UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI XXXXXX XXXXXXXX XX
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DELL’ECONOMIA
XXVII CICLO
GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO SUI CONTRATTI DERIVATI
COORDINATORE
XXXXX.XX XXXX. XXXXXXX XXXXXXXX
TUTOR CANDIDATO
CHIAR.MOPROF. XXXX.
XXXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXXX XXXXX XXXXXXXX
Anno accademico 2014/2015
INDICE
INTRODUZIONE 5
CAPITOLO I
I RAPPORTI GIURIDICI PENDENTI NEL FALLIMENTO: IL LUNGO
PERCORSO VERSO L'ELABORAZIONE DI UNA DISCIPLINA GENERALE.
1. Definizione e limiti dei rapporti giuridici pendenti 12
2. L'assenza di una disciplina generale e il ricorso alla risoluzione
di diritto comune nella legislazione anteriore al 1942. 15
3. La perdurante mancanza di una normativa generale sui rapporti giuridici pendenti nella legge fallimentare del '42. 18
4. Il contributo dottrinale e giurisprudenziale nella elaborazione
di una regola di portata generale 20
5. Sospensione dell'esecuzione e scioglimento automatico del contratto tra esigenze concorsuali e disposizioni di diritto comune 23
6. La regola generale della sospensione dell'esecuzione
del contratto nella riforma della legge fallimentare 31
7. Effetti del fallimento sul rapporto. 33
8. Il fondamento della regola generale dettata dall’art. 72 l. fall 36
CAPITOLO II
CONTRATTI DI BORSA A TERMINE: DEFINIZIONE E LIMITI DELLA CATEGORIA
1. La disciplina degli effetti del fallimento sui contratti di borsa
a termine 39
2. La natura giuridica della «risoluzione» nell'originaria formulazione dell'art. 76 l. fall 41
3. Contratti di borsa a termine: il ruolo dell'art 203 t.u.f. nell'estensione applicativa dell'art. 76 l. fall. agli strumenti finanziari derivati 43
CAPITOLO III
STRUMENTI FINANZIARI E DERIVATI: DALLA LEGGE 2 GENNAIO 1991 N. 1 AL REGOLAMENTO EMIR.
1. Origini storiche e diffusione dei contratti derivati 51
2. La disciplina dei derivati nella legislazione corrente 53
3. La natura giuridica dei contratti derivati 57
4. Classificazione dei contratti derivati tra dottrina
e prassi dei mercati finanziari 62
5. Gli elementi essenziali dei contratti derivati 93
6. Il termine di adempimento e l'inopponibilità
dell'eccezione di gioco e scommessa 102
7. Le tipologie di investitori e l'incidenza della natura giuridica
del derivato. 109
8. Regolamento EMIR: obbligo di segnalazione degli strumenti finanziari derivati 114
CAPITOLO IV
GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO SUI CONTRATTI DERIVATI
1. La disciplina positiva: contenuti, funzione e
questioni controverse 120
2. Close-out netting: struttura e funzione della clausola 125
3. Il d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170 131
4. Questioni risolte alla luce della declaratoria di
validità ed efficacia 134
5. La stabilità degli effetti e i problemi legati alla conversione 138
6. L’assoggettamento alla azione revocatoria fallimentare 145
7. L’invalidità delle operazioni da cui scaturiscono
le posizioni reciproche 148
8. Conclusioni 151
BIBLIOGRAFIA 156
INTRODUZIONE
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare i rapporti tra il fallimento e gli strumenti finanziari derivati. La ricerca è affrontata partendo dall'analisi delle questioni più complesse che antecedentemente alla riforma della legge fallimentare hanno interessato la disciplina relativa ai contratti pendenti ed in particolar modo i contratti di borsa a termine. Trovando il proprio fondamento in una realtà mercantile largamente governata e regolata dagli usi, talune perplessità sono sorte, soprattutto in dottrina, in relazione al novero dei contratti da ricomprendere nella locuzione «contratti di borsa a termine», non identificato da alcuna norma, e in merito all'applicabilità della norma a contratti, pur qualificabili come «di borsa a termine», in ragione della loro natura, ma conclusi al di fuori della borsa. Come più diffusamente si dirà in prosieguo, secondo la ricostruzione più condivisibile, il profilo rilevante ai fini dell’applicazione della norma deve essere rinvenuto nella causa del contratto, vale a dire nel fatto che si tratti di un contratto ad eminente contenuto finanziario e mobiliare, con attitudine speculativa, causalmente caratterizzato dall'esecuzione differita con assunzione dell'alea derivante dalla variazione, in un certo termine, dei valori o indici di mercato di uno o più beni o valute. E occorrerà, altresì, che quel termine non sia decorso alla data del fallimento.
Sulla base di tale ricostruzione e dell'incontrovertibile dato normativo di cui all'art art. 203 del d.lgs. 24 ottobre 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza), non può che concludersi che la disciplina dell'art. 76 trovi applicazione anche in relazione agli strumenti finanziari cosiddetti
«derivati» di cui all'articolo 1, comma 2 lett. d), e), f), g), h), i) e j), nonché al comma 1-bis, lett. d), del t.u.f.
Lo schema dei contratti su derivati, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, ha origine molto risalente, al punto che finanche nella storia antica, come vedremo, è dato rinvenire diversi esempi di negoziazioni che rievocano i contratti derivati. Tuttavia, la nascita e l’ampia diffusione dei contratti derivati, e segnatamente dei contratti derivati finanziari come oggi li conosciamo, può farsi risalire all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, con l'introduzione negli Stati Uniti dei futures sulle valute. La prepotente e per certi versi ancora inarrestabile evoluzione del mercato dei derivati si ha, però, tra la fine degli anni '90 e i primi anni del 2000, con l'introduzione dei derivati su indici economici, derivati immobiliari, fund derivatives, derivati di credito, i derivati su condizioni atmosferiche e sull'energia.
La legge non prevede una nozione tecnica di contratto derivato avente ad oggetto strumenti finanziari né all'interno del codice civile né nella disciplina specialistica.
La letteratura civilistica tradizionale inquadra i contratti derivati
nell'ambito del fenomeno del collegamento negoziale.
La categoria dei “contratti derivati finanziari”, invece, è tale da ricomprendere tutti quegli accordi contrattuali atipici, di natura finanziaria consistenti nella negoziazione a termine di un'entità economica e nella relativa valorizzazione autonoma del cd. “differenziale” emergente dal raffronto fra il “prezzo” dell'entità al momento della stipulazione ed il suo valore alla scadenza pattuita per l'esecuzione.
Gli strumenti finanziari derivati sono per definizione strumenti a termine, ovvero almeno una delle prestazioni (certa e determinata o solo determinabile) deve essere eseguita in un termine o in una data prefissata. Ampia parte della dottrina sostiene che l'apposizione di un termine di adempimento ad una prestazione determinata o determinabile sarebbe determinante nel rendere la prestazione dedotta in contratto come aleatoria: la misura della stessa prestazione, infatti, sarebbe rimessa al mero verificarsi di eventi esterni, legati all'andamento del mercato che,
per definizione, non possono essere sotto il dominio delle parti.
In considerazione di ciò, si è posto l'interrogativo circa l'applicabilità dell'eccezione di gioco ai contratti derivati.
Al fine di superare tale critica e, dunque, con l'intento di proteggere entrambe le parti contraenti di un contratto derivato, il legislatore era già intervenuto con il D. Lgs. n. 415/1996, ed ora con l'art. 23, comma 5,
T.U.F.) in cui ha stabilito espressamente che l'eccezione di gioco o scommessa (ex art. 1933 cod. civ.) non è invocabile per i derivati perfezionati nell'ambito di un servizio di investimento, in quanto stipulati nell'ambito di un'attività meritevole di tutela e regolamentata a salvaguardia dei risparmiatori. Tuttavia, la dottrina, come si dirà, continua ad esprimere talune perplessità.
Per quanto attiene più strettamente l'oggetto della presente ricerca, la legge fallimentare italiana non si occupa espressamente e direttamente dei contratti derivati che siano stati stipulati dal fallito, né nelle norme relative ai contratti pendenti, né in quelle che stabiliscono gli effetti del fallimento per i creditori. Se ne occupa, tuttavia, l’art. 203 TUF che, fatta eccezione per il caso di cui all’art. 90 TUB (continuazione dell’esercizio dell’impresa negli istituti di credito), dichiara applicabile l’art. 76, l. fall. “agli strumenti finanziari derivati, a quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18, comma 5, lett. a), alle operazioni a termine su valute nonché alle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto”.
Si può osservare, tuttavia, che già prima del suddetto intervento legislativo, la dottrina proponeva l’applicazione analogica dell’art. 76 l. fall. alla fattispecie, giustificandola con le stesse esigenze di liquidità dei mercati finanziari poste a base delle discipline straniere più recenti.
E’ verosimile, pertanto, che il legislatore del TUF abbia scelto questa soluzione per allinearsi, almeno in parte, alle regole ormai vigenti negli
ordinamenti più evoluti (in particolare, quelli europei e nordamericani) e sulla base delle stesse motivazioni che sottostanno a tali discipline.
Vero è che l’obiettivo normativo è stato perseguito piegando a tale scopo una norma, l’art. 76 l. fall, la cui ratio originaria era rivolta a proteggere non tanto l’interesse dei mercati, quanto l’integrità del patrimonio del fallito dal rischio connaturato ai contratti a termine. Ed è anche vero che nell’ordinamento fallimentare italiano sopravvivono disposizioni la cui applicazione potrebbe in qualche modo compromettere la pronta liquidazione di quei contratti secondo le regole volute dalle parti.
In particolare, le clausole di netting si confrontano con una disciplina della compensazione dei crediti della parte in bonis che evidentemente la ammette in via di eccezione alla regola del concorso perché la immagina applicata a situazioni occasionali ed in ogni caso la circonda di particolari cautele volte ad evitarne l’utilizzo a scopi fraudolenti.
E’ difficile pertanto trovarla compatibile, da un punto di vista sistematico, con una compensazione di massa di numerose e rilevanti posizioni di debito e credito la cui applicazione è per giunta collegata, dalla clausola di close-out netting, proprio all’insolvenza o al fallimento del contraente.
Queste considerazioni potrebbero pertanto giustificare un’interpretazione restrittiva almeno di alcune clausole previste dai
master agreements, supportata dalle esigenze di cautela e dall’opportunità di contenere l’eccesso di protezione della parte in bonis che oggi la dottrina statunitense segnala.
E pertanto, se all’art. 76 l. fall. non è estranea un’esigenza di tutela del patrimonio del fallito, si potrebbe interpretare la norma nel senso di escludere dallo scioglimento automatico almeno i contratti derivati che conservino comunque un valore per l’impresa fallita (come quelli stipulati per finalità assicurative) e si potrebbe subordinare l’operatività delle clausole di netting al rispetto del limite annuale previsto dall’art. 56
l. fall. anche se il master agreement in cui sono contenute sia anteriore, se il limite di cui al 2° comma debba ritenersi operante per qualsiasi atto tra vivi idoneo a generare un credito suscettibile di compensazione.
Gli accordi di close-out netting (ovvero di compensazione per close- out), lungi dal rappresentare tipi negoziali autonomi, rientrano tra le clausole normalmente – ma non necessariamente - contenute nei Master Agreements che gli intermediari finanziari fanno sottoscrivere alla clientela al fine di sottoporre la successiva operatività su strumenti finanziari a una disciplina unitaria . Gli accordi in esame permettono che, al verificarsi di certi eventi (contrattualmente predefiniti), le operazioni poste in essere dalle parti in base al Master Agreement e ancora pendenti possano formare oggetto di una vicenda di carattere compensativo: così permettendo di considerare esistente solo l’esposizione netta (ossia il
saldo risultante dalla compensazione delle posizioni reciproche).
Gli accordi di close-out netting hanno formato oggetto di specifica attenzione da parte del nostro legislatore nell’ambito della disciplina dedicata ai contratti di garanzia finanziaria e introdotta dal X.Xxx. 21 maggio 2004, n. 170. Facendo seguito alla definizione di cui all’art. 1 lett. f , il successivo art. 7 riconosce la clausola in oggetto come «valida ed efficace, in conformità di quanto dalle stessa previsto, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione nei confronti di una delle parti». Tuttavia, malgrado il riconoscimento della loro validità ed efficacia, esse continuano a suscitare diversi problemi, fra cui, ad esempio, quello della «giustezza» dei criteri di conversione delle posizioni reciproche in addendi fra loro omogenei
Questa breve panoramica evidenzia, dunque, come il tema oggetto del presente studio sia denso di problematiche, che saranno esaminate, talora anche con spirito critico, nel corso della trattazione, al fine di delineare gli effetti del fallimento sugli strumenti finanziari derivati.
CAPITOLO I
I RAPPORTI GIURIDICI PENDENTI NEL FALLIMENTO: IL LUNGO PERCORSO VERSO L'ELABORAZIONE DI UNA DISCIPLINA GENERALE.
SOMMARIO: §1. Definizione e limiti dei rapporti giuridici pendenti – §
2. L'assenza di una disciplina generale e il ricorso alla risoluzione di diritto comune nella legislazione anteriore al 1942 - §3. La perdurante mancanza di una normativa generale sui rapporti giuridici pendenti nella legge fallimentare del '42 - §4. Il contributo dottrinale e giurisprudenziale nella elaborazione di una regola di portata generale - §5. Sospensione dell'esecuzione e scioglimento automatico del contratto tra esigenze concorsuali e disposizioni di diritto comune - §6. La regola generale della sospensione dell'esecuzione del contratto nella riforma della legge fallimentare - §7. Effetti del fallimento sul rapporto - §8. Il fondamento della regola generale dettata dall'art. 72 l. fall.
1. Definizione e limiti dei rapporti giuridici pendenti.
Il fallimento, come è noto, coinvolge l'intero patrimonio del debitore, e quindi necessariamente una serie di rapporti giuridici costituiti prima della dichiarazione di fallimento.
Si fa riferimento, in particolare, ai rapporti giuridici “pendenti”, intendendosi per tali quei rapporti instaurati dal fallito antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e che non abbiano avuto completa
esecuzione da entrambe le parti1.
1Secondo SANZO, Fallimento e rapporti pendenti, in Procedure concorsuali e rapporti giuridici pendenti, Roma, 2007, p 1, “si utilizza l'espressione «tipizzata» dal legislatore, anche se è convincimento comune che la locuzione «effetti del fallimento sui rapporti pendenti» sia, oggi, decisamente riduttiva: tanto alla stregua della constatazione che, nella nuova disciplina, sono diversi i casi in cui, a dispetto di una dichiarazione di fallimento, le norme di cui agli articoli 72 ss. potrebbero non trovare applicazione, ad esempio per l'attuazione dell'esercizio provvisorio, ovvero in presenza
La riforma del diritto fallimentare – iniziata nell'anno 2002 con l'istituzione di una Commissione di riforma (c.d. Commissione Trevisanato) e poi proseguita con gli interventi legislativi operati dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, poi seguito dal d.lgs. 12 settembre 2007, n.
169, dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 e, in ultimo, dal d.l. 21 giugno 2013,
n. 69 – ha apportato a tale fattispecie significative modifiche.
Se, invero, alla data del fallimento la formazione del rapporto contrattuale è ancora “in itinere”, non si può parlare di rapporto preesistente in quanto il vincolo giuridico ancora non è sorto3. Già ante riforma, del resto, autorevole dottrina sottolineava che “negli articoli 72 ss, non è in discussione, di regola, l'opponibilità della fattispecie ai creditori. Questa risulta già perfetta ed efficace in relazione alla
3Per X. XXXXXXXXX, La disciplina generale dei rapporti pendenti, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da X. Xxxxxxxx – F.P. Xxxxx – X. Xxxxxxxxx, Torino, 2014, p. 122, la legge fallimentare disciplina, secondo la formula utilizzata dal legislatore nella sezione IV del capo III, gli effetti del fallimento «sui rapporti giuridici preesistenti», cioè su quei contratti a prestazioni corrispettive effettivamente perfezionati prima della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, che abbiano ad oggetto beni compresi nel fallimento, e che siano contraddistinti dal carattere della opponibilità alla massa dei creditori concorrenti, ma le cui contrapposte prestazioni, alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, siano rimaste ineseguite del tutto, ovvero in parte, da entrambi i contraenti.
Con riguardo alla fattispecie in oggetto, deve trattarsi inoltre di rapporti giuridici rispetto ai quali, alla data del fallimento, residuano a carico di ciascuna parte delle prestazioni da eseguire.
Non rilevano, invece, i rapporti contrattuali che alla data di dichiarazione del fallimento risultano “unilaterali”, in quanto se ad essere obbligato è il contraente in bonis, il diritto alla prestazione compete al fallimento, che lo fa valere tramite i suoi organi; se obbligato è il fallito il credito del contraente in bonis è sottoposto alla falcidia concorsuale.
Al fine di considerare il contratto eseguito o meno da una delle parti, è
4Così X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni di Diritto Fallimentare, Milano, 1994, 269. 5In tal senso, sempre XXXXXXXXX, op.cit., p. 122 secondo cui: «Dal loro ambito sono pertanto esclusi sia i contratti unilaterali, sia quei contratti bilaterali nei quali, in ragione dell'avvenuto integrale adempimento della prestazione ad opera di una parte, residui soltanto il diritto di credito dell'altra parte a ricevere la propria controprestazione, seppure secondo le regole del concorso. In questo caso, infatti, l'originaria struttura bilaterale del contratto, tale alla data del fallimento, è venuta meno, residuando nello schema soltanto un rilievo unilaterale».
6Secondo JORIO, Il fallimento, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da Xxxxxxx, Padova, 2009, p.476, per contratto non compiutamente eseguito il legislatore ha voluto indicare sia i contratti di durata le cui prestazioni risultano, rispetto alla data del fallimento, solo in parte eseguite, sia quelli sottoposti a condizione sospensiva che, per loro natura, non sono interamente eseguiti.
necessario, inoltre, avere riguardo alle obbligazioni fondamentali e “tipiche” che ad ognuna delle parti derivano dal negozio7. A tal proposito, va altresì precisato che un contratto può considerarsi completamente eseguito quando, oltre ad essere state eseguite le prestazioni dovute, esso abbia raggiunto il suo scopo8.
Questi essendo i connotati generali dei contratti “pendenti”, vediamo ora a quale disciplina, nell’evoluzione storica del diritto fallimentare, gli stessi sono stati assoggettati.
2. L'assenza di una disciplina generale e il ricorso alla risoluzione di diritto comune nella legislazione anteriore al 1942.
