UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “XXXXXXXX XX”
DIPARTIMENTO di GIURISPRUDENZA
Dottorato di ricerca in diritto pubblico e costituzionale XXVI ciclo
LEGISLAZIONE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NELLA TUTELA DEL DIRITTO AL LAVORO
Tutor: Candidata:
Xx.xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx Co-tutor:
Xxxxx Xxxxxxxxx
Anno accademico 2013/2014
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INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO PRIMO
I FONDAMENTI COSTITUZIONALI
1. Il lavoro nella Costituzione
1.1 I molteplici significati del lavoro rinvenibili in Costituzione
1.2 L‟intervento statale di promozione e garanzia: gli artt. 3 e 4 della Costituzione
2. Diritto al lavoro e diritti dei lavoratori: l’inquadramento del- le fattispecie nel contesto dei diritti sociali
2.1 L‟esigenza di diritti sociali nel moderno Welfare State
2.2 Diritti sociali e diritti di libertà.
CAPITOLO SECONDO
IL SISTEMA DELLE FONTI NEL DIRITTO DEL LAVORO
1. Dai principi alle regole: l’attuazione delle norme costituzio- nali
1.1 Gli interventi legislativi susseguitisi nel tempo.
1.2 La problematica configurabilità di una competenza regionale in materia di diritto al lavoro
1.3 La contrattazione collettiva e la mancata attuazione dell‟art. 39 Cost.
1.4 La prassi delle ccdd. “leggi contrattate” e il ruolo degli attori politici coinvolti
2. Le relazioni interne al sistema delle fonti nel diritto del la- voro
2.1. I livelli della contrattazione
2.2 Il contratto collettivo è fonte di diritto? Tendenze classificato- rie della dottrina costituzionalistica
2.3 Il rapporto tra la legge e il contratto collettivo quali fonti del diritto. L‟inderogabilità e il principio di favore.
CAPITOLO TERZO
DALLA NORMA INDEROGABILE ALLA CAPACITÀ DEROGATORIA DELLA CONTRATTAZIONE DI PROSSIMITÀ. UNA PROPOSTA RICO-
STRUTTIVA PER RESTITUIRE ALLA LEGGE IL SUO RUOLO
1. Le ultime vicende italiane
1.1 Gli accordi interconfederali e il “caso Fiat”
1.2 L‟art. 8 del d.l. 138/2011, convertito in l. 148/2011
2. Profili critici
2.1Una legge ad hoc? Questioni concernenti la natura provvedi- mentale della legge. La clausola di retroattività espressa dal comma 3 dell‟art. 8
2.2 La legge 148/2011: elementi di inopportunità e di illegittimi- tà costituzionale
2.2.1 La sentenza n. 221/2012 tra attese e delusioni. Il pro- blema (affrontato) del riparto di competenze Stato Re- gioni e quello (eluso) della conformità della legge rispet- to all‟art. 39 Cost.
2.3 La gerarchia cede il passo alla sussidiarietà. Una nuova fun- zione per la legge? Spunti ricostruttivi per una lettura rights based del rapporto tra legislazione e contrattazione collettiva
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
L‟urgenza ossessiva delle trasformazioni sociali, politiche, eco- nomiche, culturali e la sensazione di precarietà ed incertezza che ca- ratterizzano quest‟epoca storica si riverberano, inevitabilmente, an- che sul mondo del diritto, finendo per investire ed influenzare, co- me forse è naturale che sia, il destino dei tradizionali capisaldi di un ordinamento giuridico.
In tale contesto, il diritto costituzionale assurge a osservatorio privilegiato delle metamorfosi del diritto1, rilevandosi «il più esposto alle tempeste della storia, collegato com‟è ai mutamenti profondi che il xxxxx xxx xxxxx xxxxxxxxx xxx xxxxxxxx modo di conformarsi dei rapporti sociali e politici che reggono le comunità organizzate»2.
È con tale consapevolezza che si è scelto di dedicare questa ri- cerca all‟osservazione delle evoluzioni subite dal peculiare sistema delle fonti di diritto del lavoro, soprattutto alla luce delle più recenti vicende imprenditoriali e giuridiche italiane.
L‟interesse per tale tema nasce dall‟osservazione critica dell‟inevitabile intreccio tra la politica del lavoro e la tutela del lavo- ratore. Se, con ogni evidenza, si tratta di un intreccio inevitabile è altrettanto vero che questa relazione si è progressivamente proble- matizzata, giungendo, negli ultimi periodi, ad esprimere una certa
1 L‟espressione è in corsivo perché mutuata dal volume di X. XXXXXXX, Meta- morfosi del diritto. Decisione e norma nell‟età globale, Laterza, Roma-Bari 2008.
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sproporzione a danno dei diritti dei lavoratori. Sempre di più, infat- ti, le scelte di politica del lavoro mostrano di trovare fondamento in esigenze economiche di produttività e di competitività sul mercato internazionale. Contemporaneamente e in maniera inversamente proporzionale, gli strumenti di tutela dei diritti dei lavoratori sem- brano abbandonare progressivamente la sede legislativa e di con- trattazione collettiva nazionale preferendo soluzioni aziendali o ad- dirittura individuali. Di conseguenza, un primo profilo problemati- co si individua nella doppia traccia rappresentata dal rapporto tra tutela dei diritti e sistema delle fonti che a presidio di tali diritti sono state preposte. Quale è la fonte che meglio contribuisce alla tutela dei diritti dei lavoratori in un contesto nel quale è necessario con- temperare le esigenze delle imprese e quelle individuali?
L‟apertura dei confini nazionali e l‟espansione indotta dalla globalizzazione comportano, sempre di più, un costante confronto
- giuridico, culturale, sociale, economico - tra individui, imprese, gruppi, enti con gli altri soggetti che operano nello spazio globale; mentre i tradizionali strumenti nazionali di mediazione e di control- lo fanno fatica ad adeguarsi alla rapidità di azione richiesta da que- sto tempo3. Così il panorama dell‟ordinamento costituzionale inizia
2 X. XXXXXXXX, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Roma-Bari, 2013, cit.
p. 4
3 Per dirla con le parole di X. XXXXX, «Il fatto centrale della globalizzazione è che la condizione economica dei cittadini di uno Stato-nazione è ormai fuori del controllo delle leggi di quello Stato […]. Siamo ormai di fronte a una over- class, una sovraclasse globale che prende tutte le principali decisioni economi- che e si rende del tutto indipendente dalle legislature e a maggior ragione dalla
a mutare, arricchendosi di nuovi soggetti che si pongono come
«nuovi sovrani», riuscendo «di fatto, più che di diritto – a partecipa- re e/o a imporre decisioni politicamente rilevanti in ambito planeta- rio»4.
L‟effetto diretto della concorrenza delle imprese sul mercato globale, nella scelta degli strumenti di dialogo e di normazione è, così, quasi paradossalmente, il passaggio dal pubblico al privato, dal collettivo all‟individuale, dal nazionale al locale. La competizione su scala mondiale comporta, infatti, in primo luogo, la necessità di una flessibilità nella gestione delle aziende e dei rapporti di lavoro che possa garantire maggiore produttività e, in secondo luogo, anche il venir meno della rilevanza della disciplina e della standardizzazione nazionale, che risulta di fatto inutilizzabile5. Come posto in eviden- za da molti studiosi del diritto6, nell‟attuale dimensione globale,
volontà degli elettori di qualsiasi paese […]» (Love and Money, in Id., “Philoso- phy and Social Hope”, London, 1999, cit. p. 233).
4 Ivi, cit. p. 50. Molto interessante, proprio ai fini del presente lavoro di ricerca, è l‟inclusione, tra tali «nuovi sovrani», delle imprese, multinazionali e non, e dei mercati, che l‟A., in maniera molto efficace, definisce come «sovrani dalla fisio- nomia assai misteriosa, che ormai dominano le scelte politiche. Svincolati dagli interessi dell‟economia reale, alleati con altri inafferrabili cavalieri senza volto (la finanza, il sistema bancario, il credito), sembrano titolari di un potere sovra- no illimitato» (cit. p. 51).
5 Cfr. X. XX XXXX XXXXXX, Il problema della inderogabilità delle regole a tutela del la- voro, ieri e oggi, relazione al Convegno A.I.D.LA.S.S. dal titolo "La crisi e i fon- damenti del diritto del lavoro", tenutosi a Bologna il 16 e17 maggio 2013.
6 Cfr., in particolare, nella vastissima biografia, M.R. FERRARESE, Diritto sconfina- to. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2006: ID., Mercati e globa- lizzazione: gli incerti cammini del diritto, in “Politica del diritto”, n. 3 del 1998, pp. 407-440; ID., Prima lezione di diritto globale, Roma-Bari, 2012; X. XXXXXXX, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005; ID., Lex mercatoria. Storia
sembra riemergere e riaffermarsi, quale fonte di disciplina privilegia- ta, la medievale lex mercatoria7 che ponendosi come «un diritto che sempre più è contiguo ai bisogni del mercato, ne interpreta le esi- genze di flessibilità e di privatizzazione e ricalca la grammatica degli interessi»8.
Le recenti vicende che hanno interessato grandi imprese italia- ne, come la Fiat, e la conseguente scelta politica del legislatore di in- tervenire fortemente sul sistema delle fonti poste a tutela del diritto al lavoro e dei diritti dei lavoratori, capovolgendolo, confermano ta- le tendenza e la loro osservazione ha portato all‟individuazione di alcuni interrogativi su cui si fonda la riflessione contenuta in questo lavoro di ricerca.
del diritto commerciale, Bologna, 2005; N. IRTI, Diritto senza verità, Roma-Bari, 2011.
7 La lex mercatoria era una tipologia di «diritto creato e direttamente imposto dal- la stessa classe mercantile, in forza delle consuetudini mercantili, degli statuti delle corporazioni mercantili, della giurisprudenza dei tribunali dei mercanti. Non conosceva mediazioni politiche; né incontrava confini politici: realizzava l‟unità del diritto entro l‟unità dei mercati» (X. XXXXXXX, La globalizzazione nello specchio del diritto …op. cit., cit. p. 43). Era adottato per superare la stiticità e la rigidità degli istituti del diritto romano, considerati non adatti alla flessibilità ri- chiesta dal commercio. (Cfr., sul punto, X. XXXXXXXXXXX, Teorie giuridiche della governance. Le ragioni e i limiti di una nuova narrazione, Napoli, 2013, spc. p. 88).
8 M.R. FERRARESE, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari 2006, cit. p. 76. L‟A. prosegue precisando che si tratta di «un tipo di diritto ormai istituzionalizzato che risponde al fine di assecondare i bisogni giu- ridici del mercato, predisponendo per i suoi soggetti sia sempre nuove modalità di scambio contrattuale, sia proprie modalità di risoluzione dei conflitti, che in- sorgano lungo la via dei contratti. Usi commerciali internazionali e arbitrati in- ternazionali costituiscono i suoi principali ingredienti ed entrambi sembrano avvalorare un‟identità deterritorializzata della lex mercatoria» (cit. p. 79).
In primo luogo, ci si è chiesti se il bene lavoro goda ancora di ga- ranzie (e di quali, eventualmente) in un‟epoca in cui la competitività sul mercato è condizione per il lavoro e l‟esigenza primaria della po- litica nazionale è la garanzia della finanza a livello internazionale; quali siano gli strumenti di tutela oggi ancora validi e, quindi, che ruolo svolgano la Costituzione e la legge nell‟attuale assetto delle fonti del diritto del lavoro. E, in secondo luogo, che livello di com- petitività ci sia lì dove non si usi il parametro produttivo economico ma quelli del rispetto dei diritti, della quantità e qualità dell‟occupazione, dell‟investimento sulla formazione.
Questo lavoro di tesi prova a dare delle risposte a tali interro- gativi. Dal punto di vista del metodo, è però opportuno procedere a chiarimenti preliminari.
Si è scelto innanzitutto di non trattare il tema dei singoli diritti dei lavoratori, preferendo, invece, interrogarsi sulla realizzazione ef- fettiva di un diritto al lavoro. Si parte, infatti, dall‟idea che l‟esistenza di un diritto al lavoro rappresenti un prius irrinunciabile e prodromico all‟esistenza dei diritti individuali dei lavoratori. La pro- spettiva adottata pare, insomma, decisamente più congruente con l‟oggetto del diritto costituzionale in sé, laddove l‟analisi di singoli profili riguardanti i diritti individuali dei lavoratori pertiene, in pre- valenza, al diritto del lavoro.
Il primo sguardo sarà rivolto, quindi, ai principi costituzionali posti a fondamento e tutela del diritto al lavoro. Innanzitutto, alle differenti e complementari sfumature del principio lavorista che
emergono dagli artt. 1, 3 e 4 Cost., lette anche in relazione ai princi- pi personalista e pluralista contenuti nell‟art. 2 Cost., e poi all‟inquadramento del diritto al lavoro nell‟alveo dei diritti sociali. A tal proposito si affronterà anche la controversa relazione con i dirit- ti di libertà e l‟interessante questione della necessità di un bilancia- mento tra le esigenze di sviluppo economico e quelle di tutela dei lavoratori, in una prospettiva statica ed in una prospettiva dinamica.
In seguito, una volta individuati i principi costituzionali fondan- ti il diritto del lavoro, la ricerca procederà soffermandosi sulle regole che definiscono tale disciplina e che contribuiscono a renderla ope- rativa a livello subcostituzionale per capire in che misura le disposi- zioni normative che si preoccupano di inverare i principi costitu- zionali rappresentino attuazione degli stessi e si collochino, rispetto ad essi, in una logica strettamente derivativa9 .
9 Sul concetto di legislazione come “svolgimento” e attuazione delle norme co- stituzionali, cfr. da ultimo X. XXXXXXX (a cura di), Diritto Pubblico, Torino, 2012, spec. 134 ss., laddove afferma «la legge trova la sua caratteristica nell‟essere legis latio o legis positio (nel porre diritto, norme giuridiche); ma al tempo stesso essa è, a sua volta, lata o posita dalla Costituzione che ne sta a fondamento»; e, ancora, «se la Costituzione, sia intesa come Grundnorm, sia co- me principio della legislazione (=normazione), è una manifestazione istantanea, puntuale, irripetibile o difficilmente e straordinariamente ripetibile, esprimente- si rispettivamente nella determinazione della forma di stato e di governo e nell‟organizzazione, lato sensu, del potere legislativo essa, per realizzarsi, deve proseguire, svolgersi: ripetersi cioè in una funzione che ne rappresenti pro- priamente lo sviluppo». Ma la tesi è risalente (ID, L‟invalidità delle leggi, Vol. I, Milano, 1970; ma anche ID., La posizione e il ruolo della legge statale nell‟ordinamento italiano, in xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx.xx/0000,000.xxxx) e viene adoperata anche al fine di restituire primarietà al concetto di legge, come si avrà modo di vedere in seguito.
La disciplina del diritto del lavoro si è formata, nel tempo, gra- zie alla coesistenza e all‟intreccio di fonti eteronome pubblicistiche con fonti autonome di origine contrattuale, individuale e collettiva; si mostra, quindi, come il risultato di un‟osmosi costante tra questi due tipi diversi di fonti ed è appunto qui la sua peculiarità. Il fulcro del lavoro di tesi risiederà proprio nell‟analisi della relazione sussi- stente tra la fonte legislativa e quella contrattuale e dei principi che tradizionalmente l‟hanno regolata e che ora, con l‟entrata in vigore della l. 148/2011, sembrano sovvertiti per provare a capire in che misura questa inveri la tutela del diritto al lavoro o non sia dettata da logiche economiche e/o di tutela aziendale.
Al fine di rendere più comprensibili i mutamenti che hanno caratterizzato il diritto del lavoro negli ultimi anni, si ripercorreran- no le tappe principali dell‟evoluzione sia della fonte legislativa che di quella contrattuale collettiva, ponendo l‟attenzione soprattutto sui momenti di intersezione e cooperazione tra le due fonti. In par- ticolar modo sul fenomeno della legislazione contrattata, che nel perio- do della cd. “emergenza”, tra il 1975 e l‟inizio degli anni Novanta, ha visto collaborare in sede di concertazione il governo e le parti sociali nella definizione triangolare degli obiettivi necessari per ri- spondere all‟emergenza e nel coordinamento tra le rispettive politi- che da porre in essere per realizzarli.
Indagando sul ruolo svolto dalla funzione legislativa nella de- terminazione della disciplina lavoristica ci si imbatterà, tra l‟altro, nell‟interessante riflessione sul limitatissimo spazio lasciato alla competenza regionale.
Da un lato, infatti, di fronte all‟intreccio di competenze tra Stato e Regioni - realizzato dalla ripartizione delle materie dell‟art. 117 Cost. successiva alla riforma del Titolo V - la Corte Costituzio- nale ha mostrato costantemente di preferire l‟applicazione del criterio della prevalenza, piuttosto che quello di leale collaborazione, in favore di un centralismo statale esasperato; dall‟altro, l‟approvazione di inter- venti legislativi come l‟introduzione dei principi del pareggio di bi- lancio, della sostenibilità del debito pubblico e del rispetto dei vin- coli economici posti dall‟Unione Europea hanno portato ad un ulte- riore rafforzamento della competenza esclusiva statale con un corri- spondente forte ridimensionamento delle competenze regionali in materia.
Date queste doverose premesse, ci si potrà accostare al cuore del lavoro di tesi: al rapporto tra la fonte legislativa e la discussa fonte contrattuale collettiva, ai suoi diversi livelli (interconfederale, nazionale, territoriale ed aziendale), letto dalla prospettiva del diritto costituzionale.
Interrogandosi sulla natura giuridica del contratto collettivo e sulla sua interazione con la legge, si è potuto notare che, a differen- za della dottrina giuslavoristica che si è ripetutamente interrogata sul tema ed è giunta alla formazione di una posizione maggioritaria compatta nel senso della configurabilità del contratto collettivo qua- le fonte del diritto, i teorici del diritto costituzionale non si sono oc- cupati quasi per niente della questione in esame. Questa constata- zione, se da un lato ha reso più difficile il lavoro di ricerca ed anche
di stesura della tesi, dall‟altro lo ha reso particolarmente interessante e creativo.
Nella consapevolezza che, al di là delle riflessioni teoriche sulla natura giuridica della contrattazione collettiva, nel concreto della di- sciplina dei rapporti lavoristici vi è una costante sovrapposizione tra quest‟ultima e la fonte legislativa, ci si soffermerà sull‟analisi dei principi e criteri che regolano la relazione tra i due tipi di fonti. In- nanzitutto, sui principi tradizionali, consolidatisi nel tempo e ritenu- ti capisaldi irremovibili del diritto del lavoro; quindi, sugli ultimi fe- nomeni ed interventi normativi che hanno portato ad un sostanziale ribaltamento di tali principi tradizionali.
Se, infatti, negli ultimi decenni l‟intreccio di fonte contrattuale collettiva e di fonte legislativa si risolveva in un equilibrio dato dalla coesistenza tra il principio della inderogabilità in peius, e talvolta anche in melius, della legge da parte di qualsiasi livello della contrattazione collettiva ed il principio della competenza, con l‟entrata in vigore dell‟art. 8 del d.l. 138/2011, convertito in legge 148/2011, e l‟introduzione della capacità derogatoria della legge e della contrat- tazione collettiva nazionale ad opera della contrattazione di prossi- mità, il rapporto gerarchico tra le due fonti sembra esser venuto meno.
L‟ultima parte della ricerca riguarderà, pertanto, l‟esame di quei fenomeni sindacali, imprenditoriali e politici che, con il pretesto del- la crisi economica e della necessaria competitività produttiva a livel- lo mondiale, hanno inciso sulle scelte del legislatore, spingendolo ad
un‟accelerazione nella strada del decentramento normativo; in con- trasto con le istanze di unità ed uniformità che avevano preceden- temente portato alla sottrazione della competenza legislativa in capo alle Regioni. E, poi, i profili critici che possono sorgere in riferi- mento all‟art. 8. Ci si domanderà se e in che misura la norma possa essere considerata legge-provvedimento, quanto sia stata opportuna e quanto sia ritenuta legittima ed, infine, quali effetti abbia prodotto sul sistema delle fonti del diritto del lavoro e sui principi e criteri ordinatori da poter considerare attualmente validi; chiudendo con una proposta ricostruttiva sul ruolo che la legge può ancora svolge- re in un‟epoca caratterizzata da un indiscusso pluralismo istituziona- le.
In tal modo, la dimensione descrittiva riguardante la condizio- ne attualmente vissuta dal sistema delle fonti del diritto del lavoro sarà affiancata a una proposta di ordine prescrittivo volta ad appro- fondire il problema che ci si è posti inizialmente. In particolare, si proverà a recuperare un ruolo primario in capo alla legge per con- sentire a questa fonte di evitare gli straripamenti più evidenti posti in essere dalla contrattazione collettive e/o di prossimità.
Se, infatti, la fonte contrattuale sembra, a prima vista, quella più vicina ai lavoratori e, quindi, quella meglio capace di raccoglier- ne le istanze e gli interessi, essa, però, paga lo scotto di una eccessi- va localizzazione che provoca un inevitabile abbassamento dei livel- li essenziali di tutela del diritto al lavoro, giungendo ad intaccare quel Wesensgehalt, il nucleo incomprimibile di garanzia delle posizio- ni individuali.
Tutto questo postula che la teoria delle fonti non abiti un empireo distante e avulso nell‟ambito del diritto costituzionale ma che deb- ba, di contro, essere reinterpretata in un‟ottica “rights based”, dove la tutela dell‟effettività dei diritti abbia la meglio su prospettive vuo- tamente formalistiche, pur nel rispetto dei principi che sorreggono l‟impianto ordinamentale complessivo e che presiedono alla solu- zione delle antinomie normative.
CAPITOLO PRIMO
I FONDAMENTI COSTITUZIONALI
Sommario: 1. Il lavoro nella Costituzione – 1.1 I molteplici significati del lavoro rinvenibili in Costituzione – 1.2 L‟intervento statale di promozione e ga- ranzia: gli artt. 3 e 4 della Costituzione – 2. Diritto al lavoro e diritti dei lavora- tori: l‟inquadramento delle fattispecie nel contesto dei diritti sociali – 2.1 L‟esigenza di diritti sociali – 2.2 Diritti sociali e diritti di libertà.
