INDICE
INDICE
▪ UN ANNO DA GARANTE REGIONALE.
▪ IL CARCERE CHE NON C’E’.
▪ LE FIGURE DI GARANZIA DEI DIRITTI DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA’ PERSONALE:
✓ ALLEGATI.
✓ I Garanti dei diritti dei detenuti in Italia.
CAPITOLO 1: LE “QUESTIONI IMPORTANTI”, CON RIFLESSO SULLA REGIONE XXXXXX‐ROMAGNA.
▪ IL SOVRAFFOLLAMENTO:
✓ IL PROBLEMA DELLE DIMENSIONI DELLA CELLA.
✓ LO STATO DI EMERGENZA E I RIMEDI MESSI IN CAMPO.
✓ GLI EVENTI CRITICI NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI.
✓ LA CIRCOLARE DAP SULLA VIGILANZA DINAMICA PUO’ ESSERE UNA SVOLTA PER UNA DIVERSA CONCEZIONE DELLA SICUREZZA IN CARCERE. Allegati.
▪ I TRATTI COMUNI DI CHI ABITA LE CARCERI E I CIE DELLA REGIONE XXXXXX‐ROMAGNA.
▪ DONNE DETENUTE E DONNE MADRI IN CARCERE. DATI NAZIONALI E DELLA REGIONE XXXXXX‐ ROMAGNA.
▪ MISURE DI SICUREZZA PERSONALI DETENTIVE: VERSO IL LORO SUPERAMENTO.
▪ OPG: E’ LA VOLTA BUONA?
✓ ALLEGATI.
▪ BENE LA GIUSTIZIA RIPARATIVA, MA XXXXXXXX IL DIRITTO AL LAVORO DELLE PERSONE DETENUTE:
✓ ALLEGATI.
▪ RIMPATRIO ASSISTITO PER I DETENUTI STRANIERI? LA SITUAZIONE IN XXXXXX‐ROMAGNA.
▪ APPROFONDIMENTI:
✓ NECESSARIO E URGENTE CONSENTIRE ACCESSO SENZA AUTORIZZAZIONI ANCHE A PRESIDENTI PROVINCE E SINDACI.
✓ SULLA LIBERAZIONE ANTICIPATA DECIDANO I DIRETTORI DELLE CARCERI.
▪ CARCERE E INFORMAZIONE, MEGLIO DIRLA TUTTA...
CAPITOLO 2: LA FUNZIONE DI VIGILANZA SULLE CONDIZIONI DI DETENZIONE NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI DELL’XXXXXX‐ROMAGNA.
▪ LA REALTA’ DEGLI ISTITUTI PENITENZIARI REGIONALI:
✓ Casa Circondariale di Bologna.
✓ Istituti penitenziari di Parma.
✓ Casa Circondariale di Modena.
✓ Casa Circondariale di Rimini.
✓ Casa Circondariale di Reggio nell’Xxxxxx.
✓ Casa Circondariale di Ravenna.
✓ Casa Circondariale di Piacenza.
✓ Casa Circondariale di Ferrara.
✓ Casa Circondariale di Forlì.
✓ Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano (MO).
✓ Casa di Reclusione di Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx (MO).
✓ Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio nell’Emilia.
▪ IL RAPPORTO CON LA POPOLAZIONE DETENUTA:
✓ Le segnalazioni collettive.
CAPITOLO 3: IL XXXXXX XX XXXXXXXXX XXXXXXXX XXXX’XXXXXX‐XXXXXXX E IL CARCERE MINORILE DEL PRATELLO.
▪ RIPENSARE IL CARCERE MINORILE.
▪ IL XXXXXX XX XXXXXXXXX XXXXXXXX XXX X’XXXXXX‐XXXXXXX (XXX):
✓ L’Istituto penale minorile del Pratello (IPM);
✓ Il Centro di prima accoglienza (CPA) e la Comunità ministeriale.
✓ Flussi di utenza nei servizi residenziali della Giustizia minorile dell’Xxxxxx‐Romagna nell’anno 2012.
✓ ALLEGATI.
CAPITOLO 4: I CIE.
▪ I CIE – CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE DI MODENA E BOLOGNA.
▪ LA REALTA’ DEI CIE:
✓ Il CIE di Bologna e l’apertura dello sportello di informazione legale; lo sportello donne vittime della tratta.
✓ Il CIE di Modena ed il progetto di apertura dello sportello di informazione legale.
✓ Uno sguardo su tutto il territorio nazionale.
✓ ALLEGATI.
CAPITOLO 5: I PROGETTI E LE RELAZIONI.
▪ IL GARANTE REGIONALE DEI DETENUTI E L’UNIVERSITA’ DI BOLOGNA:
✓ L’Accordo di collaborazione.
▪ LA RETE:
✓ La rete delle relazioni “interne”.
✓ Tutela e promozione dei diritti: sostegno ai progetti.
✓ Interventi e partecipazioni.
✓ ALLEGATI.
✓ Sito e newsletter.
RINGRAZIAMENTI.
Un anno da Garante regionale
In questa prima parte del mandato di Xxxxxxx delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale della Regione Xxxxxx‐Romagna è stato molto importante il bagaglio di esperienza derivante dal pregresso pregresso incarico di Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, che ha facilitato “l’impatto”con la complessa realtà carceraria della regione.
L’ istituzione di una figura di garanzia ha fatto altresì “irruzione” in un consolidato servizio dell’Assemblea legislativa quello della “comunicazione e documentazione” trasformato in “istituti di garanzia, partecipazione e cittadinanza attiva”, inserendo nuovi percorsi di ragionamento e uno sforzo, non da poco, di conoscere ed accettare un tema, quello della detenzione, che può generare anche un rifiuto ideologicamente netto, oppure imporre di riconsiderare il tema della privazione della libertà personale, del significato della pena, della dignità della persona.
La risposta è stata di grande apertura e di “voglia di capire” ben oltre le aspettative, e la riconversione al tema, di grande professionalità, costituisce il valore aggiunto di questa nuova esperienza, che l’Assemblea legislativa ha voluto e costruito nel tempo, a partire dai contenuti della L.R. 3/2008 “Disposizione per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Xxxxxxx Xxxxxx‐Xxxxxxx” che all’art.10 istituisce l’ Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale.
L’ Ufficio ha costruito ha agito rispondendo soprattutto ad un criterio di verità, in modo autonomo e indipendente, senza accettazione acritica delle segnalazioni che pervengono, ma cercando di appurarne il fondamento attraverso il confronto e la verifica con i soggetti coinvolti e sollecitando, in caso di riscontro della fondatezza della richiesta, un intervento positivo da parte delle Autorità preposte, siano esse rappresentative dell’Amministrazione penitenziaria centrale e/o regionale, sia degli enti locali.
La vigilanza sulle condizioni di vita delle carceri è stato l’intervento più avvertito sia dalla popolazione reclusa, sia dall’Amministrazione penitenziaria, ma la valutazione dell’impatto è positiva, e l’intervento del Garante è considerato sì come forma di controllo, ma anche come risorsa, e si sono create importanti sinergie a cominciare dalle Direzione delle carceri.
Il Garante può svolgere in modo proprio la funzione di controllo, vigilanza, informazione, promozione dei diritti, mediazione e denuncia solo se viene assicurato il massimo grado di indipendenza dell’Ufficio.
Le prospettive e le finalità sono diverse da quelle di altre Istituzioni, dalla Magistratura di sorveglianza, da una parte, agli assessorati regionali, tutti competenti a vario titolo sui temi del carcere, in particolare l’ Assessorato alle politiche sociali, che dei temi del volontariato, lavoro in carcere, reinserimento ha fatto punti centrali del suo mandato.
Particolare attenzione è riservata al tema della salute nelle carceri, e al lavoro dell’assessorato competente, dando atto dello stato di avanzamento della riforma attuata con il DPCM del 1° aprile del 2008 che ha trasferito la competenza della tutela della salute delle persone detenute dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale. L’ Assessorato alle politiche per la salute della Xxxxxxx Xxxxxx‐Xxxxxxx ha completato il percorso con la finalità di trasferire in ambito penitenziario gli stessi principi fondanti delle politiche assistenziali della Regione.
Questa regione, all’avanguardia nel nostro Paese, presenta ancora questioni nodali da risolvere, tra cui il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) di Reggio Xxxxxx (di cui oltre); la massiccia presenza di persone tossicodipendenti bisognevoli di cure; la criticità rappresentata
dalla Casa di reclusione di Parma, da cui proviene un crescente numero di richieste di intervento, per la presenza della sezione paraplegici, del reparto CDT (centro di diagnosi e terapia), e del costante afflusso di persone in gravissime condizioni di salute spesso con situazioni giuridiche di particolare complessità, tali da essere collocati o in regime di 41bis O.P. o comunque in circuiti di Alta sorveglianza e con tutto ciò che consegue il termini di difficoltà anche per la collocazione nel locale ospedale civile.
La Garante collabora con il Difensore civico, con il quale aveva già instaurato nel corso degli anni, come Ufficio comunale, una proficua comune attività, in assenza, allora, della figura del Garante regionale.
La collaborazione si è concretizzata nell’apertura di uno sportello di informazione giuridica sul CIE di Bologna, rivolto ai trattenuti (si veda oltre).
Con il Garante dell’ infanzia e dell’adolescenza l’Ufficio ha deciso di condividere il tema della detenzione minorile, attribuito in via esclusiva al Garante dei detenuti, nell’interesse esclusivo della popolazione detenuta minorile, in modo da poter fornire un duplice intervento qualificato.
Sono state avviati incontri e progetti comuni.
Il personale, come è noto, è in parte comune, ma va salvaguardata l’autonomia della singola figura, come avviene attraverso il personale dedicato.
IL CARCERE CHE NON C’È.
La nostra civiltà giuridica imporrebbe il rispetto dei diritti delle persone private della libertà personale, ma, come vedremo, la realtà è ancora molto lontana da quanto affermato nella principale normativa di riferimento convenzionale e costituzionale.
LE REGOLE PENITENZIARIE EUROPEE
Approvate dal Comitato dei Ministri dei 46 Stati europei l’11.1.2006 Principi fondamentali
1. Tutte le persone private della libertà devono essere trattate nel rispetto dei diritti dell’uomo.
2. Le persone private della libertà conservano tutti i diritti che non sono tolti loro secondo la legge con la loro condanna o in conseguenza della loro custodia cautelare.
3. Le restrizioni imposte alle persone private di libertà devono essere ridotte allo stretto necessario e devono essere proporzionali agli obiettivi legittimi per i quali sono state imposte.
4. Le condizioni detentive che violano i diritti umani del detenuto non possono essere giustificate dalla mancanza di risorse.
5. La vita in carcere deve essere il più vicino possibile agli aspetti positivi della vita nella società libera.
6. La detenzione deve essere gestita in modo da facilitare il reinserimento nella società libera delle persone che sono state private della libertà.
7. Devono essere incoraggiate la cooperazione con i servizi sociali esterni e, per quanto possibile, la partecipazione della società civile agli aspetti della vita penitenziaria.
8. Il personale penitenziario svolge una missione importante di servizio pubblico e il suo reclutamento, la formazione e le condizioni di lavoro devono permettergli di fornire un elevato livello di presa in carico dei detenuti.
9. Tutte le strutture penitenziarie devono essere oggetto di regolari ispezioni da parte del governo, nonché di un controllo da parte di una autorità indipendente.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Principali articoli di riferimento
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 24
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Art. 25
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
Art. 26
L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.
Art. 27
La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
Art. 111
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA
DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI
Firmata a Roma il 4 novembre 1950 ‐ Principali articoli di riferimento
Articolo 3 ‐ Divieto della tortura
Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
Articolo 4 ‐ Divieto di schiavitù e del lavoro forzato
1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.
2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.
3. Non è considerato “lavoro forzato o obbligatorio" ai sensi di questo articolo:
a. ogni lavoro normalmente richiesto ad una persona detenuta alle condizioni previste dall'articolo 5 della presente Convenzione o durante il periodo di libertà condizionata;
b. ogni servizio di carattere militare o, nel caso di obiettori di coscienza nei paesi dove l'obiezione di coscienza è riconosciuta legittima, ogni altro servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio;
c. ogni servizio richiesto in caso di crisi o di calamità che minacciano la vita o il benessere della comunità;
d. ogni lavoro o servizio che fa parte dei normali doveri civici.
Articolo 5 ‐ Diritto alla libertà ed alla sicurezza
1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge:
a. se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;
b. se è in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l'esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
c. se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all'autorità giudiziaria competente, quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;
d. se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa per sorvegliare la sua educazione o della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all'autorità competente;
e. se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;
f. se si tratta dell'arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d'espulsione o d'estradizione.
2. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell'arresto e di ogni accusa elevata a suo carico.
3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all'udienza.
4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.
5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione ad une delle disposizioni di questo articolo ha diritto ad una riparazione.
Articolo 6 ‐ Diritto ad un processo equo
1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità puó pregiudicare gli interessi della giustizia.
2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
3. In particolare, ogni accusato ha diritto a :
a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;
b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
c. difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
d. esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
e. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all'udienza.
Articolo 7 ‐ Nessuna pena senza legge
1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, era un crimine secondo i principi generale di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.
LE FIGURE DI GARANZIA DEI DIRITTI DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA’ PERSONALE
L’istituzione della figura dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale a livello comunale, provinciale e regionale, rappresenta la novità degli ultimi anni in materia penitenziaria.
Come è noto la positività dell’esperienza ha ottenuto pieno riconoscimento con la modifica dell’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario (l.354/75), per effetto della legge 27 febbraio 2009,
n.14 (conversione in legge del decreto‐legge 30 dicembre 2008, n.207), che prevede anche il Garante, con riferimento al territorio di cui l’ente che l’ha istituito è espressione, fra quei soggetti che, laddove istituiti, possono visitare gli istituti penitenziari senza necessità di preventiva autorizzazione, alla stregua dei membri del Parlamento.
Per effetto della stessa legge è intervenuta anche la modifica dell’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, che ora è venuto a normare la prassi dei colloqui da parte del Garante con le persone detenute anche al fine di compiere atti giuridici.
In una circolare dell’01/02/2010, il Dap, in ordine ai colloqui ex articolo 18 O.P., ha chiarito che, qualora i collaboratori del Garante si avvalgano delle modalità di accesso agli istituti penitenziari di cui agli articoli 17 e 78 O.P., fruiranno delle stesse prerogative riconosciute al Garante, purchè la loro collaborazione sia di natura stabile ed organica e non meramente occasionale.
Il mandato istituzionale attiene alla promozione e all’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile, all’attività di vigilanza sulle condizioni di vita degli istituti penitenziari nonché alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sui temi del rispetto dei diritti umani e della umanizzazione della pena.
Prerogativa importante del Garante è la dimensione di mediazione finalizzata alla prevenzione dei conflitti all’interno dei luoghi di detenzione in quanto la presenza di una figura con compiti anche di controllo e vigilanza costituisce “a priori“ una forma di protezione e tutela.
Inoltre il Garante svolge un ruolo importante di raccordo tra il “dentro“ e il ”fuori”, stimolando i territori a farsi carico della popolazione detenuta e a riconoscere alla stessa pieno diritto di cittadinanza, mantenendo contatti con il volontariato e con gli enti locali.
Prima del succitato riconoscimento legislativo, che ha inserito la figura del Garante nell’O.P., il Garante entrava in carcere sulla base del disposto dell’art. 17 O.P. (su autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza, alla stregua di un volontario) o ai sensi dell’articolo 78 O.P., modalità che non consentiva un effettivo riconoscimento del ruolo e comprimeva l’autonomia e indipendenza della figura.
Nel tempo i rapporti con l’Amministrazione penitenziaria si sono consolidati, con il dialogo ed il confronto con le Direzioni degli istituti di pena, e con gli operatori penitenziari e oggi si caratterizzano per la loro stabilità.
Attualmente sono presenti sul territorio 25 garanti comunali (Bergamo, Bologna, Bolzano, Brescia, Ferrara, Firenze, Ivrea, Livorno, Milano, Nuoro, Pescara, Piacenza, Pisa, Pistoia, Reggio Calabria, Roma, Rovigo, San Gimignano, San Severo, Sassari, Sondrio, Torino, Udine, Verona, Vicenza), 7 garanti provinciali (Avellino, Lodi, Massa Carrara, Milano, Padova, Trapani, Trento) e 9 garanti
regionali (Campania, Xxxxxx‐Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Valle d’Aosta).
Sarebbe altresì opportuno che gli enti locali riuscissero a trovare una omogeneità di disciplina che agevoli il compito dei Garanti, nonchè indicando la necessaria previsione della figura negli statuti degli enti.
Marcate le differenze in ordine alla nomina dei Garanti, in quanto quelli regionali (istituiti attraverso legge regionale) sono nominati taluni dal Presidente della Regione, talaltri dall’Assemblea regionale, mentre per provinciali e comunali procedono alla nomina per delibera consiliare o, in numerosi casi, per nomina sindacale.
La presenza dei Garanti in carcere serve a monitorare le condizioni dei luoghi di detenzione (ivi compreso il carcere minorile; il CIE: Centro di Identificazione ed Espulsione degli immigrati irregolari; gli OPG; i luoghi dove si attuano i trattamenti sanitari obbligatori; le camere di sicurezza; i reparti detentivi – laddove predisposti – negli ospedali civili), sia per incontrare le singole persone detenute che, in caso di ritenuta violazione di un diritto o per sollecitare interventi su questioni specifiche, possono richiedere espressamente di sostenere un colloquio con il Garante.
Importante è il ruolo di promozione che l’ufficio del Garante svolge per creare opportunità di lavoro dentro e fuori il carcere, per migliorare le condizioni igienico‐sanitarie, per incrementare le opportunità culturali e di incontro con la società esterna.
Anche la Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani (XVI legislatura), nel rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, si è espressa nei termini di un positivo riconoscimento dell’esperienza dei garanti dei diritti dei detenuti in materia penitenziaria.
Alcune realtà regionali (Marche, Lombardia e Valle d’Aosta) hanno scelto di assegnare per mandato istituzionale la funzione di Garante dei diritti dei detenuti ai Difensori Civici, scelta rispetto alla quale è fermo il convincimento dei Garanti che, data la specificità del tema della garanzia dei diritti dei detenuti, non si possa prescindere da un organo di tipo settoriale, istituito ad hoc.
Preso atto che la realtà carceraria si caratterizza in termini di assoluta emergenza e fuori da ogni parametro di compatibilità con la Costituzione, i Garanti ritengono prioritario perseguire l’obiettivo dell’istituzione di un Garante nazionale dei diritti dei detenuti che possa contribuire a dare attuazione al dettato costituzionale della finalità rieducativa della pena e a rendere sempre più trasparenti gli istituti penitenziari del nostro Paese.
Tra i tratti salienti dell’organismo di vigilanza e monitoraggio, il potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, i requisiti della collegialità e dell’indipendenza, con una designazione di tipo parlamentare.
Nel delicato rapporto fra il nostro sistema di esecuzione della pena e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone che si trovano in luoghi di privazione della libertà personale, in un momento storico che sottolinea la particolare complessità e drammaticità della realtà carceraria, pare non più differibile da parte dell’Italia l’esecuzione della risoluzione ONU 48/134 del 1993, per l’istituzione di una figura nazionale di garanzia e controllo sui luoghi di privazione della libertà personale, rispetto alla quale diversi sono i progetti di legge depositati, anche nella scorsa legislatura.
Va inoltre ricordato che il Parlamento italiano ha provveduto con la legge n°195/2012 ad autorizzare la ratifica e ad adottare l’ordine di esecuzione al Protocollo opzionale sulla tortura (Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, fatto a New York il 18.12.2002).
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 4 del Protocollo, per “privazione della libertà” s’intende “ogni forma di detenzione o imprigionamento o collocazione di una persona in un luogo sotto custodia che non le sia consentito lasciare volontariamente, su ordine di un'autorità giudiziaria, amministrativa o di altro tipo”.
All’articolo 1, il Protocollo si prefigge di istituire un sistema di visite periodiche, effettuate da organismi indipendenti internazionali e nazionali, nei luoghi in cui si trovano persone private della libertà, allo scopo di prevenire la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. L’articolo 3 prevede, poi, che ogni Stato Parte istituisca, designi o gestisca – a livello nazionale – uno o più organi con poteri di visita incaricati di prevenire la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
L’istituzione di un Garante nazionale, oltre all’assolvimento di obblighi di carattere internazionale, sarebbe il naturale coronamento del percorso intrapreso in via di sperimentazione a livello territoriale con i Garanti locali.
L’istituzione del Garante nazionale significherebbe anche, per il futuro, il superamento della già verificatasi attribuzione di competenze in materia penitenziaria ai difensori civici degli enti territoriali, essendo evidente che la materia carceraria ha una specificità che richiede competenze altrettanto puntuali, a meno che non si vogliano figure di Garanti non capaci di esercitare davvero controllo e svolgere ruolo di promozione e denuncia.
Si tratta di una scelta politica ben precisa: non a caso, nel Protocollo addizionale della Convenzione contro la tortura è richiesta una competenza settoriale per le figure di garanzia.
Nel corso degli anni sono state presentate varie proposte di legge, tanto nella precedente legislatura (ddl n.626/2006 d’iniziativa del deputato Xxxxxxx; ddl n.1090/2006 d’iniziativa dei deputati Mascia, Xxxxxxxx ed altri; ddl n.1441/2006 d’iniziativa dei deputati Boato, Xxxxxxx; ddl n.2018/2006 d’iniziativa del deputato De Zulueta) quanto nell’attuale legislatura (ddl n.1755/2008 d’iniziativa del deputato Xxxxxxx; ddl n.2275/2009 d’iniziativa della deputata Xxxxx Xxxxx e altri; ddl n.2702/2009 d’iniziativa della deputata Xxxxxxxxxx; ddl n.4004/2011 d’iniziativa del deputato Xxxxx Xxxxxxx e altri; ddl n.343/2008 d’iniziativa dei senatori Xxxxxx, Ferrara e Xxxxxxxxxx; ddl n. 1347/2009 d’iniziativa dei senatori Xx Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxx ed altri; ddl n.1424/2009 d’iniziativa della senatrice Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx; ddl n.1617/2009 d’iniziativa della senatrice Xxxxxxx Xxxxxxx; ddl n. 1849/2009 d’iniziativa del senatore Xxxxx Xxxxxxx e altri; ddl n.2364/2010 d’iniziativa del senatore Xxxxx Xxxxx Xxxxxx e altri) ed anche i Garanti territoriali, riuniti in Coordinamento, hanno predisposto un proprio testo nell’ambito del quale, fra i tratti salienti dell’organismo di vigilanza e monitoraggio munito del potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, emergono i requisiti della collegialità e dell’indipendenza, essendo prevista una designazione di tipo parlamentare, con la previsione di un continuo raccordo con i Garanti territoriali presenti nelle realtà locali.
I Garanti hanno chiesto con forza al Parlamento di considerare una priorità l’introduzione di un organo di garanzia e di controllo a tutela delle persone ristrette con una competenza territoriale su scala nazionale, che costituirebbe un primo importante segnale di una volontà politica e di governo finalmente attenta al rispetto della dignità e dei diritti inviolabili delle persone.
I Garanti, nella loro attività, esprimono preoccupazione per i numeri costanti di sovraffollamento (i dati periodici sulle presenze che fornisce il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 31 dicembre 2012, parlano di 65.701 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 47.040): numeri ancora più drammatici stante la difficoltà da parte di chi governa a trovare soluzioni utili che possano avere un effetto deflattivo, anche permanendo su scala nazionale una riduzione significativa dell’accesso alle misure alternative e un uso massiccio della custodia cautelare in carcere.
Il dato nazionale è eloquente: tutte le carceri del Paese sono al limite della resistenza a causa del sovraffollamento, con un aumento della tensione nei luoghi di privazione della libertà personale, e con tutto il corollario che ne può derivare in termini di violenza, disperazione, violazione della dignità della persone.
Il disumano e sempre più colpevole sovraffollamento rende arduo il lavoro delle professionalità che ruotano attorno al carcere. E se la situazione ancora non esplode è solo grazie al grande senso di responsabilità dei detenuti e allo spirito di servizio e l’abnegazione degli operatori penitenziari.
La soluzione passa attraverso una puntuale applicazione, per le persone condannate in via definitiva, della legge Xxxxxxx del 1986, in larga parte ancora applicabile nonostante i continui interventi normativi che tendono a ridurne l’ambito di operatività, ricordando che le misure alternative concorrono ad abbattere i numeri della recidiva.
Si tratta, innanzitutto, di una importante sfida culturale che il nostro Paese, prima o poi, non potrà esimersi dall’affrontare se davvero si vuole contribuire a creare sicurezza reale per la società tutta. Al di là della soggettiva percezione di insicurezza che può provare il singolo cittadino dinanzi all’ipotesi di un condannato che sconta la pena in misura alternativa, i numeri sono inequivocabili: la percentuale di abbattimento della recidiva in questi casi è straordinaria, producendosi per questa via la responsabilizzazione del soggetto il che significa sicurezza per la società. Così come un diverso uso della misura cautelare carceraria, coerente con la normativa vigente, impedirebbe a migliaia e migliaia di persone di entrare in carcere per pochi giorni, con oneri immensi per lo stesso e inutile impatto con la privazione della libertà personale e i drammi che ne conseguono.
La riforma del codice penale, la riscrittura delle leggi sulle droghe e sull’immigrazione, la cessazione del legiferare in via di emergenza, inasprendo le pene e aumentando le figure di reato, l’abrogazione della legge cd. ex Xxxxxxxx, per quanto riguarda la disciplina della recidiva, inciderebbero in maniera sensibile sul numero delle carcerazioni.
Solo interventi di riforma che siano strutturali rispetto al tema della pena potranno garantire un approccio tendente alla soluzione della questione, con una risposta punitiva nella forma della carcerazione che dovrebbe riguardare solo quei casi in cui vengono lesi beni di primaria importanza, con una riforma del codice penale tendente al superamento della centralità della pena detentiva, prevedendo una diversa tipologia di sanzioni, tra cui l’utilizzo dei lavori socialmente utili, o che comunque prevedano condotte riparative e restitutorie nei confronti dei singoli e della collettività.
Le morti di persone detenute rappresentano ormai la quotidianità e l’impotenza colpevole di un sistema alla rovina: i Xxxxxxx denunciano con forza la paralisi che sembra colpire chi ha responsabilità di governo, politiche e giudiziarie, incapaci tutti di cominciare, intanto ad usare gli strumenti già esistenti per invertire la rotta, preoccupati di non incrinare una concezione della sicurezza sociale che alimenta paura e separatezza, e che produce solo sofferenza e disagio.
I Xxxxxxx hanno predisposto nel tempo il testo di un reclamo da presentare al Magistrato di Sorveglianza, per richiedere l’adozione di misure necessarie per conformare le condizioni di detenzione al rispetto degli standard minimi di vivibilità, che vuole essere utile strumento anche ai
fini della percorribilità del ricorso alla Corte Europea*, e che sollecita la Magistratura di Sorveglianza ad assumere il tema delle lesione dei diritti dei detenuti, come previsto dall’art. 69 O.p., nonché ad applicare con determinazione laddove possibile le misure alternative al carcere.
Al fine di coordinare le attività dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, nell’anno 2008, è stata istituita – da parte dei Garanti della Regione Sicilia, della Regione Lazio, della Regione Campania e, successivamente, della Regione Marche, del Laboratorio Privacy presso il Garante della tutela dei dati personali – la Conferenza Nazionale dei Garanti regionali istituiti per legge. Si tratta di un organismo che consente di pianificare iniziative di rilievo nazionale per meglio affrontare le problematiche connesse alla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, all’esecuzione della pena, al loro reinserimento sociale. La Conferenza, a turno, è presieduta da un Garante regionale, mentre l’organizzazione è affidata alla figura del segretario generale.
L'esigenza di migliorare le condizioni di detenzione, le forme di controllo della legalità nei luoghi di prevenzione della libertà personale e i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute troverebbe nell'istituzione del Garante nazionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, munito della necessaria autonomia ed indipendenza, un efficace e indispensabile strumento. La legge nazionale dovrebbe inoltre stabilire criteri omogenei relativi alle competenze delle diverse istituzioni di Garanti a cui hanno dato vita negli anni gli enti locali**.
Note:
*Si ricorda che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza dell’8 gennaio 2013, ha condannato l’Italia al versamento di circa 100.000 euro, a titolo di risarcimento del danno morale, a favore 7 detenuti ristretti in condizioni di sovraffollamento negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza, deducendo la violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che sancisce che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. La Corte, tra l’altro anche nella sua pregressa giurisprudenza, ha sancito il principio secondo il quale quando il sovraffollamento carcerario raggiunge un particolare livello di gravità, con riferimento alla mancanza di spazio nell’istituto penitenziario, allora si configura un trattamento inumano e degradante. Nello specifico si è accolto il ricorso di 7 detenuti che denunciavano di aver occupato celle di 9 metri quadrati con altri due detenuti, disponendo quindi ogni singola persona di 3 metri quadrati, grave mancanza di spazio in taluni casi ulteriormente aggravata da mancanza di acqua calda per lunghi periodi ed illuminazione e ventilazione insufficienti.
La Corte ha rilevato, inoltre, il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia ed il cronico malfunzionamento del sistema penitenziario, con diverse centinaia di ricorsi, con numeri in continuo aumento, proposti contro l’Italia al fine di sollevare il problema della compatibilità con l’articolo 3 della Convenzione delle inadeguate condizioni detentive legate al sovraffollamento carcerario in diversi istituti penitenziari.
Avvalendosi dello strumento della sentenza pilota, la Corte ha inoltre dichiarato il rinvio dell’esame dei ricorsi aventi come unico oggetto il sovraffollamento carcerario per il periodo di 1 anno a decorrere dalla data in cui la sentenza in questione (Causa Torreggiani e altri c. Italia) è divenuta definitiva. In questo periodo di tempo l’Italia, nell’adempimento dell’obbligo giuridico derivante dalla sentenza, dovrà adottare le misure necessarie per ridurre il numero delle persone incarcerate, attraverso una maggiore applicazione di misure punitive non privative della libertà personale ed una riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere, e istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi e idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario.
**Dal sito del Dap (xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xx/xx_0_0_0_0.xx): "Il garante è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Istituito per la prima volta in Svezia nel 1809 con il compito principale di sorvegliare l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e degli ufficiali, nella seconda metà dell’Ottocento si è trasformato in un organo di controllo della pubblica amministrazione e di difesa del
cittadino contro ogni abuso. Oggi questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 22 paesi dell'Unione europea e nella Confederazione Elvetica.
In Italia non è ancora stata istituita la figura di un garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono garanti regionali, provinciali e comunali le funzioni dei quali sono definite dai relativi atti istitutivi. I garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il loro operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza.
I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario (novellati dalla legge n. 14/2009).”
LEGGE REGIONALE 19 FEBBRAIO 2008, N. 3
DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DELLE PERSONE RISTRETTE NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI DELLA XXXXXXX XXXXXX‐XXXXXXX.
Xxxxxxxxxx xxx X.X. Xxxxxx‐Xxxxxxx 19 febbraio 2008, n. 25.
Art. 1
Finalità.
1. La Regione Xxxxxx‐Romagna concorre a tutelare, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria e con il Centro per la giustizia minorile, i diritti e la dignità delle persone adulte e minori ristrette negli Istituti di pena presenti sul territorio regionale, ammesse a misure alternative alla detenzione o sottoposte a procedimento penale. La Regione Xxxxxx‐ Romagna opera, nel rispetto della legge 26 luglio 1975, n.354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e successive integrazioni e modificazioni, e nei limiti della propria competenza, affinché le pene tendano alla rieducazione del condannato, ai sensi dell'articolo 27, comma 3, della Costituzione.
2. Gli interventi regionali perseguono le seguenti finalità:
a) assicurare il rispetto dei diritti fondamentali delle persone indicate al comma 1;
b) favorire il recupero ed il reinserimento nella società delle persone assoggettate alle misure limitative e privative della libertà personale.
3. La Regione promuove la collaborazione con gli Enti locali, con le Aziende Unità sanitarie locali (di seguito denominate "Aziende Usl" o "Azienda Usl") e con i soggetti di cui all'articolo 20 della legge regionale 12 marzo 2003, n. 2 (Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), quale mezzo fondamentale per l'attuazione degli interventi disciplinati dalla presente legge.
Art. 2
Sistema integrato di intervento.
1. La Regione, al fine di favorire il reinserimento sociale delle persone di cui all'articolo 1 e ridurre il rischio di recidiva, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile, promuove interventi e progetti nell'ambito della pianificazione sociale integrata, in particolare attraverso i Piani di zona di cui all'articolo 29 della legge regionale
n. 2 del 2003, in armonia con la legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).