La disciplina degli effetti della dichiarazione di fallimento sui contratti
7Cfr. da ultimo X. XXXXXX, Sub art 72, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Xxxxxxxxx, Milano, 2010, p. 347, nonchè Cass. 14 febbraio 2001, n. 2104 in Fallimento, 2001, p.1335: “la stessa Corte ha ritenuto che il contratto di vendita in questione, riguardato ai fini delle disposizioni dell'art. 72 l.f., dovesse ritenersi già eseguito dalla venditrice alla stregua del principio secondo il quale, doveva aversi riguardo alle obbligazioni fondamentali - e, può aggiungersi, tipiche, secondo la configurazione normativa e in relazione alla funzione di ciascuno schema contrattuale - che ad ognuna delle parti derivano dal negozio, onde nel caso di vendita, la prestazione del venditore deve ritenersi eseguita quando, prima del fallimento, sia intervenuto il trasferimento della proprietà”; ed ancora la fondamentale Xxxx. Sez. I, 30 maggio 1983, n.3708, in Diritto Fallimentare, 1984, II, 122 : “per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento il contratto non sia stato eseguito da entrambe le parti, occorre avere riguardo alle obbligazioni fondamentali che a ciascuna di esse derivano dal negozio e non anche alle prestazioni accessorie: pertanto, in caso di vendita la prestazione del venditore deve ritenersi eseguita quando prima del fallimento sia intervenuto il trasferimento della proprietà e la cosa sia stata consegnata all'acquirente, mentre è irrilevante che non siano stati consegnati i titoli e i documenti relativi al diritto trasferito e che non si sia proceduto alla riproduzione del negozio in forma pubblica”.
in corso di esecuzione, la cui collocazione sistematica è stata sempre problematica, ha subìto nel corso del tempo un travagliato processo di elaborazione normativa.
Prima della legge fallimentare del 1942 la fattispecie era disciplinata da poche norme contenute, sia nel codice civile del 1865, sia nel codice di commercio del 1882, nell'ambito della disciplina dei singoli tipi contrattuali, ferma restando una sorta di disciplina generale rinvenibile negli artt. 804-806 c. comm.9. L'oggetto di quelle norme era limitato alla disciplina delle merci vendute al fallito, rispetto alle quali alla data del fallimento egli non aveva pagato il prezzo, ovvero che ancora non erano state a lui consegnate, rispetto alle quali era prevista la possibilità di rivendica , ovvero di ritenzione10.
9Vedi artt. 804, 805 806 del codice di commercio del 1882; nonché cfr GABRIELLI,
op.cit., p. 123.
10 In tale ultimo caso, ex art. 806 c.comm., «il curatore coll'assenso della delegazione dei creditori e coll'autorizzazione del giudice delegato, può farsi consegnare le merci, pagandone al venditore il prezzo convenuto». La possibilità del curatore di far proprio il contratto a favore della massa era considerata prova che la dichiarazione di fallimento non determinava la risoluzione del contratto, poiché quello del curatore veniva definito come un « diritto d'opzione del curatore, che non è soggetto a limiti di tempo, ma che bisogna ammettere sia limitabile mercé costituzione in mora dell'altra parte interessata a disporre dell'oggetto della prestazione». In tal senso anche X. XXXXXXX, Del Fallimento, II, Milano, 1928, p. 601.
11Anche all’epoca, infatti, se residuava solo il credito era del fallito lo avrebbe potuto far valere il curatore; nell’ipotesi inversa, il creditore del fallito si sarebbe potuto servire delle norme relative alla verificazione dei crediti per ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.
In particolare, si poneva il dubbio «se, quando il fallito non adempie in tutto o in parte alla sua obbligazione, possa tuttavia esservi astretta l'altra parte, o se debba seguirne la risoluzione del contratto»12.
In argomento, mancando una disciplina di carattere generale in materia, la dottrina riteneva di applicare per analogia le norme del diritto comune13, distinguendosi così alla data del fallimento tra contratti adempiuti, ovvero parzialmente adempiuti, e contratti non adempiuti14.
Xxxxxxx li avesse ritenuti vantaggiosi per la massa, era inoltre data la possibilità al curatore di mantenere fermi gli effetti del contratto: in tal caso, oltre a far valere nei confronti della controparte il diritto del fallito all'esecuzione del contratto, doveva contestualmente adempiere alle
12Cfr, XXXXXXX, Trattamento del fallito, vol. I, Milano, 1903, p.355, il quale – laddove si aderisse alla prima ricostruzione – pone l'ulteriore dubbio «se non possa anche il curatore essere tenuto all'esecuzione dell'obbligazione del fallito, divenendo allora il credito dell'altra parte un debito della massa».
13Cfr, XXXXXXX, Trattamento del fallito, vol. I, Milano, 1903, p.356 il quale riteneva che si dovesse ricorrere «alle norme del diritto comune ed applicarle agli altri contratti fin dove il comporta l'analogia».
14Al riguardo, osserva XXXXXXXXX, op. cit. p. 122, «Il contratto adempiuto al momento dell'apertura del concorso determinava pertanto un credito alla controprestazione a favore della massa, se l'adempimento era stato del fallito anteriormente alla dichiarazione di fallimento; a favore dell'altra parte, se di questa era stato l'adempimento, che avrebbe però dovuto comunque essere governato dalle regole del concorso e della verificazione dei crediti, essendo quel credito divenuto per effetto del fallimento “concorsuale”. Il contratto non adempiuto da alcuna parte per effetto del fallimento non poteva considerarsi risolto. Si sosteneva sul punto che «sorta una reciproca ragione di credito e debito, nessuna delle parti dovrebbe avere il diritto di recedere senza il consenso dell'altra».
La risoluzione di diritto - giuridicamente riconducibile allo schema della condizione risolutiva – era invece ritenuta ammissibile laddove contrattualmente calata in una clausola risolutiva ipso jure, per il fatto del fallimento, ovvero perché nel contratto fosse stata apposta in ragione della semplice cessazione o sospensione dei pagamenti». tali ultime clausole erano da rinvenirsi ammissibili in considerazione dell'interesse meritevole di tutela di evitare sia l'obbligo di costituzione in mora, sia le lentezze della procedura fallimentare, sia l'incertezza che finiva per gravare sulla sorte del contratto per la sostituzione con la massa del creditore originariamente in bonis (e poi fallito).
obbligazioni a suo tempo assunte dal fallito15.
La disciplina precedente alla legge fallimentare del 1942, dunque, si caratterizzava in funzione della struttura unilaterale, ovvero bilaterale, del contratto, piuttosto che per la distinzione secondo il tipo ed il sotto- tipo16. In considerazione di ciò, si serviva essenzialmente della disciplina propria dei meccanismi della risoluzione, nella prospettiva dell'eccezione di inadempimento17, ovvero della clausola risolutiva ipso iure.
Tale sistema, seppur privo di un'organica coerenza, si caratterizzava comunque per una propria efficacia applicativa.
3. La perdurante mancanza di una normativa generale sui rapporti giuridici pendenti nella legge fallimentare del '42.
L'introduzione della legge fallimentare del 1942 ha modificato la regolazione in materia. Si è passati cioè da una disciplina per strutture contrattuali ad una disciplina per tipi e per sotto-tipi.
Nella sua originaria formulazione, infatti, il r.d. 16 marzo 1942 n. 267 dedicava ai rapporti giuridici pendenti una disciplina più ampia ed articolata, anche se il disegno normativo rimaneva, al pari di quello
precedente, sostanzialmente frammentario e disorganico18.
16In tal senso XXXXXXXXX, op. cit., p. 125.
17Cfr. art. 805 c. comm.
18Secondo X. XXXXXXX, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, in Il
La sezione IV del capo III della legge fallimentare, nel disciplinare gli effetti del fallimento sui contratti pendenti, si limitava infatti esclusivamente a regolare in maniera distinta determinati “tipi contrattuali” legali (vendita non ancora eseguita da entrambi contraenti; contratto di somministrazione, contratti di associazione in partecipazione, contratti di conto corrente, mandato, commissione, appalto, assicurazione), sotto-tipi legali (vendita a termine ovvero a rate; locazione di immobili, contratti di borsa a termine), e, infine, tipi nominativi ricompresi in leggi speciali (contratto di edizione).
L'approccio ricostruttivo di fondo continuava dunque ad essere quello connesso alla singolare natura dei contratti, «sui quali scende la falcidia del fallimento, che li coglie di sorpresa tra il momento della conclusione e quello dell'esecuzione»19. Contratti che la stessa dottrina definiva
«interrotti ed imperfetti, perché le loro prestazioni risultano, al momento della dichiarazione di fallimento, non eseguite, o quanto meno non integralmente eseguite, ma che, a seguito della revoca del fallimento, possono riprendere vita, nel senso che l'ex fallito, tornato in bonis, se essi nel frattempo non abbiano avuto alcuna definitiva esecuzione da
diritto fallimentare riformato, Commento sistematico, a cura di X. Xxxxxxx Xx Xxxx, Padova, 2007, p. 213, la rubrica della Sezione IV, prima della riforma, era «giustamente molto enfatica», in quanto «sembrava promettere una disciplina organica dei rapporti giuridici preesistenti, che in realtà non esisteva». Secondo Xxxxxxx Xx e Borgioli, Il Fallimento, Milano, 1995, p. 372, nota 1, la rubrica della Sezione IV, ante riforma, si limitava a raggruppare norme frammentarie, scarsamente coordinate e notevolmente lacunose, le quali, molto modestamente, si limitavano a regolare distintamente alcuni specifici rapporti, trascurandone molti altri di pur notevole importanza e neppure tentando un regolamento organico e sistematico della materia.
19In tal senso X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 125.
parte del curatore, avrà diritto di pretenderne l'adempimento, dovendone ovviamente eseguire anche le obbligazioni»20.
Ciò posto, era però evidente che, nel limitare la previsione soltanto ad alcuni tipi negoziali, e in difetto di un regolamento organico e sistematico della materia, l’originario impianto normativo finiva per alimentare dubbi interpretativi e incertezze applicative circa la sorte, in ambito fallimentare, di molte figure contrattuali, pure di notevole importanza, alcune delle quali già tipiche ed altre medio tempore assurte ad autonoma “tipizzazione sociale”21.
4. Il contributo dottrinale e giurisprudenziale nella elaborazione di una regola di portata generale.
A porre rimedio alla lacunosità ed alla frammentarietà di quel quadro normativo, ancora una volta, è stata l'opera dell'interprete. Dottrina e giurisprudenza, attraverso il coordinato esame delle norme riguardanti i singoli contratti, ed in particolare quelle relative al contratto di compravendita, avevano ricavato la disciplina generale applicabile.
20In tal senso X. XXXXXXXXX, op loc.. ultt. cit.
21Cfr. FERRARA e BORGIOLI, Il fallimento, Milano, 1995, cit. 372, nota 1. Il vulnus normativo sarebbe stato evidenziato anche nella Relazione allo schema del d.lgs. 9.1.2006 n. 5, dove si osservava che “non essendo state previste regole per ciascuno dei contratti disciplinati dal codice civile, si sono venuti così a determinare due inconvenienti, da un lato, è stata lasciata priva di regolamentazione una parte di contratti, dall'altro e nel contempo, si è lasciata nell'incertezza la sorte dei nuovi contratti venuti ad esistenza in tempi recenti. È così spettato all'interprete e alla giurisprudenza trarre dalla disciplina dei singoli contratti, e fondamentalmente da quella del contratto di vendita, alcune indicazioni di carattere generale dirette a riempire gli spazi vuoti lasciati dalla legge”.
Naturalmente la regola così elaborata non era applicabile né ai contratti per i quali specifiche norme prevedessero la continuazione e il subentro automatico del curatore, né a quelli per i quali il fallimento determinava ipso iure lo scioglimento22.
Pertanto, la ricostruzione del sistema indusse ad enucleare alcune regole fondamentali di portata generale, relative alla posizione del curatore nei confronti del contratto ed alla stessa sorte del contratto.
Il primo principio di carattere generale ad affermarsi fu il principio della sostituzione del curatore nella posizione contrattuale del fallito23. Sostituzione che poteva essere facoltativa ovvero automatica. Nel caso di sostituzione automatica, il subentro del curatore nella posizione del contraente dichiarato fallito avveniva recta via quale effetto della dichiarazione di fallimento.
Nel caso di sostituzione facoltativa, l'esecuzione del contratto rimaneva sospesa: il curatore aveva la facoltà di scegliere fra lo scioglimento dal vincolo ed il subingresso nel contratto. Laddove il curatore avesse esercitato quest’ultima opzione, sorgeva necessariamente l'obbligo a carico della massa di soddisfare per l'intero il credito vantato
22Tale opinione è, tra gli altri, espressa da X. XXXXXXX, op. cit. , p. 214. 23GUGLIELMUCCI, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Commentario Scialoja e Branca alla legge fallimentare, Bologna, 1979, p. 4 osservava che «il problema della disciplina dei contratti nel fallimento è, dunque, essenzialmente un problema di limiti e modalità della sostituzione: limiti per i diritti derivanti dai contratti, dei quali è preveduto lo scioglimento automatico; modalità quando al curatore è attribuita la facoltà di subentrare, perché attraverso il subentro nel contratto la sostituzione nei diritti che ne derivano implica il soddisfacimento integrale dei debiti altrimenti soggetti a regolazione concorsuale».
dalla controparte.
Là dove, invece, era prevista l'esclusione della sostituzione del curatore, l'altra regola di portata generale era quella dello scioglimento automatico del contratto, quale riflesso dell'esclusione della sostituzione del curatore, con la conseguenza che, a seconda delle ipotesi, il contratto continuava con il fallito, ovvero si scioglieva automaticamente in ragione dell'avvenuto fallimento del contraente.
Nel sistema vigente fino alla riforma del 2006, il complesso delle disposizioni dettate in tema di effetti della dichiarazione di fallimento sui rapporti pendenti24 disciplinava unicamente singoli tipi contrattuali, offrendo una disciplina frammentaria ed incompleta25.
In tale contesto non era possibile formulare una regola generale e di immediata applicazione per i casi non disciplinati dalla legge.
L'enucleazione di soluzioni tendenzialmente unitarie, idonee a regolare le ipotesi non contemplate, richiedeva pertanto uno sforzo interpretativo che, tenuto anche conto di quella disciplina atomistica,
coniugasse i principi del contratto con gli effetti tipici del fallimento e
25Concorda con tale opinione VATTERMOLI, La riforma della legge fallimentare, a cura di Xxxxx e Sandulli, Torino, 2006, p 417, secondo il quale «non essendo state previste regole per ciascuno dei contratti disciplinati dal codice civile, si sono venuti così a determinare due inconvenienti, da un lato, è stata lasciata priva di regolamentazione una parte dei contratti, dall'altro e nel contempo, si è lasciata nell'incertezza la sorte dei nuovi contratti venuti ad esistenza nei tempi recenti. È così spettato all'interprete e alla giurisprudenza trarre dalla disciplina dei singoli contratti, e fondamentalmente da quella del contratto di vendita, alcune indicazioni di carattere generale dirette a riempire gli spazi vuoti lasciati dalla legge».
con le peculiari esigenze di cui è permeato il diritto concorsuale.
Avuto riguardo alle singole ipotesi contrattuali di volta in volta disciplinate dal legislatore del 1942, quando la sentenza dichiarativa di fallimento interveniva in presenza di un contratto pendente, potevano verificarsi tre distinte ipotesi: nel caso di rapporti di durata il contratto si scioglieva automaticamente con effetto ex nunc26; il contratto continuava ex lege e le prestazioni a carico del fallimento, maturate successivamente alla sentenza dichiarativa, venivano poste fuori dal concorso27; l'esecuzione rimaneva sospesa ed il contratto entrava in una fase di quiescenza che trovava fine allorquando il curatore avesse optato per la continuazione ovvero per lo scioglimento del contratto28.
5. Sospensione dell'esecuzione e scioglimento automatico del contratto tra esigenze concorsuali e disposizioni di diritto comune.
La disciplina della sospensione, ricorrente, secondo l’originaria
26E. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 127 : «In questa ipotesi, se il rapporto aveva avuto un principio di esecuzione, gli effetti già prodotti venivano fatti salvi ed i crediti vantati dal contraente in bonis, previa insinuazione, venivano ovviamente liquidati in moneta fallimentare. Si riteneva che il contraente in bonis non avesse azione per il risarcimento del danno; principio che ricorreva anche nell'ipotesi in cui allo scioglimento si aggiungesse in seguito alla scelta del curatore». Il fallimento, quale causa di scioglimento del vincolo negoziale – sia essa automatica o sia essa conseguente alla dichiarazione del curatore – rappresentava secondo gli interpreti un evento che non poteva configurarsi alla stregua di un inadempimento della parte sottoposta a procedura concorsuale, in quanto evento oggettivo non riconducibile alla volontà negoziale della parte stessa.
27La prededuzione, infatti, non riguardava i crediti maturati prima del fallimento; per la loro realizzazione il contraente in bonis doveva, come nell'ipotesi sub a), alla stregua degli altri creditori, insinuarsi nel passivo del fallimento.
28F. XXXXXXX Xx, Il fallimento, Milano, 1995, p. 378 qualificava il potere di scioglimento alla stregua di un recesso.
formulazione dell'art. 72, per caso di vendita ineseguita, anche parzialmente, si presentava come la più completa.
Tale disciplina era il frutto del coordinamento delle esigenze e degli effetti tipici della disciplina fallimentare con la disposizioni di diritto comune29. In modo particolare, era coerente con le eccezioni dilatorie previste dagli artt. 1460 e 1461 c.c., che prevedono l'eccezione di inadempimento e la sospensione dell'esecuzione del contratto in seguito al mutamento delle condizioni economico-patrimoniali di uno dei contraenti30.
Se il curatore decideva per la continuazione, ovvero se questa era disposta per legge – nel senso che la dichiarazione di fallimento non era causa di scioglimento del contratto31 – le prestazioni a carico del fallimento non venivano eseguite in moneta fallimentare, ma rappresentavano debiti della massa, ed in quanto tali sottratti alla legge del concorso32.
Le contrapposte ipotesi della risoluzione e della continuazione automatica del contratto ricorrevano invece a seconda che gli effetti della dichiarazione di fallimento fossero tali, rispettivamente, da impedire,
29A. XXXXXXX, op. cit. , p. 214: «Quest'ultima regola, specificamente dettata dall'art. 72, l. fall., per la compravendita in corso nell'ipotesi di fallimento del compratore, era stata considerata dalla dottrina e dalla giurisprudenza espressione di un principio generale circa gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti».
30E. XXXXXXXXX, op. cit., p. 128.
32E. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 128: “in costanza di esecuzione del contratto le parti potevano inoltre ricorrere ai normali rimedi di diritto comune volti alla tutela delle reciproche posizioni”.
ovvero tollerare e in certi casi addirittura imporre, l'esecuzione del contratto33.
La sospensione del contratto con potere “limitato” di scelta del curatore ricorreva in caso di fallimento del compratore (art. 72 l.fall.), per cui l'esecuzione del contratto restava sospesa fintanto che il curatore non avesse effettuato la scelta.
Il contraente in bonis non poteva infatti essere costretto ad eseguire la propria prestazione, sottoponendosi, quanto al prezzo, alla legge del concorso. Al contrario, se il curatore decideva per la continuazione del contratto, la controprestazione a carico del fallimento doveva essere eseguita fuori dal concorso.
Tali figure presuppongono infatti l'intervento del fallito, in quella sede inattuabile, mentre la dichiarazione di voler subentrare rappresentava sostanzialmente una rinunzia ad applicare al contratto la legge del concorso, che una volta intervenuta non avrebbe più legittimato la
controparte ad opporre il rifiuto di eseguire la propria prestazione35.
33A. DIMUNDO, op. cit. , p. 214: «Le norme che prevedevano, invece, il subentro ex lege del curatore in certi rapporti rientravano coerentemente nel sistema della sostituzione fallimentare, perché riguardavano contratti dai quali derivavano a favore del contraente in bonis diritti che l'amministrazione fallimentare avrebbe dovuto comunque rispettare oppure prestazioni che attribuivano al fallito il diritto ad una controprestazione valutata ex lege utile per i creditori».