1. IL LAVORO NELLA COSTITUZIONE
1.1 I molteplici significati del lavoro rinvenibili in Costituzione
Occuparsi degli strumenti predisposti nel nostro ordinamento alla tutela del diritto al lavoro e dei diritti dei lavoratori impone ne- cessariamente un preliminare inquadramento del tema nella cornice delle norme costituzionali che li riconoscono e garantiscono. Si ri- tiene, pertanto, di dover cominciare questo lavoro di tesi con l‟esame di quelle norme che, nell‟ambito dei principi fondamentali, si occupano del bene lavoro e della sua tutela, portandolo ad essere «la primula rossa dei diritti sociali»10, «il “primo” dei diritti sociali (sia
10 Espressione utilizzata da X. XXXXXXXXX in occasione del seminario metodo- logico sui diritti sociali tenutosi a Ferrara il 25 Giugno 2013.
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dal punto di vista “topografico”, che per il rilievo del lavoro per il sistema costituzionale nel suo complesso)»11.
Quest‟inquadramento preliminare si rivela utile anche sotto un diverso profilo: individuare e soffermarsi su quelle norme costitu- zionali che si occupano del bene lavoro, significa anche ricostruire la sua natura storico-sociale, prima ancora che giuridica.
Il primo riferimento al lavoro nella Costituzione si trova, infat- ti, proprio nel suo incipit. La scelta dei Costituenti di aprire la Carta con l‟individuazione del lavoro come fondamento della Repubblica demo- cratica, all‟art. 1, denota con forza l‟esigenza di allontanarsi dalle co- stituzioni del passato basate sui privilegi nobiliari, familiari o di ca- sta, e di dare rilievo, piuttosto, all‟attività con cui l‟uomo «crea il mondo economico, politico, morale, intellettuale»12. Ed è in linea con questo intento, quindi, che si ritiene debbano leggersi i richiami costanti al lavoro e ai lavoratori nell‟individuazione dei principi fondamentali per il nuovo ordinamento costituzionale.
Ciò che si può facilmente constatare analizzando gli articoli della Costituzione che se ne occupano è che il termine lavoro non viene utilizzato in un‟unica accezione. Il testo scaturito dal dibattito in Assemblea Costituente costituisce la sintesi di una molteplicità di prospettive emerse nei lavori preparatori, dovute alle differenti
11 X. XXXXXXX, L‟inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, 2003, cit. p.155.
12 Relazione X. XXXXXXX per la III Sottocommissione dell‟Assemblea Costitu- ente.
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ideologie di appartenenza dei padri costituenti, di cui conserva la traccia.
Di fronte alla varietà di significati assunti dall‟espressione lavoro nel testo costituzionale, la dottrina ha elaborato alcuni modelli di classificazione, differenti a seconda della prospettiva di indagine prescelta, che si ritiene possano efficacemente guidare l‟analisi se- mantica che ci si appresta a fare.
Guardando, innanzitutto, al tipo di attività in cui il lavoro può tradursi, la dottrina ha delineato tre differenti nozioni13.
In primo luogo, si è detto, costituisce attività socialmente utile, in- tesa quale diritto e dovere morale del cittadino ed espressione, in questo senso, tanto della dignità dell‟uomo - in quanto strumento con cui ognuno può affermare la propria personalità - tanto della doverosità di un impegno dei consociati a svolgere un‟attività profi- cua per la collettività, verso la realizzazione del bene comune. Que- sto primo significato risulta estrapolabile chiaramente innanzitutto dall‟art.1, ma anche dall‟art. 3 al secondo comma, lì dove richiede misure che consentano «il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione poli- tica, economica e sociale del Paese», e dal secondo comma dell‟art. 4, in cui si radica il dovere per ogni cittadino di concorrere al «pro- gresso materiale o spirituale della società».
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In secondo luogo, è stata definita come attività diretta allo scam- bio di beni e servizi: espressione di un diritto di libertà dell‟individuo
«che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio dell‟attività la- vorativa»14 e che trova fondamento nella lettura sistematica del pri- mo comma dell‟art. 4 e dell‟art. 41 che tutela la libertà di iniziativa economica.
Ed infine, si è ritenuto rappresenti un‟attività remunerativa che consente alla persona di sostenersi da sé ed in questa dimensione vengono in rilievo le norme contenute negli artt. 35 ss. Cost. poste a garanzia dei diritti dei lavoratori.
Ma la pluralità di accezioni del termine lavoro emergono anche lì dove si guardi non all‟essenza dell‟attività lavorativa ma al suo am- bito di esplicazione.
In quest‟ottica la dottrina ha individuato due profili che si mo- strano come trasversali alla classificazione appena proposta: un pro- filo individuale ed uno sociale15. Il lavoro è concepito in Costituzione, infatti, tanto come attività individuale e quindi momento di espres- sione della personalità del singolo cittadino, quanto come obbligo di
13 Cfr. X. XXXXXXXXX, Lavoro - diritto costituzionale (voce), in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 1965, pp. 343ss. ; C. MORTATI, Il lavoro nella Costituzione, in Il diritto del lavoro, 1954.
14 Corte Cost. sent. n. 45/1965.
15 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXX, Costituzione, cittadinanza, organizzazione sindacale, intervento all‟incontro introduttivo allo studio del diritto per gli studenti della Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università di Xxxxxx Xxxxxxxx XX per l‟a.a. 2011- 2012.
solidarietà, di apporto di ogni cittadino al progresso della società, nella dimensione relazionale della persona con gli altri consociati e con lo Stato. Entrambi i profili trovano riscontro sia nell‟art. 3 Cost., dove il lavoro appare contemporaneamente come mezzo di sviluppo della persona e come strumento di partecipazione alla vita della società, che nell‟art. 4 Cost., in cui il lavoro è qualificato, allo stesso tempo, come diritto individuale e dovere sociale.
È proprio questa capacità del lavoro di rispondere, nello stesso tempo, tanto ad un interesse di realizzazione individuale quanto ad un interesse di sviluppo sociale a renderlo uno dei perni intorno ai quali l‟ordinamento progettato dai Costituenti si è sviluppato e si sviluppa tutt‟oggi.
In tal senso, infatti, è stato sostenuto che «va rilevato con for- za che non solo la tutela del lavoro sancita dall‟art. 4 Cost. si lega in maniera stretta con l‟intero disegno tracciato dagli stessi costituenti e ne rappresenta, anzi, un tassello essenziale, ma anche che la cen- nata prospettazione volta a valorizzare il profilo personalistico dell‟esperienza lavorativa come manifestazione della dignità dell‟uomo, e la connotazione attenta, invece, al profilo pubblicistico di „compartecipazione‟ al potere politico, in realtà si fondono nella visione che riguarda tutti i diritti inviolabili, sia quelli individuali come quelli sociali, e che pone un collegamento diretto tra il rico-
noscimento delle libertà e l‟affermazione di un ordinamento ispirato alla democrazia pluralista»16.
In un recentissimo contributo certa dottrina si è posta l‟obiettivo di individuare, di fronte alla molteplicità di accezioni rin- venibili in Costituzione, un «concetto unitario»17 del termine lavoro, rinvenendolo nell‟«idea di lavoro politico espressa dal rapporto tra l‟art.1 e l‟art. 4 comma 2, della Costituzione, che vede nel secondo la chiave di lettura del primo»18.
Secondo tale ricostruzione il secondo comma dell‟art. 4 richie- de al lavoratore una «adesione consapevole»19 al progetto costitu- zionale contenuto nell‟art.1; un‟adesione consapevole, da un lato, delle proprie possibilità come singolo individuo e, dall‟altro, dell‟idea di società contenuta nella Costituzione. Posta tale consa- pevolezza come premessa, secondo l‟A., al lavoratore spetta, quindi, soltanto la scelta del modo in cui partecipare al progresso materiale o spirituale della società; lì dove, allo stesso tempo, ciò a cui è tenu- ta la Repubblica non è la garanzia della piena occupazione quanto, piuttosto, la creazione di quelle condizioni necessarie «perché il cit-
16 X. Xxxxxxx, Art. 4, in X.XXXXXXX - A.CELOTTO - X.XXXXXXXX (a cura di),
Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, cit. p. 117.
17 X. XXXXXX, Il lavoro politico come fondamento della Repubblica, in X. XXXXXX – I. XXXXX XXXXX (a cura di), Costituzione e lavoro oggi, Bologna 2013, cit. p. 22.
18 Ibidem.
19 Ivi, cit. p. 25
xxxxxx possa scegliere, secondo le sue possibilità, in quale direzione contribuire al progresso della società»20.
Ed è, appunto, sul dibattutissimo ruolo affidato alla Repubbli- ca dagli artt. 3 e 4 della Costituzione che ci si concentrerà nel pros- simo paragrafo.
1.2 L’intervento statale di promozione e garanzia: gli artt. 3 e 4 della Costituzione.
L‟individuazione del lavoro sia come elemento caratterizzante e definitorio della nuova Repubblica che come diritto sociale da ri- conoscere e tutelare ha portato in seno all‟Assemblea Costituente a corposi dibattiti e ad una imprevista sovrapposizione tra i lavori di due diverse sottocommissioni, la prima e la terza, poi ricomposta nel momento della sintesi finale, con l‟altissimo spirito di mediazio- ne che ha caratterizzato i lavori per la redazione della Costituzione.
Nella pacificità dell‟esigenza di riconoscere al lavoro valore preminente ed attenta tutela, l‟aspetto che i padri costituenti hanno avuto maggior timore di consacrare in Costituzione è stato, appun- to, l‟impegno statale, espresso poi nell‟art. 4 Cost., a «promuovere le condizioni che rendano effettivo» il diritto al lavoro.
20 Ivi, cit. p. 38.
Sia in seno alla prima sottocommissione, nella discussione su quelli che sarebbero diventati gli artt. 2 e 3, che in terza sottocom- missione, nel dibattito sulla formulazione dell‟art. 4, è emersa la perplessità di molti sull‟opportunità di fissare in Costituzione l‟impegno dello Stato ad un ruolo attivo a vantaggio del cittadino. Coloro che sostenevano la necessità della previsione per ogni diritto riconosciuto al cittadino di un corrispondente impegno statale a ga- rantirlo incontravano lo scetticismo di chi si domandava come si sa- rebbe dovuta interpretare questa promessa di intervento, quali re- sponsabilità avrebbe concretamente comportato per lo Stato, quali pretese il cittadino senza lavoro avrebbe potuto avanzare nei con- fronti delle istituzioni.
L‟accordo raggiunto intorno alla formulazione dell‟art. 4 è sta- to così accompagnato, già in Assemblea Costituente, da un‟indicazione interpretativa: «il fine cui deve tendere lo Stato è quello del pieno impiego, cioè del lavoro per tutti. Si intende che con ciò non si riconosce da parte del cittadino un‟azione per co- stringere lo Stato a dargli lavoro, qualora ne sia privo»; il diritto al lavoro è «principio etico» e l‟impegno assunto dallo Stato è «di fare tutto quello che è possibile per assicurare il lavoro a ciascun cittadi- no»21. Dall‟art. 4 non deriva, quindi, «una situazione giuridica im- mediatamente azionabile in via giudiziaria nei confronti dello Stato o, a fortiori, nei rapporti interprivati», ma «un diritto sociale condizionato
21 Vedi resoconti sommari delle sedute del 9 e 10 settembre 1946 della terza Sottocommissione e delle sedute del 3 e 9 Ottobre 1946 della prima Sotto- commissione.
all‟effettiva predisposizione da parte dei pubblici poteri di una ap- propriata politica del lavoro»22.
Il dovere a carico dello Stato, così come anche quello a carico del cittadino ex art. 4 comma 2, assume, quindi, una dimensione etica dalla quale la dottrina ha tratto due corollari: se, da un lato, i cittadi- ni non possono agire nei confronti dello Stato per sua inerzia, «ina- zione», ma soltanto in caso di azione legislativa contrastante23, dall‟altro, corrispondentemente, lo Stato non può agire nei confron- ti del cittadino per inadempimento del dovere di lavorare; ma per colui che non si rende socialmente utile lavorando vi è l‟indiretta sanzione di non poter godere dei vantaggi che lo Stato connette all‟esercizio della prestazione lavorativa24.
A definire la portata del vincolo che l‟art.4 pone ai poteri stata- li è intervenuta la Corte Costituzionale. Significativa a tal proposito è, ad esempio, la sentenza n. 3/1957, con la quale la Corte ha defi- nito la norma come “l‟affermazione sul piano costituzionale della importan- za sociale del lavoro che, senza creare rapporti giuridici perfetti, costituisce un invito al legislatore a che sia favorito il massimo impiego delle attività libere nei
22 A. CANTARO, Il diritto dimenticato. Il lavoro nella costituzione europea, Torino, 2007, cit. p. 31.
23 Cfr. X. XXXXXXXXX, Diritti sociali (voce), in Enc. Dir., vol. XII, Milano, 1964.
24 Cfr. X. XXXXXXXXX, Xxxxxx ... op. cit.. Per un‟analisi dell‟evoluzione della dot- trina sulla natura giuridica o morale del dovere di cui al comma 2 dell‟art. 4, ve- di A. CERRUTI, Il dovere di concorrere al progresso materiale o spirituale della società nello Stato costituzionale di diritto, in X. XXXXXX – I. XXXXX XXXXX (a cura di), Costitu- zione e lavoro oggi, Bologna, 2013, pp. 179ss.
rapporti economici”. O, ancora, la già citata sentenza n. 45/1965, nella quale vengono individuati dalla Corte i caratteri dell‟impegno stata- le, chiarendo che esso consiste da un lato nel “divieto di creare o di la- sciar sussistere nell‟ordinamento norme che pongano o consentano di porre limiti discriminatori a tale libertà ovvero che direttamente o indirettamente la rinne- ghino” e dall‟altro nell‟“obbligo – il cui adempimento è ritenuto dalla Costi- tuzione essenziale all‟effettiva realizzazione del decritto diritto – di indirizzare l‟attività di tutti i pubblici poteri, e dello stesso legislatore, alla creazione di con- dizioni economiche, sociali e giuridiche che consentano l‟impiego di tutti i citta- dini idonei al lavoro”25.
In questo senso, quindi, l‟attuazione dell‟art. 4 deve intendersi affidata a tutti gli organi costituzionali che, nei limiti delle proprie funzioni caratteristiche, incidono sull‟organizzazione del mercato del lavoro26: la pubblica amministrazione, che è tenuta ad esercitare i propri poteri in modo da favorire l‟occupazione; il potere giudizia- rio che risulta implicitamente invitato ad interpretare le norme e a risolvere gli eventuali conflitti tra interessi nel modo più conforme a soddisfare la pretesa di lavoro; e, ovviamente, il legislatore che, nel- lo stesso tempo, deve evitare di abrogare norme già esistenti che fa-
25 Nello stesso senso vedi, tra le altre, le sentt. nn. 3/1957; 105/1963; 61/1965; 7/1966; 16/1968.
26 Cfr. X. XXXX, Contratto di lavoro «dominante» e flessibilità in entrata: qualche rifles- sione a margine della legge n. 92/2012, in X. XXXXXX – I. XXXXX XXXXX (a cura di), Costituzione e lavoro oggi, Bologna, 2013, pp. 219 ss.
xxxxxxxx le occasioni di lavoro (limite negativo) ed intervenire per ga- rantire il massimo impiego (limite positivo)27.
Sugli interventi richiesti al legislatore a tutela del diritto al lavo- ro si è pronunciata eminente dottrina che, intendendolo non solo come diritto di accesso ad un‟attività lavorativa ma anche come diritto al mantenimento del posto di lavoro, ne ha individuato quattro catego- rie: innanzitutto, interventi di formazione ed «elevazione professio- nale dei lavoratori», ex art. 35 Cost., diretti all‟acquisto da parte dei lavoratori delle capacità tecniche richieste per l‟utilizzazione lavora- tiva; poi, interventi di facilitazione dell‟incontro tra domanda ed of- ferta di lavoro; interventi di imposizione alle aziende di assunzione di determinate percentuali e categorie di lavoratori ed, infine, inter- venti di stabilizzazione dei rapporti di lavoro in atto28.
L‟affermazione del diritto al lavoro, in tal modo, oltre ad avere un «grande significato politico, perché indica all‟Italia una prospetti- va di sviluppo che pone proprio il lavoro al centro degli sforzi dell‟economia», assume un «più puntuale significato giuridico, che consiste nella necessità di servirsi di questo principio fondamentale come chiave interpretativa di tutte le altre disposizioni costituziona- li», comportandone l‟utilizzabilità «come parametro di valutazione
27 Sul diritto al lavoro come libertà contemporaneamente negativa e positiva vedi, tra gli altri, X. XXXXXXXX, Il primo dei diritti sociali. Riflessioni sul diritto al lavoro tra Costituzione italiana e ordinamento europeo, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X‟Xxxxxx”, INT – 46/2006.
28 Cfr. C. MORTATI, Il lavoro nella Costituzione … op. cit..
della legittimità della legislazione ordinaria, che può essere dichiara- ta incostituzionale se confligge con l‟esigenza ivi incorporata, impe- dendo il tipo di sviluppo economico, adeguato alle esigenze di po- tenziamento dell‟occupazione, voluto dalla Costituzione»29.
Il riconoscimento del diritto al lavoro e l‟invito allo Stato di promuoverlo, contenuti nell‟art.4, trovano necessariamente comple- tamento nel principio di eguaglianza contenuto nell‟art. 3. Un prin- cipio che - senza alcuna pretesa di darne in questa sede una nozione definitiva, nella consapevolezza della complessità del tema – si ritie- ne debba essere considerato nella sua interezza, quale «unico mo- derno concetto di eguaglianza democratica» risultante da entrambi i commi dell‟articolo. Il principio di eguaglianza formale ed il princi- pio di eguaglianza sostanziale devono essere considerati non in al- ternativa ma come posti su una stessa linea progressiva, in un rap- porto di costante tensione dinamica30, considerando che «la combi- nazione delle due facce del principio di eguaglianza …] “costituisce l‟essenza stessa della razionalità giuridica del diritto del lavoro”»31.
È proprio la sintesi tra i valori dell‟eguaglianza e del lavoro che costituisce il fondamento della pretesa giuridica alla parità di tutti i cittadini di fronte alle occasioni di lavoro offerte32.
29 Cfr., X. XXXXXXX, Parte I. Titolo III. Rapporti economici, in X. XXXXX XXXXXX (a cura di), Stato della Costituzione, Milano, 1995, cit. pp. 148-149.
30 Cfr. A. D‟XXXXX, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale … op. cit..
31 M. D‟XXXXXX, Uguaglianze difficili, in Lavoro e Diritto, n.4, 1992.
32 Cfr., tra gli altri, C. MORTATI, Il lavoro nella Costituzione … op. cit.; X. XXXXXX,
Il diritto al lavoro fra Costituzione nazionale e Carte europee dei diritti: un diritto “aperto”
La potenziale infinita molteplicità di azioni positive attuabili dal- lo Stato per rimuovere gli «ostacoli di ordine economico e sociale» che impediscono l‟effettiva eguaglianza dei cittadini dinanzi all‟offerta di lavoro non ne permette una rapida classificazione. Ciò che può essere individuato in questa sede è, invece, lo scopo comu- ne al quale questi interventi devono mirare e le loro caratteristiche generali.
Avendo quale obiettivo finale l‟effettiva uguaglianza formale tra i cittadini di fronte al lavoro, tali azioni devono intervenire, in osse- quio al principio di eguaglianza sostanziale, per riequilibrare le condi- zioni di svantaggio lì dove le disuguaglianze non siano date da di- verso grado di capacità o di volontà ma da estrinseche condizioni sociali ed economiche33. «L‟azione positiva tende infatti a ristabilire
e “multilivello”, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X‟Antona”.INT – 60/2008; A. D‟XXXXX, op. ult.cit..
33 Sulla definizione delle azioni positive può essere interessante richiamare la ri- costruzione operata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 422/1995. Pur incidendo nella materia della legislazione elettorale (in particolare sulla le- gittimità dell‟art.5, comma 2 della l.81/1993 introduttivo della nozione di “rappresentanza di genere”) e non in quella dell‟accesso al lavoro, la Corte ha individuato l‟essenza delle azioni positive genericamente considerate afferman- do che: «Certamente fra le cosiddette azioni positive intese a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'or- ganizzazione politica, economica e sociale del Paese”, vanno comprese quelle misure che, in vario modo, il legislatore ha adottato per promuovere il raggiungimento di una situazione di pari opportunità fra i sessi …]. Ma se tali misure legislative, volutamente diseguali, possono certamente essere adottate per eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica, o, più in generale, per compensare e rimuovere le diseguaglianze materiali tra gli individui (quale pre- supposto del pieno esercizio dei diritti fondamentali), non possono invece incidere direttamente sul contenuto stesso di quei medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali. …]
È ancora il caso di aggiungere, come ha già avvertito parte della dottrina nell'ampio dibattito sinora sviluppatosi in tema di “azioni positive”, che misure quali quella in esame
l‟eguaglianza nelle condizioni di partenza, rendendo possibile l‟accesso all‟eguaglianza giuridica a coloro che di fatto non usufrui- scono del diritto alla parità di trattamento, perché di fatto sono in condizioni di inferiorità»34.
Può dirsi, così, che più che in interventi individuali le azioni positive devono consistere in operazioni politiche ed economiche sistemiche, in tecni- che di diritto diseguale che attribuiscano specifici vantaggi a determina- te categorie di persone, trovando nel principio di eguaglianza fon- damento e limite35. In questa prospettiva si ritiene che l‟attuazione del principio di eguaglianza diventi sintesi di principio personalista e principio pluralista in quanto «gli interessi che si annodano al mec- canismo complesso delle azioni positive sono interessi a realizza- zione individuale ma a giustificazione collettiva, essendo i singoli individui coinvolti e destinatari di tali misure “positive” in relazione
non appaiono affatto coerenti con le finalità indicate dal secondo comma dell'art. 3 della Co- stituzione, dato che esse non si propongono di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi: la ravvisata disparità di condizioni, in breve, non viene rimossa, ma costituisce solo il motivo che legittima una tutela preferenziale in base al sesso. Ma proprio questo, come si è posto in evidenza, è il tipo di risultato espressamente escluso dal già ricordato art. 51 della Costituzione, finendo per creare discriminazioni attuali come rimedio a discriminazioni pas- sate. Questa Corte nel corso degli anni dal suo insediamento ad oggi, ogni qual volta sono state sottoposte al suo esame questioni suscettibili di pregiudicare il principio di parità fra uomo e donna, ha operato al fine di eliminare ogni forma di discriminazione, giudicando fa- vorevolmente ogni misura intesa a favorire la parità effettiva. Ma, val la pena ripetere, si è sempre trattato di misure non direttamente incidenti sui diritti fondamentali, ma piuttosto volte a promuovere l'eguaglianza dei punti di partenza e a realizzare la pari dignità sociale di tutti i cittadini, secondo i dettami della Carta costituzionale».
