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1. Convenzioni di lottizzazione, sopravvenute esigenze pubbliche, tutela del privato, in Rivista del Notariato, 1981, 1151
CONVENZIONI DI LOTTIZZAZIONE, SOPRAVVENUTE ESIGENZE PUBBLICHE, TUTELA DEL PRIVATO (*)
(di Xxxxxx XXXXXXXX)
1. La natura giuridica delle convenzioni
Le convenzioni di lottizzazione previste nell’art. 8 della L. 6 agosto 1967, n. 756 costituiscono, come è noto, strumento urbanistico attuativo delle previsioni di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione.
Esse si pongono su un piano di alternatività con il piano particolareggiato di iniziativa comunale, differenziandosi da questo, per essere realizzazioni dell’assetto urbanistico del territorio poste in essere ad iniziativa dei privati.
La dottrina è sostanzialmente unanime nel riconoscere al piano di lottizzazione di iniziativa privata il carattere di strumento urbanistico attuativo delle previsioni di p.r.g.
In questo senso è stato affermato che:
«Nel sistema introdotto dalla L. 765/1967, la lottizzazione costituiva uno strumento urbanistico attuativo del piano regolatore generale che si presentava quale strumento alternativo rispetto al piano particolareggiato. Da ciò la dottrina più autorevole ha tratto la conclusione della sostanziale equivalenza dei due istituti, anche se, da una attenta verifica del dettato legislativo, emergono talune differenze, la principale delle quali risulta il profilo dell’iniziativa, che è pubblica per il piano particolareggiato, e privata per il piano di lottizzazione. Si può notare inoltre che (con l’eccezione delle opere di urbanizzazione secondaria), solo il piano particolareggiato può contenere progetti di opere pubbliche, determinanti la funzione, la forma e l’estensione degli impianti pubblici. E solo dalla sua approvazione, quindi consegue la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso previste. Per il piano di lottizzazione, infine, non sono previste le forme di pubblicità e le possibilità di opposizione che l’art. 15 della l. urb. Contempla per i piani particolareggiati, né una norma quale quella contenuta nell’art. 17 della medesima legge, ai sensi della quale “decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona del piano stesso”.
(*) Queste pagine riproducono il testo di un capitolo del volume Il privato e l’espropriazione, t. III, a cura di Xxxxx Xxxx e Xxxxx Xxxxxxx, di prossima pubblicazione per l’editore Xxxxxxx.
«Ma sotto altri profili il piano di lottizzazione ed il piano particolareggiato si pongono in posizione di perfetta equivalenza.
«Nel suo contenuto essenziale infatti il piano di lottizzazione integra la disciplina urbanistica, stabilita in termini generali dal piano regolatore, ed è espressione del medesimo interesse pubblico e del medesimo potere. Il legislatore ha avvertito questo carattere del piano di lottizzazione quando ha regolato, nell’art. 8 della L. 765/1967 l’attività di controllo del medesimo. Per chiari segni le norme di quell’articolo prefigurano il piano di lottizzazione, in questo surrogato del piano particolareggiato, in modo equivalente a quel piano, e lo sottopongono alle medesime forme di controllo.
«Da queste brevi considerazioni deve trarsi la conclusione che il piano di lottizzazione ha la stessa natura sostanziale dei piani regolatori, e contiene disposizioni urbanistiche di carattere non direttivo, come quelle del piano regolatore generale, bensì applicativo od esecutivo, come quelle del piano particolareggiato. Disposizioni che, derivando da uno strumento urbanistico approvato e pubblicato nei modi di legge, hanno efficacia generale e non limitata ai soggetti partecipanti alla convenzione accessoria».
BESSONE. Natura giuridica dei Piani di lottizzazione, in Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1978, pp. 240-241).
La esplicita previsione a livello normativo delle Convenzioni di lottizzazione come mezzo di attuazione degli strumenti urbanistici è stata ricostruita nei termini seguenti:
«La prima considerazione esplicita delle convenzioni – con tipicizzazione (sia pure incompleta) dei loro contenuti e con precisa finalizzazione al perseguimento di obiettivi urbanisticamente rilevanti – si ha con la L. 167/1962, che rappresentò – com’è noto – il primo passo netto sulla strada dell’intervento diretto della mano pubblica per quanto attiene all’edilizia abitativa di tipo economico o popolare. Le convenzioni stesse, questa volta sostenute da una previsione normativa primaria, dovevano, come si ricorderà, contenere l’impegno dell’edificazione in proprio, da parte dei proprietari, di case «economiche o popolari»; la legge, comunque, si preoccupava di stabilire termini o modalità di realizzazione, di predisporre i controlli e di indicare gli organi competenti a farli, ed, infine determinava le sanzioni, anche penali, per le eventuali inottemperanze.
«Le vicende della L. 167/1962 sono ben note, così come ben note sono state le modifiche apportatele in conseguenza della declaratoria di parziale illegittimità fatta dalla Corte costituzionale, investita della cognizione al riguardo. Comunque la strada era stata indicata: ed il successivo legislatore - in particolare quello del 1971 – ha proseguito sulla medesima, prevedendo tutto un sistema di intervento della mano pubblica nella materia edilizia, specie sociale, e configurando una tipologia di convenzione, prefissandone in linea astratta i possibili contenuti.
«Contemporaneamente, con l’entrata in vigore della L. 765/1967 (la cosiddetta legge ponte sull’urbanistica), lo schema delle convenzioni più propriamente urbanistiche, fino ad allora, come si diceva, fondato sulla prassi, entrava ufficialmente nel sistema così risultante, ricevendone dal legislatore una prefigurazione particolarmente impegnativa ad esempio in materia di lottizzazioni, e, cioè, come si accennava, in quel settore dell’attività edilizia urbanistica rilevante nel quale maggiore appariva lo iato tra proprietà-godimento e proprietà-
impresa. Con la legge predetta, come già si diceva, il criterio della triplice dimensione di calcolo (altezza superficie coperta e cubatura) riceveva sanzione legislativa, salve le maggiori precisazioni date mediante i noti decreti sugli standards urbanistico-edilizio; inoltre sostituendo integralmente o quasi il testo originario dell’art. 28 L. 1150/1942 e modificando le previsioni sanzionatorie contenute nel 1° comma dell’art. 41 della stessa, si delineava formalmente, a livello di normazione primaria, l’istituto della convenzione edilizia, quale mezzo ai fini dell’attuazione degli strumenti urbanistici da parte «privata» ma sotto il controllo del comune e delle autorità sovraordinate. Rinviando per specifica analisi alla dottrina specializzata, va qui ricordato che i contenuti delle convenzioni di cui al nuovo testo dell’art. 28 sono stati tipicizzati
– nelle loro linee e nei loro soggetti – e il tutto garantito anche dalla sanzione penale.
«Accanto a questa prima figura di convenzione, la prassi, peraltro, continuava e continua a ricorrere alla convenzione (o, talora, alla cosiddetta impegnativa unilaterale) anche ad altri fini; ad esempio, in via sostitutiva dell’obbligo di predisporre le c.d. opere di urbanizzazione primaria- o come modulo interpretativo e di esecuzione dell’art. 41 – sexies della legge urbanistica, il quale –com’è noto – stabiliva come standards edilizio-urbanistico inderogabile e di immediata applicazione la destinazione, nell’ipotesi di una nuova costruzione, di un ventesimo, in metri quadri, del numero di metri cubi licenziati, dell’area a parcheggio. In proposito, considerate le due disposizioni, va subito detto che – per quanto concerne il quinto comma dell’art. 31 – la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria (in quanto mancanti) costituiva un onere ai fini della legittimità del manufatto licenziato discendente direttamente dalla legge: lo strumento della convenzione o dell’impegnativa (trascritta), pertanto, aveva soprattutto carattere tuzioristico ed entro certi limiti, di garanzia di terzi aventi causa. E’ noto, peraltro, come tale onere – e la relativa impegnativa – sia stata intesa nella prassi di molte amministrazioni: e, cioè, o come traducibile in termini monetari – e, quindi, assolvibile mediante un versamento della relativa somma alle civiche amministrazioni – o come mera impegnativa “a richiesta” della civica amministrazione: ed è noto altresì come tale modo di intenderlo sia stato ritenuto erroneo dal Consiglio di Stato. Per quanto, poi, concerne l’impegnativa (trascritta o trascrivibile) di destinazione di quota parte dell’area a parcheggio, la giurisprudenza ha insegnato che, ai fini della tutela dei terzi (acquirenti dei manufatti o parti manufatti), la mancata previsione nella dichiarazione di compravendita della quota parte dell’area destinata a parcheggio era irrilevante, essendo la quota parte stessa trasferita una cumre; in ogni caso il ricorso della trascrizione ed alla impegnativa, aveva ed ha , quindi, mero significato tuzioristico, nulla innovando (salvo che la individuazione dell’area abbia il fine di superare il minimum voluto dal legislatore) per il resto.
«La linea, seguita dal legislatore con gli interventi generali del 1962 del 1967 e del 1971, oltre che con tutta una serie di interventi speciali o settoriali, viene ulteriormente scandita con la recentissima L. 10/1977, che delinea tutta una serie di ipotesi nelle quali si può o si deve fare luogo alla stipulazione di convenzioni tra «privati» ed ente comunale o, da parte di questi ultimi, ad impegnative (trascritte o trascrivibili) a favore del piano. Seguendo lo schema già adottato dal legislatore del 1971, si prevedono sanzioni a carico del «privato» per l’eventuale violazione e si indicano gli organi competenti ed i soggetti legittimati a stipulare o a formarle e se ne fissano oggetto e termini».
(Picco-Marocco, Convenzioni Urbanistiche nell’esperienza notarile e disciplina dell’edilizia, in
Convenzioni, cit., a cura di X. Xxxxxxxxxx, pp. 114 ss.).
Mediante la stipulazione di apposita convenzione con il Comune, il privato imprenditore ottiene l’autorizzazione alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico di una zona del territorio comunale, obbligandosi alla esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria e di quelle necessarie all’«allacciamento ai pubblici servizi»; si può altrimenti assumere l’obbligo di corrispondere gli oneri necessari per la realizzazione delle opere sopra indicate, obbligandosi, ancora in ogni caso , alla cessione gratuita delle aree su cui dovranno essere realizzate le opere di urbanizzazione primaria e una quota parte di quelle occorrenti per le opere di urbanizzazione secondaria.
La stipulazione della convenzione pone su di un piano di sostanziale parità le posizioni del privato lottizzante e dell’autorità comunale, stante la libera determinazione di ciascuna delle parti di addivenire o meno alla sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, quando questa si presenti come strumento di realizzazione degli interessi che muovono il privato alla conclusione dell’accordo e dell’interesse pubblico che giustifica l’operato dell’Amministrazione.
Tra gli effetti che conseguono alla stipulazione della convenzione di lottizzazione in primo luogo deve essere segnalata la configurazione, a vantaggio delle parti contraenti, di diritti soggettivi perfetti e di corrispondenti obbligazioni. La posizione di diritto soggettivo perfetto che viene riconosciuta al privato lottizzante, subordinata naturalmente alla puntuale esecuzione delle obbligazioni nascenti a suo carico a seguito della stipulazione della convenzione, comporta la conseguenza che l’autorità comunale sia vincolata ad assentire la realizzazione delle opere previste in convenzione mediante il rilascio delle autorizzazioni edificatorie.