34E. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 128.
35F. XXXXXXX Xx, op. ult.cit., p. 378.
Nelle more della decisione del curatore, al contraente in bonis erano comunque offerte due soluzioni, ovvero mettere in mora il curatore o, in alternativa eseguire comunque la sua prestazione sottoponendosi alla legge del concorso.
Nel primo caso, allo scopo di porre fine allo stato di incertezza sulla sorte del rapporto negoziale, la parte non fallita poteva rivolgersi al giudice delegato affinché assegnasse un termine al curatore. Decorso infruttuosamente il termine (allora di otto giorni) il contratto si risolveva automaticamente.
Quanto alla seconda ipotesi – più che altro di scuola – la controprestazione dovuta dal fallito veniva eseguita in moneta fallimentare, di modo che avrebbe potuto risultare vantaggiosa per il contraente in bonis solo quando, tra il momento della conclusione del contratto e quello della esecuzione, il valore del bene oggetto della vendita si fosse enormemente svalutato, con la conseguenza che il prezzo falcidiato sarebbe risultato comunque superiore rispetto a quello che la parte non fallita avrebbe potuto realizzare con una distinta e successiva vendita.
Qualora il curatore avesse optato subito per lo scioglimento del contratto, vale a dire senza che il contraente in bonis avesse potuto esercitare il proprio diritto di sottomettersi alla legge del concorso, allora la volontà manifestata dalla curatela non avrebbe sortito esito alcuno e
ciò in quanto il potere di scelta del curatore era comunque subordinato alla volontà del contraente in bonis36.
Diversa era la disciplina in caso di fallimento del venditore: il contraente in bonis non aveva il potere di eseguire in ogni caso la propria prestazione, poiché non avrebbe avuto senso versare integralmente un determinato prezzo per poi vedersi attribuire solo il valore falcidiato del bene oggetto della vendita.
Alla parte non fallita era tuttavia attribuito il potere di mettere in mora il curatore, secondo le modalità sopra indicate, al fine di far cessare lo stato di incertezza successivo alla sospensione del contratto.
Un profilo problematico era rappresentato, inoltre, dall'interrogativo se la scelta del curatore potesse essere effettuata, nel silenzio della norma, anche senza l'autorizzazione del giudice delegato.
Lo scioglimento automatico del contratto pendente veniva invece ricollegato prevalentemente: alla non compatibilità della prosecuzione del rapporto contrattuale con le esigenze della procedura fallimentare e con gli effetti giuridici derivanti dalla instaurazione della stessa; all'irreversibile pregiudizio arrecato dalla dichiarazione di fallimento al
36F. XXXXXXX Xx, op. ult.cit., p. 378.
37Cfr. fra le tante Xxxx., 14 maggio 1996, n. 4483, in Fallimento, 1996, p.1201.
carattere fiduciario (intuitus personae) sul quale era fondato il rapporto; alla mancanza di interesse del fallimento a subentrare nel contratto; alla tutela delle ragioni del contraente non fallito.
L'insensibilità del contratto pendente alla dichiarazione di fallimento di una delle parti, e la sua conseguente continuazione, rispondevano ad un giudizio, effettuato aprioristicamente dal legislatore, di compatibilità degli interessi del fallimento con quelli del contraente in bonis.
Peculiare era la soluzione offerta per il contratto di edizione, la cui disciplina, peraltro, non è stata modificata dalla xxxxxxx00: nell'ipotesi - abbastanza rara e non prevista dal legislatore - di fallimento dell'autore, si ritiene comunemente che il contratto non si risolva, in ragione dell'interesse della massa fallimentare al percezione di attivo.
Il panorama normativo di riferimento era dunque estremamente frammentario e disperso in più luoghi normativi39; la dottrina si era pertanto interrogata sulla possibilità di rinvenire una regola generale applicabile per tutti i casi dubbi non disciplinati dalla legge40.
38 La legge fallimentare fa rinvio all'art. 135 della legge 22 aprile 1941 sul diritto
39GUGLIELMUCCI, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in
Commentario Scialoja e Xxxxxx alla legge fallimentare, Bologna, 1979, p. 4 ss; XXXXXXX A., Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, Trattato diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx e Costa, Torino, 1997, p. 271 ss; VIGO, I contratti pendenti non disciplinati nella “legge fallimentare”, Milano, 1989, p 3 ss.
40Sul punto cfr. per tutti, XXXXXXXXXXXX, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Commentario Scialoja e Xxxxxx alla legge fallimentare, Bologna, 1979,
Gli orientamenti sul punto, pur nella diversità delle singole proposte ricostruttive, possono ridursi principalmente a tre.
La tesi invocava, a suo sostegno, l'art. 1372 c.c., del quale l'art.72 l. fall. avrebbe costituito applicazione di una deroga, in quanto «pone a
p. 4 ss; XXXXXXX A., Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, Trattato diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx e Costa, Torino, 1997, p. 271 ss; Id, Sub art. 72, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Xxxxx e coordinato da Fabiani, I, Bologna 2007, p.1116.
41Cfr. per tutti, COTTINO, Effetti del fallimento sulla vendita (e contratti affini) in caso di inesecuzione, in Diritto Fallimentare, 1964, I, p.000.
00X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 131.
43Cfr. per tutti, XXXXXXXX, voce Fallimento, in Enc. Dir, XVI, Milano, 1967, p. 408; RAGUSA MAGGIORE, Diritto Fallimentare, Napoli, 1974, p.441 ss.
disposizione del contraente in bonis ovvero del curatore il potere di sciogliersi dal contratto»44.
Un terzo indirizzo sosteneva che il legislatore della crisi d'impresa, con le norme sui contratti pendenti, si era limitato a cercare di adattare le regole del diritto comune dei contratti al fallimento, rinunciando in tal modo alla fissazione di una regola generale, ma prevedendo piuttosto una tutela del contraente in bonis, di volta in volta differenziata in ragione sia del tipo contrattuale sul quale era scesa la falcidia dell'insolvenza, sia del vincolo di corrispettività che lo legava al fallito, riconoscendogli quindi, rispetto agli altri creditori del concorso, la possibilità di trattenere la prestazione a lui dovuta a garanzia del suo diritto alla controprestazione45.
L'opinione preferibile, in realtà, era quella che teneva conto della volontà del legislatore del 1942 di non enucleare una regola generale e quindi di «persistere nel metodo casistico», di modo che le vicende dei contratti “non regolati”, trovassero, in ragione degli interessi in concreto coinvolti, nonché delle svariate norme o dei principi agli stessi riferibili, la propria disciplina applicando lo strumento dell'interpretazione analogica. In quest’ottica si affermava pertanto che «la facoltà del curatore di scegliere tra subentro e scioglimento risulta, nella maggior parte dei casi, la regola applicabile, e può essere considerata la norma di
44ANDRIOLI, op. ult. cit.
45VIGO, I contratti pendenti, cit., p. 61 ss.
6. La regola generale della sospensione dell'esecuzione del contratto nella riforma della legge fallimentare.
La mancanza di previsioni di carattere “generale” con riferimento ai rapporti pendenti è stata colmata con la recente riforma della legge fallimentare, mediante la previsione di una disciplina di portata generale dei contratti in corso di esecuzione nel fallimento (art. 72 l.fall.)47 e nella procedura di concordato preventivo (art. 169 bis l. fall.).
Tale disciplina, nel creare un rapporto tra norma di carattere generale e norme di carattere speciale (artt. 72 bis e ss. l. fall.), stabilisce, quale primo effetto della dichiarazione di fallimento, la sospensione dell'esecuzione del contratto, cioè delle prestazioni dedotte nel rapporto.
L'art. 72 stabilisce che «se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte
46GUGLIEMUCCI, Gli effetti del fallimento, cit., p. 272.
47Per quanto riguarda il rapporto tra la regola generale e le disposizioni previste nel reg CE n. 1346/2000, si è osservato (JORIO, Il fallimento, Cit, p.488) che l'art. 4 , § 1, lett. e), stabilisce che gli effetti della apertura della procedura sui contratti pendenti, di cui il debitore è parte sono regolati dalla legge del Paese in cui l'insolvenza si apre e quindi dove si radica il concorso stesso e pertanto, nel caso di fallimento italiano, dagli artt. 72 e ss. Il succssivo articolo 10 stabilisce tuttavia che «gli effetti della procedura dell'insolvenza sul contratto e sul rapporto di lavoro sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro applicabile al contratto di lavoro», disposizione quest'ultima che tuttavia non impedirebbe che le modalità di attuazione di tale scelta rimangano regolate dalla legge del concorso.
Una regola a se stante viene inoltre prevista sia per il caso dell'esercizio provvisorio dell'impresa (art. 104, comma 8), sia per i contratti di durata ovvero ad esecuzione continuata o periodica (art. 74).
Nel primo caso, l'esercizio provvisorio dell'impresa può essere disposto con la stessa sentenza dichiarativa di fallimento (art. 104, comma 1), ovvero in un momento successivo su impulso del curatore (art. 104, comma 2).
In questa seconda ipotesi la norma generale sulla sospensione trova applicazione solo temporanea, ovvero fino a quando non verrà disposto l'esercizio provvisorio e quindi lo stato di sospensione verrà rimosso.
Il secondo comma, disciplinando un mezzo di sostanziale autotutela del contraente in bonis, prevede la possibilità per questi di «mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende
48Cfr. XXXXXXX, op. cit. , p.48, secondo il quale «della disposizione si poteva fare a meno, poiché il principio di cui essa è espressione era già ricavabile dal sistema, ed in particolare dal concetto di contratto pendente, nel quale non possono essere compresi quei contratti nei quali una delle parti abbia compiutamente eseguito l'obbligazione a proprio carico».
risolto», con la conseguenza, di cui al quarto comma, che «in caso di scioglimento il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno».
La messa in mora del curatore49, quale strumento che lo obbliga alla scelta mediante l'esercizio del relativo diritto potestativo, se riguardata nel quadro degli strumenti apprestati dall'ordinamento per la tutela del contraente in bonis, assolve una «funzione dissolutoria del contratto, in difetto di adempimento, analoga a quella della diffida ad adempiere»50, la quale non può trovare applicazione nel diritto fallimentare51.
7. Effetti del fallimento sul rapporto.
La legge fallimentare, con la regola generale dettata all'art 72, disciplina gli effetti del fallimento sul rapporto e non sul contratto, tant'è
49L'impiego della locuzione “messa in mora” richiama chiaramente le parole di X. XXXXXXX, Del fallimento, cit., p. 601. L'espressione secondo X. XX XXXXXX, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, p. 740, va intesa in senso atecnico, dato che non si richiede l'adempimento di un obbligo ma di un onere. Sostiene l'A. che la regola sembrerebbe derivare da quella stabilita nell'art.1454 c.c. sulla diffida ad adempiere, della quale costituirebbe adattamento alla materia fallimentare, nella quale la diffida non può essere rivolta né al fallito, divenuto privo della capacità di disporre del proprio patrimonio ai sensi dell'art.44 l. fall., né al curatore che è titolare del potere di scelta.
50GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2011, pp. 132–133, per il quale gli effetti dissolutivi dello scioglimento corrispondono a quelli che sarebbero derivati dall'esercizio dell'azione di risoluzione, ed essenzialmente corrisponderebbero in pretese restitutorie che, se non hanno ad oggetto beni specifici, rimangono soggette alla legge del concorso.
51Ciò afferma X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 134, «in ragione dell'impossibilità di indirizzarla sia al fallito, privato dall'art. 44, comma 1, l. fall. della capacità ad adempiere, sia al curatore, che non è obbligato e che può obbligarsi, mediante la prosecuzione del rapporto, unicamente se, ricevendo la controprestazione, ciò si rivela funzionale alla realizzazione degli interessi del fallimento».
Per il semplice fatto della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, si produce in via automatica la sospensione dell'esecuzione delle reciproche prestazioni. Tale effetto legale, che tocca direttamente il rapporto, si estende, seppur di riflesso, anche al contratto, con riguardo sia alla posizione giuridica soggettiva delle sue parti originarie, sia a quella di un terzo che è il curatore, dato che anzitutto in capo a lui sorge, previa autorizzazione del comitato dei creditori, la facoltà di subentrare
52VATTERMOLI, op. cit., p. 417, afferma che «su di un piano generale può dirsi che la soluzione così adottata è senz'altro quella più conveniente per la procedura, sia da un punto di vista organizzativo, sia quello strettamente economico: la continuazione o lo scioglimento automatico – soluzioni, anch'esse, astrattamente adottabili – avrebbero dei costi che la sospensione consente di evitare. In particolare, la continuazione automatica di un contratto “non voluto” dalla procedura avrebbe imposto agli organi della stessa di attivarsi in tempi rapidi per giungere allo scioglimento, con la possibilità per la controparte in bonis di eseguire medio tempore la propria prestazione e divenire così creditore concorsuale (o peggio della massa); così come lo scioglimento automatico di un contratto “voluto” dalla procedura avrebbe imposto agli organi della stessa di attivarsi per la conclusione di uno di analogo tenore, con il rischio inoltre di un rifiuto a contrarre della parte originaria»
53RAGUSA – MAGGIORE, op. cit., p.271 afferma che « ammesso che il fallimento sia una causa riconosciuta dalla legge sulla quale fondare il venir meno del contratto, non basta fermarsi alla sentenza dichiarativa, quando manchi la norma espressa che indichi quale comportamento può o deve essere tenuto dalle parti ».
nel contratto in luogo del fallito54.
Il contratto rimane pertanto inalterato, ma entra in uno stato di “sospensione legale”, giacché, a causa del fallimento, il rapporto non può più proseguire tra le parti originarie; né tanto meno il contratto può produrre effetti nei confronti di un terzo estraneo all'originario accordo, quale è il curatore fallimentare.
La vicenda contrattuale è dunque sospesa nella sua efficacia fino a quando il curatore, di sua iniziativa, ovvero su istanza del contraente in bonis, secondo la regola dettata dall'art.72, non effettui la scelta tra prosecuzione del rapporto o suo scioglimento55.
La costruzione dogmatica degli effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione, vale a dire sui contratti bilaterali ineseguiti, si spiega dunque in termini di disciplina del rapporto e non del contratto, poiché essa non riguarda la disciplina dell'atto, ma la regolazione in sede concorsuale del nesso di corrispettività tra contrapposte prestazioni non eseguite o solo parzialmente eseguite.
Nei contratti pendenti, ovvero in corso di esecuzione, il rapporto è sorto prima del fallimento ma non è stato ancora eseguito, ovvero lo è
54E. XXXXXXXXX, op. cit., p. 138.
55DIMUNDO, op. cit., p. 220: « Lo strumento della sospensione dell'esecuzione del contratto, però, tutela solo temporaneamente il contraente in bonis, perché pur esonerandolo dall'obbligo di eseguire la prestazione a suo carico, gli preclude, però, sia la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, sia quella di ottenere la controprestazione, ponendolo in una situazione di incertezza non tollerabile a lungo. La sospensione, al contrario, è molto conveniente per la procedura, in quanto assicura al curatore uno spazio sufficiente per una scelta ponderata tra il subentro e lo scioglimento del contratto ».
stato solo in parte, al momento della dichiarazione di insolvenza di uno dei contraenti, così che la prospettiva in cui quel rapporto si colloca, per effetto dell'apertura del concorso, è prevalentemente quella dismissiva per la realizzazione del patrimonio concorsuale, che è la prospettiva propria del procedimento di liquidazione dell'attivo.
8. Il fondamento della regola generale dettata dall’art. 72 l. fall.
La normativa fallimentare in vigore, in considerazione della regola generale dettata dall'art. 72 sembra aver dunque abbandonato una regolamentazione “per tipi”, in funzione dell'adozione di una norma di
56ZANICHELLI, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d.lgs. 12.9.2007 n.69, Torino, 2008, p.180, osserva che per i contratti ad esecuzione continuata e periodica non viene più enunciata la regola della sospensione, poiché questa è già direttamente applicabile a tale categoria di contratti in virtù della disposizione di ordine generale prevista nell'art. 72; laddove nella nuova formulazione viene piuttosto inserito il principio secondo cui se il curatore subentra nel contratto deve pagare interamente il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati. La modifica tuttavia farebbe sorgere qualche problema dato che se, per un verso, sembra introdurre un principio di carattere generale, consistente nell'obbligo di pagare integralmente le obbligazioni pregresse per tutti i contratti di durata (siano essi a prestazione continuata o periodica), per un altro, creerebbe un limite a tale obbligo alle sole prestazioni consistenti nella consegna (quindi di cose mobili) e nella erogazione di servizi (quindi con riferimento a quei contratti in cui il facere è un elemento accessorio e strumentale rispetto al dare). Con la conseguenza che resterebbero esclusi da tale disciplina quei contratti di durata, il cui oggetto non si identificherebbe in nessuna delle su richiamate ipotesi, per i quali deve valere la regola generale secondo la quale il credito relativo alle prestazioni già effettuate deve essere soddisfatto solo in moneta fallimentare.
“chiusura” del sistema di disciplina dei rapporti pendenti57. La regola generale (art. 72 l. fall.) è infatti quella della sospensione del rapporto pendente, ove non sia diversamente disposto58.
La ragione dell'inserimento nel sistema di una regola generale è stata rinvenuta nella circostanza che il principio della sospensione, seppure sorto con riguardo al contratto di vendita, si era ormai da tempo consolidato sia nell'orientamento giurisprudenziale, sia nel pensiero della dottrina, come applicabile su un piano generale anche ai contratti sul punto non espressamente regolati.
Il principio si giustificava in ragione dell'esigenza di evitare le conseguenze negative che derivavano per il contraente in bonis dal
trattamento differenziato, e di favore, che la legge riservava al curatore59.
57CAGNASSO, I contratti pendenti, in AA. VV., Le nuove procedure concorsuali, a cura di Xxxxxxxxx, Bologna, 2008, p.117, per il quale sembrerebbe tuttavia necessario esaminare fino a che punto il nuovo sistema possa ritenersi effettivamente chiuso, dovendosi verificare se in ogni caso i contratti, ai quali non siano espressamente applicate le regole “eccezionali”, siano soggetti al principio generale della sospensione facoltativa, ed in tal senso prospetta come esempio quello del contratto di concessione di vendita.
58SANZO, op. cit., p. 6, su di un piano strettamente semantico, fa notare come « il legislatore del 2006, in realtà, pur animato da un intento palesemente “rivoluzionario” sotto il profilo sostanziale, si mostra poi molto cauto nell'apportare modifiche di natura formale al testo legislativo preesistente: una lettura “parallela” dei nuovi commi 1, 2, 3, e 7 del testo dell'art.72 introdotto dal d. lgs. 5/2006 evidenzia, infatti, in maniera oggettiva che si tratti delle identiche disposizioni già contenute nei commi 1 e 2, 3 e 5 del testo vigente fino al 15 luglio 2006, con la sola “soppressione” del comma 4 (specificamente dedicato al fallimento del venditore) e con la semplice eliminazione di ogni riferimento espresso alla vendita. Le espressioni “contratto di vendita”, “venditore” e “compratore”, sono sostituite da quella di “contratto” e, a seconda della situazione ipotizzata, da quelle di “contraente” e di “fallito”».