34 M.V. BALLESTRERO, Le azioni positive in Italia e le ragioni di una legge probabile, in Lavoro e Diritto, n.3 del 1988.
35 Cfr. M.V. BALLESTRERO, Eguaglianza e differenze … op. cit.; M.V. BALLESTRE- RO, Azioni positive. Punto e a capo, in Lavoro e Diritto, n. 1 del 1996.
alla circostanza che essi sono parte di esperienze e condizioni col- lettive»36.
Questa rapida disamina sul valore costituzionale del lavoro e sulle norme che lo prevedono e tutelano può far comprendere me- glio il modo in cui la produzione di norme sub costituzionali avvie- ne e si inserisce nell‟ordinamento. Lo Stato, chiamato dalla Costitu- zione a riconoscere e garantire il diritto al lavoro, deve, infatti, in- tervenire non tanto, o non soltanto, offrendo direttamente lavoro, quanto, piuttosto, regolando, incentivando e controllando il feno- meno della domanda e dell‟offerta nel quale a creare occasioni di la- voro e a gestire i rapporti scaturenti sono organismi intermedi, an- che privati.
Ad operare insieme quali erogatori di azioni positive si trova- no, quindi, non solo gli enti pubblici ma anche quei soggetti privati
«in grado di appropriarsi privatamente del plusvalore creato nel processo produttivo»37, nel comune obiettivo dell‟offerta di lavoro se pur con logiche diverse: obbligatoria nel settore pubblico, volon- taria nel settore privato (eccetto che nei casi di sanzioni antidiscri- minatorie)38.
Il fenomeno che nei prossimi capitoli si analizzerà, al di là del- le considerazioni che si faranno sull‟opportunità della manovra legi-
36 A. D‟XXXXX, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale. Contributo allo studio delle azioni positive nella prospettiva costituzionale, Padova, 2002, cit. p. 116.
37 X. XXXXXXXX, Oltre l‟eguaglianza formale. Un‟analisi dell‟art. 3 comma 2 della Costi- tuzione, Padova, 1984.
38Cfr. A. D‟XXXXX, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale … op. cit.; A. GIOR- GIS, La costituzionalizzazione dei diritti all‟uguaglianza sostanziale, Napoli, 1999.
slativa del d.l. 138/2011 convertito nella l. 148/2011 e sulla coeren- za o meno con la tutela effettiva del diritto al lavoro, vede proprio l‟intrecciarsi di manovre private e pubbliche: la sintesi tra impulsi imprenditoriali privati, istanze delle organizzazioni sindacali ed in- tervento del legislatore.
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2. DIRITTO AL LAVORO E DIRITTI DEI LAVORATORI: L’INQUADRAMENTO DELLE FATTISPECIE NEL CONTESTO
DEI DIRITTI SOCIALI
2.1 L’esigenza di diritti sociali
I principi costituzionali fondanti la tutela del lavoro e dei lavo- ratori si inseriscono nel quadro più ampio e complesso dei cd. diritti sociali39, ai quali, per maggiore completezza, si ritiene di dover fare un accenno, se pur minimo.
La questione sociale è sorta in Italia con la fine della seconda guerra mondiale e la situazione di grave crisi economica che ne è conseguita. È in quell‟epoca che è iniziata ad emergere la
39 L‟accenno ai diritti sociali costituisce, in questa ricerca, soltanto un passaggio necessario per comprendere con maggiore consapevolezza il tema centrale del diritto al lavoro e delle fonti che lo tutelano. È per questo motivo che si è scel- to di non addentrarsi nel complesso ed annoso dibattito sulla qualificazione e sulla natura giuridica di tali diritti.
consapevolezza che un regime democratico autentico sia chiamato a consentire ad ogni cittadino di esprimere la propria personalità e contribuire attivamente alla vita comunitaria, e che pertanto non basta assicurargli «teoriche libertà politiche» ma è necessario «met- terlo in condizione di potersene praticamente servire»40.
Spinti da questo intento, se pur nella profonda diversità di provenienze politiche e culturali, i costituenti hanno convenuto che la nuova Carta non si limitasse a definire l‟organizzazione dei poteri dello Stato ma individuasse dei principi fondamentali, ispirandosi a quelli della resistenza e della liberazione, per assicurare ad ogni cit- tadino la dignità e la libertà personale, culturale e spirituale, quali vere essenze di una repubblica democratica, ed indicasse gli stru- menti sistematici necessari perché ne fosse garantita la realizzazio- ne.
Questa esigenza ha preso, così, via via corpo nell‟elaborazione del testo costituzionale, finendo per tradursi in un costante intrec- cio di principio personalista, principio pluralista ed intervento statale di promozione e garanzia: di fronte a due opposti modelli di ordina- mento, quali quello individualista e quello statalista, la Costituzione Italiana è divenuta luogo di sintesi, proponendo un sistema che, ponendosi come obiettivo essenziale lo sviluppo della personalità di ogni individuo, riconosca e garantisca i suoi diritti come singolo e
40 Cfr. X. XXXXXXXXXXX, Costituente e questione sociale (1945), in Opere Giuridiche (a cura di X. Xxxxxxxxxxx), vol.III, Napoli, 1968.
come «relazione sociale», come parte della società41.
L‟integrazione della prospettiva personalista con quella plurali- sta e la priorità di valore della persona rispetto allo Stato emergono chiaramente dal dettato degli artt. 2 e 3 della Costituzione il cui combinato disposto si ritiene costituisca il fondamento costituzio- nale dei diritti sociali.
I costituenti si sono accorti che per tendere al raggiungimento del «fine ultimo dell‟organizzazione sociale» consistente nello «svi- luppo di ogni singola persona umana»42 il riconoscimento di diritti fondamentali dell‟uomo ha bisogno di tutele che lo rendano effetti- vo. In questa prospettiva si è scelto, perciò, innanzitutto, di riconosce- re e garantire i diritti cd. inviolabili non solo al singolo individuo ma anche, in proprio, alle formazioni sociali nelle quali la sua personali- tà si forma e si esprime e, in secondo luogo, di individuare le basi di un sistema solidaristico che consenta a tutti i cittadini di avere ugua- le dignità sociale, di godere allo stesso modo dei diritti fondamentali riconosciuti. È, pertanto, in un‟ottica di strumentalità al reale com- pimento della previsione di cui agli artt. 2 e 3 comma 1 Cost. che è opportuno leggere l‟individuazione di doveri inderogabili di solidarietà a carico di tutti i consociati, contenuta nello stesso art. 2, e la defini-
41 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXXXX, Diritti sociali (voce), in Enc. giuridica, Ro- ma, 1989; X. XXXXXXX, L‟inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, 2003; X. XXXXXXX, X xxxxxxx xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; A. D‟XXXXX, Eguaglianza sostanziale e diritto dise- guale… op. cit.; X. XXXXXXXXX, Diritti sociali … op. cit.; C. MORTATI, La Costi- tuzione italiana (voce), in Enc. Dir., vol. XI, Milano, 1962.
42 Corte Costituzionale, sent. n. 167/1999.
zione del cd. principio di eguaglianza sostanziale contenuto nell‟art. 3 al secondo comma.
I profili d‟indagine utili ad integrare l‟analisi sul tema dei diritti sociali sono davvero molteplici, ma nell‟economia di questo lavoro di tesi sembra opportuno limitare l‟attenzione, in particolare, all‟analisi di quel tormentato rapporto che, da sempre e ancora oggi, vede i diritti sociali costantemente intrecciarsi e scontrarsi con i di- ritti di libertà.
2.2 Diritti sociali e diritti di libertà
L‟esigenza di riconoscimento e tutela dei diritti sociali, in Italia come nelle altre esperienze democratiche moderne, è stata dimo- strata, come si è detto, dalla necessità di garantire un‟effettiva ugua- glianza dei cittadini di fronte agli strumenti di partecipazione eco- nomica e politica e come reazione alle disuguaglianze date dai privi- legi sociali. La comparsa dei diritti sociali è stata vista, pertanto, sin dall‟inizio come fenomeno di contrasto con l‟esercizio dei diritti di libertà individuale, in particolare dei diritti di proprietà, caratterizzati dal corrispondente obbligo per lo Stato di astenersi dal limitarli.
Di fronte alla richiesta d‟inattività del potere statale come ga- ranzia dei diritti di libertà, si è fatta avanti l‟opposta istanza di inter- vento attivo dello Stato nella promozione dei diritti sociali e nella ricerca degli strumenti economici necessari per la loro realizzazio-
ne43; e da qui ha preso spunto la tradizionale concezione di un‟opposizione tra le due categorie di diritti, un‟incompatibilità lo- gica tra l‟eguaglianza, «intesa come la dimensione entro la quale le esigenze di omologazione prevalgono su quelle di differenziazione», e l‟esercizio della libertà, «massima espansione degli strumenti di af- fermazione dell‟identità individuale, epperciò della reciproca separa- zione»44.
La dimostrazione dell‟infondatezza di una simile impostazione e dell‟inesistenza di contraddizione ed incompatibilità tra istanze li- berali ed istanze sociali è dovuta a quegli esponenti della dottrina che hanno ricostruito la relazione tra le due categorie di diritti in chiave non antagonistica quanto, piuttosto, di implicazione recipro- ca, nella misura in cui l‟intervento solidaristico e livellante richiesto allo Stato quale garanzia dell‟effettivo godimento dei diritti sociali da parte di tutti i cittadini ha come obiettivo finale lo sviluppo della personalità dell‟individuo e la possibilità per lui di esercitare concre- tamente i diritti di libertà che gli sono riconosciuti45. Elementi por- tanti della democrazia appaiono, infatti, tanto la libertà dei cittadini quanto l‟uguaglianza tra essi; e «nel quadro di questi due motivi, del-
43 X. XXXXXXXXXXX, L‟avvenire dei diritti di libertà … op. cit.
44 X. XXXXXXX, Sui diritti sociali, in Democrazia e Diritto, vol. 4/94-1/95, cit. p. 547.
45 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX, Lavoro, diritti sociali e sviluppo economico. I percorsi costituzionali, Torino, 2006; M. V. BALLESTRERO, Eguaglianza e differenze nel diritto del lavoro. Note introduttive, in Lavoro e Diritto, n. 3-4 del 2004; X. XXXXXX, E- guaglianza e libertà, Torino, 1995; X. XXXXXXXXXX, Forma di Stato e diritti fondamen- tali, in Quaderni Costituzionali, n.1 del 1995; E. DICIOTTI, Xxxxx distinzione tra diritti di libertà e diritti sociali: una prospettiva di filosofia analitica, in Quaderni Costi- tuzionali, n.4 del 2004; X. XXXXXXX, Sui diritti sociali … op. cit.; X. XXXXXXXXX, Diritti sociali … op. cit..
la libertà e della solidarietà, si spiega la complessa articolazione della prima parte della costituzione»46.
Sostenere che non vi sia un‟incompatibilità logica a monte tra le due categorie di diritti non significa, però, negare che nella realtà concreta vi possano essere e vi siano contrasti tra le esigenze di ga- ranzia dei diritti sociali e quelle di esercizio delle libertà. Nell‟ambito che qui interessa, della tutela del lavoro e dei lavoratori, il confron- to-scontro tra le pretese di libertà economica e la richiesta di garan- zia del lavoro è quotidiano. L‟urgenza di un equilibrio tra le contra- stanti istanze ritornerà in questa tesi anche come critica ed auspicio di cambiamento di fronte ai fenomeni imprenditoriali e, di conse- guenza, legislativi che si analizzeranno.
Nella ricerca di una composizione tra le esigenze economiche e quelle sociali le corti nazionali e sovranazionali, costituzionali e di legittimità, operano secondo la tecnica del bilanciamento, preferendo alla scelta definitoria della prevalenza assoluta di un interesse sull‟altro, l‟individuazione di un punto di equilibrio tra le opposte esigenze valido limitatamente al caso concreto47.
Sulla tecnica del bilanciamento sono stati elaborati diversi mo- delli teorici: se da parte di alcuni si ritiene che debba avvenire in una dimensione sincronica ovvero con l‟applicazione contemporanea ma
46 C. MORTATI, La Costituzione italiana … op. cit., cit. p. 216.
47 Per un‟analisi della tecnica del bilanciamento si rinvia, tra i molteplici altri, a X.XXX, Xxxxxxx e Argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzio- nale, Milano, 1992.
parziale di due principi contrastanti48, per altri il contemperamento avviene nella dimensione diacronica49. In quest‟ultima prospettiva è stata elaborata la teoria cd. della gerarchia assiologica mobile50 che ha avuto molta eco ed è prevalente non soltanto in dottrina ma anche nella prassi giurisprudenziale del giudice costituzionale e di legitti- mità. Per essa la prevalenza di un principio ed il necessario sacrificio di quello configgente avviene nella peculiarità del caso o della «clas- se di casi» presi in considerazione e comporta un‟applicazione inte- grale e non parziale del principio a cui è riconosciuta maggiore inci- denza ed urgenza. È una gerarchia mobile in quanto limitata al caso
48 Cfr. X. XXXXXXX, I diritti presi sul serio, Bologna,1982, spc. p. 96 ss.: «I princi- pi hanno una dimensione che le regole non hanno: quella del peso o dell‟importanza. Quando i principi si intersecano […], per risolvere il conflitto, occorre prendere in considerazione il peso relativo di ciascun principio. Non può esservi, ovviamente, un‟esatta misurazione, e il giudizio, per cui un partico- lare principio o politica è più importante di un altro, sarà spesso controverso. Tuttavia, questa dimensione è parte integrante del concetto di principio, talchè è sensato chiedersi quale importanza o peso un principio abbia».
49 X. Xxxxx, a proposito della collisione tra principi costituzionali, scrive che la tecnica del bilanciamento consente di valutare il diverso peso dei principi e di risolvere così la tensione, semplicemente stabilendo la priorità di un principio su un altro, in base al peso maggiore: «Se due principi collidono, cosa che, ad esempio, succede se la stessa cosa è vietata da un principio e permessa dall‟altro, uno dei due deve soccombere. Questo, però, non significa né che il principio retrocesso sia da dichiarare come invalido, né che, nel principio re- trocesso, si debba inserire una clausola di eccezione. Piuttosto, il primo princi- pio prevale sull‟altro sotto circostanze determinate. Sotto altre circostanze, pe- rò, il problema della priorità può essere risolto in maniera inversa. Si può in- tendere tutto questo se si afferma che i principi, nei casi concreti, hanno diver- so peso, e che ha la priorità il principio con il peso di volta in volta maggiore. [… Una descrizione univoca di una collisione di principi è difficilmente possi- bile. Due norme conducono ciascuna a risultati reciprocamente contraddittori. Nessuna è invalida, nessuna ha una priorità assoluta. Ciò che è valido dipende da come, alla luce delle circostanze del caso, si debba decidere sulla preferenza» (Cfr. X. XXXXX, Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, 1994, spc. p. 109 ss.:).
50 Cfr. X. XXXXXXXX, Interpretare e argomentare, Milano, 2011.
che viene preso in esame, non permane staticamente e definitiva- mente nel tempo ma può essere rivista e rideterminata51.
Questi modelli sono stati riletti dalla dottrina costituzionalisti- ca in due principali prospettive52.
Secondo una prospettiva cd. statica, che si considera adottabile in contesti storici ordinari, il confronto tra i diritti sociali e le scelte di libertà economica si considera debba pendere indiscutibilmente a favore dei primi, con l‟applicazione del giudizio di ragionevolezza. La logica sottesa è che il fine perseguito dall‟ordinamento, lo svi- luppo della personalità dell‟individuo attraverso il godimento dei di- ritti sociali, non possa essere messo sullo stesso piano del mezzo u- tile per raggiungere il fine, l‟efficienza economica. Si è di fronte ad un «ineguale bilanciamento fra le ragioni del calcolo economico e quelle (connesse ma come detto talora configgenti) dello sviluppo sociale»53 che trova conferma e fondamento nel secondo comma
51 Cfr. sul punto anche ID. Principi di diritto e discrezionalità giudiziale, consultabile online alla seguente pagina web: xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, ove l‟A. scrive: «Il bi- lanciamento di principi consiste nell‟istituire tra i due principi confliggenti una gerarchia assiologica mobile. Una gerarchia assiologica è una relazione di valore istituita (non dalle fonti stesse, ma) dall‟interprete: per l‟appunto, mediante un soggettivo giudizio di valore . Istituire una gerarchia assiologica consiste nell‟accordare ad uno dei due principi confliggenti un maggior “peso”, ossia un maggior valore, rispetto all‟altro. Il principio dotato di maggior valore prevale, nel senso che è applicato; il principio assiologicamente inferiore soccombe – non nel senso che risulti invalido o abrogato, ma – nel senso che viene accan- tonato».
52 Cfr. X. XXXXXXXX, Lavoro, diritti sociali …op. cit.; X. XXX, Bilanciamento di inte- ressi e teoria della costituzione, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, Torino, 1992.
53 X. XXXXXXX, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pub- blicistiche, vol. V, 1990, cit. p. 378.
dell‟art. 3 e si ritiene possa portare ad un restringimento dei diritti sociali del singolo individuo soltanto nelle ipotesi in cui vi sia neces- sità di soddisfare un interesse pubblico costituzionalmente rilevante.
A diverse conclusioni si può giungere, invece, lì dove si scelga di adottare una prospettiva cd. dinamica, prevalente in situazioni stra- ordinarie, come in periodi di crisi economica, secondo la quale in un‟ottica di lungo periodo si ritiene possano essere temporanea- mente sacrificati diritti sociali attuali di fronte ad un esigenza di so- stegno al sistema delle relazioni industriali verso un‟accumulazione economica che possa, quanto prima, offrire la copertura finanziaria necessaria per porre in essere gli strumenti di promozione e garan- zia degli stessi diritti sociali e ritornare all‟equilibrio statico non ap- pena passata la fase di emergenza economica.
Volgendo, per un attimo, lo sguardo oltre i confini nazionali può trovarsi un‟applicazione di tale prospettiva, ed esempio, nelle celebri sentenze Viking e Laval del 2007 e Xxxxxxx del 2008 con le quali la Corte di Giustizia ha affermato la necessità di un bilancia- mento tra esigenze economiche e diritti sociali lì dove appaia pre- dominante il bisogno di un progresso materiale. Al punto 79 della sent. Viking, ed in modo analogo al punto 105 della sentenza Laval, può leggersi: «poiché dunque la Comunità non ha soltanto una finalità eco- nomica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica so- ciale, tra i quali figurano in particolare, come risulta dall‟art. 136, primo com- ma, CE, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la
loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata e il dialogo so- ciale» 54.
L‟aspetto più delicato, quando si adotta tale prospettiva, è, pe- rò, l‟individuazione del limite invalicabile oltre il quale non può aversi restrizione dei diritti sociali, sia rispetto al periodo temporale che ri- spetto alla misura della compressione. Tale limite è da individuare, senz‟altro, nella fermezza del testo costituzionale che prevale su o- gni altra fonte in virtù del principio gerarchico e di legalità; per que- sto motivo può dirsi che in entrambi i casi, sia che si adotti la pro- spettiva statica sia che si accolga quella dinamica, arbitro ultimo e garante del rispetto dei limiti è fisiologicamente la Corte Costituzio- nale.
La difficoltà di un contemperamento tra le esigenze di svilup- po economico e la tutela dei diritti sociali emerge con grande evi- denza dalle più recenti vicende imprenditoriali italiane e dagli ultimi
54 Vedi in proposito i contributi raccolti nei nn. 2/2008 ed 1/2010 della Rasse- gna di diritto pubblico europeo su “I diritti sociali tra ordinamento comunitario e Costituzione Italiana” di X. XX XXXX XXXXXX, I diritti sociali fondamentali nell‟ordinamento comunitario e nella Costituzione italiana; X. XXXXXX, I diritti sociali nel- lo spazio sociale sovranazionale e nazionale: indifferenza, conflitto o integrazione? (Prime riflessioni a ridosso dei casi Laval e Viking); Id., I diritti sociali fondamentali cit.; X. XXXXXXXX, Diritto dei lavoratori all‟informazione ed alla consultazione nell‟ambito dell‟impresa (tra Costituzione italiana e Carta di Nizza); A. LO FARO, Diritto al conflit- to e conflitto di diritti nel mercato unico: lo sciopero al tempo della libera circolazione; pre- sentati nella giornata di studio tenutasi alla Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università degli studi di Napoli il 3.12.2010 dal titolo “Diritti sociali tra or- dinamento comunitario e Costituzione italiana: il contributo della giurispruden- za multilivello”. Segnalo anche, tra gli altri, M.V. BALLESTRERO, Europa dei mer- cati e promozione dei diritti in WP CSDLE « Xxxxxxx X'Xxxxxx », INT-55/2007; Id. Le sentenze Viking e Laval: la Corte di giustizia “bilancia” il diritto di sciopero, in Lavoro e Diritto, n. 2, 2008; A. LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche del mer- cato interno: considerazioni minime in margine ai casi Laval e Viking, in Lavoro e Dirit- to, n.1, 2008; A. ZOPPOLI, Viking e Laval: la singolare andatura della Corte di giusti- zia (ovvero, l‟autonomia collettiva negata), in Diritti Lavori Mercati, n. 1, 2008.
sviluppi che ha subito il sistema delle relazioni industriali. Come si illustrerà più diffusamente nei prossimi capitoli55, infatti, la concor- renza su un mercato non più nazionale ma globale sembra richiede- re, quali imprescindibili condizioni, sempre maggiore flessibilità nel- la gestione dei rapporti di lavoro e un costante incremento dell‟economicità aziendale, consistente nel raggiungimento degli o- biettivi di produttività con il minor costo possibile.
Per la competitività sul mercato internazionale, quindi, i limiti posti dal legislatore o dal sistema sindacale a tutela dei diritti dei la- voratori fungono da cause di rallentamento, ostacoli che diventa fondamentale riuscire a scansare o a superare. Ed è proprio da que- sta esigenza che è sorta la necessità, per imprese come la Fiat, di in- tervenire sul tradizionale assetto delle relazioni industriali, tentando di alleggerirlo e renderlo meno vincolante.
Volendo assumere la prospettiva del bilanciamento dinamico, prima esposta, un temporaneo assoggettamento dei diritti dei lavo- ratori alle esigenze di sviluppo economico dovrebbe essere accolta con favore, nella prospettiva del risanamento economico in un‟epoca di crisi economica, come quella che stiamo vivendo, e dell‟accumulazione di risorse che permettano di rifinanziare a breve (si spera!) meccanismi di promozione e garanzia dei diritti sociali.
