in linea con i contenuti della Raccomandazione CEE/92/131/27.11.1991 e dell’allegato codice di condotta, prevede che in azienda debba essere assicurato che il rapporto di lavoro si svolga nel pieno rispetto della dignità della persona in ogni sua manifestazione, anche per quanto attiene la prevenzione e la repressione dei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale.
Art. 54 - Prevenzione e repressione del mobbing
La norma in esame è stata introdotta per la prima volta nel vigente CCNL. Le parti stipulanti si danno atto di avviare adeguate e opportune iniziative mirate alla prevenzione dei comportamenti lesivi di valori quali ad esempio la dignità, dei diritti fondamentali e della salute psico – fisica dei dipendenti.
CAPITOLO IX PREROGATIVE E DIRITTI SINDACALI
Art. 55 - Prerogative e permessi sindacali
La disciplina in materia di prerogative e permessi sindacali, rispetto a quella prevista dal CCNL 31.10.1995, è mutata solo nella forma. Sono stati cassati i riferimenti normativi relativi agli anni precedenti il 1998.
Una novità importante che interessa questo capitolo contrattuale è rappresentata dal fatto che la O.S. UGL, per la prima volta, è una delle parti stipulanti il CCNL, avendo partecipato attivamente al processo formativo del contratto stesso, anche se il negoziato si è svolto separatamente. In passato, invece, l’UGL aveva firmato solo per adesione.
Com’è noto, le XX.XX. stipulanti il CCNL Federambiente sono: FP CGIL, FIT CISL, UILTRASPORTI, FIADEL e UGL.
Le XX.XX. operano, in ambito aziendale, mediante due sistemi di rappresentanze: le rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) che costitiuscono il modello legale di rappresentanza e, ove esse non siano costituite, opera la rappresentanza sindacale unitaria (R.S.U.) che subentra alle r.s.a. ed ai loro dirigenti ne lla titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto delle disposizioni di legge.
Le disposizioni contrattuali, condizionano il diritto a fruire di un monte ore annuo aziendale di permessi retribuiti, secondo le modalità definite dal CCNL stesso (8 ore moltiplicato il numero dei dipendenti in forza presso ciascuna azienda al 31 ottobre dell’anno precedente quello di riferimento),
- alla stipulazione del CCNL stesso;
- all’adesione agli accordi di regolamentazione dei conflitti di cui alla legge n. 146/1990;
- al possesso di una rappresentatività sul territorio nazionale pari o superiore al 5%, determinata esclusivamente in base alle deleghe alla trattenuta sindacale alla data del 31 ottobre.
L’O.S. UGL, avendo sottoscritto l’Accordo di rinnovo del 22.5.2003, al pari degli altri sindacati, ha diritto a fruire dell’agibilità sindacale secondo la disciplina in materia contenuta nel CCNL, essendo un’organizzazione stipulante e, quindi, per tale motivo, rientrando nella previsione contrattuale richiamata.
Occorre tuttavia precisare che l’O.S. UGL, non avendo ancora ottenuto una rappresentatività sul piano nazionale pari o superiore al 5%, può soltanto fruire della quantità dei permessi messi a disposizione dell’art. 23 della legge n. 300/1970 e di tutte le prerogative previste dal titolo III della citata legge.
Le parti stipulanti, con verbale integrativo di errata corrige del CCNL 22.5.2003, hanno precisato, con riguardo ai dipendenti in forza presso ciascuna azienda, utili ai fini del calcolo del monte ore annuo aziendale dei permessi retribuiti sindacali (art. 55, p.II, lett. a) che essi si computano come unità intere, quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa e la forma del rapporto di lavoro in essere. I dipendenti a tempo determinato debbono essere inclusi nel calcolo salvo che sostituiscano lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto.
Nel caso in cui, a livello aziendale sia stata costituita la R.S.U., il 50% del monte ore ottenuto con le modalità sorarichiamate, viene assegnato alla gestione di quest,’ultima. Mentre il restante 50% viene ripartito pariteticamente tra C.G.I.L., CISL e UIL. Nel caso di non realizzazione della R.S.U., la parte di monte ore spettante a C.G.I.L, CISL e UIL, detratta dalla spettanza garantita di diritto slle singole organizzazioni con i criteri previsti dalla legge n. 300/1970, viene distribuita proporzionalmente fra le stesse tenendo conto del singolo grado di rappresentatività.
