Contract
30 Novembre 2012
Indice
1- L’accordo sulla produttività 1
2- Periodo di comporto e licenziamento 4
3- Cessione del credito a società finanziarie e 6
fondo garanzia
4- La successione dei contratti a termine 8
Tutti i diritti sono riservati alla Zucchetti S.p.a.
Redazione: Pedrazzini Raffaella, Calzari Alessandra, Fedele Barbara, Balestrieri Gloria
1- L’accordo sulla produttività
Fonti: L’accordo sulla produttività del 21 novembre 2012
La sottoscrizione dell’accordo “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia” è rilevante in quanto ad essa il Governo ha vincolato un forte stanziamento di risorse, quantificate nella Legge di stabilità in via di approvazione, da destinarsi ai contratti di secondo livello.
Si tratta di un documento programmatico con, tra i vari argomenti, una serie di richieste all’Esecutivo, il quale dovrebbe rispondere con, appunto, la Legge di stabilità e con un Decreto attuativo da emanare entro il 13 gennaio 2013.
L’accordo è sottoscritto dalle Associazioni imprenditoriali (Confcommercio, Confindustria, Abi, Ania, Rete Imprese Italia, Alleanza delle cooperative) e dalle Parti Sociali Cisl, Uil e Ugl.
L’organizzazione sindacale Cgil non ha invece sottoscritto il testo. Di seguito si riassumono i principali contenuti dell’intesa.
Detassazione e sgravi contributivi
Le Parti firmatarie sostengono che l’autonomia contrattuale debba essere valorizzata con riferimento, in particolare, alle intese finalizzate a perseguire i miglioramenti della produttività. Si aspettano, quindi, che Governo e Parlamento promuovano questi processi con adeguate e strutturali misure di incentivazione fiscale e contributiva.
La contrattazione di secondo livello è soggetta da anni a norme sperimentali che hanno durata limitata e sono modificate in continuazione; all’inizio di ogni anno non si sa se gli incentivi ci siano, in quale misura e a quali condizioni si possano applicare.
Tale situazione non incentiva la produttività.
Quindi, ciò che si richiede, nell’accordo sottoscritto, è l’impegno a rendere stabile la detassazione del salario di produttività, per chi ha un reddito da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, attraverso la determinazione di un’imposta sostitutiva (10%) dell’Irpef e delle addizionali.
Inoltre le Parti chiedono che vengano completamente applicati i contenuti della Legge n.247/2007, la quale, all’articolo 1, comma 67, prevede lo sgravio contributivo per incentivare la contrattazione collettiva di secondo livello fino al limite del 5% della retribuzione contrattuale percepita, con la seguente disposizione:
“… uno sgravio contributivo relativo alla quota di retribuzione imponibile di cui all’articolo 12, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, delle quali sono incerti la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati. Il predetto sgravio è concesso sulla base dei seguenti criteri:
a) l’importo annuo complessivo delle erogazioni di cui al presente comma ammesse allo sgravio è stabilito entro il limite massimo del 5 per cento della retribuzione contrattuale percepita;
1
b) con riferimento alla quota di erogazioni di cui alla lettera a), lo sgravio sui contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro è fissato nella misura di 25 punti percentuali;
c) con riferimento alla quota di erogazioni di cui alla lettera a), lo sgravio sui contributi previdenziali dovuti dai lavoratori è pari ai contributi previdenziali a loro carico sulla stessa quota di erogazioni di cui alla lettera a)”.
Riduzione del cuneo fiscale
Il tema della produttività è centrale per le Parti Sociali, che ritengono importante sia la crescita della produttività sia la crescita della competitività del Paese per consentire la ripresa dell’economia, dell’occupazione, del benessere sociale e un riequilibrio di bilancio.
Per tutto quanto sopra le Parti sollecitano un’azione del Governo che sia volta a creare le condizioni per favorire la crescita della competitività, definendo piani di intervento volti a:
- eliminare i limiti oggettivi che frenano la produttività, quali la burocrazia, la sicurezza, la legalità, ma anche l’energia, la logistica, i trasporti;
- rendere più equo il fisco, attraverso una riforma strutturale del sistema che alleggerisca la pressione fiscale, ad oggi sproporzionata e tale da disincentivare investimenti ed occupazione, nei confronti di imprese e lavoro.