Eppure un dubbio sorge spontaneo: non si è forse andati troppo oltre nel percorso di adeguamento del diritto alle richieste economiche del mercato? Il limite del diritto al lavoro sancito e pro-
55 V., in particolar modo, il cap. III e le conclusioni.
tetto dai principi fondamentali della Costituzione resta davvero inva- licato?
CAPITOLO SECONDO
IL SISTEMA DELLE FONTI NEL DIRITTO DEL LAVORO
Sommario: 1. Dai principi alle regole: l‟attuazione delle norme costitu- zionali - 1.1 Gli interventi legislativi - 1.2 La problematica configurabilità di una competenza regionale in materia di diritto al lavoro - 1.3 La contrattazione col- lettiva e la mancata attuazione dell‟art. 39 Cost. - 1.4 La prassi delle ccdd. “leggi contrattate” e il ruolo degli attori politici coinvolti – 2. Le relazioni interne al sistema delle fonti nel diritto del lavoro – 2.1. I livelli della contrattazione – 2.2 Il contratto collettivo è fonte di diritto? – 2.3 Il rapporto tra la legge e il contrat- to collettivo quali fonti del diritto. L‟inderogabilità e il principio di favore.
1. DAI PRINCIPI ALLE REGOLE: L’ATTUAZIONE DELLE NORME COSTITUZIONALI
1.1 Gli interventi legislativi
La peculiarità della disciplina lavoristica risiede senz‟altro nella convivenza di fonti eteronome pubblicistiche con fonti autonome di origine contrattuale, individuale e collettiva. Il diritto del lavoro si mostra non come prodotto di un unico modello normativo, quanto, piuttosto, come il risultato di una costante osmosi tra le diverse fonti normative; ed è proprio nella relazione che si crea tra fonti au- tonome ed eteronome nel diritto del lavoro che risiede il fulcro di questa ricerca. Al fine di una migliore comprensione del rapporto tra la fonte legislativa e quella contrattuale è necessaria una prelimi-
nare panoramica sull‟evoluzione di tali fonti nel tempo, se pur schematica e non esaustiva56.
La ricerca del fondamento legislativo iniziale del diritto del la- voro porta a fare un breve passo indietro rispetto all‟entrata in vigo- re della Costituzione, precisamente al periodo corporativo e all‟introduzione nel 1942 del codice civile che alla disciplina lavori- stica dedica il suo Libro V. Il diritto del lavoro viene in origine con- cepito, infatti, come parte del diritto civile, dei privati, ed il contratto di lavoro disciplinato di fatto come contratto sinallagmatico tra due contraenti con interessi reciproci peculiari ed entrambi sottomessi alle direttive dello Stato corporativo.
L‟avvento dei principi costituzionali, di cui si è detto nel capi- tolo precedente, porta però ad un rapido superamento dell‟impostazione codicistica che perde la sua centralità e viene gra- dualmente sostituita dalla legislazione speciale, lasciando gli istituti di diritto privato a svolgere, piuttosto, il ruolo di termine di con- fronto per la contrattazione collettiva57.
Nel ripercorrere il cammino della legislazione speciale dall‟en-
56 Per la panoramica sull‟evoluzione legislativa cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX, Principi fondamentali – art.4, in Commentario breve alla Costituzione (a cura di X. Xxxxxxx - X. Xxx), Padova, 2008; X. XXXXXXX, “Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro”, in Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro tenutesi a Fog- gia il 25 e 26 Maggio 2001, Milano, 2002, p. 5; X. XXXXXX, Lavoro legge contratti, Bologna,1989; X. XXXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro. Quindici anni dopo, Tori- no, 2003; X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro e diritto civile. I temi di un dialogo, Tori- no, 1994; X. XXXXXXXX, Diritto del Lavoro, Milano, 2013; X. XXXXXXXX – X. XXXXX, Xxxxxxxxx e rapporto di lavoro, Padova, 2004; X. XXXXXXXXX, Il lavoro in Ita- lia. Un giurista racconta, Bologna, 2001.
57 V. par. 1.3.
trata in vigore della Costituzione fino ai nostri giorni è opportuno riproporre la valida distinzione in «stagioni», che l‟autorevole e tra- dizionale dottrina giuslavoristica suggerisce58.
La prima epoca legislativa post-costituzionale è incorniciabile negli anni tra il 1949 e il 1965 e costituisce la cd. «stagione paternali- stico-individualista»: si assiste all‟introduzione di norme garantiste ispirate ai principi costituzionali ma ancora nel solco della disciplina lavoristica fissata dal codice civile. Sono individuabili in particolare tre filoni legislativi: innanzitutto la legislazione protettiva delle fasce marginali, riscontrabile, ad esempio, nella l. n. 25/1955 sull‟apprendistato; nella l. n. 860/1950 sulla tutela delle lavoratrici madri e nella l. n. 7/1963 sul divieto di licenziamento delle lavora- trici a causa del matrimonio; quindi la legislazione a garanzia degli standard minimi, in particolare con la legge Vigorelli n. 741/1959, di cui si parlerà diffusamente più avanti; ed infine la legislazione anti frode, di cui sono espressione, tra le altre, la l. n. 1369/1960 sul di- vieto di interposizione e la l. n. 230/1962 sul rapporto di lavoro a tempo determinato.
Con il 1965 inizia la cd.«stagione promozionale» che si esten- derà fino al 1975 e sarà caratterizzata dall‟espansione del garantismo normativo. È in quest‟epoca che trovano spazio produzioni legisla- tive ancora oggi di fondamentale rilievo come la l. n. 604/1966 sul divieto di licenziamento ingiustificato o la l. n. 533/1973 che ha
58 Vedi, tra i molteplici, X. XXXXXXX, Il sistema delle fonti … op. cit.
dettato la disciplina processuale per le controversie individuali di la- voro, ma soprattutto lo Statuto del Lavoratori (l. n. 300/1970). Nel dichiarato intento di realizzare l‟effettività dei principi sanciti in Co- stituzione, lo Statuto dei lavoratori specifica e amplia i diritti indivi- duali intangibili del lavoratore, integrando la disciplina codicistica e rafforzando la presenza sindacale in azienda, con l‟istituzionalizzazione delle RSA e la previsione dell‟affiancamento della tutela sindacale a quella legislativa. Diviene così momento di sintesi e di innovazione delle fonti lavoristiche preesistenti, interve- nendo in forme diverse, talvolta abrogando totalmente o parzial- mente discipline precedenti, talvolta integrando le previsioni, talvol- ta ancora introducendone di nuove.
Gli anni successivi al 1975 e fino ai primi anni Novanta sono caratterizzati dalla cd.«stagione dell‟emergenza». La depressione e- conomica, dovuta anche alla crisi petrolifera internazionale, si riper- cuote sulla produzione legislativa condizionandone contenuti e forme59. Vengono disposti interventi significativi sul costo del lavo- ro, sul salario e sulle cc.dd. «scale mobili», ossia i meccanismi auto- matici di rivalutazione della retribuzione; interventi a sostegno delle crisi aziendali, di rivalutazione degli ammortizzatori sociali, in parti- colare della cassa integrazione guadagni e incentivi all‟occupazione giovanile. Ma, come si è accennato, la legislazione dell‟emergenza presenta anche caratteri nuovi dal punto di vista strutturale e pro- cedimentale. Innanzitutto si sperimenta un diverso metodo di for- mazione della legge: il metodo della cd. concertazione sociale (o legisla-
59 Cfr., tra gli altri, X. XX XXXX XXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Il diritto del lavoro nell‟emergenza, Napoli, 1979.
zione contrattata, o ancora, negoziazione legislativa) che vede il governo concordare con i rappresentanti delle grandi confederazioni sinda- cali dei lavoratori e dei datori di lavoro i contenuti dei provvedi- menti legislativi, con la stipula di protocolli d‟intesa atti a siglare il raggiunto consenso tra governo e parti sociali60; in secondo luogo viene amplificato il ruolo della pubblica amministrazione, poiché gli interventi rilevanti, come ad esempio la decretazione della cassa in- tegrazione e l‟autorizzazione del risanamento delle grandi imprese di amministrazione straordinaria, diventano prerogativa dei ministri del lavoro e dell‟industria; infine si assiste ad un‟inversione di alcuni tratti strutturali della norma lavoristica, in alcuni casi, infatti, in par- ticolare negli interventi sui salari, la legge diviene inderogabile anche in melius da parte dell‟autonomia collettiva.
Con la fine dell‟emergenza inizia la cd. «stagione della raziona- lizzazione del preesistente e dell‟accelerazione del mutamento» e il fiorire della legislazione della flessibilità. Per riprendersi dalla crisi diviene prioritario stimolare la crescita delle imprese, garantire nuo- va occupazione ed essere competitivi sui mercati internazionali nell‟espansione della globalizzazione. Lo strumento necessario alla realizzazione di tali obiettivi viene individuato nella flessibilità, in una sempre maggiore discrezionalità riservata alle imprese nella gestione della forza lavoro, che finisce per comportare una «frammentazio- ne, fino alla atomizzazione individualistica, dei mercati del lavoro»61. Il fine, talvolta ossessivo, della cd. modernizzazione del lavoro,
60 V. più diffusamente nel par. 1.4.
61 X. XXXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro … op. cit., cit. p. 147.
considerata necessaria per una reale competitività sui mercati inter- nazionali, si traduce, così, in passi continui verso la cancellazione di ogni aspetto di rigidità presente nella disciplina dei rapporti di lavo- ro. Vengono introdotte forme flessibili di impiego – vedi il d. lgs. 276/2003 che introduce il lavoro intermittente, ripartito, accessorio e la somministrazione anche a tempo indeterminato – e si assiste ad episodi di deregolazione pura su obblighi incombenti sulle imprese, in cui è la legge ad eliminare il vincolo o la limitazione alla libertà d‟impresa, e di deregolazione contrattata, in cui la legge rinvia il compito della deregolazione alla contrattazione collettiva.
La stagione della flessibilità a tutt‟oggi non è terminata, quanto piuttosto risulta aggravata dalla nuova crisi economica e dai suoi ef- fetti sul mercato del lavoro. Nella sua scia si inseriscono anche i maggiori interventi degli ultimi anni, come il d.l. 138/2011, conver- xxxx nella l. 148/2011, di cui si parlerà nel prossimo capitolo e la cd. riforma Monti/ Fornero. La l. 92/2012, infatti, ha previsto nuove forme di flessibilità in entrata, introducendo con il comma 9 dell‟art. 1 il primo contratto di lavoro a termine acausale62, ed in usci- ta, con l‟introduzione dell‟ipotesi del cd. «licenziamento economi- co», giustificato da ragioni legate ad esigenze economiche aziendali e non ad inadempimenti del prestatore di lavoro, limitato, nella sua applicazione, da una specifica procedura di carattere eminentemen- te accertativo delle condizioni reali dell‟impresa, nonché della ride-
62 Contratto a tempo determinato stipulabile anche in assenza delle esigenze tecniche, produttive, organizzative e sostitutive che giustifichino l‟apposizione di un termine.
finizione della disciplina del regime della reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Dal rapido exursus normativo svolto emerge, con tutta eviden- za quanto la disciplina lavoristica risenta del condizionamento della realtà economica e sociale contingente sia dal punto di vista conte- nutistico che da quello procedimentale. Come si vedrà anche nei prossimi paragrafi, infatti, il grado di interferenza tra la fonte legisla- tiva e quella contrattuale così come il margine più o meno ampio di attività normativa lasciata dal legislatore al governo o ai sindacati appaiono come l‟immediata conseguenza di scelte politiche nazio- nali ed internazionali.
1.2 La problematica configurabilità di una competenza regio- nale in materia di diritto al lavoro.
Prima di accostarsi all‟analisi della fonte contrattuale collettiva nel diritto del lavoro, può rivelarsi interessante soffermare l‟attenzione ancora sulla fonte legislativa per aprire una parentesi sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di di- ritti sociali con specifico riguardo al diritto al lavoro.
L‟interrogativo di partenza che qui si pone è quale spazio sia lasciato alla legislazione regionale nella disciplina della tutela del di- ritto al lavoro, alla luce dell‟art. 117 Cost., così come modificato dall‟art 3 della legge costituzionale 3/2001, della produzione giuri- sprudenziale dell‟ultimo decennio e dell‟ultima riforma del sistema di finanzia pubblica.
La tutela del diritto al lavoro costituisce una delle ipotesi nelle quali si realizza un intreccio di competenze legislative tra Stato e Regioni63. L‟art. 117, infatti, nella ripartizione delle materie succes- siva alla riforma del Titolo V, offre la possibilità di collocare la di- sciplina del lavoro in tutte le sfere di competenza individuate: in quella esclusiva statale, di cui al comma 2, in virtù del richiamo alla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (lett. m), nell‟ambito delle materie attinenti al sistema e- conomico e allo Stato sociale64; in quella concorrente, di cui al comma 3, alla voce «tutela e sicurezza del lavoro»65; e, ancora, nella categoria di origine giurisprudenziale delle “politiche sociali” che la
63 Sul concetto di intreccio e concorso di competenze, cfr. X. XXXXX, Concorso di competenze, clausole di prevalenza e competenze prevalenti, in Le Regioni, 2008, pp. 61 ss., X. XX XXXXXX, voce Materie (riparto di competenze), in Digesto delle discipline pubblicistiche, aggiorn. III, Torino, 2008, pp. 475 ss.
64 Secondo la classificazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato proposta da X. XXX – X. XXXXXX (a cura di), Diritto regionale, Bologna, 2012, pp. 22 ss..
65 A conferma di tale ricostruzione giova il richiamo alla nota sent. 50/2005 nella quale la Corte dichiarava: «Ora, quale che sia il completo contenuto che debba rico- noscersi alla materia “tutela e sicurezza del lavoro”, non si dubita che in essa rientri la disci- plina dei servizi per l‟impiego ed in specie quella del collocamento. Lo scrutinio delle norme impugnate dovrà quindi essere condotto applicando il criterio secondo cui spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali ed alle Regioni l‟emanazione delle altre norme co- munemente definite di dettaglio; occorre però aggiungere che, essendo i servizi per l‟impiego predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, possono verificarsi i presupposti per l‟esercizio della potestà statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all‟art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., come pure che la disciplina dei soggetti co- munque abilitati a svolgere opera di intermediazione può esigere interventi normativi rien- tranti nei poteri dello Stato per la tutela della concorrenza (art. 117, secondo xxxxx, lette- ra e, Cost.)».
Corte Costituzionale, nel riempire di significato il «noumeno muto» 66 del quarto comma dell‟art. 117, ha annoverato tra le materie resi- duali67.
Per stemperare le rigidità delle divisioni di materie tra i commi dell‟art. 117 e risolvere il problema degli intrecci di competenze, la Corte ha individuato le ccdd. materie trasversali68. La prima occasione nella quale ha utilizzato e definito la nozione di materia trasversale è stata la nota sentenza n. 282/2002, riguardante proprio la determi- nazione dei livelli essenziali delle prestazioni, con la quale afferma- va: «quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i di- ritti civili e sociali, non si tratta di una “materia” in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull‟intero territorio naziona- le, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle»69.
66 Cfr. X. XXXXXX, La competenza residuale, in Le Regioni, n. 2/3 del 2011, pp. 343, 344.
67 Vedi, ad esempio, Corte Costituzionale sentt. 274/2010; 226/2010; 166/2008; e, tra i molteplici altri, i volumi de Le Regioni n. 2/3 del 2002, in par- ticolare X. XXXXXXX, La potestà legislativa residuale delle Regioni; e n. 2/3 del 2011, in particolare, X. XXXXXXX, La polverizzazione delle materie regionali e la (ormai neces- saria) clausola di supremazia; X. XXXXXXX, Xxxxx e dopo la riforma: bilancio e prospettive;
X. XXXXXXXX, Riflessioni a dieci anni dalla riforma del titolo V: quali prospettive per il regionalismo italiano.
68 Sul punto cfr. X. XXXXXXX, X. XXX, Prevalenza e “rimaterializzazione” delle materie: scacco matto alle Regioni, in Le Regioni, n. 6 del 2009.
69 Segue alla sent. 282/2002, nella definizione delle materie trasversali, l‟altrettanto nota sent. 407/2002 in tema di tutela dell‟ambiente con la quale la
La lettera m) del comma 2 dell‟art. 117, così interpretata, di- viene luogo di sintesi tra esigenze di uniformità e di decentramento, consentendo allo Stato e alle Regioni di superare i confini delle ri- spettive competenze, alla ricerca di un punto di equilibrio tra le di- scipline legislative70. La determinazione dei livelli essenziali, secon- do una parte della dottrina, viene imputata allo Stato inteso non come «Parlamento nazionale» ma come «Repubblica», inclusiva de- gli enti territoriali minori, ai quali è lasciata la possibilità di individu- are livelli di prestazioni ulteriori rispetto al contenuto dei diritti fondamentali di prerogativa degli organi nazionali71.
Il grande contenitore della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ha iniziato, così, ad attirare dentro di sé le materie
Corte precisa che «non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come “materie“ in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una plu- ralità di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come „tutela dell'ambiente‟, dal momento che non sembra configu- rabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al con- trario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In partico- lare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come “valore” costituzio- nalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'inte- ro territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998)». Per un commento sulla sentenza v. X. XXXXXX, Prime in- dicazioni su “tutela e sicurezza del lavoro” nella recente giurisprudenza costituzionale, in Diritti Lavori Mercati, n. 1 del 2003.
70 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXX, X. XXX, Prevalenza…op. cit., spc. p. 1195; E. FE- RIOLI, Sui livelli essenziali delle prestazioni: le fragilità di una clausola destinata a contem- perare autonomia e eguaglianza, nota a Corte Cost. n. 467/2005, in Forum dei Quaderni Costituzionali; X. XXXX, Cittadini, Stato e Regioni di fronte ai “livelli essen- ziali delle prestazioni…”, in Quaderni costituzionali n. 3 del 2003.
71 X. XXXXXXX, Sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, in Diritto Pubblico, n. 3 del 2002.
di competenza concorrente e residuale limitrofe, come, appunto, la tutela della sicurezza e del lavoro e le politiche sociali, finendo per sottrarle gradualmente alla competenza regionale, grazie ad una pe- culiare evoluzione giurisprudenziale.
Nelle ipotesi di sovrapposizione di materie e, quindi, di com- petenze, la Corte ha fatto ricorso tendenzialmente a due schemi in- terpretativi per stabilire quale ente fosse legittimato a disciplinare la materia sottoposta al suo giudizio: il criterio della prevalenza ed il prin- cipio di leale collaborazione.
In ossequio al primo criterio la Corte individua la materia pre- valente, tra le molteplici implicate, e deduce, di conseguenza, la sfe- ra di competenza nella quale rientra. Qualora l‟individuazione di una materia prevalente non risulti possibile, l‟intreccio di compe- tenze è risolto con l‟applicazione del principio di leale collaborazio- ne.72
72 Vedi, a titolo di esempio, Corte Cost. sent. 168/2009: «Xxxxxx, questa Corte ha più volte affermato che, per l'individuazione della materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censure, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislato- re, ma occorre fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare corretta- mente e compiutamente anche l'interesse tutelato (sentenze n. 430, n. 169 e n. 165 del 2007). Inoltre, la giurisprudenza costituzionale ha precisato che, nel caso in cui una norma- tiva si trovi all'incrocio di più materie, attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e a quella regionale, occorre individuare l'ambito materiale che possa considerarsi pre- valente. E, qualora non sia individuabile un ambito materiale che presenti tali caratteristiche, la suddetta concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in Costituzione, giu- stifica l'applicazione del principio di leale collaborazione, il quale deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie»; o, ancora, sent. 50/2008:
«Dall'analisi del contenuto complessivo delle disposizioni censurate risulta, pertanto, come la relativa normativa si trovi all'incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che sia individuabile un ambito materiale che possa con- siderarsi nettamente prevalente sugli altri. E in ipotesi di tal genere, secondo la giurispruden- za costante di questa Corte, la concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in
Nell‟ambito di applicazione del principio di leale collaborazio- ne legge statale e legge regionale vengono a porsi come in un rap- porto di concorrenza in base al quale le Regioni possono interveni- re nella disciplina della materia trasversale fermo restando il limite dei principi fondamentali individuati dalla legge statale e quest‟ultima può incidere sulla competenza regionale senza arrivare a paralizzarla: allo Stato spetta il bilanciamento tra gli interessi costi- tuzionalmente protetti e l‟individuazione dei punti di equilibrio tra tali interessi, alle Regioni è lasciata, invece, la mera possibilità di in- tervenire nel rispetto di detti principi (cd. teoria dei punti di equili- brio)73.
Nei primi anni successivi alla riforma del Titolo V, per l‟individuazione delle sfere di competenza statali e regionali nelle materie trasversali, la Corte ha privilegiato quasi sempre il principio di leale collaborazione, preferendo coinvolgere entrambi gli enti alla definizione della materia piuttosto che individuare una competenza prevalente. E‟ il caso, ad esempio, della sent. 88/2003 con la quale
Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria e indivisa del Fondo in esame, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione (sentenze n. 201, n. 24 del 2007; n. 234 e n. 50 del 2005), che deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il si- stema delle autonomie. … Non potendo comporsi il concorso di competenze statali e regio- nali mediante l'applicazione del principio di prevalenza, ne consegue la necessità che debbano essere previste forme di leale collaborazione che, nelle specie, avendo riguardo agli interessi im- plicati e alla peculiare rilevanza di quelli connessi agli ambiti materiali rimessi alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, possono dirsi adeguatamente attuate mediante la previa ac- quisizione del parere della Conferenza unificata in sede di adozione del decreto di fissazione dei criteri di ripartizione del Fondo. Da ciò consegue che il comma in esame deve essere di- chiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il suddetto decreto sia emanato previa acquisizione del parere della Conferenza unificata».
73 X. XXXXXXX, Materie statali e materie regionali: ambiti, tipi e relazioni. La costruzione delle materie e le materie esclusive statali, in Le Regioni, n. 2/3 del 2011; X. XXXXXXX,
X. XXX, Prevalenza…op. cit..
la Corte attribuisce al legislatore nazionale, in sede di determinazio- ne del livelli essenziali, il ruolo di garante di una «adeguata uniformi- tà di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti», pur ricono- scendo uno spazio ampio di autonomia regionale nelle specificazio- ni ed articolazioni della disciplina che si dimostrano necessarie a li- vello locale. Nella prima fase post-riforma si assiste, così, alla crea- zione giurisprudenziale di una nuova forma di «concorrenza-coesistenza legislativa74», accanto alla potestà legislativa concorrente, nelle mate- rie di competenza esclusiva dello Stato.
