Contract
Xxxxxxxxxx Xx Xxxxxx
Diritto alla rinegoziazione dell’appalto pubblico e riparto di giurisdizione: una passeggiata sul crinale tra diritto sostanziale e processuale
Il nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs 36 del 2023, ha generalizzato il diritto di rinegoziare il contratto d’appalto divenuto squilibrato, anche in assenza di speciali clausole di rinegoziazione. Tuttavia, se a fronte dell’istanza dell’operatore economico la stazione appaltante non adempie l’obbligazione di rinegoziare, non è chiaro dinanzi a quale plesso giurisdizionale vada esercitata la pretesa a riportare in equilibrio il contratto. Il combinato disposto degli artt. 9, 120, comma 8, d.lgs. 36 del 2023 e 133 lett. e) c.p.a. depone nel senso della giurisdizione del giudice ordinario, dal momento che l’operatore economico pregiudicato dalla sopravvenienza sembra essere titolare di un diritto soggettivo alla rinegoziazione e non di un interesse legittimo. In ogni caso, se si addiviene alla rinegoziazione in assenza delle condizioni di legge, è ragionevole riconoscere agli operatori economici precedentemente esclusi l’interesse legittimo ad impugnare la (ri)aggiudicazione (tacita) e ad ottenere il rinnovo della gara.
The new Code of Public Contracts. D.lgs. No. 36 of 2023, has generalized the right to renegotiate a public contract that has become unbalanced, even in the absence of special renegotiation clauses. However, if the contracting station fails to fulfill its obligation to renegotiate, it is unclear whether the economic operator should sue it before the administrative court or the ordinary court. The complex regulatory network narrowed by Articles 9, 120(8) of Legislative Decree No. 36 of 2023 and 133(e) c.p.a. argues in the latter sense, since the private party suffering the unfavorable contingency has a subjective right to renegotiation and not a legitimate interest. However, in the case of renegotiation in the absence of the conditions provided by law, it is possible that excluded economic operators may claim a legitimate interest at the renewal of the public procurement.
Sommario: 1. Il rapporto tra autonomia privata e contratto pubblico. – 2. Presupposti del diritto alla rinegoziazione dell’appalto pubblico secondo buona fede. – 3. Il diritto alla rinegoziazione secondo buona fede come diritto soggettivo: la giurisdizione del giudice ordinario. – 4. Inadempimento della stazione appaltante e tutele esperibili dall’appaltatore: il problema dell’esecuzione in forma specifica. – 5. Obbligo di trasparenza del RUP e interesse legittimo dei competitors.
1. Il rapporto tra autonomia privata e contratto pubblico
Il diritto alla rinegoziazione del contratto pubblico, accordato all’appaltatore dagli artt. 9 e 120, comma 8, del d.lgs 36 del 2023, e il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale
3-2024 ISSN 2724-1106
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rappresentano le più dirompenti novità del nuovo codice degli appalti pubblici1. Infatti, il rapporto tra contratto pubblico e autonomia privata è storicamente segnato da reciproca antipatia2, benché l’appalto pubblico instauri tra le parti un rapporto di lunga durata finalizzato al raggiungimento di un risultato, fisiologicamente esposto alle sopravvenienze3. Ciò nonostante, il d.lgs. 163 del 2006, agli artt. 114 e 1154, vietava, in assenza di apposite clausole di hardship5, la modificazione del contratto. Chiusa la fase dell’evidenza pubblica, non era