Quasi sempre nel testo della convenzione è prevista a favore dell’autorità comunale la facoltà di pronunciare unilateralmente la decadenza del diritto di edificare a fronte di inadempimenti da parte del privato delle obbligazioni previste nel testo convenzionale.
L’esercizio di tale facoltà (che potrebbe in qualche modo assimilarsi ad una clausola risolutiva espressa) da parte dei comuni non costituisce certamente esercizio di attività discrezionale della P.A., ma incidendo sfavorevolmente su posizioni soggettive attive del privato, è sottoposto alla cognizione della autorità giudiziaria ordinaria, potendo risolversi in una possibile lesione di diritti soggettivi perfetti.
Nel senso sopra indicato si è autorevolmente espressa la Corte di Cassazione, in un caso nel quale la P.A. aveva dichiarato unilateralmente la «decadenza» del privato dai vantaggi conseguiti alla approvazione del piano di lottizzazione sulla base di un presunto inadempimento imputabile al privato steso, erroneamente qualificando il proprio provvedimento come revoca della convenzione:
«(Omissis), - Nell’esposizione dei fatti di causa si è precisato che i Comune di Venezia, con la deliberazione del 4 febbraio 1970, ha revocato l’approvazione del piano di lottizzazione (in relazione al quale aveva stipulato, con la soc. XXXXX, la convenzione edilizia 21 settembre 1966) «in quanto la SACIE non ha ottemperato a quanto stabilito dell’art. 10 della convenzione, nel quale era stabilito che le opere di urbanizzazione primaria dovevano essere iniziate entro dodici mesi dalla firma della convenzione e cioè entro il 20 settembre 1967».
E’ altresì precisato che la soc. XXXXX ha citato il Comune davanti al Tribunale di Venezia al fine di far dichiarare: a) la validità e la perdurante efficacia della convenzione edilizia; b) l’inadempimento, da parte del Comune, delle obbligazioni assunte con la convenzione, con l’affermazione del conseguente suo obbligo di risarcimento dei danni.
Questi essendo i termini della controversia la soc. SACIE deduce che, in ordine ad essa, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in quanto il Comune di Venezia ha giustificato la sua deliberazione 4 febbraio 1970 con il preteso inadempimento, da parte della SACIE, delle obbligazioni, di carattere privatistico, assunte con la convenzione, e non con l’esercizio del potere di revoca degli atti amministrativi, che è proprio della P.A. in relazione a quelle che sono le sue autonome valutazioni dell’interesse pubblico. Sostiene invece il Comune che l’attività edilizia è regolata da norme di diritto pubblico le quali attribuiscono alla P.A. determinati poteri, in ordine al cui esercizio non sono configurabili diritti soggettivi dei privati. Le convenzioni edilizie, in particolare, pur dando luogo, nei rapporti fra il Comune ed il privato, a diritti soggettivi perfetti, e, correlativamente, ad obbligazioni, costituiscono dei presupposti dei provvedimenti di approvazione dei piani di lottizzazione, sicché le questioni concernenti l’esistenza, la validità e l’efficacia delle convenzioni, la validità e l’efficacia delle convenzioni, per il loro carattere incidentale rispetto a quelle concernenti la legittimità degli atti di approvazione o di revoca di essi, sono devolute alla cognizione del giudice amministrativo.
Fondata è la tesi della soc. XXXXX, pur essendo inesatto che i diritti e le obbligazioni nascenti dalle convenzioni edilizie abbiano carattere privatistico.
Occorre premettere che, anche prima dell’entrata in vigore della L. 6 agosto 1967, n. 765 (la quale, con l’art. 8, ha reso obbligatoria la stipulazione di apposite convenzioni, tra i Comuni e i privati, ai fini delle lottizzazioni dei terreni, previste dall’art. 28 della L. 17 agosto 1942, n. 1150) gli atti di approvazione dei piani di lottizzazione erano in genere subordinati alla stipulazione di convenzioni aventi ad oggetto, da una parte, la determinazione delle caratteristiche edilizie degli insediamenti consentiti (densità edilizia, conformazione dei loti, tipologia delle costruzioni) e, dall’altra, gli oneri e gli impegni relativi all’esecuzione delle opere di urbanizzazione. I piani di lottizzazione sono infatti degli strumenti urbanistici che, nei Comuni sprovvisti di piani particolareggiati, attuano la disciplina dell’attività edilizia, anziché con provvedimenti autoritativi, con un procedimento in cui l’atto di approvazione è collegato, sia geneticamente sia funzionalmente, ad una convenzione in considerazione dell’autonomia di determinazione delle rispettive volontà, ma anche in considerazione degli effetti, i quali configurano, a vantaggio e a carico delle parti, delle posizioni correlative di diritto soggettivo perfetto e di obbligazione. Le convenzioni, pertanto, danno luogo a rapporti di carattere paritetico che, impropriamente, dalla difesa della SACIE sono stati definiti privatistici.
Occorre inoltre precisare, che dall’approvazione del piano di lottizzazione, deriva per il proprietario una particolare situazione di vantaggio (pur se condizionata all’adempimento delle
sue obbligazioni) in quanto il piano ha, per il Comune, carattere vincolante, nel senso che esso è obbligato al rilascio delle licenze edilizie relative ai singoli lotti, dovendo il Sindaco limitarsi a verificare la conformità dei progetti alle prescrizioni del piano convenzionalmente stabilite (la dottrina e la giurisprudenza amministrativa adoperano l’espressione di «prelicenza edilizia» per definire questo aspetto dei piani di lottizzazione approvati).Dal che consegue che la posizione del privato, rispetto al mantenimento di questa opposizione di vantaggio, si configura, ontologicamente, come diritto soggettivo, essendo subordinata al solo adempimento delle obbligazioni assunte (cfr., per l’analoga configurazione come diritto soggettivo della posizione del concessionario, in ordine al mantenimento della concessione: Sez. Un., 6 aprile 1970, n. 926).
Ciò premesso è da considerare che la configurabilità di diritti soggettivi perfetti, nell’ambito dei rapporti giuridici creati dalle convenzioni edilizie, non esclude la possibilità di revoca dell’atto di approvazione del piano di lottizzazione (e la conseguente degradazione ad interesse legittimo della posizione soggettiva vantata dal proprietario dell’area lottizzata) in relazione a sopravvenute esigenze pubbliche. La quale evenienza è da affermare non solo con riferimento ai normali poteri della P.A. di valutazione discrezionale del pubblico interesse, ma con particolare riferimento alla necessità che la disciplina urbanistica si adegui di continuo alle insorgenti modifiche della realtà economica, sociale e culturale (si pensi al sopravvenire di indirizzi architettonici, in contrasto con quelli precedenti, o al prevalere di nuove tecniche costruttive, suggerite dalla scienza) su cui è chiamata ad operare.
Non v’è pertanto dubbio che, allorquando il Comune revoca l’approvazione del piano di lottizzazione in considerazione delle mutate esigenze del pubblico interesse, il proprietario dell’area lottizzata può chiedere tutela soltanto al giudice amministrativo. Il potere di revoca, infatti, non può in tal caso essere negato, venendo solo in discussione la legittimità del suo esercizio in relazione ai possibili vizi dell’attività amministrativa (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge).
Nel caso di specie il Comune di Venezia ha motivato la revoca dell’approvazione del piano di lottizzazione con l’inadempimento, da parte della SACIE, delle obbligazioni assunte con la convenzione edilizia. La c.d. revoca, quindi, al di fuori di ogni riferimento alla tutela del pubblico interesse, è collegata all’accertamento di un fatto (inadempimento di determinare obbligazioni) in ordine al quale nessuna facoltà discrezionale è riconosciuta alla P.A., sicché deve, più propriamente, parlarsi di un unilaterale dichiarazione di decadenza del privato, per fatto a lui imputabile dalla posizione giuridica di vantaggio a lui assicurata dall’approvazione della lottizzazione (analogamente, nel campo delle concessioni-contratto, la citata giurisprudenza di queste Sezioni unite esclude il carattere di revoca in senso tecnico delle c.d. revoche per inadempienze del concessionario).
La stessa considerazione che questa dichiarazione unilaterale dell’Amministrazione non tende a dare alla posizione soggettiva del privato una conformazione diversa in relazione alle esigenze del pubblico interesse, ma vuole solo enunciare la naturale conseguenza di un determinato fatto giuridico (inadempimento), fa comprendere come, dall’atto della P.A., nessuna modificazione autoritativa derivi a quella posizione. Questa, pertanto, garantita come diritto soggettivo (come sopra si è chiarito) conserva intatta la sua natura, con la conseguenza che l’accertamento del suo
permanere o della sua caducazione, per effetto del dedotto inadempimento delle obbligazioni assunte con la convenzione edilizia, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (Omissis)».
(Corte di Cassazione, Sez. Un., 9 aprile 1975, n. 1283).
Si può pertanto affermare che qualora la controversia tra la P.A. ed il privato lottizzante abbia per oggetto la interpretazione delle pattuizioni contrattuali contenute nella convenzione di lottizzazione, alla P.A. non sia consentito di sottrarsi unilateralmente alla esecuzione dell’attività (vincolata) conseguente all’approvazione del piano di lottizzazione, posto che nell’ipotesi in esame non si verte in materia di attività discrezionale: ne consegue necessariamente la sottoposizione della controversia alla autorità giudiziaria ordinaria.
2. Esigenze pubbliche sopravvenute e modificazione delle convenzioni.
A diversa soluzione, invece, deve essere ricondotta la ipotesi nella quale l’autorità comunale, pur in presenza di un piano di lottizzazione convenzionata approvato ed in corso di esecuzione, ritenga di fare uso della propria podestà pubblicistica in ordine dell’assetto del territorio ed alla regolamentazione dell’attività urbanistica.
In questo caso dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che la P.A. abbia la facoltà, a fronte di sopravvenute esigenze pubbliche ovvero nel riesaminare i criteri di valutazione dell’assetto urbanistico del territorio, di sciogliersi unilateralmente dai vincoli contrattuali derivanti dalla stipulazione della convenzione di lottizzazioni, sia mediante la revoca del provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione sia attraverso a adozione di nuovi strumenti urbanistici sopraordinati al piano di lottizzazione che modifichino (o addirittura escludano) la realizzazione delle pere in esso previste.
La posizione del privato lottizzante, che abbiamo visto essere di diritto soggettivo perfetto fino a che persista il vincolo contrattuale con la P.A. è destinata ad affievolirsi in mero interesse legittimo, azionabile davanti al giudice amministrativo. La competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria risulta allora circoscritta alle ipotesi nelle quali il privato, in caso di esercizio del potere con il quale la P.A. è legittimata a sciogliersi dal vincolo contrattuale per sottrarsi agli ulteriori obblighi contrattuali che gli incombessero, ovvero agisca per ottenere dalla P.A. la ripetizione dell’indebito.