Art. 3
Tutela della salute.
1. La Regione tutela la salute delle persone di cui al comma 1 dell'articolo 1 attraverso l'attuazione del progressivo trasferimento di ogni competenza in capo al Servizio sanitario nazionale della sanità negli Istituti penitenziari, così come previsto dal comma 283 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‐ legge finanziaria 2008).
2. La Regione garantisce, secondo modalità concordate con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria e con il Centro per la giustizia minorile, nelle more dell'attuazione del decreto legislativo 22 giugno 1999, n.230 (Riordino della medicina penitenziaria, a norma dell'articolo 5 della L. 30 novembre 1998, n. 419), l'assistenza farmaceutica e specialistica, attraverso le Aziende Usl e le Aziende ospedaliere. In particolare, nelle modalità concordate si definiscono le risorse finanziarie, tecnologiche e professionali che il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile mettono a disposizione, nonché le risorse regionali.
3. Nell'ambito della tossicodipendenza la Regione indirizza e promuove la realizzazione, presso le Aziende Usl, sedi di Istituti penitenziari, di équipe integrate, assicurando le prestazioni di assistenza ai detenuti ed agli internati, anche attraverso la definizione di protocolli operativi omogenei. Nei confronti dei soggetti in area penale esterna, la Regione indirizza e promuove l'intervento dei servizi territoriali per le dipendenze delle Aziende Usl.
4. La Regione garantisce altresì gli interventi di prevenzione sanitaria, ivi compresi gli interventi di profilassi delle malattie infettive.
5. La Regione, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, con i Dipartimenti di salute mentale delle Aziende Usl e con il coinvolgimento delle associazioni di volontariato, promuove iniziative e progetti finalizzati alla presa in carico degli internati dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Xxxxxx, al fine di facilitare la revoca anticipata della misura di sicurezza stessa, la cura, in ambiente libero od in struttura a custodia attenuata, dell'infermità psichica degli internati, nonché al fine di favorire il reinserimento nella comunità della nostra regione, se residenti nel nostro territorio, o facilitarne il rientro nelle comunità di provenienza, se residenti in altre regioni.
Art. 4
Attività trattamentali e socio‐educative.
1. La Regione promuove interventi e progetti, intra ed extra murari, volti al sostegno ed allo sviluppo del percorso di reinserimento sociale dei detenuti.
2. Gli interventi di cui al comma 1 sono finalizzati a:
a) mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con la famiglia d'origine, con particolare attenzione alla tutela del ruolo genitoriale e della relazione figli‐genitori;
b) mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con la comunità esterna;
c) coordinare i progetti pedagogici adottati dai singoli Istituti penitenziari e dai servizi del Centro per la giustizia minorile con il sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui alla legge regionale n. 2 del 2003;
d) favorire l'accesso degli ex‐detenuti agli alloggi di edilizia residenziale pubblica ed ai contributi del Fondo per l'accesso all'abitazione in locazione, secondo quanto previsto dalla legge regionale 8 agosto 2001, n. 24 (Disciplina generale dell'intervento pubblico nel settore abitativo).
3. Per una efficace realizzazione degli interventi di cui al comma 1, la Regione promuove e sostiene il coordinamento e l'integrazione tra i servizi sociali degli Enti locali, il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile, le associazioni di volontariato e gli altri soggetti pubblici e privati interessati alle politiche di inclusione sociale dei
detenuti, anche attraverso la sottoscrizione di protocolli finalizzati a favorire le intese per la realizzazione di una proficua azione integrata.
4. La Regione promuove l'attività degli sportelli informativi all'interno degli Istituti penitenziari allo scopo di:
a) garantire maggiormente i detenuti;
b) favorire l'attività degli operatori penitenziari;
c) favorire le attività di accompagnamento e di accoglienza dei detenuti prossimi alla fine della pena;
d) sostenere gli interventi di mediazione socio‐sanitaria e di mediazione culturale di cui all'articolo 1, comma 5, lettera p) della legge regionale 24 marzo 2004, n. 5 (Norme per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alla legge regionale 21 febbraio 1990, n. 14 e alla legge regionale 12 marzo 2003, n. 2).
5. La Regione, al fine di porre attenzione alle problematiche relative alle vittime del reato e per ampliare spazi alternativi alle misure privative della libertà personale, sostiene, anche in via sperimentale, l'organizzazione e la realizzazione di interventi e di progetti di mediazione penale, con particolare attenzione all'area dei minori, anche attraverso specifici provvedimenti della Giunta regionale.
Art. 5
Attività di sostegno alle donne detenute.
1. La Regione promuove iniziative e progetti finalizzati alle esigenze specifiche delle donne detenute.
2. La Regione, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed attraverso il coinvolgimento degli Enti locali, delle Aziende Usl e dei soggetti di cui all'articolo 20 della legge regionale n. 2 del 2003, sostiene iniziative atte a favorire misure alternative alla detenzione per le donne detenute con figli minori, in armonia con la legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori).
3. Per la popolazione carceraria femminile si provvede ad attivare progetti tendenti a migliorare le condizioni di vita all'interno del carcere con opportuni interventi di assistenza sanitaria specialistica e di prevenzione mirata particolarmente ai problemi della donna.
Art. 6
Attività di istruzione e formazione.
1. La Regione, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile promuove il diritto di accesso ai percorsi di alfabetizzazione, di istruzione e formazione professionale, sia all'interno degli Istituti penitenziari che all'esterno, con particolare attenzione ai corsi di lingua italiana rivolti alla popolazione straniera.
2. La Regione concorre, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile, alla programmazione di interventi formativi integrati, assicura il coordinamento fra gli attori dei diversi sistemi coinvolti nell'offerta di istruzione e formazione professionale, così come previsto dalla legge regionale 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro).
3. La Regione, nel processo di istruzione e formazione professionale, favorisce la partecipazione dei soggetti istituzionali, dei soggetti di cui all'articolo 20 della legge regionale n. 2 del 2003 e di altri soggetti comunque interessati, realizzando interventi che tengano conto delle esigenze e delle tendenze del mercato del lavoro locale.
Art. 7
Formazione congiunta degli operatori.
1. Ai sensi dell'articolo 40 della legge regionale n. 12 del 2003, la Regione sostiene, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile, percorsi di aggiornamento a carattere interdisciplinare rivolti agli operatori dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia minorile, dei servizi territoriali pubblici e privati, nonché delle associazioni di volontariato, come previsto dall'articolo 8 della legge regionale 21 febbraio 2005, n. 12 (Norme per la valorizzazione delle organizzazioni di volontariato. Abrogazione della L.R. 2 settembre 1996, n.37: Nuove norme regionali di attuazione della legge 11 agosto 1991, n. 266 ‐ Legge quadro sul volontariato. Abrogazione della L.R. 31 maggio 1993, n.26).
Art. 8
Attività lavorativa.
1. La Regione, d'intesa con il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ed il Centro per la giustizia minorile, e con il coinvolgimento degli Enti locali, delle Aziende Usl, delle associazioni di volontariato e di altri soggetti pubblici e privati interessati, sostiene l'avvio e lo sviluppo di attività di orientamento, consulenza e motivazione al lavoro dei soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 1, prevedendo forme di integrazione con i servizi per l'impiego già presenti sul territorio, così come previsto dalla legge 22 giugno 2000, n. 193 (Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti) e dalla legge regionale 1° agosto 2005, n. 17 (Norme per la promozione dell'occupazione, della qualità, della sicurezza e della regolarità del lavoro).
2. La Regione, in particolare, promuove progetti specifici, anche sperimentali, al fine di favorire la partecipazione di persone sottoposte a misure privative e limitative della libertà personale ad attività di imprenditorialità sociale.
3. La Regione, tramite gli strumenti di cui all'articolo 9 della legge regionale n. 17 del 2005, sostiene il reinserimento sociale delle persone di cui al comma 1 dell'articolo 1, ammesse al lavoro esterno ex articolo 21 della legge n. 354 del 1975, inerente l'ordinamento penitenziario, od ammesse ad altre misure alternative che richiedano il lavoro come elemento fondamentale del trattamento. Eroga altresì a favore dei loro datori di lavoro gli incentivi di cui all'articolo 10 della legge regionale n. 17 del 2005.
4. Nei limiti e con le modalità indicate dall'articolo 11 della legge regionale 4 febbraio 1994, n. 7 (Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale, attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381), la Regione favorisce la stipulazione di apposite convenzioni fra le amministrazioni pubbliche attive nei settori disciplinati dalla presente legge e le cooperative sociali, per la gestione e fornitura dei beni e servizi.
Art. 9
Funzioni di coordinamento e di controllo.
1. La Regione promuove il coordinamento tra i diversi livelli istituzionali per l'attuazione delle disposizioni della presente legge.
2. La Giunta regionale attiva procedure volte alla stipulazione di protocolli d'intesa con il Ministero della Giustizia, nei quali siano individuate le azioni e gli interventi che la Regione ed il Ministero realizzano a favore dei minori imputati di reato e degli adulti sottoposti a misure penali restrittive e limitative della libertà, nonché le procedure di collaborazione e coordinamento tra le due amministrazioni.
3. Annualmente la Giunta regionale presenta alla Commissione assembleare competente una relazione contenente lo stato delle iniziative specificamente rivolte alla popolazione carceraria della regione. In tale relazione, inoltre, la Giunta informa sullo stato delle infrastrutture carcerarie, fornisce dati sugli indici di affollamento, sulla provenienza dei detenuti, sulle diverse tipologie di
reato, sullo stato di salute dei detenuti, con particolare riferimento alla casistica delle patologie più gravi, sul livello di alfabetizzazione, sulle problematiche del lavoro e le emergenze di carattere sociale rilevate.
4. Le iniziative di cui al comma 3 riguardano in particolare:
a) l'entità e l'origine delle risorse utilizzate;
b) le misure adottate a sostegno della possibilità dei detenuti di fruire di regimi alternativi alla detenzione;
c) le politiche svolte in campo sanitario;
d) le misure effettuate, con fondi propri e con risorse comunitarie, nel campo delle politiche formative, del lavoro, dell'integrazione culturale e sociale dei detenuti;
e) l'entità e la tipologia delle commesse regionali riguardanti il lavoro svolto dai detenuti all'interno ed all'esterno delle strutture penitenziarie, nonché gli interventi attuati nel campo dell'edilizia penitenziaria.
Art. 10
Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale (2).
1. È istituito l’Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, di seguito denominato “Garante”, al fine di contribuire a garantire, in conformità ai principi costituzionali e nell’ambito delle competenze regionali, i diritti delle persone presenti negli Istituti penitenziari, negli Istituti penali per i minori, nelle strutture sanitarie, in quanto sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio, nei centri di prima accoglienza, nei centri di assistenza temporanea per stranieri e in altri luoghi di restrizione o limitazione delle libertà personali.
2. Il Garante promuove iniziative per la diffusione di una cultura dei diritti dei detenuti, in collaborazione con gli Assessorati regionali competenti e con soggetti pubblici e privati. Opera altresì in collaborazione e collegamento con gli Assessorati regionali competenti e con soggetti pubblici e privati interessati, nonché con gli istituti di garanzia presenti a livello comunale.
3. Il Garante è scelto tra persone in possesso dei requisiti richiesti per l’elezione a consigliere regionale e di comprovata competenza ed esperienza professionale, almeno quinquennale, in ambito penitenziario, nel campo delle scienze giuridiche, delle scienze sociali o dei diritti umani. Deve offrire garanzia di probità, indipendenza, obiettività, competenza e capacità nell’esercizio delle proprie funzioni. Si applicano al Garante le cause di ineleggibilità ed incompatibilità previste dall’articolo 7, commi 2 e 3, nonché il comma 4 del medesimo articolo, della legge regionale n. 9 del 2005 “Istituzione del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza”.
4. Il Garante opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione.
5. Il Garante è eletto dall’Assemblea legislativa con voto segreto. Ciascun consigliere può avanzare una candidatura motivata e accompagnata dal relativo curriculum. È eletto il candidato che ottiene i voti dei due terzi dei consiglieri assegnati alla Regione. Dopo la terza votazione, qualora non si raggiunga detto quorum, l’elezione è rimandata alla seduta del giorno successivo. In questa seduta, dopo due votazioni, ove il candidato non raggiunga i due terzi dei voti assegnati il Garante viene eletto con la maggioranza dei consiglieri assegnati alla Regione.
6. Il Garante resta in carica per cinque anni e non può essere rieletto. Alla scadenza del mandato resta in carica fino alla nomina del successore e comunque per un periodo di tempo non superiore a novanta giorni, entro il quale deve essere eletto il nuovo Garante.
7. Per quel che concerne la disciplina delle indennità del Garante, delle relazioni sull’attività, della sede e della programmazione delle sue attività, si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui agli articoli 10, 11, 12 comma 1 e 13 della legge regionale n. 9 del 2005.
(2) Articolo così sostituito dall'art. 21, L.R. 27 settembre 2011, n. 13. Il testo originario era così formulato: «Art. 10. Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. 1. È istituito l'Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, di seguito denominato "Garante", al fine di contribuire a garantire, in conformità ai principi costituzionali e nell'ambito delle competenze regionali, i diritti delle persone presenti negli Istituti penitenziari, negli Istituti penali per i minori, nelle strutture sanitarie, in quanto sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio, nei centri di prima accoglienza e nei centri di assistenza temporanea per stranieri. Le funzioni di garanzia verso i minori sono svolte in stretta collaborazione con il Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza di cui alla legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9 (Istituzione del Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza).
2. Il Garante è scelto tra personalità con comprovata competenza in ambito penitenziario, nel campo delle scienze giuridiche, delle scienze sociali o dei diritti umani. Deve offrire garanzia di probità, indipendenza, obiettività, competenza e capacità nell'esercizio delle proprie funzioni.
3. Il Garante opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione.
4. Il Garante è nominato con atto dell'Assemblea legislativa regionale, dura in carica cinque anni e non può essere riconfermato. Alla scadenza del mandato, resta in carica fino alla nomina del successore e comunque per un periodo di tempo non superiore a novanta giorni, entro il quale deve essere nominato il nuovo Garante.
5. L'Assemblea legislativa, su proposta dell'Ufficio di presidenza, disciplina con proprio atto il trattamento economico, la composizione, l'organizzazione ed il funzionamento dell'Ufficio del Garante regionale».
Art. 11
Norma finanziaria.
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si fa fronte con i fondi stanziati nelle Unità previsionali di base e relativi capitoli del bilancio regionale, anche apportando le eventuali modificazioni che si rendessero necessarie, o con l'istituzione di apposite Unità previsionali di base e relativi capitoli, che verranno dotati della necessaria disponibilità ai sensi di quanto disposto dall'articolo 37 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 (Ordinamento contabile della Xxxxxxx Xxxxxx‐Xxxxxxx, abrogazione della L.R. 6 luglio 1977, n. 31 e della L.R. 27 marzo 1972, n. 4).
La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.
È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge della Xxxxxxx Xxxxxx‐ Xxxxxxx.
L. 26‐7‐1975 n. 354
Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, S.O.
ART. 18: COLLOQUI, CORRISPONDENZA E INFORMAZIONE.
Detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, nonché con il garante dei diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici (1).
I colloqui si svolgono in appositi locali, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.
Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari.
L'amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento.
I detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all'esterno e ad avvalersi di altri mezzi di informazione.
[La corrispondenza dei singoli condannati o internati può essere sottoposta, con provvedimento motivato del magistrato di sorveglianza, a visto di controllo del direttore o di un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore] (2).
Salvo quanto disposto dall'articolo 18‐bis, per gli imputati i permessi di colloquio fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza dell'autorità giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo
11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore dell'istituto (3).
[Le dette autorità giudiziarie, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritengono di provvedervi direttamente, possono delegare il controllo al direttore o a un appartenente all’Amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore. Le medesime autorità possono anche disporre limitazioni nella corrispondenza e nella ricezione della stampa] (4) (5).
(1) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 12‐bis, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(2) Comma abrogato dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(3) Comma prima sostituito dall'art. 4, L. 10 ottobre 1986, n. 663 e poi così modificato dall'art. 16, D.L. 8 giugno 1992,
n. 306 e dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(4) Comma abrogato dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(5) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). Con sentenza 19 giugno‐3 luglio 1997, n. 212 (Gazz. Uff. 9 luglio 1997, n. 28 ‐ Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della pena.
ART. 67: VISITE AGLI ISTITUTI.
Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da:
a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della Corte costituzionale;
b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura;
c) il presidente della corte d'appello, il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l'esercizio delle sue funzioni;
d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell'ambito della loro circoscrizione;
e) l'ordinario diocesano per l'esercizio del suo ministero;
f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale;
g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati;
h) gli ispettori generali dell'amministrazione penitenziaria;
i) l'ispettore dei cappellani;
l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia;
l‐bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati (1);
l‐ter) i membri del Parlamento europeo (2).
L'autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell'art. 18‐bis (3).
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
Possono accedere agli istituti, con l'autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti.
(1) Lettera aggiunta dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 12‐bis, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(2) Lettera aggiunta dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 2‐bis, D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, nel testo integrato dalla
legge di conversione 17 febbraio 2012, n. 9.
(3) Comma così modificato dall'art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
PROTOCOLLO OPZIONALE ALLA CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE CONTRO LA TORTURA E ALTRI TRATTAMENTI O PENE CRUDELI, INUMANI O DEGRADANTI.
PROTOCOLLO INTERNAZIONALE 18 DICEMBRE 2002 (1) (2)
(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 19 novembre 2012, n. 270.
(2) Il presente Protocollo è stato ratificato con L. 9 novembre 2012, n. 195.
Preambolo
Gli Stati Parti al presente Protocollo
Riaffermando che la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti sono vietati e costituiscono gravi violazioni dei diritti umani;
Convinti che ulteriori misure sono necessarie allo scopo di raggiungere le finalità della Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (d'ora innanzi: "la Convenzione") e rafforzare la protezione delle persone private della libertà rispetto alla tortura e alle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
Ricordando che gli articoli 2 e 16 della Convenzione obbligano ogni Stato Parte ad adottare misure effettive per prevenire gli atti di tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti che abbiano luogo in ogni territorio sottoposto alla sua giurisdizione;
Riconoscendo che gli Stati hanno la principale responsabilità per l'attuazione di detti articoli e che il rafforzamento della protezione delle persone private della libertà e per il pieno rispetto dei loro diritti umani è responsabilità comune di tutti i membri e che gli organismi internazionali di attuazione sono complementari e di sostegno rispetto alle misure prese a livello nazionale; Ricordando che l'effettiva prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti richiede misure nel campo dell'educazione e una combinazione di vari provvedimenti in ambito legislativo, amministrativo, giudiziario ecc.;
Ricordando altresì che la Conferenza mondiale sui diritti umani ha dichiarato con forza che le iniziative volte a sradicare la tortura dovrebbero innanzitutto e prioritariamente concentrarsi sulla prevenzione e che la stessa Conferenza ha rivolto un appello per l'adozione di un protocollo opzionale alla Convenzione, allo scopo di istituire un sistema preventivo di visite regolari nei luoghi di detenzione;
Convinti che la protezione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti delle persone private della libertà può essere rafforzata da mezzi non giudiziari di carattere preventivo, basati su visite sistematiche nei luoghi di detenzione;
Xxxxx concordato quanto segue:
Parte I Principi generali
Art. 1
Lo scopo del presente Protocollo è l'istituzione di un sistema di visite regolari svolte da organismi indipendenti nazionali e internazionali nei luoghi in cui le persone sono private della libertà, al fine di prevenire la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
Art. 2
1. È istituito un Sottocomitato sulla prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (d'ora innanzi: "il Sottocomitato sulla prevenzione") in seno al Comitato contro la tortura per svolgere le funzioni definite nel presente Protocollo.
2. Il Sottocomitato sulla prevenzione svolge la sua attività nel quadro della Carta delle Nazioni Unite e guidato dai fini e dai principi in essa contenuti, nonché dalle norme delle Nazioni Unite concernenti il trattamento delle persone private della libertà.
3. Il Sottocomitato sulla prevenzione è guidato altresì dai principi di riservatezza, imparzialità, non selettività, universalità e obiettività.
4. Il Sottocomitato sulla prevenzione e gli Stati Parti cooperano per l'attuazione del presente Protocollo.
Art. 3
Ciascuno Stato Parte istituirà, nominerà e manterrà operativo a livello nazionale uno o più organismi con poteri di visita per la prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (d'ora innanzi: "meccanismi nazionali di prevenzione").
Art. 4
1. Ciascuno Stato Parte, in accordo con il presente Protocollo, autorizza le visite da parte degli organismi di cui ai precedenti artt. 2 e 3 in tutti i luoghi posti sotto la sua giurisdizione e il suo controllo in cui delle persone sono o possono essere private della libertà, in virtù di un ordine dell'autorità pubblica oppure nel quadro di indagini da essa condotte o con il consenso o l'acquiescenza di una pubblica autorità (d'ora innanzi: "luoghi di detenzione"). Tali visite saranno condotte allo scopo di rafforzare, laddove necessario, la protezione delle suddette persone contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
2. Ai fini del presente Protocollo, per privazione della libertà si intende ogni forma di detenzione o imprigionamento o collocazione di una persona in un luogo sotto custodia che non le sia consentito lasciare volontariamente, su ordine di un'autorità giudiziaria, amministrativa o di altro tipo.
Parte II
Il Sottocomitato sulla prevenzione
Art. 5
1. Il Sottocomitato sulla prevenzione è formato da dieci membri. Dopo la cinquantesima ratifica o adesione al presente Protocollo, il numero dei membri del Sottocomitato sarà portato a 25.
2. I membri del Sottocomitato sulla prevenzione sono scelti tra persone di alta levatura morale, comprovata esperienza professionale nel campo dell'amministrazione della giustizia, particolarmente in diritto penale, amministrazione penitenziaria o di polizia, o negli altri ambiti connessi al trattamento delle persone private della libertà.
3. Nella composizione del Sottocomitato sulla prevenzione è prestata dovuta attenzione ad un'equa distribuzione geografica e alla rappresentazione delle diverse tradizioni culturali e dei diversi sistemi giuridici degli Stati Parti.
4. Tra i componenti del Sottocomitato sulla prevenzione dovrà anche esserci una bilanciata rappresentanza di genere, secondo i principi di eguaglianza e non discriminazione.
5. Non ci può essere più di un componente del Sottocomitato sulla prevenzione cittadino dello stesso Stato.
6. I membri del Sottocomitato sulla prevenzione svolgono le loro funzioni a titolo personale, sono indipendenti e imparziali e disposti ad operare secondo efficienza.
Art. 6
1. 1. Ciascuno Stato Parte può nominare, ai sensi del paragrafo 2 del presente articolo, fino a due candidati in possesso delle qualità e dei requisiti di cui all'art. 5. Nel presentare le candidature verranno fornite informazioni dettagliate circa le qualifiche dei candidati.
2. a) I candidati saranno cittadini di Stati Parti del presente Protocollo;
b) se vengono avanzate due candidature, almeno una delle persone nominate deve essere cittadino dello Stato Parte che li nomina;
c) non possono essere nominati come candidati due persone dello stesso Stato Parte;
d) prima di nominare un cittadino di un altro Stato Parte, uno Stato Parte deve cercare e ottenere il consenso di quello Stato.
3. Almeno cinque mesi prima della data della riunione degli Stati Parti durante la quale si terranno le elezioni dei membri del Sottocomitato sulla prevenzione, il Segretario generale delle Nazioni Unite invierà una lettera agli Stati Parti invitandoli a sottoporre le candidature entro tre mesi. Il Segretario generale sottopone la lista, in ordine alfabetico, di tutte le persone nominate, indicando gli Stati Parti che hanno proposto le candidature.
Art. 7
1. I membri del Sottocomitato sulla prevenzione sono eletti nel modo seguente:
a) Considerazione prioritaria è data al rispetto dei requisiti e ai criteri di cui al precedente art. 5;
b) la prima elezione si terrà entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente Protocollo;
c) gli Stati Parti eleggono i membri del Sottocomitato sulla prevenzione a scrutinio segreto;
d) le elezioni dei membri del Sottocomitato sulla prevenzione si terranno ogni due anni alla riunione degli Stati Parti convenuta dal Segretario generale delle Nazioni Unite. A tali riunioni il quorum richiesto è rappresentato dai due terzi degli Stati Parti; saranno elette le persone che avranno ottenuto il maggior numero di voti e la maggioranza assoluta dei rappresentanti degli Stati Parti presenti e votanti.
2. Se nel corso delle elezioni due cittadini di uno Stato Parte risultano suscettibili di fare parte del Sottocomitato sulla prevenzione, sarà membro del Sottocomitato sulla prevenzione quello dei due che avrà ricevuto il maggior numero di voti. Se i voti sono alla pari si seguirà la seguente procedura:
a) se solo uno dei candidati è stato nominato dallo Stato Parte di cui è cittadino, costui o costei entrerà a far parte del Sottocomitato contro la prevenzione;
b) se entrambi i candidati sono stati nominati dagli Stati Parti di cui hanno la cittadinanza, si svolgerà una votazione separata a scrutinio segreto che determinerà quale dei due candidati diventerà membro del Sottocomitato sulla prevenzione;
c) se nessuno dei candidati è stato nominato dallo Stato Parte di cui egli o ella è cittadino, sarà svolta una votazione separata a scrutinio segreto per determinare quale candidato entrerà a comporre il Sottocomitato sulla prevenzione.
Art. 8
Se un membro del Sottocomitato sulla prevenzione è deceduto o dà le dimissioni o per qualunque altra causa non può più svolgere le sue funzioni, lo Stato Parte che lo aveva candidato nominerà un'altra persona in possesso delle qualifiche e dei requisiti di eleggibilità di cui all'art. 5, tenendo in considerazione la necessità di mantenere un equilibrio tra le varie materie rappresentate nel Sottocomitato sulla prevenzione. Tale persona resterà in carica fino alla successiva riunione degli Stati Parti, con l'approvazione della maggioranza degli Stati Parti. Tale approvazione sarà considerata data, salvo che la metà o più degli Stati Parti risponda negativamente entro sei settimane dal momento in cui sono informati dal Segretario generale delle Nazioni Unite della proposta di nomina.
Art. 9
I membri del Sottocomitato sulla prevenzione sono eletti per un mandato di quattro anni. Potranno essere rieletti per una volta, se ricandidati. Per metà dei membri eletti alla prima votazione il termine scadrà alla fine del secondo anno; immediatamente dopo la prima elezione i nomi dei membri il cui termine scade anticipatamente saranno estratti a sorte dal Presidente della riunione di cui all'art. 7.1 d).
Art. 10
1. Il Sottocomitato sulla prevenzione elegge i propri funzionari per un mandato di due anni. Essi possono essere rieletti.
2. Il Sottocomitato sulla prevenzione adotta il proprio regolamento di procedura. Esso contiene, tra l'altro, le seguenti norme:
a) il Sottocomitato sulla prevenzione funzionerà con un quorum rappresentato dalla metà dei suoi componenti;
b) le decisioni del Sottocomitato sulla prevenzione saranno prese con la maggioranza dei voti dei suoi membri;
c) il Sottocomitato sulla prevenzione tiene le sue riunioni in camera di consiglio.
3. Il Segretario generale della Nazioni Unite convoca la prima riunione del Sottocomitato sulla prevenzione. Dopo tale prima riunione il Sottocomitato sulla prevenzione si riunirà con la scadenza stabilita dal regolamento di procedura. Il Sottocomitato sulla prevenzione e il Comitato contro la tortura si riuniscono in contemporanea almeno una volta l'anno.
Parte III
Funzioni del Sottocomitato sulla prevenzione
Art. 11
Il Sottocomitato sulla prevenzione ha il compito di:
a) visitare i luoghi descritti all'art. 4 e formulare raccomandazioni agli Stati Parti in merito alla protezione delle persone private della libertà nei confronti della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
b) rispetto ai meccanismi nazionali di prevenzione esso ha il compito di:
i) consigliare e assistere gli Stati Parti, se necessario, nella fase della loro costituzione;
ii) mantenere contatti diretti e, se necessario, confidenziali, con i meccanismi nazionali di prevenzione e offrire loro formazione e assistenza tecnica allo scopo di rafforzare le loro capacità;
iii) consigliare e assistere i meccanismi nazionali di prevenzione nel valutare le esigenze e i mezzi necessari a rafforzare la protezione delle persone private della libertà rispetto alla tortura e alle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
iv) rivolgere raccomandazioni e osservazioni agli Stati Parti al fine di rafforzare le capacità e le funzioni dei meccanismi nazionali di prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
v) cooperare per la prevenzione della tortura in generale con gli organi e i meccanismi pertinenti delle Nazioni Unite, nonché con le istituzioni o organizzazioni internazionali, regionali e nazionali che lavorano per il rafforzamento della protezione di ogni persona contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
Art. 12
Per consentire al Sottocomitato sulla prevenzione di svolgere il proprio mandato come previsto all'art. 11, gli Stati Parti si impegnano a:
a) ricevere il Sottocomitato sulla prevenzione nei loro territori e garantirgli l'accesso ai luoghi di detenzione, come definiti all'art. 4 del presente Protocollo;
b) fornire ogni informazione rilevante che il Sottocomitato sulla prevenzione dovesse richiedere per valutare le necessità e i provvedimenti da adottare per rafforzare la protezione delle persone private della libertà rispetto alla tortura e alle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
c) incoraggiare e favorire contatti tra il Sottocomitato sulla prevenzione e i meccanismi nazionali di prevenzione;
d) prendere in esame le raccomandazioni del Sottocomitato sulla prevenzione e entrare in dialogo con esso circa le possibili misure di attuazione.
Art. 13
1. Il Sottocomitato sulla prevenzione stabilirà, inizialmente sulla base di un sorteggio, un programma di visite regolari agli Stati Parti al fine di adempiere al suo mandato, come stabilito all'art. 11.
2. Dopo debite consultazioni, il Sottocomitato sulla prevenzione notifica agli Stati Parti il proprio programma, affinché essi possano, senza ritardo, prendere le necessarie misure pratiche perché la visita possa avere luogo.
3. Le visite sono condotte da almeno due membri del Sottocomitato sulla prevenzione. I membri del Sottocomitato sulla prevenzione possono essere accompagnati, se del caso, da esperti di provata esperienza professionale e competenti nelle materie di cui tratta il presente Protocollo; tali esperti sono tratti da un albo predisposto sulla base di proposte avanzate dagli Stati Parti, dall'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e dal Centro delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine internazionale. Nel predisporre l'albo, gli Stati Parti interessati propongono non più di cinque esperti nazionali. Lo Stato Parte in questione può opporsi all'inclusione nella visita di uno specifico esperto, nel qual caso il Sottocomitato sulla prevenzione ne proporrà un altro.
4. Se il Sottocomitato sulla prevenzione lo ritiene opportuno, esso può proporre una breve visita di verifica (follow‐up) dopo una visita regolare.
Art. 14
1. Allo scopo di permettere al Sottocomitato sulla prevenzione di adempiere al proprio mandato, gli Stati Parti del presente Protocollo si impegnano ad assicurargli:
a) accesso illimitato ad ogni informazione circa il numero di persone private della libertà nei luoghi di detenzione come definiti dall'art. 4, nonché sul numero di tali luoghi e sulla loro dislocazione;
b) accesso illimitato ad ogni informazione circa il trattamento di tali persone e circa le loro condizioni di detenzione;
c) salvo quanto stabilito al successivo paragrafo 2, accesso illimitato a tutti i luoghi di detenzione, alle loro strutture e servizi annessi;
d) la possibilità di avere colloqui riservati con le persone private della libertà, senza testimoni, direttamente o tramite un interprete se ritenuto necessario, nonché con qualunque altra persona che il Sottocomitato sulla prevenzione ritenga possa fornire informazioni rilevanti;
e) la libertà di scegliere i luoghi che intende visitare e le persone con cui avere un colloquio.
2. Possono essere formulate obiezioni alla visita in un particolare luogo di detenzione solo sulla base di ragioni impellenti e cogenti riguardanti la difesa nazionale, la sicurezza pubblica, il verificarsi di un disastro naturale o di gravi disordini nel luogo oggetto della visita che impediscano temporaneamente di compiere la visita stessa. L'esistenza di uno stato di emergenza dichiarato dallo Stato Parte non può in quanto tale essere invocata dallo Stato stesso come una ragione per fare obiezione alla visita.
Art. 15
Nessuna autorità o funzionario pubblico può ordinare, applicare, permettere o tollerare una sanzione contro una persona o un'organizzazione per aver comunicato al Sottocomitato sulla prevenzione o ai suoi delegati qualunque informazione, vera o falsa; tale individuo o organizzazione non subirà alcun altro tipo di pregiudizio.