Relazioni industriali e contrattazione collettiva
Viene ribadito che il contratto collettivo nazionale di lavoro è lo strumento per individuare e garantire i trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori, mentre è la contrattazione di secondo livello che si deve occupare delle regole per la produttività, attraverso un migliore impiego dei fattori di produzione e dell’organizzazione del lavoro.
L’accordo evidenzia, inoltre, che le soluzioni contrattuali di secondo livello possono essere utilizzate per:
• gestire processi di delocalizzazione,
• attrarre nuovi investimenti, anche dall’estero,
• affrontare situazioni di crisi, salvaguardando l’occupazione,
• favorire lo sviluppo delle attività esistenti e lo start up di nuove imprese,
• mantenere la competitività.
Per la realizzazione di quanto sopra l’intesa prevede che i contratti nazionali di lavoro, tenendo conto delle specificità dei diversi settori, affidino alla contrattazione di secondo livello la gestione flessibile degli orari di lavoro per rispondere alle diverse esigenze temporali della produzione e dei mercati.
Secondo le Parti firmatarie, quindi, i contratti collettivi devono essere strutturati secondo principi precisi.
In particolare, il contratto collettivo nazionale di lavoro:
“avendo la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di applicazione del contratto, deve perseguire la semplificazione normativa, il miglioramento organizzativo e gestionale, prevedere una chiara delega al secondo livello di contrattazione delle materie e delle modalità che possono incidere positivamente sulla crescita della produttività, quali gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”.
Inoltre:
“avendo l’obiettivo mirato di tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni, deve rendere la dinamica degli effetti economici, definita entro i limiti fissati dai principi vigenti, coerente con le tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore”; a questo riguardo si vuole superare ogni riferimento ad indicatori predefiniti (ad esempio l’indicatore dei prezzi al consumo) per gestire le dinamiche dei salari.
Infine, il contratto nazionale può destinare una quota degli aumenti economici derivanti dai rinnovi contrattuali alla pattuizione di elementi retributivi collegati alla produttività e redditività definiti dal secondo livello.
Tale quota resta, comunque, parte integrante dei trattamenti economici comuni per tutti i lavoratori del settore nel caso in cui non ci fosse la contrattazione di secondo livello.
Il contratto di secondo livello, invece:
“deve disciplinare, valorizzando i demandi specifici della legge o della contrattazione collettiva interconfederale e nazionale, gli istituti che hanno come obiettivo quello di favorire la crescita della produttività aziendale”.
Rappresentanza
L’intesa vuole dare concretezza all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, con il quale erano state definite le regole sulla rappresentanza sindacale, condizione per avere accordi collettivi rispettati ed esigibili.
Viene, quindi, previsto che entro il 31 dicembre 2012 debba essere approvata una normativa che disciplini la materia.
Partecipazione dei lavoratori nell’impresa e formazione
Nell’accordo si sollecita il Governo ad un approfondito confronto con le Parti sociali in relazione alle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al capitale, tenendo conto del fatto che la Legge n.92/2012 dispone che siano i contratti collettivi a dare attuazione alle misure per la partecipazione, e che il Governo possa esercitare la delega in materia.
In tema di formazione viene richiesto un miglior coordinamento tra il sistema pubblico e quello privato, non solo per ottenere maggiori benefici e migliori risultati, ma anche per favorire processi di coordinamento e indirizzo con le politiche attive.
Le parti sociali chiedono al Governo che si possano adottare “misure dirette ad agevolare l’attività formativa, anche nell’ambito di procedure di sospensione collettiva, cassa integrazione guadagni o di mobilità, in applicazione di accordi collettivi aziendali o territoriali volti a favorire la ricollocazione delle persone”.
Per questo viene chiesto di dare più spazio ai fondi interprofessionali per la formazione continua che operano efficacemente sia per l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori occupati, sia per i lavoratori coinvolti in sospensioni collettive dal lavoro.
Mercato del lavoro
Le Parti sociali ritengono sia necessario che il Governo si confronti con loro sui temi del mercato del lavoro, con riferimento, in particolare, alla verifica degli effetti della recente riforma sull’occupazione.