59E. XXXXXXXXX, op. cit., p. 141: «Egli infatti poteva giovarsi, in ragione della regola del concorso, dell'adempimento della prestazione da parte del contraente in bonis, senza che tuttavia che quest'ultimo potesse, al di fuori della regolazione concorsuale, a sua volta ricevere l'intera controprestazione, segnatamente per l'ipotesi che la prestazione gravante sul contraente fallito fosse stata di natura pecuniaria e rimasta ineseguita. Il contraente in bonis era piuttosto costretto a subire, in base al principio della parità di trattamento dei creditori, la falcidia di volta in volta connessa nella singola procedura
Il fondamento della regola generale va dunque ricercato all'interno del sistema del diritto comune dei contratti (artt. 1460 e 1461 c.c.).
La tutela della funzionalità del sinallagma, nonostante una autorevole voce in senso contrario60, è stata considerata da ampia parte della dottrina (anche ante riforma), quale principio generale, in grado di giustificare il senso della disciplina.
Si tratta, per il contraente in bonis, di poter opporre le cd. eccezioni dilatorie al fine, per un verso, di conservare l'originario equilibrio contrattuale, nella prospettiva dell'esecuzione del rapporto; per un altro, di paralizzare gli effetti che l'insolvenza di una parte produce sulla vita del contratto, mediante lo strumento della sospensione della sua esecuzione, in attesa della scelta del curatore in ordine alla prosecuzione ovvero allo scioglimento del rapporto.
con la disciplina della ripartizione dell'attivo».
60F. VASSALLI, Diritto fallimentare. II.1, Torino, 1997, p. 153 ss., seppur con riguardo alla vecchia formulazione delle norme sui rapporti pendenti, riconosce un fondamento sostanzialmente equitativo a tale disciplina. Secondo l'A. «si tratta di una disciplina che, sia pure secondo meccanismi diversi da quelli di autotutela stabiliti dagli artt. 1460 e 1461 c.c., pone il contraente in bonis in una posizione di maggior favore rispetto agli altri creditori concorrenti nel fallimento. Si può dire che ciò avvenga per ragioni sostanzialmente equitative le quali in un certo senso si possono accostare a quelle che sono state poste a base della disciplina della compensazione. In altri termini si reputa equo che il contraente in bonis che vede sopraggiungere il fallimento della controparte quando ancora non ha eseguito la propria prestazione e neppure è stato ancora soddisfatto del suo credito, si trovi in una posizione di maggior forza rispetto agli altri creditori meritevoli di specifica considerazione. Questa posizione è appunto quella che viene tenuta in considerazione e tutelata in alcune delle norme sulla sorte dei contratti pendenti».
CAPITOLO II
CONTRATTI DI BORSA A TERMINE: DEFINIZIONE E LIMITI DELLA CATEGORIA
SOMMARIO: §1. La disciplina degli effetti del fallimento sui contratti di borsa a termine - §2. La natura giuridica della «risoluzione» nell'originaria formulazione dell'art. 76 l. fall. - §3. Contratti di borsa a termine: il ruolo dell'art 203 t.u.f. nell'estensione applicativa dell'art. 76 l. fall. agli strumenti finanziari derivati.
1. La disciplina degli effetti del fallimento sui contratti di borsa a termine
Alla regola generale della sospensione del contratto seguono, come corollario, quelle che hanno ad oggetto lo scioglimento ovvero la continuazione del vincolo obbligatorio, sia in generale, sia ex lege con riguardo a determinati tipi contrattuali (cfr. artt. 72-bis e ss. l.fall.)61.
XXXXX – SICA, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in Tratt. dir. fall., diretto da Xxxxxxxxx e Bassi, Padova, 2010, p. 397, distinguono invece tra regole speciali e regole eccezionali sui contratti pendenti, inquadrando le relative disposizioni secondo un criterio funzionale, piuttosto che secondo una sistemazione che tenga conto della sorte che tali regole riservano al rapporto pendente.
La disciplina degli effetti del fallimento sui contratti di borsa a termine preesistenti alla dichiarazione di fallimento è regolata dall'articolo 76 l. fall., il quale, in deroga alla regola generale della sospensione dell'esecuzione, stabilisce che “il contratto di borsa a termine, se il termine scade dopo la dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, si scioglie alla data della dichiarazione di fallimento”.
La norma poi prosegue stabilendo, al secondo comma, che “la differenza fra il prezzo contrattuale e il valore delle cose e dei titoli alla data della dichiarazione di fallimento è versata nel fallimento se il fallito risulta in credito, o è ammessa al passivo del fallimento in caso contrario”62.
L'art. 62 del d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 ha dunque disposto che all'art. 76, l. fall., le parole «è risolto» fossero sostituite dalle parole «si scioglie», lasciando immutato il resto dell'articolo.
Sinteticamente può dirsi che la ratio della disposizione qui in esame è
Xxxx, osservava RAGUSA – MAGGIORE, Diritto Fallimentare, 1969, I, p. 236, l'eredità dell'art. 6 si può rintracciare nell'espressione “contratti di borsa a termine” che accorpa, sintetizzandola, quella precedente “contratti di vendita a termine e di riporto aventi per oggetto i titoli e i valori indicati nel primo capoverso dell'art. 1”.
tradizionalmente identificata nella necessità di sottrarre il patrimonio fallimentare all'alea tipica dei contratti di borsa a termine63. La finalità liquidatoria propria del fallimento, la necessità di cristallizzare e di salvaguardare il patrimonio disponibile per il soddisfacimento dei creditori, unitamente alla natura speculativa dei contratti di borsa a termine costituiscono, dunque, le ragioni di fondo per lo più sottese alla disposizione.
2. La natura giuridica della «risoluzione» nell'originaria formulazione dell'art. 76 l. fall.
Le questioni più complesse che ante riforma hanno interessato dottrina e giurisprudenza e che hanno portato all'attuale formulazione della norma attengono ai confini da attribuire all'espressione contratto di borsa a termine, a quale significato, tecnico o atecnico, attribuire alla parola risoluzione e agli effetti che discendono dalla risoluzione del contratto.
Con riguardo a tale ultima problematica, i dubbi sorti in dottrina in relazione al testo antecedente alla riforma del 2006 attenevano alla parte in cui disponeva che il contratto di borsa a termine fosse «risolto» alla
63P. PAJARDI, in Codice del fallimento, p. 620 così si esprime: « il criterio adottato dal legislatore è evidentemente ispirato dalla valutazione, da un lato dell'impossibilità giuridica di prosecuzione e, dall'altro, dell'inesistente convenienza di detta prosecuzione alla luce della peculiarità dei due istituti (quello del processo fallimentare e quello del singolo contratto): nella specie le sorti del contratto in esame ben poco hanno a che vedere con la successiva gestione dell'impresa fallita ».
data di dichiarazione del fallimento. Tale «risoluzione», in considerazione del meccanismo liquidatorio che la stessa innescava, era stata ritenuta, a seconda delle varie ricostruzioni, come una novazione ex lege, una scadenza anticipata, una liquidazione anticipata, ovvero era stata considerata come disciplinante un indennizzo, un risarcimento64. In particolare, con riguardo alla tesi dell'anticipata liquidazione dei relativi saldi, autorevolmente sostenuta, parte della dottrina rifiuta tale visione, sul rilievo che, in realtà, per parlarsi di anticipata liquidazione dovrebbe darsi comunque per sussistente un adempimento65. In realtà, pur dopo la riforma, non può non condividersi la tesi della liquidazione anticipata, posto che se è vero che il rapporto si scioglie prima della scadenza convenuta, è altrettanto innegabile che tale meccanismo è
«fisiologicamente» conforme alla natura del negozio in questione.
Il legislatore della riforma, recependo tale indicazione, ha eliminato il riferimento alla risoluzione del contratto, per cui il novellato art. 76 l. fall. dispone che il contratto si «scioglie» alla data di dichiarazione del fallimento. La nuova locuzione, descrittivamente atecnica, non sembra tuttavia destinata a sopire le polemiche e i dubbi.
65Mentre, sostiene RAGUSA MAGGIORE, op. cit., p. 454, nel caso di specie tale elemento non ricorre, tanto che detta liquidazione deve qualificarsi come avente funzione satisfattiva e quindi equiparabile a un risarcimento del danno.
3. Contratti di borsa a termine: il ruolo dell'art 203 t.u.f. nell'estensione applicativa dell'art. 76 l. fall. agli strumenti finanziari derivati.
Maggiori perplessità sono sorte, soprattutto in dottrina, relativamente al novero dei contratti ricompresi nella locuzione «contratti di borsa a termine»66. Con tale espressione si intende, comunemente, un'operazione
In considerazione di ciò, il contratto a termine, nella prassi, ha assunto la funzione caratteristica di consentire la speculazione sulla differenza di prezzo tra le due date: a seconda che si verifichi un ribasso o un rialzo, il vantaggio sarà rispettivamente per il venditore o per il compratore
66Le due grandi categorie in cui possiamo dividere i contratti di borsa sono: contratti a contanti (o a pronti) e contratti a termine. Ciò che differenzia tali tipi di contratti è l'elemento del “ termine per l'esecuzione”: essenziale e nell'interesse di entrambi i contraenti, nei contratti di borsa a termine; eventuale e nell'interesse della sola parte alienante, nei contratti di borsa a contanti.
67In tal senso XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010 p. 777.
68Cfr. XXXXX, I contratti di borsa a premio, Milano, 1971, p. 90 ss.
La categoria dei contratti di borsa a termine trovando il proprio fondamento, per così dire, primario, in una realtà mercantile largamente governata e regolata dagli usi, e per di più caratterizzata da una vastissima gamma di strumenti negoziali, ha lasciato spazio ad un'ampia discrezionalità interpretativa.
Il primo ed immediato quesito che si è posto riguarda, per l'appunto, la categoria stessa dei contratti di borsa, il cui novero, a ben vedere, non è identificato da alcuna norma; inoltre, ci si è domandati cosa debba intendersi per contratto di borsa «a termine», atteso che anche i contratti
c.d. «per contanti» vengono regolati, in borsa, non immediatamente, bensì decorso un – pur breve – periodo di tempo.
Ci si è poi interrogati circa l'applicabilità della norma a contratti, pur qualificabili come «di borsa a termine», in ragione della loro natura, bensì conclusi al di fuori della borsa.
Ancora, ci si è domandati se taluni contratti tipici di borsa, quali i contratti a premio, potessero rientrare nell'ambito di applicabilità della disposizione, in ragione delle peculiarità che sono proprie di questa categoria negoziale, e ciò anche in ragione della ricostruzione teorica
retrostante alla natura della «risoluzione» dei contratti alla data del fallimento, secondo quanto contemplava l'art. 76 prima della recente novella.
Pure, era stata oggetto di discussione l'applicabilità della disposizione a vendite a termine di merci e derrate o di titoli non quotati.
Dottrina e giurisprudenza hanno dato risposta a questi e ad altri quesiti guardando non tanto alla formulazione letterale della disposizione, quanto alla sua ratio, con un'opera ermeneutica che, di conseguenza, ha spinto verso un sostanziale ampliamento dell'ambito di operatività della norma.
Si è infatti osservato, in giurisprudenza, che il «luogo» e le modalità di conclusione dei contratti non ne mutano la natura, sicché, quale primo strumento interpretativo, dovrebbe farsi riferimento (ai fini che qui interessano) al r.d.l. 20 dicembre 1932, n. 1607, ossia all'immediato precedente legislativo, che aveva riguardo alla specie dei titoli dei valori mobiliari oggetto dei contratti (ed ai contratti stessi) e non anche alla conclusione degli stessi in borsa o a mezzo di agenti di borsa. Si è tuttavia precisato come la circostanza che quei titoli e valori non fossero quotati non impedisse l'applicazione della disposizione. Parimenti, si è osservato – sempre in ossequio alla ratio della norma – che nulla impedisce la sua applicazione a contratti aventi ad oggetto merci o derrate, rinvenendosi anzi nella disposizione un elemento letterale (il
termine «cose») che depone in tal senso.
Sembra dunque potersi affermare che non bisogna guardare né al luogo e ai modi di conclusione del contratto, né ai profili soggettivi dei contraenti, né ancora all'oggetto dei contratti medesimi (che potrebbe essere, per esempio, un titolo non quotato presso alcuna borsa) o al semplice regolamento differito. Quel che conta perché si debba fare applicazione della norma è la causa del contratto, ossia deve trattarsi di un contratto ad eminente contenuto finanziario e mobiliare, con attitudine speculativa, causalmente caratterizzato dall'esecuzione differita con assunzione dell'alea derivante dalla variazione, in un certo termine, dei valori o indici di mercato di uno o più beni o valute. E occorrerà, altresì, che quel termine non sia decorso alla data del fallimento.
E ciò anche alla luce dell'ampliamento dell'ambito di applicazione della norma di cui si dirà in seguito.
Con riferimento ai quesiti sopra indicati, ciò significa che, mentre dovrà escludersi l'applicazione della disposizione al contratto di borsa per contanti, non costituendo tipicamente il breve differimento del regolamento delle relative prestazioni un elemento che incide sulla causa del contratto, dovrà invece affermarsene l'applicabilità in tutte le altre ipotesi citate. Non varrà cioè ad escludere l'applicabilità dell'art.76 né il fatto che il contratto non sia stato concluso in borsa o per mezzo di intermediari finanziari, né il fatto che si tratti di un contratto a premio, né
ancora il fatto che ne formino oggetto beni o derrate. Potranno essere oggetto di applicazione della disposizione in esame non solo contratti relativi a titoli quotati (o merci), ma anche contratti relativi a titoli (o merci) che non siano oggetto di quotazione.
Una più ampia applicazione della disposizione è oggi espressamente prevista dall'art. 203 del d.lgs. 24 ottobre 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza). Tale disposizione, infatti, fatte salve le norme relative alla crisi disciplinata dagli artt. 83 e 80 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, estende l'applicazione dell'art. 76.
All'interprete più attento non può sfuggire il fatto che la formulazione usata dall'art. 203 t.u.f., laddove indica l'ambito oggettivo di estensione della disposizione di cui all'art. 76, fa riferimento a «strumenti finanziari» e ad «operazioni»: ciò apre un ambito interpretativo particolarmente complesso, soprattutto considerando che tra gli strumenti finanziari rientrano non solo i contratti derivati in senso proprio, bensì anche, ai sensi dell'art. 1, comma 3, t.u.f., talune «combinazioni di contratti e titoli».
«strumenti finanziari» che la prassi dei mercati potrà creare, e le autorità potranno di volta in volta individuare.
Mentre da ciò non sembra potersi autorizzare una interpretazione della disposizione dell'art. 203 t.u.f. e, quindi, dell'art. 76, che esorbiti dall'applicazione ai soli contratti71, un residuo dubbio potrebbe permanere in relazione a quei negozi, particolarmente complessi, nei quali gli elementi di natura finanziaria c.d. «derivata» si (con)fondono con quelli di altri contratti tipici, o con altri «derivati», dando luogo a situazioni nelle quali la qualificazione di «contratto a termine» appare particolarmente ardua72.
L'ampiezza atecnica delle parole usate dal legislatore («strumenti finanziari» e «operazioni»), sebbene temperate dal reiterato riferimento ai contratti derivati, apre la strada a dubbi circa la riferibilità delle disposizioni di cui all'art. 203 t.u.f., e quindi di quelle di cui all'art. 76, non solo ai contratti «derivati» e ai contratti che direttamente e
«tipicamente» costituiscono gli strumenti giuridici di attuazione alle
71E ciò tanto in ragione della rubrica dell'art. 203, che ad essi fa esplicito riferimento, quanto in ragione della successiva precisazione, contenuta nella norma, a mente della quale devono intendersi ricompresi nell'ambito di applicazione della norma «(..) tutti i contratti conclusi ancorché non ancora eseguiti, in tutto o in parte».
72Per fare un facile esempio che possa costituire una situazione da ulteriormente complicarsi, si immagini che un investitore sia incline a speculare su certi tassi e valute, versando immediatamente un certo ammontare e legando il rimborso a termine di quell'investimento ed il relativo rendimento all'andamento di tassi o valute. Tipicamente, in ipotesi di tal fatta una banca potrebbe strutturare ed emettere un titolo di debito della banca stessa (c.d., emissioni xxxxxx made, o private placement), che il cliente poi acquisterà, ed il cui rimborso e rendimento saranno legati ad indici su tassi e valute. Una volta concluso e regolato economicamente il contratto di vendita dei titoli di debito, non ci si troverà di fronte ad un contratto a termine, bensì ad una ordinaria vendita di titoli, per contanti, con una forte componente finanziaria «derivata». È evidente che, per effetto della «cartolarizzazione» (ove essa sia possibile) del contenuto finanziario «derivato» insito nell'affare, sarebbe assai difficile immaginare l'applicazione dell'art. 76 in una operazione di tal fatta, giacché il contratto rilevante (ossia quello di trasferimento dei titoli) non sarebbe a termine, bensì per contanti, e le prestazioni delle parti sarebbero compiutamente eseguite (trasferimento dei titoli incorporanti l'operazione derivata e pagamento del relativo prezzo).
operazioni menzionate dal legislatore, ma anche ad altri contratti il cui contenuto finanziario sia più o meno immediatamente riferibile a strumenti derivati o alle operazioni menzionate, ovvero questi ultimi costituiscano l'oggetto mediato dei contratti.
In ogni caso, l'ampliamento operato dall'art. 203 t.u.f., che non fa riferimento né al «luogo» né ai modi di conclusione dei contratti, né alla qualificazione soggettiva dei contraenti, si pone nella già prevalente scia interpretativa che, ispirata alla ratio della norma, ha ritenuto che la disposizione di cui all'art. 76 fosse applicabile anche indipendentemente da detti elementi e dal fatto che i beni o i titoli fossero quotati73.
Né assume particolare rilievo, alla luce dell'interpretazione corrente dell'art. 76, la precisazione, contenuta nell'art. 203 t.u.f., a mente della quale la disposizione si applica ai contratti conclusi, ancorché non ancora eseguiti, in tutto o in parte, alla data di dichiarazione di fallimento.
Si tratta, infatti, di precisazione che non parrebbe tale da comportare l'applicazione della disposizione anche a contratti il cui termine sia scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, benché totalmente o parzialmente ineseguiti, a cui dovranno applicarsi gli artt. 72 e 72 bis74
l. fall.
73 In tal senso, come ha acutamente notato XXXXXX XXXXXXXXXXXX, sub art. 203 t.u.f., in Campobasso (diretto da), Testo unico «la liquidazione anticipata opera per legge in tutte le negoziazioni finanziarie (ove, naturalmente, si presenti in punto di fatto il problema tecnico – possibile oscillazione nel tempo del valore dell'oggetto della contrattazione e separazione fra accordo ed esecuzione – sotteso all'art. 76 l. fall.»).
74In tal senso BERNAVA, Contratti di borsa a termine e contratti di swap, in Procedure concorsuali e rapporti pendenti, a cura di Xxxxx, p. 149.