In questo senso merita di essere segnalata la seguente massima recentemente formulata dalla Corte di Cassazione:
«Le convenzioni di lottizzazione, di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, sono contratti di natura peculiare, che si inseriscono strettamente nell’ambito di un procedimento amministrativo concludentesi con l’approvazione del piano di lottizzazione e con l’emanazione delle relative licenze (o concessioni), e che lasciano integra, nonostante eventuali patti contrari, la podestà pubblicistica del Comune in materia di disciplina dell’assetto del territorio e di regolamentazione urbanistica: per effetto di tale podestà, il Comune medesimo, in relazione ad esigenze sopravvenute, ovvero all’adozione di nuovi criteri di valutazione ritenuti più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse, ha la facoltà di liberarsi dal vincolo contrattuale, anche mediante la modifica di un precedente programma di fabbricazione, la quale può implicare, con riguardo ai terreni per cui era stata prevista la lottizzazione, pure un limite assoluto di edificabilità, od un vincolo finalizzato a successiva espropriazione: qualora detta facoltà venga esercitata, le posizioni soggettive dell’altro contraente, aventi natura di diritti soggettivi fino a che persista il rapporto contrattuale, restano degradate a meri interessi legittimi, e in questa situazione, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario deve essere riconosciuta con riguardo alle pretese di quel contraente privato, le quali xxxxxx a sottrarsi ad ulteriori adempimenti di obblighi contrattuali, ovvero si ricolleghino al pregresso adempimento degli obblighi stessi, anche sotto il profilo della ripetizione d’indebito o dell’arricchimento senza causa, mentre va negata con riguardo a pretese risarcitorie fondate sulla dedotta illegittimità dello scioglimento autoritativo del vincolo contrattuale, denunciabile davanti al giudice amministrativo».
(Corte di Cassazione. Sez. Un., 25 luglio 1980, n. 4833)
3. Limiti all’intervento pubblico.
Se è vero, peraltro, che la P.A., pur avendo stipulato uno convenzione con privati per l’esecuzione di un piano di lottizzazione in una determinazione zona del territorio comunale, possa successivamente incidere sulle posizioni soggettive di vantaggio consolidare in capo ai privati, sino al punto di prevedere la totale inedificabilità della zona nella quale è in corso di esecuzione lo strumento urbanistico attuativo, da ciò non consegue, nella maniera più assoluta, che la discrezionalità della P.A. nel valutare le sopravvenute esigenze di pubblico interesse ovvero nell’adottare nuovi strumenti urbanistici non incontri precisi limiti: secondo la giurisprudenza tali limiti sono costituiti da un lato della comparazione degli interessi in conflitto e dall’altro dalla necessità di una idonea motivazione delle nuove scelte urbanistiche effettuate, motivazione che dovrà essere tanto più analitica ed esauriente quanto più ed esauriente quanto più le nuove previsioni urbanistiche adottate dall’autorità comunale si discosteranno dal contenuto delle convenzioni di lottizzazione già approvate, considerando anche lo stadio di attuazione già raggiunto dagli strumenti attuativi che la
P.A. intende modificare ovvero sopprimere.
La necessità di idonea ed adeguata motivazione della introduzione a mezzo di un nuovo Piano Regolatore Generale di prescrizioni difformi rispetto ad un piano di lottizzazione
ancora valido ed efficace risulta evidenziata nella seguente decisione di Consiglio di Stato:
«(Omissis). – Nel merito logicamente pregiudiziale è il quinto motivo di impugnazione, con cui le società ricorrenti deducono che illegittimamente il piano regolatore generale abbia dettato prescrizioni nuove e restrittive riguardo agli immobili di loro proprietà, ignorando totalmente la esistenza della lottizzazione e della convenzione edilizia intercorsa fra il Comune di Cesano Boscone e la soc. Praris, loro dante causa, in data 23 ottobre 1962.
Il motivo è fondato.
Rileva all’uopo il Collegio che con la deliberazione consiliare, emanata nella suddetta data, il Comune di Cesano Boscone approvò una zonizzazione ed un piano di vaibilità presentato dalla soc. Praris nonché una convenzione edilizia concordata fra il Sindaco e la medesima società, avente ad oggetto la esecuzione a carico di quest’ultima di varie opere di urbanizzazione (quali la costruzione di strade e piazze con relative aiuole spartitraffico, di condutture di acqua potabile e di gas metano, dell’impianto di illuminazione pubblica stradale) con l’impegno a cederle gratuitamente al Comune.
La soc. Praris si obbligava inoltre ad alineare al Comune, al prezzo di lire 1 al mq. 8.000 mq. di terreno nella zona centrale della lottizzazione da destinarsi a future opere pubbliche ed a versare allo stesso Comune lire 6.000.000 entro il giugno del 1963 per un opera di pubblica utilità nell’ambito del territorio comunale.
L’Amministrazione comunale dichiara infine di esentare dall’imposta di consumo tutte le opere di pubblica utilità eseguite nell’intero piano di lottizzazione, attesa la loro inerenza alle esigenze di pubblico interesse.
Tale deliberazione, trasmessa per il controllo tutorio alla competente Giunta provinciale amministrativa, fu da questa approvata nella seduta del 15 febbraio 1966, a condizione che i conferimenti previsti dalla convenzione edilizia fossero computati in acconto dell’imposta e dei contributi di miglioria specifica, nella ipotesi che il Comune decidette in futuro l’applicazione degli stessi ai sensi degli artt. 28 e 37 della L. 5 marzo 1963, n. 246; che le altezze degli edifici e comunque le licenze edilizie fossero in tutto conformi alla regolamentazione urbanistica vigente al momento del loro rilascio; che venisse eliminata la clausola di esenzione della imposta di consumo.
Ora, ritiene il Collegio che detta approvazione abbia comportato il pieno perfezionamento dell’iter procedimentale di formazione del piano di lottizzazione e della convenzione edilizia, secondo la normativa all’epoca operante, sia pure nei limiti derivanti dalle condizioni poste dall’organo di controllo.
La Giunta provinciale amministrativa invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del Comune non ha nella specie fatto uso del potere di cui all'art. 103 del X.X. 0 marzo 1934. n. 383: essa non ha, cioè a dire, negato o sospeso l'approvazione della deliberazione sottoposta al suo esame né ha conseguentemente invitato il Sindaco a presentare le sue controdeduzioni giusta il disposto di quell'articolo.
La Giunta provinciale amministrativa ha viceversa senz'altro approvato la deliberazione, di talché l'apposizione delle descritte condizioni non può significare altro che inserimento
autoritativo nel piano di lottizzazione e nella convenzione edilizia delle modificazioni con le condizioni medesime statuite.
Né è possibile nella presente sede porre la questione del se, attesa la natura fondamentalmente pattizia del piano e della convenzione, un tal inserimento autoritativo da parte di un mero organo di controllo fosse effettivamente legittimo. Ciò in quanto la determinazione della Giunta provinciale amministrativa fu portata regolarmente a cognizione sia del Comune sia delle società ricorrenti e né l'uno né le altre proposero avverso di essa impugnazione, onde la sua validità non può più tra le parti essere messa in discussione.
L'avvenuto perfezionamento del piano di lottizzazione e della convenzione edilizia ha d'altra parte concretizzato a carico del Comune e, più in generale, delle autorità preposte alla cura della pianificazione urbanistica comunale, una precisa situazione di vincolo già in altre occasioni esaminata da questo Consiglio di Stato (cfr. Ad. Plen., 17 maggio 1974, n. 5: Sez. V. 8 maggio 1973, n. 488), con conseguente limitazione del proprio potere discrezionale per quanto attiene la necessità di motivazione.
Questo Consiglio di Stato invero in dette occasioni ha osservato, secondo un orientamento dal quale la Sezioni non ha motivo di dissentire, che l'assoggettamento di una zona del territorio comunale alle prescrizioni di un piano di lottizzazione non impedisce la successiva formazione d emanazione di un piano regolatore generale contenente previsioni relative alla stessa zona nuove e difformi: la progressiva assimilazione del piano di lottizzazione ad un piano regolatore particolareggiato presente in varie, norme della L. 6 agosto 1967, n. 765 e a sua conseguente posizione di minorità rispetto al piano regolatore generale postulano "necessariamente che, sopravvenendo specifiche ragioni di pubblico interesse, la regolamentazione contenuta nel primo possa venir modificata in tutto o in parte dal secondo.
Regola questa che si è ritenuta operante pur con riguardo alle lottizzazioni quale quella stipulata nella specie, anteriori al 2 dicembre 1966 e pertanto fatte salve dall'art. 28, comma 8, della L. 17 agosto 1942, n. 1150 come modificato dall'art. 8 della L. 6 agosto 1967. n. 765.
Si è infatti in proposito rilevato che tale disposizione, secondo il suo letterale tenore, si limita esclusivamente a consentire la permanenza in vigore di lottizzazioni antecedenti alla suddetta data anche se prive di una complementare convenzione edilizia contenente tutti gli elementi essenziali contemplati dal comma 5 dello stesso articolo. Essa pertanto non comporta anche un loro consolidamento assoluto e definitivo tale da renderle insensibili a sopravvenute ragioni di pubblico interesse che richiedano un diverso assetto urbanistico della zona (V Sez. 8 maggio 1973, n. 488 sopra citata: cfr. sul primo punto anche Sez. II 11 novembre 1969. n. 747).
La introduzione a mezzo del piano regolatore generale di prescrizioni nuove e difformi rispetto al piano di lottizzazione deve però essere congruamente ed analiticamente motivata.
Invero nei piani di lottizzazione e nelle convenzioni edilizie sono individuabili due distinti profili; l'uno con il quale il Comune provvede a disciplinare l'assetto urbanistico di una porzione del proprio territorio: l'altro con il quale esso commette o, quanto meno, consente alla parte privata lottizzante la realizzazione in concreto dell'assetto medesimo.
Ora, non può negarsi che, atteso, anche il fondamento sostanzialmente pattizio ditali strumenti urbanistici, questo secondo profilo comporti la costituzione in capo a detta parte privata se non
di un vero e proprio diritto soggettivo (condizionato) almeno di una legittima aspettativa al completo compimento dei lavori previsti, tale da conferirle, altresì, in corrispondenza, un interesse particolarmente e specificamente qualificato al mantenimento della regolamentazione urbanistica dettata con lo stesso piano di lottizzazione.
La necessità della motivazione del sopravveniente piano regolatore generale, il quale modifichi quest'ultimo, deriva allora dal noto principio secondo cui la Pubblica amministrazione non può sfavorevolmente incidere mediante provvedimenti discrezionali su posizioni giuridiche soggettive attive, se non evidenziandone espressamente le ragioni giustificative (cfr. da ultimo: Sez. V. 28 febbraio 1975. n. 293: Sez. VI. 19 aprile 1974. n. 145: 19 ottobre 1973. n. 360).
Tale conclusione risponde del resto a manifeste finalità di correttezza amministrativa e di garanzia del sistema.