1 In generale, circa l’efficacia “nomogenetica” dei principi contenuti nella parte prima del nuovo codice si veda X. XXXXXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Arzano, 2023, p. 1313; X. XXXXXXX, I principi nel nuovo Codice dei contratti pubblici, artt. 1- 12, in Giur. it., 8-9-, 2023, p. 1950 ss., spec. 1960, secondo cui «[C]on la parte dedicata ai principi il nuovo Codice si impegna ad educare ad un modo diverso di condurre i contratti pubblici»; X. XXXXXXXXXX, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: i principi generali, in Giorn. dir. amm., 3, 2023, p. 287 ss.; sull’importanza di una gerarchizzazione dei principi in materia di contratti pubblici al fine di consentire all’amministrazione di individuare, senza margini di arbitrio, quale sia l’interesse prevalente nel singolo caso, L. R. PERFETTI, Sul nuovo Codice dei contratti pubblici, in Urb. app., 1, 2023, p. 5 ss., spec. 7; ID, Per una teoria dell’interesse pubblico nelle gare per l’assegnazione dei contratti pubblici, in A. Xxxxxxx (a cura di), I contratti pubblici: la difficile stabilizzazione delle regole e la dinamica degli interessi, Napoli, 2020, 143. Sull’importanza dell’art. 9 si veda invece
G. F. XXXXXXXX, Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale negli appalti pubblici, in Urb. app., 5, 2023, p. 561 ss.; X. XXXXXXXXX, La funzione nomofilattica e ordinante e i principi ispiratori del nuovo codice dei contratti pubblici, disponibile all’indirizzo xxxxx://xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx, il quale ricollega il diritto alla rinegoziazione alla garanzia costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione; P. XXXXXXXX, Rinegoziazione e rimedi manutentivi alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, disponibile all’indirizzo: xxxxx://xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.; S. VINTI, Conservazione dell’equilibrio contrattuale tra diritto e rinuncia preventiva, in Federalismi, 4 ottobre 2023, p. 240 ss., il quale si interroga sulla validità delle clausole di accettazione del rischio predisposto dalla stazione appaltante e accettate dall’appaltatore, concludendo nel senso della loro invalidità, dal momento che la rinuncia preventiva a revisionare il contratto confliggerebbe con il principio guida del nuovo codice dei contratti pubblici – quello del risultato – al quale l’art. 4 attribuisce una valenza interpretativa e applicativa, nella parte in cui impone «il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo».
2 L’art. 326 della legge n. 2248/1865 All. F prevedeva, rispetto agli appalti di lavoro, che «[P]er le opere o provviste a corpo, il prezzo convenuto è fisso e invariabile, senza che possa essere invocata dalle parti contraenti alcuna verificazione sulla misura o sul valore attribuito alla qualità di dette opere o provviste». Sull’evoluzione del rapporto tra autonomia privata e public procurement cfr. X. XXXXX, Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, in Giur. it., 8-9, 2023, p. 1975 ss..
3 Il riconoscimento all’appaltatore di un diritto alla rinegoziazione del contratto evita che il contratto di lunga durata assuma il valore di una “scommessa” sull’andamento dei costi che l’appaltatore deve sostenere per assicurare una prestazione di qualità pari a quella indicata nell’offerta tecnica (cfr. X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 67 ss.). Le basi di tale elaborazione possono rinvenirsi nella giurisprudenza nordamericana formatasi a proposito dei cc.dd. relational contracts, a partire dal celebre caso ALCOA (Aluminium Co. Of America x. Xxxxx Group), 7 aprile 1980, in Foro it., 1981, 4, c. 363 ss., nel quale la Federal District Court della Pennsylvania impose la rinegoziazione di un contratto dalla durata di sedici anni, in conseguenza dell’eccessivo aggravarsi della posizione dell’appaltatore per effetto della crisi petrolifera.
4 Per l’analisi del regime normativo delle modifiche del contratto previsto dal d.lgs. 163 del 2006 si rinvia a X. XXXXXXX, I contratti pubblici, Torino, 2012, p. 394 ss.