Con riferimento, invece, alla fruizione dei permessi di cui al p. III del citato art. 55, ossia dei permessi sindacali nazionali retribuiti, , le XX.XX. di categoria stipulanti hanno l’obbligo di comunicare i nominativi dei dirigenti delle rappresentanze sindacali a Federambiente, la qua le si fa parte diligente al fine di trasmetterli alle singole aziende interessate. La mancata comunicazione dei nominativi dei lavoratori soprarichiamati comporta l’automatica decadenza del diritto di fruire dei permessi in esame.
Il numero complessivo dei permessi spettanti alle XX.XX. stipulanti viene ripartito in misura proporzionale al numero nazionale degli iscritti, determinati esclusivamente in base alle deleghe alle trattenute aziendali pervenute al 31 ottobre dell’anno precedente quello di riferimento. Le
aziende devono comunicare detto numero alla Federambiente ed alle XX.XX. entro il 15 novembre successivo.
In deroga a quanto previsto dalla lettera a, p. III dell’art. 55 del vigente CCNL (ai dirigenti sindacali…, verranno concessi 30 permessi sindacali retribuiti complessivi, per tutta la durata del loro mandato riferito all’anno solare”), il 50% dei permessi spettanti a ciascuna XX.XX. stipulante può essere frazionato per un periodo non inferiore ai due mesi.
Ai dirigenti che fruiscono dei permessi sindacali nazionali retribuiti, viene corrisposta la retribuzione globale (art. 24, p.4), comprensiva di tutti gli elementi collegati al reparto e/o ufficio, alla mansione ed al livello di inquadramento di appartenenza.
In nessun caso fanno parte della retribuzione da corrispondere al lavoratore nel periodo in cui fruisce del permesso sindacale nazionale retribuito:
- il compenso per il lavoro straordinario e domenicale
- l’indennità per il lavoro notturno
- l’indennità maneggio denaro
- l’indennità per sgo mbero neve
- l’indennità di reperibilità
Le ferie, inoltre, maturano solo per i permessi sindacali nazionali retribuiti di durata inferiore a 2 mesi nell’anno solare.
Il costo dei “distacchi” sindacali (p. III, art. 55), viene ripartito tra tutte le aziende associate a Federambiente in proporzione al personale in forza al 1° gennaio di ogni anno. Le modalità con le quali avviene detta ripartizione sono state indicate a tutti gli associati con la nota di Federambiente prot. n. 3114/RV del 18 dicembre 1995.
Art. 56 - Diritti sindacali
Con lo Statuto, il legislatore si è ripromesso di dotare il sindacato di una serie di diritti implicanti un dovere di cooperazione datoriale, oltre a voler realizzare un “catalogo” dei diritti sia dei singoli lavoratori, sia delle organizzazioni sindacali, disegnando un quadro unitario.
1. Diritto di affissione
La r.s.a./R.S.U. hanno diritto di affiggere, in appositi spazi messi a disposizione dalla Direzione aziendale in luoghi accessibili, pubblicazioni testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro (art. 25, L. 300/70).
2. Trattenute dei contributi sindacali
A seguito della modifica referendaria dell’art. 26 dello Statuto dei lavoratori, è venuto meno l’obbligo legale di esazione dei contributi per ritenuta sulla retribuzione.
Tale obbligo può fondarsi attualmente solo sull’autonomia contrattuale. L’art. 56, p. 2 del CCNL, prevede che la trattenuta per i contributi sindacali a favore delle Organizzazioni Sindacali stipulanti e firmatarie sia pari all’1% della retribuzione base parametrale moltiplicata per quattordici mensilità.
Il versamento ha scadenza annuale indivisibile ma, allo scopo di facilitare i lavoratori, la relativa esazione viene rateizzata in quattordici mensilità.
È importante che XX.XX., lavoratori ed aziende rispettino la procedura indicata dal CCNL per la compilazione e la sottoscrizione del modulo per la trattenuta dei contributi sindacali, anche alla luce della recente sentenza n. 28269 (21.12.2005), con la quale la Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha risolto la divergenza di orientamenti sulla qualificazione giuridica di detta trattenuta, ritenendola una “cessione di credito” (art. 1260 c.c.).
In concreto, l’Azienda provvederà alla trattenuta dei contributi sindacali ai dipendenti che ne facciano richiesta mediante delega debitamente sottoscritta dal lavoratore e consegnata o fatta pervenire all’azienda dal lavoratore stesso.