Art. 16
1. Il Sottocomitato sulla prevenzione trasmette le proprie raccomandazioni e osservazioni per via confidenziale allo Stato Parte e, se del caso, ai meccanismi nazionali di prevenzione.
2. Il Sottocomitato sulla prevenzione pubblica il suo rapporto, insieme con eventuali commenti dello Stato Parte interessato, ogni qual volta ciò gli sia richiesto dallo Stato Parte. Se lo Stato Parte rende pubblico parte del rapporto, il Sottocomitato sulla prevenzione ha facoltà di pubblicarlo in tutto o in parte. Tuttavia, nessun dato personale dovrà essere reso pubblico senza l'espresso consenso della persona interessata.
3. Il Sottocomitato sulla prevenzione presenta al Comitato contro la tortura un rapporto annuale, pubblico, sulle proprie attività.
4. Se lo Stato Parte rifiuta di cooperare con il Sottocomitato sulla prevenzione, come disposto dagli artt. 12 e 14, o rifiuta di prendere misure per migliorare la situazione alla luce delle raccomandazioni del Sottocomitato sulla prevenzione, il Comitato contro la tortura può, su richiesta del Sottocomitato sulla prevenzione, decidere, a maggioranza dei suoi membri e dopo che allo Stato Parte è data la possibilità di far conoscere la propria posizione, di emettere una dichiarazione pubblica sulla questione o di pubblicare il rapporto del Sottocomitato sulla prevenzione.
Parte IV
Meccanismi nazionali di prevenzione
Art. 17
Ciascuno Stato Parte mantiene, costituisce o crea, al massimo entro un anno dall'entrata in vigore del presente Protocollo o dal momento della sua ratifica o adesione, uno o più meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione della tortura a livello interno. Possono essere qualificati quali meccanismi nazionali di prevenzione ai fini del presente Protocollo anche organismi istituiti a livello locale, purché rispondano ai requisiti fissati dal presente Protocollo.
Art. 18
1. Gli Stati Parti garantiscono l'indipendenza funzionale dei meccanismi nazionali di prevenzione, nonché l'indipendenza del personale di cui essi si avvalgono.
2. Gli Stati Parti adottano i provvedimenti necessari per assicurare che gli esperti che compongono i meccanismi nazionali di prevenzione abbiano le competenze e le conoscenze professionali richieste. Essi dovranno sforzarsi di raggiungere un equilibro tra i generi e fare in modo che vi siano rappresentate adeguatamente le minoranze etniche e gli altri gruppi minoritari presenti nel paese.
3. Gli Stati Parti si impegnano a mettere a disposizione dei meccanismi nazionali di prevenzione le risorse necessarie al loro funzionamento.
4. Nell'istituire i meccanismi nazionali di prevenzione, gli Stati Parti terranno in debita considerazione i Principi relativi allo status delle istituzioni nazionali per i diritti umani.
Art. 19
Ai meccanismi nazionali di prevenzione saranno garantiti almeno i seguenti poteri:
a) sottoporre a regolare esame il trattamento di cui sono oggetto le persone
private della libertà nei luoghi di detenzione, come definiti al precedente art. 4, allo scopo di rafforzare, se necessario, la protezione loro prestata verso la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
b) formulare raccomandazioni alle autorità competenti al fine di migliorare il trattamento e le condizioni in cui versano e persone private della libertà e di prevenire la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, tenendo nella dovuta considerazione le norme in materia adottate dalle Nazioni Unite;
c) sottoporre proposte e osservazioni relativamente alla legislazione in vigore e ai progetti di legge.
Art. 20
Allo scopo di mettere i meccanismi nazionali di prevenzione in condizione di espletare il loro mandato, gli Stati Parti del presente Protocollo si impegnano a garantire loro:
a) accesso ad ogni informazione circa il numero di persone private della libertà nei luoghi di detenzione come definiti dall'art. 4, nonché sul numero di tali luoghi e sulla loro dislocazione;
b) accesso ad ogni informazione circa il trattamento di tali persone e circa le loro condizioni di detenzione;
c) accesso a tutti i luoghi di detenzione e alle relative installazioni e attrezzature;
d) la possibilità di avere colloqui riservati con le persone private della libertà, senza testimoni, direttamente o tramite un interprete se ritenuto necessario, nonché con qualunque altra persona che i meccanismi nazionali di prevenzione ritengano possa fornire informazioni rilevanti;
e) la libertà di scegliere i luoghi che intendono visitare e le persone con cui avere un colloquio;
f) il diritto ad avere contatti con il Sottocomitato sulla prevenzione, di trasmettergli informazioni e di avere incontri con esso.
Art. 21
1. Nessuna autorità o funzionario pubblico può ordinare, applicare, permettere o tollerare una sanzione contro una persona o un'organizzazione per aver comunicato ai meccanismi nazionali di prevenzione qualunque informazione, vera o falsa; tale individuo o organizzazione non subirà alcun altro tipo di pregiudizio.
2. Le informazioni riservate raccolte dai meccanismi nazionali di prevenzione sono protette. Nessun dato personale può essere reso pubblico senza il consenso espresso dell'interessato.
Art. 22
Le autorità competenti dello Stato Parte esaminano le raccomandazioni dei meccanismi nazionali di prevenzione e entrano in dialogo con loro circa le possibili misure di attuazione.
Art. 23
Gli Stati Parti del presente Protocollo si impegnano a pubblicare e a diffondere i rapporti annuali elaborati dai meccanismi nazionali di prevenzione.
Parte V Dichiarazione
Art. 24
1. Alla ratifica, gli Stati Parti possono avanzare una dichiarazione per posporre l'attuazione degli obblighi derivanti dalle Parti III o IV del presente Protocollo.
2. La dilazione non potrà essere superiore a tre anni. Sulla base di adeguate rappresentazioni avanzate dallo Stato Parte e previa consultazione con il Sottocomitato sulla prevenzione, il Comitato contro la tortura può estendere tale periodo di altri due anni.
Parte VI Disposizioni finanziarie
Art. 25
1. Le spese affrontate dal Sottocomitato sulla prevenzione per la operatività del presente Protocollo sono a carico delle Nazioni Unite.
2. Il Segretario generale delle Nazioni Unite metterà a disposizione il personale e le strutture necessarie per consentire al Sottocomitato sulla prevenzione di svolgere con effettività le funzioni attribuitele dal presente Protocollo.
Art. 26
1. È costituito un fondo speciale, nel rispetto delle procedure in materia di competenza dell'Assemblea Generale, da gestire secondo i regolamenti finanziari e le norme delle Nazioni Unite, allo scopo di sostenere l'attuazione delle raccomandazioni adottate dal Sottocomitato sulla prevenzione a seguito della visita effettuata presso uno Stato Parte, nonché per realizzare programmi formativi rivolti ai meccanismi nazionali di prevenzione.
2. Il fondo speciale può essere finanziato attraverso contributi volontari forniti da governi, organizzazioni intergovernative e non‐governative e altri enti pubblici o privati.
Parte VII Disposizioni finali
Art. 27
1. Il presente Protocollo è aperto alla firma di ogni Stato che ha firmato la Convenzione.
2. Il presente Protocollo è soggetto a ratifica da parte di ogni Stato che abbia ratificato o aderito alla Convenzione. Lo strumento di ratifica è depositato presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.
3. Il presente Protocollo è aperto all'adesione da parte di ogni Stato che abbia ratificato o aderito alla Convenzione.
4. L'adesione ha effetto con il deposito dello strumento di adesione presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.
5. Il Segretario generale delle Nazioni Unite deve informare tutti gli Stati che hanno firmato il presente Protocollo o che vi hanno aderito del deposito di ciascuno strumento di ratifica o di adesione.
Art. 28
1. Il presente Protocollo entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di deposito presso il Segretario generale delle Nazioni Unite del ventesimo strumento di ratifica o adesione.
2. Per ciascuno Stato che ratifica il presente Protocollo o che vi aderisce dopo il deposito presso il Segretario generale delle Nazioni Unite del ventesimo strumento di ratifica o di adesione, il presente Protocollo entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo a quello in cui è avvenuto il deposito del suo strumento di ratifica o di adesione.
Art. 29
Le disposizioni del presente Protocollo si estendono all'intero territorio di uno Stato federale, senza alcuna limitazione o eccezione.
Art. 30
Al presente Protocollo non sono ammesse riserve.
Art. 31
Le disposizioni del presente Protocollo non pregiudicano gli obblighi degli Stati Parti ai sensi di Convenzioni regionali istitutive di un sistema di visita nei luoghi di detenzione. Il Sottocomitato sulla prevenzione e gli organismi istituiti sulla base di tali Convenzioni regionali sono invitati a consultarsi reciprocamente e a cooperare allo scopo di evitare le duplicazioni e promuovere in modo efficace gli obiettivi del presente Protocollo.
Art. 32
Le disposizioni del presente Protocollo non producono effetti sugli obblighi degli Stati Parti delle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e dei relativi Protocolli addizionali dell'8 giugno 1977, nè pregiudicano la possibilità di cui ogni Stato Parte può avvalersi di autorizzare il Comitato internazionale della Croce Rossa a visitare luoghi di detenzione in situazioni non regolate dal diritto internazionale umanitario.
Art. 33
1. Ogni Stato Parte può denunciare il presente Protocollo in qualsiasi momento con una notificazione scritta indirizzata al Segretario generale delle Nazioni Unite. Quest'ultimo deve informarne gli altri Stati Parti del presente Protocollo e della Convenzione. La denuncia produce i suoi effetti dopo un anno dalla data di ricezione della notifica da parte del Segretario
generale.
2. La denuncia non produce l'effetto di liberare lo Stato Parte dagli obblighi derivanti dal presente Protocollo relativi ad atti o situazioni che si siano verificati precedentemente alla data in cui la denuncia è divenuta effettiva, o relativamente ad azioni che il Sottocomitato sulla prevenzione ha deciso o può decidere di intraprendere nei confronti dello Stato in questione; la denuncia inoltre non pregiudica in nessun modo la continuazione della considerazione di questioni sottoposte al Sottocomitato sulla prevenzione precedentemente alla data in cui la denuncia produce effetti.
3. Successivamente alla data in cui la denuncia da parte di uno Stato Parte è divenuta effettiva, il Sottocomitato sulla prevenzione non prenderà in esame alcuna nuova questione riguardante quello Stato.
Art. 34
1. Ogni Stato Parte al presente Protocollo potrà proporre un emendamento e depositare la sua proposta presso il Segretario generale delle Nazioni Unite. Il Segretario generale comunicherà la proposta di emendamento agli Stati Parti del presente Protocollo domandando loro di fargli conoscere se sono favorevoli alla organizzazione di una conferenza di Stati Parti in vista dell'esame della proposta e della sua messa ai voti. Se, nei quattro mesi successivi alla data di tale comunicazione, almeno un terzo degli Stati Parti si pronuncia a favore dello svolgimento di detta conferenza, il Segretario generale organizzerà la conferenza sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Ogni emendamento adottato dalla maggioranza dei due terzi degli Stati Parti presenti e votanti alla conferenza sarà sottoposto dal Segretario generale all'accettazione di tutti gli Stati Parti.
2. Un emendamento adottato in base alle disposizioni del paragrafo l del presente articolo entrerà in vigore allorché i due terzi degli Stati Parti al presente Protocollo lo avranno accettato, in conformità alla procedura prevista dalle loro rispettive costituzioni.
3. Quando gli emendamenti entreranno in vigore, essi saranno cogenti per gli Stati Parti che li abbiano accettati, gli altri Stati Parti rimanendo vincolati dalle disposizioni del presente Protocollo e da ogni emendamento anteriore che avranno accettato.
Art. 35
I membri del Sottocomitato sulla prevenzione e i componenti dei meccanismi nazionali di prevenzione godono dei privilegi ed immunità necessarie per l'esercizio indipendente delle loro funzioni. I membri del Sottocomitato sulla prevenzione godranno dei privilegi e immunità di cui all'art. 22 della Convenzione sui privilegi e immunità delle Nazioni Unite del 13 febbraio 1946, secondo quanto previsto dall'art. 23 di detta Convenzione.
Art. 36
Allorché conducono una visita in uno Stato Parte, i membri del Sottocomitato sulla prevenzione, senza pregiudizio delle norme e delle finalità del presente Protocollo, nonché dei privilegi ed immunità di cui godono, sono tenuti a:
a) rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato in cui si svolge la visita;
b) astenersi da ogni azione o attività incompatibile con il carattere imparziale e la natura internazionale delle loro funzioni.
Art. 37
1. Il presente Protocollo, i cui testi arabo, cinese, francese, inglese, russo e spagnolo fanno ugualmente fede, sarà depositato presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.
2. Il Segretario generale delle Nazioni Unite provvederà a trasmettere a tutti gli Stati una copia autenticata conforme del presente Protocollo.
CAMERA DEI DEPUTATI N. 4004 PROPOSTA DI LEGGE
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI CORSINI, XXXXX, XXXXXXXXXX, XXXXXXXXXXX, XXXXXXXXX, XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXXXX, CONCIA, XX XXXXX, FERRARI, FIANO, XXXXXXX, XXXXXXXX, XXXX, XXXXXX, XXXXXXX, XXXXXX, XXXXXX, XXXXXXXX
Istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale
Presentata il 12 gennaio 2011
ONOREVOLI COLLEGHI ! — La rilevanza dei temi legati alle problematiche penitenziarie e più in generale al rispetto dei diritti umani universalmente riconosciuti è significativamente testimoniata dal gran numero dei firmatari dei progetti di legge presentati, in ciascuno dei due rami del Parlamento, volti a istituire una figura di garanzia nazionale per la tutela dei diritti
delle persone limitate nella libertà personale.
In questo caso specifico, prendendo spunto anche dal contributo elaborato dal Coordinamento nazionale dei garanti territoriali, si è ritenuto proporre al dibattito anche la presente proposta di
legge, poiché prende in considerazione il tema – che si considera centrale – del coordinamento fra i garanti istituiti ai diversi livelli territoriali, affinché l’azione complessiva si possa configurare in maniera armonica e coerente e, dunque, efficace.
Oggi, infatti, appare più che mai indispensabile ed urgente promuovere una politica che nell’ambito del complesso sistema detentivo possa contribuire a rendere concretamente esigibile il dettato costituzionale di cui all’articolo 27, terzo comma, per il quale « Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato » con il vantaggio di riflessi positivi sulla vita comunitaria e di importanti risorse sul versante della sicurezza.
La sfida, quindi, dell’istituzione nell’ordinamento italiano di una figura di garanzia nazionale per la tutela dei diritti delle persone detenute o limitate nella libertà personale, diviene oggi improrogabile rispetto alla cogenza di problemi (primo fra tutti l’insostenibile sovraffollamento carcerario) che esigono la strutturazione e l’implementazione di un sistema di governance capace di fornire una mediazione indispensabile fra le istituzione penitenziarie e la società civile.
Ciò, invero, avviene nella gran parte degli Stati d’Europa: Scozia, Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx e, da ultimo, anche in Francia con la legge n. 1545 del 30 ottobre 2007, che ha istituito « Le Contrôleur général des lieux de privation de liberté », all’interno dell’autorevole Ufficio del Médiateur de la République.
A tale proposito, va evidenziato non solo l’annoso ritardo dell’Italia, che rispetto agli altri Paesi europei ancora non ha istituito tale figura a livello nazionale, ma anche l’odiosa distonia con quanto richiesto dalla risoluzione A/RES/48/134 del 20 dicembre 1993 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Da tempo, quindi, si richiede all’Italia di provvedere alla ratifica, in particolare, del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002, firmato dall’Italia il 20 agosto 2003 ed entrato in vigore al raggiungimento della ventesima ratifica, il 22 giugno 2006. Ad oggi, tuttavia, il nostro Paese non ha ancora provveduto alla ratifica del Protocollo, anche per la complessità delle procedure richieste per la sua attuazione e, in specie, per l’istituzione entro un anno da parte di ciascuno Stato parte di un sistema nazionale di monitoraggio, affidato a un organismo indipendente e con incondizionata libertà di accesso in tutti i luoghi di detenzione. Con la presente proposta di legge si è pensato pertanto di privilegiare l’autonoma sovranità nazionale al fine di procedere in maniera più celere, ma altrettanto incisiva, con l’approvazione di una proposta di legge d’iniziativa parlamentare « svincolata » dalle procedure internazionali, ma pur sempre nel solco della legislazione già adottata dagli Stati membri dell’Unione europea in tema di Ombudsman Prison.
La presente proposta di legge recante l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale risulta praticamente unica nel panorama europeo, segnatamente per la previsione di una ramificata cooperazione con i garanti territoriali già presenti in molte realtà locali a livello comunale, provinciale e regionale, che continuano così a conservare autonomia d’intervento sul territorio, ma nella visione sintonica di uno schema moderno e responsabile di federalismo solidale: in tale senso, almeno una volta all’anno, il Garante nazionale si riunisce in assemblea con i garanti territoriali (articolo 7). In particolare, il Garante nazionale è costituito in collegio, composto dal Presidente, nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e da quattro membri eletti, a maggioranza assoluta dei componenti e con voto limitato, in numero di due dal Senato della Repubblica e in numero di due dalla Camera dei deputati (articolo 1). Procedura di nomina e collegialità assicurano dunque al Garante nazionale indipendenza, autorevolezza e democraticità. La struttura organizzativa dell’ufficio, inoltre, è regolamentata da una serie di norme che si prevede debbano essere adottate con apposito decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro dell’interno e con il Ministro della giustizia, previo parere dello stesso Garante nazionale (articolo 5). Le funzioni e i poteri del Garante nazionale, così come il procedimento per rivolgersi al Garante stesso, afferiscono precipuamente ad attività di monitoraggio e di vigilanza circa il rispetto dei diritti delle persone detenute o limitate nella libertà personale, intra ed extra moenia, ma anche, e non marginalmente, ad attività di supporto e di integrazione dei poteri non giurisdizionali della magistratura di sorveglianza (articoli 8‐10). Annualmente il Garante nazionale riferisce al Parlamento (articolo 12). Infine, appare doveroso evidenziare che con la conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207 (cosiddetto « Milleproroghe »), attuata con la legge 27 febbraio 2009, n. 14, il Parlamento, proprio con riferimento alle figure dei garanti dei detenuti territoriali, ha approvato significative modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario 26 luglio 1975, n. 354, sia all’articolo 18, primo comma, così sostituito: « I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, nonché con il garante dei diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici » sia con l’introduzione all’articolo 67, primo comma, della lettera l‐bis), che prevede la visita agli istituti penitenziari senza autorizzazione anche per « i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati».
Ci auguriamo che la presente proposta di legge favorisca la più rapida e positiva discussione dopo i vani tentativi fin qui perorati, integrando i progetti di legge già presentati alla Camera e permettendo di porre in essere un esame organico e sereno di una tematica di rilevante interesse nazionale che non può essere ulteriormente rimandato.
Per questi motivi si auspica un esame in tempi rapidi della presente proposta di legge.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della liberta` personale).
1. E` istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2011, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della liberta` personale, di seguito denominato « Garante nazionale », autorita` garante autonoma e indipendente.
2. Il Garante nazionale e` costituito in collegio, composto dal Presidente, nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e da quattro membri eletti, a maggioranza assoluta dei componenti e con voto limitato, in numero di due dal Senato della Repubblica e in numero di due dalla Camera dei deputati.
3. Il Garante nazionale rimane in carica cinque anni non prorogabili, fatto salvo il regime di prorogatio. Almeno tre mesi prima della scadenza del mandato sono attivate le procedure per la nomina del nuovo Presidente e per l’elezione dei nuovi membri.
4. Ognuno dei componenti del Garante nazionale resta in carica cinque anni e può essere riconfermato per una sola volta.
5. Le indennita` del Presidente e degli altri membri sono stabilite con il regolamento di cui all’articolo 5, comma 6, nell’ambito di una dotazione finanziaria complessiva pari a 1.300.000 euro a decorrere dall’anno 2011.
ART. 2.
(Requisiti).
1. Ognuno dei componenti del Garante nazionale è scelto tra persone che assicurano indipendenza e idoneità alla funzione, che possiedono un’esperienza pluriennale nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani e che sono di riconosciuta competenza nelle discipline afferenti alla salvaguardia dei diritti umani.
ART. 3.
(Incompatibilita`).
1. Ognuno dei componenti del Garante nazionale non puo` assumere cariche elettive, governative e istituzionali, ne´ ricoprire altri incarichi o uffici pubblici di qualsiasi natura e non puo` svolgere attivita` lavorativa, subordinata o autonoma, imprenditoriale o libero‐professionale, ne´ ricoprire incarichi di responsabilità in partiti politici.
ART. 4.
(Sostituzione).
1. Ognuno dei componenti del Garante nazionale e` immediatamente sostituito in caso di dimissioni, morte, incompatibilita` sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all’incarico affidato o nel caso in cui riporti condanna penale definitiva per delitto. La valutazione sull’effettiva esistenza dell’impedimento fisico o psichico, nonche´ della grave violazione dei doveri inerenti all’incarico affidato compete ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, che vi procedono d’intesa tra loro e senza ritardo.
2. Alla nomina del sostituto si provvede, a seconda che si tratti del Presidente o di uno dei componenti del collegio, con le procedure di nomina previste dall’articolo 1, comma 2.
3. Il Presidente o il componente nominato come sostituto resta in carica fino alla scadenza ordinaria del relativo mandato di Presidente o di componente del Garante nazionale.
ART. 5.
(Organico).
1. Alle dipendenze del Garante nazionale e` istituito un ufficio composto da dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, dotati di competenze pluridisciplinari e in possesso di documentate conoscenze negli ambiti di intervento di competenza del Garante nazionale, collocati fuori ruolo nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, il cui servizio presso il medesimo ufficio e` equiparato ad ogni effetto di legge a quello prestato nelle rispettive amministrazioni di provenienza.
I collaboratori del Garante nazionale svolgono la loro attività sotto la sua esclusiva autorità.
2. L’organico dell’ufficio di cui al comma 1 e` determinato, in misura non superiore a quaranta unità, su proposta del Garante nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, entro tre mesi dalla data del primo insediamento del Garante nazionale.
3. Per l’attuazione dei commi 1 e 2 e` autorizzata la spesa di 1.300.000 euro a decorrere dall’anno 2011.
4. Le spese di funzionamento dell’ufficio del Garante nazionale sono poste a carico di un fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto in un’apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. Il rendiconto della gestione finanziaria e` soggetto al controllo della Corte dei conti.
5. Per l’attuazione del comma 4 e` autorizzata la spesa di 600.000 euro a decorrere dall’anno 2011.
6. Le norme concernenti l’organizzazione dell’ufficio del Garante nazionale nonchè quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, sono adottate con regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro dell’interno e con il Ministro della giustizia, previo parere dello stesso Garante nazionale.
ART. 6.
(Consulenze).
1. Il Garante nazionale, nei casi in cui la natura tecnica o la delicatezza delle questioni sottoposte alla sua valutazione lo richiedono, può avvalersi, nel limite massimo di spesa di 300.000 euro a decorrere dall’anno 2011, dell’opera di consulenti remunerati in base alle vigenti tariffe professionali.
ART. 7.
(Rapporti con i garanti territoriali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale).
1. Il Garante nazionale, nell’esercizio della sua attività, mette in atto procedure o rapporti di collaborazione con i garanti territoriali, nominati dalle regioni o dagli enti locali, ovvero con altre figure istituzionali, comunque denominate, che hanno competenza nelle stesse materie.
2. Il Garante nazionale prende in esame le segnalazioni effettuate dai garanti territoriali.
3. Almeno una volta all’anno, ai fini della predisposizione della relazione annuale da presentare alle Camere ai sensi dell’articolo 12, il Garante nazionale si riunisce in assemblea con i garanti territoriali.
ART. 8.
(Funzioni e poteri).
1. Nell’esercizio della funzione di garanzia delle persone detenute o private della libertà personale, il Garante nazionale:
a) esercita la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, nonché dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti;
b) adotta le proprie determinazioni in ordine alle istanze e ai reclami che gli sono rivolti dagli internati e dai detenuti ai sensi dell’articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’articolo 9, comma 2, della presente legge;
c) verifica che le strutture edilizie pubbliche adibite alla restrizione o all’attenuazione della libertà delle persone siano idonee a salvaguardarne la dignità con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali.
2. Nell’esercizio delle funzioni indicate al comma 1, il Garante nazionale e i suoi collaboratori a tale fine accreditati:
a) visitano, senza necessità di autorizzazione e in condizioni di sicurezza, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari, le comunità terapeutiche e di accoglienza o comunque le strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, gli istituti penali per minori e le comunità di accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nonché, previo avviso e senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in xxxxx, xxxx xxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxx xxxxxx xx xxxxxxx dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo della polizia municipale e dei commissariati di pubblica sicurezza, accedendo, senza restrizione alcuna, a qualunque locale e incontrando liberamente chiunque vi è privato della libertà personale;
b) prendono visione, previo consenso anche verbale dell’interessato, degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo della persona detenuta o privata della libertà personale, fatta eccezione per i fascicoli coperti da segreto relativi alle indagini e al procedimento penale;
c) richiedono alle amministrazioni responsabili delle strutture indicate alla lettera a) le informazioni e i documenti che ritengono necessari, fermo restando il divieto di cui alla lettera b);
d) nel caso in cui l’amministrazione responsabile non fornisca risposta alla richiesta di cui alla lettera c), nel termine di trenta giorni, informano il magistrato di sorveglianza territorialmente competente e possono richiedergli di emettere un ordine di esibizione dei documenti richiesti.
3. Nell’esercizio della funzione indicata al comma 1, lettera c), il Garante nazionale verifica il rispetto degli adempimenti e delle procedure previsti agli articoli 20, 21, 22, e 23 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, presso i centri di identificazione e di espulsione previsti dall’articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, accedendo senza restrizione alcuna in qualunque locale, per la verifica, comunque, del rispetto della conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti.
4. I componenti del Garante nazionale sono tenuti al segreto su quanto acquisito nell’esercizio delle loro funzioni per gli atti coperti da segreto relativi alle indagini e al procedimento penale.
5. Nel caso in cui venga opposto il segreto di Stato, il Garante nazionale informa il magistrato di sorveglianza territorialmente competente affinchè questi valuti se richiedere l’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri per la conferma, entro sessanta giorni, dell’esistenza del segreto.
ART. 9.
(Destinatari).
1. Tutti i detenuti o i soggetti comunque privati della libertà personale possono rivolgersi al Garante nazionale senza vincoli di forma.
2. Dopo il numero 1) dell’articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:
« 1‐bis) al Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, ovvero, in prima istanza, al garante territoriale, ove istituito ».
ART. 10.
(Procedimento).
1. Il Garante nazionale, quando verifica che le amministrazioni responsabili delle strutture indicate all’articolo 8, comma 2, lettera a), della presente legge tengono comportamenti non conformi alle
norme e ai principi indicati dal medesimo articolo 8, comma 1, lettera a), ovvero che le istanze e i reclami ad esso rivolti ai sensi dell’articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’articolo 9, comma 2, della presente legge, sono fondati, richiede all’amministrazione interessata di agire in conformità, anche formulando specifiche raccomandazioni.
2. L’amministrazione interessata, se disattende la richiesta, deve comunicare il suo dissenso motivato nel termine di trenta giorni.
3. Avverso il provvedimento che disattende la richiesta, il Garante nazionale, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del rigetto, può rivolgersi agli uffici sovraordinati a quelli originariamente interessati.
4. Gli uffici sovraordinati provvedono entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta.
5. In caso di ulteriore rigetto, il Garante nazionale trasmette il reclamo al magistrato di sorveglianza, che decide ai sensi dell’articolo 69, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
ART. 11.
(Obbligo di denuncia).
1. Il Garante nazionale ha l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria competente ogniqualvolta viene a conoscenza di fatti che possono costituire reato.
ART. 12.
(Relazione annuale).
1. Il Garante nazionale presenta alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, una relazione annuale sull’attività svolta, relativa all’anno precedente, indicando il tipo e la natura degli interventi messi in atto, gli esiti degli stessi, il rispetto delle norme vigenti in materia di ordinamento penitenziario e le risposte dei responsabili delle strutture interessate, le proposte anche legislative utili a migliorare le condizioni di detenzione, nonche´ lo stato di tutela dei diritti umani negli istituti di pena e negli altri luoghi di limitazione della libertà personale.
2. La relazione annuale è altresì trasmessa al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, di cui all’articolo 1 della Convenzione adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987, resa esecutiva dalla legge 2 gennaio 1989, n. 7, e al Comitato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la tortura, di cui all’articolo 17 della Convenzione firmata a New York il 10 dicembre 1984, resa esecutiva dalla legge 3 novembre 1988, n. 498.
3. La relazione annuale e` inviata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell’interno, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro della salute. Il Garante nazionale redige, altresì, un bollettino ufficiale delle sue attività.
4. Ogni qualvolta ne ravvisi la necessità e l’urgenza, il Garante nazionale presenta alle Camere apposite relazioni su specifiche questioni emerse nello svolgimento delle sue funzioni.
5. Nei programmi di formazione delle scuole di tutte le Forze di polizia deve essere previsto un insegnamento sul sistema delle garanzie poste a tutela dei diritti umani delle persone detenute o private della libertà personale e sulla figura del Garante nazionale.
ART. 13.
(Copertura finanziaria).