Non pare possibile un'interpretazione meramente letterale della norma, che conduca ad estendere l'applicazione dell'art. 76 anche a contratti immuni, in costanza di fallimento, dall'alea loro propria, per essere il termine scaduto anteriormente al fallimento. Applicazione peraltro inammissibile, non potendosi, rispetto ad una situazione definita
- quanto ai rapporti tra le parti – con la «cristallizzazione» del rischio sottostante al contratto già avvenuta prima della dichiarazione di fallimento, fissare ex novo ed arbitrariamente i termini di tale rischio, posticipandoli alla data del fallimento, in ragione della mancata esecuzione (totale o parziale) delle prestazioni75.
«contratti di borsa scaduti, ma non adempiuti». In relazione a tale ipotesi, Trib. Venezia, 30 novembre 1973, in Giur. merito, 1974, I, p. 449, avrebbe ritenuto applicabile l'art.
76. In realtà, la Corte veneziana aveva espressamente escluso l'applicazione dell'art. 76 nel caso che la occupava, ponendosi tutt'altro problema (ossia quello della compatibilità dei meccanismi di liquidazione di borsa con le regole concorsuali) e ritenendo che da detta disposizione potessero al massimo ricavarsi principi generali per dirimere la (diversa) questione sottoposta al suo esame; non a caso, a commento di quella sentenza veniva notato che «(...) per le ipotesi dell'art. 76 la determinazione delle differenze va fatta in base al prezzo che la cosa o i titoli hanno alla data della dichiarazione di fallimento, mentre per i contratti il cui termine sia già scaduto, qualora il curatore non abbia manifestato il proposito di subentrarvi, deve adottarsi il procedimento previsto dalla legge speciale (...) ». La verità è che non dovrebbero sussistere dubbi interpretativi circa il fatto che l'art. 76 possa trovare applicazione solo «(...) se il termine scade dopo la dichiarazione di fallimento», secondo quanto in modo inequivoco dispone la norma. Né, a ben vedere, la dottrina che si è occupata della materia ha mai posto in serio dubbio tale necessario presupposto per l'applicazione della norma, come si anche precedentemente visto con riferimento all'identificazione della ratio della disposizione.
CAPITOLO III
STRUMENTI FINANZIARI E DERIVATI: DALLA LEGGE 2 GENNAIO 1991 N. 1 AL REGOLAMENTO EMIR.
SOMMARIO: §1. Origini storiche e diffusione dei contratti derivati – §2. La disciplina dei derivati nella legislazione corrente - §3. Natura giuridica dei contratti derivati - §4. Classificazione dei contratti derivati: derivati sintetici e complessi, derivati di credito, derivati di secondo livello, derivati standard e over the counter - §5. Gli elementi essenziali dei contratti derivati: consenso e forma, oggetto, causa - §6. Il termine di adempimento e l'inopponibilità dell'eccezione di gioco e scommessa - §7. Tipologie di investitori nei contratti derivati - §8. Regolamento EMIR: obbligo di segnalazione degli strumenti finanziari derivati
1. Origini storiche e diffusione dei contratti derivati.
76G. XXXXXXXX, Gli strumenti finanziari derivati. Aspetti tecnici, profili contabili e regme fiscale, Milano, 1997 pag. 12 . In particolare, i contratti a termine erano usati anche ai tempi dei greci e dei romani. Nel 580 a.c., Talete di Xxxxxx fece fortuna stipulando in inverno (quando la domanda di utilizzo era ovviamente bassa) una opzione sull'utilizzo in autunno (epoca della massima domanda, tanto più perché quell'anno vi era stata una abbondante raccolta) di alcuni frantoi. Così racconta Xxxxxxxxxx – POLITICA,: “...siccome, povero com'era, gli rinfacciavano l'inutilità della filosofia, avendo previsto in base a calcoli astronomici un'abbondante raccolta di olive, ancora in pieno inverno, pur disponendo di poco denaro, si accaparrò tutti i frantoi di Xxxxxx e di Chio, per una cifra irrisoria, dal momento che non ve n'era alcuna richiesta; quando giunse il tempo della raccolta, cercando in tanti urgentemente tutti i frantoi disponibili, egli li affittò al prezzo che volle imporre, raccogliendo così molte ricchezze e dimostrando che per i filosofi è molto facile arricchirsi, ma tuttavia non si preoccupano di questo”. Nel 1164 Genova vendeva a un istituto finanziario (Monte) le entrate fiscali future di alcuni anni in cambio di un anticipo immediato. Nasceva così il primo contratto su derivati stipulato da un Ente locale. I primi mercati organizzati per il loro scambio risalgono al XVII e XVIII xxxxxx.Xx diffusione più ampia dei contratti su derivati va però rintracciata in età moderna con l'ammissione alla negoziazione al Royal
Tuttavia la nascita e il forte sviluppo dei contratti derivati, e segnatamente dei contratti derivati finanziari come oggi li conosciamo, può farsi risalire all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, con l'introduzione negli Stati Uniti dei futures sulle valute77. Ed è nello stesso periodo che vengono introdotti i contratti derivati su tassi di interesse.
Nel corso degli anni Ottanta, poi, vengono introdotti i futures e le opzioni con sottostante azionario e nel decennio successivo i derivati creditizi.
La prepotente e per certi versi ancora inarrestabile evoluzione del mercato dei derivati si ha, però, tra la fine degli anni '90 e i primi anni del 2000, con l'introduzione dei derivati su indici economici, derivati immobiliari, fund derivatives, derivati di credito, i derivati su condizioni atmosferiche e sull'energia.
Per quanto riguarda le ragioni socio-economiche del fenomeno, la recente notevole diffusione è dovuta a vari fattori: la fine del sistema internazionale di cambi fissi avvenuta nel 1971 con la caduta degli accordi di Xxxxxxx Xxxxx, con il conseguente emergere del rischio di cambio; gli shock petroliferi del 1973 e del 1979 ed i conseguenti improvvisi forti aumenti del prezzo del petrolio causarono una parallela
Exchange di Londra di contratti forward (cui seguiva la prima bolla speculativa relativa alla cosiddetta 'mania dei tulipani', 1637) mentre al mercato del riso di Osaka (Yodoya) intorno al 1650 venivano negoziati i primi 'futures'. Secondo una diversa ricostruzione l'origine degli strumenti derivati in quanto strumenti basati sul valore di un'attività sottostante risale molto indietro nei secoli (per es., il mercato delle opzioni sui bulbi di tulipano nei Paesi Bassi del 17° sec
77In tal senso X. XXXXXX, Derivati Finanziari , sito internet xxx.xxxxxxxx.xx
2. La disciplina dei derivati nella legislazione corrente.
78Le dimensioni assunte a livello mondiale dal mercato dei derivati sono imponenti. Il mercato dei soli derivati negoziati over the counter ha continuato a espandersi nella seconda metà del 2013 raggiungendo l'ammontare nozionale, che determina pagamenti contrattuali ed è un indicatore di attività in mercati dei derivati otc, pari a 710,000 miliardi dollari a fine dicembre 2013. Tali dati, forniti dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Highlights of the BIS international statistics, 2 giugno 2014, consultabile su xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxx/xxxxxx/x_xx0000x.xxx) risultano ancora più significativi se si considera che, circa un decennio fa, è stato calcolato che l'ammontare nozionale dei contratti in essere al 30 giugno 2006 conclusi su mercati OTC, depurato della doppia contabilizzazione tra operatori era di 369.906 miliardi di dollari; mentre a fine 2004 le negoziazioni su contratti derivati erano pari a poco meno di 270.000 miliardi di dollari, circa 6,6 volte il PIL mondiale e di questi, oltre il 90% si riferiva a contratti scambiati su mercati OTC.
79 X. XXXXXX XXXXXXXX, I contratti derivati finanziari, Xxxxxx, 0000,x. 2
Con il D. Lgs. del 23\7\1996 nr. 415 (Decreto Eurosim) alla nozione di valore mobiliare si sostituisce quella di “strumento finanziario”: il Legislatore, tuttavia, non utilizza ancora la nomenclatura di contratti derivati.
Negli stessi anni la Banca d'Italia, in una propria circolare, così si esprime: sono prodotti derivati “i contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa ecc. Il loro valore deriva da quello degli elementi sottostanti” 80.
80Art. 3, aggiornamento 112 del 23 giugno 1994 alla Circolare della Banca d’Italia n. 4
del 29 marzo 1988.
81 “2. Per "strumenti finanziari" si intendono:
a) valori mobiliari;
b) strumenti del mercato monetario;
c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio;
d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
e) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;
f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap» e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire
Di tale ultima nozione, dalla cui comprensione non può prescindersi ai fini della presente indagine, il Legislatore - a discapito dell'incipit “si intendono” - non dà una definizione ma si limita a delimitare dei confini, si limita cioè ad operare una elencazione delle forme di investimento, delle forme di circolazione del credito già in uso nella prassi.
È stato poi compito della dottrina quello di dare una definizione di strumento finanziario. Per comprendere tale nozione, è necessario che sia rapportata a quella di "valore mobiliare" e a quella di "prodotto finanziario".
Alla base di una ideale piramide giuridica, con l’espressione “prodotto finanziario” ci si riferisce agli strumenti finanziari e ad ogni altra forma di investimento di natura finanziaria.
attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;
g) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», contratti a termine («forward») e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f), che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;
h) strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;
i) contratti finanziari differenziali;
j) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», contratti a termine sui tassi d' interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini”.
Con il termine "strumento finanziario" si fa riferimento ai valori mobiliari; agli strumenti del mercato monetario (per esempio, buoni del tesoro, certificati di deposito e carte commerciali), alle quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio e ai contratti su strumenti derivati (per esempio, contratti di opzione, future, swap).
In cima alla piramide, i valori mobiliari sono una sottocategoria degli strumenti finanziari, sono valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali (ci si riferisce dunque, a titolo esemplificativo, alle azioni di s.p.a., alle obbligazioni e ad altri titoli di debito).
I depositi bancari o postali, che non siano rappresentati da strumenti finanziari, ed i mezzi di pagamento, invece, pur essendo lato sensu, valori mobiliari (, vale a dire che corrispondono a beni che si ascrivono nel genus dei beni mobili) non sono ascrivibili tra gli strumenti finanziari.
Da tutto ciò si desume che, ai fini del t.u.f., per strumenti finanziari devono intendersi tutti quei titoli, cartacei o dematerializzati, scaturenti da contratti a termine e che siano funzionali a “incorporare” e/o far circolare “finanza” o per dirla secondo termini aziendalistici “capitale di
Il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n.58, dunque, nel dare attuazione alla direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993, relativa ai servizi d'investimento nel settore dei valori mobiliari e alla direttiva 93/6/CEE del 15 marzo 1993, ha posto tale nomen iuris a base della disciplina delle attività che nella legge n. 1 del 1991 venivano definite di intermediazione mobiliare. L'elencazione del testo unico della finanza – nonostante sia di carattere tassativo – è capace di tener conto delle evoluzioni dei mercati finanziari. L'ampiezza delle formule utilizzate dal Legislatore e la potestà riconosciuta al Ministero dell'Economia di “individuare” nuove categorie di strumenti finanziari rendono, dunque, tale istituto fortemente duttile rispetto alle esigenze degli operatori del mercato. Quasi come se il Legislatore avesse presagito la diffusione che di lì a poco avrebbe avuto il mercato degli strumenti finanziari ed in particolar modo degli strumenti finanziari derivati.
3. La natura giuridica dei contratti derivati.
La legge non prevede una nozione tecnica di contratto derivato avente ad oggetto strumenti finanziari né all'interno del codice civile né nella
un'altra entità. Il principio non si limita a offrire una definizione base, ma declina le definizioni specifiche di attività e passività finanziarie e di strumenti rappresentativi del patrimonio netto. Nella letteratura finanziaria, l’utilizzo di tale espressione è di così ampia portata da far ricadere nell’ambito della categoria degli strumenti finanziari, una pluralità di fattispecie che vanno dalle disponibilità liquide, ai titoli nonché ai crediti e debiti generati dall’impresa.
disciplina specialistica.
La dottrina civilistica riferisce la nozione a tutt'altro. Derivati, in ambito civilistico, sono quei contratti che discendono o dipendono da un altro contratto concluso separatamente (vale a dire, contratto principale e accessorio, che hanno in comune una parte) e sono contrassegnati da un rapporto di accessorietà a senso unico (ad es. subappalto, submandato, sublocazione); un tema questo che, esulando dalle finalità specifiche di questo lavoro, è possibile solo brevemente accennare.
La letteratura civilistica tradizionale83 inquadra i contratti derivati nell'ambito del fenomeno del collegamento negoziale. Vale a dire, un determinato contratto derivato intanto può legittimamente venire ad esistenza in quanto tragga fonte da altro contratto principale, dalla esistenza del quale deriva – oltre che la genesi – le stesse sorti del contratto derivato: venendo meno il contratto principale, di xxxxx, verrà meno anche il contratto che da quello deriva84.
La categoria dei “contratti derivati finanziari”, invece, è tale da
83F. MESSINEO, Contratto derivato – sub contratto, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p.80 e ss. individua il contratto derivato in relazione all'ipotesi in cui da un contratto già perfezionato, detto contratto-base o contratto principale, discende e ne dipende, in modo diretto, un altro contratto, concluso separatamente e che si individua e contrappone al primo.
84F. MESSINEO, Il contratto in genere, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, Milano, 1972, p. 733, secondo il quale il contratto derivato si caratterizza per avere il medesimo o analogo contenuto economico e per essere caratterizzato dal medesimo tipo di causa del contratto principale. Il contratto derivato è, quindi, accessorio rispetto al primo, ma tale accessorietà opera a senso unico: dal contratto principale a quello accessorio e quindi solo il primo ha riflessi giuridici sul secondo e non viceversa. Pertanto l'effetto principale del contratto derivato è la nascita di un nuovo diritto soggettivo in capo all'acquirente, prima non esistente; tuttavia, tale diritto rimane un diritto derivato, nel senso che non può essere superiore rispetto al diritto del contratto principale, tutt'al più analogo o inferiore.
ricomprendere tutti quegli accordi contrattuali atipici, di natura finanziaria consistenti nella negoziazione a termine di un'entità economica e nella relativa valorizzazione autonoma del cd. “differenziale” emergente dal raffronto fra il “prezzo” dell'entità al momento della stipulazione ed il suo valore alla scadenza pattuita per l'esecuzione.
Il termine trae origine dall'aggettivo inglese derivative, ma il concetto che tale parola esprime non è agevolmente definibile se ci si limita ad un'interpretazione letterale della locuzione.
La dottrina è concorde nel ritenere che non si può far ricorso alle costruzioni teoriche tradizionali e qualificare il derivato finanziario alla stregua di un contratto accessorio, di unità contrattuale insistente su altra e distinta entità negoziale inidonea ad influenzarla.
In termini non dissimili, si esprime la nostra dottrina, definendo contratti derivati "quei contratti il cui valore deriva dal prezzo di un'attività finanziaria sottostante, ovvero del valore di un parametro di
85Anche la dottrina straniera, per lo più di matrice anglosassone, adotta una terminologia analoga. Così XXXX, Financial Derivates, 1996, p 1: “un derivato finanziario è uno strumento finanziario basato su un altro strumento elementare, e il valore del derivato finanziario dipende dall'ulteriore strumento di base”
riferimento”86. I derivati, cioè, possono definirsi come contratti il cui valore deriva (cioè dipende) dal prezzo di una "attività finanziaria sottostante", ovvero del valore di un parametro finanziario di riferimento (indice di borsa, tasso di interesse,cambio).
Contrariamente al senso istintivamente suggerito dal termine, i contratti in parola dunque non derivano da, bensì insistono su, elementi di altri negozi87.
Il primo significato del concetto derivazione è dunque improprio e, per così dire, rovesciato. Il contratto sarebbe derivato, in quanto il suo valore dipenderebbe (dunque “deriverebbe”), dall'attività fondamentale sottostante.
Il secondo e più pregnante significato del termine “derivato” sta ad indicare il processo genetico grazie al quale dalla base negoziale origina,
86F. XXXXXX XXXXXXXX, Profili Civilistici dei contratti derivati finanziari, Milano 87Per tutti, X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, Milano, 1997, ; X. XXXXXXXX, Definizioni, in AA.VV., Comm. al testo unico in materia di interm. fin., Padova, 1998, I, p. 9 e ss.
88In tal senso anche X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino, 2014, p. XI, secondo il quale: “il rischio che si può correre utilizzando le suddette definizioni è quello di far rientrare nella categoria dei contratti derivati anche situazioni economico-finanziarie molto distanti dal tema che ci occupa, come ad esempio la quota di un fondo comune di investimento, atteso che il suo valore certamente deriva dagli strumenti dei quali si compone la massa patrimoniale, di cui la quota esprime una frazione partecipativa: tuttavia la quota di un fondo comune di investimento non compare tra gli strumenti derivati indicati dal legislatore”.
o come suol dirsi “deriva” lo strumento finanziario corrispondente: il contratto, vale a dire l'accordo che, per effetto della stipulazione, diviene di per sé uno strumento finanziario.
In definitiva, dunque, l'espressione derivati mal si accompagna a quella di contratti89. “Derivato” è piuttosto lo strumento finanziario “che deriva” dal contratto.
La conciliazione dei due termini potrebbe aver luogo utilizzando una più ampia perifrasi quale: contratto dal quale deriva uno strumento finanziario.
L'uso terminologicamente improprio dell'espressione “contratti derivati” si deve dunque a mere ragioni di comodità espositiva oltre che alla difficoltà di distinguere, nell'ambito di una definizione sintetica, il sottile confine tra la componente negoziale (genesi) ed il suo risultato (strumento finanziario).
Se si vuole dare una precisa definizione del contratto derivato, lo si può descrivere come un contratto bilaterale, ad esecuzione differita,
caratterizzato da una forte componente di aleatorietà, avente come
89In tal senso anche X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino, 2014, p. XIII, secondo il quale: “sembrerebbe che il semplice accordo tra le parti, nel voler investire in prodotti derivati, comporti la stipulazione di un contratto derivato, o, meglio, di uno strumento finanziario derivato. Ciò vorrebbe significare quindi che il significato dei termine derivato starebbe ad indicare il processo genetico grazie al quale dalla base negoziale trae origine, cioè deriva, lo strumento finanziario, appunto, derivato. Orbene, letta in tal modo la norma, bisogna evitare quindi, di confondere la nozione di contratto derivato con quella di strumento finanziario derivato di cui all'art. 1 del T.U.F. Infatti, derivato può essere inteso come lo strumento finanziario che deriva dal contratto concluso tra le parti nel voler investire secondo uno schema prestabilito di interessi, con un oggetto determinato, con una causa lecita e con una forma prestabilita. In tal senso, il contratto derivato è quel contratto da cui deriva uno strumento finanziario”.
4. Classificazione dei contratti derivati tra dottrina e prassi dei mercati finanziari.
I contratti derivati non costituiscono un numero chiuso91. Nella formulazione attuale del T.U.F., il legislatore ha tentato una classificazione dei contatti derivati, che sicuramente non è esaustiva, sia per via dell'assenza di importanti categorie di derivati utilizzati nella prassi internazionale, sia per le modalità stesse della classificazione, basata sul carattere differenziale delle tipologie elencate e non sul tentativo di definire le varie categorie.