In effetti con il suo assenso, il piano di lottizzazione ed alla convenzione edilizia il Comune crea il titolo giuridico sulla cui base e nell'affidamento della cui stabilità il privato si induce ad affrontare l'impegno il più delle volte finanziariamente assai gravoso della realizzazione della opere convenute, sottostando anche all'obbligo di esecuzione dei lavori di urbanizzazione primaria e di contribuzione nella spesa di quelli di urbanizzazione secondaria (oneri entrambi previsti dalla convenzione edilizia in esame, malgrado sia stata stipulata antecedentemente all'entrata in vigore della L. 6 agosto 1967, n. 765) destinati al godimento pro indiviso dell'intera collettività. Impegno le cui prospettive economiche una qualsiasi variazione delle opere è portata a negativamente incidere se non addirittura a sconvolgere.
In tale quadro l'obbligo di motivare, e di analiticamente motivare, deve ritenersi imposto da un lato al fine di sollecitare la più accurata disamina da parte del Comune della sussistenza e della consistenza delle ragioni di pubblico interesse che richiedano la necessaria modificazione del piano di lottizzazione, e dall'altro lato al fine di assicurare al massimo grado la possibilità in sede giurisdizionale della verifica di eventuali vizi di eccesso di potere.
Poiché nella fattispecie il piano regolatore generale del 31 marzo 1972 ha mutato le prescrizioni contenute nel piano di lottizzazione approvato il 23 ottobre 1962 quanto alla densità volumetrica e quanto all'assetto viario, senza addurre all'uopo alcuna motivazione, chiara si appalesa la fondatezza dell'esaminato motivo di impugnazione. (Omissis)».
(Consiglio di Stato, Sez. IV. 11 luglio 1975. n. 688).
Tanto la giurisprudenza della Corte di Cassazione, quanto quella del Consiglio di Stato ammettono quindi la possibilità per i Comuni di modificare unilateralmente le previsioni urbanistiche contenute in piani, di lottizzazione approvati ed in corso di esecuzione, ponendo peraltro severe limitazioni all'uso ditale facoltà che deve essere adeguatamente ed analiticamente motivato sulla base di concrete esigenze di pubblico interesse che non si sottraggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
Un aspetto del problema in esame che merita di essere segnalato è stato affrontato recentemente in una pronuncia del giudice amministrativo. Il caso concreto riguardava la ammissibilità di modificazioni unilaterali da parte della P.A. degli aspetti patrimoniali
di una convenzione di lottizzazione in corso di esecuzione, sulla base della sopravvenienza della normativa in materia di pagamento di oneri di urbanizzazione contenuta nella L. 28 gennaio 1977. n. 10.
Il T.A.R. adito ha (correttamente) affermato che la convenzione di lottizzazione costituisca lo ius speciale del rapporto urbanistico-edilizio, ed è pertanto suscettibile di modifiche, nell'interesse pubblico ed a seguito di mutamento delle specifiche previsioni urbanistiche venute in rilievo alla convenzione stessa, ma non può subire mutamenti e deroghe, per quanto riguarda gli aspetti meramente patrimoniali, ad opera di una sola delle parti:
(Omissis). - DIRITTO. - «Come risulta dalle premesse di fatto, la ricorrente è proprietaria di aree situate in zona compresa in apposito piano esecutivo particolareggiato.
Tra i danti causa della ricorrente stessa ed il Comune intimato, veniva stipulato, il 12 giugno 1970, una convenzione, con la quale, in armonia con le previsioni del piano esecutivo su ricordato, delle norme di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765. ed in relazione all'interesse della città di vedere sollecitamente urbanizzata la zona in questione, destinata ad assumere il ruolo di centro-direzionale della città stessa, addossava ai medesimi, per la parte di competenza, l'onere della realizzazione delle opere di urbanizzazione, ed, in particolare, della rete principale delle strade pubbliche e dei servizi tecnologici relativi, previsti dal piano particolareggiato, costituenti l'infrastruttura fondamentale di interesse e di uso cittadino (cfr. premesse convenzione cit.).
Da parte sua, il Comune si impegnava (punto n. 11, convenzione cit.) a rilasciare, una volta che fossero state realizzate le su descritte infrastrutture essenziali, le necessarie licenze edilizie, per la edificazione delle costruzioni previste, secondo le disposizioni planivolumetriche risultanti dal ripetuto strumento urbanistico esecutivo.
La ricorrente, in forza della predetta convenzione, dopo aver adempiuto per parte sua agli obblighi assunti, concernenti le opere di urbanizzazione richiedeva, il 27 luglio 1977, il rilascio della concessione edilizia, la quale, emessa il 24 luglio 1978, veniva subordinata nella sua efficacia al pagamento della somma di lire 151.417.644 - poi ridotta a lire 139.872.950 - per oneri di urbanizzazione secondaria.
Contro le suddette determinazioni comunali, insorge in questa sede la ricorrente, con vari mezzi di gravame, contestando, in via principale, la pretesa del Comune ad ottenere la integrazione degli oneri di urbanizzazione al di là della misura concordata con la ricordata convenzione 12 giugno 1970, ed, in via subordinata, comunque, la misura della nuova contribuzione richiesta.
La prospettazione principale della ricorrente, di cui al primo motivo, con la quale vengono dedotti la violazione dell'art. 18 ultimo comma della L. 28 gennaio 1977, n. 10, ed eccesso di potere, per difetto di motivazione, appare fondata al Collegio.
Nel caso di specie, infatti, gli aspetti patrimoniali concernenti gli oneri di urbanizzazione relativi al particolare rapporto edilizio-urbanistico, istituitosi tra Comune e danti causa della ricorrente, sono stati regolamentari ed hanno trovato la loro formale sanzione nella su menzionata convenzione 18 giugno 1970, la quale, pertanto, costituisce la speciale disciplina del rapporto,
per gli aspetti ricordati, e resta, come tale, indifferente - sempre per tali aspetti - alla sopravvenienza di normative di rango primario o secondario, regolanti, in maniera diversa, gli aspetti patrimoniali considerati.
Si tratta, invero, di natura obbligatoria a carattere sinallagmatico, che non può essere derogato - sempre per gli aspetti patrimoniali ripetuti - peraltro immotivatamente, ad opera di una sola delle parti, sia essa la parte pubblica.
Mentre, infatti, non vi è dubbio che il Comune, ricorrendone gli altri presupposti, nel caso di nuova e diversa valutazione degli interessi urbanistici, oggetto della convenzione, può, senz'altro, attesa la prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato (motivatamente) unilateralmente modificare gli impegni al riguardo assunti con il privato, non pare al Collegio che un eguale potere sussista in capo al Comune, per quanto concerne la parte meramente patrimoniale dell'accordo, il quale accordo, ove non resti caducato in via riflessa, per il sopravvenuto diverso apprezzamento della parte pubblico-urbanistica e pianificatoria, vincola il Comune per il tempo stabilito e comunque, sino all'esaurirsi degli effetti propri dell'accordo stesso, salvo che non si addivenga consensualmente ad un nuovo accordo che modifichi i contenuti patrimoniali del precedente.
La convenzione costituisce, in sostanza, lo ius speciale del particolare rapporto urbanistico- edilizio, che suscettibile di modifiche, nell'interesse pubblico ed a seguito di mutamento delle specifiche previsioni urbanistiche venute in rilievo nella convenzione stessa, non può subire mutamenti e deroghe, per quanto riguarda gli aspetti meramente patrimoniali ad opera di una sola delle parti.
Nella fattispecie che ne occupa, nessun mutamento si è verificato sotto l'aspetto urbanistico, tant'è che la concessione edilizia è stata emessa il 24 luglio 1978, nel rispetto delle pregresse pattuizioni e previsioni, mentre le previsioni legislative e regolamentari concernenti gli oneri di urbanizzazione da addossare ai privati costruttori sono state modificate con L. reg. 15 aprile 1975, n. 51 (artt. 33 ss., 37), (deliberazione consiliare del 30 aprile 1975. n. 506 e successive per il Comune intimato) e L. 28 gennaio 1977. n. 10, che hanno sostanzialmente tolto ogni spazio di negoziazione ai Comuni in proposito, stabilendo parametri obiettivi e normalmente inderogabili di determinazione degli oneri in questione.
Xxxxxxx, però, il Collegio che tali nuove previsioni, sia di rango primario che secondario non riguardino i rapporti che, in precedenza, hanno trovato la loro sanzione in accordi bilaterali con i privati costruttori, proprio perché non possono, secondo il principio di carattere generale emergente dall'art. 11 delle preleggi c.c., retroagire ed interessare rapporti che, esauritisi o no, trovano, comunque, la loro fonte e disciplina in convenzioni stipulate sotto il vecchio regime, e come tali intangibili.
E del resto, una siffatta conclusione trova conforto nella disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 18 della Legge n. 10 del 1977, esattamente invocata dalla ricorrente, la quale, nel far salvi gli oneri assunti dai privati lottizzatori, con convenzioni stipulate ed approvate in precedenza, ha confermato, ed in generale, il principio della irretroattività delle nuove previsioni per quanto riguarda, ritiene il Collegio, non solo gli impegni contenuti in convenzioni lottizzate, ma tutti gli impegni, comunque assunti, sempre per gli oneri predetti, con qualsiasi convenzione
urbanistica, e, quindi, anche con una convenzione come quella qui esaminata, stipulata in forza dell'art. 31, quinto comma, della legge urbanistica n. 1150 del 1942, e successive modifiche.
Né può valere in proposito, la differenza sottolineata dal patrocinio del Comune tra convenzioni lottizzatorie e le altre, attinendo la suddetta differenza al momento strettamente urbanistico- pianificatorio ma non anche ai conseguenti oneri i da addossare al privato per la realizzazione accanto alla costruzione delle necessarie infrastrutture pubbliche.
Neppure la diversa incidenza dei suddetti oneri sul privato, nelle due diverse ipotesi su considerate, può fondare e giustificare la pretesa del Comune, perché la quota di oneri relativi alla urbanizzazione secondaria nel caso di lottizzazione viene immediatamente determinata e posta a carico del privato, mentre, nell'altra ipotesi - almeno secondo l'astratta normativa - il recupero di tale quota di oneri avrebbe dovuto essere assicurato mediante l'imposizione del contributo di miglioria specifica prima e l'imposta sullo incremento di valore sulle aree edificabili, dopo.
Ma tale diversa articolazione ed incidenza degli oneri di urbanizzazione non tocca, ad avviso dei Collegio, il regime pattizio sottostante che nell'uno e nell'altro caso assolve al ruolo di disciplina speciale del rapporto, che come tale resta indifferente alla sopravvenienza di nuove normative e, pertanto intangibile ad opera di una sola parte.
Osserva ancora il Collegio che nel caso di specie ove si fosse operato con perfetta aderenza allo schema normativo previsto dal cit. 5 comma dell'art. 31 della legge urbanistica. U rilascio della prevista autorizzazione a costruire sarebbe dovuto avvenire contestualmente all'assunzione degli impegni relativi alle opere di urbanizzazione. Se ciò non avvenne, fu per una; precisa esigenza di carattere pubblico, che indusse il Comune a garantirsi con apposita clausole (cfr. cit., punto n. 11 convenzione), che le opere di urbanizzazione venissero realizzate prima del rilascio delle autorizzazioni a costruire le previste opere di carattere privato.