5 Le clausole di hardship nascono dalla prassi del commercio internazionale al fine di distribuire tra le parti il costo delle sopravvenienze. La funzione fondamentale della clausola è quella di consentire la rinegoziazione dei contratti – specialmente quelli a lungo termine – a fronte di eventi inattesi che modificano radicalmente l’equilibrio economico delle prestazioni, rendendo l’esecuzione eccessivamente onerosa (e, dunque, sconveniente) per una delle parti. In altri termini, le clausole di hardship vogliono scongiurare il rischio dell’efficient breach, il quale comprometterebbe la stessa regola di cogenza
possibile ricorrere agli strumenti dell’autonomia privata per rideterminare il contenuto del contratto. La ratio del divieto di rinegoziazione del contratto pubblico stava nella tutela della par condicio competitorum, soverchiamente compromessa dalla possibilità di modificare il contratto dopo l’esaurimento della fase dell’evidenza pubblica. Ad un primo approccio rigoristico della giurisprudenza nazionale6 ha fatto seguito quello di segno contrario della Corte di giustizia7, la quale ha aperto una prima breccia nel bastione dell’immodificabilità del contratto pubblico dopo l’aggiudicazione, alla triplice condizione che: a) si vertesse in materia di appalti aventi oggetti particolari ed aleatori; b) la possibilità di modifica sostanziale fosse stata prevista dalla legge di gara; c) fosse rispettata la parità di trattamento fra imprese attraverso la predeterminazione delle modalità applicative di tali adeguamenti.
L’esigenza di smussare il rigore della regola dell’immodificabilità del contratto pubblico è stata recepita dall’art. 106, comma 1, lett. c) del d.lgs. 50 del 2016 (nel prosieguo: vecchio codice degli appalti). La norma, costruita sul calco dell’art. 72, par. 1, lett. c) della dir. 2014/24 UE8, consentiva la modifica unilaterale del contratto, previa autorizzazione del responsabile unico del procedimento (RUP), a condizione che fosse determinata da «circostanze impreviste e imprevedibili». La necessità della previa autorizzazione del RUP, espressione del potere
dell’accordo contrattuale. Nel commercio internazionale la clausola di hardship trova applicazione in forza dell’espresso rinvio che le parti fanno ai vari testi di diritto contrattuale uniforme (per esempio, all’art. 6.2.2. dei Principi per i contratti commerciali internazionali Unidroit o all’art. 6:111 dei Principles of European Contract Law (PECL). Entrambe le norme stabiliscono che, qualora le parti non addivengano ad un accordo entro un termine ragionevole, il giudice ha facoltà di risolvere o di modificare il contratto ex officio). Peraltro, la stessa Relazione di accompagnamento al nuovo codice degli appalti non nasconde che il calco dell’art. 9 è proprio quello delle clausole di hardship del commercio internazionale. Da ultimo, sulle rinegoziazioni nel commercio internazionale v. E. XXXXX, Clausole di hardship e obbligo di rinegoziazione nei contratti internazionali, in Giur. it., 1, 2023, p. 223 ss., anche per la letteratura ivi citata.
6 Cass. civ., sez. I, 18 dicembre 2003, n. 19433; Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2003, n. 6072; Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281; Cons. Stato, sez. VI, 16 novembre 2002, n. 6004, tutte in Dejure; da ult., nel senso che l’istituto della revisione prezzi integri una “clausola anomala”, Cons. Stato, sez. III, 13 luglio 2023, n. 6847, ove si legge che «La logica del d.lgs. n. 50 del 2016, vigente al tempo dell’adozione dell’atto qui impugnato, era quella di evitare che la clausola revisionale potesse alterare in modo sostanziale il contratto riflettendosi negativamente sulla effettività delle condizioni concorrenziali della gara esperita, sicché la regola generale era il divieto di clausola revisionale salvi i casi derogatori tassativamente previsti, nei quali fosse possibile una revisione “senza una nuova procedura di affidamento”, a condizione che tale revisione non apportasse “modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro”. La norma del 2016, infatti, si raccorda al diritto dell’Unione europea che, a tutela della concorrenza, limita i meccanismi di revisione dei prezzi degli appalti pubblici per evitarne i potenziali effetti elusivi del meccanismo della gara pubblica […]. Trattandosi di norma derogatoria del principio della gara, non ne è consentita un’interpretazione analogica ed estensiva (come è del resto esplicitato dalla disposizione contenuta nel comma 6 del- l’art. 106: “Una nuova procedura d’appalto in conformità al presente codice è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia diverse da quelle previste ai commi 1 e 2”)».