Negli ultimi anni, però, parte della dottrina che ha osservato l‟andamento della giurisprudenza costituzionale ha rilevato un cam- bio di rotta a favore di un maggiore centralismo75. La Corte ha ini- ziato ad attenersi sempre meno al principio di leale collaborazione, invocandolo solo in via residuale rispetto al criterio della prevalen- za, a scapito delle Regioni. Ferma restando la natura trasversale di molte delle materie di cui al comma 2 dell‟art. 117, sono mutati gli effetti di tale trasversalità sulla competenza legislativa regionale76. Il perseguimento del criterio della prevalenza (soprattutto intesa in senso finalistico) in sede giurisprudenziale ha portato a un parados- sale rafforzamento della competenza esclusiva statale con un corri-
74 X. XXX – X. XXXXXX, Diritto regionale… op. cit., cit. p. 226.
75 Vedi, tra gli altri X. XXXXXXXXXXX, Perché la prevalenza è sempre la risposta? Nota a Corte Cost. n. 88/2009, in Forum dei Quaderni Costituzionali, Luglio 2009; X. XXXXXX, La competenza residuale … op. cit.; X. XXXXXXX, I diritti sociali tra Stato e Re- gioni: il difficile contemperamento tra principio unitario e promozione delle autonomie, rela- zione al Convegno annuale dell‟Associazione “Gruppo di Pisa”, Trapani 8-9 giugno 2012.
76 Cfr. X. XXX – X. XXXXXX, Diritto regionale… op. cit., pp. 231 ss.
spondente fortissimo ridimensionamento delle competenze regio- nali. Come è stato sostenuto, infatti, l‟aspetto al quale oggi viene da- to rilevo esclusivo è lo scopo della legge e l‟individuazione di mate- rie prevalenti nelle quali finiscono per essere ricomprese anche le materie collaterali, così che pur non smentendone la natura trasver- sale siano ritenute «materie esclusive e, come tali, prevalenti su quel- le regionali, senza che ci sia più bisogno di un coordinamento»77.
Un esempio che più da vicino riguarda l‟ambito materiale di cui si tratta in questa sede è rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 407/2006 in tema di disciplina dell‟occupazione per gli immigrati. La Regione Friuli-Venezia Giulia aveva impugna- to il d.P.R. n. 334/2004 recante disposizioni sul raccordo tra lo Sportello Unico e gli uffici regionali e provinciali per l‟organizzazione e l‟esercizio delle funzioni amministrative in mate- ria di lavoro, invocando la natura concorrente della competenza in materia di tutela del lavoro, ex art. 117 terzo comma, e quella esclu- siva in materia di organizzazione dei propri uffici, ex art. 4, numero 1, dello statuto di autonomia. La Corte, nel definire la controversia, ha dichiarato infondato il conflitto sollevato dalla Regione ritenen- do che la finalità della disposizione normativa fosse la tutela dell‟immigrazione, riservata in via esclusiva allo Stato (art. 117, comma 2, lett. b), piuttosto che la tutela del lavoro ed attraendo, così, nell‟area della materia dell‟immigrazione anche la disciplina dell‟occupazione, sottratta alla competenza regionale78.
77 X. XXXXXXX, Materie statali… op. cit., p. 281-282.
78 Nei motivi di diritto può leggersi: «Deve preliminarmente osservarsi che la disposi- zione impugnata si inserisce in un regolamento statale che regola la materia dell'immigrazio-
O ancora, in tema di assistenza sociale ai cittadini non abbien- ti, la pronuncia n. 10/2010; particolarmente interessante, tra l‟altro, poiché l'applicazione del criterio di prevalenza a scapito della legi- slazione regionale, con l‟attribuzione della materia alla competenza esclusiva statale (ex art. 117, co. 2, lett. m «livelli essenziali delle pre- stazioni» e lett. o «previdenza sociale»), piuttosto che a quella con- corrente (ex art. 117, comma 3, «tutela della salute»), è sostenuta da un iter argomentativo differente rispetto ai precedenti. La Corte, in- fatti, in questa occasione, prescinde dal richiamo al principio di sussidiarietà o all'impossibilità di risolvere l'intreccio di competenze attraverso la leale collaborazione, dando esclusivo rilievo alla neces- sità di assicurare un livello uniforme di tutela dei diritti civili e poli- tici sul piano nazionale, in virtù dei principi fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione79.
ne, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, let- tera b), della Costituzione. In particolare, detta disposizione, rimarcando l'esigenza di un coordinamento fra gli uffici statali e regionali implicati, è finalizzata ad assicurare la funzio- nalità del procedimento volto a disciplinare l'ingresso e l'avviamento al lavoro del cittadino extracomunitario. Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, la disposizione rego- lamentare impugnata, in quanto direttamente afferente alla materia dell'immigrazione, non determina alcun vulnus alle prerogative della Regione in materia di tutela del lavoro di cui agli artt. 117, comma 3, e 118, della Costituzione, in relazione all'art. 10 della legge costi- tuzionale n. 3 del 2001. Del pari, tenuto conto che l'ambito materiale su cui incide la norma regolamentare impugnata è riservato in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettera b), della Costituzione, risulta infondata anche l'asserita violazione del divieto di esercizio della potestà regolamentare in materie regionali di cui all' art. 117, comma sesto, della Costituzione, in relazione all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Sulla base di quanto precede, il conflitto deve ritenersi infondato sotto ogni profilo».
79 Nella motivazione della decisione: «Va osservato che una normativa posta a prote- zione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana, qual è quella oggetto delle disposizioni impugnate, benché incida sulla materia dei servizi sociali e di assistenza di com- petenza residuale regionale, deve essere ricostruita anche alla luce dei principi fondamentali degli artt. 2 e 3, secondo xxxxx, Cost., dell'art. 38 Cost. e dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Il complesso di queste norme costituzionali permette, anzitutto, di ricondurre tra i «diritti sociali» di cui deve farsi carico il legislatore nazionale il diritto a conseguire le
La tendenza al centralismo, mediante l‟applicazione del criterio della prevalenza, si rintraccia anche nelle pronunce più recenti della Corte Costituzionale, come la sentenza n. 51 del 2012. Dovendo pronunciarsi sulla disciplina della trasformazione dei contratti pre- cari di lavoratori LSU in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, la Corte, infatti, ha sostenuto che incidendo «sulla regolamentazione del rapporto precario già in atto (e, in particolare, sugli aspetti con- nessi alla durata del rapporto)» e determinando «al contempo la co- stituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabiliz- zazione)» deve essere inquadrata nella materia dell‟«ordinamento ci- vile», prevista alla lettera l) del secondo comma dell‟art. 117 Cost., e, quindi, di competenza esclusiva statale80, e non in quella della «tute- la del lavoro» di competenza regionale.
L‟evidente compressione, in via giurisprudenziale, degli spazi normativi affidati alle Regioni non si mostra come fenomeno isola-
prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno - in particolare, alimen- tare - e di affermare il dovere dello Stato di stabilirne le caratteristiche qualitative e quantita- tive, nel caso in cui la mancanza di una tale previsione possa pregiudicarlo. Inoltre, consente di ritenere che la finalità di garantire il nucleo irriducibile di questo diritto fondamentale legit- tima un intervento dello Stato che comprende anche la previsione della appropriata e pronta erogazione di una determinata provvidenza in favore dei singoli». Per un'analisi della pronuncia v. X. XXXXXXX, I livelli essenziali delle prestazioni fra sussidiarietà e collabo- razione, in Le Regioni n. 4 del 2010.
80 Al punto 5.2.1 della sentenza può leggersi: «Come questa Corte ha avuto di recente modo di chiarire, infatti, la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, così come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso, si realizzano mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia dell'ordinamento civile (sen- tenza n. 69 del 2011; nello stesso senso sentenze n. 108 e n. 68 del 2011, n. 354 del
2010)».
La Corte si è pronunciata nello stesso senso anche con la sent. n. 221 del 2012, nel giudizio di legittimità sull‟art. 8 del d.l. 138/2011 convertito in l. 148/2011, di cui si parlerà diffusamente nel par. 2.3 del cap. III.
to. La graduale limitazione delle autonomie regionali sembra trovare conferma anche negli interventi politici degli ultimi anni, se pur in un clima di ridefinizione del sistema degli enti locali piuttosto con- fuso.
Impatto decisivo nel ridimensionamento delle autonomie re- gionali lo ha avuto, senz‟altro, ad esempio, la recente riforma del si- stema di finanza pubblica operata con la legge costituzionale n. 1/2012.
Certamente questa non è la sede più opportuna per una disa- mina della riforma e degli effetti che avrà sull‟autonomia regionale, per cui ci si limiterà a mettere in evidenza solo qualche dato che ap- pare significativo per le ricadute che ha sulla potestà legislativa delle Regioni.
Un primo dato rilevante è l‟introduzione nell‟ordinamento ita- liano, a tutti i livelli di governo, dei principi del pareggio di bilancio, della sostenibilità del debito pubblico e del rispetto dei vincoli posti dall‟Unione Europea, attraverso la riformulazione degli artt. 81, 97 e 119 della Costituzione. Un secondo dato, strettamente connesso, è la modifica dell‟articolo 117, con lo slittamento della competenza relativa alla «armonizzazione dei bilanci pubblici» dal terzo comma al secondo e, quindi, l‟attribuzione della titolarità della disciplina in via esclusiva allo Stato (ma con la conferma della collocazione del
«coordinamento finanziario» nell‟area di competenza concorrente). Il ruolo già affidato allo Stato di coordinare la finanza decentrata, definendone le linee guida e vincolandola per ragioni di uniformità sul piano nazionale, si rafforza ancora di più con la previsione di un
controllo penetrante nei bilanci locali, in ragione dell‟armonizzazione81.
Quale scenario si apre, allora, per le Regioni? Quale effettiva autonomia finanziaria, e di conseguenza anche amministrativa e le- gislativa, rimane in presenza di tali vincoli nazionali e sovranaziona- li?
Non potendosi certamente esprimere una valutazione definiti- va in poche battute e su un tema così complesso, ci si limita qui alla semplice osservazione di un fenomeno: i vincoli nazionali e comu- nitari in campo finanziario, aggravati dalla contingenza della crisi economica, ed il contestuale ridimensionamento della potestà legi- slativa a favore di un crescente centralismo, riducono sempre di più gli interventi regionali in tema di occupazione e diritto al lavoro a discipline di fatto ininfluenti, talvolta meramente palliative, in un quadro normativo definito a livello comunitario e statale ed in sede di contrattazione collettiva82. Di conseguenza, nel contesto delle
81 Per un‟analisi degli effetti della riforma sull‟autonomia finanziaria regionale si rinvia, tra gli altri, a X. XXXXXXXX, Forme di coordinamento della finanza pubblica e incidenza sulle competenze regionali. Il coordinamento per principi, di dettaglio e “virtuoso”, ovvero nuove declinazioni dell‟unità economica e dell‟unità giuridica, relazione presentata al Convegno “ Il regionalismo italiano tra giurisprudenza costituzionale e invo- luzioni legislative dopo la revisione del Titolo V”, tenutosi a Roma il 13 giugno 2013; R. BIN – X. XXXXXX, Diritto regionale … op. cit., pp. 265 ss.; G. RIVOSEC- CHI, Il coordinamento della finanza pubblica: dall‟attuazione del Titolo V alla deroga al riparto costituzionale delle competenze?, relazione presentata al Convegno “Il regio- nalismo italiano…”, tenutosi a Roma il 13 giugno 2013; G. M. SALERNO, Dopo la norma costituzionale sul pareggio del bilancio: vincoli e limiti all‟autonomia finanziaria delle Regioni, in Quaderni Costituzionali, n. 3 del 2012.
82 Si veda, a titolo di esempio, la legge regionale Lazio n. 4/2009 sull‟istituzione del reddito minimo garantito. È interessante notare come con tale intervento legislativo la Regione si occupi di prevedere e disciplinare il rimedio del soste- gno al reddito in favore dei disoccupati piuttosto che di incidere sul sistema
fonti del diritto al lavoro, la prospettazione di una competenza re- gionale, da vantare in forza della materia residuale delle politiche sociali o, almeno, di una competenza concorrente in materia di tu- tela e sicurezza del lavoro, pare, ad oggi, fortemente recessiva.
1.3 La contrattazione collettiva e la mancata attuazione dell’art. 39 Cost.
La disciplina del diritto del lavoro, come si è anticipato, è frut- to non solo dell‟attività legislativa ma anche della complementare attività normativa svolta dai privati in sede di contrattazione collet- tiva. Attraverso il contratto collettivo le organizzazioni sindacali ne- goziano le condizioni del rapporto di lavoro al fine di garantire l‟equilibrio tra lavoratori e datori di lavoro nella stipula di contratti di lavoro subordinato: il contratto collettivo diviene luogo di «com- posizione tra capitale e lavoro»83.
La peculiarità di tale strumento normativo risiede proprio nella compresenza della natura privatistica dell‟atto con la natura colletti- va dei soggetti coinvolti e degli interessi tutelati84. È appunto la di-
dell‟occupazione prevedendo meccanismi di inserimento nel mercato del lavo- ro.
00 X. XX XXXX XXXXXX, “Le fonti extralegislative nel diritto del lavoro”, lezione magistrale tenuta il 24 Aprile 2012 presso l‟Istituto Suor Xxxxxx Xxxxxxxxx dal titolo.
84 in questo senso X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Autonomia collettiva, in Enciclopedia del Diritto, vol. IV, Milano, 1959, pp. 369-371 inquadrava l‟autonomia colletti- va, “sebbene superiore all‟autonomia dei singoli” come species dell‟autonomia privata, distinguendola dall‟autonomia pubblica a cui è attribuita una potestà
mensione collettiva della contrattazione sindacale, d‟altra parte, che comporta un costante dialogo tra quest‟ultima e la legge, nonostante la loro differente natura giuridica.
La prima forma di contratto collettivo85 rintracciabile nell‟ordinamento italiano risale al 1906, al contratto stipulato tra la Federazione nazionale degli operai metallurgici (futuri metalmecca- nici) e la Fabbrica automobili Italia. Da quel momento inizia a sor- xxxx una rete di rapporti contrattuali, gestita dai sindacati, nella qua- le la classe operaia dimostra una discreta autonomia, pur trovandosi ancora nel quadro di un‟economia industriale e agricola arretrata.
Con il Patto di Palazzo Xxxxxx, sottoscritto nel 1925 tra la Confederazione degli Industriali e la Confederazione delle Corpora- zioni Fasciste, si apre il ventennio del sindacalismo di Stato fascista e l‟assetto inizia a subire una trasformazione. Nel periodo corporativo l‟autonomia dimostrata dalle parti sociali negli anni precedenti viene sfumandosi e l‟ingerenza delle forze istituzionali politiche diventa elemento caratterizzante della contrattazione. Allo stesso tempo,
normativa integrativa dell‟ordinamento che “proprio perché intesa alla soddi- sfazione di interessi pubblici, non è libera e non può essere libera”.
85 Per l‟analisi dell‟evoluzione della natura e dell‟ambito di efficacia del contrat- to collettivo cfr., tra i molteplici, X. XXXXXXXX, Principi fondamentali – art.39, in X. XXXXXXX - X. XXX (a cura di) Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008; X. XXXXXXX - R. DE XXXX XXXXXX - X. XXXX - X. XXXX, Diritto del lavoro. Il diritto sindacale, Torino, 2006; MASSIMO D‟ANTONA, Il quarto comma dell‟art.39 della Co- stituzione, oggi, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali n. 80, 1998; X. XXXXXX, Art. 39, in X. XXXXXX (a cura di), Commentario alla Costi- tuzione, Bologna 1975; X. XXXXXX, Lavoro legge contratti, Bologna,1989; L. MA- RIUCCI, Le fonti del diritto del lavoro. Quindici anni dopo, Torino, 2003; B. G. MAT- TARELLA, Sindacati e pubblici poteri, Milano, 2003; X. XXXXXXX, Contrattazione collet- tiva e Unità d‟Italia, relazione per gli incontri introduttivi allo studio del diritto tenutisi dal 26 al 30 Settembre 2011 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università di Xxxxxx Xxxxxxxx XX.
però, in maniera abbastanza contraddittoria, proprio il controllo e- sercitato dalla politica e la natura di sindacalismo di Stato assunta dalle parti sociali portano la contrattazione collettiva ad affermarsi sempre di più, divenendo temporaneamente il principale metodo di regolamentazione dei rapporti di lavoro ed inserendosi così, di fat- to, tra le forme istituzionali di regolazione del lavoro.
A titolo di esempio possono richiamarsi, tra le vicende signifi- cative, la l. n. 563 del 3 Aprile 1926, con la quale venivano istituiti i sindacati unici di categoria86 e ai contratti collettivi era attribuita la stessa efficacia giuridica delle leggi statali e la Carta del Lavoro, ap- provata dal Gran Consiglio del Fascismo nel 1927. La Carta, com- posta da 30 articoli contenenti i principi fondamentali in tema di la- voro e occupazione, rimaneva inattuata fino al 1941 quando diveni- va operativa proprio grazie all‟intervento della contrattazione collet- tiva.
La centralità dell‟attività normativa dei sindacati controllata fortemente dallo Stato nel ventennio fascista rende particolarmente delicato il tema dell‟organizzazione sindacale e della contrattazione collettiva in sede di Assemblea Costituente. Nel dibattito che ha preceduto l‟approvazione della Costituzione emergono, infatti, inte- ressi e necessità, talvolta contrastanti, da dover sintetizzare e conci- liare: da un lato l‟esigenza di fissare principi che assicurino la demo- craticità dell‟assetto delle organizzazioni sindacali, in linea con i ca- pisaldi dell‟ordinamento; dall‟altro, contemporaneamente, quella
86 La l. 563/1926 ammette formalmente la libertà sindacale ma concede il rico- noscimento legale del Governo solo ad un sindacato di lavoratori e datori per ogni categoria produttiva.
opposta di porre fine al controllo statale limitativo della libertà dei sindacati. Da parte di alcuni affiora la preferenza per la formazione di un sindacato unitario, da parte di altri, invece, quella di realizzare un‟organizzazione di tipo privatistico con sindacati tra loro concor- renti. Nella divergenza di opinioni e nella consapevolezza dell‟impossibilità di prendere in quella sede una posizione definitiva su un tema così complesso, i costituenti decidono di affidare ad un intervento legislativo successivo l‟attuazione dei principi xxxxxxxx sul quale è raggiunto il consenso. Un intervento legislativo che, nel ri- spetto dei limiti fissati da tali principi, possa giovare di tempo più ampio e di una maggiore prossimità alla realtà sindacale, rispetto all‟Assemblea Costituente87.
Si perviene così alla formulazione dell‟art. 39 della Costituzio- ne che, come ha rilevato pregevole dottrina, rivela «la difficile coesi- stenza tra le due “anime” della regolamentazione costituzionale del sindacato, quella orientata alla libertà e quella orientata alla rilevanza pubblicistica»88. Questa duplicazione di anime è, in realtà, il motivo conduttore di un‟analisi teorica sulla valenza costituzionale dell‟attività sindacale. Se il primo comma, infatti, è espressione della libertà di organizzazione sindacale89, i commi 2, 3 e 490 attribuisco-
87 Cfr. verbale della seduta pomeridiana di sabato 10 Maggio 1947 dell‟Assemblea Costituente; in particolare le relazioni degli onorevoli Xxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Storchi e Xxxxxx sulla formulazione dell‟art. 35 del Progetto di Costituzione (art. 39 Cost.).
88 G. ZAGREBELSKY, Manuale di Diritto Costituzionale, Torino, 1988, cit. p. 252.
89 Sulla organizzazione sindacale tutelata dal primo comma dell‟art. 39, è interes- sante la precisazione offerta dal prof. X. XXXXXXX alla lezione tenuta il 5.6.2013 presso il Dipartimento di diritto costituzionale per i dottorandi in Diritto Pub- blico e Costituzionale dal titolo “Lavoro, cittadinanza e Costituzione”, secondo
no ai sindacati – che siano riconosciuti dallo Stato e che osservino procedure vincolate – il potere giuridico di stipulare contratti con efficacia erga omnes nei confronti degli appartenenti alla categoria. Le due parti dell‟articolo, se pur distinguibili, sono da considerarsi, pe- rò, tra loro interferenti: la libertà lasciata all‟organizzazione sindaca- le non può spingersi fino al punto di contrastare con la prescrizione della seconda parte dell‟articolo. Nello stesso tempo, la legislazione attuativa della seconda parte può condizionare ma mai compromet- tere l‟autonomia dell‟organizzazione sindacale tutelata dal primo comma.
L‟art. 39, letto nella distinzione tra il primo comma e quelli successivi, dà impulso, quindi, a due differenti progetti di legislazio- ne sindacale, accumunati entrambi dalla concezione funzionale della contrattazione collettiva quale strumento e condizione della realiz- zazione del principio di eguaglianza sostanziale sancito dall‟art. 3 Cost. L‟intervento legislativo richiesto dalla prima parte dell‟articolo consiste in un mero riconoscimento statale ex post di quanto già rea- lizzato dalla contrattazione collettiva. In base alla seconda parte
la quale la scelta del Costituente di prevedere la libertà della organizzazione sin- dacale piuttosto che della associazione sindacale risiede nella differenza che sussi- ste tra i due concetti: se infatti l‟associazione, per sua natura, ha necessariamente una struttura complessa, l‟organizzazione è caratterizzata da una struttura fluida, libera, idonea a compensare le debolezze del singolo grazie alla sua dinamicità e a divenire, quindi, luogo di incontro emblematico tra individuo e collettività.
90 “Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione pres- so uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. / È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. / I sindacati re- gistrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appar- tenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
dell‟art. 39, invece, è la legge a dover precedere la contrattazione collettiva, non solo prevedendo i requisiti per il riconoscimento dell‟efficacia erga omnes ai contratti collettivi ma anche attribuendo ai sindacati il potere stesso di stipularli.
La rilevanza costituzionale dell‟attività sindacale fa quindi in- nanzitutto perno sul primo comma dell‟art. 39, quella libertà che ha improntato sul piano fattuale la dinamica della tutela degli interessi delle parti sociali nella autorganizzazione delle strutture rappresen- tative sul piano nazionale e locale ma che, come tutti i principi co- stituzioni, è contemperabile, attraverso l‟intervento legislativo, con altri principi di pari rango quali, soprattutto, il principio di iniziativa privata sancito dall‟art. 41 Cost. (come è avvenuto ad esempio con la salvaguardia di prerogative ma anche di limiti all‟attività sindacale da parte dello Statuto dei lavoratori). E lo stesso primo comma dell‟art. 39 è stato assunto a criterio prioritario nel vaglio di legitti- mità a cui più volte è stata chiamata la Corte Costituzionale.