1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, pari 3.600.000 euro a decorrere dall’anno 2011, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011‐2013, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di
previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2011, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze e` autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
I GARANTI DEI DIRITTI DEI DETENUTI IN ITALIA
Garanti regionali
• Campania
Denominazione: Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Garante: Xxxxxxx Xxxxx
Sede ‐ presso il Consiglio regionale Xxxxxxx Xxxxxxxx ‐ Xxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx X0 ‐ 00000 Xxxxxx Tel. 000.000.0000/3132
Fax: 000.000.0000
mail: xxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxxxxxxx.xx
• Xxxxxx Xxxxxxx
Denominazione: Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale
Garante ‐ Xxxx Xxxxx
Sede: Xxxxxxx Xxxxxx‐Xxxxxxx – Xxxxx Xxxx Xxxx, 00 ‐ 00000 Xxxxxxx Tel. 000.0000000
Fax 000.0000000
Mail: Garantedetenuti@Regione.Xxxxxx‐Xxxxxxx.xx
Sito internet: xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxx‐e‐servizi/detenuti
• Lazio
Denominazione: Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Fonti normative: Legge regionale 6 ottobre 2003. n 31
Garante – Xxxxxxx Xxxxxxx
Xxxx ‐ Xxx Xxx Xxxxxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxx Tel.: 00.00000000
Fax: 00.0000000
mail: xxxx@xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx sito: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
• Lombardia
Denominazione: Difensore civico regionale con funzioni di garante dei detenuti Garante: Xxxxxx Xxxxxxxx
Sede: Xxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxx Tel 00.00000.000/467
Fax: 00.00000.000
mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxxxxxxxx.xx sito: xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx
• Marche
Denominazione: Ombudsman regionale con funzioni di garante dei diritti dei detenuti Garante: Xxxxx Xxxxxx
Sede: Xxxxx Xxxxxxx, 00 ‐ 00000 Xxxxxx Tel.: 000.0000.000
Fax: 000.0000.000
mail: xxxxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxx.xxxxxx.xx
sito: xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx civico
• Piemonte
Garante: In attesa di nomina
• Puglia
Denominazione: Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale
Garante: Xxxxxx Xxxxx
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxx.xx
• Sardegna
Garante: In attesa di nomina
• Sicilia
Denominazione: Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale
Garante: Salvo Fleres
Sede: Xxxxx Xxxxxxx xxxxxxxxx 0000 ‐ 00000 Xxxxxxx E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxxxxx@xxxxx.xx
Sito: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
• Toscana
Denominazione: Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale
Garante: Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
Sede: Xxx xxx Xxxxx, 0 – 00000 Xxxxxxx Tel.: 000.0000000
Fax: 000.0000000
E‐mail: x.xxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxxxxxx.xx
• Umbria
Denominazione ‐ Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale
Garante ‐ In attesa di nomina
• Valle d'Aosta
Denominazione ‐ Difensore civico in qualità di Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale
Garante ‐ Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx
Sede ‐ Ufficio del Difensore civico della Regione autonoma Valle d’Aosta Xxx Xxxxxxxxx Xxxxxx, 00 (0x xxxxx) ‐ 00000 Xxxxx
Tel. 0165‐238868 / 262214 Fax 0165‐32690
E‐mail: xxxxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxx.xx; xxxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxx.xx Sito: xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxx.xx
Garanti provinciali
• Avellino
Denominazione: Garante per i diritti dei detenuti Garante: Xxxxx Xxxx
• Enna
Denominazione: Garante per i diritti delle persone limitate nella libertà personale Garante: in attesa di nomina
• Lodi
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertā personale Garante: Xxxxx Xxxxx
Sede ‐ Via Fanfulla, 14 ‐ 26900 Lodi Tel. 0000.000.000
Fax: 0000.000.000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxx.xx
• Massa Carrara
Denominazione: Garante dei diritti dei detenuti Garante: Xxxxxxx Xxxxx
E‐mail: xxxxxxx.xxxxx@xxxxxxxx.xx
• Milano
Denominazione: Difensore civico territoriale Garante: Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Sede ‐ Xxx xxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxx Tel.: 00.0000.0000
Fax: 00.00000000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxx.xx
• Padova
Denominazione: Difensore civico territoriale Garante ‐ Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
Sede ‐ Xxxxxx Xxxxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxx Tel: 000.0000000
Fax: 000.0000000
E‐mail: xxxxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxx.xx
Sito: xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx.xx/xxxxx.xxx?xxxxxxxxxxxxxx‐civico‐3
• Trapani
Denominazione: Garante dei diritti fondamentali delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxx Xxxxxxxx
Sede: c/o Palazzo Riccio di Morana – Xxx Xxxxxxxxx, 00 – Trapani. E‐mail: xxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxx.xx
Sito internet: xxxx://xxxxxxx.xxxxxxxxx.xxxxxxx.xx
• Trento
Denominazione: Direttore dell’ufficio del Difensore civico Nominativo: Xxxxx Xxxxxxx
E‐mail: xxxxxxxx@xxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx.xx
Garanti comunali
• Bergamo
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxx Xxxxxxxx
Sede: Municipio – Xxxxxx Xxxxxxxxx, 00 – 00000 Xxxxxxx Tel.: 000.000.000
Fax: 000.000.000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xx.xx
• Bologna
Denominazione: Garante delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxxxxx Xxxxxx
Sede: Xxxxxx Xxxxxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxxx Tel.: 000.000.0000/3327
Fax: 000.000.0000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx Sito: xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxx‐detenuti
• Bolzano:
Denominazione: Garante per i diritti dei detenuti Garante: Xxxxxx Xxxxx
Sede: Municipio Bolzano – Vicolo Gumer, 7 – 00000 Xxxxxxx Tel.: 0000.000000
• Brescia
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxx Xxxxxxxx
Sede: Xxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxxx Tel./Fax: 000.0000000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx ; xxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx; Sito: xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx
• Ferrara
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Piazza Xxxxxx Xxxxxxx, 19 – 44100 Ferrara Tel. 0000.000.000
Fax: 0000.000.000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xx.xx
• Firenze
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxx Xxxxxxxx
Sede: Xxxxxx xxxxx Xxxxx Xxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxxx Tel.: 000.0000.000
Fax: 000.0000.000
E‐mail: xxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxx.xx.xx Sito:xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxx_xxxxxxx/xxxxxxx_xxxxxx_xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxx e_detenuti
• Ivrea:
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Sede: Xxxxxx Xxxxxx, 0 – 00000 Xxxxxxx Xxxxxxxx (XX) E‐mail: xxxxxxx.xxxxxxxxxx@xxxxx.xx
• Livorno
Denominazione: Garante delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxx Xxxxxxxx
Sede: Via Marradi, 118 – 57126 Livorno Tel: 0000.000000 – 0000.000000
Fax: 0000 000000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx
• Milano
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxxxxx Xxxxx
E‐mail: xxxxxxxxxx.xxxxx@xxxxx.xx
• Nuoro
Denominazione: Garante delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxx Xxxxxx
Xxx Xxxxx, 00 ‐ 00000 Xxxxx Tel: 0000.000.000/742
Fax: 0000.000000
E‐mail: xxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxx.xxxxx.xx
• Pescara
Denominazione: Garante per i diritti dei detenuti Garante: Xxxxx Xxxxxx
Sede: Xxxxx Xxxxxxx, 000 ‐ 00000 Xxxxxxx Tel./Fax: 000.0000000
• Piacenza
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxx Xxxxx
Sede: Xxxxxx Xxxxxxx, 0 – 29121 Piacenza Tel.: 0000.000000
E‐mail: xxxxxxx.xxxxx@xxxxxx.xxxxxxxx.xx
• Pisa
Denominazione: Garante per i diritti delle persone private della libertà Garante: Xxxxxx Xxxxxxxxx
Sede: Xxx X. Xxxxx, 00 – 00000 Xxxx Tel.: 000.00000/28168
Fax: 000.0000000
E‐mail: xxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxx.xxxx.xx
• Pistoia
Denominazione ‐ Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante ‐ Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
c/o Servizio Assistenza Sociale del Comune di Pistoia X.xx X. Xxxxxxx, 0 ‐ 00000 Xxxxxxx
Tel.: 0000.000000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx sito: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
• Reggio Calabria
Denominazione: Garante dei diritti dei cittadini detenuti o privati della libertà personale Garante: Xxxxxxxx Xxxxxx
Sede: Xxxxxxx xxx Xxxxxxxxx ‐ Xxxxxx Xxxxxx, x.x. ‐ 00000 Xxxxxx Xxxxxxxx Tel. 0000.000000
E‐mail: garantedetenuti@comune.reggio‐xxxxxxxx.xx Sito: xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xx‐
line/Home/Amministrazione/Garantedeidirittidelsoggettoprivatodellalibertapersonale.html
• Roma
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxx Xxxxxxxx
Sede: Xxxxxxxxxxx xx Xxxxx, 0 Tel.: 00.00000000
E‐mail: xxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxxxxxx.xx
• Rovigo
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxx Xxxxxxx
Xxxxx Xxxxxxx, 00 ‐ 00000 Xxxxxx
Tel. 0000.000000
Fax: 0000.000000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxx.xx
• San Gimignano
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Associazione “Altro diritto” di Firenze, di cui è Presidente Xxxxxx Xxxxxxx. Sito: xxx.xxxxxxxxxxxx.xxxxx.xx
• San Severo (FG)
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxx Xxxx Xxxxxxxxx
Xxxxxx xxx Xxxxxxxxx, 0 – 00000 Xxx Xxxxxx (XX) Tel. 0000.000.000/206
E‐mail: xxxxxxxxxx.xxxxxxxxx@xxxxx.xx
• Sassari
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxx Xxxxx
E‐mail: xxxxxxx_xxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx
• Sondrio
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private nella libertà personale Garante: Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx
Sede: Xxxxxx Xxxxxxxxx, 0 – 23100 Sondrio Tel.: 0000.000000
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx
• Sulmona (AQ) Denominazione – Garante: carica vacante
• Torino
Denominazione: garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxx Xxx Xxxxxxx
Via Palazzo di Città, 1 – 00000 Xxxxxx Tel. 000.000.0000
Fax: 000.000.0000
E‐mail: xxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxx.xxxxxx.xx
Sito: xxx.xxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxx.xxxxx
• Udine:
Denominazione: Garante dei diritti dei detenuti e delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale
Garante: Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
• Verona
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx
Sede: Xxxxxx Xxx, 0 – 00000 Xxxxxx Tel.: 000.0000000
E‐mail: xxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxx.xx
Sito web: xxxx://xxx.xxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx.xxx?x_xxx00000
• Vicenza
Denominazione: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Garante: Xxxxxxxx Xxxxx
Xxxxxx Xxxx Xxx Xxxxx, 00 ‐ 00000 Xxxxxxx Tel. 0000.00.00.00‐21
Fax: 0000.00.00.00
E‐mail: xxxxxxxxxxxxxxx@xxxxxx.xxxxxxx.xx
Il sovraffollamento
Negli istituti penitenziari del nostro Paese, ed anche negli istituti penitenziari regionali, il sovraffollamento è indiscutibile, poiché il numero dei detenuti presenti supera di circa 20.000 unità quello della capienza regolamentare.
Quella che viene definita “emergenza sovraffollamento” in Italia dura in realtà da ormai vent’anni: con l’eccezione solo dell’anno successivo all’indulto del 2006, infatti è dal 1992 che le nostre carceri ospitano un numero di detenuti superiore a quello regolamentare. Inoltre negli ultimi anni questo esubero si avvicina al 50%, dove ci sono due posti vi troviamo tre detenuti e nell’ultimo ventennio il tasso di detenzione è salito da 56 a 113 detenuti ogni 100 mila abitanti.
È aumentata anche la percentuale dei tossicodipendenti e delle persone appartenenti alle varie povertà della società, ed è da sottolineare il fatto che una parte considerevole delle persone recluse appartiene a più gruppi: per esempio sono numerosi gli stranieri tossicodipendenti o i tossicodipendenti che hanno problemi psichiatrici.
Nei 206 istituti italiani, al 31.12.12 si contavano 65.701 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 47.048.
Nello stesso periodo, in ambito regionale, a fronte di una capienza regolamentare di 2.464, le presenze erano 3.469.
Sono due gli indicatori utilizzati per classificare le presenze in carcere: il primo è la capienza regolamentare, calcolata in base ai numeri di posti letto previsti dalla tipologia della costruzione; il secondo è la capienza tollerabile, ma da tempo le presenze effettive in carcere superano di gran lunga entrambi questi valori.
DETENUTI PRESENTI NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI ITALIANI DAL 2000 AL 2012:
DATA | DETENUTI TOTALI |
2000 | 53.165 |
2001 | 55.275 |
2002 | 55.670 |
2003 | 54.237 |
2004 | 56.068 |
2005 | 59.523 |
2006 | 39.005 |
2007 | 48.693 |
2008 | 58.127 |
2009 | 64.791 |
2010 | 67.961 |
2011 | 66.897 |
2012 | 65.701 |
DETENUTI ITALIANI E STRANIERI PRESENTI
E CAPIENZE PER ISTITUTO IN XXXXXX XXXXXXX
Dati al 31.12.2012
Regione di detenzione | Numero istituti | Capienza regolamentare | Detenuti presenti | di cui stranieri | detenuti presenti in semilibertà (*) | ||
totale | donne | totale | stranieri | ||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 13 | 2.464 | 3.469 | 136 | 1.776 | 40 | 10 |
(*) Nota:
I detenuti presenti in semilibertà sono compresi nel totale dei detenuti presenti.
Regione di detenzione | Sigla Provincia | Istituto | Tipo istituto | Capienza Regolamentare | Detenuti presenti | di cui stranieri | |
totale | donne | ||||||
XXXXXX XXXXXXX | BO | BOLOGNA | CC | 497 | 924 | 66 | 553 |
XXXXXX XXXXXXX | FE | FERRARA | XX | 000 | 000 | 000 | |
XXXXXX XXXXXXX | XX | XXXXX' | CC | 148 | 149 | 17 | 69 |
XXXXXX XXXXXXX | MO | XXXXXXXXXXXX XXXXXX | CR | 139 | 102 | 15 | |
XXXXXX XXXXXXX | MO | MODENA | CC | 221 | 306 | 28 | 207 |
XXXXXX XXXXXXX | MO | MODENA "SALICETA XXX XXXXXXXX" | XX | 00 | |||
XXXXXX XXXXXXX | PC | PIACENZA "SAN XXXXXXX" | CC | 178 | 316 | 15 | 173 |
XXXXXX XXXXXXX | PR | PARMA | XX | 000 | 000 | 000 | |
XXXXXX XXXXXXX | XX | XXXXX | XX | 274 | 335 | 56 | |
XXXXXX XXXXXXX | RA | RAVENNA | XX | 00 | 000 | 00 | |
XXXXXX XXXXXXX | XX | XXXXXX XXXX'XXXXXX | CC | 167 | 252 | 10 | 143 |
XXXXXX XXXXXXX | RE | REGGIO NELL'EMILIA | OPG | 132 | 172 | 49 | |
XXXXXX XXXXXXX | RN | RIMINI | CC | 169 | 174 | 97 | |
Totale | 2.464 | 3.469 | 136 | 1.776 |
DETENUTI PRESENTI PER POSIZIONE GIURIDICA
Elemento caratteristico del sistema penale italiano è il ricorso eccessivo alla custodia cautelare in carcere: fino al 1993 il numero degli imputati è sempre stato superiore a quello dei condannati, poi nel ’93 il rapporto si è invertito e il numero degli imputati ha iniziato a calare fino a raggiungere il suo minimo storico nel 2006, prima dell’approvazione dell’indulto. Poiché gli effetti di tale provvedimento sono stati maggiori sui condannati definitivi più che sugli imputati, nel biennio 2007‐2008 questi ultimi sono tornati a prevalere sui primi.
Attualmente gli imputati rappresentano il 40% dei detenuti, di cui la metà sono in attesa di primo giudizio. Questi dati sono ovviamente legati anche alle lungaggini del nostro sistema di giustizia penale e sono ancora più sconcertanti se si pensa che a livello europeo la media dei detenuti imputati si aggira intorno al 24%.
Nella seguente tabella sono riportati i dati relativi alla posizione giuridica dei detenuti aggiornati al 31.12.12.
Situazione al 31/12/2012
Regione detenzione | Imputati | Condannati definitivi | Internati | Da impostare (**) | Totale | ||||
Attesa 1° giudizio | Appellanti | Ricorrenti | Misto (*) | Totale imputati | |||||
detenuti italiani + stranieri | |||||||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 628 | 429 | 267 | 66 | 1.390 | 1.873 | 205 | 1 | 3.469 |
Totale nazionale | 12.484 | 6.966 | 4.650 | 1.596 | 25.696 | 38.656 | 1.268 | 81 | 65.701 |
detenuti stranieri | |||||||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 415 | 294 | 182 | 28 | 919 | 811 | 45 | 1 | 1.776 |
Totale nazionale | 4.988 | 3.096 | 2.200 | 287 | 10.571 | 12.732 | 160 | 29 | 23.492 |
Situazione al 28/2/2013
Regione detenzione | Imputati | Condannati definitivi | Internati | Da impostare (**) | Totale | ||||
Attesa 1° giudizio | Appellanti | Ricorrenti | Misto (*) | Totale imputati | |||||
detenuti italiani + stranieri | |||||||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 653 | 387 | 272 | 55 | 1.367 | 2.006 | 211 | 3 | 3.587 |
Totale nazionale | 12.314 | 6.745 | 4.460 | 1.617 | 25.136 | 39.426 | 1.215 | 129 | 65.906 |
detenuti stranieri | |||||||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 435 | 262 | 197 | 23 | 917 | 905 | 43 | 0 | 1.865 |
Totale nazionale | 4.892 | 2.937 | 2.055 | 307 | 10.191 | 13.047 | 156 | 36 | 23.430 |
(*) Nota: Nella categoria “misto” confluiscono i detenuti imputati con a carico più fatti, ciascuno dei quali con il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva.
(**) Nota: La categoria “da impostare” si riferisce ad una situazione transitoria. E' infatti relativa a quei soggetti per i quali è momentaneamente impossibile inserire nell'archivio informatico lo stato giuridico, in quanto non sono ancora disponibili tutti gli atti ufficiali necessari.
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ‐ Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale ‐ Sezione Statistica
IL PROBLEMA DELLE DIMENSIONI DELLA CELLA
La l. n.354/1975, in proposito, non fornisce regole precise.
Art.6 O.P.: Locali di soggiorno e di pernottamento.
‐ I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia.
‐ I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.
‐ Particolare cura é impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti.
‐ Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta.
‐ Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto.
Come parametro di riferimento della camera di pernottamento, l’Amministrazione penitenziaria ha quindi adottato la misura ‘standard’ fissata dall’art. 2 del Decreto del Ministero della Salute del 5 luglio 1975, valevole per le sole ‘stanze da letto’ di civile abitazione: questo, anche se nelle celle si svolge in realtà l’intera vita del detenuto.
DECRETO MINISTERIALE SANITÀ 5 LUGLIO 1975
Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico‐sanitari principali dei locali di abitazione
(G.U. n.190 del 18 luglio 1975)
Art. 2
‐ Per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi.
‐ Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone.
‐ Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14.
‐ Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile.
In materia, è intervenuto il diritto comunitario.
Il principale riferimento a livello europeo per stabilire quale sia la capienza regolamentare di una cella viene dalle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che hanno incorporato le raccomandazioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle Pene e Trattamenti Inumani e Degradanti (CPT: organismo istituito in seno al Consiglio d’Europa in virtù della
Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dall’Italia con Legge 2 gennaio 1989, n. 7).
Sebbene il criterio indicato dal Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti inumani o degradanti nel 2° Rapporto generale del 13.04.1991 sia di almeno 7 mq., inteso come superficie minima “desiderabile” per una cella di detenzione, tuttavia nelle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Xxxxxxxxxxxx v./Italia del 16 luglio 2009 e Torreggiani v./Italia dell’8 gennaio 2013), la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il parametro dei 3 mq. debba essere ritenuto il minimo consentito al di sotto del quale si avrebbe violazione “flagrante” dell’art. 3 della Convenzione e dunque, per ciò solo, “trattamento disumano e degradante”.
Questo, indipendentemente dalle altre condizioni di vita detentiva (afferenti in particolare le ore d’aria disponibili o le ore di socialità, l’apertura delle porte della cella, la quantità di luce e aria dalle finestre, il regime trattamentale effettivamente praticato in istituto).
In sostanza, oggi i giudici di Strasburgo affermano che qualsiasi pena che comporti il sacrificio di altri diritti fondamentali oltre la soglia preventivamente determinata, rende la pena disumana e degradante e quindi illegale nella sua esecuzione.
Su questa nuova linea interpretativa si collocano anche due recenti prese di posizione giurisprudenziali provenienti dagli Stati Uniti (Corte suprema) e dalla Germania (Corte costituzionale federale): in entrambi i casi viene stabilito l’obbligo per lo Stato di rinunciare all’esecuzione della pena in carcere quando lo stesso non sia in grado di garantire nei luoghi di pena condizioni rispettose dei diritti dei detenuti e quindi della dignità umana.
I primi effetti dell’intervento censorio della Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati immediati.
A ridosso della Sentenza della Corte europea, l’ordinanza del 13.2.2013 con la quale il Tribunale di sorveglianza di Venezia solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 c.p., nella parte in cui la norma non prevede, tra le ipotesi di differimento facoltativo della pena, il caso in cui questa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità.
Attualmente, gran parte delle celle dei nostri Istituti penitenziari sono comprese tra i 7,5 mq e i 9 mq e spesso sono occupate da più di 3 persone.
SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO:
la soluzione proposta dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia
Nell’ordinanza del 13.2.2013, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 147
c.p. nella parte in cui non prevede – oltre alle ipotesi espressamente indicate, da ritenersi tassative
– anche il caso di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena quando quest’ultima ha luogo in condizioni contrarie al principio di umanità.
Sullo sfondo, la recente sentenza “Xxxxxxxxxxx ed altri contro Italia” che ritiene integrato il carattere disumano e degradante del trattamento penitenziario, laddove alla persona detenuta sia riservato uno spazio nella cella inferiore o pari a 3 mq., indipendentemente dalle altre condizioni di vita comunque garantite in istituto.
Di seguito, il testo integrale dell’ordinanza.
Tribunale di Sorveglianza V E N E Z I A
Il Tribunale di Sorveglianza, riunito in camera di consiglio il giorno 13.02.13 nelle persone di: Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx XXXXXXX Presidente
Xxxx. Xxxxxxxx XXXXXXXXX Magistrato di Sorveglianza Xxxx. Xxxxxxxx XXXXXXXXXX Xxxxxxx
Dott.ssa Xxxxx Xxx XXXX Esperta
sentito il Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Xxxxx X’XXXX, che si è rimesso, nonché per la difesa l’avv. Xxxxx Xxxxxxxx xxx Xxxx di Padova, di fiducia, che si è associato;
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
visti ed esaminati gli atti relativi alla procedura di sorveglianza nei confronti di X, detenuto nella Casa di reclusione di Padova in esecuzione della pena determinata con provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica di Padova del 6.12.12 (fine pena: 18.06.15), in posizione giuridica mista di “appellante” in relazione alla condanna di cui alla sentenza del Tribunale di Padova del
20.09.12 (e per tale causa sottoposto alla misura degli arresti domiciliari concessi dal Tribunale del riesame di Venezia in data 13.08.12), avente ad oggetto
DIFFERIMENTO DELLA PENA EX ART. 147 C.P.
Ritenuto in fatto
X, detenuto nella Casa circondariale di Padova, presentava al Magistrato di sorveglianza in data
10.01.13 istanza di differimento della pena a causa delle “condizioni di perenne sovraffollamento” in cui versava l’istituto, evidenziando una situazione che, per il numero di detenuti ospitati nella cella (da 9 a 11 mediamente), era tale da influire negativamente sulle sue ‘condizioni psicofisiche’ e rilevando come l’esecuzione della pena fosse ‘certamente contraria al senso di umanità e avversa al principio rieducativo della pena ed al rispetto della persona’.
Per l’applicazione della norma che regola le ipotesi di differimento della pena (nel caso di specie ‘facoltativo’ ex art. 147 c.p.) é necessaria ‐ sub co. 1 n. 2) art. cit. ‐ l’esistenza di una ‘grave infermità fisica’ del soggetto che comporti, secondo la giurisprudenza corrente, il pericolo di vita o comunque la probabilità di altre conseguenze dannose, infermità che viceversa non era dedotta dall’interessato, il quale si era limitato a denunciare la cronica, e peraltro notoria, condizione di sovraffollamento dell’istituto ‐ particolarmente grave nel caso dell’istituto ove era ricoverato (la Casa circondariale di Padova) in cui erano presenti, alla data del 31.12.12, 226 detenuti (su di una capienza regolamentare di 104); pertanto l’istanza veniva rigettata in via interinale dal Magistrato di sorveglianza e rimessa, ai sensi dell’art. 684 c.p.p., alla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, competente a pronunciarsi in via definitiva sul rinvio dell’esecuzione.
Nelle more il detenuto veniva trasferito nella Casa di reclusione di Padova, ove ancora oggi trovasi ristretto, nella quale permanevano e permangono le condizioni di sovraffollamento lamentate nell’istanza (così come pacificamente emerge dalle risultanze istruttorie di ultima acquisizione: alla data dell’odierna udienza sono presenti 889 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 369).
Il detenuto sta espiando una pena complessiva di anni 2, mesi 8 e giorni 16 di reclusione e di giorni 16 di arresto, determinata con provvedimento del Procuratore della Repubblica di Padova del
6.12.12 (con decorrenza 27.07.12), per furto, resistenza, falsa attestazione sull’identità propria, guida in stato di ebbrezza, violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale ed evasione, con fine pena al 18.06.15.
Egli è inoltre nella posizione giuridica di ‘appellante’ in relazione ad un procedimento per violenza privata e per violazione degli obblighi della sorveglianza speciale, procedimento in cui è stato condannato con sentenza di I grado del Tribunale di Padova in data 20.09.12, contro cui ha interposto impugnazione, ad una pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed in relazione al quale è stata concessa la misura degli arresti domiciliari dal Tribunale del riesame di Venezia in data 13.08.12.
Risulta infine destinatario della misura di sicurezza della casa di lavoro per anni 1, mesi 10 e giorni 4 giusta ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Modena del 17.10.12, da applicarsi all’esito dell’espiazione della pena (salvo, ben s’intende, riesame nell’imminenza del fine pena da parte del competente magistrato di sorveglianza).
Per il titolo definitivo il condannato ha fatto ingresso nella Casa circondariale di Padova il 18.09.12 e vi è rimasto ininterrottamente fino al 11.01.13 allorché veniva trasferito presso l’attigua Casa di reclusione; in definitiva egli è rimasto detenuto nella Casa circondariale dal 27.07.12 al 13.08.12 (sottoposto a custodia cautelare) e dal 19.09.12 al 11.01.13 (per il titolo definitivo) per un totale di 131 giorni, venendo ospitato in due celle aventi le seguenti dimensioni (con esclusione del bagno attiguo): mq. 23,09 (mt. 4,98 x 4,65) per 9 gg. e mq. 24,58 (mt. 5,00 x 4,93) per i restanti 122 gg. Il numero dei detenuti ospitati nelle due celle è stato mediamente di 9‐10 per cella.
Attualmente egli si trova ristretto nella cella n. 9 del IV blocco Reparto B della Casa di reclusione, avente le seguenti dimensioni: mt. 3,92 x mt. 2,32 con una superficie abitabile di 9,09 mq. Il bagno attiguo, cui si accede attraverso una porta che si apre verso l’interno della camera di pernottamento, presenta una superficie di 5,25 mq. Il detenuto attualmente divide la cella con altri due compagni. La cella presenta la misura ‘standard’ fissata dall’art. 2 del Decreto del Ministero della Salute del 5 luglio 1975 che, valevole per le sole ‘stanze da letto’ di civile abitazione, è stata adottata dall’Amministrazione penitenziaria quale parametro di riferimento della camera di pernottamento, benchè, peraltro, ivi si svolga l’intera vita del detenuto.
Ciò detto si osserva che lo spazio a disposizione del X fin dal momento in cui ha fatto ingresso nella Casa di reclusione (e cioè da 33 gg.) è di 3,03 mq, mentre durante la permanenza nella Casa circondariale (131 gg.) egli ha usufruito di uno spazio inferiore, pari a 2,43 mq. (per 9 gg.) e 2,58 mq. (per i restanti 122 gg.). Nel primo caso lo spazio disponibile è di soli 3 cmq. superiore al limite minimo considerato ‘vitale’ dalle ben note pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Xxxxxxxxxxxx v./Italia del 16 luglio 2009 e Torreggiani v./Italia dell’8 gennaio 2013) e nel secondo caso è inferiore. Va tuttavia considerata l’ulteriore riduzione dello spazio effettivamente utilizzabile derivante dall’ingombro costituto dalla presenza nella cella di vario mobilio e, in particolare, presso la Casa circondariale di 7 armadietti grandi (alti da terra mt. 1) di cm. 50 x cm. 35, complessivamente occupanti mq. 1,22, che riducono lo spazio disponibile nella cella fino a 21,87 mq. (per 9 gg.) e 23,36 mq. (per 122 gg.), pari rispettivamente a 2,30 mq. e a 2,45 mq. per ciascun occupante; presso la Casa di reclusione di 3 armadi grandi (alti da terra mt. 1,04) di cm 49,2 x cm 37,2, per complessivi mq. 0,54, che riducono lo spazio effettivamente disponibile a 8,55 mq. pari a 2,85 mq. per persona, nettamente al di sotto del limite ‘vitale’ di 3 mq. come stabilito dalla Corte europea. La circostanza relativa all’ingombro del mobilio (nel caso di specie non si considerano gli altri oggetti costituenti l’arredo della cella: sgabelli e tavolino perché di fatto amovibili, utilizzati solo al bisogno e spesso riposti nel bagno e, quanto alle brande, perché utilizzate per distendersi e dunque rientranti nello spazio concretamente disponibile) non può essere trascurata tanto è vero che essa è stata espressamente evidenziata nella sentenza dell’8.01.13 della CEDU quale fattore incidente sullo xxxxxx xxxxxx (x. Xxxxxxxxxxx x./Xxxxxx, xxx. 00: “Cet espace, déjà insuffisant, était par ailleurs encore restreint par la présence de mobilier dans les cellules”).
In definitiva lo spazio effettivamente utilizzato oggi dal X è di gran lunga inferiore al limite di 3 mq. ove si considerino gli armadietti fissi alla parete, non amovibili, e comunque, ancorchè non si
volesse considerare detto ingombro, lo spazio disponibile sarebbe di pochissimo (3 cmq.) superiore a quel limite (3,03 mq.).
Sebbene il criterio indicato dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti (organismo istituito in seno al Consiglio d’Europa in virtù della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dall’Italia con Legge 2 gennaio 1989, n. 7) nel 2° Rapporto generale del 13.04.1991 sia di almeno 7 mq., inteso come superficie minima ‘desiderabile’ per una cella di detenzione, tuttavia la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il parametro dei 3 mq. debba essere ritenuto il minimo consentito al di sotto del quale si avrebbe violazione ‘flagrante’ dell’art. 3 della Convenzione e dunque, per ciò solo, ‘trattamento disumano e degradante’, e ciò indipendentemente dalle altre condizioni di vita detentiva (afferenti in particolare le ore d’aria disponibili o le ore di socialità, l’apertura delle porte della cella, la quantità di luce e aria dalle finestre, il regime trattamentale effettivamente praticato in istituto).
Che dunque il X stia subendo ed abbia subito per tutto il periodo della detenzione fino ad oggi un trattamento ‘disumano e degradante’, tanto più durante la permanenza per 131 gg. nella Casa circondariale di Padova ove lo spazio disponibile era mediamente di soli 2,37 mq., ma perdurante a tutt’oggi allorchè lo spazio è di 2,85 mq., non può essere revocato in dubbio e dunque è posta in tutta evidenza una questione di compatibilità della sua detenzione con i principi di non disumanità della pena e di rispetto della dignità della persona detenuta, principi sottesi all’applicazione proprio dell’istituto del differimento della pena che viene invocato dall’interessato.
Osserva il Tribunale che la necessità di dilungarsi nell’esposizione delle questioni in fatto è imposta dai profili di rilevanza della questione sollevata che presuppone, com’è noto, un collegamento giuridico fra la norma della cui costituzionalità si dubita e la regiudicanda. La norma impugnata è inerente al giudizio a quo posto che il richiedente invoca la sospensione della pena proprio per l’aspetto di una sua ineseguibilità a causa delle condizioni di intollerabile restrizione alla quale è sottoposto per il sovraffollamento dell’istituto, questione rientrante, per quanto meglio si dirà sotto, nell’ambito di applicazione della norma sul differimento. La questione dedotta ha dunque nel procedimento a quo un’incidenza attuale e non meramente eventuale.
Sempre sotto il profilo della rilevanza della questione valgano ancora alcune considerazioni in fatto.
Il detenuto non può beneficiare di altre misure che pure il nostro ordinamento ha previsto o per esigenze meramente (o prevalentemente) deflative (una fra tutte la misura temporanea dell’esecuzione della pena al domicilio ex l.n. 199/10, poi modificata dalla l.n. 9/2012) o per scopi di umanizzazione ovvero, in senso lato, a fini rieducativi (che abbiano come conseguenza, seppur indiretta, quella di sottrarre il condannato a carcerazioni degradanti).
Quanto alla prima, il detenuto non può beneficiarne ‐ pur disponendo di un domicilio (circostanza apprezzata anche dal Tribunale del riesame di Venezia nell’ambito del procedimento penale pendente allorchè gli concedeva gli arresti domiciliari) ‐ essendo il residuo della pena superiore a 18 mesi ed essendo stato il condannato dichiarato delinquente abituale con sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 2.03.93 (entrambe tali circostanze sono invero ostative alla concessione dell’esecuzione presso il domicilio ex art. 1, 1° comma e 2° comma, lett. b] l.n. 199/2010).
Quanto alle seconde (misure alternative ed altri ‘benefici penitenziari’ in senso lato) si osserva che, pur tralasciando il merito della loro concedibilità (il quale implica una duplice valutazione sia del percorso trattamentale intramurario sia della prognosi di reiterazione del reato), sussistono preclusioni ex lege derivanti dall’applicazione, nelle condanne in esecuzione, della recidiva reiterata ex art. 99 co. 4 c.p. la quale impedisce la concessione in ogni caso della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 bis o.p. (anche ove non operasse il limite temporale biennale) e che impedisce anche la concessione della semilibertà se non dopo l’espiazione di due terzi di pena ex art. 50 bis o.p.
Allo stato solo la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale (peraltro non chiesta dall’interessato) sarebbe astrattamente concedibile al detenuto ma questa presuppone, com’è noto, l’apprezzamento in fatto di un percorso rieducativo per il tramite di una congrua osservazione (comma II dell’art. 47 o.p..) ovvero, anche senza osservazione, presuppone un’idoneità a prevenire il pericolo di commissione di reati, allorquando il comportamento serbato dopo la commissione del reato sia tale da consentire un giudizio favorevole (comma 3).
Anche infine la possibilità di ricorrere ai permessi premio, pur con l’indiretto effetto di alleviare in qualche modo le condizioni della detenzione, è preclusa dall’art. 30 quater co. 1 lett. a) che impone l’espiazione di almeno un terzo della pena nel caso del recidivo reiterato.