Com’è noto, gran parte delle entrate economiche dei sindacati sono somme prelevate ogni mese sulle retribuzioni dei lavoratori per la delega data al datore di lavoro al momento della loro adesione al sindacato. Le deleghe avranno validità permanente, con verifica annuale e salvo revoca che può avvenire in qualsiasi momento. Ciò significa che, sul piano pratico, affinché il lavoratore non rischi di restare iscritto a tempo indeterminato all’associazione sindacale prescelta inizialmente, dovrà preacquisire dal Sindacato il consenso alla revoca in qualsiasi momento, il che potrà avvenire
qualora nella delega o atto di adesione - che è a tutti gli effetti è un contratto - venga inserita una formula o clausola con cui il Sindacato “dà sin ora atto del proprio consenso alla revoca, in qualsiasi momento, del credito da parte del lavoratore con tutti i conseguenti effetti estintivi nei confronti dell’associazione sindacale di adesione”.
L’inserimento di una clausola o formula è quindi riconducibile al fenomeno che va sotto il nome di “ condizioni generali di contratto” a cui il Codice Civile dedica due fondamentali disposizioni (artt. 1341-1342) assimilandole a vere e proprie norme giuridiche aventi carattere di astrattezza e generalità, il cui obiettivo è quello di tutelare le parti economicamente “più deboli” di fronte agli eventuali abusi ad opera delle parti economicamente “più forti”.
Si parla di un contratto pre-costruito: gran parte del testo contrattuale è predisposta unilateralmente dall’una delle parti e come tale è destinata ad essere inserita nel testo contrattuale.
Tale fenomeno risponde al bisogno di assicurare l’uniformità del contenuto di tutti i rapporti di natura identica. Infatti la difficoltà che si oppone alla trattativa, l’esigenza di semplificare l’organizzazione e la gestione delle aziende, inducono l’imprenditore a prestabilire moduli il cui testo non può essere discusso dall’altra parte se questa non vuole rinunciare “all’affare”.
Un tal metodo di conclusione del contratto non deve ritenersi illegittimo solo perché non dà luogo a trattative e a dibattiti di clausole, ma costringe ad accettare patti preordinati. Al fenomeno produttivo va sacrificato il bisogno di una libertà di trattativa che importerebbe intralci spesso insuperabili.
Il primo limite è che, in base al principio della buone fede ex art. 1175 c.c. e a quello della ragionevolezza, le condizioni così predisposte siano conosciute o rese conoscibili dall’altra parte usando l’ordinaria diligenza. Tale limite costituisce una vera e propria condizione di efficacia delle
c.g.c. ma non in senso tecnico. Ma ciò è in grado di confe rmare che il fondamento della vincolatività di tali condizioni generali non è l’accettazione, espressa o tacita, della parte non predisponente, quanto nella legittimazione di cui di fatto gode l’Azienda a predisporre unilateralmente tali condizioni con il limite tuttavia di portarle a conoscenza dell’altra parte.
L’inserimento, poi, di una clausola onerosa o vessatoria nel contratto avrà carattere vincolante dal momento che produrrà effetto solo se specificamente approvata per iscritto. Conseguentemente,
costituendo la specifica approvazione scritta un requisito formale ad substantiam, il mancato rispetto di tale limite determinerà la nullità della clausola eccepibile da chiunque vi abbia interesse e suscettibile di rilievo d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
In sostanza, l’apposizione di una clausola vessatoria, come nel caso di specie il versamento dell’intera ritenuta annua a seguito di revoca, deve essere esplicitata e firmata per accettazione dal lavoratore al momento del rilascio della delega.
La possibilità, poi, che il CCNL riconosca ai lavoratori – al fine di agevolarli - di rateizzare la trattenuta in 14 mensilità ma con l’espressa previsione di corrispondere, in un’unica soluzione quanto ancora dovuto in caso di revoca, non è da considerarsi contra legem e non solo perché tale clausola configura una obbligazione tipica (ossia espressamente pattuita) ma anche perché, ove contenuta in condizioni generali di contratto, è efficace solo se espressamente prevista nell’atto di adesione al sindacato e accettata per iscritto dal lavoratore.