L’obiettivo è quello di individuare soluzioni utili a conciliare le esigenze delle imprese con quelle dei lavoratori più anziani, favorendo la transizione verso la pensione e creando nello stesso tempo nuova occupazione.
Contrattazione collettiva per la produttività
Da ultimo le Parti chiedono piena autonomia negoziale per la contrattazione collettiva su materie che oggi sono regolamentate prevalentemente dalla legge, ma che, direttamente o indirettamente, incidono sulla produttività del lavoro.
Le Parti si impegnano, quindi, ad affrontare in sede di contrattazione collettiva le problematiche più urgenti, quali:
- le tematiche relative all’equivalenza delle mansioni e all’integrazione delle competenze lavorative,
- la ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione anche con modelli flessibili, con la finalità del pieno utilizzo delle strutture produttive in modo da raggiungere gli obiettivi di produttività convenuti,
- le modalità attraverso cui conciliare l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti dei lavoratori.
In conclusione, le Parti, in conseguenza di tutto quanto sopra, chiedono che vengano assunti a livello legislativo provvedimenti coerenti con la presente intesa.
2- Periodo di comporto e licenziamento
Fonti: Nota protocollo del Ministero del Lavoro n.12886/2012 Legge n.604/1966
Legge n.92 del 28/06/2012
Il recesso, per superamento del periodo di conservazione del posto, non comporta l’avvio delle procedure per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Lo chiarisce il Ministero del Lavoro con la Nota protocollo del 12 ottobre 2012, prendendo in esame la Legge 604/66 e le modifiche ad essa apportate dalla Riforma del Lavoro.
Nella L.604/1996 l’art.1 disciplina i casi in cui si può verificare il licenziamento di un lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato:
• giusta causa;
• giustificato motivo.
In base a quanto stabilito dall’art.2119 del Codice Civile, il licenziamento per giusta causa si configura “… qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.”. Rientrano in questa fattispecie inadempienze talmente gravi da non consentire al datore di lavoro di proseguire il rapporto in quanto si è ormai perso il rapporto di fiducia precedentemente instaurato con il lavoratore.
Per comprendere il significato del giustificato motivo è necessario rifarsi a quanto previsto dalla L.604/1996 all’art.3, dove si prende in esame il “. notevole inadempimento..” che può riguardare:
•l’inottemperanza agli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro;
•ragioni riguardanti l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro.
Nella prima situazione rientrano tutte quelle fattispecie dove il lavoratore non riesce ad adempiere ai suoi obblighi lavorativi, con delle motivazioni che sono indipendenti dalla sua volontà.
Nella seconda ipotesi rientrano le situazioni in cui il datore di lavoro è costretto a ridurre il personale a causa di innovazioni tecnologiche che non rendono più necessari determinati reparti.
Con la L.92/2012 si sono apportate diverse novità: i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze più di 15 dipendenti devono:
Inviare una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro
Comunicare il motivo che ha portato al licenziamento ed eventuali misure che permettano la ricollocazione del lavoratore sul mercato del lavoro.
Presentarsi davanti ad una commissione provinciale di conciliazione con l’obiettivo di trovare un accordo.
Quest’ultima fase deve essere espletata da parte della Direzione territoriale, entro sette giorni dalla recezione della richiesta.
Entrambe le parti possono essere assistite.
Lavoratori rappresentanti sindacali
Datori di lavoro avvocato o consulente
Un altro termine previsto dalla procedura è quello dei venti giorni messo a disposizione dalla riforma Fornero perché le parti tentino di trovare un punto di accordo. Decorso inutilmente questo termine, il datore di lavoro è tenuto a comunicare il licenziamento al lavoratore.
La comunicazione deve:
• essere redatta in forma scritta;
• contenere i motivi che hanno portato al licenziamento;
• prevedere la possibilità di lavorare il periodo di preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva oppure la corresponsione dell’indennità sostitutiva di preavviso.
L’intervento della Direzione territoriale del Lavoro mira proprio a chiarire che il superamento del periodo di comporto, dovuto ad un periodo di malattia, non rientra nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Le motivazioni che sono alla base di questa indicazione sono da ricondurre alla ratio della norma. La riforma Fornero con la creazione di una nuova procedura e relativo tentativo di conciliazione, ha voluto prendere in esame i licenziamenti causati da una diversa
organizzazione dell’attività produttiva e non a quei licenziamenti che rientrino nella sfera personale del lavoratore.