Ora, la scissione temporale tra momento dell'assunzione degli impegni relativi alle opere di urbanizzazione, ex art 31, 5° comma. T.U., da parte del privato, e rilascio delle conseguenti autorizzazioni, dovuta peraltro, come sì è visto, a ragioni di pubblico interesse, non può, in contrasto con il regime pattizio perfezionato nella specie, produrre effetti negativi sul privato, con la imposizione di ulteriori e non previsti oneri in tal maniera assoggettando il particolare privato a trattamento diverso da quello normalmente riservato ad altri, che abbiano conseguito le autorizzazioni contestualmente al perfezionarsi della convenzione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, illegittimi appaiono tanto la pretesa del Comune ad assoggettare ad ulteriori oneri di urbanizzazione la ricorrente, quanto il condizionamento dell'efficacia della emessa concessione al pagamento di tali ulteriori ma non previste e non dovute contribuzioni.
La fondatezza della censura esaminata mentre dispensa il Collegio dal prendere in considerazione ogni altra questione sottoposta dalla ricorrente consente l’accoglimento del ricorso, con l'annullamento degli atti impugnati, per la parte in cui estrinsecano la pretesa dei Comune ad ottenere il pagamento della somma di lire 139.872.950, per oneri di urbanizzazione secondaria, e condizionano l'efficacia della concessione edilizia emessa il 24 luglio 1978, al pagamento della somma stessa.
Xxxxxxxxxx, nel caso, giuste ragioni per dichiarare integralmente compensate tra le parti spese di giudizio, ivi compresi gli onorari di difesa».
(T.A.R. Lombardia Sezione Brescia 23 novembre 1979 n. 371)
Il problema degli aspetti patrimoniali delle convenzioni di lottizzazione assume particolare rilevanza (specialmente) qualora l’autorità comunale ritenga di fare uso della facoltà di modificare il contenuto della Convenzione incidendo sfavorevolmente sulla posizione del privato, il quale confidando nella realizzazione dell’iniziativa edilizia concordata con il Comune può avere assunto oneri sproporzionati rispetto alla diversa volumetria edilizia realizzabile in concreto a seguito delle modificazioni adottate unilateralmente dalla P A.
E noto che il rilascio delle singole licenze (oggi concessioni) edilizie per l'esecuzione delle varie fasi di un piano di lottizzazione e subordinato alla realizzazione da parte del privato di una quota proporzionale delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (ovvero, a seguito della entrata in vigore della Legge n. 10/1977, al pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria, secondaria e del contributo sul costo di costruzione).
Può accadere pertanto che le modificazioni al piano di lottizzazione approvato introdotte unilateralmente da parte della P.A. intervengano in una fase realizzativa in cui non sussiste, per eccesso ovvero per difetto, la proporzionalità fra il volume realizzato e la corrispettiva quota parte delle opere di urbanizzazione già eseguite, od ancora (la modificazione intervenga) quando il privato pur avendo già corrisposto quota parte degli oneri afferenti le concessioni non abbia ancora realizzato la corrispettiva volumetria assentita.
Da un lato non vi è dubbio che, una volta intervenuta la modificazione unilaterale da parte della P.A., qualora la sproporzione tra volume realizzato ed opere di urbanizzazione eseguite (od oneri corrisposti) sia a vantaggio del primo, il Comune ben possa ottenere il riequilibrio delle prestazioni, eventualmente obbligando il privato all'esecuzione specifica delle opere di urbanizzazione o delle cessioni di aree cui si era obbligato mediante convenzioni; dall'altro invece non è dato individuare altrettanto chiaramente quali possano essere i mezzi di tutela degli interessi patrimoniali del privato nel caso in cui questi abbia corrisposto, oneri (o eseguito opere) di urbanizzazione in misura proporzionalmente superiore alla volumetria edificabile definitivamente determinata dalla autorità comunale.
Il richiamato squilibrio di prestazioni, cristallizzato dal provvedimento di revoca o modifica dell'autorizzazione alla lottizzazione adottato dalla P.A., propendeva per il passato a favore del privato. Il quale generalmente aveva cura di adempiere ai propri obblighi di eseguire le opere: di urbanizzazione contestualmente (se non successivamente) alla realizzazione della volumetria assentita.
Il rapporto è invece destinato a mutare a seguito della entrata in vigore della Legge n. 10/1977, la quale, ne1prevedere l'onerosità della concessione edilizia (ammettendo peraltro la parziale commutazione in opere degli oneri dovuti), subordina espressamente il rilascio della concessione stessa al previo pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del contributo sul costo di costruzione (o quanto meno della prima rata di essi, essendo consentita la rateizzazione in più soluzioni).
Può accadere pertanto che il privato avendo stipulato con il Comune apposti convenzione disciplinante l'esecuzione del' piano di Ionizzazione, ed avendo già versato al momento del rilascio delle prime concessioni edilizie (quanto meno una parte de) i contributi in denaro di cui alle apposite tabelle comunali, si trovi, all'atto della caducazione del piano di lottizzazione unilateralmente dichiarata dalla P.A. per sopravvenute esigenze di pubblico interessi in una posizione creditoria nei confronti della amministrazione comunale.
Escluso che l'esercizio della facoltà riconosciuta alla P.A. di incidere unilateralmente (e sfavorevolmente per il privato) sul contenuto di un piano di lottizzazione approvato sulla base di nuove e diverse valutazioni del pubblico interesse possa esporre la P.A. stessa alle pretese risarcitorie di danno avanzate dal privato il credito di questi nei confronti della P.A. consistente nel valore delle opere di urbanizzazione realizzate nelle aree cedute gratuitamente, negli oneri corrisposti come può essere fatto valere dal privato stesso nei confronti della P.A.?
La risposta al quesito, che è stata elaborata dalla giurisprudenza, consiste nel riconoscere al privato la facoltà di esercitare nei confronti della P.A. l'azione di ripetizione di indebito e l'azione di arricchimento senza causa.
E noto che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata a ritenere che l'azione di indebito arricchimento è ammissibile contro la pubblica amministrazione soltanto quando questa abbia riconosciuto, sia pure implicitamente, di aver tratto utilità dalle opere o dalle attività altrui.
Nel caso in esame, una volta che la P.A. utilizzi le opere di urbanizzazione eseguite dal privato e rimaste prive di causa a seguito della caducazione della potestà edificatoria cui erano correlate, non vi è dubbio che l'esercizio dell'azione di indebito arricchimento sia ammissibile nei confronti dell'autorità comunale per ottenere un (almeno parziale) ristoro delle prestazioni effettuate dal privato.
In questa prospettiva, oltre la già richiamata sentenza n. 4833 del 25 luglio 1980 della Cassazione a Sezioni Unite, si colloca la seguente decisione di un giudice di merito:
«(Omissis). - Non vi è dubbio che prima facie le convenzioni urbanistiche sembrano assumere l'aspetto e il contenuto di un contratto sinallagmatico di diritto privato con il quale il proprietario di vaste zone di terreno, al fine di ottenere una sicura e rapida utilizzazione della sua proprietà,
si obbliga ad eseguire, opere, di competenza dell'autorità comunale, ricevendo in cambio la sicurezza della concessione delle licenze edilizie.
A tale figura giuridica fa appunto riferimento la giurisprudenza meno recente che qualifica le convenzioni de qua ora come contratto di appalto di opere pubbliche (Cass. Roma. 20 giugno 1885. Giur. it. 1885. I, III,. 312; App. Genova, 28 marzo 1894. Riv. amm. 1894. 383), ora come contratto di mandato (Cass. Torino, 13 febbraio 1895, Giur. it., 1895, I. l. 625).
La natura contrattuale è ribadita anche dalla dottrina, la quale, però, distingue da un lato la vicenda pubblicistica diretta a stabilire una disciplina urbanistica, di competenza esclusiva degli organi della pubblica amministrazione che si conclude con l'adozione del provvedimento di autorizzazione, e, dall'altra, il contratto che, pur avendo per il necessario collegamento con detto provvedimento, causa od oggetto pubblico, tuttavia è regolato interamente secondo i principi del diritto privato.
L'indicata soluzione non sembra però cogliere la vera essenza del fenomeno, in quanto non tiene conto né degli interessi pubblici connessi alla disciplina urbanistica del territorio, né della funzione che, nell'ambito ditale disciplina, la convenzione adempie.
Al riguardo è opportuno premettere che le convenzioni urbanistiche hanno origini assai remote (particolarmente nota; fra l'altro, è quella del 2 marzo 1878, fra la Società per il risanamento e il Comune di Napoli avente ad oggetto la bonifica delle sezioni del Porto, Pendino, Mercato, Viceria) e la loro utilizzazione in principio fu determinante soprattutto da motivi di carattere economico.
Invero, verso la fine del secolo scorso il fenomeno dell'urbanesimo cominciò ad assumere delle proporzioni notevolissime, aumentando a dismisura i problemi di carattere organizzativo e finanziario dei Comuni, ai quali restava la sola possibilità dell'applicazione della Legge del 1865, sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Lo schema rigidamente autoritativo di detta legge, secondo il quale la realizzazione dell'interesse pubblico poteva avvenire solo con gli strumenti propri della Pubblica Ammini- strazione, come la dichiarazione di pubblica utilità e l'esproprio, si rilevò, del tutto inadeguato al momento della sua attuazione pratica. La situazione di paralisi che ne derivò diede ampio campo alle iniziative dei privati, proprietari di aree e costruttori, cioè alle lottizzazioni.
Il fenomeno ebbe inizialmente caratteristiche diverse; nelle aree situate al di fuori dei confini dei piani, nelle quali non esisteva nessuna limitazione per l'attività costruttiva, la lottizzazione nasceva da un accordo tra i proprietari delle aree con cui si procedeva a una divisione dell'area dei tetti fabbricabili, e poi venivano rivenduti ad un prezzo maggiorato in quanto comprendeva il plusvalore derivante dallo sviluppo urbano.
Nelle aree situate entro i confini dei piani, dove le ristrutturazioni o lo sviluppo dell'abitato erano strettamente legati al compimento da parte del Comune, delle opere urbanizzative, i privati si indussero a presentare dei progetti di utilizzazione delle aree, impegnandosi a cedere all'autorità comunale le aree necessarie per la creazione di tali opere pubbliche.
Lo strumento giuridico che venne usato fu il cosiddetto accordo espropriativo amichevole che interveniva tra privati lottizzanti e Comune, e che aveva la funzione fondamentale di evitare le lunghe formalità dell'espropriazione.
Da un punto di vista formale queste convenzioni servivano: solo ad assicurare le aree necessarie ai comuni, in alternativa al modo - legislativamente previsto e concettualmente più adeguato-, di acquisizione autoritativa delle aree stesse, cioè alla espropriazione per pubblica utilità.
Nella realtà, i privati si inducevano a presentare al Comune i progetti di utilizzazione e ad offrire la cessione di determinate aree per ottenere la certezza sull'assetto urbanistico e sulla concessione della licenza di costruzione.