Ciò detto, non resterebbe che ricorrere effettivamente alla norma ‘di chiusura’ ‐ oggi invocata ‐ costituita dal rinvio dell’esecuzione ex art. 147 c.p., istituto non a caso previsto dal codice penale (e non dall’ordinamento penitenziario) tra le norme generali sull’esecuzione della pena e che, non soggetto a preclusioni ex lege (non distinguendosi tra condannati recidivi e non recidivi, tra delinquenti abituali e non, tra tipi e durata della pena, essendo applicabile perfino ai condannati alla pena dell’ergastolo), costituisce applicazione del principio costituzionale di non disumanità della pena. Tale istituto tuttavia viene riservato ai soli casi ivi elencati, da ritenersi tassativi, in cui più evidente appare il contrasto tra il carattere obbligatorio ed irrefragabile dell’esecuzione di una pena detentiva e il principio di legalità della stessa cui è speculare il divieto di trattamenti inumani ex art. 27 co. 3 Cost. In particolare discende da detto principio l’esigenza che il soggetto non venga sottoposto ad una pena più grave di quella comminata: tale esigenza risulterebbe contraddetta se, per particolari condizioni ‘fisiche’ del soggetto ‐ che la legge ha individuato in via tassativa nello stato di gravidanza o puerperio, nell’AIDS conclamato o in altra malattia particolarmente grave ( art. 146 c.p.), prevedendone addirittura in questi casi l’obbligatorietà, ovvero nella condizione di madre di prole di età inferiore ad anni 3 o nello stato di infermità fisica ‘grave’ (art. 147 c.p.), rimettendo in tali ultimi casi al giudice la valutazione caso per caso ‐ la carcerazione incidesse in definitiva non soltanto sulla libertà ma anche sull’integrità personale. Del tutto peculiare è poi l’ipotesi della domanda di grazia, in cui non sembra esservi evidenza del contrasto di cui sopra, per la quale pure è prevista la sospensione della pena (ma l’esecuzione non deve essere già iniziata e la sospensione è limitata ad un massimo di mesi 6 dall’irrevocabilità della sentenza) e che tuttavia trova il suo fondamento unicamente nella prognosi favorevole alla concedibilità del beneficio e non a caso era riservata in origine dall’art. 684 c.p.p., prima della pronuncia di incostituzionalità, al Ministro della Giustizia (secondo l'insegnamento della stessa Corte [v. ordinanza n. 336/1999], l’istituto ha il suo fondamento nella giusta preoccupazione del legislatore che, nelle more dell'istruttoria della pratica di grazia, il condannato possa essere sottoposto all'esecuzione della pena prima che la sua istanza venga esaminata e decisa: inconveniente, questo, che si appalesa particolarmente grave specie nel caso di pene detentive brevi).
Il Tribunale di sorveglianza, adito con l’istanza indicata in narrativa, è chiamato in definitiva a dover dare applicazione al principio di non disumanità della pena in un caso in cui, pur ricorrendo i parametri in fatto di un trattamento disumano e degradante, così come verificati in casi analoghi dalla costante giurisprudenza della Corte europea, non si può ricorrere all’istituto del rinvio facoltativo della pena poiché, non lamentando il detenuto una ‘grave infermità fisica’ (che, nella ordinaria giurisprudenza dei Tribunali di sorveglianza e della Suprema Corte, è integrata solo da una malattia oggettivamente grave per la quale sia possibile fruire, in libertà, di cure a trattamenti sostanzialmente più efficaci di quelli assicurati in ambito penitenziario), tale ipotesi non si trova ricompresa tra quelle tassativamente previste dalla norma. La disposizione in oggetto, anche in quanto norma “di chiusura” del sistema ‐ ove ogni altra via fosse preclusa o inefficace (“si alia actio non erit”, proprio come nel caso in esame) ‐ costituirebbe invece, se integrata dalla pronuncia qui richiesta, l’unico strumento di effettiva tutela in sede giurisdizionale al fine di
ricondurre nell’alveo della legalità costituzionale l’esecuzione della pena a fronte di condizioni detentive che si risolvono in trattamenti disumani e degradanti.
Osserva inoltre il Tribunale che da un lato il trattamento inumano non potrebbe tollerare una sua indebita protrazione e che, dall’altro, si deve registrare la sostanziale ineffettività della tutela riconosciuta in subiecta materia dagli attuali presidi giuridici a disposizione della magistratura di sorveglianza (v. artt. 35 e 69 legge 26 luglio 1975, n. 354, pur incisi dalla sentenza di codesta Corte
n. 26/1999): l’attuale sistema, pur prevedendo in capo alla magistratura di sorveglianza la tutela dei diritti dei detenuti in sede di reclamo giurisdizionale, rimane pur sempre privo di qualsivoglia meccanismo di esecuzione forzata, finendo dunque per generare quei fenomeni di ineffettività della tutela che sono la negazione del concetto stesso di giurisdizione.
Né può esimersi il Collegio dall'osservare come sia fin qui rimasto inascoltato il monito rivolto da codesta Corte al legislatore con la citata sentenza n. 26/1999, con la quale il Parlamento era stato invitato a prevedere forme di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale, con la conseguenza che la sopra richiamata competenza in materia di tutela dei diritti in capo alla magistratura di sorveglianza non solo è monca, perché priva dei meccanismi dell’esecuzione forzata, ma può ritenersi oggi sussistente solo in virtù del diritto vivente (x. Xxxx., sez. unite n. 25079 del 26.2.2003, Rv. 224603, Xxxxxx), e non perché il legislatore abbia fin qui riempito, decorsi ben quattordici anni, il vuoto creato con la fondamentale pronuncia. Si vedano d’altronde le acute notazioni della CEDU, contenute nella citata sentenza Torreggiani v./Italia, la quale obbliga lo Stato italiano a dotarsi di un sistema di ricorsi ‘interni’ contro le violazioni dell’art. 3 della Convenzione idonei a garantire degli effettivi rimedi ‘preventivi’ e non solo ‘compensatori’ (risarcimento del danno). Ipotizzando d’altronde che il ricorrente avesse adito il magistrato di sorveglianza non chiedendo il differimento dell'esecuzione ma semplicemente invocando la tutela del proprio diritto all'esecuzione di una pena non disumana, e anche a voler concedere che tale magistrato in accoglimento del ricorso avesse ordinato il trasferimento del ricorrente presso una stanza detentiva non sovraffollata, non è chi non veda come, rendendo conforme al senso di umanità l'esecuzione penale nella cella ad quam, ciò avrebbe comportato la disumanità dell'esecuzione della pena nella cella a qua, nella quale subito l’Amministrazione avrebbe allocato altro detenuto per far posto al ricorrente vittorioso nella prima, e così via: poiché appartiene al fatto notorio la circostanza che la capienza (sia regolamentare sia tollerabile) degli istituti di pena italiani è di gran lunga inferiore rispetto alla grandezza delle effettive presenze, tale strumento di tutela sarebbe comunque rimasto inefficace.
Tornando ora all’art. 147 c.p., va osservato che la norma invocata prevede il rinvio “facoltativo” rimettendo pertanto la decisione al prudente apprezzamento del Tribunale di sorveglianza che può da un lato negare il provvedimento ‘se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti’ e che, dall’altro, può concedere in sua vece, anche oltre i limiti ‘edittali’ dell’art. 47 ter o.p., la misura della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 ter o.p. (cd. detenzione domiciliare “in surroga”), stabilendo un termine di durata che può essere prorogato anche fino al termine della pena. In altre parole è rimesso all’autorità giudiziaria, a differenza dei casi di differimento ‘obbligatorio’ (art. 146 c.p.), il congruo bilanciamento degli interessi da un lato di non disumanità della pena e dall’altro di difesa sociale che, in casi di particolare pericolosità del condannato, potrebbe impedire ‐ pur di fronte ad una rilevante compromissione dell’integrità personale del soggetto detenuto (o nei confronti della madre di prole inferiore ad anni 3) ‐ il differimento dell’esecuzione.
Nel caso di specie va osservato che al richiedente potrebbe essere accordato il differimento, anche nelle forme eventuali della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 ter o.p., poiché il pericolo di commissione di delitti non appare ‘concreto’, potendo la residua pericolosità essere contenuta dai limiti e dalle vincolanti prescrizioni, appunto, di una detenzione domiciliare ‘in surroga’ ‐
disponendo egli di un effettivo ed idoneo domicilio e di un nucleo familiare disposto ad ospitarlo (costituito da moglie e figlia) ‐ ed essendo assistito da una prognosi di ricaduta nel reato non totalmente negativa. Il richiedente infatti, pur avendo riportato numerose condanne in passato (come si evince dalla lettura del suo certificato penale) ed essendo stato dichiarato delinquente abituale (con conseguente applicazione della misura di sicurezza della casa di lavoro) non si è mai reso responsabile di gravi reati contro la persona (tranne una lesione personale nel 2001), avendo riportato perlopiù condanne per reati contro il patrimonio (furto e ricettazione) ed avendo commesso, a parte l’episodica evasione dagli arresti domiciliari del settembre 2012, il delitto più recente nel giugno scorso, consistito nella mera violazione dell’obbligo di dimora.
Va infine sottolineato come anche il Tribunale del riesame abbia effettuato di recente una valutazione di contenuta pericolosità concedendo gli arresti domiciliari a X nell’ambito del procedimento pendente, non ancora definito, e dunque confidando nelle sue capacità autocustodiali.
Infine deve essere apprezzato il giudizio emergente dalle relazioni comportamentali in atti della Casa circondariale e della Casa di reclusione nelle quali viene evidenziato “un mutato atteggiamento riguardo alle regole” avendo il condannato “dimostrato disponibilità nel porsi in relazione e volontà di analizzare in modo critico il proprio vissuto” ed avendo mantenuto fin dal suo ingresso “condotta regolare, priva di rilievi disciplinari”.
In altre parole, ove la norma consentisse il differimento della pena per ineseguibilità di quest’ultima a causa delle condizioni di intollerabile sovraffollamento tali da comportare trattamento ‘disumano e degradante’, tale differimento nel caso di specie non verrebbe impedito dal divieto di cui al comma quarto dell’art. 147 c.p. non potendosi ritenere concreto il pericolo di commissione di xxxxxxx.
Ciò premesso, l’istituto della sospensione della pena non può viceversa trovare applicazione nel caso in esame frapponendosi l’ostacolo ‘giuridico’ costituito dalla mancata previsione, nella norma che qui si intende denunciare di illegittimità costituzionale, di un’ipotesi di rinvio facoltativo, rimesso alla prudente valutazione dell’autorità giudiziaria, allorchè ricorrano gli estremi di un trattamento disumano e degradante come definito dalla giurisprudenza europea sopra richiamata.
Considerato in diritto
Ritiene il Tribunale non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – che solleva d’ufficio ‐ della norma di cui all’art. 147 c.p. nella parte in cui non prevede, oltre alle ipotesi espressamente indicate, da ritenersi tassative, anche il caso di rinvio dell’esecuzione della pena quando quest’ultima debba avvenire in condizioni contrarie al principio di umanità come sancito dagli artt. 27 cpv. II Cost. e 117 co. 1 Cost. nella parte in cui, con riferimento a quest’ultima norma, viene recepito l’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (divieto di trattamenti disumani e degradanti), ratificata con legge 4 agosto 1955 n. 848, e nell’interpretazione a sua volta fornita dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha individuato i parametri di vivibilità minima secondo i quali una detenzione può definirsi ‘trattamento inumano o degradante’. L’attribuzione di pieno valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali dell'uomo (art. 6, co. 1 TUE Trattato di Lisbona: “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”) e l'adesione dell' Unione alla CEDU (art. 6, co. 2, TUE: “L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali [….] I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”) determinano com’è noto un vincolo diretto negli ordinamenti interni al rispetto della dignità e dei diritti delle persone, con particolare riguardo ai soggetti che risultano a rischio, e che consente ai giudici
nazionali di invocare le norme sovranazionali ‐ fatte proprie dal Trattato e come interpretate dalle Supreme Corti ‐ come ulteriori parametri di riferimento quando si faccia questione di diritti fondamentali. Le norme cc.dd. “interposte” divengono a loro volta canone di valutazione e dunque entrano a far parte interamente di uno dei termini della questione di costituzionalità. La norma dell’art. 147 c.p., nella parte in cui esclude la propria applicabilità all’ipotesi qui considerata, parrebbe dunque porsi in contrasto col principio inviolabile della dignità della persona che la Repubblica in ogni caso garantisce a norma dell’art. 2 Cost. e che a sua volta è presupposto dell’art. 27 Cost.
La questione appare rilevante ‐ per quanto sopra chiarito nelle considerazioni in fatto ‐ posto che nel caso concreto il Tribunale dovrebbe fare applicazione, non potendo ricorrere ad altro istituto giuridico idoneo a ripristinare una situazione di evidente violazione dei principi di legalità nell’esecuzione, della norma ‘di chiusura’ sul differimento facoltativo dell’esecuzione, eventualmente nelle forme della detenzione domiciliare ‘in surroga’, e tuttavia non potendovi ricorrere poiché essa esclude la sua applicazione oltre i casi tassativamente previsti.
Si osserva che tale norma di per sè sola renderebbe compatibile l’esecuzione penale col principio di non disumanità laddove, a causa del sovraffollamento dell’istituto ove il condannato è recluso, non venisse assicurato lo spazio minimo vitale e ciò senza abdicazione dell’obbligatorietà dell’esecuzione del giudicato (posto che nel caso di specie potrebbe essere concessa la misura domiciliare).
Peraltro il Tribunale non può sottrarsi dal percorrere la strada dell’interpretazione conforme a Costituzione prima di rimettere la questione alla Corte costituzionale poiché ciò costituirebbe una rinuncia alla propria indeclinabile funzione ermeneutica. Il giudice infatti è chiamato a ricorrere all’impugnativa solo dopo aver verificato, anche con l’ausilio del ‘diritto vivente’, la possibilità di giungere ad una lettura della norma che, nel rispetto dei comuni canoni ermeneutici, consenta di intenderla in armonia con la Costituzione. Peraltro va subito osservato che non ci si trova di fronte ad una disposizione legislativa ‘polisensa’, ipotesi in cui il principio dell’interpretazione adeguatrice sprigiona tutte le sue potenzialità, ma ad una norma che prevede casi tassativi di univoca interpretazione (si veda per tutte Xxxx., Sez. I, 8.05.89 n. 1292), non estensibili in via analogica per il divieto di cui all’art. 14 prel. (norma eccezionale alla regola generale sull’indefettibilità dell’esecuzione penale).
In particolare non può estendersi l’applicazione della norma oltre l’ipotesi specificamente prevista della ‘grave infermità fisica’ prevista dal n. 2 del comma 1 che viene comunemente intesa, nella giurisprudenza ormai consolidata, come una situazione di grave compromissione dell’organismo comportante o un serio pericolo per la vita del condannato ovvero la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose. La serietà del quadro patologico deve essere intesa poi in senso particolarmente rigoroso tenuto conto del principio di indefettibilità della pena e del principio di uguaglianza. Ulteriore requisito consiste nell’esigenza che la malattia necessiti di cure che non si possano facilmente attuare nello stato detentivo.
Per quanto attiene alle condizioni ‘psicologiche’ si osserva che per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte eventuali disturbi di natura psichica che non si traducano in concreto in grave infermità fisica non sono idonei a giustificare il differimento della pena (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 25674 in data 15.04.2004, Xx. 000000, Xxxxxxxx; Cass. Pen. Sez. 1, n. 41986 in data 04.10.2005, Xx. 000000, Xxxxxxxx; ecc), posto che in tal caso si imporrebbero le misure di cui all'art. 148 c.p.
Pur nell’alveo di una interpretazione conforme a Costituzione non si può pertanto né ampliare in via analogica le ipotesi di differimento della pena né estendere il concetto di ‘grave infermità fisica’ fino al punto di ricomprendervi i casi di una compromissione dell’integrità psico‐fisica della persona detenuta che sia conseguenza non di uno stato patologico ma di una condizione di detenzione ‘inumana’ perché al di sotto dei parametri minimi di spazio disponibile indicati dalla Corte europea.
Ciò detto in tema di ammissibilità e rilevanza della questione, deve ora essere specificato il
petitum.
Si invoca qui espressamente una pronuncia ‘additiva’ cioè una pronuncia di accoglimento di incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede anche la riferita ipotesi di differimento, non sussistendo in via interpretativa la possibilità per il giudice di addivenire alla medesima soluzione considerato il dato letterale della disposizione censurata.
Non ignora il Collegio che la decisione di tipo additivo è consentita solo quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione discrezionale ma consegua necessariamente al giudizio di legittimità, sicché la Corte in realtà non crea liberamente la norma ma si limita ad individuare quella – già implicita nel sistema, e magari direttamente ricavabile dalle stesse disposizioni costituzionali di cui ha fatto applicazione – mediante la quale riempire immediatamente la lacuna.
Il Tribunale è parimenti consapevole che le pronunce cc.dd. ‘additive’ possono risolversi in un intervento manipolativo solo se ‘a rima obbligata’ (v. da ultimo ordinanza Corte Costituzionale n. 113/12 del 18 aprile 2012), come tale consentito perché non necessariamente riservato al legislatore. Nel caso di specie invero la soluzione prospettata (prevedere il rinvio della pena nei casi di inumano trattamento come accertato secondo i parametri propri dalla Convenzione dei diritti dell’uomo vincolanti ex art. 117 Cost.) non è solo una tra quelle astrattamente ipotizzabili poiché soltanto la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva (anche eventualmente nelle forme della detenzione domiciliare ‘in surroga’ ex art. 47 ter co. 1 ter o.p.), rimessa – come negli altri casi di rinvio facoltativo – alla decisione dell’autorità giudiziaria, è tale da ristabilire una condizione di legalità dell’esecuzione della pena nel caso concreto, mentre tale effetto non potrebbe direttamente avere, ad esempio, un qualsivoglia provvedimento a carattere indulgenziale o deflativo, questo sì riservato al legislatore, di portata generale e applicabile in una pluralità di casi.
Si permette dunque il Collegio di evidenziare come l’addizione normativa richiesta sembri costituire una soluzione costituzionalmente dovuta che non eccede i poteri di intervento della Corte e non implica scelte affidate alla discrezionalità del legislatore perché incide su una norma cardine di sistema, prevista dal codice penale, diretta a ricondurre ai principi di non disumanità la pena detentiva ove la legalità stessa dell’esecuzione venga messa in discussione da condizioni estreme di sovraffollamento carcerario.
Del resto ‐ come già si è più sopra osservato ‐ la stessa pronuncia della CEDU (Torreggiani v./Italia) impone allo Stato, in tutte la sue articolazioni (compreso il potere giudiziario: giudici e pubblici ministeri espressamente indicati), l’adozione di misure necessarie ad ovviare alla violazione non solo assicurando un adeguato ristoro per le lesioni già subite ma anche ponendo fine alle violazioni, con l’invito agli Stati membri di dotarsi di un sistema di ‘ricorsi interni’ idonei tanto a garantire un rimedio preventivo conto le violazioni dell’art. 3 della Convenzione quanto un rimedio compensatorio in casi di avvenuta violazione, ricorso ‘interno’ che, a parere di questo Tribunale, potrebbe proprio consistere nel procedimento di rinvio facoltativo della pena ex art. 147 c.p. da integrare con l’addizione normativa qui richiesta nel ‘verso’ sopra specificato.
Sulle disposizioni costituzionali che si assumono violate, ritiene il Tribunale che la norma in questione si ponga in contrasto innanzitutto con l’art. 27 della Costituzione sotto il duplice profilo del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e del finalismo rieducativo.
Sul punto si osserva la prevalenza in ogni caso del primo dei valori affermati rispetto al secondo: mentre la pena infatti non ‘può’ consistere in un trattamento contrario al senso di umanità, essa nel contempo ‘deve’ tendere alla rieducazione del condannato con ciò significando che mentre la finalità rieducativa rimane nell’ambito del ‘dover essere’ e quindi su un piano esclusivamente finalistico (‘deontico’) ‐ la pena è legale anche se la rieducazione verso la quale deve obbligatoriamente tendere non viene raggiunta ‐ viceversa la non disumanità attiene al suo essere
medesimo (piano ‘ontico’) ‐ la pena è legale solo se non consiste in trattamento contrario al senso di umanità ‐ di talchè la pena inumana è ‘non pena’ e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato.
Xxxx allora chiedersi quando la pena si svolga in tali condizioni. Non può che farsi riferimento, per quanto qui interessa, alla norma ‘interposta’ dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo così come interpretata dalla Corte di Strasburgo (da ultimo nella citata sentenza del gennaio scorso) che ritiene tout court integrato il carattere disumano e degradante del trattamento penitenziario laddove alla persona detenuta sia riservato uno spazio nella camera di detenzione inferiore o pari a mq. 3, indipendentemente dalle condizioni di vita comunque garantite in istituto (numero delle ore d’aria e di apertura delle porte, attività scolastiche o lavorative, possibilità di svolgere attività di svago in locali comuni) essendo di per sè violazione ‘flagrante’ dell’art. 3 uno spazio minimo inferiore a quel dato numerico.
La norma qui censurata si pone pertanto in contrasto anche con l’art. 117 Cost. che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali conseguente al pieno valore giuridico della Carta dei diritti fondamentali dell'uomo e all'adesione dell' Unione alla CEDU (ex art. 6, co. 1 e 2, TUE).
Sussiste infine la violazione dell’art. 2 Cost. nella misura in cui la dignità umana, la cui primazia tra i valori costituzionali pare indiscutibile (art. 3 : “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”) – tanto da essere anteposta nella stessa norma addirittura all’eguaglianza ed alla libertà ‐ è da intendersi diritto inviolabile, presupposto dello stesso articolo 27 Cost.
L’art. 27 viene violato anche sotto il profilo del finalismo rieducativo. Ogni pena eseguita in condizioni di ‘inumanità’ non può mai dispiegare pienamente la sua finalità rieducativa poiché la restrizione in spazi angusti, a ridosso di altri corpi, produce invalidazione di tutta la persona e quindi deresponsabilizzazione e rimozione del senso di colpa non inducendo nel condannato quel significativo processo modificativo che, attraverso il trattamento individualizzato, consente l’instaurazione di una normale vita di relazione.
Osserva infine il Tribunale, sotto un ulteriore profilo che attiene alla razionalità giuridica e alla coerenza costituzionale, come non siano mancati precedenti anche in altri ordinamenti – non sospettabili di insensibilità alle esigenze di sicurezza ‐ in cui si sia fatta applicazione proprio dello strumento del differimento o della sospensione della pena per ricondurre ad una situazione di legalità l’esecuzione della pena detentiva in situazioni di palese violazione del divieto di ‘pene crudeli’. Nel 2009 una Corte federale della California, accogliendo due ricorsi di reclusi contro le condizioni di detenzione, ha intimato al governatore di ridurre la popolazione carceraria di un terzo entro due anni, in ossequio all’ottavo emendamento della Costituzione statunitense che vieta le pene crudeli e nel 2011 la Corte suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto la correttezza della decisione della Corte federale. In quello stesso anno, la Corte costituzionale tedesca si è pronunciata sul ricorso di un detenuto contro la Corte di appello di Colonia, che aveva negato il sostegno economico necessario ad attivare un procedimento relativo alle condizioni di carcerazione cui era costretto, richiamando una precedente sentenza della Corte federale di giustizia del 2010 in base alla quale ogni reclusione “disumana”, allorchè soluzioni diverse si rivelino improponibili, deve essere interrotta.
Sussistono in definitiva ragioni di contrasto della norma contenuta nell’art. 147 c.p. con gli artt. 27, 117, 2 e 3 Cost. e pertanto va sollevata d’ufficio la questione di illegittimità costituzionale.
P. Q. M.
Visti gli artt. 134 della Costituzione, 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87;
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 147 c.p nella parte in cui non prevede, oltre ai casi ivi espressamente contemplati, l’ipotesi di rinvio
facoltativo dell’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, per violazione degli artt. 27, co.3, 117, co. 1 ( nella parte in cui recepisce l’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo del 4 novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955
n. 848, e nell’interpretazione a sua volta fornita dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di ‘trattamento inumano o degradante’ ), 2 e 3 Cost.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Sospende il procedimento in corso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.
Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Padova, lì 13.2.2013
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO SECONDA SEZIONE
CAUSA TORREGGIANI E ALTRI c. ITALIA
(Ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10)
SENTENZA STRASBURGO
8 gennaio 2013
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Torreggiani e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da Xxxxxx Xxxxxxx, presidente,
Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxx Xxxxxxx,
Xxxxx Xxxxx xx Xxxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, giudici,
e da Xxxxxxx Xxxxxxxx, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 dicembre 2012, Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All'origine della causa vi sono sette ricorsi (nn. 57875/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10) proposti contro la Repubblica italiana con i quali sette persone («i ricorrenti») (i cui dati figurano sulla lista allegata alla presente sentenza), hanno adito la Corte in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avvocati indicati nella lista allegata. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, X. Xxxxxxxxx, e dal suo co‐agente, X. Xxxxxxx.
3. In particolare i ricorrenti lamentano le condizioni nelle quali erano stati detenuti rispettivamente negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza.
4. Il 2 novembre 2010 e il 5 gennaio 2011 i ricorsi sono stati comunicati al Governo. Come consentito dall'articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.
5. Il 5 giugno 2012 la camera ha informato le parti che riteneva opportuno applicare la procedura della
«sentenza pilota» in virtù dell'articolo 46 § 1 della Convenzione.
6. Sia il Governo che i ricorrenti hanno depositato osservazioni scritte sull'opportunità di applicare la procedura in questione.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
7. Al momento dell'introduzione dei loro ricorsi, i ricorrenti erano ristretti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza dove scontavano la pena della reclusione.
A. Le condizioni di detenzione denunciate dai ricorrenti
1. I ricorrenti detenuti nel carcere di Busto Arsizio (ricorsi nn. 43517/09, 46882/09 e 55400/09)
8. Il sig. Xxxxxxxxxxx (ricorso n. 43517/09) fu detenuto nel carcere di Busto Arsizio dal 13 novembre 2006 al 7 maggio 2011, il sig. Xxxxx (ricorso n. 46882/09) dal 20 marzo 2008 al 23 giugno 2011 e il sig. Biondi (ricorso n. 55400/09) dal 29 giugno 2009 al 21 giugno 2011. Ciascuno di loro occupava una cella di 9 m² con altre due persone e disponeva quindi di uno spazio personale di 3 m². Nei loro ricorsi i ricorrenti sostenevano inoltre che l'accesso alla doccia nel carcere di Busto Arsizio era limitato a causa della penuria di acqua calda nell'istituto penitenziario.
2. I ricorrenti detenuti nel carcere di Piacenza (ricorsi nn. 57875/09, 35315/10, 37818/10 e 61535/09)
9. Il sig. Xxxx (ricorso n. 57875/09) fu detenuto a Piacenza dal 14 febbraio 2009 al 19 aprile 2010, il sig. El Haili (ricorso n. 35315/10) dal 15 febbraio 2008 all'8 luglio 2010 e il sig. Xxxxxxxx (ricorso n. 37818/10) dal 19 ottobre 2009 al 30 marzo 2011. Il sig. Ghisoni (ricorso n. 61535/09), incarcerato il 13 settembre 2007, è tuttora detenuto in questo istituto.
10. I quattro ricorrenti affermano di aver occupato delle celle di 9 m² con altri due detenuti. Denunciano anche che nell'istituto penitenziario mancava l’acqua calda, il che per svariati mesi avrebbe impedito loro di far regolarmente uso della doccia, e che nelle celle non vi era luce sufficiente a causa delle barre metalliche apposte alle finestre.
11. Secondo il Governo, le celle occupate a Piacenza dai ricorrenti hanno una superficie di 11 m².
B. Le ordinanze del tribunale di sorveglianza di Reggio Xxxxxx
12. Il 10 aprile 2010, il sig. Ghisoni (n. 61535/09) e altre due persone detenute nel carcere di Piacenza si rivolsero al magistrato di sorveglianza di Reggio Xxxxxx, sostenendo che le loro condizioni detentive erano mediocri a causa del sovraffollamento nel carcere di Piacenza e denunciando una violazione del principio della parità di condizioni fra i detenuti, garantito dall'articolo 3 della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario.
13. Con ordinanze del 16, 20 e 24 agosto 2010, il magistrato di sorveglianza accoglieva i reclami del ricorrente e dei suoi co‐detenuti osservando che gli interessati occupavano delle celle che erano state
concepite per un solo detenuto e che, a causa della situazione di sovraffollamento nel carcere di Piacenza, ciascuna cella accoglieva quindi tre persone. Il magistrato constatò che la quasi totalità delle celle dell'istituto penitenziario aveva una superficie di 9 m² e che nel corso dell'anno 2010, l'istituto aveva ospitato tra le 411 e le 415 persone, mentre era previsto che potesse accogliere 178 detenuti, per una capienza tollerabile di 376 persone.
14. Facendo riferimento alla sentenza Xxxxxxxxxxxx c. Italia (n. 22635/03, 16 luglio 2009) e ai principi giurisprudenziali riguardanti la compatibilità tra le condizioni di detenzione e il rispetto dei diritti garantiti dall'articolo 3 della Convenzione, il magistrato di sorveglianza concluse che i reclamanti erano esposti a trattamenti inumani per il fatto che dovevano condividere con altri due detenuti delle celle esigue ed erano oggetto di una discriminazione rispetto ad altri detenuti che condividevano lo stesso tipo di cella con una sola persona.
15. Il magistrato trasmise così i reclami del ricorrente e degli altri detenuti alla direzione del carcere di Piacenza, al Ministero della Giustizia e all'amministrazione penitenziaria competente affinché ciascuno potesse adottare con urgenza le misure adeguate nell'ambito delle proprie rispettive competenze.
16. Nel febbraio 2011 il sig. Ghisoni fu trasferito in una cella concepita per ospitare due persone.
II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
A. La legge sull'ordinamento penitenziario
17. L’articolo 6 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 («La legge sull'ordinamento penitenziario»), recita:
«I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.
Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti.
Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta.
Ciascun detenuto (…) dispone di adeguato corredo per il proprio letto.»
18. Ai sensi dell'articolo 35 della legge n. 354 del 1975, i detenuti possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al magistrato di sorveglianza, al direttore dell'istituto penitenziario, nonché agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e pena e al Ministro della Giustizia, alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto, al presidente della Giunta regionale e al Capo dello Stato.
19. Secondo l'articolo 69 di questa stessa legge, il magistrato di sorveglianza è competente per controllare l'organizzazione degli istituti di prevenzione e pena e per prospettare al Ministro della Giustizia le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo delle persone detenute (comma 1).
Esercita altresì la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti (comma 2). Peraltro ha il potere di impartire disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati (comma 5). Il giudice decide sul reclamo con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione.
B. Giurisprudenza interna relativa alla possibilità per i detenuti di chiedere un risarcimento in caso di cattive condizioni di detenzione
20. Con ordinanza n. 17 del 9 giugno 2011, il magistrato di sorveglianza di Lecce accolse il reclamo di A.S., un detenuto che lamentava le sue condizioni detentive, inumane, a causa dell’elevato sovraffollamento nel carcere di Lecce.
L'interessato aveva anche chiesto un indennizzo per il danno morale subito.
Il giudice constatò che il ricorrente aveva condiviso con altre due persone una cella mal riscaldata e priva di acqua calda, che misurava 11,5 m² compreso il servizio igienico. Inoltre il letto occupato da A.S. era ad appena 50 cm dal soffitto. Il ricorrente era obbligato a trascorrere diciannove ore e mezza al giorno sul suo letto a causa della mancanza di uno spazio destinato alle attività sociali all'esterno della cella.
Con la sua ordinanza, il magistrato di sorveglianza ritenne che le condizioni di detenzione dell'interessato fossero contrarie alla dignità umana e che comportassero violazioni sia della legge italiana sull'ordinamento penitenziario che delle norme fissate dal CPT del Consiglio d'Europa e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Inoltre, per la prima volta in Italia, si decise che l'amministrazione penitenziaria doveva accordare al detenuto l'importo complessivo di 220 EUR per il danno «esistenziale» derivante dalla detenzione.
21. Il 30 settembre 2011 il Ministero della Giustizia propose ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del magistrato di sorveglianza, sollevando in particolare l'incompetenza di questo giudice in materia di indennizzo dei detenuti. Con sentenza del 5 giugno 2012, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso dell'amministrazione inammissibile perché tardivo, dal momento che era stato introdotto oltre il termine di 10 giorni previsto dalle disposizioni legali pertinenti. Di conseguenza l'ordinanza del magistrato di sorveglianza passò in giudicato.
22. Questa giurisprudenza del magistrato di sorveglianza di Lecce, che riconosce ai detenuti un indennizzo per il danno esistenziale derivante dalle condizioni detentive, è rimasta isolata in Italia. Altri magistrati di sorveglianza hanno in effetti considerato che non rientrasse nelle loro prerogative condannare l'amministrazione a risarcire i detenuti per il danno subito durante la detenzione (si vedano, in tal senso, ad esempio, le ordinanze dei magistrati di sorveglianza di Udine e di Vercelli rispettivamente del 24 dicembre 2011 e del 18 aprile 2012).