La conseguenza immediata della Nota del Ministero è che, a tale licenziamento, non si deve applicare il nuovo procedimento previsto dalla Legge Fornero.
3 – Cessione del credito a società finanziarie e Fondo garanzia
Fonti: Circolare Inps n.89 del 26/06/2012
Anche le banche possono chiedere la liquidazione del Tfr al Fondo garanzia.
In attuazione della Direttiva Cee 987/1980, la Legge 297/1982 ha previsto l’istituzione presso l’Inps di un apposito fondo che garantisca la liquidazione del Tfr in caso di insolvenza del datore di lavoro. Tra i soggetti che possono richiedere l’intervento del fondo, oltre ovviamente al lavoratore interessato, ci sono:
• gli eredi;
• gli aventi causa (coloro ai quali si trasferiscono diritti e obblighi).
Nella fattispecie presa in esame dalla circolare, si ha l’istituto della cessione del quinto dello stipendio. Gli istituti bancari concedono il credito dietro presentazione di adeguata garanzia che, nel caso del lavoratore dipendente, si risolve nel porre a garanzia proprio il trattamento di fine rapporto. Nel momento in cui il datore di lavoro fallisce, gli aventi diritto possono chiedere quindi l’intervento del Fondo di garanzia.
Nel considerare l’iter da seguire l’Inps suddivide le casistiche in base all’assoggettamento o meno del datore di lavoro alle procedure concorsuali.
Datore di lavoro soggetto alle procedure concorsuali
Per quelle aziende che sono soggette alle procedure fallimentari e al concordato preventivo è necessario che si verifichino alcune condizioni:
• cessazione del rapporto di lavoro;
• apertura della procedura concorsuale;
• esistenza del Tfr.
La cessazione è un requisito fondamentale per chiedere la liquidazione del Tfr al Fondo garanzia. Si possono analizzare i seguenti casi:
Procedura | Rapporto di lavoro | TFR | Insolvenza |
Trasferimento d’azienda | Prevede la prosecuzione del rapporto di lavoro | Il nuovo datore di lavoro rimane obbligato a corrispondere il Tfr anche per quanto maturato nell’azienda precedente | Insolvenza del precedente datore di lavoro: non interviene il Fondo di garanzia. Insolvenza dell’ultimo datore di lavoro: interviene il fondo di garanzia |
Vendita di aziende in fallimento, amministrazione coatta ecc. | Non prevede la prosecuzione del rapporto di lavoro | Il nuovo datore di lavoro non è obbligato a corrispondere il Tfr (a meno di trattamento di miglior favore previsto dall’accordo sindacale) | Insolvenza del precedente datore di lavoro: interviene il Fondo di garanzia (fino alla data della vendita). |
Le procedure concorsuali che prevedono l’intervento del Fondo di garanzia sono quelle disciplinate dalla legge fallimentare (fallimento, concordato preventivo e liquidazione coatta) e dalla legge sull’amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza (L.270/99).
Compito del fondo di garanzia è anche quello di verificare la sussistenza del credito. Questa verifica viene effettuata indipendentemente dal fatto che chi richiede l’intervento sia il lavoratore o uno degli aventi causa. L’istituto bancario, nel caso di cessazione del quinto dello stipendio, si trova pertanto ad essere nella condizione di richiedere il recupero del credito.
In primis viene verificata l’entità del credito e quindi la quota di Tfr che è di competenza del fondo. Anche in questo caso è possibile prendere in esame alcune ipotesi:
• il credito che vanta il cessionario è superiore del Tfr;
• il credito che vanta il cessionario è inferiore del Tfr.
Nella prima opzione il lavoratore rimane obbligato nei confronti dell’istituto di credito per la parte residua. L’Inps chiede all’avente causa, la presentazione di una dichiarazione (SR131) dove si quantifica la parte del debito residuo.
Nella seconda opzione il lavoratore ha una quota di Tfr residua che potrà richiedere direttamente al Fondo garanzia.