L'accrescersi del fenomeno dello sviluppo urbanistico portò, com'è noto, alla emanazione di una lunga serie dileggi speciali, diretta a superare xxx difficoltà di attuazione della legge del 1865.
Con queste si affermò una nuova e più ampia concezione dell'urbanistica in quanto le difficoltà dei Comuni soprattutto di origine finanziaria, riscontrate nella fase dell'acquisizione autoritativa delle aree e che aveva dato luogo alla prassi delle prime e atipiche concezioni urbanistiche, si manifestarono con assai maggior evidenza quando si trattò di realizzare complessi molto più ampi di opere. Pertanto, si andò affermando una soluzione del tutto nuova rispetto a quelle precedenti: la realizzazione delle opere pubbliche ad iniziativa diretta dei privati interessati alla urbanizzazione di una determinata zona. Tale nuovo indirizzo determinò una modificazione del contenuto delle convenzioni stipulate tra Comune e privati, in quanto da strumento per la cessione delle aree, si trasformarono in mezzo con il quale si prevedeva l'obbligo dei privati di urbanizzare le aree da lottizzare.
La L. 17 agosto 1942, n. 1150, che ha disciplinato per la prima volta la materia urbanistica, tuttavia, non conteneva alcuna esplicita previsione delle convenzioni urbanistiche e ciò spinse molto spesso i Comuni alla accettazione di inadeguati progetti di lottizzazione, che contemplavano solo le opere di urbanizzazione fondamentale e ciò al fine di evitare il blocco dell'attività costruttiva e dal dover compiere interamente a proprie spese tutte le opere di urbanizzazione.
Le difficoltà determinate dalla menzionata normativa hanno indotto il legislatore, nel 1967, a dettare una più rigorosa disciplina delle lottizzazioni, che, prima di tutto, prevedesse esplicitamente e rendesse obbligatorie le convenzioni e. in secondo luogo, le sottoponesse a precise condizioni per quanto riguarda i rapporti con altri strumenti urbanistici, e soprattutto sull'assunzione da parte dei privati degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione.
Dispone, infatti. l'art. 28 della L. 6 agosto 1967. n. 765, che prima dell'approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione è vietata la lottizzazione dei terreni a scopi edilizi. Nei Comuni forniti di programma di fabbricazione e in quelli dotati di piano regolatore generale, la lottizzazione di terreni a scopo edilizio può essere autorizzata dal Comune previo nullaosta del Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche, sentita la sezione urbanistica regionale, nonché la competente Soprintendenza.
L'autorizzazione comunale precisa, poi, il comma 5° è subordinata alla stipula di una convenzione di trascriversi a cura del privato proprietario, che prevede: 1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti dalle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, nonché per quelle di urbanizzazione secondaria: 2) l'assunzione a carico del proprietario degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quinta parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione e di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità ed alle caratteristiche
degl'insediamenti delle lottizzazioni: 3) in termini non superiori ai dieci anni, entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo: 4) con le garanzie per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.
La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge, mentre il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito di singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria, relative ai lotti medesimi.
Dalle esposte considerazioni risulta evidente che, allo stato attuale della legislazione, la regolamentazione dei rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni relativi alla fissazione di una disciplina particolare attuata con la convenzione rientra in un area tipicamente pubblica più precisamente fa parte di un procedimento amministrativo che si conclude con due atti uno consensuale (stipula della convenzione, ed uno autoritario (autorizzazione), che, sebbene distinti, hanno come un'unica funzione l'approvazione di una disciplina urbanistica per una determinata zona.
In conseguenza la convenzione urbanistica deve qualificarsi come atto di sottomissione preparatorio e privo di autonomia con il quale il privato in considerazione della possibile adozione del provvedimento amministrativo, si obbliga unilateralmente ad eseguire una presta zione a contenuto patrimoniale e, quindi, rappresenta un momento del più complesso procedi- mento amministrativo di autorizzazione.
Nella disciplina delle convenzioni urbanistiche non possono pertanto riscontrarsi aspetti contrattuali ne può parlarsi di un diritto soggettivo da parte dei privati a vedere rispettate destinazioni del piano di lottizzazione come corrispettivo delle obbligazioni da esso assunte, non potendo il Comune rinunziare preventivamente al pieno e legittimo potere discrezionale in ordine a future trasformazioni alle zone urbane contemplate nella convenzione, o comunque, autolimitare in via definitiva i propri poteri nei confronti del titolare della convenzione.
La sistemazione edilizia e lo sviluppo dei centri abitati attengono, infatti, alle potestà pubbliche del Comune che deve ricercare le soluzioni più adeguate al soddisfacimento dell'interesse pubblico generale, sia poi che alla realizzazione concreta vi provveda direttamente, sia che vi provveda mediante il concorso dell'attività dei privati.
Questi, infatti possono trovare la realizzazione dei propri interessi contribuendo insieme al Comune a sistemare urbanisticamente una determinata zona di loro proprietà, ma la tutela che l'ordinamento può accordare a detti interessi è sempre subordinata alla coesistenza con l'interesse pubblico.
Se questo viene a mancare o necessita di una soluzione diversa da quella precedentemente adottata, gli interessi privati debbono essere sacrificati, con la conseguenza che il danno patrimoniale che eventualmente derivi dalla legittima adozione di un provvedimento amministrativo modificativo della situazione favorevole in cui un precedente provvedimento l'aveva posto non determina alcuna responsabilità della pubblica amministrazione per inadempimento o per fatto illecito.
In coerenza con gli esposti princìpi, poiché la disciplina urbanistica, oggetto della convenzione conclusa tra il Comune di Napoli e la s.p.a. XXXXX poteva essere legittimamente modificata in sede di adozione del nuovo piano regolatore generale, ne deriva che la società attrice non è
titolare di alcun diritto soggettivo al mantenimento della convenzione medesima, onde deve affermarsi il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sulla domanda di risoluzione nonché su quella ad essa strettamente connessa.
A diverse conclusioni deve, invece, pervenirsi per quanto attiene alla cognizione dell'azione di indebito arricchimento proposta in via subordinata.
Invero, secondo la giurisprudenza tale azione può essere proposta contro la P.A. purché questa abbia riconosciuto sia pure implicitamente o attraverso degli organi incompetenti di avere tratto delle utilità dalle opere e attività altrui.
Né al riconoscimento della giurisdizione osta la conclusione di una posizione soggettiva come tale tutelabile davanti al g.o., derivante dalla convenzione conclusa tra il Comune e la SPEME, perché è proprio l'assenza di un rapporto giuridico, dal quale derivino per le parti diritti e doveri che consente l'esercizio dell’actio de in rem verso la quale, come e noto, ha carattere sussidiario nel senso che può essere esperita solo ove non sussista altra azione particolare di cui possa servirsi chi afferma di avere subito un impoverimento senza giusta causa.
Né vale obiettare che il comportamento del Comune configura un'ipotesi di responsabilità' per atti legittimi per dedurre l'inammissibilità dell'azione ai sensi dell'art. 2042 c.c.
Invero con tale termine la dottrina comprende tutte quelle ipotesi di cui la legge autorizzando il sacrificio di un diritto individuale impone all'amministrazione l'obbligo di corrispondere una indennità al titolare del diritto sacrificato.
Per dimostrare la portata generale del principio della responsabilità per atti legittimi, si è fatto richiamo al principio del rispetto dovuto ai diritti acquisiti affermando che se è escluso che tali diritti siano sacrificati da una norma di legge a maggior ragione deve essere vietato che i medesimi siano danneggiati da un atto dell’amministrazione.
Da altri si e ricorso al principio di eguaglianza il quale vieterebbe che una o più persone determinate siano costrette a sopportare il danno per la utilità generale ed esigerebbe che tale danno fosse ripartito su tutti in quanto tutti sono partecipi dell'utilità per cui si verifica.
Una terza tendenza pone a fondamento dell'obbligo generale di indennità la norma costituzionale che impone tale obbligo come effetto generale da qualunque sacrificio imposto dall'amministrazione al patrimonio di singole persone.
Tale norma, però, non solo nella nostra ma anche in altre costituzioni, comprese quella più recente contempla soltanto il diritto di proprietà.
Pertanto in considerazione della circostanza che I istituto in esame non ha ancora trovato una adeguata collocazione sistematica sembra doversi ritenere più esatta l'opinione che esclude l'esistenza di un principio generale relativo alla responsabilità dello Stato per qualunque danno causato legittimamente.
In conseguenza, non avendo la legge previsto alcun indennizzo nell'ipotesi in cui un piano regolatore generale stabilisca nuovi coefficienti di edificatorietà in contrasto con convenzioni urbanistiche già approvate, deve ritenersi pienamente legittima, in tale ipotesi, la proposizione dell'azione di indebito arricchimento. (Omissis)».
(Trib. Napoli. Sez. i, 27 novembre 1976).
4. Le posizioni soggettive del privato.
Un ulteriore aspetto dei rapporti tra privato ed autorità comunale sul quale occorre brevemente soffermarsi riguarda la sussistenza o meno a carico del Comune dell'obbligo di rilasciare le licenze o concessioni edilizie per la esecuzione di un piano di lottizzazione convenzionata approvato preceduto da apposita convenzione urbanistica.
In altri termini il problema può essere posto nel seguente modo: deve ritenersi che il privato, una volta stipulata una convenzione di lottizzazione con il Comune, vanti un diritto soggettivo perfetto ad ottenere le promesse licenze (o concessioni) edilizie?
La risposta deve essere affermativa sia pure con la doverosa avvertenza che, qualora la
P.A. faccia motivatamente uso delle facoltà di modificare le proprie precedenti scelte urbanistiche per sopravvenute esigenze pubbliche tale diritto soggettivo è destinato ad affievolirsi nei confronti della P.A. a mero interesse legittimo.
Se non sussistono motivate esigenze pubbliche, sopravvenute, la P.A. non può sottrarsi all'obbligazione contrattualmente assunta di rilasciare le necessarie autorizzazioni edilizie al privato lottizzante che abbia correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni. Qualora la P.A. illegittimamente rifiuti il rilascio delle autorizzazioni il privato potrà, ottenere il risarcimento del danno subito.
Il problema è stato risolto nel senso sopra esposto in una recente sentenza della Corte di Cassazione, di seguito ritrascritta:
«La Corte, ecc. – SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto di citazione del 24 ottobre 1974 la s.r.l., immob. Xxxxxxxx chiamava in giudizio innanzi al Tribunale di Milano il Comune di detta città e - premesso che con convenzione del 29 dicembre 1968 aveva ceduto gratuitamente un terreno di mq. 700 al Comune, il quale si era obbligato a concederle la licenza edilizia per la costruzione di un fabbricato su un terreno limitrofo, anch'esso di sua proprietà; e che il Comune, pur avendo utilizzato il terreno cedutogli, trasformandolo in strada pubblica, non gli aveva concesso la licenza edilizia - chiedeva che il convenuto fosse dichiarato occupatore senza titolo del terreno e fosse condannato al risarcimento del danno, pari al valore del suolo, con gli interessi legali dal 29 dicembre 1968 al saldo.