III. MISURE ADOTTATE DALLO STATO PER RIMEDIARE AL PROBLEMA DEL SOVRAFFOLLAMENTO NELLE CARCERI
23. Nel 2010 vi erano 67.961 persone detenute nelle 206 carceri italiane, per una capienza massima prevista di 45.000 persone. Il tasso nazionale di sovraffollamento era del 151%.
24. Con decreto del 13 gennaio 2010, il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza nazionale per la durata di un anno a causa del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani.
25. Con ordinanza n. 3861 del 19 marzo 2010, intitolata «Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare la situazione di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale», il Presidente del Consiglio dei Ministri nominò un Commissario delegato al Ministero della Giustizia incaricato di elaborare un piano di intervento per le carceri («Piano carceri»).
26. Il 29 giugno 2010 un Comitato costituito dal Ministro della Giustizia, dal Ministro delle Infrastrutture e dal Capo del dipartimento della Protezione civile approvò il piano di intervento presentato dal Commissario delegato. Tale piano prevedeva prima di tutto la costruzione di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni all'interno di strutture già esistenti, fatto che implicava la
creazione di 9.150 posti in più e l’assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria. I lavori dovevano essere portati a termine entro il 31 dicembre 2012.
27. Inoltre, con la legge n. 199 del 26 novembre 2010 furono adottate delle disposizioni straordinarie in materia di esecuzione delle pene. Tale legge prevedeva in particolare che la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, poteva essere eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo di accoglienza, pubblico o privato, salvo nei casi di delitti particolarmente gravi. Questa legge resterà in vigore il tempo necessario per mettere in atto il piano di intervento per le carceri ma comunque non oltre il 31 dicembre 2013.
28. Lo stato di emergenza nazionale, inizialmente dichiarato fino al 31 dicembre 2010, è stato prorogato due volte.
Attualmente è in vigore fino al 31 dicembre 2012.
29. Alla data del 13 aprile 2012, le carceri italiane accoglievano 66.585 detenuti, ossia un tasso di sovraffollamento del 148%.
Il 42 % dei detenuti sono in attesa di essere giudicati e sono sottoposti a custodia cautelare.
IV. TESTI INTERNAZIONALI PERTINENTI
30. Le parti pertinenti dei rapporti generali del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti («CPT») sono così formulate:
Secondo rapporto generale (CPT/Inf (92) 3):
« 46. Il sovraffollamento è una questione di diretta attinenza al mandato del CPT. Tutti i servizi e le attività in un carcere sono influenzati negativamente se occorre farsi carico di un numero di detenuti maggiore rispetto a quello per il quale l’istituto è stato progettato; la qualità complessiva della vita in un istituto si abbassa, anche in maniera significativa. Inoltre, il livello di sovraffollamento in un carcere, o in una parte particolare di esso potrebbe essere tale da essere esso stesso inumano o degradante da un punto di vista fisico.
47. Un programma soddisfacente di attività (lavoro, istruzione, sport, etc.) è di cruciale importanza per il benessere dei detenuti. Questo è valido per tutti gli istituti, sia per i condannati che per gli imputati. Il CPT ha notato che le attività in molte case circondariali sono estremamente limitate. L’organizzazione di regimi di attività in questi istituti – che hanno un turnover abbastanza rapido di reclusi – non è una questione semplice. Ovviamente, non possono esserci programmi di trattamento personalizzati quali quelli a cui si può aspirare in un istituto per detenuti definitivi.
Comunque, i detenuti non possono essere lasciati semplicemente a languire per settimane, a volte mesi, chiusi nelle loro celle, e questo indipendentemente da quanto siano buone o meno le condizioni materiali all’interno delle celle. Il CPT ritiene che bisognerebbe mirare ad assicurare ai detenuti in attesa di giudizio la possibilità di trascorrere una parte ragionevole del giorno (8 ore o più) fuori dalle loro celle, occupati in attività significative di varia natura.
Naturalmente, i regimi negli istituti per detenuti la cui sentenza è definitiva dovrebbero essere ancora più favorevoli.
48. Menzione a parte merita l’esercizio all’aria aperta. La richiesta che venga concessa ai detenuti almeno un’ora di esercizio all’aria aperta ogni giorno è diffusamente accettata quale tutela fondamentale (preferibilmente dovrebbe far parte di un programma più ampio di attività). Il CPT desidera sottolineare che tutti i detenuti senza eccezioni (inclusi quelli sottoposti a isolamento disciplinare) dovrebbero avere la possibilità di fare esercizio all’aria aperta quotidianamente. È inoltre
assiomatico che gli spazi per l’esercizio all’aria aperta dovrebbero essere ragionevolmente ampi e, quando possibile, offrire riparo in caso di maltempo.
49. Un facile accesso a strutture adeguate di bagni ed il mantenimento di buoni standard di igiene sono componenti essenziali di un ambiente umano.
Riguardo ciò, il CPT deve dichiarare che non è accettabile la pratica radicata in alcuni paesi in base alla quale i detenuti utilizzano per i propri bisogni fisiologici buglioli che tengono nelle loro celle (che vengono in seguito “vuotati” in orari stabiliti). O uno spazio per il gabinetto è collocato nella cella (preferibilmente in un annesso sanitario) o devono esistere dei mezzi per garantire ai detenuti che ne abbiano bisogno di essere fatti uscire dalle loro celle senza alcun ritardo immotivato a qualsiasi ora (inclusa la notte).
Inoltre, i detenuti devono avere accesso adeguato a spazi dove poter fare il bagno o la doccia. È inoltre auspicabile che l’acqua corrente sia resa disponibile all’interno delle celle.
50. Il CPT aggiunge di essere particolarmente allarmato quando trova nello stesso istituto una combinazione di sovraffollamento, regime povero di attività e inadeguato accesso al gabinetto/spazi per lavarsi. L’effetto cumulativo di queste condizioni può risultare estremamente nocivo per i detenuti.»
Settimo rapporto generale (CPT/Inf (97) 10)
« 13. Come il CPT ha puntualizzato nel suo 2° Rapporto Generale, il sovraffollamento carcerario è una questione di diretta pertinenza al mandato del Comitato (cfr. CPT/Inf (92) 3, paragrafo 46).
Un carcere sovraffollato implica spazio ristretto e non igienico; una costante mancanza di privacy (anche durante lo svolgimento di funzioni basilari come l’uso del gabinetto), ridotte attività fuori‐cella, dovute alla richiesta di aumento del personale e dello spazio disponibili; servizi di assistenza sanitaria sovraccarichi; tensione crescente e quindi più violenza tra i detenuti e il personale. La lista è lungi dall’essere esaustiva.
Il CPT ha dovuto concludere in più di un’occasione che gli effetti nocivi del sovraffollamento hanno portato a condizioni di detenzione inumane e degradanti.»
31. Il 30 settembre 1999 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa adottò la Raccomandazione Rec(99)22 riguardante il sovraffollamento delle carceri e l'inflazione carceraria. Tale raccomandazione stabilisce in particolare quanto segue:
« Il Comitato dei Ministri, in virtù dell'articolo 15.b dello Statuto del Consiglio d'Europa, Considerando che il sovraffollamento delle carceri e la crescita della popolazione carceraria costituiscono una sfida importante per le amministrazioni penitenziarie e per l'intero sistema della giustizia penale sia in termini di diritti umani che di gestione efficace degli istituti penitenziari;
Considerando che la gestione efficace della popolazione carceraria è subordinata ad alcune circostanze come la situazione complessiva della criminalità, le priorità in materia di lotta alla criminalità, la gamma di sanzioni previste dai testi legislativi, la gravità delle pene pronunciate, la frequenza del ricorso a sanzioni e misure applicate nella comunità, l'uso della custodia cautelare, l'efficienza e l'efficacia degli organi della giustizia penale e, in particolare, l'atteggiamento del pubblico nei confronti della criminalità e della sua repressione; (…)
Raccomanda ai governi degli Stati membri di prendere tutte le misure appropriate in sede di revisione della loro legislazione e della loro prassi relative al sovraffollamento delle carceri e all'inflazione carceraria al fine di applicare i principi enunciati nell'Allegato alla presente Raccomandazione;
Allegato alla Raccomandazione n. R (99) 22
I. Principi di base
1. La privazione della libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o una misura di ultima istanza e dovrebbe pertanto essere prevista soltanto quando la gravità del reato renderebbe qualsiasi altra sanzione o misura manifestamente inadeguata.
2. L'ampliamento del parco penitenziario dovrebbe essere piuttosto una misura eccezionale in quanto, in generale, non è adatta ad offrire una soluzione duratura al problema del sovraffollamento. I paesi la cui capacità carceraria potrebbe essere nel complesso sufficiente ma non adeguata ai bisogni locali, dovrebbero sforzarsi di giungere ad una ripartizione più razionale di tale capacità.
3. È opportuno prevedere un insieme appropriato di sanzioni e di misure applicate nella comunità, eventualmente graduate in termini di gravità; è necessario motivare i procuratori e i giudici a farvi ricorso nel modo più ampio possibile.
4. Gli Stati membri dovrebbero esaminare l'opportunità di depenalizzare alcuni tipi di delitti o di riqualificarli in modo da evitare che essi richiedano l'applicazione di pene privative della libertà.
5. Al fine di concepire un'azione coerente contro il sovraffollamento delle carceri e l'inflazione carceraria, dovrebbe essere condotta un'analisi dettagliata dei principali fattori che contribuiscono a questi fenomeni. Un'analisi di questo tipo dovrebbe riguardare, in particolare, le categorie di reati che possono comportare lunghe pene detentive, le priorità in materia di lotta alla criminalità, e gli atteggiamenti e le preoccupazioni del pubblico nonché le prassi esistenti in materia di comminazione delle pene. (...)
III. Misure da applicare prima del processo penale
Evitare l'azione penale ‐ Ridurre il ricorso alla custodia cautelare
10. Alcune misure appropriate dovrebbero essere adottate in vista dell'applicazione integrale dei principi enunciati nella Raccomandazione n. (87) 18 riguardo la semplificazione della giustizia penale, fatto che implica, in particolare, che gli Stati membri, pur tenendo conto dei loro principi costituzionali o delle loro tradizioni giuridiche, applichino il principio dell'opportunità dell'azione penale (o misure aventi lo stesso obiettivo) e ricorrano a procedure semplificate e a transazioni come alternative alle azioni penali nei casi appropriati, al fine di evitare un procedimento penale completo.
11. L’applicazione della custodia cautelare e la sua durata dovrebbero essere ridotte al minimo compatibile con gli interesse della giustizia. Gli Stati membri dovrebbero, al riguardo, assicurarsi che la loro legislazione e la loro prassi siano conformi alle disposizioni pertinenti della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo ed alla giurisprudenza dei suoi organi di controllo e lasciarsi guidare dai principi enunciati nella Raccomandazione n. R (80) 11 in materia di custodia cautelare per quanto riguarda, in particolare, i motivi che consentono l'applicazione della custodia cautelare.
12. È opportuno fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria. A tale proposito è opportuno valutare attentamente la possibilità di controllare tramite sistemi di sorveglianza elettronici l'obbligo di dimorare nel luogo precisato.
13. Per sostenere il ricorso efficace e umano alla custodia cautelare, è necessario impegnare le risorse economiche e umane necessarie e, eventualmente, mettere a punto i mezzi procedurali e tecnici di gestione appropriati.
(...)
V. Misure da applicare dopo il processo penale
L'applicazione delle sanzioni e delle misure applicate nella comunità ‐ L'esecuzione delle pene privative della libertà
22. Per fare in modo che le sanzioni e le misure applicate nella comunità siano delle alternative credibili alle pene detentive di breve durata, è opportuno assicurare una loro efficiente applicazione, in particolare:
‐ realizzando l'infrastruttura richiesta per l'esecuzione e il controllo di queste sanzioni comunitarie, in particolare al fine di dare assicurazioni ai giudici e ai procuratori sulla loro efficacia;
‐ mettendo a punto e applicando tecniche affidabili di previsione e di valutazione dei rischi nonché strategie di supervisione, al fine di identificare il rischio di recidiva del delinquente e garantire la protezione e la sicurezza del pubblico.
23. Sarebbe opportuno promuovere lo sviluppo di misure volte a ridurre la durata effettiva della pena eseguita, preferendo le misure individuali, quali la liberazione condizionale, alle misure collettive per la gestione del sovraffollamento carcerario (indulti collettivi, amnistie).
24. La liberazione condizionale dovrebbe essere considerata come una delle misure più efficaci e più costruttive che, non soltanto riduce la durata della detenzione, ma contribuisce anche in modo significativo al reinserimento pianificato del delinquente nella comunità.
25. Per promuovere ed estendere il ricorso alla liberazione condizionale, occorrerebbe creare nella comunità migliori condizioni di sostegno e di assistenza al delinquente nonché di controllo di quest'ultimo, in particolare per indurre le istanze giudiziarie o amministrative competenti a considerare questa misura come una opzione valida e responsabile.
26. I programmi di trattamento efficaci nel corso della detenzione così come il controllo e il trattamento dopo la liberazione dovrebbero essere concepiti ed applicati in modo da facilitare il reinserimento dei delinquenti, ridurre la recidiva, garantire la sicurezza e la protezione del pubblico e motivare i giudici e i procuratori a considerare le misure volte a ridurre la durata effettiva della pena da scontare nonché le sanzioni e le misure applicate nella comunità, come opzioni costruttive e responsabili.»
32. La seconda parte della raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006, nel corso della 952a riunione dei Delegati dei Ministri) è dedicata alle condizioni di detenzione. Nei suoi passaggi pertinenti al caso di specie essa è così formulata:
« 18.1 I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte, devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d’aria, l’illuminazione, il riscaldamento e l’aerazione.
18.2 Nei locali in cui i detenuti devono vivere, lavorare o riunirsi:
1. le finestre devono essere sufficientemente ampie affinché i detenuti possano leggere e lavorare alla luce naturale in condizioni normali e per permettere l’apporto di aria fresca, a meno che esista un sistema di climatizzazione appropriato
2. la luce artificiale deve essere conforme alle norme tecniche ri 2. conosciute in materia; e
3. un sistema d’allarme deve permettere ai detenuti di contattare immediatamente il personale.
18.3 La legislazione nazionale deve definire le condizioni minime richieste relative ai punti elencati ai paragrafi 1 e 2.
18.4 Il diritto interno deve prevedere dei meccanismi che garantiscano il rispetto di queste condizioni minime, anche in caso di sovraffollamento carcerario.
18.5 Ogni detenuto, di regola, deve poter disporre durante la notte di una cella individuale, tranne quando si consideri preferibile per lui che condivida la cella con altri detenuti.
18.6 Una cella deve essere condivisa unicamente se è predisposta per l’uso collettivo e deve essere occupata da detenuti riconosciuti atti a convivere.
18.7 Se possibile, i detenuti devono poter scegliere prima di essere costretti a condividere una cella per dormire.
18.8 Nel decidere di alloggiare detenuti in particolari istituti o in particolari sezioni di un carcere bisogna tener conto delle necessità di separare
1. i detenuti imputati dai detenuti condannati;
2. i detenuti maschi dalle detenute femmine;
3. i detenuti giovani adulti dai detenuti più anziani.
18.9 Si può derogare alle disposizioni del paragrafo 8 in materia di separazione dei detenuti per permettere loro di partecipare assieme a delle attività organizzate. Tuttavia i gruppi citati dovranno sempre essere separati durante la notte a meno che gli stessi interessati non consentano a coabitare e che le autorità penitenziarie ritengano che questa misura si iscriva nell’interesse di tutti i detenuti interessati.
18.10 Le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare le misure di sicurezza meno restrittive possibili e proporzionali al rischio che gli interessati evadano, si feriscano o feriscano altre persone.»
IN DIRITTO
I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI
33. Tenuto conto dell’analogia dei ricorsi per quanto riguarda le doglianze dei ricorrenti e il problema che pongono nel merito, la Corte ritiene necessario riunirli e decide di esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
34. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, i ricorrenti sostengono che le loro rispettive condizioni detentive negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza costituiscono trattamenti inumani e degradanti. L’articolo 3 della Convenzione è così redatto:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»
35. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sulla ricevibilità
1. L’eccezione relativa al difetto della qualità di vittima
36. Il Governo osserva che tutti i ricorrenti tranne il sig. Ghisoni sono stati scarcerati o trasferiti in altre celle dopo la presentazione dei loro ricorsi. A suo avviso, quei ricorrenti non possono più sostenere di essere vittime della violazione della Convenzione da loro denunciata e i loro ricorsi dovrebbero essere rigettati.
37. I ricorrenti interessati si oppongono a questa osservazione.
38. La Corte rammenta che una decisione o una misura favorevole al ricorrente è sufficiente, in linea di principio, a privarlo della qualità di «vittima» solo quando le autorità nazionali abbiano riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, la violazione della Convenzione e vi abbiano posto rimedio (si vedano, ad esempio, Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, § 69, serie A n. 51; Amuur x. Xxxxxxx, 25 giugno 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996‐III; Xxxxxx c. Romania [GC], n. 28114/95, § 44, CEDU 1999‐VI; e Xxxxxx x. Danimarca (dec.), n. 48470/99, CEDU 2001‐X).
39. I ricorrenti lamentano davanti alla Corte di essere stati detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza per periodi particolarmente lunghi in condizioni contrarie alla Convenzione. Ora, è vero che, dopo la presentazione dei rispettivi ricorsi, gli interessati sono stati scarcerati o trasferiti in altri istituti penitenziari. Tuttavia, non si può ritenere che, con ciò, le autorità interne abbiano riconosciuto le violazioni denunciate dai ricorrenti e poi riparato il danno che essi avrebbero potuto subire a causa delle situazioni descritte nei loro ricorsi.
40. La Corte conclude che tutti i ricorrenti possono ancora sostenere di essere «vittime» di una violazione dei loro diritti sanciti dall’articolo 3 della Convenzione.
2. L’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
41. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. A suo dire, qualsiasi persona detenuta o internata nelle carceri italiane può rivolgere al magistrato di sorveglianza un reclamo in virtù degli articoli 35 e 69 della legge n. 354 del 1975. Questa via di ricorso sarebbe accessibile ed effettiva e consentirebbe di ottenere decisioni vincolanti e suscettibili di riparare eventuali violazioni dei diritti dei detenuti. Secondo il Governo, il procedimento davanti al magistrato di sorveglianza costituisce un rimedio pienamente giudiziario, all’esito del quale l’autorità adita può prescrivere all’amministrazione penitenziaria misure obbligatorie volte a migliorare le condizioni detentive della persona interessata.
42. Ora, il Governo osserva che soltanto il sig. Ghisoni, ricorrente della causa n. 61535/09, si è avvalso di questa possibilità presentando un reclamo davanti al magistrato di sorveglianza di Reggio Xxxxxx e ottenendo un’ordinanza favorevole. Secondo il Governo, ciò costituisce la prova dell’accessibilità e dell’effettività della via di ricorso in questione. Ne conseguirebbe che i ricorrenti che non si sono avvalsi di detto rimedio non hanno esaurito le vie di ricorso interne.
43. Quanto alla mancata esecuzione da parte dell’amministrazione penitenziaria di detta ordinanza del magistrato di sorveglianza di Reggio Xxxxxx, il Governo afferma che il sig. Ghisoni ha omesso di chiedere alle «autorità giudiziarie interne» la messa in esecuzione di tale decisione. Di conseguenza, esso ritiene che anche il ricorso del sig. Ghisoni debba essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
44. I ricorrenti sostengono che il sistema italiano non offre alcuna via xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxx xxxxxxx xx xxxraffollamento delle carceri italiane e di portare a un miglioramento delle condizioni detentive.
45. In particolare, essi denunciano la non effettività del procedimento dinanzi al magistrato di sorveglianza. Osservano innanzitutto che il ricorso in questione non costituisce un rimedio giudiziario, bensì un ricorso di tipo amministrativo, giacché le decisioni del magistrato di sorveglianza non sono affatto vincolanti per le direzioni degli istituti penitenziari.
Peraltro, essi sostengono che molti detenuti hanno cercato di migliorare le loro cattive condizioni carcerarie attraverso reclami rivolti al magistrato di sorveglianza, senza tuttavia ottenere alcun risultato. Di conseguenza, essi si ritengono dispensati dall’obbligo di esaurire tale rimedio.
46. Quanto al sig. Ghisoni, egli sostiene di avere esaurito le vie di ricorso interne presentando al magistrato di sorveglianza di Reggio Xxxxxx un reclamo sulla base degli articoli 35 e 69 della legge sull’ordinamento penitenziario. La sua esperienza sarebbe la prova della non effettività della via di ricorso indicata dal Governo.
A suo dire, l’ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza il 20 agosto 2010, che riconosceva che le condizioni detentive nel carcere di Piacenza erano inumane e ordinava alle autorità amministrative competenti di porre in essere tutte le misure necessarie per porvi rimedio con urgenza, è rimasta lettera morta per diversi mesi. Egli non vede quale altro passo avrebbe potuto fare per ottenere un’esecuzione rapida dell’ordinanza.
47. La Corte rammenta che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne mira a offrire agli Stati contraenti l’occasione per prevenire o riparare le violazioni denunciate nei loro confronti prima che tali denunce siano portate alla sua attenzione (si vedano, tra molte altre, Remli x. Xxxxxxx, 23 aprile 1996, § 33, Recueil 1996‐II, e Selmouni x. Xxxxxxx [GC], n. 25803/94, § 74, CEDU 1999‐V). La regola si fonda sull’ipotesi, oggetto dell’articolo 13 della Convenzione ‐ e con il quale essa presenta strette affinità ‐, che l’ordinamento interno offra un ricorso effettivo quanto alla
violazione dedotta (Xxxxx c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 152, CEDU 2000‐XI).
48. Tuttavia, l’obbligo derivante dall’articolo 35 si limita a quello di fare un uso normale dei ricorsi verosimilmente effettivi, sufficienti ed accessibili (tra altre, Vernillo x. Xxxxxxx, 20 febbraio 1991, § 27, serie A n. 198). In particolare, la Convenzione prescrive l’esaurimento dei soli ricorsi che siano al tempo stesso relativi alle violazioni denunciate, disponibili e adeguati. Essi devono esistere con un sufficiente grado di certezza non solo nella teoria ma anche nella pratica, altrimenti mancano dell’effettività e dell’accessibilità volute (Dalia x. Xxxxxxx, 19 febbraio 1998, § 38, Recueil 1998‐I). Inoltre, secondo i
«principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti», alcune circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne che gli si offrono. Allo stesso modo, la regola non si applica quando sia provata l’esistenza di una prassi amministrativa che consiste nella ripetizione di atti vietati dalla Convenzione e dalla tolleranza ufficiale dello Stato, tale da rendere vano o non effettivo qualsiasi procedimento (Aksoy c. Turchia, sentenza del 18 dicembre 1996, Recueil 1996‐VI, § 52).
49. Infine, l’articolo 35 § 1 della Convenzione prevede una ripartizione dell’onere della prova. Per quanto riguarda il Governo, quando eccepisce il mancato esaurimento, esso deve convincere la Corte che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, vale a dire che era accessibile, era in grado di offrire al ricorrente la riparazione delle doglianze e presentava ragionevoli prospettive di successo (Xxxxxxx e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Recueil 1996 IV; e Xxxxxxxx x. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDU 2006‐II).
50. In particolare, la Corte ha già avuto modo di indicare che, nella valutazione dell’effettività dei rimedi riguardanti denunce di cattive condizioni detentive, la questione fondamentale è stabilire se la persona interessata possa ottenere dai giudici interni una riparazione diretta ed appropriata, e non semplicemente una tutela indiretta dei diritti sanciti dall’articolo 3 della Convenzione (si veda, tra l’altro, Xxxxxx e Xxxxx c. Slovenia, nn. 5774/10 e 5985/10, § 107, 20 ottobre 2011). Così, un’azione esclusivamente risarcitoria non può essere considerata sufficiente per quanto riguarda le denunce di condizioni d’internamento o di detenzione asseritamente contrarie all’articolo 3, dal momento che non ha un effetto «preventivo» nel senso che non può impedire il protrarsi della violazione dedotta o consentire ai detenuti di ottenere un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione
(Cenbauer c. Croazia (dec.), n. 73786/01, 5 febbraio 2004; Xxxxxxx Xxxxxxxx c. Polonia, n. 17599/05, § 116, 22 ottobre 2009; Xxxxxx e Jovix x. Xxxxxxxx, xxxxx xxxxxx § 000; Xxrascineti c. Romania, n. 32060/05, § 38, 13 marzo 2012).
In questo senso, perché un sistema di tutela dei diritti dei detenuti sanciti dall’articolo 3 della Convenzione sia effettivo, i rimedi preventivi e compensativi devono coesistere in modo complementare (Ananyev e altri c. Russia, nn. 42525/07 e 60800/08, § 98, 10 gennaio 2012).
51. Nel caso di specie, la Corte deve stabilire se il reclamo davanti al magistrato di sorveglianza italiano costituisca una via di ricorso rispondente ai criteri da essa stabiliti nella sua giurisprudenza. Innanzitutto, essa rileva che le parti non concordano sulla natura del rimedio in questione: il Governo afferma la natura pienamente giurisdizionale del procedimento davanti al magistrato di sorveglianza, mentre i ricorrenti ritengono che, vista la sua natura meramente amministrativa, non si tratti di un rimedio da esaurire. Ora, secondo la Corte, la questione non è determinante avendo essa già rilevato che, in alcune circostanze, le vie di ricorso di natura amministrativa possono rivelarsi efficaci – e costituire quindi rimedi da esaurire – in caso di doglianze riguardanti l’applicazione della normativa relativa al regime carcerario (Xxxxxxx Xxxxxxxx c. Polonia, sopra citata, § 111).
52. Ciò premesso, rimane da risolvere la questione dell’effettività, nella pratica, della via di ricorso indicata nel caso di specie dal governo convenuto. Al riguardo, la Corte constata che, nonostante quest’ultimo affermi che le decisioni emesse dai magistrati di sorveglianza nell’ambito del procedimento previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario sono vincolanti per le autorità amministrative competenti, l’ordinanza del magistrato di sorveglianza di Reggio Xxxxxx del 20 agosto 2010, favorevole al sig. Ghisoni e ai suoi co‐detenuti e che comportava l’adozione d’urgenza di misure adeguate, è rimasta a lungo non eseguita. Dal fascicolo emerge che il ricorrente fu trasferito in una cella per due persone, quindi con uno spazio a sua disposizione compatibile con le norme europee, solo nel febbraio 2011. Al riguardo, il Governo si è limitato a sostenere che gli interessati avrebbero dovuto chiedere la pronta esecuzione di detta ordinanza alle «autorità giudiziarie interne», senza peraltro precisare quali.
53. Per la Corte, è difficile conciliare quest’ultima affermazione del Governo con l’asserita effettività della procedura di reclamo dinanzi al magistrato di sorveglianza. Essa osserva che, anche ammesso che esista una via di ricorso riguardante l’esecuzione delle ordinanze dei magistrati di sorveglianza, il che non è stato affatto dimostrato dal Governo, non si può pretendere che un detenuto che ha ottenuto una decisione favorevole proponga ripetutamente ricorsi al fine di ottenere il riconoscimento dei suoi diritti fondamentali a livello dell’amministrazione penitenziaria.
54. Del resto, la Corte ha già osservato che il malfunzionamento dei rimedi «preventivi» in situazioni di sovraffollamento carcerario dipende ampiamente dalla natura strutturale del fenomeno (Ananyev e altri c. Russia, sopra citata, § 111). Ora, dai fascicoli dei presenti ricorsi, nonché dai rapporti sulla situazione del sistema penitenziario italiano, non rimessa in discussione dal Governo davanti alla Corte, emerge che gli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza sono abbondantemente sovraffollati, così come un gran numero di carceri italiane, al punto che il sovraffollamento carcerario in Italia ha assunto le dimensioni di un fenomeno strutturale e non riguarda esclusivamente il caso particolare dei ricorrenti (si vedano, in particolare, Mamedova c. Russia, n. 7064/05, § 56, 1° giugno 2006; Xxxxxxx Xxxxxxxx c. Polonia, sopra citata, § 121). Pertanto, è facile immaginare che le autorità penitenziarie italiane non siano in grado di eseguire le decisioni dei magistrati di sorveglianza e di garantire ai detenuti condizioni detentive conformi alla Convenzione.
55. Alla luce di queste circostanze, la Corte ritiene che non sia stato dimostrato che la via di ricorso indicata dal Governo, tenuto conto in particolare della situazione attuale del sistema penitenziario, sia effettiva nella pratica, vale a dire che possa impedire il protrarsi della violazione denunciata e
assicurare ai ricorrenti un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione. Questi non erano quindi tenuti ad esaurirla prima di adire la Corte.
56. Pertanto, la Corte ritiene che sia opportuno rigettare anche l’eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo. Essa constata che i ricorsi non sono manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. Rilevando peraltro che essi non incorrono in altri motivi d’irricevibilità, li dichiara ricevibili.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
57. I ricorrenti lamentano la mancanza di spazio vitale nelle rispettive celle. Avendo tutti diviso celle di 9 m2 con altre due persone, essi avrebbero avuto a disposizione uno spazio personale di 3 m2. Tale spazio, di per sé insufficiente, era peraltro ulteriormente ridotto dalla presenza di mobilio nelle celle.
58. Inoltre, i ricorrenti denunciano l’esistenza di gravi problemi di distribuzione di acqua calda negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza. A loro dire, per molto tempo la mancanza di acqua calda ha limitato a tre volte a settimana l’accesso alla doccia. Infine, i ricorrenti detenuti a Piacenza lamentano l’apposizione alle finestre delle celle di pesanti sbarre metalliche che impediscono all’aria e alla luce del giorno di entrare nei locali.
59. Il Governo si oppone agli argomenti dei ricorrenti, sostenendo genericamente che le condizioni detentive denunciate dagli interessati non raggiungono in nessun caso la soglia minima di gravità richiesta dall’articolo 3 della Convenzione.
60. Quanto all’istituto penitenziario di Busto Arsizio, stando al Governo la situazione è sotto il controllo delle autorità; infatti, il sovraffollamento in quell’istituto non ha raggiunto una soglia preoccupante. Il Governo fa sapere che, alla data dell’8 febbraio 2011, l’istituto, progettato per ospitare 297 persone, accoglieva 439 detenuti. Il Governo ammette che nelle celle è stato aggiunto un terzo letto a causa della situazione di sovraffollamento nell’istituto. Tuttavia, il fatto di dividere una cella di 9 m2 con altre due persone non costituirebbe un trattamento inumano o degradante.
Peraltro, il Governo si limita a sostenere che il problema denunciato dai ricorrenti della mancanza di acqua calda nell’istituto è al momento risolto grazie all’installazione di un nuovo sistema di distribuzione idrica.
61. Per quanto concerne le condizioni detentive nel carcere di Piacenza, il Governo sostiene che la capienza massima dell’istituto è di 346 persone. Ora, a suo avviso, esso ospitava 412 persone l’11 marzo 2011. Il Governo ne conclude che il sovraffollamento in quell’istituto, benché reale, non raggiunge dimensioni preoccupanti.
62. Secondo il Governo, le celle del carcere di Piacenza hanno una superficie di 11 m2, contrariamente alle affermazioni dei ricorrenti, e in genere sono occupate da due persone. Tuttavia, esso ammette che in alcune celle del carcere è stato posto un terzo detenuto per periodi limitati e per far fronte alla crescita della popolazione carceraria.
63. Stando al Governo, i ricorrenti non hanno né provato di avere avuto a disposizione uno spazio personale inferiore a 3 m2, né precisato la durata del loro mantenimento nelle condizioni denunciate davanti alla Corte. Pertanto, le loro doglianze non sarebbero sufficientemente provate.
64. Quanto agli altri trattamenti denunciati dai ricorrenti, il Governo afferma che il problema della scarsità di acqua calda nel carcere di Piacenza era legato ad un malfunzionamento della stazione di
xxxxxxxxx ed è stato risolto dalle autorità e che, quindi, adesso è possibile accedere alla doccia tutti i giorni. Infine, il Governo sostiene che i detenuti nel carcere di Piacenza passano quattro ore al giorno fuori delle loro celle e dedicano due ore in più alle attività sociali.
2. Principi stabiliti nella giurisprudenza della Corte
65. La Corte rileva che di solito le misure privative della libertà comportano per il detenuto alcuni inconvenienti.
Tuttavia, essa rammenta che la carcerazione non fa perdere al detenuto il beneficio dei diritti sanciti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato. In questo contesto, l’articolo 3 pone a carico delle autorità un obbligo positivo che consiste nell’assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente (Xxxxx c. Polonia [GC], n. 30210/96,
§ 94, CEDU 2000‐XI; Xxxxxxx Xxxxxxxx c. Polonia, sopra citata § 131).