Datore di lavoro non soggetto a procedure concorsuali
Per questa tipologia di aziende si devono verificare determinate situazioni:
• cessazione del rapporto di lavoro;
• attestazione che il datore di lavoro non è soggetto a procedura concorsuale;
• dimostrazione dell’insufficienza delle garanzie patrimoniali;
• esistenza di un credito per Tfr.
Per la cessazione del rapporto di lavoro valgono le stesse considerazioni già effettuate per le aziende soggette a procedure concorsuali.
In merito alla possibilità o meno di applicare la legge fallimentare bisogna riferirsi ai parametri economici indicati dalla legge stessa. La documentazione, che il lavoratore deve presentare per dimostrare l’esclusione del datore di lavoro alle procedure concorsuali, è la copia dell’istanza di reiezione del fallimento per insussistenza dei presupposti, rilasciata dal Tribunale.
Prima che il Fondo di garanzia intervenga, è necessario dimostrare con un atto giudiziario, l’insussistenza del credito. Le società finanziare, come gli altri aventi causa, devono essere in possesso di un atto che attesti l’insufficienza del patrimonio del datore di lavoro a soddisfare il credito.
Nel momento in cui il fondo garanzia interviene è necessario distinguere:
• Tfr sufficiente a colmare il debito;
• Tfr insufficiente a colmare il debito.
Nessun problema si evidenzia quando il Tfr copre l’intero importo del debito.
Nella seconda ipotesi invece il lavoratore, come nel caso di datore di lavoro soggetto alle procedure concorsuali, deve compilare la dichiarazione SR131 per accertare la parte di debito ancora da soddisfare.
4 - La successione dei contratti a termine
Fonti: D. Lgs. 368/2011; Legge n. 92/2012;
Decreto Legge n. 83/2012;
Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 27 del 7/11/2012; Interpello n. 37 del 22/11/2012.
La riforma del lavoro attuata con la legge 92/2012, così detta legge Fornero, introduce una serie di importanti novità in materia di contratti a termine, tra di essi la modifica al limite temporale che deve intercorrere tra la successione degli stessi.
La questione, relativa al termine che deve intercorrere fra le due assunzioni successive con contratto a tempo determinato, è sempre stata alquanto spinosa e la normativa è stata modificata al fine di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di detta tipologia di rapporto di lavoro.
L’intervallo fra i contratti prima della legge 92/2012
Prima dell’entrata in vigore della Legge Fornero, la normativa di riferimento era il D. Lgs. 368/2001 che, proprio per tutelare i lavoratori che venivano assunti con contratto di lavoro a tempo determinato e per non abusare di detta tipologia di contratto, prevedeva, qualora il lavoratore venisse riassunto a termine, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di una durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considerava tempo indeterminato.
Mentre, nel caso di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considerava, e si considera ancora , a tempo indeterminato dalla data di stipula del primo contratto (art. 5, comma 4).
Sempre nell’ottica di evitare il più possibile l’utilizzo distorto del contratto a tempo determinato la legge 92/2012, ha previsto delle modifiche più restrittive rispetto al passato.
La normativa modificata dalla legge 92/2012
La riforma Fornero ha modificato il comma 3, art. 5, D.Lgs. n. 368 del settembre 2001 stabilendo che, nel caso in cui il lavoratore venga riassunto a termine, entro il periodo di sessanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero novanta
giorni dalla data di scadenza di un contratto superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera tempo indeterminato.
Confrontando il citato comma 3, prima e post modifica, si evince che si sono allungati i termini necessari fra la successione dei due contratti a termine:
▪ da dieci a venti giorni per un contratto di durata fino a sei mesi;
▪ da sessanta a novanta per un contratto di durata superiore ai sei mesi;
per evitare la sanzione, che come sopra citato, consiste nel considerare a tempo indeterminato il secondo contratto stipulato con lo stesso lavoratore.
In via eccezionale, si prevede, tuttavia, che il suddetto termine possa essere ridotto a venti e a trenta giorni, ad opera dei contratti collettivi, nel caso in cui l’assunzione avvenga per:
▪ l’avvio di una nuova attività;
▪ il lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;
▪ l’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico;
▪ la fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo;
▪ il rinnovo o della proroga di una commessa consistente.