La rateizzazione costituisce da un lato, una agevolazione di pagamento; dall’altro rappresenta per il lavoratore che la sottoscrive, un riconoscimento del debito. Ne consegue che, qualora la trattenuta sindacale sia prevista come quota annuale, il principio sulla base del quale, in caso di revoca, la trattenuta cessa automaticamente dal mese successivo, non può essere applicato, atteso che l’atto di adesione prevede un “impegno” del lavoratore per tutto l’anno. Le quote dovranno essere versate comunque fino a fine anno.
Tuttavia, tale clausola potrebbe tuttavia ritenersi “inusuale” e quindi inefficace, solo se risultasse contraria ai dettami della buona fede o correttezza ossia pregiudicasse in modo rilevant e gli interessi del lavoratore o determinasse a danno dello stesso un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
Di conseguenza, alla luce di quanto esposto fin’ora, e ai sensi dell’art. 56, punto II° del CCNL, il versamento dell’intera ritenuta annua a seguito di revoca è da considerarsi legittimo, qualora tale clausola sia esplicitamente accettata e sottoscritta dal lavoratore al momento del rilascio della delega. L’assenza di tale clausola comporta, per la XX.XX. interessata, la perdita del diritto al recupero dell’importo non ancora versato dal lavoratore.
Per ultimo, secondo un parere della Commissione paritetica, le variazioni della retribuzione base, intervenute a qualunque titolo nel corso dell’anno, non producono effetti sulle entità della trattenuta in esame, dal momento che essa va effettuata all’inizio di ogni anno sulla retribuzione base, come individuata dall’art. 24 del CCNL, in atto a tale data.
3. Assemblee sindacali del personale
In linea generale, l’assemblea, disciplinata dall’art. 20 dello Statuto dei lavoratori, costituisce accanto al referendum uno strumento di partecipazione diretta, che spetta a tutti i dipendenti dell’azienda, indipendentemente dall’iscrizione ad un sindacato, in relazione ai problemi di interesse sindacale e del lavoro.
La disciplina ex CCNL 31.10.1995, è stata integrata dalla vigente normativa contrattuale con una disposizione in base alla quale le assemblee devono essere tenute nelle ultime ore di lavoro, salvo casi del tutto eccezionali.
Dal momento che l’assemblea sindacale di lavoratori costituisce un diritto, a fronte del quale il datore di lavoro ha un obbligo di “pati”, essa soggiace ad una disciplina specifica ed all’osservanza di precise norme, soprattutto, per quanto riguarda il potere di convocazione, che spetta esclusivamente alle r.s.a., l’ordine del giorno ed il preavviso .
Quest’ultimo, rappresenta una questione particolarmente delicata, visto che l’igiene ambientale rientra nell’ambito dei servizi cui si applica la legge n. 146/1990 in tema di sciopero; quindi, la convocazione dell’assemblea deve rispettare le legittime esigenze aziendali per evitare eccessivi pregiudizi e, pertanto, il preavviso, con il quale viene comunicata l’assemblea, deve essere congruo, per consentire all’azienda di adempiere alle proprie obbligazioni: sospensione dell’attività, approntamento dei locali, ecc..
Quanto all’ordine del giorno, occorre precisare che la sua mancanza, determina il concretizzarsi dalla situazione prevista dall’art. 20 e protetta dall’art. 28 St. lav., con la conseguenza che il comportamento di chi si reca ad una siffatta assemblea può essere sanzionato in via disciplinare, oltre al fatto che l’azienda può legittimamente rifiutare di concedere i locali, nonché di corrispondere la retribuzione ai partecipanti.
Inoltre, è opportuno evidenziare che, per quanto ampia possa intendersi la nozione di materia sindacale e del lavoro, non possono svolgersi assemblee retribuite o meno su temi del tutto privi di connessione con gli interessi dei lavoratori in quanto tali. Se così non fosse, l’espressione testuale della norma di legge sarebbe priva di senso.
Dal che si evince, oltre l’onere per le r.s.a. di allegare alla comunicazione l’o.d.g. dell’assemblea, che non possa ritenersi adempiuta la prescrizione di legge allorquando l’o.d.g. stesso contenga il mero e generico riferimento ad argomenti di carattere sindacale (Cass. 87/5179).