Detto elenco lo troviamo nella definizione di strumenti finanziari (art. 1, comma 2, lett. d), e), f), g), h), i) e j) e in quella di valori mobiliari (art. 1, comma 1 bis, lett. d),. Si tratta, nello specifico, di:
- contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), swap, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del
90In tal senso anche X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino, 2014, p. XIII
91V. SANGIOVANNI, I contratti derivati fra normativa e Giurisprudenza, in Nuova giur. civ.comm., 2010, I, p. 39 e ss.
sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
- contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), swap, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;
- contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), swap e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;
- contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), swap, contratti a termine («forward») e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f), che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;
- strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;
- contratti finanziari differenziali;
- contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), swap,contratti a termine sui tassi d' interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;
- qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari (azioni, obbligazioni ed altri titoli negoziati), a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure.
Come testé rilevato, l'elencazione casistica non è esaustiva, in quanto vi sono molte altre tipologie di strumenti finanziari derivati, desumibili
dai tipi emersi nei mercati internazionali, come ad esempio le c.d. opzioni esotiche. Ciò altresì nega la possibilità di ridurre la classificazione alle sole tre principali forme contrattuali futures, options e swaps. Il T.U.F., definisce il derivato come contratto, strumento finanziario e valore mobiliare, non dando un'esatta definizione né del derivato in sé, né delle sue diverse articolazioni, operando una distinzione sul tipo di regolamento di questi rapporti, che è quasi esclusivamente di carattere differenziale92.
Un ulteriore tentativo di classificazione può essere effettuato sulla base delle finalità dei diversi tipi di derivati. Queste possono essere raggruppate in tre categorie: la gestione di rischi finanziari (copertura di posizioni o hedging), la mera speculazione (negoziazione, trading) e l'arbitraggio93. Nella prima categoria rientrerebbero i derivati che servono a proteggere il valore di una posizione da variazioni indesiderate dei prezzi di mercato; nella seconda i derivati sottoscritti per ricavare un profitto scommettendo sull'evoluzione del prezzo dell'attività sottostante; nella terza, invece, i derivati che sfruttano un momentaneo disallineamento tra l'andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante, vendendo lo strumento sopravvalutato e ottenendo un profitto privo di rischio. Anche questa classificazione si deve ritenere inadatta.
93A. XXXXXXX XXXXXXXX, Derivati e Swap responsabilità civile e penale, Dogana (Repubblica di San Marino), 2009, p. 22.
La tradizionale classificazione perde la sua certezza nel momento in cui dagli archetipi swap, option e future si passa all'analisi delle loro filiazioni. L'instabilità e il rifiuto alla sistematizzazione costituiscono le caratteristiche istituzionali del derivato95. La recente riforma del T.U.F., attuatrice della direttiva XxXXX, non ha mantenuto quella lungimirante previsione normativa, già presente nel cd. Decreto “Eurosim” e trasfusa nel testo originario del T.U.F. all'art. 1, comma 2, lett. j), che affermava che tra i contratti derivati rientravano anche «le combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere» (le quali indicavano i derivati elementari). E' stata invece mantenuta la disposizione di cui all'articolo 18, comma 5, lett. a), secondo cui «il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d'Italia e la Consob può individuare, al fine di tener conto dell'evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi e attività di investimento e nuovi servizi accessori, indicando quali soggetti
sottoposti a forme di vigilanza prudenziale possono esercitare i nuovi
94C. XXXX XXXXXX, Struttura, caratteristica e operatività delle funzioni, in Amm. Fin., 1987, 10,p. 595.
95E. XXXXXX, I contratti derivati, Milano, 2010, p. 59
servizi e attività». Si è eliminata, con la riforma del 2007, la porta principale per l'accesso di nuovi contratti derivati, con un sistema dove è la norma che crea il mercato, salvo poi “farli entrare dalla finestra” nel momento in cui il derivato viene riconosciuto quale espressione dell'evoluzione dei mercati finanziari.
Alla luce di queste scelte legislative, è opportuno adeguarsi a quella dottrina96 che parte dagli archetipi fondamentali per procedere poi all'enunciazione delle varianti e delle evoluzioni riconducibili a ciascuna tipologia di base.
Prima di procedere con la loro classificazione, è necessario, però, delineare i tratti comuni a ciascun contratto derivato, che non vanno però ritenuti come connotati identitari in quanto possono ritrovarsi anche in altre tipologie di strumento. Innanzitutto, come si avrà modo di precisare in prosieguo, i contratti derivati vanno ricompresi, in senso ampio, tra i contratti ad esecuzione differita. Essi assumono sempre a riferimento una grandezza economica, sia essa reale od astratta; oggetto della negoziazione non è mai direttamente l'entità economica di riferimento, bensì il differenziale scaturente dalla comparazione tra il suo valore al momento della stipulazione e il valore al momento dell'esecuzione o della scadenza di computo.
Il necessario scarto temporale tra stipulazione ed esecuzione rende,
96E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 47 ss.. L'Autore supera i dubbi palesati nella prima edizione dell'opera, sul rischio che l'ipotesi di classificazione potesse ritenersi inadeguata alla luce di possibili evoluzioni normative.
inoltre, possibile che la prima abbia luogo sulla base di valutazioni previsionali sull'andamento dell'entità economica di riferimento, mentre l'incertezza della stima e del conseguente segno del differenziale fa sì che il contratto derivato possa comportare obbligazioni anche per una sola delle parti. Infine, i derivati, che possono indifferentemente rispondere ad una finalità di hedging o di trading, sono caratterizzati da una accentuata componente di aleatorietà, e la loro esecuzione può comportare perdite teoricamente illimitate.
Derivati sintetici. Nella prima categoria97 vanno sicuramente ricompresi gli archetipi di contratto derivato: future, option e swap, le cui elementari configurazioni e declinazioni vengono usualmente classificati come “plain vanilla”, in contrapposizione alle soluzioni più elaborate, definite “esotiche”.
Il future è un contratto derivato in forza del quale una parte si impegna ad acquistare o vendere, ad una data scadenza, un certo quantitativo di beni ad un prezzo predefinito: ove, alla scadenza, il prezzo di mercato sia maggiore di quello pattuito, vi sarà il conseguimento di un differenziale positivo per il compratore e di uno negativo per il venditore. Esso rappresenta la forma basilare di contratto derivato e nessun derivato trascende dai suoi elementi fondamentali.
L'option è un contratto in base al quale una parte si impegna a
97 Per una più approfondita analisi cfr. X. Xxxxxx, I contratti derivati, cit., p. 54 ss.
concedere ad un'altra, verso la corrispondenza di un prezzo, c.d. premio, il diritto di acquistare o vendere, ad una data scadenza, un certo quantitativo di beni ad un dato prezzo, c.d. prezzo di esercizio o strike price. La parte beneficiaria dell'opzione ha la facoltà di procedere alla stipula del contratto di acquisto o di vendita del fondamentale alla scadenza, ovvero di rinunziarvi98. Manca un'effettiva volontà traslativa in capo ai contraenti: in quanto derivato, l'option mira prioritariamente al conseguimento del risultato differenziale99.
Tra le varie tipologie nelle quali può presentarsi il contratto di option, si segnalano le call options e put options, che si realizzano, rispettivamente, quando il beneficiario ha il diritto di acquistare o di vendere il titolo. La convenienza ad esercitarle si ha, nel primo caso, quando l'option è in the money (il prezzo a scadenza è inferiore allo strike price, e conviene quindi acquistare) e out the money (quando viceversa il prezzo a scadenza è superiore); le american options e le european options si distinguono, invece, perchè la prima è esercitabile in qualunque momento tra la data di stipulazione e quella di scadenza, le seconde solo alla scadenza. Nell'option automatica l'esercizio o l'abbandono sono esercitati automaticamente nel momento in cui l'option
98Cfr. X. XXXXXXX, Lo swap, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, p. 39 ss.; F.M. XXXXXXXX, I ”titoli sintetici" tra operazioni differenziali e realità del riporto, in Dir. prat. trib., 1992, I, p. 877; X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, in Riv. dir. Comm., 1992, p. 629; X. XXXXXXXXXXX, Struttura e funzione dei contratti di swap, in Banca borsa e tit. cred., 1991, p. 437.
99Cfr. X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX, Le opzioni, Amm. fin. oro, 1998, 4-bis, p. 24.
si trova in the money o out the money; è semiautomatica quando il suo esercizio può avvenire in maniera inversa all'automatica, in caso di istruzione opposta impartita alla scadenza dal beneficiario. Le exotic options100, variante dalla scarsa diffusione, si manifestano nelle sottocategorie delle bermudian options (intermedia al modello americano ed europeo: l'opzione è esercitabile a scadenze intermedie prefissate tra la data di stipulazione e quella di scadenza), delle compound options (opzione il cui esercizio viene rifissato a scadenze periodiche), delle ladder options (opzione i cui prezzi di esercizio sono determinati secondo una progressione decrescente), delle pay later options (opzione in cui il prezzo viene pagato solo in caso di esercizio, accompagnato da una clausola automatica in the money), delle asian options (opzione in cui lo strike price o il prezzo del bene opzionato alla scadenza viene determinato in funzione della media dei prezzi registrati da quest'ultimo per tutta la durata dell'opzione), delle binary o digital options (opzione il cui esercizio è sospensivamente condizionato a che il prezzo del bene abbia raggiunto, alla scadenza o entro la scadenza, se european o american, un determinato livello compreso in un range predefinito) e delle hermaphrodite o AC-DC options (opzione che accorda al beneficiario di scegliere se riservarsi il diritto di porsi come acquirente ovvero venditore dell'attività fondamentale).
000 X. XXXXXXXXX, Xx contratto di opzione – 1. Struttura e funzioni, Milano, 2007, p. 323.
L'option corrisponde alla fattispecie del patto d'opzione descritto dall'art. 1331 c.c., ed è il contratto derivato che meglio risponde alle finalità di hedging, per via della sua elasticità che assicura un perfetto controllo dell'evento futuro e incerto, dato dalla variabile di valore del sottostante101.
Lo swap nasce tradizionalmente nella forma dell'interest rate swap, contratto con cui le parti si scambiano, alle varie scadenze del prestito, una posizione finanziaria contraddistinta dal rendimento a tasso fisso, con una posizione finanziaria contraddistinta dal rendimento a tasso variabile102. Lo scambio non ha per oggetto il capitale, ma il solo importo risultante dall'applicazione sul capitale del tasso di interesse. Lo schema tipico del contratto prevede la liquidazione del solo differenziale risultante dal saldo tra gli importi derivanti dall'applicazione dei due tassi, che ha luogo periodicamente in coincidenza con le scadenze alle quali le parti sono tenute ad adempiere i rispettivi debiti. Caratteristica dello swap è che consiste in uno scambio di danaro, che esprime in maniera esaustiva i criteri di differenzialità e di immaterialità. Lo scambio però è sì la causa del negozio, ma non anche il suo oggetto, che rimane sempre la ricerca del differenziale di valore.
101Cfr. X. XXXXXXX - X. XXXXXXXXX, Le polizze index e unit linked in Italia, in
Quaderni Isvap, Roma, 1999, p. 33 e ss.; X. XXXXXXXXX, Il contratto di opzione, cit.,
p. 354 e ss.; X. Xxxxxxx, Le operazioni in derivati e loro contabilizzazione, in Fin. Loc., 2008, 12, p. 131.
102Cfr. X. XXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 633; X. XXXXXX, Opzioni sintetiche, in
Amm. Fin., 1993, p. 836.
Sotto un profilo civilistico, l'interest rate swap corrisponde perfettamente all'accollo interno: si tratta dell'incrocio di due contratti di accollo con cui ciascuna parte assume il debito di interesse dell'altra, con l'intesa di procedere alla liquidazione del solo differenziale. L'esigenza di adattamento all'evoluzione dei mercati, ha portato alla creazione di contratti derivati che si attestano come varianti rispetto agli archetipi contrattuali. Va precisato che queste sono categorie aperte, in quanto non è concepibile, per loro stessa natura, una classificazione chiusa dei contratti derivati. Per non trascendere il fine del presente lavoro, ne verrà data una sommaria illustrazione. Per quanto riguarda le filiazioni dei futures, prassi e dottrina operano una prima distinzione tra futures standardizzati, per i quali esistono formulari di contratto-tipo, e non standardizzati, che vengono ricompresi nella categoria dei contratti derivato over the counter. Questa distinzione però non esaudisce la necessità di trovare le caratteristiche proprie di ciascuna manifestazione presente nella prassi finanziaria, e pertanto va abbandonata103.
Tra le configurazioni più diffuse troviamo l'interest rate future, il currency future, lo stock index financial future, il forward rate agreement, il brake forward contract. Molto più diffuse nella prassi finanziaria sono le filiazioni dell'option, dovuto anche alla naturale elasticità di questa tipologia di contratto derivato. Tra le principali si
devono menzionare l'option convertita, la synthetic option, l'interest rate
103E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 68.
cap option, l'interest rate floor option, l'interest rate collar option, il currency option, l'opzione convertibile, la barrier o knock-out option, la knock-in option, l'hedge warrant. Per quanto riguarda le filiazioni dello swap, risulta incredibile la velocità con cui queste si sono sviluppate, considerando che questo contratto derivato è nato solamente meno di trenta anni fa. Tra le principali filiazioni vi sono l'asset swap, il currency swap, il domestic swap, le sottoderivazioni di swap, lo swap elettrico, l'equity swap.
Derivati complessi. Mentre le filiazioni dei derivati sintetici si contraddistinguono per un incastro negoziale tra due segmenti che potrebbero comunque mantenere una propria autonomia giuridica, i derivati complessi sono quei contratti derivati nei quali è la volontà delle parti che fonde diverse tipologie realizzando un nuovo, autonomo, unitario ed inscindibile negozio104.
Una prima tipologia negoziale è quella del future option, ove vi è un'option che assicura al titolare la facoltà di stipulare, a scadenze e condizioni predefinite, un contratto di future, le cui scadenze e i cui termini sono altrettanto predefiniti. Abbiamo poi la stock index option, ossia un'option applicata su uno stock index financial future, dal quale si
distingue per il fatto di sostituire il tipico automatismo di quest'ultima
tipologia di contratto derivato con la facoltà di una delle parti di dare corso o meno alla liquidazione del differenziale, verso il pagamento, da
104Per una più approfondita analisi cfr. X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 120 e ss.
parte del titolare dell'opzione alla controparte, di un premio; la partecipating swap option, negozio intermedio tra lo swap domestico, di cui mantiene la liquidazione di un differenziale tra due importi convenzionali, e l'interest rate option, dal quale assorbono la caratteristica di limitare, in un senso o nell'altro, il differenziale da liquidarsi. Come tutte le options, può essere di tipo call o put: la peculiarità di essere una combinazione con un contratto di swap domestico determina che venga definito un capitale convenzionale sul quale viene applicato un cambio a pronti (capitale iniziale) ed un cambio a termine (capitale finale), creando dei benefici al cliente con un notevole risparmio in caso di andamento positivo del premio, ma, viceversa, creandogli forti effetti pregiudizievoli in caso di andamento negativo; la swaption o contingent swap, combinazione tra uno swap e un'option. La caratteristica è che lo swap non viene immediatamente concluso, bensì viene lasciata ad una parte la possibilità di stipularlo al verificarsi di una data circostanza. Esistono due differenti tecniche di stipulazione: la prima subordina la stipulazione dello swap al verificarsi di un dato evento. In tal caso, il contratto di swap può dirsi già perfezionato, in quanto è solo l'efficacia dello stesso ad essere sottoposta a condizione sospensiva ex art. 1353 c.c., e manca pertanto la componente opzionaria. La swaption in senso proprio pertanto si realizza solo in presenza di un'option finalizzata al perfezionamento di uno swap, condizionata, non
per l'efficacia di quest'ultimo, bensì per la facoltà di esercizio, al verificarsi di un dato avvenimento futuro. Il fine di questa tipologia di contratto derivato è quello di rendere più elastica la stipulazione di un contratto di swap, soprattutto per quanto riguarda la rinegoziazione e gli effetti sfavorevoli che potrebbero derivarne per il contraente. La possibilità di stipulare successivamente lo swap esercitando un'opzione, infatti, permette alla parte che ne ha la facoltà di studiare l'andamento del mercato e decidere così la convenienza nella conclusione del contratto. Una tipologia simile di derivato complesso si riscontra nello swap collar, combinazione di due filiazioni dei contratti derivati che formano la swaption: il domestic currency swap e l'interest rate collar. Gli swap collar si contraddistinguono per il fatto che le parti predefiniscono il capitale iniziale minimo e massimo applicando al capitale convenzionale due differenti tassi di cambio della valuta di riferimento. Alla scadenza il
capitale viene moltiplicato per il cambio a pronti: si ottiene così il c.d. capitale finale. Se questo è maggiore del capitale iniziale minimo, l'intermediario paga al cliente la relativa differenza, mentre se è maggiore del capitale iniziale massimo sarà il cliente a pagare il differenziale all'intermediario. Per tutti i capitali coincidenti o intermedi si crea invece
una zona franca, entro la quale non è dovuto il pagamento di alcun premio.
Un'ultima tipologia di contratto derivato complesso è rappresentata
dagli indexed derivatives, derivati semplici indicizzati alla stessa maniera delle obbligazioni. A differenza dell'interest rate swap, dell'equity swap, del future azionario e dell'option azionaria, negli indexed derivatives le variazioni di un indice non costituiscono il sottostante bensì un elemento accessorio, esogeno e accidentale, che può influire sulla valorizzazione dello strumento, ma dal quale non deriva. Questa tipologia di contratto derivato consente di sfruttare al meglio le potenzialità tipiche dello strumento fondamentale, accrescendone la flessibilità con un separato meccanismo di indicizzazione. Questo meccanismo può altresì realizzare una maggiore volatilità dello strumento finanziario, che comunque consente di attenuare gli aspetti speculativi cui lo strumento di base può condurre.
Derivati di credito. Il genus dei contratti derivati c.d. di credito si è affermato nel mercato mobiliare solo nell'ultimo decennio, ma ha subito avuto un importante sviluppo, sia a livello quantitativo che per le problematiche e controversie che ha determinato105.
Il suo archetipo è il credit default swap106, strumento finanziario creato per ovviare al rischio di inadempienze contrattuali. Il finanziatore (compratore di protezione o protection buyer), esposto al rischio di
105Sui contratti derivati di credito cfr. X. XXXXXXXXXXX, X xxxxxxxxx xxxxxxxx, xxx., x. 00; X.XXXXXXX, Trasferimento del rischio di credito e trasparenza del mercato: i credit derivatives, in Giur. comm., 2008, I, 1169 ss.; X. XXXXX, Credit default option, in Contr., 2006, p. 823 e ss.; E. BARCELLONA, Note sui Derivati Creditizi: market failure o regulation failure?, in Il Xxxx.xx, II, 200/2010.
106E. XXXXXX, Credit default swap, in Amm. fin., 1997, p. 48 e ss.
rientro verso il suo debitore (reference entity), corrisponde ad un terzo soggetto (venditore di protezione o protection seller) una quota del rendimento del credito erogato. Il protection seller, a fronte della quota di interesse retrocessogli dal protection buyer, non corrisponde alcunché a costui: i suoi oneri contrattuali consistono nell'accollarsi l'integrale o parziale perdita che il protection buyer eventualmente dovesse soffrire in caso di inadempienza da parte del reference entity. Quest'onere del protection seller opera tuttavia esclusivamente per determinati casi di inadempimento, espressamente previsti dal contratto, c.d. credit events. L'inadempienza da parte del reference entity può determinare o l'estinzione dell'operazione di finanziamento ovvero la cessione del credito da parte del protection buyer al protection seller ad un prezzo predeterminato o predeterminabile.