Instauratosi il contraddittorio, il Comune sosteneva di avere occupato il terreno in forza della convenzione di cessione gratuita del 29 dicembre 1968, nella quale mancava ogni riferimento alla licenza edilizia sul terreno contiguo, che, concessa il 28 maggio 1968, era stata decaduta il 31 marzo 1969 per non avere iniziato la società le opere di costruzione nel termine di sei mesi stabilito dall'art. 7 del regolamento comunale edilizio; e che, successivamente, il consiglio comunale aveva adottato una variante al piano regolatore, comportante la destinazione a verde pubblico di una zona, nella quale era ricompreso il terreno interessato alla costruzione.
Con sentenza del 14 giugno 1976 il tribunale adito rigettava la domanda, ritenendo che la licenza edilizia non poteva essere condizionata alla cessione gratuita del terreno; e che causa della cessione gratuita era l'assoggettamento dell'area ad una espropriazione consensuale, atta ad evitare l'intervento autoritativo.
Su gravame della società, la Corte d'appello di Milano, con la denuncia sentenza 21 giugno-27 settembre 1977, in riforma della decisione di primo grado, ritenuto che il Comune di Milano occupava senza titolo il terreno, lo condannava al pagamento della somma di lire 9.397.381 a titolo di risarcimento dei danni, con gli interessi legali dal 29 dicembre 1968 al saldo.
Considerava la corte di merito: che la convenzione intervenuta fra le parti andava configurata come una donazione, volta a consentire al Comune, nel suo esclusivo interesse, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria; che tale donazione doveva ritenersi nulla, in quanto priva della forma richiesta ad substantiam; che il Comune, occupando il terreno senza titolo, era tenuto a restituire lo stesso; e che, non potendo provvedersi alla restituzione a causa della realizzazione dell'opera pubblica, il Comune era tenuto a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, la somma di lire 9.397.381, equivalente al valore dell'area.
Avverso tale sentenza il Comune di Milano ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso la società immob. Poligono.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — I tre motivi di ricorso, fra loro intimamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.
Con il primo il ricorrente - denunciata la violazione e la falsa applicazione dell'art. 769 c.c.: nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione—sostiene che la convenzione del 29 dicembre 1968, stipulata in relazione all'art. 10, 5° comma, L. 6 agosto 1967. n. 765, al fine di superare il divieto del rilascio della licenza edilizia in carenza delle opere di urbanizzazione primaria e di assicurare la realizzazione dell'urbanizzazione, non possa configurarsi come donazione, mancando l'animus donandi.
Con il secondo il ricorrente - denunciata la violazione dell'art. 10. 5 comma. L. 6 agosto 1967, n. 765, in relazione all'art. 24 L. urb. 17 agosto 1942, n. 1150, e degli artt. 1362 ss. c.c. - censura la decisione impugnata per aver ritenuto che il terreno fosse stato ceduto nell'interesse esclusivo del Comune, senza alcun riferimento alla costruzione da realizzare sull'area contigua, in quanto corrispettivo della cessione sarebbe stata la concessione della licenza edilizia.
Con il terzo il ricorrente denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo che la convenzione fosse volta a consentire la costruzione del fabbricato sul terreno limitrofo.
La censura, articolata nei riassunti motivi, è fondata.
La Corte d'appello ha configurato la convenzione del 29 dicembre 1968. con la quale la società Poligono ha ceduto al Comune di Milano l'area oggetto di disputa al fine di poter costruire sul terreno contiguo di sua proprietà, come una donazione (nulla per mancanza di forma), pervenendo - attraverso una non corretta interpretazione della volontà negoziale ed un inadeguato svolgimento motivazionale - alla conclusione che nella convenzione ricorressero
tutti i requisiti sostanziali di un negozio liberale (il depauperamento del donante, l'arricchimento del donatario e l'animus donandi).
La Corte del merito, nel suo orientamento, ha tratto conforto dalla decisione n. 152 del 25 maggio 1973 della Corte suprema (Foro it.. Rep. 1973, voce «Edilizia ed urbanistica», n. 441) la quale - in una fattispecie non inquadrabile nello schema paradigmatico della cessione gratuita prevista dal 5° comma dell'art. 9 L. 6 agosto 1967, n. 765 (che ha sostituito l'art. 28 L. urb. 17 agosto 1942, n. 1150), in quanto si trattava di una convenzione anteriore alla cennata previsione legislativa e non attinente alla realizzazione di opere di urbanizzazione - escludendo che potesse qualificarsi come atto a titolo oneroso l'impegno assunto con atto scritto da un privato di trasferire al Comune un'area da destinare a giardino pubblico quando non risultasse una controprestazione del Comune, non sembra utilizzabile ai fini della risoluzione della diversa fattispecie giuridica oggetto del presente dibattito giudiziale.
E poiché, nel caso di specie, la cessione dell'area da parte della società Poligono al Comune di Milano è intervenuta (pr la clausola. n. 3A della convenzione) in relazione all'art. 10, 5° comma,
L. 6 agosto 1967, n. 765, e cioè in funzione del superamento del divieto di rilasciare licenze edilizie in difetto di opere di urbanizzazione primaria e dell'obbligo del privato di assicurare la realizzazione dell'urbanizzazione, è alla luce della suddetta normativa che deve porsi il problema della qualificazione giuridica del negozio stipulato tra le parti.
Il comma 5 del cit. art. 10 prescrive che la concessione della licenza edilizia è subordinata in ogni caso all'esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione della loro attuazione entro un triennio da parte del Comune ovvero all'impegno dei privati di procedere alla loro realizzazione contemporaneamente alle costruzioni.
Nella specie, la società Poligono, che aveva ottenuto il 28 maggio 1968 la licenza edilizia, dalla quale doveva considerarsi decaduta a norma dell'art. 7 del regolamento edilizio comunale di Milano per non avere iniziato entro il semestre le opere di costruzione non potendo procedere alla edificazione per mancanza nella zona delle opere di urbanizzazione primaria (inerenti alla viabilità, al sistema idrico e fognario, all'illuminazione, ecc.) - si è impegnata alla cessione gratuita dell'area (su cui è stata realizzata la strada prevista dal piano regolatore particolareggiato) in cambio dell'assunzione dell'obbligo da parte del Comune della concessione di una nuova licenza edilizia, mai intervenuta a causa dell'adozione da parte del consiglio comunale di una variante al piano regolatore, comportante la destinazione del terreno della società a verde pubblico.
E poiché, in conseguenza di ciò, la società Poligono ha chiesto (con la domanda di risarcimento dei danni) la risoluzione della convenzione per colpa del Comune, per avere questo apportato una modifica al piano regolatore che non consente l'utilizzazione edilizia del suolo di sua proprietà, è con riferimento alla normativa dettata dagli artt. 8 e 10 L. 6 agosto 1967, n. 765 ed alla delineata situazione di fatto, che va determinata la natura giuridica della convenzione intervenuta fra le parti, al fine di stabilire la tutela accordata dall'ordinamento in ordine alle situazioni giuridiche soggettive da essa derivanti.
Il problema che, quindi, si pone - in presenza non di un animus donandi, ma dell'intento di ottenere, in corrispettivo della cessione gratuita, il rilascio di una nuova licenza edilizia - è se la convenzione, con la quale il privato procede alla cessione gratuita di un terreno al Comune al
fine di consentire a questo la realizzazione di una strada (opera di urbanizzazione primaria) e di ottenere la licenza edilizia in ordine ad un fabbricato da realizzare su un suolo contiguo nel rispetto dell'art. 10, 5° comma. Legge n. 765 del 1967 (sostitutivo dell'art. 31 Legge urbanistica
n. 1150 del 1942), debba, anziché sussumersi nell'ambito del modello negoziale della donazione, ricomprendersi nella categoria giuridica delle convenzioni urbanistiche.
Le convenzioni urbanistiche – la cui utilizzazione è stata determinata, in principi soprattutto da motivi di carattere economico - hanno origini remote (nota particolarmente è quella intervenuta il 2 marzo 1878 fra la società per il risanamento ed il Comune di Napoli per la bonifica di alcuni rioni).
Verso la fine del secolo scorso a causa degli inadeguati risultati conseguiti in virtù dell'applicazione della L. 25 giugno 1865 n. 2359 sulla espropriazione per pubblica utilità, il cui schema rigidamente autoritativo consentiva la realizzazione dell'interesse pubblico soltanto mediante l'impiego di mezzi amministrativi, il fenomeno ha assunto notevoli proporzioni.
Lo strumento giuridico prevalente usato è stato il cosiddetto accordo espropriativo amichevole, inteso ad evitare, nel procedimento ablatorio, le lungaggini dovute alle formalità dell'espropriazione.
Con tale congegno i privati cedevano determinate aree ai Comuni al fine di ottenere, oltre che la certezza sull'assetto urbanistico, la concessione della licenza di costruzione. Trattavasi di cosiddetti contratti ad oggetto pubblico, sostitutivi di (fasi di) procedimenti amministrativi.
Successivamente - di fronte alle difficoltà finanziarie dei Comuni, riscontrare nella fase: dell'acquisizione autoritativa delle aree soprattutto riguardo alla realizzazione di vasti complessi di opere pubbliche - si determinato un nuovo indirizzo inteso a porre a fianco delle convenzioni urbanistiche ordinate alla cessione delle aree convenzioni volte a trasferire l'onere di urbanizzazione ai privati interessati alla utilizzazione edilizia.
Tale opinione - pur non trovando riconoscimento da parte della L. 17 agosto 1942, n. 1150 che, disciplinando per la prima volta la materia urbanistica, non contiene alcuna esplicita previsione delle convenzioni edilizie - ha indotto il legislatore del 1967 nel predisporre il regime degli strumenti urbanistici atti a provvedere all'assetto del territorio a prevedere una particolare disciplina in ordine alle convenzioni edilizie.
Infatti, con l'art. 8, 5° comma. L. 6 agosto 1967, n. 765 si è disposto che, nei Comuni forniti di programma di fabbricazione o dotati di piano regolatore generale, l'autorizzazione della lottizzazione di terreni a scopo edilizio è subordinata alla stipula di una convenzione, che prevede la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e l'assunzione da parte del privato di oneri relativi alle opere di urbanizzazione.
Inoltre, con il 5° comma dell'art. 10 della citata legge si è stabilito - come già si è visto, che la concessione della licenza edilizia occorrente per l'attività costruttiva è in ogni caso subordinata all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione dell’attuazione delle stesse entro un triennio da parte dei Comune o «all'impegno dei privati di procedere all'attuazione delle medesime contemporaneamente alle costruzioni».