7 Corte giust., 7 settembre 2016, C-549/14, Xxxx Xxxxxx, consultabile all’indirizzo: xxx.xxxxx.xx.
8 Sulla cui importanza si veda il capillare lavoro di X. XXXXXXXXXXX, Contract Modification in EU Procurement Law, Xxxxxx Xxxxx Publishing, 2021, p. 75 ss.
discrezionale della stazione appaltante9, ha indotto gli interpreti a ricostruire la posizione giuridica soggettiva del privato affidatario, colpito dalla sopravvenienza, in guisa di un interesse legittimo10 inserito in un insolito «focolaio pubblicistico» all’interno della fase esecutiva11: la revisione era infatti preceduta da un’istruttoria svolta dal RUP secondo le norme di autorganizzazione dettate dalla stazione appaltante. La revisione dei prezzi era dunque espressione del potere autoritativo di verifica dei presupposti del compenso revisionale; per converso, si attribuiva generalmente natura paritetica all’atto di riconoscimento del quantum12.
Rispetto al riparto di giurisdizione, invece, l’art. 133 lett. e), n. 2) c.p.a. assoggettava l’intera disciplina della revisione prezzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (breviter:
9 Secondo X. XXXXXX - X. XXXXXXXXX, La revisione dei prezzi negli appalti pubblici come condizione per l’attuazione del PNRR, tra principi eurounitari e vischiosità normative nazionali, in Dir. amm., 1, 2023, p. 97 ss, spec. 114, è da escludere che l’autorizzazione alla revisione del prezzo sia espressione di una potestà vincolata; infatti, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica cui è soggetta la stazione appaltante e in ottemperanza al dovere di non alterare la natura sostanziale del contratto, il RUP è chiamato non soltanto ad accertare l’esistenza dei presupposti della revisione, ma anche a ponderare – passando per un apposito modulo procedimentale attivato su istanza di parte – «un più ampio e complesso fascio di interessi pubblici e privati implicati da detta modifica oggettiva: quello (comune a entrambi i contraenti) di completare tempestivamente l’esecuzione del contratto aggiudicato; l’interesse (pubblico) al contenimento della spesa; l’interesse (pubblico) ad acquisire prestazioni di beni e servizi che non subiscano nel corso del tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta dell’impresa aggiudicataria; l’interesse (privato) dell’appaltatore a non subire un’alterazione significativa dell’equilibrio contrattuale conseguente all’eccessiva onerosità, sopravvenuta durante l’arco del rapporto, della prestazione; l’interesse (privato) dell’offerente non aggiudicatario alla corrispondenza della fase di esecuzione a quella dell’aggiudicazione con riguardo ai termini previsti dall’offerta risultata vittoriosa in sede di gara».
10 X. XXXXXXX, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Roma, 2022, p. 1067.
11 Espressione mutuata da X. XXXXXXXX-X. XXXXXXXXX, Aspetti problematici dell’esecuzione nei contratti nel prisma della nuova giurisprudenza sull’accesso civico, in Dir. econ., 2, 2020, p. 203 ss..