Del contemperamento tra diritto di assemblea ed esigenze aziendali si è occupata ,a più riprese, la Corte di Cassazione, affermando, tra l’altro , che tale diritto deve essere esercitato con l’osservanza dei limiti coessenziali alla sua attribuzione e, quindi, con modalità tali da non ledere interessi diametralmente contrapposti ed elevati dall’ordinamento al rango di diritti dotati di eguale o superiore tutela, come quello dei cittadini alla fruizione dei servizi pubblici essenziali, tra i quali rientra, appunto, l’igiene ambientale.
L’uso del potere di convocazione dell’assemblea, sia generale che di gruppo, può, infatti, prestarsi a mascherare uno sciopero di fatto. In particolare, tale rischio si presenta elevato nel campo dei soggetti alla disciplina della legge n. 146/1990, che prevede la necessità di un preavviso di sciopero di almeno 10 giorni verso l’azienda. E’ del tutto evidente che l’indizione di un’assemblea può consentire di aggirare strumentalmente tale obbligo, ottenendosi da parte delle XX.XX. lo stesso risultato di mancata prestazione.
Infine, la partecipazione dei componenti le r.s.a., all’assemblea stessa è strettamente connessa all’esercizio dell’attività sindacale e, quindi, in quanto tale, le ore di lavoro impiegate in assemblea, per detti lavoratori, devono essere defalcate dal monte ore annuo definito ai sensi dell’art. 55, p. II del CCNL.
4. Sedi sindacali
In materia di sedi sindacali, le parti stipulanti hanno sottoscritto, in data 6.12.2005, un verbale integrativo di errata corrige, con il quale hanno ripristinato, tra le altre cose, in 100 (come era in tutti i precedenti CCNL) il numero dei dipendenti necessario affinché le r.s.a. abbiano a disposizione un locale per l’esercizio delle loro funzioni.
La norma contrattuale vigente, pertanto, prevede l’obbligo, per le aziende con almeno 100 dipendenti, di mettere a disposizione delle r.s.a. un idoneo locale comune all’interno dell’azienda o nelle immediate vicinanze di essa, per l’esercizio delle loro funzioni.
Il diritto di riunirsi nel locale messo a disposizione spetta in ogni momento, senza l’obbligo di preavviso o di darne notizia al datore di lavoro (Cass. 8.4.1981, n. 2035).
Nelle aziende con un numero di dipendenti inferiore a 100, l’obbligo del datore di lavoro è limitato esclusivamente alla messa a disposizione di un locale per lo svolgimento delle riunioni di volta in volta e su richiesta delle r.s.a..
Art. 57 - Istituti di patronato
La norma in materia di istituti di patronato è mutata rispetto a quella di cui al CCNL 31.10.1995 esclusivamente nella forma.
Art. 58 - Procedura di raffredda mento e conciliazione delle controversie collettive
Il CCNL contiene una specifica regolamentazione sull’esercizio del diritto di sciopero ai sensi della legge n. 146/1990, come modificata dalla legge n. 83/2000.
La norma contrattuale in esame fa rinvio, in materia di procedura di raffreddamento e conciliazione delle controversie collettive, prevista in attuazione dell’art. 2, comma 2 della legge n. 146/90 e successive modificazioni, all’Accordo nazionale 1.3.2001 sullo sciopero nei servizi di igiene urbana sottoscritto da Federambiente, Fise e dalle XX.XX. FP CGIL, FIT CISL, UITRASPORTI, FIADEL
– CISAL e UGL e valutato idoneo dalla Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Con l’Accordo 1.3.2001 è stata superata la logica dell’accordo quadro e, per la prima volta, è stato stipulato un accordo generale sul settore che contiene la previsione di norme che rispondono ai criteri di automatico adattamento nelle diverse realtà locali. L’area dei servizi indispensabili è stata estesa, garantendo una tutela complessiva di tutto il ciclo del rifiuto, dalla raccolta alla discarica.
Il p. 2 della norma contrattuale in esame precisa che la procedura di raffreddamento e conciliazione si applica anche ai lavoratori addetti ad attività e/o servizi non individuati come prestazioni indispensabili dall’art. 8 dell’allegato all’Accordo nazionale 1.3.2001.
Le parti stipulanti hanno chiarito (verbale 28.1.2005) che le disposizioni dell’art. 8 dell’Accordo nazionale 1.3.2001, si applicano integralmente anche alla produzione ed erogazione di energia elettrica e/o termica nei servizi a rete.