Nell‟impossibilità in questa sede di ripercorrere analiticamente le linee di sviluppo della copiosa giurisprudenza intervenuta in que- sta materia, non può tacersi la significatività di alcune pronunce che, a ridosso della emanazione dello Statuto, hanno avallato l‟opzione preferenziale del legislatore per le organizzazioni confederali, volta ad arginare la possibile deriva spontaneista dell‟organizzazione sin- dacale e a valorizzare l‟elemento della intercategorialità91, per poi successivamente sollecitare il legislatore a rivedere quella originaria
00 x. Xxxxx Xxxx. sent. n. 54/1974 e successivamente, in senso analogo, Corte Cost. sent. n. 334/1988.
opzione di favore sul presupposto che «è andata progressivamente atte- nuandosi l‟identità del modello disegnato dall‟art. 19 a rispecchiare l‟effettività della rappresentatività»92.
L‟attenzione costante al principio enunciato dal primo comma dell‟art. 39 denota la sempre maggiore consapevolezza della Corte che non sarebbero stati realizzati quegli interventi attuativi previsti nella seconda parte della disposizione costituzionale, necessari per rendere effettive le garanzie poste dalla Costituzione a sostegno dell‟attività normativa dei sindacati.
La mancata emanazione di leggi di attuazione della seconda parte dell‟art. 39 ha lasciato aperte le gravi questioni relative all‟organizzazione dei sindacati e alla loro attività normativa, alla na- tura della contrattazione collettiva, al suo ambito di efficacia e ai rapporti tra questa espressione di autonomia privata, se pur collet- tiva, e la legge. Il silenzio del legislatore è stato ricondotto dalla dot- trina93 a due ordini di fattori. Innanzitutto a fattori contingenti, co- me: la percezione da parte dei sindacati che il meccanismo della re- gistrazione avrebbe comportato una forma di controllo statale; la complessità tecnica nel prevedere forme di verifica del numero de- gli iscritti; la resistenza alla collaborazione e alla coesione da parte di organizzazioni sindacali ontologicamente ed originariamente sepa- rate94. In secondo luogo, a fattori «storici», perduranti nel tempo,
92 Corte Cost. sent. n. 30/1990.
93 Cfr. X. XXXXXX, Art. 39 … op. cit. e in senso analogo G. ZAGREBELSKY,
Manuale di Diritto Costituzione… op. cit., pp. 249 ss.
94 Sul punto X. XXXXXX, Lavoro legge contratti … op. cit., precisa: «imporre l‟unità contrattuale e la regola proporzionale ad organizzazioni ciascuna delle quali
che hanno trasformato il ritardo nell‟attuazione in una graduale vo- lontà di non attuazione, anche in ragione dell‟affievolirsi della esi- genza di garantire per via legislativa l‟efficacia erga omnes dei contrat- ti, considerata la loro tendenziale generalizzazione in fase applicati- va.
Non può trascurarsi, come rivela autorevole dottrina pubblici- stica, che l‟efficacia erga omnes del contratto collettivo era prevista dal Costituente come misura atta a garantire una parità di trattamento tra lavoratori sindacalizzati e lavoratori non sindacalizzati, ma non in un senso «parassitario», quanto nell‟interesse proprio del lavora- tore sindacalizzato. «L‟erga omnes – si afferma – significa controllo sindacale dell‟intero mercato del lavoro inerente ai singoli settori per cui vale il contratto. Senza l‟erga omnes, il datore di lavoro po- trebbe assumere lavoratori non sindacalizzati fuori delle clausole contrattuali collettive e ciò costituirebbe un incentivo al licenzia- mento dei lavoratori iscritti al sindacato e comunque uno strumento di pressione su di esso. […] L‟erga omnes non è insomma originaria- mente un‟attribuzione di diritti a chi sta fuori dal sindacato, ma è un‟imposizione di obblighi al datore di lavoro al fine della autotute- la del sindacato»95.
contesta, sul terreno dei sommi principi, la genuinità sindacale dell‟altra, equi- vale a negare la stessa ragion d‟essere del pluralismo: ed è qui, probabilmente, la più grave contraddizione dell‟art. 39, che per garantire l‟unità del contratto valido erga omnes impone nel momento delle trattative uno schieramento unita- rio e proporzionale che, in un certo senso, degrada ciascuna organizzazione sindacale al livello di una “concorrente”» (cit. p. 88).
95 G. ZAGREBELSKY, Manuale di Diritto Costituzionale … op. cit., cit. p. 251.
Quanto siano profetiche queste parole lo si vedrà nel prosie- guo del lavoro, discutendo il recente intervento legislativo operato con il d.l. 138/2011 ma qui è rilevante sottolineare come la mancata attuazione del disposto dell‟articolo 39 ha indotto il legislatore, spinto dalle pressioni delle organizzazioni sindacali, a trovare degli escamotages per sancire, indirettamente, il principio dell‟efficacia erga omnes dei contratti collettivi, perseguendo strade differenti da quella prevista in Costituzione.
Il caso più eclatante è quello della l. n. 741 del 14 luglio 1959 proposta dal ministro Xxxx Xxxxxxxxx. La cd. Xxxxx Xxxxxxxxx consiste- va, infatti, in una legge delega che attribuiva al Governo il compito di emanare, nel periodo di un anno, decreti legislativi per ogni cate- goria di lavoratori contenenti la predeterminazione del trattamento minimo inderogabile, da stabilire in virtù di quanto già previsto dai contratti collettivi esistenti, consentendo deroghe soltanto in caso di accordi più favorevoli ai lavoratori.
I dubbi sulla legittimità costituzionale di tale intervento nor- mativo se sono smentiti dalla Corte Costituzionale con riferimento alla l. n. 741/1959, vengono da questa accolti in sede di giudizio di costituzionalità della legge di proroga, l. n. 1027/1960.
Con la celebre sentenza n. 106 del 1962, la Corte dichiara, in- fatti, l‟incostituzionalità della legge di proroga per contrasto con l‟art. 39, seconda parte, proprio perché prevedeva un meccanismo di estensione erga omnes dell‟efficacia dei contratti collettivi diverso
da quello stabilito dalla Costituzione96. Tale meccanismo alternati- vo, si è ritenuto, se può essere tollerato lì dove sia disposto da una legge transitoria ed eccezionale, come la l. 741/1959, diviene pale- semente illegittimo nell‟ipotesi in cui la legge che lo prevede manchi del carattere della provvisorietà97. L‟estensione erga omnes dei con-
96 Punto 4 dei motivi della decisione: «L‟art. 39 pone due principi, che possono intito- larsi alla libertà sindacale e alla autonomia collettiva professionale. Col primo si garantiscono la libertà dei cittadini di organizzarsi in sindacati e la libertà delle associazioni che ne deri- vano; con l‟altro si garantisce alla associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata pro- cedura e da soggetti forniti di determinati requisiti.
Una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che è una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli ap- partenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabi- lita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima».
97 Punti 5 e 6 dei motivi della decisione: «Senonché, la Corte non può ignorare che le forme e il procedimento previsti dalle norme costituzionali non sono ancora applicabili. La Corte non deve ricercare i motivi di questa inadempienza costituzionale, ma non può non prendere atto della carenza legislativa che ne deriva e delle conseguenze che essa provoca nel campo dei rapporti di lavoro. In questa situazione la legge impugnata assume il significato e compie la funzione di una legge transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. In questo senso, e soltanto in questo senso, può ritenersi fondata l'osser- vazione che ricorre ripetutamente nelle difese svolte davanti alla Corte, che con la legge impu- gnata non si sia voluto dare attuazione al sistema previsto dall'art. 39 della Costituzione, del quale, anzi, si può aggiungere, si presuppone imminente l'attuazione […].
Ma queste medesime ragioni, che inducono la Corte a dichiarare non fondata la que- stione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, impongono, viceversa, di dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge 1 ottobre 1960, n. 1027: più esattamen- te, dell'art. 1 di questa legge, il quale conferisce al Governo il potere di emanare norme uni- formi alle clausole degli accordi economici e dei contratti collettivi stipulati entro i dieci mesi successivi alla data di entrata in vigore della richiamata legge n. 741. Questa norma, infatti, estende il campo di applicazione della delega oltre la data del 3 ottobre 1959 e ne allarga l'ef- ficacia agli accordi e ai contratti stipulati dopo questa data. É da ritenere, infatti, che anche una sola reiterazione della delega (a tale riducendosi la proroga prevista dall'art. 1 della legge impugnata), toglie alla legge i caratteri della transitorietà e dell'eccezionalità che consentono di dichiarare insussistente la pretesa violazione del precetto costituzionale e finisce col sostituire al sistema costituzionale un altro sistema arbitrariamente costruito dal legislatore e pertanto illegittimo”. Analoghi argomenti possono leggersi anche in pronunce successive
tratti collettivi di categoria, attraverso la recezione in decreti legisla- tivi, divenuta stabile e non eccezionale, avrebbe comportato il ri- schio di veder riconosciuta automaticamente l‟efficacia legale dei contratti collettivi e, quindi, di conseguenza, il monopolio legale dei sindacati che li stipulano.
La ferma chiusura della Corte a interventi legislativi che, aggi- rando lo scoglio dell‟inattuazione dell‟art. 39, si ponevano l‟obiettivo di realizzarne gli effetti, ha incontrato in seguito dei mo- menti di flessione quando la Corte è stata chiamata a pronunciarsi, ad esempio, sulla delega concessa alla contrattazione collettiva dalla legge n. 233/1991 in tema di criteri di scelta per il collocamento in mobilità dei lavoratori eccedenti98 ovvero sulla individuazione, in via contrattuale, delle prestazioni indispensabili nei servizi pubblici essenziali in occasione dello sciopero, ai sensi della l. 146/199099. In entrambe le occasioni la Corte, pur non riconoscendo alla contrat- tazione collettiva un effetto vincolante di per sé, ha ammesso che, vincolando i datori di lavoro, producesse indirettamente attraverso questi un effetto erga omnes. E nella stessa direzione può leggersi an- che l‟intervento della Corte Costituzionale sui contratti collettivi nel settore pubblico di cui al d.lgs. 29/1993 quando veniva sancito l‟obbligo per le pubbliche amministrazioni di osservare i contratti
della Corte: ad es. Corte Cost. sent. n. 88/1965 dichiara l‟illegittimità costitu- zionale della l. 97/1963 «per aver violato la libertà di organizzazione e di in- quadramento che l'ordinamento costituzionale non consente sia limitata o an- nullata dall'intervento autoritativo della legge, ma considera parte essenziale della libertà di associazione sindacale».
98 Corte Cost. sent. n. 268/1994.
99 Corte Cost. sent. n. 344/1996.
collettivi sottoscritti dall‟Aran, quale loro rappresentante legale, e si prevedeva l‟implicita adesione a tali regimi contrattuali collettivi da parte del lavoratore che accetti un contratto di lavoro con una pub- blica amministrazione100.
Si sviluppa, così, di fatto, un modello alternativo a quello pre- visto dalla seconda parte dell‟art. 39: la legge sostiene i sindacati, privi della personalità giuridica richiesta dalla norma costituzionale, e recepisce quanto da essi prodotto a livello contrattuale, in forme differenti da quelle costituzionali, riconoscendoli quali «attori di un sistema contrattuale volontario e autolegittimato»101.
Si può perciò convenire che l‟art. 39 non sembra impedire un qualsiasi riconoscimento normativo alla contrattazione collettiva nel sistema delle fonti, ma soltanto quei riconoscimenti legislativi che infrangono quanto sancito nella norma costituzionale, realizzando esattamente lo stesso risultato previsto dalla seconda parte dell‟art. 39 ma con modalità diverse da quelle stabilite o comportando un monopolio della rappresentanza della categoria.
In definitiva, osservando l‟evoluzione concretizzatasi nella prassi della contrattazione collettiva e del suo regime di efficacia, qui illustrata brevemente e per tappe, può concludersi che, superate le forme del contratto corporativo e di quello recepito dalla legge (ex l. n.741/1959) e la forma mai concretizzata del contratto costi- tuzionale ex art. 39, l‟unica forma di contratto collettivo oggi
100 Corte Cost. sent. n. 309/1997.
101 M. D‟XXXXXX, xxx, p. 677.
esistente è quella del contratto collettivo di diritto comune, discipli- nato e regolato dagli artt. 1321 ss. c.c. Nella molteplicità di livelli di contrattazione 102 e di varietà di contratti collettivi di categoria103, emerge un denominatore comune alle diverse fattispecie: la «realiz- zazione dell‟interesse di tutela lato sensu dei lavoratori quale si espri- me nella esperienza organizzativa, o, in altre parole, nella “coalizio- ne”» 104.
1.4 La prassi delle ccdd. “leggi contrattate” e il ruolo degli at- tori politici coinvolti.
Dopo aver illustrato le tappe salienti dell‟evoluzione legislativa e contrattuale collettiva nella disciplina del lavoro, sembra interes-
102 Vedi par. 2.1.
103 Sul punto X. XXXXXXX, Contratto collettivo e Costituzione, oggi, in X. XXXXXX – I. XXXXX XXXXX, Costituzione e lavoro oggi, Bologna, 2013, afferma che: «in conclu- sione, all‟esito delle vicende evolutive sopra riassunte, il contratto collettivo nell‟ordinamento italiano è risultato – pare di poter affermare – un istituto dalla connotazione complessa e multiforme. Complessa perché dopo l‟inattuazione dell‟art. 39 Cost. e del sistema di contrattazione collettiva da esso individuato, questo atto giuridico ha assunto la veste – e la qualificazione formale – di atto di diritto privato, efficace esclusivamente nei confronti dei soggetti che hanno partecipato alla sua formazione e che ne sono perciò “parti”, senza tuttavia perdere l‟attitudine all‟efficacia generale che è propria delle fonti del diritto (pubblico). […] Multiforme, in quanto ha visto ampliarsi – e diversificarsi – no- tevolmente nel tempo sia le sue funzioni che le sue tipologie: tanto che oggi appa- re sostanzialmente impossibile riferirsi al contratto collettivo come a un istitu- to/atto giuridico unitario» (cit. pp. 146-147).
104 X. XXXXXX, Lavoro legge contratti … op. cit., cit. pp. 164-166.
72
xxxxx xxxxxxxxxsi sul particolare fenomeno della cd. concertazione, o
legislazione contrattata, cui si è accennato in precedenza105.
Tra il 1975 e l‟inizio degli anni ‟90, nel corso del cd. periodo
«dell‟emergenza» emergono in Italia esigenze nuove a cui far fronte: l‟emergenza finanziaria, il risanamento dei conti pubblici, il rispetto dei parametri di Maastricht per l‟ingresso nell‟area dell‟euro. In tale contesto storico e politico, la volontà del governo di raccogliere il consenso ed il sostegno delle parti sociali necessario per l‟attuazione delle strategie governative di politica economica incontra il deside-
105 Per lo studio sulla prassi della concertazione cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX, Istituzionalizzazione e (in)stabilità della concertazione sociale, in Scritti in memoria di Xxxxxxx X‟Xxxxxx, vol. II, parte II, diritto sindacale, Milano, 2004; P. A. CA- POTOSTI, Concertazione e riforma dello Stato sociale nelle democrazie pluraliste, in Qua- derni Costituzionali, n.3 del 1999; X. XXXXXXX, Concertazione, lavoro, Mezzogiorno e welfare, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, n.3, 2012; X. XXXXXXX, Forze so- ciali e spazio pubblico nella dimensione nazionale ed europea. Contrattazione, concertazione e programmazione alla prova della società italiana, in Rivista Giuridica del Mezzo- giorno, n.4, 2006; X. XXXXXXX, Riparlando di concertazione, intervento al Convegno “Il nuovo volto del diritto italiano del lavoro”, tenutosi il 13-14 dicembre 2004 presso l‟Accademia nazionale dei Lincei a Roma; X. XXXXXXX - R. DE XXXX XXXXXX - X. XXXX - X. XXXX, Diritto del lavoro. Il diritto sindacale, Torino, 2006; M. D‟XXXXXXX, La concertazione fra Costituzione e amministrazione, in Quaderni Costi- tuzionali, n.3 del 1999; A. D‟XXXXX, voce “Sindacato” in Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006; R. DE XXXX XXXXXX, Processi di concertazione e sistema parlamentare, in Diritto e Processo del Lavoro, parte I, tomo I, Milano, 2004; X. XXXXX, La pratica della concertazione in Italia, in Quaderni Costituzionali, n.3, 1999; X. XXXXXX, Lavoro legge contratti cit.; X. XXXXXXXX, Concertazione e sindacati al tempo dell‟euro, in Lavoro e Diritto, n. 1, 2005; X. XXXXXXX, Concertazione & con- trattazione, in Scritti in memoria di Xxxxxxx X‟Xxxxxx, vol. II, parte II, diritto sindacale, Milano, Xxxxxxx, 2004; X. XXXXXXXX, Sistema contrattuale, concertazione e legislazione del lavoro, in Lavoro e Diritto, n.2, 2007; B. G. XXXXXXXXXX, Sindacati e pubblici poteri, Milano, 2003, in part. P. 394 ss.; X. XXXXXXXX, Problemi e prospetti- ve della concertazione sociale nella nuova legislatura, in Lavoro e Diritto, n. 2, 2007; X. XXXXXXX, Le difficoltà della concertazione nel contesto della crisi economica in atto, in Rivi- sta giuridica del Mezzogiorno, n.3 del 2012; X. XXXXXXX, Contrattazione collettiva e Unità d‟Italia, relazione tenuta agli incontri introduttivi alla studio del diritto te- nutisi dal 26 al 30 Settembre 2011 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università di Xxxxxx Xxxxxxxx XX.
rio di queste di realizzare risultati più incisivi e vantaggiosi di quelli raggiungibili con la sola via della contrattazione collettiva. Con lo spostamento del baricentro del diritto del lavoro dal rapporto indi- viduale al mercato del lavoro, infatti, lo strumento della contratta- zione collettiva si mostra incapace di incidere da solo sui meccani- smi di occupazione del mercato e, quindi, di soddisfare le esigenze dei lavoratori non occupati, riuscendo ad esercitare il proprio potere solo nella definizione della disciplina interna al rapporto di lavoro.
Tra parti sociali – nelle vesti delle organizzazioni maggiormen- te rappresentative di lavoratori e datori di lavoro – e governo – cen- trale o locale – si realizza, così, uno scambio politico, che diviene luogo esemplare di integrazione tra eteronomia e autonomia. Dal con- fronto tra i tre soggetti nasce una nuova tecnica normativa caratte- rizzata dalla definizione triangolare degli obiettivi economici e so- ciali ritenuti necessari e dalla assunzione da parte di tutti i soggetti coinvolti di reciproci impegni per la realizzazione di tali obiettivi, ciascuno nel proprio ambito di ingerenza e con i propri strumenti. I soggetti che prendono parte alla concertazione sono portatori di interessi differenti e talvolta potenzialmente antitetici (il governo di interessi generali, le parti sociali di interessi privati collettivi delle ca- tegorie rappresentate) ma intorno al tavolo della concertazione co- operano in maniera paritaria alla ricerca di una sintesi. Sindacati ed esponenti del mondo politico svolgono la fondamentale funzione di raccordo tra la realtà sociale e le istituzioni, in coerenza con il mo- dello sociale voluto dai Costituenti, facendo sì che destinatari dell‟attività concertativa non siano soltanto gli appartenenti alle ca- tegorie professionali rappresentate ma tutti i cittadini, quali soggetti
potenzialmente interessati; i sindacati si fanno carico di interessi ge- nerali e il governo si impegna a tradurli in norme con efficacia erga omnes.
Con una «metamorfosi teleologica», che provoca un innalzamen- to dell‟orizzonte di interesse dei sindacati verso obiettivi di carattere generale e politico, nella «dinamica reale» e quindi senza alcuna proce- dura istituzionalizzata, il sindacato interferisce con l‟esercizio dell‟attività legislativa e costruisce «uno dei pezzi dell‟ordinamento co- stituzionale materiale»106. Ma la conclusione di accordi a cui i sindacati partecipano per esprimere interessi collettivi e, allo stesso tempo, per rispondere all‟esigenza politica della neutralizzazione del dissenso non comportano l‟inglobamento della contrattazione collettiva nell‟ordinamento statuale. La Corte Costituzionale, chiamata a pronun- ciarsi sull‟Accordo sul costo del lavoro, del 22 gennaio 1983, ha rico- struito e chiarito la dinamica della prassi concertativa, i ruoli dei sogget- ti coinvolti e la relazione tra fonte legislativa e fonte contrattuale (di cui si dirà più diffusamente in seguito).
La Corte individua, innanzitutto, il discrimine tra contrattazione collettiva e concertazione nella differenza degli interessi espressi, solo di categoria nel primo caso e anche generali nel secondo, e nella pre- senza, nella seconda ipotesi, del governo in qualità di parte al pari delle organizzazioni sindacali. Quindi esclude la riconducibilità della prassi concertativa nell‟alveo dell‟art. 39 Cost. mostrando come la collabora- zione tra organizzazioni sindacali e istituzioni e la produzione conclusi-
106 A. D‟XXXXX, Art. 39, in X. XXXXXXX - A. CELOTTO - X. XXXXXXXX (a cura di),
Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, cit. p. 820.
va di norme di legge, anche in assenza del raggiungimento di un accor- do tra i tre soggetti, la rendono una fattispecie assolutamente differente e peculiare107.
Come posto in evidenza anche dalla stessa Corte, con il patto concertativo parti sociali e governo assumono l‟impegno politico di realizzare gli obiettivi concordati e programmati, ognuno nel pro- prio ambito di operatività e con i propri strumenti tipici. La concer- tazione costituisce un «modo di formazione delle politiche pubbli- che nel quale il governo determina con le parti sociali gli obiettivi economico-sociali fondamentali e delega alle stesse una quota di auto- xxxx o di responsabilità per la loro concreta realizzazione»108. Tale in- tento è indicato esplicitamente negli incipit degli accordi conclusivi, quale premessa e presupposto della definizione della disciplina con- cordata109.