12 È noto che il Consiglio di Stato, sul finire degli anni ’30, superò l’equivalenza fra ricorso al g.a. e impugnazione di un provvedimento, elaborando la controversa categoria dell’atto paritetico, il quale non è espressione di potere autoritativo benché si iscriva in una vicenda di esercizio dello stesso, con conseguente giurisdizione del g.a. (per l’idea secondo cui l’atto paritetico rappresenterebbe un «espediente formale, ancorché utile per risolvere un problema reale», quale quello della giurisdizione del g.a. ad atti non provvedimentali, cfr. A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2019, p. 187; nello stesso senso, X. XXXXXXX, op. cit., p. 704; per l’imprecisione della figura e l’auspicio di un suo abbandono da parte della giurisprudenza amministrativa, X. XXXXXXX - M. XXXXXXXX, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2017, p. 43 ss.). La qualificazione dell’atto di determinazione del quantum in guisa di atto paritetico implica la devoluzione della questione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo siccome è stato superato «il tradizionale orientamento interpretativo secondo cui al giudice amministrativo spettavano le sole controversie relative all’an della pretesa alla revisione del prezzo, mentre competevano al G.O. le questioni inerenti alla quantificazione del compenso, sicché rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., in virtù di detta norma del c.p.a. (art. 133, lett. e) n. 2 – N.d.r.), ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, compreso il profilo del quantum debeatur» (cfr. T.A.R. Napoli, (Campania) sez. V, 2 ottobre 2019,
n. 4704, in Foro Amm., Il, 2019, 10, 1737; nello stesso senso, Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2009, n.13892, in Dejure).
g.a.) 13. Con l’implicazione che il privato, in caso di inerzia della stazione appaltante, poteva agire ex artt. 31, comma 3, e 117 c.p.a. per l’accertamento del silenzio-inadempimento ma non per ottenere la condanna al rilascio del provvedimento anelato, ex art. 34, lett. c) c.p.a., in ragione del divieto per il g.a. di sostituirsi all’amministrazione nello svolgimento di attività discrezionali14.
La prospettiva sembra essere profondamente mutata dopo l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti che, all’art. 9, riconosce alla parte svantaggiata dalla sopravvenienza «un diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali»; parimenti, l’art. 120, comma 8, il quale disciplina la modifica dei contratti in corso di esecuzione, a fronte dell’istanza di rinegoziazione del privato, impone al RUP di formulare «una proposta di un nuovo accordo». L’utilizzo del lessico proprio della contrattualistica induce a ritenere che, almeno rispetto alle sopravvenienze atipiche, la posizione giuridica soggettiva del privato, dopo l’entrata in vigore del nuovo codice, sia cifrabile in termini di diritto soggettivo15, con ovvie ricadute in tema di riparto di giurisdizione e di tutele a disposizione dell’aggiudicatario. Ciò non esclude che la previsione di un obbligo di rinegoziazione debba conciliarsi i principi di trasparenza e di tutela della concorrenza, rispettivamente riconosciuti dagli artt. 2 e 3 in posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto a quello di conservazione del contratto. Tale aspetto, unitamente a quello del riparto di giurisdizione, sarà oggetto di approfondimento nel prosieguo, non prima di aver analizzato i presupposti del diritto alla rinegoziazione secondo buona fede.
2. Presupposti del diritto alla rinegoziazione dell’appalto pubblico secondo buona fede.
13 Eccettuato il caso in cui in cui la clausola individui puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, cui fa da contraltare un diritto soggettivo dell’appaltatore, il quale fa valere una mera pretesa di adempimento contrattuale, come tale ricadente nell’ambito della giurisdizione ordinaria (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. un., 22 novembre 2021, n. 35952; v. anche Cons. Stato, sez. III, 07 luglio 2022, n. 565, entrambe in Dejure).
14 Sull’ineffettività del sistema di tutela avverso il silenzio-inadempimento del RUP, v. X. XXXXXX e X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 115, secondo cui in caso di inerzia, l’appaltatore può proporre un’azione giurisdizionale avverso il silenzio-inadempimento, tuttavia il g.a. non può pronunciare sulla specifica pretesa dedotta in giudizio, ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a., trattandosi di attività discrezionale dell’amministrazione rispetto alla quale sono necessari adempimenti istruttori.