Per modo che può rilevarsi come, sia prima che dopo l'entrata in vigore della Legge urbanistica- ponte dei 6 agosto 1967. n. 765 (la quale, con l'art 8, ha sostituito l'art. 28 Legge n. 1150 del
1942 rendendo obbligatoria la stipulazione di apposite convenzioni ai fini delle lottizzazioni dei terreni e con l'art. 10 ha modificato l'art. 31 stessa legge obbligando il privato interessato alla sollecita realizzazione delle attività costruttiva a procedere direttamente all’attuazione delle opere di urbanizzazione, realizzabili altrimenti dal Comune nel triennio) dalla Convenzione edilizia stipulata al fine di fare acquisire all’ente comunale gratuitamente il terreno occorrente per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e di ottenere la concessione della licenza edilizia (non conferibile senza la preesistenza della cennata urbanizzazione), derivi al privato nei confronti del Comune, obbligato al rilascio della licenza edilizia (essendo tenuto il sindaco soltanto a verificare la conformità del progetto alle prescrizioni di piano) una situazione giuridica di vantaggio ontologicamente configurabile come diritto soggettivo (in quanto subordinata al solo adempimento dell'obbligazione assunta);
Invero, con la recente sentenza n. 1283 del 9 aprile 1975 (id., 1975, 1, 1977), le sezioni unite della Corte suprema, occupandosi per la prima volta della natura e degli effetti delle convenzioni urbanistiche, hanno ritenuto: a) che le convenzioni «danno luogo a rapporti (tra privato e amministrazione) di carattere paritetico»; b) che questi rapporti sono «posizioni correlative di diritto soggettivo ed obbligazione»; c) che il «Comune è obbligato al rilascio della licenza edilizia»
In tal modo con la citata decisione le sezioni unite - pur senza sussumere esplicitamente la convenzione nel genus contratto - hanno riconosciuto alla stessa tutte le connotazioni del negozio giuridico bilaterale.
E tale qualificazione giuridica deve ritenersi corretta, ove si consideri che nella convenzione ricorra l'incontro tra la volontà del Comune e quella del proprietario, il quale attraverso la cessione gratuita del suolo mira alla realizzazione dei presupposti materiali cui è condizionata l’autorizzazione a costruire e che l'amministrazione nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali, possa avvalersi anche di strumenti di diritto privato (in particolare, quando, come nel caso di specie, gli stessi siano previsti e regolati ex lege, al fine di coinvolgere i privati nel processo di urbanizzazione del territorio, evitando taluni oneri alla finanza comunale).
Attraverso tale convenzione, avente natura contrattuale, si consente, quindi, ai privati di concorrere alla realizzazione delle infrastrutture sociali e di assicurarsi per converso la sicurezza della concessione della licenza edilizia.
Invero, T base ad essa, il Comune è obbligato a rilasciare la licenza ad edificare lo stabile, che risulti conforme alla normativa urbanistico-edilizia del comprensorio. Ed a tale obbligazione non può corrispondere che un diritto soggettivo perfetto del privato alla (concessione della) licenza. Conseguente implicazione di ciò è che l’inadempienza del Comune dia luogo ad un illecito contrattuale, come tale produttivo di daini risarcibili. ;
Peraltro, la configurabilità di diritti soggettivi perfetti, nell'ambito dei rapporti giuridici creati dalle convenzioni edilizie, non vale ad escludere la potestà della pubblica amministrazione di variare e di modificare i programmi urbanistici, il cui esercizio viene sollecitato soprattutto dalla necessità che la disciplina urbanistica si adegui alle insorgenti trasformazioni della realtà economica sociale e culturale su cui e chiamata ad operare
E di fronte al corretto esercizio di siffatto potere amministrativo la tutela giurisdizionale, concessa al privato può ritenersi azionabile esclusivamente innanzi al giudice amministrativo.
E ciò in quanto - non potendo il Comune rinunziare preventivamente all'esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alle trasformazioni delle zone urbane ed attenendo la sistemazione edilizia e lo sviluppo urbanistico dei centri abitati alle potestà pubbliche del Comune (il quale è tenuto a ricevere le soluzioni più adeguate al soddisfacimento dell'interesse pubblico generale, sia che alla realizzazione delle infrastrutture abbia provveduto direttamente sia che a sistemare urbanisticamente la zona abbia concorso l'attività dei privati) -la tutela che l'ordinamento può accordare agli interessi dei privati è sempre subordinata alla coesistenza con l'interesse pubblico.
Per modo che, ove il soddisfacimento di questo necessiti di una soluzione diversa da quella precedentemente adottata, l'interesse privato può essere sacrificato, con la conseguenza che il danno che eventualmente derivi dalla legittima adozione di un provvedimento amministrativo modificativo della situazione favorevole originata dalla convenzione edilizia non determina alcuna responsabilità della pubblica amministrazione per inadempimento o per fatto illecito (in tal caso, al privato potrebbe essere data l'azione di indebito arricchimento).
In base alle considerazioni che precedono il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, la quale, uniformandosi ai princìpi di diritto sopra enunciati, dovrà accertare se la mancata concessione alla società Poligono della licenza edilizia sia dipesa da inadempienza del Comune o costituisca conseguenza dell'esercizio di una potestà amministrativa.
A norma dell'art. 385, 3° comma, c.p.c., al giudice di rinvio va rimessa anche la pronuncia sulle spese relative alla presente fase processuale. (Omissis).
Nello stesso senso della giurisprudenza sopra riportata si era espressa una parte della dottrina, affermando che:
«La rivalutazione dell'elemento convenzionale dei piani di lottizzazione deriva da queste stesse considerazioni di risposta alle critiche mosse alla concezione pattizia delle lottizzazioni, deriva, cioè, dal superamento del pregiudizio che l'agire dei pubblici poteri, in immediata, soddisfazione di interessi pubblici, debba svilupparsi necessariamente secondo moduli autoritativi.
La realtà economico-sociale del nostro atto - ed anche la sua storia - mostrano, invece, come l'effetto precettivo sia strettamente dipendente dall'attività dispositiva, come il programma sia determinato mediante un meccanismo convenzionale e garantito nella sua attuazione dalla puntuale corrispettività di certi obblighi (del privato verso la pubblica amministrazione e della pubblica amministrazione verso il privato). Il che peraltro non ha nulla di singolare ed anzi si inquadra nelle attuali tendenze delle pubbliche amministrazioni a “concordare "con i privati la loro azione; è diffuso il rilievo (da ultimo, Xxxxxxx, Barcellona) che, mentre la categoria del contratto sembra destinata al tramonto nel campo del diritto privato, si assiste al suo rilancio nel campo del diritto pubblico, dove non vi era l'abitudine a far ricorso ad esso, (o, per meglio dire, come proprio la materia delle convenzioni urbanistiche insegna, dove i fenomeni convenzionali
erano spesso pregiudizialmente rifiutati come inammissibili). Con i privati l'amministrazione viene a stabilire un tipo di rapporto, per il quale mentre essa discende "al livello dei privati, questi" ascendono" ad un livello superiore, in quanto partecipano "dell'azione amministrativa, ristabilendosi così fra pubblico (soggetto pubblico, interesse pubblico, agire pubblico) e privato un nuovo complesso equilibrio.
Su questa base, considero quindi esatta la sentenza della Cassazione. Sez. un., 9 aprile 1975, n. 1283, la quale ha chiaramente affermato la struttura pattizia dei piani di lottizzazione (opportunamente precisando che questo non significa che si tratti di contratti di diritto privato e che i diritti e gli obblighi nascenti da essi abbiano natura privatistica) e da tale struttura ha tratto fra l'altro la conseguenza che la convenzione crea per il Comune l'obbligo (obbligo in senso tecnico, al quale, cioè, corrisponde nel privato un diritto soggettivo perfetto) del rilascio delle, licenze edilizie relative ai singoli lotti. Si realizza, così, in modo chiaro e pulito, quella che sembrava un'ipotesi immaginata nei laboratori scolastici, l'ipotesi che l'emanazione di un atto amministrativo sia oggetto di un obbligo (in senso proprio) della pubblica amministrazione, obbligo l'inadempimento del quale è conosciuto e sanzionato (come, è poi da vedere in particolare) dal giudice ordinario. Mi pare, del resto, pienamente giustificato, ed anche equo, che prima di occuparsi di assicurare alle convenzioni di ionizzazione il massimo di efficacia nei confronti dei soggetti estranei alla loro formazione ci si occupi dell'efficacia sulle parti che le hanno concluse e si garantisca a queste il buon esito dell'affidamento che hanno riposto nello strumento prescelto».
(XXXXX, Convenzioni Urbanistiche e rapporti fra privati, in Convenzioni..., cit., pp. 46 -47).
5. Conclusioni.
Dalle brevi considerazioni sin qui svolte è possibile, senza alcuna pretesa di completezza, trarre una prima serie di conclusioni in ordine alla facoltà della P.A. di modificare (e persino annullare) unilateralmente il contenuto di convenzioni di lottizzazione stipulate con i privati ed ai mezzi offerti a questi ultimi dall'ordinamento per la tutela dei loro diritti ed interessi.
Per quanto riguarda la natura e gli effetti delle convenzioni urbanistiche può affermarsi, seguendo il recente orientamento della Corte di Cassazione (sentenza n. 1283 del 9 aprile 1975, n. 1614 dell'11 marzo 1980 sopra riportate), che le convenzioni in esame danno luogo a rapporti di carattere paritetico tra privato e pubblica amministrazione; che questi rapporti sono « posizioni correlative di diritto soggettivo ed obbligazione», e che conseguentemente "il Comune è obbligato al rilascio della licenza (concessione) edilizia "; l'inadempienza del Comune a tale obbligazione configura "un illecito contrattuale", produttivo di danni risarcibili.
Il diritto soggettivo del privato alla esecuzione di concerto con il Comune del nuovo assetto urbanistico definito nella convenzione urbanistica e nel relativo piano di ionizzazione approvato può essere sacrificato per il soddisfacimento dell'interesse
pubblico generale, non potendo il Comune rinunziare preventivamente all'esercizio del proprio potere discrezionale in ordine all'assetto urbanistico del territorio ed alla valutazione delle sopravvenute pubbliche esigenze.
La facoltà riconosciuta dalla P.A. di incidere sfavorevolmente sulle posizioni soggettive del privato trova peraltro precise limitazioni, in quanto la giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa sono concordi nei ritenere che la legittimità delle modificazioni unilaterali apportate dalla P.A. ad un piano di lottizzazione approvato (specialmente se in corso di esecuzione) è subordinata ad un preciso obbligo per la P.A. stessa di motivare analiticamente le proprie nuove determinazioni.
Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo in ordine alla sufficienza o meno delle motivazioni adottate dalla P.A. sarà tanto più severo e penetrante quanto più avanzata sarà la fase di realizzazione in cui sì trova il piano di Ionizzazione che la P.A. intende modificare c/o travolgere.
Xx in proposito ancora recentemente è stato affermato che:
«L’amministrazione comunale, nel momento in cui si determina a dare un diverso assetto al territorio interessato da lottizzazioni, deve non solo esporre la ragioni che giustificano il nuovo e diverso assetto urbanistico, ma, in relazione al sacrificio che viene imposto al privato, deve, altresì, valutare e comparare l'entità ditale sacrificio con l'interesse pubblico che le nuove previsioni urbanistiche tendono, a soddisfare».
(T.A.R. Lombardia - Sezione Brescia. 23 febbraio 1979. n. 75).,