107 Cfr. C. Cost. sent. n. 34/1985, n. 34. Si legge nella motivazione: «gli accordi rappresentano il frutto dichiarato di trattative triangolari che vedono ufficialmente partecipe il Governo, non solo nella veste di un semplice mediatore… ma quale soggetto che assume a sua volta una serie di impegni politici, spesso assai precisi e rilevanti», sicchè «le organizzazioni sindacali non sono in tal campo separate dagli organi statali di governo, bensì cooperanti con essi». Una cooperazione che, potrebbe dirsi, avviene sul piano del pluralismo ordinamentale lasciando impregiudicato «che gli interessi pubblici ed i fini sociali coin- volti da tali trattative debbono poter venire perseguiti e soddisfatti dalla legge, quand'anche l'accordo fra il Governo e le parti sociali non sia raggiungibile: così come spetta alla legge co- ordinare l'attività economica pubblica e privata ai sensi del terzo comma dell‟art. 41 Cost. Diversamente, infatti, ne sarebbe alterata la vigente forma di governo; mentre la contrattazio- ne collettiva ne risulterebbe, in difetto dell'ordinamento sindacale previsto dall'art. 39, ancora più estesa e garantita che in base all'inattuato quarto comma dell'articolo stesso».
108 X. XXXXXXXX, Istituzionalizzazione e (in)stabilità della concertazione sociale … op. cit.
109 Vedi, tra gli altri, l‟Accordo 22 gennaio 1983: «Il Governo, le Organizzazioni sin- dacali dei lavoratori e dei datori di lavoro ribadiscono l'obiettivo assunto il 22 giugno 1981 e riconfermato dall'attuale Governo - nell'intento di operare il rientro graduale dell'inflazione - di far valere come vincolo alle loro decisioni e ai loro comportamenti i tassi di incremento dei
La peculiarità del fenomeno concertativo ha portato la dottri- na dell‟epoca a dibattere sul rapporto tra prassi della legislazione contrattata e sistema politico. Su quella dottrina che vedeva in tale prassi uno svuotamento delle prerogative parlamentari si è presto imposta la diversa e prevalente visione secondo la quale la concer- tazione non comporta alcuno svuotamento ma integra la forma ti- pica di produzione legislativa parlamentare, considerato l‟impegno del governo ad assumere l‟iniziativa legislativa sui temi emersi nel confronto con le parti sociali, nel rispetto delle prerogative parla- mentari, e non, invece, a far approvare il provvedimento. Il gover- no, infatti, come si è detto, in sede di concertazione assume solo un impegno politico nei confronti delle parti sociali e non un obbligo giuridicamente rilevante. Come stabilito dalla Corte Costituzionale
prezzi al consumo nella misura media annua del 13% per il 1983 ed entro una variazione al di sotto del l0% per il 1984. Il Governo, le Organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro enunciano l'obiettivo parallelo di affrontare il grave problema della occupa- zione mediante una serie di misure legislative ed amministrative e di comportamenti consen- suali delle parti sociali.[…] Concordano sulle misure da adottare indicate nel presente proto- collo. In particolare, le Organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, i cui rapporti contrattuali sono scaduti o comunque in fase di rinnovo, si impegnano, onde perveni- re alla stipulazione dei nuovi accordi e contratti, a seguire i criteri qui elencati, che costitui- scono nello stesso tempo i criteri che verranno seguiti dal Governo nei rinnovi dei contratti per il pubblico impiego, tenuto conto delle particolari caratteristiche di quest'ultimo».
O, ancora, il Protocollo del 23 luglio 1993: «La politica dei redditi è uno strumento indispensabile della politica economica, finalizzato a conseguire una crescente equi- tà nella distribuzione del reddito attraverso il contenimento dell'inflazione e dei redditi nomi- nali, per favorire lo sviluppo economico e la crescita occupazionale mediante l'allargamento della base produttiva e una maggiore competitività del sistema delle imprese. […] Il Governo dichiara di voler collocare le sessioni di confronto con le parti sociali sulla politica dei redditi in tempi coerenti con i processi decisionali in materia di politica economica, in modo da tener conto dell'esito del confronto nell'esercizio dei propri poteri e delle proprie responsabilità. […] Il Governo predisporrà un organico disegno di legge per modificare il quadro normativo in materia di gestione del mercato del lavoro e delle crisi occupazionali, al fine di renderlo più adeguato alle esigenze di un governo attivo e consensuale e di valorizzare le opportunità occu- pazionali che il mercato del lavoro può offrire se dotato di una più ricca strumentazione che lo avvicini agli assetti in atto negli altri paesi europei. Il disegno di legge verrà redatto, attraverso un costruttivo confronto con le parti sociali, sulla base delle linee guida di seguito indicate».
con la suddetta sent. 34/1985, fino a quando la concertazione pro- duce impegni vincolanti soltanto tra i soggetti coinvolti e non vin- cola anche soggetti esterni come il Parlamento, limitandosi a far emergere delle esigenze e delle possibili soluzioni che il legislatore può tanto cogliere quando ignorare, è da considerarsi conforme a Costituzione.
Dopo aver illustrato le caratteristiche strutturali e procedurali della concertazione, sembra utile a una maggiore comprensione del fenomeno una rapida panoramica sull‟evoluzione della prassi con- certativa, sui principali accordi conclusi tra parti sociali e governo e il loro esito.
I primi tre accordi conclusi con la tecnica della concertazione affrontano tutti il tema del costo del lavoro e sono l‟Accordo Inter- confederale del gennaio 1977, tradotto nelle l. 91/1977 e 675/197; l‟Accordo del 22 gennaio 1983 (cd. Protocollo Xxxxxx) e l‟Accordo del 14 febbraio 1984 (cd. Protocollo di San Valentino), con il quale si raggiunge però un‟intesa solo parziale. Gli anni successivi vedono un‟interruzione della prassi concertativa e la corrispondente espan- sione di forme di coordinamento a livello aziendale o territoriale, la cd. contrattazione cooperativa decentrata.
Con l‟inizio degli anni ‟90 riemerge l‟esigenza di un confronto triangolare tra governo e parti sociali e tra il 1992 ed il 1993 la con- certazione raggiunge il suo apice. Il Protocollo del 31 Luglio 1992 chiude definitivamente il meccanismo della scala mobile e pone le basi per la definizione degli obiettivi e delle procedure operata poi dal successivo accordo del 1993. Il Protocollo del 23 Luglio 1993,
su politica dei redditi e dell‟occupazione, assetti contrattuali, politi- che del lavoro e sostegno al sistema produttivo, è l‟accordo più si- gnificativo tra quelli mai conclusi con la tecnica concertativa. La trattativa aveva visto per la prima volta una dilatazione dei soggetti coinvolti: non solo i rappresentanti delle maggiori organizzazioni sindacali ma anche esponenti di organizzazioni imprenditoriali e da- toriali minori, organizzati secondo la formula dei «tavoli separati». Il Protocollo conclusivo istituzionalizza il metodo della concertazione operando un riassetto delle competenze di politica economica tra i soggetti coinvolti nel quale si conciliano legislazione e contrattazio- ne, accentramento, nel controllo e nel coordinamento della proce- dura, e decentramento, nella realizzazione degli obiettivi individuati. È in tale accordo che sono poste le condizioni per il risanamento della finanza pubblica che hanno consentito l‟ingresso dell‟Italia nel primo gruppo di Paesi della moneta unica europea nel 1997 e un si- stema di relazioni trilaterali che ha resistito alla successiva crisi della prassi concertativa e trova applicazione tutt‟oggi. Il Protocollo del 1993 traccia, infatti, una linea di demarcazione rispetto alle espe- rienze precedenti anche dal punto di vista degli obiettivi da raggiun- xxxx: se precedentemente l‟obiettivo primario appariva la decelera- zione dell‟inflazione, ora la necessità primaria diventa la riduzione del deficit e del debito pubblico.
Dopo l‟esperienza del 1993, il fenomeno è nuovamente sce- mato. Il Patto per il Lavoro del 24 settembre 1996, cui è seguita la l. 196/1997, ha avuto minore eco e l‟Accordo del 22 dicembre 1998 per lo sviluppo e l‟occupazione (cd. Patto di Natale) non ha avuto l‟esito sperato. Con l‟intento di perfezionare le conclusioni raggiun-
te nel ‟93 e dar loro seguito, governo e parti sociali si riuniscono in- torno allo stesso tavolo e tracciano nuove linee guida per la concer- tazione. Dal testo del protocollo si evince che la concertazione sa- rebbe dovuta diventare strumento di coordinamento non solo più tra ordinamento statuale e autonomia collettiva ma anche tra ordi- namento nazionale ed Unione europea. Sulla base di quanto stabili- to nei Trattati di Maastricht, prima, e di Amsterdam, poi, l‟accordo, infatti, riconosce due procedure di concertazione: una procedura di cd. legislazione negoziata – in virtù della quale è attribuita la priorità normativa della disciplina in oggetto alle parti sociali e al Governo solo un impegno successivo a tradurre in progetto di legge quanto previsto dalle parti sociali – e una procedura di cd. consultazione obbli- gatoria e non vincolante per gli interventi che comportino impegni di spesa – che prevede un confronto preventivo tra le parti sociali ed il governo rispetto alla individuazione della disciplina che l‟Esecutivo deve adottare. La differenza tra le due procedure previste non risie- de tanto nel confronto preventivo tra governo e parti sociali, che può realizzarsi in entrambe le ipotesi, quanto piuttosto nei possibili esiti di tale confronto. Se, infatti, nella prima procedura è contem- xxxxx, anzi auspicato, che si realizzi un‟intesa bilaterale, tra le parti sociali, o trilaterale, tra parti sociali e governo, che quest‟ultimo de- ve solo recepire e sostenere nelle sedi di sua competenza, nel caso di interventi sulle materie di politica sociale che comportino impe- gni di spesa le parti sociali hanno solo un potere di valutazione e di proposta, ma la decisione finale è riservata al governo.
La mancata realizzazione degli obiettivi prefissati con il «Patto di Natale» e delle procedure ivi stabilite, decreta l‟inizio della crisi
della prassi concertativa, destinata ad esplodere con il governo Ber- lusconi ed il Patto per l‟Italia del 2002110.
Autorevole dottrina ha individuato due ragioni fondamentali del declino del fenomeno concertativo negli anni del governo di centro destra: innanzitutto la volontà di liberalizzare il più possibile il mercato del lavoro e, in secondo luogo, l‟intenzione di avanzare rapidamente evitando la lungaggine e la complessità delle procedure concertative111. A tali fattori possono aggiungersene altri più genera- li, quali lo sviluppo di forme di concertazione sempre più decentra- te che spostano il baricentro delle relazioni industriali a livello loca- le; il sempre maggiore rilievo alle politiche finanziarie e monetaristi- che; la sempre più evidente divaricazione di interessi tra gli occupati e i disoccupati che rendono talvolta contraddittoria l‟azione sinda- cale; o, ancora, la minore esigenza del governo di procurarsi il con- senso delle parti sociali in fasi di stabilità politica112.
Esaminando la produzione normativa lavoristica dell‟ultimo decennio è evidente, quindi, che per ragioni politiche ed economi- che si è preferito il sistema dell‟integrazione tra legislazione e con- trattazione allo strumento della concertazione. Il ridimensionamen- to del ruolo delle parti sociali sembra, però, solo apparente: l‟ormai usuale previsione, da parte della legge, di rinvii necessari alla con-
110 La legislazione successiva al Patto per l‟Italia, infatti, non ha le caratteristiche proprie della legislazione contrattata ma risulta interamente imputabile all‟iniziativa governativa. Sul punto cfr. X. XXXXXX, Ascesa e crisi della concertazio- ne “asimmetrica”, in Diritti Lavori Mercati, n. I del 2005.
000 Xxx. X. XXXX, Xx concertazione sociale, in Diritti Lavori Mercati, n. I del 2005.
112 Cfr. X. XX XXXX XXXXXX, Processi di concertazione…op cit..
trattazione collettiva ha portato, paradossalmente, ad un sempre maggiore spazio alle organizzazioni sindacali nell‟autonoma defini- zione della disciplina lavoristica.
*_*_*
2. LE RELAZIONI INTERNE AL SISTEMA DELLE FONTI
NEL DIRITTO DEL LAVORO
2.1 I livelli della contrattazione collettiva
Per rendere più comprensibile il discorso che si intende svi- luppare nel prossimo capitolo intorno alla cd. contrattazione di prossimità, introdotta dall‟art. 8 del d.l. 138/2011, è opportuna u- na, sia pur concisa, panoramica sui livelli di contrattazione collettiva che si sono via via affermati nella prassi delle relazioni sindacali sino a conseguire una progressiva istituzionalizzazione. Si tratta certa- mente di una problematica che qui può essere solo accennata in quanto è al centro di un dibattito spesso ed articolato e di un‟ am- plissima produzione saggistica.
Volendo adottare un‟immagine e ricorrendo a quella classica negli studi giuridici della piramide normativa, si potrebbe dire che i diversi livelli di contrattazione possono essere rappresentati come una piramide rovesciata che ha al vertice e, quindi nel livello di più ampia generalizzazione, l‟accordo interconfederale e nella base, il li- vello più ristretto, l‟accordo aziendale, trascorrendo per vari livelli
intermedi tra i quali, soprattutto, i contratti collettivi nazionali e ter- ritoriali113.
In primo luogo, quindi, l‟accordo interconfederale, che può essere definito come lo «strumento costitutivo di una norma con- trattuale “comune” per singoli rami merceologici (industria, com- mercio, agricoltura)»114. Esso ha avuto particolare diffusione e rilie- vo intorno alla metà degli anni Settanta, quando per alcuni versi sembrava affievolirsi quella prassi contrattuale che aveva l‟attenzione del legislatore statutario giustificandone l‟intervento normativo. Se ne possono individuare due prototipi significativi: l‟accordo sul «salario garantito» del 1975 e quello del 1977 su «co- sto del lavoro e produttività». Si trattava di accordi intervenuti tra le contrapposte parti sindacali con contenuto anticipatorio di inter- venti legislativi.
Più tardi, nel corso degli anni ottanta il livello di contrattazione interconfederale assunse un nuovo volto ed una nuova struttura nella prassi della legislazione contrattata: accanto alle contrapposte rappresentanze sociali, al tavolo delle trattative sedeva anche il go- verno svolgendo, per lo più, un ruolo di promotore ed osservatore dell‟accordo, soprattutto in vista della neutralizzazione del dissenso sociale che sarebbe seguito alla trasformazione dell‟accordo in leg- ge115. Come prototipo di questo modello può essere indicato il Pro-
113 Sui livelli di contrattazione cfr. X. XXXXXXXX, Diritto Sindacale, Padova, 2012.
114 X. XXXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro … op. cit., p.60.
115 Cfr. X. XXXXX, La pratica della concertazione in Italia, in Quaderni Costituzio- nali, n. 3 del 1999, pp. 501 ss.
tocollo del Luglio 1993 dove, tra l‟altro, il Governo e le parti sociali ridefinivano gli assetti contrattuali esistenti, fissando le regole della contrattazione ed istituendo, accanto al contratto nazionale di cate- goria un secondo livello contrattuale decentrato, aziendale o territo- riale116.
Terminata o quantomeno affievolitasi la prassi della concerta- zione trilaterale, le parti sociali nuovamente ricorrevano ad accordi interconfederali che però vedevano ridotta la loro rilevanza e prati- cabilità anche per effetto di alcune tensioni che si registravano tra le organizzazioni rappresentative dei lavoratori anche se, come meglio dirò in seguito, questo livello di concertazione avrebbe poi raggiun- to una nuova auge ed un significativo vigore in occasione dell‟intervento legislativo operato con il d.l. 138/2011.
Nella tradizionale dinamica dell‟ordinamento intersindacale, certamente il maggior rilievo lo hanno assunto i livelli di contratta- zione nazionale e aziendale.
In particolare, il contratto nazionale di categoria rappresenta il perno del sistema contrattuale lavoristico italiano in quanto, caratte- rizzato da una «globalità» non riscontrabile negli altri livelli contrat- tuali, detta una disciplina settoriale ed organica delle relazioni sinda-
116Al punto 2 del Protocollo, nella sezione dedicata agli assetti contrattuali, può leggersi: «Gli assetti contrattuali prevedono: - un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria; - un secondo livello di contrattazione, aziendale o alternativamente territoriale, lad- dove previsto,secondo l'attuale prassi, nell'ambito di specifici settori».
Per una riflessione sull‟esigenza di riformare quanto previsto dal protocollo del 1993 e sulla posizione delle parti sociali vedi, tra gli altri, X. XXXXXXXX, Le strut- ture della contrattazione collettiva: ragionando della sua revisione, in Lavoro e Diritto,
n.2 del 2007.
cali (la cd. parte obbligatoria) e del rapporto di lavoro nelle sue componenti, normativa ed economica117.
Per esigenza di completezza, non si può omettere di prendere in considerazione anche il livello di contrattazione territoriale, svi- luppatosi nel periodo della cd. «programmazione negoziata» e che ha visto il suo apice soprattutto nel Patto per il lavoro del 24 Set- tembre 1996. Ma si tratta di un livello che non incide significativa- mente in questa riflessione, sia perchè nel tempo ha visto diminuire il suo valore, sia perchè ha assunto, nella prassi, un contenuto più programmatico che normativo, creando anche numerose questioni interpretative ed applicative.
Nell‟economia del discorso, è piuttosto da rivolgere particolare attenzione al contratto aziendale che ha avuto, sin dalle origini, un‟evoluzione a fisarmonica che qui si prova a ripercorrere sia pure in termini schematici e sintetici.
Intorno alla seconda metà degli anni cinquanta la contratta- zione aziendale ha iniziato ad affacciarsi in maniera più sistematica nel panorama sindacale, per impulso, in particolare, della Cisl, con- tinuando ad affermarsi negli anni successivi fino ad un primo apice individuabile nel biennio 1962-1963. Dopo una fase di declino nella quale ha svolto un ruolo normativo più marginale, negli anni tra il 1968 ed il 1973 ha assunto una funzione significativa di sostituzio-
117 Dell‟amplissima bibliografia mi limito a richiamare, per un primo orienta- mento sulle categorie ed istituti utilizzati, X. XXXXXXX – X. XX XXXX XXXXXX –
X. XXXX – X. XXXX (a cura di), Diritto del lavoro … op. cit., p. 184 ss.; M. D‟XXXXXX (a cura di), Letture di diritto sindacale, Napoli, 1990, p. 281; G. GIU- GNI, Diritto sindacale, Bari, 1996, p.171 ss.; X. XXXXXXXX XXXXXXX – U. ROMA- GNOLI, Il diritto sindacale, Bologna 1971.
ne, innovazione ed anticipo rispetto agli altri livelli negoziali, regi- strando poi un progressivo declino nella seconda metà degli anni settanta.
La contrattazione aziendale ha ripreso rinnovato vigore agli i- nizi degli anni ottanta assumendo un carattere prevalentemente con- cessivo e difensivo, indotto dal particolare assetto economico e produt- tivo di quegli anni.
Uno sguardo complessivo ai vari livelli di contrattazione esa- minati rivela che nella loro affermazione ed evoluzione hanno spes- so assunto rilievo determinante condizioni esterne al mondo del la- voro o strettamente connesse alla dialettica sindacale; fattori di ca- rattere economico ma anche politico che hanno orientato il ricorso alla contrattazione collettiva per la realizzazione di riforme significa- tive, incidenti non soltanto sull‟organizzazione del lavoro ma anche sull‟assetto produttivo del paese. Progressivamente si è intravisto nella contrattazione aziendale lo strumento più idoneo a questo fi- ne: in un assetto strutturale che non ha mai stabilito rigide gerarchie tra i vari livelli di contrattazione, la concertazione a livello aziendale era destinata a divenire uno strumento di normazione non più sol- tanto sostitutiva o integrativa della contrattazione nazionale, quan- to, piuttosto, di regolazione autonoma, proprio in ragione del suo carattere di prossimità e specialità e, quindi, della maggiore capacità di rispondere alle istanze di differenziazione provenienti dal sistema socio-produttivo; nell‟auspicio, però, che la specialità non si tradu-
cesse, ovviamente, in un peggioramento delle condizioni di tutela del xxxxxx000.
2.2 Il contratto collettivo è fonte di diritto?
L‟analisi delle dinamiche relazionali tra legge e contrattazione collettiva presuppone, inevitabilmente, la collocazione di entrambe su un medesimo terreno di confronto.
La natura giuridica del contratto collettivo e la sua suscettibili- tà ad essere annoverato tra le fonti del diritto sono da sempre og- getto di dibattito in dottrina e giurisprudenza. Un dibattito reso complesso ed incerto della stessa polisemia del termine fonte, «e- spressione, come tutte quelle figurate e metaforiche, ambigua e po- livalente»119, che viene utilizzato con accezioni e caratterizzazioni diverse nei contesti normativi a cui è riferito.
Non è questo il luogo per analizzare le varie declinazioni con- cettuali che sono state proposte ed ancor oggi impegnano teorici del diritto e costituzionalisti120. Nell‟economia del presente lavoro basterà rilevare che nella collocazione sistematica della contratta- zione collettiva si incontrano alcuni nodi problematici già rispetto alla definizione classica ed usuale delle fonti, secondo la quale esse
118 Cfr. X. XXXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro…op. cit., spec. pp. 69 e 74.
119 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx xx Xxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, cit. p. 44.
120 Per cogliere la complessità di una definizione unitaria di fonte del diritto nell‟attuale assetto costituzionale e politico, nell‟amplissima bibliografia sull‟argomento, ci si limita a rinviare, tra i contributi più recenti, a A. PIZZO- RUSSO, Sistematica giuridica e sistema delle fonti del diritto, in AA. VV. X. XXXXXXXX -
A. PUGIOTTO - X. XXXXXXXX (a cura di), Scritti in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, Napoli, 2009, pp. 1-12.
consistono in «quei fatti o atti giuridici i quali, in base alle “norme sulla produzione giuridica” vigenti in un determinato ordinamento, hanno come effetto la creazione, modificazione o abrogazione di disposizioni o norme integrative di quell'ordinamento»121.
Sul piano categoriale è, infatti, necessario considerare se il con- tratto collettivo possa essere definito come atto o fatto giuridico. La questione sorge, evidentemente, dall‟antica ma pur sempre vera considerazione che il contratto collettivo ha «il corpo del contratto e l‟anima della legge»122, è espressione di autonomia negoziale ma al tempo stesso è capace di realizzare gli effetti tipici degli atti norma- tivi123; e la difficoltà della definizione è, senz‟altro, aggravata dal fat- to che la nozione di contratto collettivo, utilizzata nei codici e nelle leggi speciali, non è stata mai specificata e definita dal legislatore.
Nella dottrina giuslavoristica124, per comprensibili ragioni più attenta al problema, si è affermata la tesi prevalente della compatibi- lità tra la qualificazione negoziale del contratto collettivo ed il suo carattere di atto normativo e, per questa via, se ne è ritenuta la con-
121 X. XXXXXXXXXX, Fonti (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, Tori- no, 1991, cit. p. 410.
122F. XXXXXXXXXX, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1936, p. 117.