66. Quanto alle condizioni detentive, la Corte prende in considerazione gli effetti cumulativi di queste nonché le specifiche affermazioni del ricorrente (Dougoz c. Grecia, n. 40907/98, CEDU 2001‐II). In particolare, il tempo durante il quale un individuo è stato detenuto nelle condizioni denunciate costituisce un fattore importante da considerare (Alver c. Estonia, n. 64812/01, 8 novembre 2005).
67. Quando il sovraffollamento carcerario raggiunge un certo livello, la mancanza di spazio in un istituto penitenziario può costituire l’elemento centrale da prendere in considerazione nella valutazione della conformità di una data situazione all’articolo 3 (si veda, in questo senso, Xxxxxxxxxxxx c. Lituania, n. 53254/99, 7 aprile 2005).
68. Così, quando si è dovuta occupare di casi di sovraffollamento grave, la Corte ha giudicato che tale elemento, da solo, basta a concludere per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Di norma, sebbene lo spazio ritenuto auspicabile dal CPT per le celle collettive sia di 4 m2, si tratta di casi emblematici in cui lo spazio personale concesso ad un ricorrente era inferiore a 3 m2 (Kantyrev c. Russia, n. 37213/02, §§ 50‐51, 21 giugno 2007; Xxxxxx Xxxxxx c. Russia, n. 205/02, §§ 47‐49, 29 marzo 2007; Kadikis c. Lettonia, n. 62393/00, § 55, 4 maggio 2006; Xxxxxxxxxxxx c. Italia, n. 22635/03, § 43, 16 luglio 2009).
69. Invece, in cause in cui il sovraffollamento non era così serio da sollevare da solo un problema sotto il profilo dell’articolo 3, la Corte ha notato che, nell’esame del rispetto di tale disposizione, andavano presi in considerazione altri aspetti delle condizioni detentive. Tra questi elementi figurano la possibilità di utilizzare i servizi igienici in modo riservato, l’aerazione disponibile, l’accesso alla luce e all’aria naturali, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze sanitarie di base (si vedano anche gli elementi risultanti dalle regole penitenziarie europee adottate dal Comitato dei Ministri, citate nel paragrafo 32 supra). Così, persino in cause in cui ciascun detenuto disponeva di uno spazio variabile dai 3 ai 4 m2, la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 3 quando la mancanza di spazio era accompagnata da una mancanza di ventilazione e di luce (Moisseiev c. Russia, n. 62936/00, 9 ottobre 2008; si vedano anche Vlassov c. Russia, n. 78146/01, § 84, 12 giugno 2008; Babouchkine c. Russia, n. 67253/01, § 44, 18 ottobre 2007); da un accesso limitato alla passeggiata all’aria aperta (Xxxxxx Xxxxx Xxxxxx x. Ungheria, n. 15707/10, § 26, 17 gennaio 2012) o da una mancanza totale d’intimità nelle celle (si vedano, mutatis mutandis, Belevitskiy c. Russia, n. 72967/01, §§ 73‐79, 1°
marzo 2007; Khudoyorov x. Russia, n. 6847/02, §§ 106‐107, CEDU 2005‐X (estratti); e Xxxxxxxxx c. Russia, n. 66460/01, §§ 32 e 40‐43, 2 giugno 2005).
3. Applicazione dei principi summenzionati alle presenti cause
70. La Corte osserva innanzitutto che il Governo non ha contestato che i sigg. Xxxxxxxxxxx, Biondi e Bamba abbiano occupato durante tutta la loro detenzione nel carcere di Busto Arsizio celle di 9 m2, ciascuno con altre due persone.
71. Le versioni delle parti divergono invece quanto alle dimensioni delle celle occupate dai ricorrenti detenuti nel carcere di Piacenza e al numero di occupanti delle stesse. Ciascuno dei cinque ricorrenti interessati afferma di dividere celle di 9 m2 con altre due persone, mentre il Governo sostiene che le celle in questione misurano 11 m2 e sono di regola occupate da due persone. La Corte nota peraltro che il Governo non ha fornito alcun documento in merito ai ricorrenti interessati né ha presentato informazioni riguardanti le dimensioni reali delle celle da loro occupate.
Secondo il Governo, spetta ai ricorrenti provare la realtà delle loro affermazioni riguardanti lo spazio personale a loro disposizione e la durata del trattamento denunciato davanti alla Corte.
72. La Corte, sensibile alla particolare vulnerabilità delle persone che si trovano sotto il controllo esclusivo degli agenti dello Stato, quali le persone detenute, ribadisce che la procedura prevista dalla Convenzione non si presta sempre ad un’applicazione rigorosa del principio affirmanti incumbit probatio (l’onere della prova spetta a colui che afferma) in quanto, inevitabilmente, il governo convenuto è talvolta l’unico ad avere accesso alle informazioni che possono confermare o infirmare le affermazioni del ricorrente (Xxxxxxxxxxx c. Russia, n. 6847/02, § 113, CEDU 2005‐X (estratti); e Xxxxxxxxxx c. Russia, n. 106/02, § 34, 10 maggio 2007; Brânduşe c. Romania, n. 6586/03, § 48, 7 aprile 2009; Xxxxxxx e altri c. Russia, sopra citata, § 123). Ne consegue che il semplice fatto che la versione del Governo contraddica quella fornita dal ricorrente non può, in mancanza di un qualsiasi documento o spiegazione pertinenti da parte del Governo, indurre la Corte a rigettare le affermazioni dell’interessato come non provate (Ogică c. Romania, n. 24708/03, § 43, 27 maggio 2010).
73. Pertanto, poiché il Governo non ha presentato alla Corte informazioni pertinenti idonee a giustificare le sue affermazioni, la Corte esaminerà la questione delle condizioni detentive dei ricorrenti sulla base delle affermazioni degli interessati e alla luce di tutte quante le informazioni in suo possesso.
74. Al riguardo, essa nota che le versioni dei ricorrenti detenuti a Piacenza sono unanimi quanto alle dimensioni delle loro celle. Inoltre, la circostanza che la maggior parte dei locali di detenzione di quell’istituto misuri 9 m2 è confermata dalle ordinanze del magistrato di sorveglianza di Reggio Xxxxxx (paragrafo 11 supra). Quanto al numero di persone ospitate nelle celle, il Governo non ha presentato alcun documento pertinente estratto dai registri del carcere, nonostante sia l’unico ad avere accesso a questo tipo d’informazioni, pur riconoscendo che la situazione di sovraffollamento nel carcere di Piacenza ha reso necessario il collocamento di una terza persona in alcune celle dell’istituto.
75. In mancanza di documenti che dimostrino il contrario e tenuto conto della situazione di sovraffollamento generalizzato nel carcere di Piacenza, la Corte non ha alcun motivo di dubitare delle affermazioni dei sigg. Xxxx, Ghisoni, Xxxxxxxx e Xxxxx, secondo le quali essi hanno diviso le celle con altre due persone, disponendo così, proprio come i sigg. Torreggiani, Bamba e Biondi (si veda il paragrafo 70 supra), di uno spazio vitale individuale di 3 m2. Essa osserva che tale spazio era peraltro ulteriormente ridotto dalla presenza di mobilio nelle celle.
76. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che i ricorrenti non abbiano beneficiato di uno spazio vitale conforme ai criteri da essa ritenuti accettabili con la sua giurisprudenza. Essa desidera rammentare ancora una volta in questo contesto che la norma in materia di spazio abitabile nelle celle collettive raccomandata dal CPT è di quattro metri quadrati (Ananyev e xxxxx, xxxxx xxxxxx, §§ 000 e 145).
77. La Corte osserva poi che la grave mancanza di spazio sperimentata dai sette ricorrenti per periodi variabili dai quattordici ai cinquantaquattro mesi (paragrafi 6 e 7 supra), costitutiva di per sé di un trattamento contrario alla Convenzione, sembra essere stata ulteriormente aggravata da altri trattamenti denunciati dagli interessati. La mancanza di acqua calda nei due istituti per lunghi periodi, ammessa dal Governo, nonché l’illuminazione e la ventilazione insufficienti nelle celle del carcere di Piacenza, sulle quali il Governo non si è espresso, non hanno mancato di causare nei ricorrenti un’ulteriore sofferenza, benché non costituiscano di per sé un trattamento inumano e degradante.
78. Anche se la Corte ammette che nel caso di specie niente suggerisce che vi sia stata intenzione di umiliare o di degradare i ricorrenti, l’assenza di un tale scopo non può escludere una constatazione di violazione dell’articolo 3 (si veda, tra altre, Peers c. Grecia, n. 28524/95, § 74, XXXX 0000 III). La Corte ritiene che le condizioni detentive in questione, tenuto conto anche della durata della carcerazione dei ricorrenti, abbiano sottoposto gli interessati ad una prova d’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione.
79. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE
80. Ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione:
«1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle
quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione.»
A. Argomenti delle parti
81. Il Governo non si oppone all’applicazione della procedura della sentenza pilota prevista dall’articolo 46 della Convenzione, pur facendo osservare che le autorità italiane hanno posto in essere una serie di misure importanti volte a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Esso esorta la Corte a prendere in considerazione gli sforzi fatti dallo Stato italiano.
82. I ricorrenti denunciano l’esistenza in Italia di un problema strutturale e si dichiarano favorevoli all’applicazione della procedura in questione. Soltanto il sig. Xxxxxxxxxxx (ricorso n. 43517/09) si è opposto all’applicazione della procedura della sentenza pilota, in quanto non accetta che il suo caso riceva un trattamento analogo a quello di altri ricorrenti.
B. Valutazione della Corte
1. Principi generali pertinenti
83. La Corte rammenta che, come interpretato alla luce dell’articolo 1 della Convenzione, l’articolo 46 crea per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre in atto, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o individuali che si rendano necessarie per salvaguardare il diritto del ricorrente di cui la Corte ha constatato la violazione. Misure di questo tipo devono essere adottate
anche nei confronti di altre persone nella stessa situazione dell’interessato; si presume, infatti, che lo Stato ponga fine ai problemi all’origine delle constatazioni operate dalla Corte (Xxxxxxxx e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000 VIII; S. e Marper c. Regno Unito [GC], nn. 30562/04 e 30566/04, § 134, 4 dicembre 2008).
84. Al fine di facilitare l’effettiva attuazione delle sue sentenze secondo il principio di cui sopra, la Corte può adottare una procedura di sentenza pilota che le consenta di mettere in luce chiaramente, nella sua sentenza, l’esistenza di problemi strutturali all’origine delle violazioni e di indicare le misure o azioni particolari che lo Stato convenuto dovrà adottare per porvi rimedio (Hutten‐Czapska c. Polonia [GC], n. 35014/97, §§ 231‐239 e il suo dispositivo, XXXX 0000 VIII, e Xxxxxxxxxx c. Polonia [GC], n. 31443/96, §§ 189‐194 e il suo dispositivo, CEDU 2004 V). Quando adotta una simile prassi, la Corte tiene tuttavia in debito conto le rispettive attribuzioni degli organi della Convenzione: in virtù dell’articolo 46 § 2 della Convenzione, spetta al Comitato dei Ministri valutare l’attuazione delle misure individuali o generali adottate
in esecuzione della sentenza della Corte (si veda, mutatis mutandis, Xxxxxxxxxx x. Polonia (composizione amichevole) [GC], n. 31443/96, § 42, CEDU 2005 IX).
85. Un altro fine importante perseguito dalla procedura della sentenza pilota è quello di indurre lo Stato convenuto a trovare, a livello nazionale, una soluzione alle numerose cause individuali originate dallo stesso problema strutturale, dando così effetto al principio di sussidiarietà che è alla base del sistema della Convenzione (Bourdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 127, CEDU 2009). Infatti, la Corte non assolve necessariamente al meglio il suo compito, che consiste, secondo l’articolo 19 della Convenzione, nell’«assicurare il rispetto degli impegni risultanti per le Alte Parti contraenti dalla (...) Convenzione e dai suoi Protocolli», ripetendo le stesse conclusioni in un gran numero di cause (ibidem).
86. La procedura della sentenza pilota ha lo scopo di facilitare la risoluzione più rapida ed effettiva di un malfunzionamento sistemico che colpisce la tutela del diritto convenzionale in questione nell’ordinamento giuridico interno (Wolkenberg e altri c. Polonia (dec.), n. 50003/99, § 34, XXXX 0000 (estratti)). L’azione dello Stato convenuto deve tendere principalmente alla risoluzione di tali malfunzionamenti e all’attuazione, se necessario, di ricorsi interni effettivi che consentano di denunciare le violazioni commesse. Tuttavia, essa può anche comprendere l’adozione di soluzioni ad hoc quali composizioni amichevoli con i ricorrenti o offerte unilaterali d’indennizzo, in conformità con le esigenze della Convenzione (Bourdov (n. 2), sopra citata, § 127).
2. Applicazione nel caso di specie dei principi summenzionati
a) Sull’esistenza di una situazione incompatibile con la Convenzione che richieda l’applicazione della procedura della sentenza pilota nel caso di specie
87. La Corte ha appena constatato che il sovraffollamento carcerario in Italia non riguarda esclusivamente i casi dei ricorrenti (paragrafo 54 supra). Essa rileva, in particolare, che il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia emerge chiaramente dai dati statistici indicati in precedenza nonché dai termini della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale proclamata dal presidente del Consiglio dei ministri italiano nel 2010 (paragrafi 23‐29 supra).
88. Questi dati nel loro complesso rivelano che la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone (si veda, mutatis mutandis, Xxxxxxxxxx c. Polonia, sopra citata, § 189). Secondo la Corte, la situazione constatata nel caso di specie
è, pertanto, costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione (Bottazzi c. Italia [GC], n. 34884/97, § 22, CEDU 1999 V; Xxxxxxx (n. 2), sopra citata, § 135).
89. Del resto, il carattere strutturale del problema individuato nelle presenti cause è confermato dal fatto che diverse centinaia di ricorsi proposti contro l’Italia al fine di sollevare un problema di compatibilità con l’articolo 3 della Convenzione delle inadeguate condizioni detentive legate al sovraffollamento carcerario in diversi istituti penitenziari italiani sono attualmente pendenti dinanzi ad essa. Il numero di questo tipo di ricorsi è in continuo aumento.
90. Conformemente ai criteri stabiliti nella sua giurisprudenza, la Corte decide di applicare la procedura della sentenza pilota al caso di specie, tenuto conto del crescente numero di persone potenzialmente interessate in Italia e delle sentenze di violazione alle quali i ricorsi in questione potrebbero dare luogo (Xxxxx Xxxxxxxx e altri c. Romania, nn. 30767/05 e 33800/06, §§ 217‐218, 12 ottobre 2010). Essa sottolinea anche il bisogno urgente di offrire alle persone interessate una riparazione appropriata su scala nazionale (Bourdov (n. 2), sopra citata, §§ 129‐130).
b) Misure di carattere generale
91. La Corte rammenta che le sue sentenze hanno carattere essenzialmente declaratorio e che, in linea di principio, spetta allo Stato convenuto scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi per assolvere il suo obbligo giuridico riguardo all’articolo 46 della Convenzione (Xxxxxxxx e Giunta, sopra citata, § 249).
92. Essa osserva che, recentemente, lo Stato italiano ha adottato misure che possono contribuire a ridurre il fenomeno del sovraffollamento negli istituti penitenziari e le sue conseguenze. Essa si compiace per i passi compiuti dalle autorità nazionali e non può far altro che incoraggiare lo Stato italiano a proseguire gli sforzi.
Tuttavia, è inevitabile constatare che, nonostante gli sforzi tanto legislativi quanto logistici intrapresi dall’Italia nel 2010, il tasso nazionale di sovraffollamento continuava ad essere molto elevato nell’aprile 2012 (essendo passato dal 151% nel 2010 al 148% nel 2012). La Corte osserva che questo bilancio moderato è tanto più preoccupante in quanto il piano d’intervento d’urgenza elaborato dalle autorità nazionali ha una durata limitata nel tempo, dal momento che la fine dei lavori di costruzione di nuovi istituti penitenziari è prevista per la fine dell’anno 2012 e le disposizioni in materia di esecuzione della pena, che hanno carattere straordinario, sono applicabili solo fino a fine 2013 (paragrafo 27 supra).
93. La Corte è consapevole della necessità di sforzi conseguenti e sostenuti sul lungo periodo per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento carcerario. Tuttavia, essa rammenta che, stante l’inviolabilità del diritto tutelato
dall’articolo 3 della Convenzione, lo Stato è tenuto ad organizzare il suo sistema penitenziario in modo tale che la dignità dei detenuti sia rispettata (Mamedova c. Russia, n. 7064/05, § 63, 1° giugno 2006).
94. In particolare, quando lo Stato non è in grado di garantire a ciascun detenuto condizioni detentive conformi all’articolo 3 della Convenzione, la Corte lo esorta ad agire in modo da ridurre il numero di persone incarcerate, in particolare attraverso una maggiore applicazione di misure punitive non privative della libertà (Xxxxxxx Xxxxxxxx, sopra citata, § 158) e una riduzione al minimo del ricorso alla custodia cautelare in carcere (tra l’altro, Ananyev e altri, sopra citata, § 197).A quest’ultimo riguardo, la Corte è colpita dal fatto che il 40% circa dei detenuti nelle carceri italiane siano persone sottoposte a custodia cautelare in attesa di giudizio (paragrafo 29 supra).
95. Non spetta alla Corte suggerire agli Stati delle disposizioni riguardanti le loro politiche penali e l’organizzazione del loro sistema penitenziario. Tali processi sollevano un certo numero di questioni complesse di ordine giuridico e pratico che, in linea di principio, vanno oltre la funzione giudiziaria della Corte. Tuttavia, essa desidera rammentare in questo contesto le raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che invitano gli Stati ad esortare i procuratori e i giudici a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione allo scopo, tra l’altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria (si vedano, in particolare, le raccomandazioni del Comitato dei Ministri Rec(99)22 e Rec(2006)13).
96. Quanto alla o alle vie di ricorso interne da adottare per far fronte al problema sistemico riconosciuto nella presente causa, la Corte rammenta che, in materia di condizioni detentive, i rimedi
«preventivi» e quelli di natura «compensativa» devono coesistere in modo complementare. Così, quando un ricorrente sia detenuto in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione, la migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti. Inoltre, chiunque abbia subito una detenzione lesiva della propria dignità deve potere ottenere una riparazione per la violazione xxxxxx (Xxxxxxxxxx x. Xxxxxx, xxxxx xxxxxx, § 00; e Xxxxxxx e xxxxx, xxxxx xxxxxx, §§ 00‐00 e 210‐240).
97. La Corte osserva di avere constatato che il solo ricorso indicato dal governo convenuto nelle presenti cause che possa migliorare le condizioni detentive denunciate, vale a dire il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza in virtù degli articoli 35 e 69 della legge sull’ordinamento penitenziario, è un ricorso accessibile, ma non effettivo nella pratica, dato che non consente di porre fine rapidamente alla carcerazione in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione (paragrafo 55 supra). D’altra parte, il Governo non ha dimostrato l’esistenza di un ricorso in grado di consentire alle persone incarcerate in condizioni lesive della loro dignità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per la violazione subita. Al riguardo, essa osserva che la recente giurisprudenza che attribuisce al magistrato di sorveglianza il potere di condannare l’amministrazione a pagare un indennizzo pecuniario è lungi dal costituire una prassi consolidata e costante delle autorità nazionali (paragrafi 20‐22 supra).
98. La Corte non deve suggerire quale sarebbe il modo migliore di instaurare le vie di ricorso interne necessarie (Hutten‐Czapska, sopra citata, § 239). Lo Stato può modificare i ricorsi esistenti o crearne di nuovi in modo tale che le violazioni dei diritti tratti dalla Convenzione possano essere riparate in maniera realmente effettiva (Xenides‐Arestis c. Turchia, n. 46347/99, § 40, 22 dicembre 2005). Ad esso spetta anche garantire, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, che il ricorso o i ricorsi di recente attuazione rispettino, nella teoria come nella pratica, le esigenze della Convenzione.
99. La Corte ne conclude che le autorità nazionali devono creare senza indugio un ricorso o una combinazione di ricorsi che abbiano effetti preventivi e compensativi e garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia. Tale o tali ricorsi dovranno essere conformi ai principi della Convenzione, come richiamati in particolare nella presente sentenza (si vedano, tra l’altro, i paragrafi 50 e 95 supra), ed essere posti in essere nel termine di un anno dalla data in cui questa sarà divenuta definitiva (si veda, a titolo di confronto, Xenides‐Arestis, sopra citata, § 40, e il punto 5 del dispositivo).
c) Procedura da seguire nelle cause simili
100. La Corte rammenta di potersi pronunciare, nella sentenza pilota, sulla procedura da seguire nell’esame di tutte le cause simili (si vedano, mutatis mutandis, Xxxxxxxxxx, sopra citata, § 198; e Xenides‐Xxxxxxx, sopra citata, § 50).
101. Al riguardo, la Corte decide che, in attesa dell’adozione da parte delle autorità interne delle misure necessarie sul piano nazionale, l’esame dei ricorsi non comunicati aventi come unico oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia sarà rinviato per il periodo di un anno a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva. La Corte si riserva la facoltà, in qualsiasi momento, di dichiarare irricevibile una causa di questo tipo o di cancellarla dal ruolo in seguito ad un accordo amichevole tra le parti o ad una composizione della controversia con altri mezzi, conformemente agli articoli 37 e 39 della Convenzione. Per quanto riguarda invece i ricorsi già comunicati al governo convenuto, la Corte potrà proseguire il loro esame per la via della procedura normale.
IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
102. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
X. Xxxxx
103. I ricorrenti richiedono le seguenti somme per il danno morale che avrebbero subito.
Il sig. Xxxxxxxxxxx chiede 10.600 EUR per una detenzione di 54 mesi in cattive condizioni; il sig. Xxxxx, detenuto per 39 mesi, si rimette al giudizio della Corte; il sig. Xxxxxx chiede 15.000 EUR per una detenzione di 24 mesi; i sigg. Xxxx, El Haili e Xxxxxxxx chiedono 15.000 EUR ciascuno per la detenzione rispettivamente di 14, 39 e 16 mesi; il sig. Ghisoni chiede un risarcimento di 30.000 EUR per un periodo di 17 mesi.
104. Il Governo si oppone a queste richieste.
105. La Corte ritiene che i ricorrenti abbiano subito un danno morale certo e che, per fissare gli importi dei risarcimenti da accordare a questo titolo agli interessati, sia opportuno tener conto del tempo che essi hanno trascorso in cattive condizioni detentive. Decidendo in via equitativa, come vuole l'articolo 41 della Convenzione, essa ritiene opportuno accordare ai sigg. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx e El Haili le somme da essi richieste a titolo di danno morale. Decide peraltro di assegnare 23.500 EUR al sig. Bamba,
11.000 EUR al sig. Sela, 12.000 EUR al sig. Xxxxxxxx e 12.500 EUR al sig. Ghisoni allo stesso titolo.
B. Spese
106. I ricorrenti chiedono anche il rimborso delle spese corrispondenti alla procedura innanzi alla Corte. Soltanto i sigg. Xxxx, El Haili, Xxxxxxxx e Ghisoni hanno fornito documenti giustificativi a sostegno delle loro pretese. Essi chiedono rispettivamente 16.474 EUR, 5.491 EUR, 5.491 EUR e 6.867 EUR.
107. Il Governo si oppone a queste richieste.
108. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie e tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare ai sigg. Sela, El Haili, Xxxxxxxx e Ghisoni la somma di 1.500 EUR ciascuno per le spere relative alla procedura svoltasi innanzi ad essa. Al contrario, la Corte decide di rigettare le richieste degli altri ricorrenti che erano stati autorizzati a presentarsi personalmente innanzi ad essa e che non hanno prodotto documenti giustificativi a sostegno delle loro pretese.
C. Interessi moratori
109. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA'
1. Decide di riunire i ricorsi;
2. Dichiara i ricorsi ricevibili;
3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
4. Dichiara che lo Stato convenuto dovrà, entro un anno a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva in virtù dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, e ciò conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte;
5. Dichiara che, in attesa che vengano adottate le misure di cui sopra, la Corte differirà, per la durata di un anno a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva, la procedura in tutte le cause non ancora comunicate aventi unicamente ad oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia riservandosi la facoltà, in qualsiasi momento, di dichiarare irricevibile una causa di questo tipo o di cancellarla dal ruolo a seguito di composizione amichevole tra le parti o di definizione della lite con altri mezzi, conformemente agli articoli 37 e 39 della Convenzione;
6. Dichiara
1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
1. 10.600 EUR (diecimilaseicento euro) al sig. Torreggiani; 23.500 EUR (ventitremilacinquecento euro) al sig. Bamba; 15.000 EUR (quindicimila euro) al sig. Biondi; 11.000 EUR (undicimila euro) al sig. Sela; 15.000 EUR (quindicimila euro) al sig. El Haili; 12.000 EUR (dodicimila euro) a Xxxxxxxx;
12.500 EUR (dodicimilacinquecento euro) al sig. Ghisoni, più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per il danno morale;
2. 1.500 EUR (millecinquecento euro) ciascuno ai sigg. Sela, El Haili, Xxxxxxxx e Ghisoni, più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per le spese;
2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
7. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto l'8 gennaio 2013, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Xxxxxx Xxxxxxx Presidente Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l'esposizione dell'opinione separata del giudice Xxxxxxx.
D.J. S.H.N.
LISTA DELLE CAUSE
Numero di ricorso | Data d’introduzione | Nome e cognome del ricorrente, data di nascita e cittadinanza | Nome e cognome del rappresentante |
43517/09 | 06/08/2009 | Fermo‐Xxxx XXXXXXXXXXX 09/05/1948 Italiana | Il ricorrente è stato autorizzato a rappresentarsi personalmente dinanzi alla Corte |
46882/09 | 12/08/2009 | Bazoumana BAMBA 18/12/1972 Xxxxxxxx | Xx ricorrente è stato autorizzato a rappresentarsi personalmente dinanzi alla Corte |
55400/09 | 19/09/2009 | Xxxxx Xxxxxxxx XXXXXX 22/12/1967 Italiana | Il ricorrente è stato autorizzato a rappresentarsi personalmente dinanzi alla Corte |
57875/09 | 20/10/2009 | Xxxxx XXXX 02/02/1979 Albanese | Avv. Xxxxxx Xxxxxxxx |
61535/09 | 29/10/2009 | Xxxxxxxx XXXXXXX 26/09/1952 Italiana | Avv. Xxxxxxxx Xxxx |
35315/10 | 10/06/2010 | Xxxxxxx XX XXXXX 01/01/1977 Marocchina | Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx |
37818/10 | 01/07/2010 | Xxxxxxxx XXXXXXXX 01/01/1975 Marocchina | Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx |
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE XXXXXXX
Nella causa Xxxxxxxxxxxx c. Italia (n. 22635/03, sentenza del 16 luglio 2009), ho votato contro la violazione dell'articolo 3 della Convenzione per le ragioni esposte nell'opinione dissenziente del giudice Xxxxxxxxxxx, alla quale ho aderito.
Dalla data di pubblicazione della sentenza Xxxxxxxxxxxx, la Corte ha ricevuto un flusso via via crescente di ricorsi riguardanti il sovraffollamento nelle carceri italiane. Le autorità italiane hanno esse stesse chiaramente ammesso a livello nazionale (§ 24 della sentenza) questo problema strutturale delle carceri italiane ed hanno previsto misure concrete ed effettive nel 2010 per rimediare al problema del sovraffollamento carcerario (§§ 23 ‐ 29 della sentenza). Peraltro, è stato anche dichiarato e prorogato due volte lo stato di emergenza nazionale (§ 28 della sentenza). Gli impegni politici dello Stato italiano sono molto importanti per elaborare un piano di azione e per risolvere finalmente il problema del sovraffollamento negli istituti penitenziari italiani.
In secondo luogo, il magistrato di sorveglianza ha anche riconosciuto molto chiaramente il problema della situazione delle carceri ‐ il giudice ha concluso che i ricorrenti erano esposti a trattamenti inumani per il fatto di dover condividere celle esigue con altri due detenuti, ed erano oggetto di una discriminazione rispetto ad altri detenuti che condividevano lo stesso tipo di cella con una sola persona; è chiaro che, in realtà, lo spazio vitale abitabile nelle celle collettive raccomandato dal CPT non è stato rispettato nel caso dei ricorrenti (§ 14, §§ 74 e 76 della sentenza).
Sono queste le due principali ragioni che mi hanno indotto a modificare la mia opinione e a votare con la maggioranza in questa causa in cui la Corte conclude per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione e indica le misure generali che le autorità italiane devono adottare per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri italiane.
LO STATO DI EMERGENZA E I RIMEDI MESSI IN CAMPO
Nel Consiglio dei Ministri del 13.1.2010, il Governo ha annunciato l’adozione di un PIANO STRAORDINARIO PENITENZIARIO (il cd. “Piano carceri”), sulla base di una dichiarazione dello stato di emergenza del sistema penitenziario italiano: stato di emergenza prorogato, da ultimo, fino al 31.12.2012.
Questo “Piano carceri” si basava su diversi filoni di intervento:
• Adozione di misure straordinarie di edilizia penitenziaria.
• Assunzione di nuovi agenti di Polizia Penitenziaria.
• Novità sul piano normativo, con l’introduzione di un più agevole accesso a forme di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena detentiva residua e la possibilità della messa alla prova dell’imputato quando si procede per reati puniti con la pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, con l’obbligo dello svolgimento di lavori di pubblica utilità e conseguente sospensione del processo.
❖ Per quanto riguarda l’adozione delle misure straordinarie di edilizia penitenziaria, si segnala che:
• Nel 2012, a seguito della riduzione delle risorse disponibili, il Piano straordinario è stato rimodulato in un nuovo Piano (adottato il 31.1.2012).
• Dal 1.1.2012 la gestione commissariale per gli interventi straordinari di edilizia carceraria è stata sottratta al Capo del DAP e affidata ad un Commissario ad hoc (cfr. decreto‐legge n°216/2011, convertito nella legge n°14/2012).
• La gestione commissariale dell’emergenza carceraria è attualmente prevista fino al 31.12.2013.
Con riferimento agli interventi di edilizia penitenziaria previsti nell’ambito del Piano carceri si ricorda che è prevista nel territorio emliano‐romagnolo la costruzione di 5 padiglioni da 200 posti ciascuno : a Parma, Bologna, Reggio nell’Emilia, Piacenza e Ferrara.
❖ Per quanto riguarda le novità normative, in attuazione del “Piano carceri” del 2010 viene adottata la LEGGE N°199/2010 (cd. “Legge svuota‐carceri”).
Questa legge si occupa dell’adeguamento dell’organico della polizia penitenziaria, introduce l’istituto dell’esecuzione domiciliare delle pene detentive residue fino a dodici mesi (con una durata transitoria della misura che comunque non può estendersi oltre il 31/12/2013), ma dal testo definitivo vengono significativamente stralciati gli articoli relativi all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova.
A seguire, altri provvedimenti legislativi.
a) Con il D.L. N°211/2011 CONVERTITO IN L. N°9/2012 (cd. “pacchetto Xxxxxxxx”) vengono introdotte svariate novità:
• L’esecuzione presso il domicilio viene estesa alle pene residue fino a diciotto mesi.
• Nel caso in cui manchino o risultino indisponibili o inidonei i luoghi per gli arresti domiciliari, si prevede l’utilizzo delle camere di sicurezza per la custodia dell’arrestato in flagranza di reato in attesa della convalida dell’arresto e il contestuale giudizio direttissimo conseguente a reati attribuiti alla competenza del Tribunale in composizione monocratica.
Viene inoltre stabilita la conduzione nella casa circondariale solo in caso di mancanza, indisponibilità e inidoneità delle camere di sicurezza o se ricorrono altre specifiche ragioni di necessità o urgenza e comunque con decreto motivato del PM.
• Viene previsto che – entro il 31 Marzo 2013 – le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia siano eseguite esclusivamente all’interno di strutture sanitarie in possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi (anche con riguardo ai profili di sicurezza) definiti con decreto di natura non regolamentare del Ministro della Salute, adottato di concerto con il Ministro della Giustizia e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Prov. Autonome.
b) Con la LEGGE N°62/2011 è stata introdotta una disciplina finalizzata ad evitare, nella gran parte dei casi, la permanenza in carcere di detenute madri con figli minori (andando a modificare sia le disposizioni relative alle misure cautelari che quelle relative alla detenzione domiciliare).
c) E’ invece naufragato il DISEGNO DI LEGGE N°5019/2012 (cd. “DDL XXXXXXXX”) contenente una delega al Governo su queste materie:
• L’introduzione dell’istituto della messa alla prova per gli adulti per reati fino a quattro anni.