La Commissione di garanzia che, con deliberazione n. 210 del 21.9.2000, ha chiarito che, la procedura di raffreddamento e di conciliazione, una volta valutata idonea, è vincolante per entrambe le parti (parte datoriale/ XX.XX.), non solo nel senso che il rispetto di essa è rilevante sul piano dell’adempimento degli obblighi contrattuali, ma anche nel senso che il suo rispetto rileva sul piano della correttezza dei comportamenti valutabile dalla Commissione stessa.
Quindi, non è consentito a nessuna delle parti sottrarsi unilateralmente all’applicazione delle regole procedurali valutate idonee. Tuttavia, secondo quanto previsto dalla legge, le parti, possono, d’intesa, non applicare la procedura contrattuale, adendo la via amministrativa.
A tal proposito, la Commissione ha sottolineato che la procedura amministrativa non si pone in alternativa con l’intera procedura contrattuale (di raffreddamento e di conciliazione), ma solo con la parte della procedura contrattuale relativa alla conciliazione.
Infatti, mentre la procedura in sede amministrativa prevista dalla legge è esclusivamente una procedura di conciliazione, la stessa legge prevede che gli accordi ed i contratti prevedano obbligatoriamente procedure di raffreddamento e di conciliazione.
Inoltre, si precisa che, una volta attivata la procedura contrattuale, l’esperimento dei due livelli, aziendale e territoriale, è obbligatorio, mentre il terzo livello nazionale è facoltativo, in quanto ciascuna delle parti ha facoltà di non esperirlo, dandone comunicazione alle associazioni nazionali datoriali e sindacali (art 6 dell’ Allegato all’Accordo 1.3.2001).
Infine, a norma dell’art. 3 (dell’Allegato all’Accordo 1.3.2001), l’attivazione della procedura sospende le iniziative eventualmente adottate dalle parti, fino alla conclusione della procedura stessa.
I lavoratori non possono adire l’autorità giudiziaria, i competenti livelli sindacali non possono proclamare agitazioni di qualsiasi tipo e l’azienda non dà attuazione alle questioni oggetto della controversia.
CAPITOLO X
AMBIENTE DI LAVORO - IGIENE E SICUREZZA DEL LAVORO
Art. 59 - Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro
La nuova norma in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro richiama, assieme alle più recenti disposizioni legislative , i principali soggetti che operano, a livello aziendale, nell’ambito del proprio ruolo ed in un contesto coordinato dall’impresa, per perseguire le finalità di tutela indicate dalla legge.
L’art. 59, disciplina il numero e la procedura elettiva del rappresentante per la sicurezza; rimanda agli oraganismi paritetici le funzioni di orientamento , di promozione delle iniziative formative e di conciliazione, al livello di prima istanza, delle controversie relative ai diritti di rappresentanza, informazione e formazione previsti dal D.Lgs. 626/94. Pre quanto non disciplinato dalla norma in esame valgono le disposizioni del D.Lgs. 626/94.
La norma conferma (già previsto dall’art. 39 ex CCNL 31.10.1995), il diritto dell’azienda di effettuare, in conformità alle disposizioni di legge, le visite mediche preassuntive, ed evidenzia un ulteriore diritto datoriale, quale quello di sottoporre il personale, avvalendosi del medico competente, ad accertamenti sanitari periodici nel rispetto della normativa di legge.
Ai fini dell’assunzione al lavoro pubblico e privato non è richiesta la certificazione di sana e robusta costituzione fisica, se non in alcuni casi espressamente previsti dalla legge (D.lgs. n. 626/94).
Una questione ampliamente discussa sul piano interpretativo è quella della applicabilità o meno dell’art. 5 della l. n. 300/70, che vieta al datore di lavoro di far eseguire controlli sulla idoneità fisica dei lavoratori tramite privati anche in fase preassuntiva e del rapporto di tale disciplina con quella degli accertamenti sanitari obbligatori previsti dagli artt.16 e 17 del D.lgs. n. 626/94.
In tema di accertamenti sanitari sui lavoratori assumendi la giurisprudenza della Cassazione è divisa.
Secondo un primo orientamento, più antico, riconducibile principalmente alle sentenze di Cassazione n. 288/74 e n. 706/76, è comunque riconosciuta, al datore di lavoro, la facoltà di sottoporre a visita medica preventiva ogni lavoratore destinato ad essere assunto.
La Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto che l’art. 5 della legge 20 maggio 1970 n. 300 che vieta accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, sia destinato ad operare unicamente sugli accertamenti relativi ai lavoratori con i quali si è già costituito il rapporto di lavoro.