Diversa è altresì la causa del contratto per le diverse parti contraenti. Mentre per il protection buyer detto contratto ha finalità di hedging, per il protection seller ha finalità meramente speculative. Il primo si espone ad una perdita certa (la quota retrocessa) per assicurarsi un indennizzo incerto, il secondo, invece, si procura un profitto certo esposto ad un rischio incerto, ma comunque predeterminato o predeterminabile.
Con riferimento ai derivati di credito, esiste un contrasto dottrinale su alcune tipologie che vi vengono ricondotte: trattasi del credit spread swap, del credit spread option e del loan portfolio swap, che un'illustre
dottrina riconduce nella tipologia dei derivati semplici107. L'asserzione di un'erronea qualificazione all'interno di questa categoria è fondata sul fatto che queste tre tipologie di contratto derivato non implicano alcun trasferimento del rischio di credito, bensì, rispettivamente, lo scambio di un differenziale di valore sul titolo, il trasferimento al concedente l'opzione di un credito nei confronti del debitore insolvente nonché lo scambio di flussi di interessi attivi prodotti da crediti di due diversi creditori.
Derivati di secondo livello. La prassi finanziaria, nell'elaborazione di nuovi contratti derivati, è arrivata a creare una nuova categoria di derivati, contraddistinta dall'avere come schema base quello classico dello swap o dell'option, ma come sottostante un'astrazione di grandezze economiche o economicamente valutabili, di secondo livello rispetto alla realtà economica sottesa108.
107E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 137 e ss. L'Autore riconduce il credit spread swap all'interest rate swap, il credit spread option al credit default option e il loan portfolio swap all'asset swap.
108Cfr. X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 143 e ss.
109Un degree-day swap, ad esempio, si basa sul differenziale delle variazioni di
questo contratto derivato è sicuramente di hedging in relazione all'effetto che la variazione climatica esplica o potrebbe esplicare su determinate attività economiche.
Analogo discorso può svolgersi sia per i derivati su tariffe di trasporto, che assumono come fondamentale la variazione dei costi di trasporto marittimo, a loro volta suscettibili di influire sul costo finale dei beni; sia per i derivati basati su indicatori economici, basati sullo scostamento di un dato indice ufficiale che, per sua natura, può produrre riflessi nei rapporti tra gli operatori economici; che per i derivati su quote di emissione110, basati sulla valorizzazione del differenziale determinato dalla variazione dei prezzi delle quote di emissione, grandezza economicamente apprezzabile e negoziabile.
Derivati standard e derivati over the counter. Un'ulteriore classificazione dei contratti derivati, peraltro molto rilevante ai fini della
110Le critiche ad una riconduzione entro tale categoria di questa tipologia di contratto derivato sono determinate da un equivoco sul sottostante fondato su importanti basi normative. Tale sottostante infatti esprime una grandezza di natura convenzionale coniata dall'art. 3 della Direttiva 2003/87/CE del Parlamento e del Consiglio del 13 ottobre 2003, che definisce la quota di emissione come "il diritto ad emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato". Le finalità perseguite dalla direttiva consistono nel limitare le emissioni di gas ritenute inquinanti per l'ambiente, contingentando le tonnellate annue massime remissibili da determinati impianti produttivi. Le quote vengono assegnate dagli Stati membri sulla base di determinati criteri. L'operatore che, adottando un'accorta politica economica, riesca a produrre emissioni inferiori rispetto alle quote assegnate, ha il diritto di cedere le quote a soggetti terzi. L'errore risiede proprio nel ritenere quale sottostante detto contratto di compravendita e non il differenziale di emissioni. Sull'argomento cfr. X. XXXXX, Les quotas d'émission de gaz à effet de serre: la problematique de la nature juridique des quotas et ses implications en matière comptable et fiscale, in Bull. Xxxx Xxxxxx, 2004, p. 22 ss.; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p.145 ss.
disciplina da seguire per la loro regolamentazione, è quella tra derivati standard e derivati over the counter (abbreviati con l'acronimo OTC). Il derivato standard è un contratto non solo negoziato in un mercato regolamentato, ma anche predeterminato nel suo apparato negoziale: le condizioni di contratto sono tutte prestabilite in modo uniforme, e l'unica variabile è il prezzo111.
La volontà delle parti è ridotta ad una mera decisione sul se stipulare il contratto, mentre non possono intervenire sulla determinazione del suo contenuto: l'autonomia contrattuale è praticamente annullata, ma non influisce sulla configurazione del negozio, riducendo il derivato ad un titolo. La componente contrattuale persiste, ma è sicuramente più limitata che nei derivati OTC, i quali sono trattati nel mercato libero, senza avere limitazioni di sorta dal punto di vista dell'autonomia contrattuale.
Esaminando più nel dettaglio le due categorie, si evidenzia che il funzionamento del mercato dei contratti derivati standard limita ulteriormente l'autonomia contrattuale, non riservando alle parti nemmeno la libertà di scegliere la controparte con cui concludere il contratto: il sistema di negoziazione è improntato su di un meccanismo telematico, che implica per i partecipanti solo l'obbligo di immettere nel sistema le rispettive offerte, che lo stesso sistema provvederà ad incrociare in modo automatico.
In Italia l'istituzione di un mercato regolamentato dei derivati è
111 X. XXXXXXX, Borse merci e mercati a termine di Borsa, 1978, Milano, p. 10.
avvenuto nel 1992, con la nascita del Mercato Italiano Futures (MIF), con Decreto del Ministro del Tesoro del 18 febbraio 1992112. La disciplina del MIF era contenuta nel Regolamento del mercato dei contratti uniformi a termine su titoli di Stato della MIF S.p.A. Del 26 novembre 1998, approvato dalla Consob con delibera n. 11748 del 18 dicembre 1998. In seguito, con la fusione per incorporazione di MIF
S.p.A. in Borsa Italiana S.p.A., è stato adottato un nuovo regolamento da parte della società che gestisce il mercato113, approvato dalla Consob con due delibere, la n. 12293 del 22 dicembre 1999 e la n.12469 del 4 aprile del 2000. La regolamentazione ammetteva alla negoziazione contratti future e options su titoli di Stato e tassi di interesse114.
Dopo un'iniziale fortuna, gli scambi nel MIF iniziarono a rarefarsi,
portando Borsa Italiana S.p.A. a sopprimere il mercato dal gennaio 2003115. Dopo l'eliminazione del MIF, il principale mercato italiano di
112V. VALLE, Contratti future, in Contr. impr., 1996, p. 307, secondo cui "l'impulso più immediato all'apertura di un mercato future in Italia venne dall'avvio della negoziazione di contratti future su buoni del tesoro poliennali italiani sui mercati esteri, più precisamente al Liffle di Londra e al Matif parigino nel settembre 91. Il primo mercato future italiano, in cui si introdussero alla negoziazione proprio contratti a termine sui titoli di Stato venne istituito con decreto del Ministro del Tesoro del 18.2.92 e aperto il 22 settembre 1992. Il Mercato italiano dei future (Mif) [...] venne fondato sulle basi del mercato telematico secondario dei titoli di Stato, uno dei più grandi mercati a pronti del mondo per la negoziazione di titoli di Stato, efficiente e trasparente".
113Regolamento Borsa Italiana S.p.A. del 20 dicembre 1999.
114Nella specie, erano ammessi alla regolamentazione: a) il BTP future decennale; b) il BTP future trentennale; c) il future su tasso Euribor a un mese; d) l'opzione su BTP future decennale. Sull'organizzazione del mercato in questione v. X. Xxxxxxxxxx, Il mercato italiano dei futures e la cassa di compensazione e garanzia - Una nuova tappa della riforma dei mercati finanziari, in Riv. Soc., 1993, p. 306; X. XXXXXXX BOCCETTI, La posizione degli intermediari nel MIF, in I derivati finanziari, cit., 1993,
p. 133; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 543 e ss.; X. XXXXXXXX, La insolvenza nel MIF, in I derivati finanziari, cit., p. 141.
115Decisione Borsa Italiana S.p.A. del 19 dicembre 2002. La Consob, con delibera n. 13975 del 11 marzo 2003, d'intesa con la Banca d'Italia, ha revocato alla Borsa
contratti derivati standard è l'Italian Derivatives Market (IDEM), istituito con le delibere Consob nn. 9482, 9483 e 9484 del 3 ottobre 1995. Con la privatizzazione della Borsa, l'IDEM fu ridisciplinato dal Titolo 4.7 del precedente Regolamento della Borsa Italiana S.p.A., approvato dalla Consob il 4 dicembre 1998 e in vigore dal 4 gennaio 1999, e oggi trova la sua disciplina nel Regolamento Borsa 2012 e nelle relative Istruzioni in vigore dall'15 ottobre 2012. Già dal Regolamento del 2010, si è operata una suddivisione in due comparti del mercato in questione: l'IDEM Equity, destinato alla trattazione dei futures sul XXXX XXX000(xx.xx. FIB), dei miniFIB, delle options sul FTSE MIB, dei futures su azioni e delle options su azioni; e l'Italian Derivatives Energy Exchange (IDEX),
ospitante i futures sull'energia elettrica117. Gli swaps standard sono invece
l'autorizzazione alla gestione del mercato in questione.
117Cfr. F. DI PORTO, Commento all'art. 11, comma 7, in L'attuazione della direttiva
MiFID a cura di A. Xxxxx-X. Xxxxxxx Farina, Torino, 2010, p. 310; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 568 e ss. L'art. 66- bis TUF, inserito dal d.lgs. 164/2007, ha espressamente ammesso la possibilità di istituire e gestire mercati per la negoziazione di derivati energetici (elettricità e gas). V. anche l'art. 66-bis TUF (Mercati di strumenti finanziari derivati sull’energia e il gas): «1. Ai mercati regolamentati per la negoziazione di strumenti finanziari derivati sull’energia elettrica ed il gas e alle società che organizzano e gestiscono tali mercati si applicano le disposizioni del presente Capo, fatto salvo quanto indicato ai successivi commi. 2.I provvedimenti di cui agli articoli 61, commi 8 e 8-bis, 63, commi 1 e 2, 67, commi 2, 3, 5-bis e 5-ter, 70-bis, comma 2,
lettera b), 70-ter, comma 2, 73, comma 4, e 75, commi 2 e 4, sono adottati dalla Consob, d’intesa con l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. 3. Le disposizioni di cui all’articolo 62, comma 1-ter, sono adottate dalla Consob, sentita l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas. 4. I provvedimenti di cui all’articolo 64, comma 1-bis, lettera c), sono adottati dalla Consob sentita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. 5. I compiti di cui all’articolo 67, comma 2-bis, sono attribuiti alla Consob, sentita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. 6. L’Autorità per l’energia elettrica ed il gas esercita le attribuzioni previste nel presente articolo in funzione delle generali esigenze di stabilità,
negoziati nel comparto del mercato telematico e-MID denominato e- Mider118.
In Italia opera, altresì, un terzo mercato, il SeDeX, nel quale vengono negoziati degli strumenti in ordine alla cui riconducibilità alla categoria dei contratti derivati sussiste in dottrina un forte contrasto: ci si riferisce ai covered warrant e i certificates119.
L'IDEM rappresenta comunque un modello anche per gli altri mercati, disciplinati sulla falsa riga di quest'ultimo, e pertanto è bene muovere l'analisi degli operatori autorizzati ad operare sul mercato e le modalità di stipulazione ed esecuzione del contratto basandoci sulla normativa regolatrice del suddetto mercato. Mentre dottrina e prassi più risalenti
distinguevano gli operatori tra brokers e dealers120, l'ampliarsi dei
118Gestito da e-MID SIM S.p.A., l'e-MIDER è governato da un Regolamento emesso dalla stessa società di gestione, la cui ultima versione risale al 16 aprile 2007, e da apposite Disposizioni di attuazione, da ultimo modificate il 20 luglio 2009. Sull'argomento cfr. X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 576 e ss.
119Per X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., 572 e ss., tali strumenti non possono propriamente considerarsi derivati, bensì soluzioni ibride fra il derivato e il titolo di debito.
120Cfr. X. XXXXX, Contratti future, cit., 328, secondo cui «sono “intermediari puri” (brokers) quegli operatori che possono formulare proposte in concorrenza con quelle degli operatori principali, ma che non hanno l'obbligo di farlo in via continuativa. Essi non possono assumere posizioni in conto proprio, ma solo per conto terzi. Sono detti “dealers” o “locals” colo che non hanno la possibilità di formulare proprie offerte ma solo di accettare quelle degli operatori principali e dei brokers. Possono svolgere esclusivamente attività per conto proprio. “Altri operatori” vengono definiti coloro che
mercati, il moltiplicarsi degli operatori e le più rigide condizioni d'accesso hanno introdotto una più complessa classificazione, puntualmente fornita dall'art. 3.1.1 del Regolamento della Borsa Italiana
S.p.A. del 2012, secondo cui possono partecipare alle negoziazioni nei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana i soggetti autorizzati ai sensi di legge o di regolamento all’esercizio dei servizi e delle attività di negoziazione per conto proprio e/o di esecuzione di ordini per conto dei clienti e i soggetti che rispettano specifici requisiti di partecipazione stabiliti da Borsa Italiana nelle Istruzioni.
Le Istruzioni al Regolamento, all'art. IA.3.1, prevedono che possono partecipare alle negoziazioni nei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana: a) i soggetti autorizzati all’esercizio dei servizi e delle attività di negoziazione per conto proprio e/o di esecuzione di ordini per conto dei clienti ai sensi del Testo Unico della Finanza, del Testo Unico Bancario o di atre disposizioni di leggi speciali italiane; b) le banche e imprese di investimento autorizzate all’esercizio dei servizi e delle attività di negoziazione per conto proprio e/o di esecuzione di ordini per conto dei clienti ai sensi delle disposizioni di legge di Stati Comunitari o di Stati Extracomunitari; c) le imprese costituite in forma di società per azioni, società a responsabilità limitata, o forma equivalente per le quali sussistano in capo ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,
possono operare sia per conto proprio sia per conto terzi, ovvero solo per conto terzi.
Essi non possono formulare offerte ma solo accettare con i propri ordini le offerte degli operatori principali e dei brokers».
direzione e controllo e ai responsabili dell’attività di negoziazione e della funzione di controllo interno, i requisiti di onorabilità e professionalità, equivalenti a quelli previsti per gli intermediari su strumenti finanziari. Tale requisito non si applica per le imprese autorizzate dall’Autorità competente di uno Stato Comunitario a uno o più servizi e attività di investimento o alla gestione collettiva del risparmio. Dette imprese devono avere istituito una funzione di revisione interna, che non dipenda
gerarchicamente da alcun responsabile di aree operative, che svolga verifiche periodiche sull’attività di negoziazione su strumenti finanziari. Borsa Italiana si riserva la possibilità di esonerare dal rispetto del presente requisito valutata la dimensione dell’operatore (c.d. principio di proporzionalità). Le imprese devono altresì essere in possesso di un adeguato patrimonio netto, risultante dall’ultimo bilancio certificato.
Quanto alle modalità di stipulazione, i derivati standard vengono trattati su un circuito telematico, entro il quale gli operatori immettono le rispettive proposte di acquisto e di vendita. In caso di parità di prezzo, vengono ordinate cronologicamente. La conclusione del contratto avviene automaticamente, incrociando le proposte di acquisto con quelle di vendita che presentino le stesse caratteristiche, rispettando l'ordine di valore e immissione. La principale anomalia derivante da questo particolare luogo di stipulazione dei contratti derivati, è che gli operatori non possono scegliere la controparte e le proposte vengono immesse in
forma anonima121.
Il contratto telematico su derivati standard si connota, quindi, per la spersonalizzazione della negoziazione. La scelta della controparte è basata sul fattore meramente oggettivo della coerenza delle rispettive proposte ed è effettuata dal sistema in maniera totalmente automatica e sganciata da qualsiasi considerazione sui contraenti. Non è nemmeno possibile conformare la proposta in termini personalizzati.
Il Regolamento Borsa 2012 prevede, all'art. 5.3.2, comma 6, che possono essere immesse solo le seguenti tipologie di proposte di negoziazione: a) “proposta singola”, riflettente un ordine, in acquisto o in vendita, relativo a una singola serie dei contratti; b) “proposta combinata standard” (Combo) riflettente una combinazione di due ordini relativi a due serie diverse, la cui esecuzione avviene simultaneamente al verificarsi delle idonee condizioni di mercato. Borsa Italiana determina nelle Istruzioni le strategie operative oggetto di proposte combinate standard; c) “quotazioni”, riflettenti offerte di acquisto e vendita degli operatori market maker e degli specialisti in adempimento dei loro obblighi; d) “proposta combinata flessibile” (FLEXCO), riflettente una combinazione, definita dall'operatore proponente, di massimo quattro
ordini relativi a serie differenti, la cui esecuzione deve avvenire contestualmente. Le caratterizzanti spersonalizzazione e anonimato implicano la necessità di ricorrere ad uno strumento di garanzia che assicuri la certezza di esecuzione del contratto e l'impossibilità per le parti ci sollevare eccezioni in ordine alla validità ed efficacia dello stesso.
Il TUF conferisce a Consob e Banca d'Italia diverse funzioni regolamentari in materia.
La Consob, (sentita la Banca d'Italia quando si tratti di contratti derivati su titoli pubblici, tassi di interesse e valute) emana i provvedimenti autorizzativi dei mercati regolamentati122 ed è competente sui sistemi di garanzia dei contratti123. La compensazione e garanzia delle operazioni su strumenti finanziari sono invece disciplinate dalla Banca d'Italia d'intesa con la Consob124, mentre sull'accesso ai sistemi di garanzia, compensazione e liquidazione delle operazioni su strumenti finanziari125,
sugli accordi tra detti sistemi nell'ambito dei mercati regolamentati126 e sulla disciplina dell'insolvenza di mercato, competente ad emanare i regolamenti e ad opporsi agli accordi anzidetti è la Consob, d'intesa con la Banca d'Italia.
Il sistema di compensazione attualmente abilitato è la Cassa di
122 Art. 61, comma 6-ter, TUF
123 Art. 68 TUF
125 Art. 70-bis TUF
126 Art. 70-ter TUF.
Compensazione e Garanzia, istituita da Consob e Banca d'Italia127, che oggi è gestita in forma privata128 ed il cui funzionamento è disciplinato dal Regolamento deliberato dalla stessa società gerente e dalle relative Istruzioni applicative129. Gli operatori che si avvalgono del servizio della Cassa prendono il nome di aderenti130. La Cassa assume il ruolo di controparte degli aderenti che a loro volta assumono il ruolo di controparte dei clienti.
La transazione originaria si conclude sostanzialmente tra i due clienti, ma formalmente il rapporto viene liquidato tra l'aderente cui il cliente si sia rivolto e la Cassa. Concluso il contratto, il sistema telematico comunica alla Cassa l'identità delle controparti, la posizione assunta (acquirente o venditore), l'oggetto e le condizioni del contratto.