123 Cfr. X. XXXXXXX, L‟interpretazione del contratto collettivo (settore privato), in Tratta- to di diritto del lavoro (X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx a cura di), Xxxxxx, 0000.
124 Per uno sguardo d‟insieme, cfr. X. XXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro e il principio di sussidiarietà, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro tenutesi a Foggia il 25 e 26 Maggio 2001, Milano, 2002, p. 483.
figurabilità come fonte del diritto125, quand‟anche atipica126, pur non comportando ciò uno stravolgimento dei tradizionali canoni erme- neutici, dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c.127.
La dottrina costituzionalista risulta caratterizzata, invece, in via maggioritaria, dal silenzio sull‟argomento, dall‟astensione dallo stu- dio della natura giuridica del contratto collettivo, presumibilmente dovuto alla presa d‟atto della mancata attuazione dell‟art. 39 e alla recezione di quella opinione secondo la quale la natura giuridica del contratto collettivo si risolve nell‟ambito dell‟autonomia contrattua- le e quindi nella contrattazione di diritto privato.
125 A sostegno di tale conclusione, si è tratto argomento dalla stessa prassi legi- slativa dei rinvii diretti alla contrattazione collettiva per la disciplina di determi- nati aspetti del rapporto di lavoro; rinvii considerati come il riconoscimento da parte del legislatore di una realtà normativa già esistente, piuttosto che come strumenti di delega alle parti sociali di spazi di disciplina (X. XXXXXXXXX, Legge e contratto collettivo, Milano, 1985; in senso analogo anche A. BARBERA, Le fonti del diritto del lavoro…op. cit..). Per altro verso, ha significativamente contribuito a questo intento qualificatorio l‟equiparazione del contratto collettivo alla legge nel ricorso al giudizio di Cassazione, di cui si dirà.
126 Intesa qui in senso traslato, nell‟accezione residuale indicata da X. XXXXX- FULLI, Fonti del Diritto (voce), in Enciclopedia del Diritto, vol. XVII, Milano 1968, p. 966 che, individuando nell‟atipicità un «concetto di relazione», ritiene atipiche quelle fonti che «non rientrano nei tipi tradizionali, pur rappresentan- do, in sé, una categoria, anche formalmente caratterizzata, elevabile a “tipo”».
127 In dottrina, tra i molteplici, X. XXXXXXX, L‟interpretazione del contratto col- lettivo … op. cit.; X. XXXXXXXX, L‟accertamento pregiudiziale sull‟efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali, in Argomenti di diritto del lavoro, 2006; X. XXXXXXX, Il contratto collettivo nell‟ordinamento giuridico italiano, in Jus, 1975; ID., Xxxxx e autonomia collettiva, in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 1980; X. XXXXXXXX, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fon- ti del diritto del lavoro, in AA.VV., L'interpretazione del contratto collettivo, Mila- no, 2004; X. XXXXXXXX – X. XXXXX, Contratto e rapporto di lavoro, Padova, 2004; X. XXXXX, Il giudizio di cassazione nelle controversie di lavoro, in Rivista di diritto proces- suale, n. 4, 2008. La tesi ha trovato anche seguito in giurisprudenza; ex plurimis, vedi Corte Cass. sent. n. 19710/2007.
In tale quadro generale emergono, però, le riflessioni di due autorevoli costituzionalisti, pur se con accenti e in contesti alquanto differenti.
Una prima ricostruzione128, più risalente nel tempo ma non per questo meno valida, affronta il tema della qualificazione della natura giuridica del contratto collettivo prendendo in considerazio- ne il contratto collettivo così come concepito dall‟art. 39 Cost. Pur riconoscendo la valenza meramente teorica di una riflessione limita- ta al contratto con efficacia erga omnes ex art. 39129, data la mancata attuazione della norma, l‟A. conferisce ad essa nuovo prestigio ri- conoscendo che, come si è avuto modo di osservare130, nella prassi della contrattazione collettiva «il diritto effettivo si è preso una ri- vincita su quello formale»131 realizzando, di fatto, gli effetti previsti dall‟art. 39 seppur con modalità alternative.
Il punto di partenza di tale riflessione è la concezione delle fonti del diritto come espressioni di «processi di integrazione politica», intesa come l‟insieme «dell‟organizzazione e delle attività che espri- mono il movimento dal basso verso l‟alto»132; così che il carattere
128 G. ZAGREBELSKY, Manuale di Diritto Costituzionale, Torino, 1987, spec. pp. 247 ss.
129 Cfr. ivi, spec. p. 255.
130 Vedi infra par. 1.3
131 G. ZAGREBELSKY, Manuale di Diritto Costituzionale … op. cit., cit. pp. 252- 253.
132 Ivi, cit. p. 14. L‟A. individua, invece, nel diritto amministrativo e in quello processuale gli studi giuridici idonei a occuparsi dell‟analisi del movimento op- posto, «dall‟alto verso il basso».
innovativo delle fonti non sta nella «capacità creativa di nuove rego- le giuridiche» ma in quella di esprimere «un nuovo equilibrio» o rin- novare «un precedente equilibrio tra le forze politico-sociali che partecipano al processo di integrazione»133.
Partendo dalla considerazione che nel sistema costituzionale esistono «numerosi “spazi giuridici” in cui è possibile che si svolga- no processi di integrazione», tale dottrina enuclea, in particolare, tre forme nelle quali si concretizza la democrazia politica: la democrazia rappresentativa, costituita dai partiti, dal sistema elettorale e di rappre- sentanza parlamentare e da qualsiasi altro consiglio rappresentativo; la democrazia diretta, attuata dai singoli cittadini mediante lo strumen- to referendario e la democrazia sociale, individuata proprio nella «con- trattazione tra le “parti sociali”»134. E‟ su questa base teorica che si regge, quindi, la collocazione del contratto collettivo nel novero del- le fonti di diritto.
Il contratto collettivo è definito, pertanto, quale «modo di produzione di regole giuridiche ascrivibili alla categoria delle fonti, in quanto espressioni di processi politici di portata generale nell‟ambito di una determinata sfera di relazioni sociali»135; uno dei tre modi tipici nei quali, secondo tale dottrina, si esplicano le fonti del diritto – il comando, il contratto e la convenzione – destinato, insieme a quest‟ultima, a ritrovare maggiore spazio nell‟ambito del pluralismo istituzionale, dopo la netta prevalenza del comando, nel-
133 Ivi, cit. pp. 14-15.
134 Ivi, cit. p. 16.
135 Ivi, cit. p. 247.
la sua espressione classica costituita dalla legge, nell‟epoca della formazione dello Stato moderno136.
Su un piano completamente diverso poggia l‟altra grande ri- flessione teorica concernente la natura di fonte del contratto collet- tivo137. Mentre la precedente ricostruzione, infatti, si fonda su un‟idea del contratto collettivo così come concepito nel modello costituzionale previsto nell‟art. 39 ma mai realizzatosi, la ricostru- zione che ora si esamina, invece, si basa interamente sul contratto collettivo così come è venuto configurandosi nelle prassi concrete del law in action, immaginando finanche una lettura in chiave pre- scrittiva dei rapporti che il contratto collettivo potrebbe (rectius, do- vrebbe) instaurare con la legge ordinaria138.
Innanzitutto, questa analisi muove dalla considerazione che, prima facie, l‟attribuzione al contratto collettivo del carattere di fonte del diritto, per definizione eteronoma, contrasterebbe con la sua ma- trice autonoma, quand‟anche di un‟autonomia collettiva espressione di interessi che trascendono il singolo per aprirsi a quelli della colletti- vità che si riconosce nell‟organizzazione sindacale. Posta tale pre- messa, l‟A. vaglia attentamente il significato e la portata che la «me-
136 Cfr. ivi.
137 L‟interessante ricostruzione offerta da Cfr. X. XXXXXXX, Le fonti normative nel Diritto del Lavoro, in Atti del Convegno Nazionale “Nuovi assetti delle fonti del diritto del lavoro”, tenutosi ad Otranto il 10 e 11 Giugno 2011, rinvenibile in xxx.xxxxxx-xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
138 Sul punto specifico riguardante la teoria di Modugno sui rapporti tra legge e contratto, si rinvia al capitolo III par. 2.3. del presente lavoro.
tafora “fonte del diritto”» 139 assume nel «nostro ordinamento giuri- dico, nel quale una parte soltanto dei fatti qualificabili in sede logica come normativi sono assunti o riconosciuti come proprie fonti»140, rinvenendo che il dato che principalmente contrasterebbe con l‟intravista qualificazione è da rinvenire nel disposto dell‟art. 39 Cost. rimasto, come si è detto, inattuato.
Assumendo che «i fatti e gli atti normativi non sono tali (solo) perché producono diritto; ma perché costituiscono la fattispecie di (altre) norme che attribuiscono ad essi l‟effetto giuridico di produr- re norme»141, che, quindi, sono «fonti in quanto regolate da altre norme (norme sulla formazione)»142, e rilevando l‟assenza nel nostro ordinamento di una norma che riconosca espressamente come fon- te il contratto collettivo, l‟autorevole dottrina presa in esame sceglie, quindi, di analizzare la configurabilità del contratto collettivo come fonte procedendo alla ricerca dei segni o indizi che attestano un rico- noscimento da parte dell‟ordinamento dei contenuti pattizi come manifestazioni di diritto oggettivo143.
139 X. XXXXXXX, Le fonti normative nel Diritto del Lavoro …op. cit., cit. p. 104.
140 Ivi (enfasi testuale).
141 Cfr. X. XXXXXXX, Le fonti normative nel Diritto del Lavoro …op. cit., cit. p. 105.
142 Ivi.
143 Operazione analoga è effettuata da X. XXXXXXX, Le fonti del diritto del lavoro, fra legge e contratto, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro tenutesi a Foggia il 25 e 26 Maggio 2001, Milano, 2002, p. 21, nella quale l‟Autore, individuati gli elementi caratteristici delle fon- ti, vi ha accostato il contratto collettivo per il settore pubblico, ponendo in evi- denza gli aspetti comuni e quelli difformi. Da un lato, così, è stato possibile an- noverare tra le caratteristiche comuni la capacità di innovare; la generalità e
In questa analisi, significativamente viene posto un accento soprattutto sulla recente parificazione dei contratti collettivi alla legge nella ricorribilità al giudice di legittimità per violazione o falsa applicazione delle norme contenute in contratti ed accordi collettivi nazionali, secondo il tenore del novellato art. 360 c.p.c. n. 3.
L‟ampliamento del sindacato della Corte di legittimità alle que- stioni di diritto concernenti i contratti collettivi ha avuto origine, innanzitutto, nel settore pubblico con le novità introdotte dal d. lgs. 165/2001. Non soltanto, infatti, è stato ammesso il ricorso in Cas- sazione nell‟ipotesi di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali (art. 63 comma 5) ma è stata anche pre- vista la possibilità di effettuare un accertamento giudiziale preventi- vo sulla validità, efficacia ed interpretazione dei contratti collettivi nazionali, con emanazione di una sentenza non definitiva impugna- bile solo con ricorso immediato per Cassazione (art. 64 comma 3), superando quel consolidato orientamento giurisprudenziale che sot- traeva all‟esame del giudice di legittimità qualsiasi questione relativa, appunto, all‟efficacia, alla validità e all‟interpretazione dei contratti collettivi144.
l‟astrattezza delle disposizioni, che prevedono e non provvedono; l‟essere espressio- ne di scelte politiche; l‟efficacia erga omnes delle norme contenute; l‟obbligo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e la ricorribilità in Cassazione per violazio- ne e falsa applicazione, di cui si dirà a breve. Ma, dall‟altro, sono emersi alcuni elementi differenziali, quali la mancata previsione di una vacatio; la non applica- zione del principio ignorantia legis non excusat ed il mancato riferimento all‟art. 12 delle preleggi
144 Vedi, tra le altre, Corte Cass. sent. nn. 3452/2005 e 4017/2005. In dottrina, X. XXXXXXXXX, La Cassazione e le controversie in materia di pubblico impiego trasferite alla giurisdizione ordinaria, in Rivista Diritto Processuale, 1998, p.1027;
M. D'ANTONA, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la "seconda priva- tizzazione" del pubblico impiego (osservazioni sui D.Lgs. n. 396 del 1997, n. 80 del
In analogia con quanto già stabilito per il pubblico impiego, con il d. lgs. n. 40/2006 è stata modificata, quindi, anche la discipli- na privatistica contenuta nel codice di procedura civile. Innanzitutto attraverso l‟inserimento nell‟art. 360, tra i motivi di impugnazione di cui al n. 3, delle ipotesi di violazione e falsa applicazione dei con- tratti collettivi o accordi nazionali di lavoro; poi, con l‟introduzione dell‟art. 420 bis che ha previsto, anche per il settore privato, l‟accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi, nelle controversie individuali di la- voro.
L‟equiparazione dei contratti collettivi nazionali alla legge nel giudizio di Cassazione, se ha costituito per i giuslavoristi la confer- ma della qualificabilità del contratto collettivo come fonte145, per i
1998 e n. 387 del 1998), in Foro It. n.1, 1999; X. XXXXXXXX XXXXXX, Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi, in X. XXXXXXXX (a cura di), La riforma del giudizio di cassazione, Padova, 2009.
145 La scelta del legislatore di accostare la contrattazione sindacale alle norme di diritto, già contenute nell‟art. 360 c.p.c., e di ampliare il potere nomofilattico della Corte di Cassazione anche alle clausole contenute nei contratti ed accordi collettivi, è stata vista dalla dottrina giuslavorista come la conferma legislativa alla possibilità di configurare il contratto collettivo quale fonte di diritto, nono- stante la sua origine di carattere negoziale; come «l‟ultima tessera di un mosai- co, che da tempo si va ponendo, per una raffigurazione del contratto collettivo tendenzialmente equiparabile ad una fonte (in senso lato) del diritto oggettivo» (M. RUSCIANO, La metamorfosi del contratto collettivo, in Rivista Trimestrale del di- ritto di procedura civile2009, pp. 31-32.; in senso analogo Cfr. XXXXXXXX XXX- XXXXXXXXX, L‟altalena della contrattazione collettiva, in Atti del convegno AGI dal titolo “Diritto del lavoro anno zero?” tenutosi a Napoli il 28 e 29 Ottobre 2011, Napoli, 2012; X. XXXXXX, Le fonti del diritto, Milano, 2008; X. XXXX, Il giudi- zio di Cassazione dopo la riforma, in Rivista di diritto processuale, 2007; X. XXXXX- LI, Violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro, in X. XXXXXXXXXXXX,
X. XXXXXXXXXX - a cura di, Il nuovo giudizio di cassazione, Milano, 2007, p. 481; XXXXXXXX, La nuova disciplina del procedimento di cassazione: esegesi e spunti, in Giurisprudenza Italiana, 2006).
costituzionalisti sembra rimanere soltanto un indizio, che, se pur ri- levante, non risulta idoneo ad essere conclusivo sulla questione.
La dottrina costituzionalistica qui esaminata prende attenta- mente in considerazione queste innovazioni legislative che riducono la distanza tra contratto collettivo e legge, pur scandendo le distin- zioni che devono essere rispettate sul piano ermeneutico. Partendo dalla considerazione che, diversamente da quanto avviene per la legge, l‟interpretazione dei contratti collettivi è vincolata all‟uso dei canoni dettati dal codice civile, l‟A., infatti, riconosce che la scelta operata in numerose pronunce giurisprudenziali di prediligere criteri oggettivi d‟interpretazione del contratto a criteri soggettivi, compor- ta un avvicinamento tra la legge ed il contratto collettivo anche nel procedimento interpretativo146.
All‟esito dell‟analitica valutazione degli arresti dottrinali e giuri- sprudenziali, l‟A. ritiene, quindi, di poter qualificare il contratto col- lettivo come «fonte fatto di diritto scritto»147, al pari delle fonti in- ternazionali e comunitarie il cui uso è sempre più frequente anche nella prassi giurisprudenziale. Anche il contratto collettivo, infatti, ha natura di fonte atto nell‟ambito dell‟ordinamento sindacale, ma questa sua natura costitutiva viene ad assumere un rilievo diverso per l‟ordinamento giuridico, dove, al pari delle norme esterne al di- ritto statuale, «l‟entrata in vigore delle fonti attizie o fattizie degli al- tri ordinamenti ai quali il nostro si collega, dall‟angolo visuale di
146 Cfr. X. XXXXXXX, Le fonti normative nel Diritto del Lavoro … op. cit., p. 115.
147 Ivi, cit. p. 116.
quest‟ultimo, è il fatto che determina (quando lo determina) la neces- saria applicazione delle relative norme ai sensi del diritto interno»148.
Nel prossimo capitolo si avrà modo di sottolineare la rilevanza di questa affermazione ai fini della ricerca e le sue implicazioni sul ruolo che può essere riconosciuto alla legislazione statale nei con- fronti della contrattazione collettiva. Ma in questa sede è opportu- no sottolineare che l‟interessante conclusione alla quale tale dottrina costituzionalista perviene, proprio sul presupposto della mancanza di una norma interna al nostro ordinamento che riconosca nel con- tratto collettivo una fonte di diritto e ne consenta la qualificazione come tale, prende le mosse da una ricostruzione già offerta da in- fluente dottrina giuslavorista149, secondo la quale, sposando la cd. teoria pluriordinamentale, è possibile riconoscere nel contratto colletti- vo una fonte atto nell‟ambito dell‟ordinamento sindacale, espressione del principio della «libertà di organizzazione sindacale come stru- mento necessario per assicurare la effettività dell‟attività sindaca- le»150, ma una mera fonte fatto nell‟ordinamento statale.
Facendo sua tale ricostruzione ma andando oltre quest‟ultima, l‟A. chiarisce che «il fondamento del contratto collettivo come fonte (anche) del diritto statale è riposto nell‟autonomia collettiva come esplicazione della libertà sindacale; e il contratto collettivo non è fatto normativo extra ordinem fondato sulla mera effettività, bensì,
148 Ivi, cit. p. 117.
149 Cfr. X. XXXXX, Sulle fonti del diritto del lavoro. Autonomia collettiva e pluralismo giu- ridico, in Studi in onore di X. Xxxxxxx, Napoli, 2011, p. 1689.
150 Ivi, p. 119.
sul versante del diritto statale, è fatto normativo di diritto scritto»151; una fonte fatto destinata a svolgere un ruolo primario nella disciplina dei rapporti di lavoro, pur sempre, però, nel rispetto dei principi fissati dalla legge152.
L‟indagine sulla natura del contratto collettivo si inserisce, in- fatti, in una riflessione più generale sviluppata, dalla stessa dottrina, sull‟attuale ruolo della legge153, secondo la quale la funzione legisla- tiva consiste nel «mantenimento e ad, una, nello svolgimento o sviluppo della Costituzione, ossia dei valori fondamentali di cui è sostanziato l‟ordinamento»154. Da tale postulato l‟A. fa discendere due corollari:
151 X. XXXXXXX, Le fonti normative nel Diritto del Lavoro … op. cit., cit. p. 120.
152 Cfr. ivi, p. 138.
153 Cfr. X. XXXXXXX, La funzione legislativa, oggi, in X. XXXXXXX (a cura di), La funzione legislativa, oggi, Napoli, 2007.
154 Ivi, cit. p. 8.
In senso contrario si pone X. XXXXXXX, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in Atti del convegno dal titolo “Dalla Costi- tuzione „inattuata‟ alla Costituzione „inattuale‟? Potere costituente e riforme co- stituzionali nell‟Italia repubblicana” tenutosi a Ferrara il 24 e 25 Gennaio 2013, Milano, 2013, che, dichiarando di non condividere la tesi di Modugno secondo la quale «la legge sia costantemente lo svolgimento (per di più doveroso) della Costituzione», precisa: «ad escludere questa conclusione stanno sia la sussisten- za di spazi che la Costituzione lascia fatalmente liberi, sia la segnalata natura aperta del percorso di sviluppo e trasformazione sociale che questa ha traccia- to. Postulare l‟essenzialità dell‟intermediazione legislativa al fine dell‟attuazione (in senso proprio) costituzionale non equivale a funzionalizzare la legge, sem- pre e comunque, all‟attuazione» (cit. p. 61).
In modo analogo anche C. DE FIORES, Dalla Costituzione inattuata alla Co- stituzione “inattualizzata”, in ivi, lì dove sostiene che «l‟opzione modugnana ri- schia di degradare la funzione legislativa al rango di produzione normativa “a contenuto costituzionalmente vincolato” (o quantomeno necessario)», pur ri- conoscendo, però, che «è questo l‟impianto culturale che è ancora oggi soste- nuto e avallato dalla dottrina prevalente. Non si comprenderebbe altrimenti la
innanzitutto, che limitazioni alla legge, sia positive che negative, possono derivare solo dalla Costituzione stessa; in secondo luogo, che è la legge a doversi occupare della distribuzione delle compe- tenze normative all‟interno dell‟ordinamento.
Il riconoscimento della legge quale unica fonte in grado di mantenere, svolgere e sviluppare il disegno costituzionale non vuol dire, secondo tale dottrina, non riconoscere che l‟ordinamento co- stituzionale sia pluralistico e caratterizzato da molteplici sistemi di autonomie – tra i quali è esplicitamente menzionato il sistema di contrattazione sindacale – , ma sostenere che sia sempre e comun- que la legge ordinaria a scegliere di «ritrarsi (autolimitarsi) dalla di- sciplina di determinati settori o materie», lasciando che «in codesti ambiti le fonti di autonomia fungano da fonti primarie»155; potendo in qualsiasi momento disporre diversamente e riappropriarsi della po- testà normativa.
Il riconoscimento legislativo di tali forme autonome di norma- zione e la delimitazione degli ambiti di operatività a loro riservati, è ritenuto dall‟A., tra l‟altro, insieme alla delegificazione, il solo modo per la funzione legislativa parlamentare di riacquistare una posizione centrale nell‟ordinamento. Soltanto trasformandosi in «regola di ne- goziazioni» potrà continuare a svolgere il ruolo fondamentale affi- datole dalla Costituzione, poiché «la fonte emergente, nel panorama della teoria delle fonti, non può non essere che quella, variamente
tendenza a ricondurre lo stallo del processo di attuazione della Costituzione al declino dell‟indirizzo politico o alla crisi della legge» (cit. p. 146).
155 X. XXXXXXX, La funzione legislativa, oggi… op. cit., cit. p. 18.