Anche la Cassazione penale, con sentenza n. 43 dell’8 gennaio 1998, ha ritenuto estranee all’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 3, l. 300/70 le visite preassuntive e perciò le ha ritenute legittimamente eseguibili dai sanitari di fiducia dell’azienda. Tale posizione, è basata sul dato letterale dell’art. 5 l. n. 300/70, che usa il termine “lavoratore” e, pertanto, la regolamentazione ivi contenuta sarebbe inapplicabile a tutela dei lavoratori da assumere (che “lavoratori” ancora non sono).
In senso opposto, invece, si è pronunciata la stessa Cassazione penale nel 1999, la quale, dall’esame del dettato normativo e mettendo in rilievo l’intento del legislatore di evitare che, surrettiziamente, attraverso gli accertamenti sanitari, si pongano in atto fattispecie discriminatorie, ha ritenuto, con sentenza n. 1133, che anche per quanti aspirino all’assunzione, sia demandato il controllo della generica idoneità fisica al lavoro alle apposite strutture pubbliche.
La Cassazione penale, quindi, si è pronunciata nel senso che il datore di lavoro, che intenda far controllare l’idoneità fisica del lavoratore, vi deve provvedere, ai sensi dell’art. 5, comma 3 della l.
n. 300/70, attraverso enti pubblici o istituti specializzati di diritto pubblico, anche se si tratta di personale in fase di assunzione.
E’ da rilevare, però, che la decisione della citata sentenza è legata al comportamento degli imputati (datore di lavoro) che, attraverso le visite mediche, hanno perseguito finalità estranee alla verifica della idoneità alla mansione.
In conclusione, lo scopo della citata sentenza è quello di ribadire il principio secondo cui il datore di lavoro, attraverso il medico competente, deve limitarsi ad accertare quegli elementi clinico-
amnestici necessari a verificare la idoneità fisica al lavoro (prevenzione di malattie professionali ed infortuni) senza estendere l’ambito del proprio lavoro ad altre situazioni.
Lo stato di tossicodipendenza, i disturbi psichici, l’alcolismo e la gravidanza, invece, essendo elementi clinici il cui accertamento può anche comportare offesa alla dignità ed alla libertà del lavoratore, possono essere accertati solo da commissioni pubbliche, anche nel corso di visite preassuntive.
Anche la Cassazione civile (sez. lav. n. 2104 del 12 febbraio 2003), ha ritenuto che il controllo dell’idoneità fisica del lavoratore può essere eseguito, sia in fase di preassunzione che in corso di rapporto, solo attraverso enti pubblici o istituti specializzati di diritto pubblico.
Delineato il quadro giurisprudenziale, va chiarito ora il rapporto intercorrente tra le disposizioni dell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori e quelle degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 626/94.
La ratio dell’art. 5 della legge 300/1970 è quella di contemperare due opposti interessi: da una parte, quello del datore di lavoro a controllare l’efficienza del lavoratore dal punto di vista fisico; dall’altro quello del lavoratore a che i controlli sullo stato di salute siano effettuati da un organo per così dire ”neutrale”, che assicuri cioè al lavoratore quelle essenziali garanzie di imparzialità che rendono obiettivo il giudizio sulla sua idoneità fisica. Tuttavia, il controllo previsto dallo Statuto tutela prevalentemente l’interesse del datore di lavoro: pertanto proprio per tale motivo se ne demanda l’attribuzione ad enti pubblici o a istituti specializzati di diritto pubblico.
Diversi sono gli accertamenti effettuati dal medico competente ai sensi degli artt. 16 e 17 citati, in quanto tali controlli sono diretti ad accertare il grado di compatibilità dello stato fisico del lavoratore con le mansioni svolte, al fine della prevenzione di malattie professionali ed infortuni e, quindi, vengono attuati certamente considerando un interesse del datore di lavoro, ma a tutela anche di un interesse dello stesso lavoratore.
Pertanto, le due norme si pongono su piani differenti, che non sembrano in contrasto tra di loro: l’ambito delle visite del medico competente è più ristretto di quello delle visite disposte ai sensi dell’art. 5 dello Statuto, essendo esclusivamente diretto ad escludere la presenza di controindicazioni al lavoro cui i dipendenti sono destinati ovvero ad accertare l’idoneità dei medesimi alla mansione specifica.