• L’irrogazione da parte del giudice del fatto di una forma di detenzione domiciliare come pena sostitutiva delle pene fino a quattro anni.
• La depenalizzazione dei reati minori.
• La sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili.
• …
Passato alla Camera (con lo stralcio della parte relativa alla depenalizzazione), il DDL Xxxxxxxx si è arenato in Senato a causa della interruzione anticipata della legislatura all’inizio del 2013.
Per lo stesso motivo si è fermato anche l’autonomo disegno di legge sulla depenalizzazione risultante dallo stralcio del DDL Xxxxxxxx, il cui iter parlamentare era stato solo avviato dalla Camera.
DETENUTI USCITI PER EFFETTO DELLA LEGGE N.199/2010 Periodo 16.12.2010 – 31.12.2012 – 28.2.2013
Dati nazionali
DATA | DETENUTI TOTALI | USCITI PER EFFETTO L. 199/2010 |
16.12.2010 | ± 67.961 (dato al 31.12.2010) | ‐ |
30.6.2011 | 67.394 | 2.666 |
31.12.2011 | 66.897 | 4.304 |
30.6.2012 | 66.528 | 6.879 |
31.12.2012 | 65.701 | 9.005 |
28.2.2013 | 65.906 | 9.742 |
Note metodologiche:
Il dato comprende il numero complessivo di persone uscite dagli istituti penitenziari per adulti ai sensi della legge n°199/2010 e successive modifiche, dall’entrata in vigore della stessa.
Non comprende, invece, i casi in cui il beneficio sia concesso dallo stato di libertà.
Nel numero complessivo vengono conteggiati gli usciti per i quali la pena risulta già scontata e i casi di revoca (ad esempio per commissione di reati o irreperibilità).
Non vengono invece conteggiati coloro che accedono al beneficio dagli arresti domiciliari.
I dati relativi agli usciti sono soggetti ad assestamento, pertanto eventuali piccoli scostamenti nel tempo dai valori inizialmente forniti non devono essere considerati imprecisioni.
Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ‐ Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale ‐ Sezione Statistica
⮱ I dati relativi alla concessione del beneficio dallo stato di libertà vengono raccolti dall’Osservatorio delle misure alternative presso la Direzione generale dell’esecuzione penale esterna del DAP.
DATA | CONDANNATI IN STATO DI DETENZIONE DOMICILIARE DALLA DETENZIONE ** | CONDANNATI IN STATO DI DETENZIONE DOMICILIARE DALLA LIBERTÀ |
16.12.2010 | ‐ | ‐ |
31.12.2011 | 4.222 | 976 |
31.12.2012 | 8.914 | 2.532 |
28.2.2013 | 9.647 | 2.887 |
** Note metodologiche:
Il dato comprende il numero complessivo dei beneficiari, compreso quello di coloro che vi accedono dagli arresti domiciliari, considerato dall'entrata in vigore della stessa.
Questo spiega la non perfetta corrispondenza con i dati sopra esposti.
Inoltre, la differenza può anche dipendere dal tempo trascorso tra la scarcerazione e la presa in carico da parte degli UEPE.
L’ordine di grandezza, comunque, rimane invariato.
Esito delle istanze per l’applicazione della legge n°199/2010
Dall’esame dei dati parziali rilevati a partire dal sistema Siap/Afis (Sistema informativo Amministrazione Penitenziaria/Automatic finger print identification systems) risulta che il 69% delle istanze (con un esito finale) non viene accolto per inammissibilità o rigetto.
DETENUTI USCITI PER EFFETTO DELLA LEGGE N.199/2010 Periodo 16.12.2010 – 31.12.2012
Dati regionali
Regione di detenzione | detenuti usciti ex L.199/2010 | di cui stranieri | ||
totale | donne | totale | donne | |
Abruzzo | 372 | 24 | 58 | 3 |
Basilicata | 56 | 6 | 6 | 1 |
Calabria | 256 | 8 | 34 | |
Campania | 805 | 69 | 52 | 7 |
Xxxxxx Xxxxxxx | 272 | 32 | 129 | 13 |
Friuli Venezia Giulia | 119 | 9 | 38 | 2 |
Lazio | 849 | 28 | 251 | 13 |
Liguria | 266 | 20 | 102 | 10 |
Lombardia | 1.229 | 109 | 498 | 71 |
Marche | 113 | 4 | 29 | |
Molise | 61 | 3 | ||
Piemonte | 795 | 49 | 320 | 18 |
Puglia | 663 | 27 | 48 | 5 |
Sardegna | 435 | 22 | 111 | 10 |
Sicilia | 1.033 | 27 | 117 | 7 |
Toscana | 785 | 60 | 356 | 26 |
Trentino Alto Adige | 113 | 13 | 36 | 5 |
Umbria | 170 | 13 | 48 | 4 |
Xxxxx x'Xxxxx | 00 | 00 | ||
Xxxxxx | 574 | 64 | 242 | 21 |
Totale nazionale | 9.005 | 584 | 2.492 | 216 |
Note metodologiche:
Il dato comprende il numero complessivo di persone uscite dagli istituti penitenziari per adulti ai sensi della legge n°199/2010 e successive modifiche, dall’entrata in vigore della stessa.
Non comprende, invece, i casi in cui il beneficio sia concesso dallo stato di libertà.
Nel numero complessivo vengono conteggiati gli usciti per i quali la pena risulta già scontata e i casi di revoca (ad esempio per commissione di reati o irreperibilità).
Non vengono invece conteggiati coloro che accedono al beneficio dagli arresti domiciliari.
Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ‐ Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale ‐ Sezione Statistica
DATI RELATIVI ALL’APPLICAZIONE DELLA L. N.199/2010 NELLE SINGOLE PROVINCE DELLA REGIONE XXXXXX‐ROMAGNA:
ANNO 2012
(dati forniti su richiesta)
CITTA’ | NUMERO DI RICHIESTE INOLTRATE | NUMERO DI RICHIESTE ACCOLTE | NUMERO DI RICHIESTE RIGETTATE | NOTE |
PIACENZA | 55 | 10 | Fonte: Direzione Casa Circondariale di Piacenza | |
FORLI’ | 24 | 8 | 5 | Fonte: Provveditorato di Bologna |
RIMINI | 34 | 14 | 20 | Fonte: Direzione Casa Circondariale di Rimini |
RAVENNA | Dato non pervenuto | |||
PARMA | Dato non pervenuto | |||
REGGIO XXXXXX | Dato non pervenuto | |||
MODENA | Dato non pervenuto | |||
BOLOGNA | Dato non pervenuto | |||
FERRARA | Dato non pervenuto |
L’ESECUZIONE DELLA PENA PRESSO IL DOMICILIO E LE MISURE ALTERNATIVE
Riguardando le pene detentive residue fino a 18 mesi, l’istituto dell’esecuzione della pena presso il domicilio può trovare applicazione in spazi già normativamente “coperti” da altri benefici penitenziari, con caratteristiche di minore afflittività: ad esempio, l’affidamento in prova al servizio sociale.
E’ quindi importante verificare se l’applicazione del “nuovo” istituto corrisponda o meno ad una diminuzione nell’applicazione delle “tradizionali” misure alternative.
DETENUTI PRESENTI CONDANNATI (CON ALMENO UNA CONDANNA DEFINITIVA) PER PENA RESIDUA.
Situazione al 31.12.2012
Regione di detenzione | da 0 a 1 anno | da 1 a 2 anni | da 2 a 3 anni | da 3 a 5 anni | da 5 a 10 anni | da 10 a 20 anni | oltre 20 anni | ergastolo | Totale |
Detenuti italiani + stranieri | |||||||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 575 | 367 | 257 | 270 | 195 | 83 | 18 | 108 | 1.873 |
Totale nazionale detenuti italiani + stranieri | 10.106 | 7.558 | 5.834 | 6.263 | 5.000 | 1.922 | 392 | 1.581 | 38.656 |
Detenuti stranieri | |||||||||
Xxxxxx Xxxxxxx | 342 | 208 | 104 | 87 | 50 | 15 | 0 | 5 | 811 |
Totale detenuti stranieri | 4.579 | 3.005 | 1.926 | 1.601 | 1.128 | 360 | 60 | 73 | 12.732 |
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ‐ Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato ‐ Sezione statistica
LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
Nota metodologica:
I dati contenuti in questa tabella sono riferiti ad un giorno determinato, non sono dati di flusso.
TIPOLOGIA | IN CORSO AL 01/01/2010 | IN CORSO AL 31/12/2010 | IN CORSO AL 31/12/2011 | IN CORSO AL 31/12/2012 | IN CORSO AL 28/2/2013 |
AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE | |||||
Condannati dallo stato di libertà | 2.959 | 4.136 | 4.449 | 4.398 | 4.668 |
Condannati dallo stato di detenzione* | 1.662 | 2.099 | 2.348 | 2.405 | 2.401 |
Condannati tossico/alcooldipendenti dallo stato di libertà | 721 | 932 | 920 | 966 | 1.021 |
Condannati tossico/alcooldipendenti dallo stato di detenzione* | 1.150 | 1.594 | 1.817 | 1.811 | 1.862 |
Condannati tossico/alcooldipendenti in misura provvisoria | 261 | 329 | 322 | 373 | 390 |
Condannati affetti da aids dallo stato di libertà | 1 | 3 | 2 | ‐ | ‐ |
Condannati affetti da aids dallo stato di detenzione* | 22 | 25 | 44 | 36 | 39 |
Totale | 6.776 | 9.118 | 9.952 | 9.989 | 10.381 |
SEMILIBERTA' | |||||
Condannati dallo stato di libertà | 105 | 112 | 96 | 65 | 64 |
Condannati dallo stato di detenzione* | 738 | 802 | 820 | 793 | 821 |
Totale | 843 | 914 | 916 | 858 | 885 |
DETENZIONE DOMICILIARE | |||||
Condannati dallo stato di libertà | 1.600 | 2.083 | 2.677 | 2.727 DI CUI EX L. N°199/2010: 612 | 3.038 DI CUI EX L. N°199/2010: 743 |
Condannati dallo stato di detenzione* | 1.410 | 2.121 | 3.631 | 4.427 DI CUI EX L. N°11/2010: 2.028 | 4.600 DI CUI EX L. N°199/2010: 2.122 |
Condannati in misura provvisoria | 402 | 1.526 | 1.993 | 1.923 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ | 2.006 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ |
Condannati affetti da aids dallo stato di libertà | 17 | 20 | 18 | 12 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ | 14 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ |
Condannati affetti da aids dallo stato di detenzione* | 22 | 25 | 27 | 30 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ | 26 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ |
Condannati madri/padri dallo stato di libertà | 10 | 8 | 8 | 6 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ | 6 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ |
Condannati madri/padri dallo stato di detenzione* | 12 | 9 | 17 | 14 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ | 18 DI CUI EX L. N°199/2010: ‐ |
Totale | 3.473 | 5.792 | 8.371 | 9.139 DI CUI EX L. 199/2010: 2.640 | 9.708 DI CUI EX L. 199/2010: 2.865 |
* Nota: Dallo stato di DETENZIONE = provenienti dagli ii.pp. ‐ arresti domiciliari (art. 656 c 10 c.p.p.) ‐ detenzione domiciliare
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ‐ Direzione generale dell'esecuzione penale esterna ‐
Osservatorio delle misure alternative
IL PACCHETTO XXXXXXXX E GLI EFFETTI SUL TURNOVER.
Uno dei fattori che incrementa il sovraffollamento è il turnover dei detenuti, ovvero quello che viene comunemente chiamato “effetto delle porte girevoli” per indicare una permanenza brevissima in istituto dopo l’ingresso dallo stato di libertà.
INGRESSI DALLA LIBERTA’
SERIE STORICA DEGLI ANNI 2000‐2012 DATI NAZIONALI
ANNO | INGRESSI DALLA LIBERTA' DI SOGGETTI ITALIANI | INGRESSI DALLA LIBERTA' DI SOGGETTI STRANIERI | TOTALE INGRESSI DALLA LIBERTA' | ||||||
UOMINI | DONNE | TOTALE | UOMINI | DONNE | TOTALE | UOMINI | DONNE | TOTALE | |
2000 | 49.098 | 3.678 | 52.776 | 25.781 | 2.840 | 28.621 | 74.879 | 6.518 | 81.397 |
2001 | 47.191 | 3.344 | 50.535 | 25.334 | 2.780 | 28.114 | 72.525 | 6.124 | 78.649 |
2002 | 47.522 | 3.513 | 51.035 | 27.250 | 2.900 | 30.150 | 74.772 | 6.413 | 81.185 |
2003 | 46.434 | 3.504 | 49.938 | 28.206 | 3.646 | 31.852 | 74.640 | 7.150 | 81.790 |
2004 | 46.531 | 3.495 | 50.026 | 28.581 | 3.668 | 32.249 | 75.112 | 7.163 | 82.275 |
2005 | 45.755 | 3.526 | 49.281 | 35.202 | 5.404 | 40.606 | 80.957 | 8.930 | 89.887 |
2006 | 44.225 | 3.201 | 47.426 | 38.516 | 4.772 | 43.288 | 82.741 | 7.973 | 90.714 |
2007 | 43.328 | 3.253 | 46.581 | 39.943 | 3.917 | 43.860 | 83.271 | 7.170 | 90.441 |
2008 | 46.078 | 3.623 | 49.701 | 39.451 | 3.648 | 43.099 | 85.529 | 7.271 | 92.800 |
2009 | 44.554 | 3.439 | 47.993 | 36.719 | 3.354 | 40.073 | 81.273 | 6.793 | 88.066 |
2010 | 43.907 | 3.436 | 47.343 | 34.308 | 2.990 | 37.298 | 78.215 | 6.426 | 84.641 |
2011 | 40.458 | 3.219 | 43.677 | 30.571 | 2.734 | 33.305 | 71.029 | 5.953 | 76.982 |
2012 | 33.364 | 2.650 | 36.014 | 24.765 | 2.241 | 27.006 | 58.129 | 4.891 | 63.020 |
INGRESSI DALLA LIBERTA’ ANNI 2010‐2012
DATI RELATIVI ALL’XXXXXX XXXXXXX
ANNO | TOTALE NAZIONALE | XXXXXX XXXXXXX |
2009 | 88.066 DI CUI STRANIERI: 40.073 | 5.939 DI CUI STRANIERI: 3.588 |
2010 | 84.641 DI CUI STRANIERI: 37.298 | 5.324 DI CUI STRANIERI: 3.276 |
2011 | 76.982 DI CUI STRANIERI: 33.305 | 5.121 DI CUI STRANIERI: 3.125 |
2012 | 63.020 DI CUI STRANIERI: 27.006 | 4.011 DI CUI STRANIERI: 2.455 |
ENTRATI DALLA LIBERTA’ CON DURATA DELLA PERMANENZA FINO A TRE GIORNI, DISTINTI PER PERIODO DI RIFERIMENTO E NAZIONALITA’
DATI NAZIONALI
PERIODO DI RIFERIMENTO | TOTALE ENTRATI DALLA LIBERTA’ | TOTALE ENTRATI CON DURATA DELLA PERMANENZA FINO A 3 GIORNI | PERCENTUALE DEGLI ENTRATI FINO A 3 GIORNI SUL TOTALE |
2009 | 88.066 | 23.724 DI CUI STRANIERI: 13.975 | 26,9% |
2010 | 84.641 | 20.789 DI CUI STRANIERI: 11.560 | 24,6% |
2011 | 76.982 | 17.138 DI CUI STRANIERI: 8.372 | 22,3% |
2012 (dati fino al 31.10.2012) | 52.835 | 7.365 DI CUI STRANIERI: 3.654 | 13,9% |
ENTRATI DALLA LIBERTA’ CON DURATA DELLA PERMANENZA FINO A TRE GIORNI, DISTINTI PER PERIODO DI RIFERIMENTO E NAZIONALITA’
DATI RELATIVI ALL’XXXXXX XXXXXXX
PERIODO DI RIFERIMENTO | TOTALE ENTRATI DALLA LIBERTA’ | TOTALE ENTRATI CON DURATA DELLA PERMANENZA FINO A 3 GIORNI | PERCENTUALE DEGLI ENTRATI FINO A 3 GIORNI SUL TOTALE |
2009 | 5.939 | 1.093 DI CUI STRANIERI: 707 | 18,4% |
2010 | 5.324 | 894 DI CUI STRANIERI: 600 | 16,8% |
2011 | 5.121 | 822 DI CUI STRANIERI: 538 | 16,1% |
2012 (dati fino al 31.10.2012) | 3.387 | 438 DI CUI STRANIERI: 281 | 12,9% |
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ‐ Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato ‐ Sezione Statistica
DATI RELATIVI ALLE SINGOLE PROVINCE DELL’XXXXXX XXXXXXX
(dati forniti su richiesta)
BOLOGNA
ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO POSTI AGLI ARRESTI DOMICILIARI | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO COLLOCATI NELLE CAMERE DI SICUREZZA | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO CONDOTTI IN CARCERE A SEGUITO DI DECRETO MOTIVATO DEL PM | NUMERO CAMERE DI SICUREZZA | |
CARABINIERI | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto |
QUESTURA | 35 | 220 | 103 | Dato non pervenuto |
GUARDIA DI FINANZA | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto |
Fonte: Questura di Bologna
PIACENZA
ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO POSTI AGLI ARRESTI DOMICILIARI | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO COLLOCATI NELLE CAMERE DI SICUREZZA | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO CONDOTTI IN CARCERE A SEGUITO DI DECRETO MOTIVATO DEL PM | NUMERO CAMERE DI SICUREZZA | |
CARABINIERI | 48 | 58 | 48 | 6 |
QUESTURA | 12 | 65 | 16 | 4 |
GUARDIA DI FINANZA | 0 | 0 | 0 | 1 |
Fonte: Prefettura di Piacenza
FERRARA
ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO POSTI AGLI ARRESTI DOMICILIARI | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO COLLOCATI NELLE CAMERE DI SICUREZZA | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO CONDOTTI IN CARCERE A SEGUITO DI DECRETO MOTIVATO DEL PM | NUMERO CAMERE DI SICUREZZA | |
CARABINIERI | 8 | 137 | 92 | Dato non pervenuto |
QUESTURA | 1 | 0 | 15 | 3 |
GUARDIA DI FINANZA | 2 | 0 | 18 | 0 |
Fonte: Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara
RAVENNA
ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO POSTI AGLI ARRESTI DOMICILIARI | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO COLLOCATI NELLE CAMERE DI SICUREZZA | ARRESTATI IN FLAGRANZA DI REATO CONDOTTI IN CARCERE A SEGUITO DI DECRETO MOTIVATO DEL PM | NUMERO CAMERE DI SICUREZZA | |
CARABINIERI | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto |
QUESTURA | 0 | 19 | 25 | Dato non pervenuto |
GUARDIA DI FINANZA | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto | Dato non pervenuto |
Fonte: Questura di Ravenna
GLI EVENTI CRITICI NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI
Nella definizione di “eventi critici” rientrano diverse categorie di fenomeni con un denominatore comune: “mettere a rischio la propria o altrui incolumità e più in generale la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari”.
Xxxxxx Xxxxxxx: Sappe; in un anno 101 tentati suicidi nelle carceri, 12 solamente alla Dozza.
Xxxxxxx Xxxx, 14 marzo 2013
Suicidi, tentati suicidi, aggressioni ad agenti di Polizia penitenziaria, danneggiamenti di celle e strutture ma anche manifestazioni dei detenuti per chiedere l’indulto o protestare per le condizioni di vita dietro le sbarre. È una fotografia tutt’altro che rassicurante quella fatta alle carceri dell’Xxxxxx‐Romagna attraverso i dati dei cosiddetti “eventi critici”, diffusi oggi in una nota dal segretario aggiunto del Sappe, Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx.
Nel corso del 2012, nelle carceri regionali, ci sono stati 101 tentativi di suicidio sventati dalla Polizia penitenziaria e 628 sono stati gli atti di autolesionismo da parte dei detenuti (ce ne sono stati di più solo in Toscana e Lazio). Tre il numero dei suicidi (uno a Modena, uno a Bologna e uno a Parma) e otto, invece, i decessi per cause naturali. Ma da Piacenza a Rimini si contano anche molti episodi di ferimenti e colluttazioni con gli agenti di Polizia penitenziaria: i ferimenti sono stati 81 (più della metà dei quali, 46, sono avvenuti nel carcere della Dozza di Bologna) e 273 le colluttazioni (100 a Bologna).Ci sono poi stati 60 episodi di danneggiamento a beni dell’amministrazione e 628 scioperi della fame. Ancora più numerose le manifestazioni: 8.934 quelle di protesta collettiva a favore o contro misure legislative (indulto, amnistia, disegni di legge vari), altre 2.061 quelle per le condizioni di vita all’interno delle carceri. In regione, il maggior numero di tentati suicidi arriva dal carcere di Piacenza, dove sono stati 15. Al secondo posto c’è Bologna, con 12 tentativi, e poi Modena, dove sono stati otto; a seguire, ci sono la casa circondariale di Reggio Xxxxxx e quella di Ferrara (cinque), l’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Xxxxxx e Rimini (quattro), Parma (tre) e Forlì (uno).
Dei 628 atti di autolesionismo, 34 sono stati Bologna, 20 a Piacenza, 15 a Modena, 16 a Rimini, 10 a Ferrara, nove alla casa circondariale di Reggio Xxxxxx, otto all’Opg (sempre a Reggio), sette a Ravenna e Forlì, uno a Castelfranco. Il dato degli episodi di autolesionismo è uno di quelli a cui il Sappe guarda con più preoccupazione: l’Xxxxxx‐Romagna è infatti da meno solo rispetto a Toscana (dove sono stati 1.236) e al Lazio (668). Ma il totale dei detenuti, in Lazio (come anche in Sicilia, Lombardia o Piemonte) è molto più alto.
“Tutti questi eventi non fanno che aggravare il già difficilissimo compito della Polizia penitenziaria che ormai da anni lavora con molti agenti in meno rispetto a quelli che dovrebbe avere”, sottolinea Durante, ricordando che in Xxxxxx‐Romagna mancano più di 650 agenti (7.500 la carenza a livello nazionale). E i numeri delle assenza sono destinati a crescere: “Nei prossimi due anni, a causa dei tagli alle assunzioni, potremo assumere solo il 37% del numero complessivo di agenti che andranno in pensione”, ricorda Xxxxxxx. A livello nazionale, invece, gli atti di autolesionismo sono stati 7.317, i tentativi di suicidio 1.308, i suicidi 56, i decessi per cause naturali 97.
ANNI 1992 – 2012
Eventi critici negli istituti penitenziari ‐ Serie storica degli anni: 1992 ‐ 2012 | ||||||||
Xxxx | Xxxxxxxx media detenuti (*) | Detenuti in custodia nel corso dell'anno (presenti al 1º gennaio + entrati dalla libertà) (**) | Suicidi | Decessi per cause naturali | ||||
valore assoluto | ogni 10.000 detenuti mediamente presenti | Ogni 10.000 detenuti in custodia nel corso dell'anno | valore assoluto | ogni 10.000 detenuti mediamente presenti | Ogni 10.000 detenuti in custodia nel corso dell'anno | |||
2000 | 53.338 | 133.211 | 56 | 10,5 | 4,2 | 104 | 19,5 | 7,8 |
2001 | 55.193 | 131.814 | 69 | 12,5 | 5,2 | 108 | 19,6 | 8,2 |
2002 | 56.431 | 136.460 | 52 | 9,2 | 3,8 | 108 | 19,1 | 7,9 |
2003 | 56.081 | 137.460 | 57 | 10,2 | 4,1 | 100 | 17,8 | 7,3 |
2004 | 56.064 | 136.512 | 52 | 9,3 | 3,8 | 104 | 18,6 | 7,6 |
2005 | 58.817 | 145.955 | 57 | 9,7 | 3,9 | 115 | 19,6 | 7,9 |
2006 | 51.748 | 150.237 | 50 | 9,7 | 3,3 | 81 | 15,7 | 5,4 |
2007 | 44.587 | 129.446 | 45 | 10,1 | 3,5 | 76 | 17,0 | 5,9 |
2008 | 54.789 | 141.493 | 46 | 8,4 | 3,3 | 96 | 17,5 | 6,8 |
2009 | 63.087 | 146.193 | 58 | 9,2 | 4,0 | 100 | 15,9 | 6,8 |
2010 | 67.820 | 149.432 | 55 | 8,1 | 3,7 | 108 | 15,9 | 7,2 |
2011 | 67.405 | 144.943 | 63 | 9,3 | 4,3 | 102 | 15,1 | 7,0 |
2012 | 66.449 | 129.917 | 56 | 8,4 | 4,3 | 97 | 14,6 | 7,5 |
(*) media aritmetica dei detenuti presenti a fine mese
(**) il flusso degli entrati dalla libertà può includere più volte lo stesso individuo
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ‐ Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato ‐ sezione statistica
La rilevazione dei dati sugli eventi critici nasce nella prima metà degli anni '90, progettata come indagine statistica di dati aggregati presso gli istituti penitenziari per monitorare le situazioni a rischio. A partire dall’anno 2011 l'indagine è stata sostituita dall' elaborazione dei dati presenti nel sistema informativo Eventi Critici, in uso presso l'Ufficio per l’Attività Ispettiva e del Controllo ‐ Sala Situazioni.
LA CIRCOLARE DAP SULLA VIGILANZA DINAMICA PUO’ ESSERE UNA SVOLTA
PER UNA DIVERSA CONCEZIONE DELLA SICUREZZA IN CARCERE
L’ultima circolare del DAP sulla realizzazione di circuiti regionali ai sensi dell’art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230 ha il merito innanzitutto di sottolineare la necessità di dare attuazione a quel regolamento penitenziario, solo in minima parte attuato, che detta regole di vita all’interno degli istituti e la cui osservanza è ancora molto al di là da venire.
Archiviata la circolare sui codici, che dovevano definire la pericolosità delle persone detenute determinandone la collocazione fisica e il regime penitenziario più o meno aperto e che aveva già determinato non pochi problemi, adesso si parte dalla constatazione che per gran parte dei detenuti è possibile individuare e progettare soluzioni caratterizzate da un ampliamento degli spazi utilizzabili per frequentare attività lavorative, culturali, scolastiche, ecc., destinando addirittura delle sezioni o anche istituti a “regime aperto”, con riferimento ai condannati che devono scontare meno di 18 mesi, in parallelo all’innalzamento del limite per ottenere la detenzione domiciliare speciale.
Nulla di nuovo, ma almeno è stato scritto, e vincola tutti i provveditorati a ripensare spazi, organizzazione, iniziative, e ogni direzione a fare lo stesso, valorizzando quanto di meglio ciascun istituto può dare come in alcuni casi è già stato fatto. E impone anche di pensare che incentivare i percorsi trattamentali, migliorare le condizioni di vita e le relazioni con l’esterno pone le premesse per un maggior ricorso alle misure alternative, certo oggi non massiccio con riferimento alle potenzialità dell’ordinamento penitenziario, rispetto alle quali il positivo percorso già avviato sarà un requisito utile alla magistratura di sorveglianza, come indica la circolare.
Sembra farsi avanti l’idea che davvero le celle sovraffollate e spesso indecorose dell’oggi, ma anche quelle migliori speriamo di un futuro molto vicino, diventino solo luoghi di pernottamento, come appunto prevede il regolamento penitenziario.
La sicurezza quindi non deve essere più considerata sotto l’aspetto della mera custodia, ma come premessa per realizzare le finalità del trattamento penitenziario, alla quale dovranno concorrere molteplici attori, anche esterni, e non solo la polizia penitenziaria, il cui ruolo viene valorizzato (e non trascurato, come in alcune prese di posizione si tende ad enfatizzare) in nome di un presunto aumento di pericolosità della vita nelle carceri .
A ciò si dovranno aggiungere le sezioni attenuate per i tossicodipendenti, sempre previste dall’art. 115 co. 3 del regolamento, ancora realtà quasi di nicchia a fronte dell’imponenza del problema che richiede comunque una modifica dell’attuale legislazione punitiva per gli assuntori.
Certo, bisogna fare altro: intervenire con riforme organiche sulle leggi anche in tema di immigrazione, abolire la ex-Cirielli, riformare il sistema sanzionatorio, anticipare laddove possibile le misure alternative alla fase della cognizione, ridurre in modo significativo il ricorso alla custodia cautelare in carcere, varare provvedimenti di amnistia e indulto che facciano decollare le già indicate riforme normative e abbattano i numeri delle presenze in carcere.
Ma cominciare a far pensare a tutti, opinione pubblica compresa, che le maggior parte delle persone in carcere possono vivere senza essere costrette a passare anche venti ore al giorno in una cella di pochi metri quadri e che è normale lavorare, studiare, avere relazioni con l’esterno può essere un buon segnale: soprattutto se a darlo è l’amministrazione penitenziaria.
Ora, dopo le belle e condivisibili parole, attendiamo i fatti, nella consapevolezza che ogni mutamento richiede sforzo e comprensione reciproca.
Significa abbandonare il proprio particolare e pensare ad uscire dall’emergenza . Xxxxxx, nel proprio ruolo, faccia la sua parte.
COMUNICATO STAMPA 20/02/2013
CARCERI. GARANTE REGIONALE DETENUTI: NO AL TAGLIO DEI DIRIGENTI PENITENZIARI ANCHE IN XXXXXX-ROMAGNA
Una serie di sigle sindacali ha proclamato lo stato di agitazione dei dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna.
Sulla vicenda interviene Xxxx Xxxxx, Garante regionale per le persone private della libertà personale.
“Esprimo solidarietà alle XX.XX. del personale della carriera dirigenziale penitenziaria che hanno proclamato lo stato di agitazione in riferimento alle problematiche della categoria, con particolare riguardo alla prossima emanazione di un decreto del Governo volto ad operare una riduzione del numero dei dirigenti penitenziari.
Già nei mesi scorsi, insieme ai garanti dei diritti dei detenuti, in un’apposita lettera a firma congiunta indirizzata alla Ministra Xxxxxxxx, avevo stigmatizzato il riesame della spesa dell’Amministrazione penitenziaria, e oggi ribadisco con forza la contrarietà a provvedimenti che abbiano ad oggetto la riduzione del numero dei dirigenti penitenziari, paventando, in particolare, che in quelle carceri dove è assente la titolarità della direzione possa prevalere un’organizzazione della vita dell’istituto caratterizzata in termini di contenzione. In verità, già allo stato c’è una carenza di personale direttivo, tanto in Xxxxxx-Romagna quanto su tutto il territorio nazionale, il che comporta attribuzioni plurime delle direzioni. Anche nella nostra regione è in atto l’accorpamento di più istituti sotto una direzione unica. Ciò comporta disagi per chi riveste ruolo direttivo nell’organizzare la vita dell’istituto e assicurare la fondamentale presenza all’interno. Non va dimenticato che è il direttore che svolge funzione di sintesi e di coordinamento tra le varie aree (della sicurezza, educativa, contabile) che si occupano del carcere.
Nell’attuale momento storico in cui l’Amministrazione penitenziaria si accinge ad effettuare la sua “rivoluzione normale” – così come è stata definita dal Capo Dipartimento la realizzazione dei circuiti regionali -, consistente in una razionalizzazione del sistema della detenzione per implementarne l’efficienza e l’efficacia, con un auspicato miglioramento delle iniziative trattamentali per la popolazione detenuta, appare privo di logicità un intervento orientato a privare alcuni istituti penitenziari della figura di un direttore titolare, la cui funzione fondamentale è di propulsione, controllo e coordinamento dell’istituto, venendosi così, di fatto, a rendere non attuabile la riorganizzazione”.
Xxxx Xxxxx conclude così la sua presa di posizione: “Si ritiene che il Governo, ad una manciata di giorni dal finire della legislatura, non possa ulteriormente provare un sistema penitenziario ridotto ai minimi termini, riducendo anche il numero dei direttori, ma debba prioritariamente valutare l’opportunità politica di bandire un nuovo concorso per l’assunzione di figure direttive, risalendo l’ultimo ad oltre 20 anni fa”.
(rg)
BENE L’INTRODUZIONE DELL’ISTITUTO DELLA MESSA ALLA PROVA E PENE DETENTIVE NON CARCERARIE MA SERVIRA’ AD EVITARE NUOVI INGRESSI NON A RIDURRE LE ATTUALI PRESENZE. SERVONO INSIEME AMNISTIA INDULTO E XXXXXXX.
Ristretti Orizzonti, 21 Agosto 2012
Tra le recenti proposte all’esame del Parlamento, tra cui il disegno di legge “Delega al governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili”, presentato dal ministro di Giustizia Xxxxxxxx già nel febbraio 2012, ed ancora in esame, va condiviso l’inserimento dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova, di cui si parla da