Ricevuta l'informazione, la Cassa conferma l'operazione al venditore e all'acquirente. Tale conferma determina l'assunzione, da parte della Cassa delle posizioni contrattuali e la conseguente liberazione delle controparti
127Disposizioni della Consob e della Banca d'Italia del 16 marzo 1992 concernenti l'organizzazione e il funzionamento della Cassa di Compensazione e Garanzia e successive modifiche.
128CC&G (Cassa di Compensazione e Garanzia) S.p.A., che fa parte del Gruppo London Stock Exchange.
129Regolamento CC&G S.p.A. del 1 novembre 2011.
dalle posizioni contrattuali reciproche.
Alla luce di ciò si aprono importanti profili civilistici133, che separano aspetto negoziale e profilo solutorio, astraendo la fase esecutiva dalle sorti civilistiche del contratto di base.
Sono da escludere la cessione del contratto (art. 1406 c.c.) e lo schema fideiussorio (art.1936 c.c.), in quanto nel primo caso le relative posizioni contrattuali non si estinguono e sarebbe inapplicabile la disciplina di cui
131Cfr. X. XXXXX, Il mercato mobiliare, 2000, Torino, 256, secondo cui così si realizza l'effetto tipico della clearing house: «la Cassa di compensazione e garanzia diventa controparte di ciascuno dei contraenti del contratto uniforme su strumenti finanziari negoziati sui mercati derivati (Idem e MIF), esonerando così ogni parte di questi contratti dal rischio di insolvenza di controparte»
132 Art. B.3.1.1, comma 3, Regolamento CC&G S.p.A.
133 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 566 e ss.
agli artt. 1408-1410 c.c. in tema di eccezioni opponibili tra cedente, cessionario e ceduto, e nel secondo caso l'obbligato principale è completamente liberato nei confronti della controparte. E' preferibile accogliere la tesi dell'accollo liberatorio esterno134 (art. 1273 c.c.), in quanto la Cassa assume l'obbligo di eseguire rimanendo unica obbligata in tal senso verso i contraenti che, per effetto dell'adesione al mercato, acconsentono espressamente alla liberazione della controparte135.
Si è accennato supra che i derivati OTC sono trattati nel mercato libero, senza avere limitazioni di sorta dal punto di vista dell'autonomia contrattuale. Nella prassi è raro che si manifesti la stipulazione di singoli derivati, che consistono e si esauriscono in un unico accordo e in un'unica operazione. Ordinariamente, soprattutto per rispondere alle esigenze degli investitori professionali, che richiedono un elevato volume di operazioni, si fa ricorso al modello negoziale del contratto-quadro o master agreement, che soddisfa quei requisiti di agilità e rapidità che i contratti derivati richiedono. Il master agreement è un contratto
134Contra X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., che sostiene l'introduzione di una nuova figura giuridica, ossia la clearing house, l'istituzione che si pone al centro delle negoziazioni garantendo l'adempimento, ma una tale soluzione non risolve i problemi nascenti dalla “sterilizzazione” della posizione della Cassa di garanzia e compensazione a seguito del manifestarsi di vizi contrattuali.
135Ricordiamo che l'art. 1273 x.x., xxxxx 0, xxxxxx “L'adesione del creditore importa liberazione del debitore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Sull'istituto cfr. X. XXXXXX, Xx Xxxxxxxxxxxx, 0000, Xxxxxx, p. 279 e ss.; X. XXXXXX, Saggi, Napoli, 1964,
p. 78 e ss.; ID., voce Accollo, in Enc. Dir., I, Milano 1958, p. 284 ss.; X. XXXXXXXXX, Se in caso di accollo, a scopo di finanziamento, si applichi la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, in Riv. dir. priv., 2008, p. 427; X. XXXXXXX, Accollo di debiti futuri e determinabilità (anche unilaterale) dell'oggetto della prestazione, in Riv. dir. priv., 2007, p. 59
normativo, un accordo che non impegna le parti alla stipulazione, ma che disciplina gli eventuali singoli contratti che le parti vorranno stipulare, contenendo la disciplina negoziale che disciplinerà queste singole operazioni. L'esecuzione di queste ultime richiederà forme più semplici, necessitando solo della trasmissione degli elementi essenziali del singolo negozio, cd. conferme. Il contratto-quadro conterrà una comune disciplina degli aspetti inerenti la forma, il metodo di conclusione delle singole operazioni, le garanzie richieste a copertura degli impegni nascenti dalle stipulazioni, l'eventuale accordo di mark to market e i criteri per la determinazione del relativo valore, la durata del contratto, i casi di risoluzione anticipata, la previsione eventuale del diritto di recesso, le clausole sulla competenza negoziale o arbitrale136. Appositi allegati al contratto-quadro definiranno poi modelli da adottarsi per le
singole operazioni.
La natura internazionale dei contratti derivati ha fatto intraprendere il tentativo affermare dei modelli di contratto-quadro in derivati, capaci di imporsi come universali per la loro completezza137. Ma questo tentativo di universalizzazione è fallito, in primis per la fonte di questi master agreements, che sono elaborati da associazioni di operatori del settore, prescindendo dal profilo giuridico138.
136Cfr. X. XXXXXX LUCCA, Strumenti finanziari. Aspetti di diritto internazionale privato, 2006, in xxxxxxx.xx.
137Cfr. S.M. XXXXXXX, Derivati finanziari e diritto internazionale privato e processuale: alcune considerazioni, in Dir. comm. int., 2000, p. 3.
138I principali modelli in uso, come detto, sono l'ISDA (elaborato dall'International
Inoltre, l'elaborazione in sistemi giuridici di common law ha reso difficile la loro introduzione negli ordinamenti di civil law, così come impossibile si è rivelato racchiudere entro un modello fisso uno strumento altamente variabile quale è il derivato.
Nel nostro ordinamento, dunque, in virtù della scarsa attenzione che hanno richiamato questi modelli universali, l'esercizio della libertà contrattuale è massimo: il contratto derivato OTC è creato dalla stessa controparte professionale. Muovere l'analisi sulla prospettiva dell'autonomia contrattuale è limitativo ed in controtendenza anche rispetto alle analisi effettuate dalla più recente dottrina139 e giurisprudenza140 in materia di derivati OTC.
Bisogna prendere le mosse dalla prospettiva del conflitto di interessi, in quanto, come fa notare il Tribunale di Milano, «la contrattazione in derivati over the counter, a differenza di quella in derivati uniformi, porta con sé un naturale stato di conflittualità tra intermediario e cliente, che
Swap Dealers Association, che ha poi modificato la denominazione in International Swap and Derivatives Association), steso nel 1988 e revisionato prima nel 1992 e poi nel 2002 (per una ricostruzione storica del modello v. X. XXXXXXXX, Strumenti finanziari derivati, cit., 34); l'IFEMA – International Foreign Exchange Market Agreement (elaborato tra il 1989 e il 1992 dal New York Foreign Exchange Committee, dalla British Bankers' Association e dalla Nippon Ginkō); l'ICOM – International Currency Options Master, steso nel 1992 con la fusione tra il LICOM – London Interbank Currency Option Master (elaborato dalla British Bankers' Association nel 1985) e i Recommended terms and conditions for dealing in United States elaborati dal Foreign Exchange Committee nel 1986. Nel 2001 è stato anche elaborato un modello di matrice europea, l'EMA – European Master Agreement, che si è comunque rivelato un fallimento, per via dell'inesistente impiego fattone nella prassi.
139Cfr. X. XXXXXXX, Intermediario contro investitore: i derivati over the counter, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, 779 ss.; Id., Sostanza e rigore nella giurisprudenza ambrosiana del conflitto di interessi, in Corr. giur., 2009, 984; Id., Contratti derivati, in Banca, borsa e tit. cred., 2011, p. 604 e ss.; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 360. 140Trib. Milano, 19 aprile 2011, in Il Xxxx.xx.
discende dall'assommarsi nel medesimo soggetto delle qualità di offerente e di consulente»141.
Un ulteriore profilo di cesura tra contratti derivati standard e OTC riguarda la loro negoziazione una volta che siano conclusi. La negoziabilità all'interno di un mercato regolamentato garantisce al contratto derivato di poter facilmente circolare, ponendo solo i problemi della protezione dell'investitore per conto del quale l'investitore acquista
i contratti derivati. Viceversa, i contratti derivati OTC, non essendo negoziati entro mercati regolamentati142 e mancando le condizioni di liquidità, non sono oggetto di alcuna negoziazione successiva alla negoziazione.
5. Gli elementi essenziali del contratto derivato.
In considerazione delle molteplici varietà di strumenti finanziari derivati sviluppatisi nella prassi, svolgere una trattazione unitaria circa gli elementi essenziali del contratto derivato appare un'operazione estremamente complessa.
Tuttavia, la dottrina ha individuato alcuni profili ricorrenti che pur non essendo pienamente esaustivi rispetto al fenomeno trattato, consentono, comunque, di delineare alcune caratteristiche comuni di tali
141Sempre Trib. Milano, 19 aprile 2011, cit.
142Per tale motivo veniva esclusa la natura di valore mobiliare sotto il vigore della legge 1/1991 da X. XXXXXXXXXX, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992,
48. Tale opinione è stata superata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato: v. Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 1994, n. 525/94, in Cons. Stato, 1995, I, 1328.
contratti finanziari.
Le informazioni sui rischi, a cui le parti reciprocamente vanno incontro, oltre ad avere rilevanza sul piano della responsabilità precontrattuale, incidono in maniera diretta sulla piena validità dello stesso consenso. In concreto, laddove la struttura contrattuale del derivato, in particolare per quanto riguarda la determinazione del sottostante ed i rischi finanziari potenzialmente a carico di una parte, fosse tale da non rispecchiare le oggettive necessità delle parti, ciò renderebbe il contratto probabilmente annullabile ex art. 1429 c.c. per errore essenziale circa la natura e l'oggetto del contratto stesso144.
143In tal senso anche X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino,
2013, p. 26, secondo il quale: “proprio in considerazione del fatto che gli strumenti derivati finanziari hanno una struttura contrattuale del tutto peculiare e un'alta rischiosità in termini economici finanziari, è necessario che ci sia un valido e pieno consenso, attraverso anche la conoscenza sostanziale del contratto che si sta per porre in essere”
144In tal senso sempre X. XXXXXXX, op. ult cit., il quale rispetto all'oggetto ritiene che vada inteso non solo come prestazione da eseguire, ma anche come riferimento al sottostante da cui il derivato prende valore; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Dir. fall., 2008, I, p. 9 e ss. ha statuito che la mancanza dell'informativa non incide circa la totale assenza del consenso tale da permettere l'annullabilità del contratto; inoltre, Trib. Rimini, 25 marzo 2005, in I Contratti, 2006, p.275 e ss. ha affermato che pur non ritenendo che la mancata informativa costituisca un vizio della volontà, ha sostenuto che è sempre possibile dimostrare il dolo, provando che una parte, nascondendo i rischi con xxxxxx e raggiri, abbia indotto l'altra parte a perfezionare il
Il contratto di derivato finanziario, come detto, normalmente, si ha per concluso quando l'accordo delle parti sia espresso oralmente, trattandosi di contratti consensuali sinallagmatici. Tale principio è ribadito anche dall'ISDA Master Agreement della Interational Swap and Derivate Association e dallo European Master Agreement for Financial Transactions della Federazione Bancaria Europea145. Tuttavia, in certi casi l'accordo deve rivestire la forma scritta.
La forma con cui si deve esplicitare la volontà negoziale è indicata dall'art. 23, comma 1, T.U.F. che prescrive ad substantiam la forma scritta e la consegna di una copia del contratto al cliente. In caso di mancanza della forma scritta, la relativa nullità può essere fatta valere solamente dal cliente146.
In caso di conflitto tra la norma contrattuale, per la quale l'accordo orale è sufficiente per far sorgere i rispettivi obblighi e la norma disciplinata dall'art. 23, comma 1, T.U.F., se il perfezionamento di un derivato costituisce l'esecuzione di un investimento, allora in questo caso la seconda norma prevale in quanto norma imperativa posta a tutela dell'investitore-contraente debole e, pertanto, la forma scritta diventa obbligatoria. Va comunque sottolineato che la norma perde, comunque, la
contratto.
146Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 23 t.u.f. Al riguardo, secondo XXXXXXX, op. cit., p. 27: “in tal modo, il legislatore ha previsto un'espressa ipotesi di nullità di protezione(o relativa) a tutela della parte più debole del rapporto sinallagmatico”.
Infine, è discusso in dottrina se la forma scritta sia limitata al solo master agreement che, in quanto tale, prevede le forme di perfezionamento delle successive operazioni finanziarie e dei conseguenti contratti, oppure debba estendersi anche a tutte le operazioni disciplinate e ivi comprese148. Laddove si aderisse alla teoria che il perfezionamento del singolo derivato sia un servizio di investimento, coerentemente con quanto previsto dalla norma, sarebbe necessario estendere l'obbligo della forma scritta a tutte le singole operazioni, risultino o meno riconducibili ad un unico master agreement149.
In relazione all'oggetto del contratto, tutti i derivati ne hanno uno, in quanto il valore del derivato stesso mutua la propria valutazione
147In relazione all'ambito di applicazione di tale definizione: da ultimo Xxxx. 26 maggio 2009, n. 12138, in Xxxx xx, x. 0000, X, x. 000 e ss.; nonché in giurisprudenza di merito: App. Milano, 12 ottobre 2007, in Rep. Foro it., 2008, voce Intermediazione finanziaria,
n. 20; App. Trento, 5 marzo 2009, in Xxx. xxx. xxxxxxxx, 0000, x 00 x xx.
000Xxxx ultime operazioni non sono altro che i singoli derivati indipendentemente dal fatto che il contratto quadro consideri le singole manifestazioni di volontà come un tutt'uno, facendo così perdere loro individualità rispetto alle singole operazioni
149F. XXXXXX XXXXXXXX, Profili Civilistici dei contratti derivati finanziari, Milano, 1997, p. 62 e ss.
In altri termini, l'oggetto del contratto derivato è il differenziale tra il prezzo del contratto e il prezzo unitario del sottostante; pertanto, se il sottostante è una res o è fisicamente consegnabile, l'oggetto del contratto sarà costituito da tale sottostante, oltre ad una controprestazione in denaro.
Al contrario, se la consegna del sottostante non è possibile, e quindi l'esecuzione deve avvenire per contanti (indipendentemente dai calcoli dei differenziali con eventuali compensazioni), l'oggetto del contratto sarà una parte della somma di denaro che si sostituisce nell'esecuzione per contanti alla consegna fisica calcolata in relazione al derivato. Per delimitare l'oggetto del contratto derivato ed individuare, di conseguenza le sue funzioni, la dottrina ha accostato lo studio dei contratti derivati a quello del contratto a termine o ad esecuzione differita. In entrambe le tipologie contrattuali, infatti, l'essenza economica, regolata dall'accordo, mira a creare il citato “differenziale” dato dal raffronto fra il valore dell'entità negoziata al momento della stipulazione e il valore che quella stessa entità avrà al momento
150 Per tale motivo, lo stesso derivato può essere definito bene di secondo grado.
dell'esecuzione.
Pertanto, ciò che le parti di un contratto derivato negoziano non è un determinato “bene fisico”, bensì la differenza di valore di quel bene. Il derivato, quindi, si può definire come un contratto a termine nel quale l'effetto differenziale diviene l'oggetto della volontà dei contraenti, rientrando, quindi, nel genus degli accordi ad esecuzione differita152.
In definitiva, quindi, per quanto attiene all'oggetto del contratto derivato può essere riassunto come l'alea rappresentata dalla variazione dei dati economici prescelti, con la conseguenza che si può definire il derivato come quel contratto con il quale si dà un prezzo al rischio. Per quanto attiene alla causa dei derivati, va detto che le discussioni dottrinarie in merito alla natura giuridica della fattispecie traggono
151Detto altrimenti, mentre l'oggetto di un contratto a termine è, comunque, la compravendita di un bene, l'oggetto di un contratto derivato è, invece, il differenziale prodotto dalla comparazione fra i due prezzi, quello determinato alla stipula e quello finale alla scadenza.
152Tale definizione è avallata anche dalla giurisprudenza di merito, la quale nel qualificare una fattispecie indiretta di swap rileva che il pagamento delle differenze costituisce l'oggetto immediato e unico del contratto stipulato inter partes, sia all'atto della stipulazione, sia alla scadenza Trib. Milano, 27 marzo 2000, in I Contratti, 2000,
p. 777 ss.. Inoltre, App. Lecce, 28 gennaio 2009, in Foro it., I, 2009, p. 2209 ss, sottolinea come il contratto relativo alla prestazione di un servizio di investimento finanziario, consistente nella vendita da parte di un privato di opzioni put, collegate all'andamento dei corsi su titoli azionari, è nullo per indeterminatezza dell'oggetto qualora manchi ogni indicazione circa il numero dei titoli opzionabili e il termine entro il quale questo deve essere indicato, indispensabile per quantificare la somma che il cliente è obbligato a versare all'intermediario ove quest'ultimo decida di esercitare l'opzione.
origine proprio dall'esigenza di individuare e riconoscere una valida causa del negozio153. Del resto, se si supera questo ostacolo, e cioè si riconosce nel contratto derivato una causa meritevole di piena tutela giuridica, allora la problematica si semplifica nei seguenti termini: se è lecita la causa, è lecito anche il contratto derivato e di conseguenza lo è anche lo strumento derivato che consegue al negozio stesso. Senza voler approfondire la struttura contrattuale delle singole tipologie di derivati finanziari154, appare rilevante sottolineare alcuni aspetti relativi alla causa in generale del contratto derivato, il primo dei quali è sicuramente il connotato di pura astrattezza causale155.
Infatti, pur insistendo su una grandezza economica e pur derivando da essa il suo valore, il contratto derivato presenta una propria ed assoluta autonomia: pertanto, le vicende giuridiche che coinvolgono il sottostante
153Cfr. X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino, 2013, p. 26 secondo il quale: « se non si vuole richiamare quale definizione della causa quella dei singoli contratti tipici, ai quali gli stessi contratti derivati possono essere ricondotti, diventa un'operazione ermeneutica di difficile soluzione quella di individuare una causa autonoma ».
154Cfr. X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino, 2013, p. 34 “ Se si escludono, quindi, i futures e gli accordi di scambio a termine, entrambi riconducibili a delle compravendite a termine, rimane in bilico solo la causa degli swap e degli option. Pertanto, senza voler eccessivamente analizzare tali contratti, si può sottolineare in questa sede che lo swap è un contratto, la cui causa oggettiva sta nello scambio di due rischi connessi, riferiti e parametrati ai sottostanti di riferimento. Per i contratti di tipo option, analogamente, la causa è l'assunzione, da parte di ciascuno dei contraenti, del rischio di variazione del valore del sottostante anche se, sotto il profilo soggettivo, il seller (venditore) dell'opzione ritiene improbabile che tale rischio si verifichi nella misura stimata dal buyer(compratore). In altri termini, il seller cercherà di valutare, in base a dei criteri di statistica economico-fnanziaria se l'evento (rectius il rischio) alla base dell'opzione si verificherà o meno nella misura stabilità dal buyer; pertanto, al momento del verificarsi del rischio si determinerà una soglia di valore superiore o inferiore a quella pattuita, rispetto alla quale le parti del contratto si scambieranno i rispettivi rischi in base al valore del sottostante preso a riferimento”.
155Cfr. X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell'acquirente, Torino, 2013, p. 35