Con la circolare n. 27 del 7 novembre 2012 il Ministero del lavoro e del Politiche sociali, ha chiarito che nelle sopraelencate ipotesi, la contrattazione collettiva è “sollecitata”, a regolamentare tali fattispecie proprio perché la legge prevede, che in mancanza di un intervento della contrattazione collettiva, detta determinazione avverrà ad opera del Ministero del Lavoro, tramite una iniziativa a carattere sostitutivo, sentite le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Il decreto Sviluppo
In sede di conversione il Decreto Legge Sviluppo (Dl n. 83/2012), con l’art. 46 – bis, ha esteso i termini ridotti anche ad altre ipotesi, cioè alle attività stagionali di cui al Dpr n. 1525/1963, nonché di quelle individuate dagli avvisi comuni e dai contratti nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative, ed in ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Relativamente a quest’ultima modifica dell’art. 5, comma 3, la già citata circolare n. 27, ha chiarito che il riferimento ad “ogni altro caso previsto dai contratti collettivi”, di qualsiasi tipo, rende valida qualsiasi altra ipotesi di riduzione degli intervalli da parte della contrattazione nazionale, territoriale o aziendale, anche per occasioni diverse e ulteriori rispetto a quelle previste per i processi organizzativi sopra illustrati, senza che in tal caso sia previsto un ruolo sostitutivo del Ministero.
Alla luce di questo intervento del Ministero, la modifica in questione, ha di fatto azzerato il significato della parte del comma 3, art. D.Lgs. n. 368/2001 – introdotta dalla Legge 92/2012 - che prevedeva che la contrattazione collettiva potesse ridurre gli intervalli di tempo fra due contratti a tempo determinato successivi, ma solo in presenza di ipotesi organizzative qualificate.
L’istanza di interpello di Federalberghi
Detto quanto sopra, Federalberghi ha avanzato una istanza di interpello per conoscere il parere della Direzione generale per l’Attività Ispettiva relativamente alla disposizione di cui all’art. 46
– bis, comma 1, lett. A) del Dl 83/2012 “afferente l’applicabilità della riduzione degli intervalli anche per le attività di carattere stagionale di cui al comma 4 ter dell’art. 5”, se la stessa “possa considerarsi immediatamente applicabile anche nelle ipotesi di discipline contrattuali adottate anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 92/2012 e del D.L. n. 83/2012”
La risposta del Ministero del Lavoro è stata data con la riposta all’interpello n. 37 del 22 novembre 2012, con la quale ha confermato che ritiene possibile che gli intervalli tra due contratti a tempo determinato si possano intendere ex lege ridotti per tutte le ipotesi indicate dall’art. 5, comma 4 – ter del D.Lgs. n. 368/2001 e dunque anche per tutte le attività stagionali individuate dalle parti sociali in applicazione dello stesso comma 4 – ter.
Perciò, per il Ministero del Lavoro, è da ritenersi pienamente efficace, anche ai fini dell’individuazione delle ipotesi di riduzione degli intervalli tra due contratti a termine, ogni eventuale disciplina ammessa in sede collettiva anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 92 /2012 e del Dl n. 83/2012.
Se ne evince che sono pienamente valide per le riduzioni degli intervalli in questione, sia per le attività di carattere stagionale individuate dalle parti sociali prima delle suddette modifiche legislative, che qualsiasi altra casistica individuata dalle stesse.
Accordi
In piena attuazione di quanto previsto dalla circolare n. 27 del 7 novembre, il settore del turismo ha stipulato diversi accordi ad hoc, per ridurre il periodo di attesa tra i due contratti, e più precisamente in data:
✓ 21 novembre 2012, Accordo sottoscritto da FEDERALBERGHI – FIPE – FIAVET – FAITA – CONFCOMMERCIO – FILCAMS – FISASCAT – UILTUCS;
✓ 22 novembre 2012 Accordo sottoscritto da 2012 FEDERTURISMO Confindustria – AICA
– Filcams – Fisascat – Uiltucs;
✓ 28 novembre 2012 Accordo sottoscritto da ASSOTURISMO – ASSHOTEL – FIEPET – ASSOVIAGGI – ASSOCAMPING – FIBA – CONFESERCENTI – FILCAMS – FISASCAT – UILTUCS.