15 Come opportunamente colto da X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 298 ss., secondo cui «il diritto alla rinegoziazione è riconosciuto per legge […] anche a prescindere da una specifica pattuizione ed è sempre tutelabile mediante il ricorso alla determinazione equitativa da parte del giudice ordinario»; nello stesso senso anche P. PATATINI, op. cit., p. 13, la quale xxxxxx nella possibilità accordata dalla norma di rivolgersi al giudice per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario il passaggio da un potere discrezionale di rinegoziazione ad un suo obbligo a rinegoziare il contratto. Si sbilancia a favore della configurabilità di un diritto soggettivo alla rinegoziazione, non diverso da quello che l’art. 1664 c.c. accorda all’appaltatore privato, anche X. XXXXX, op. cit., p. 1980, ancora, più di recente, nel senso della sussistenza di un diritto soggettivo alla rinegoziazione, X. XXXXXXX XXXXXX, Il Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale negli appalti pubblici, in www.giustizia- xxxxxxxxxxxxxx.xx, 2024, p. 21.
Gli studi del secolo scorso in tema di effetti giuridici delle sopravvenienze hanno determinato il passaggio dall’impostazione più tradizionale del problema, legata principalmente ad una visione strutturale del fenomeno contrattuale e incline, quindi, a valorizzare il dato volontaristico16, a quella funzionale e più dinamica che accorda preminenza alla questione del rischio contrattuale17; questione certamente presente in tutti i contratti a prestazioni corrispettive e, in particolare, in quelli di durata. Sicché oggi il rapporto tra alea economica del contratto e rapporti di durata si legge, principalmente, in chiave di analisi economica del diritto, come problema di allocazione tra le parti del rischio di interferenze da sopravvenienza18. A differenza della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, il diritto alla rinegoziazione del contratto pubblico è un rimedio manutentivo inteso a ripristinare l’originario equilibrio del contratto, ripartendo tra le parti il costo della sopravvenienza. Infatti, è appena il caso di osservare che l’effetto demolitorio conseguente alla risoluzione del contratto assai raramente corrisponde all’interesse delle parti quando queste hanno sostenuto costi non ripetibili, come
16 L’impostazione volontaristica è riconducibile agli studi del Windscheid, il quale fu il primo a sistematizzare l’istituto della presupposizione come divergenza fra quanto espressamente pattuito dai contraenti e quanto implicitamente assunto come contenuto del regolamento contrattuale. Nella nostra dottrina il primo autorevole approfondimento del tema risale agli studi dell’OSTI, La così detta clausola «rebus sic stantibus» nel suo sviluppo storico, in Riv. dir. civ., 1912, p. 1 ss., nonché ID, Appunti per una teoria della sopravvenienza, in Riv. dir. civ., 1913, p. 471 ss., al quale si deve la costruzione concettuale che fa leva sulla “volontà marginale”, ossia sull’accordo che non sia stato tradotto in precetto negoziale, rimasto dunque “a margine” della stipulazione e ciononostante diretto nella mente dei contraenti a individuare il valore economico obiettivo della prestazione. Peraltro, la dottrina della presupposizione trovò esplicita formulazione nell’art. 22 del progetto italo-francese di unificazione del diritto delle obbligazioni e dei contratti, secondo cui: «se le obbligazioni di uno dei contraenti sono del tutto sproporzionate ai vantaggi che egli trae dal contratto e alla prestazione dell’altro contraente di maniera che, secondo le circostanze, xxxxx presumersi che il suo consenso non sia stato sufficientemente libero, il giudice può, su domanda della parte lesa, annullare il contratto o ridurre l’obbligazione». Tale concezione, oggi invero superata (v. infra nel testo), sopravvive nell’esperienza giuridica sanmarinese, nella quale è ricorrente l’idea per cui il contratto è implicitamente soggetto alla clausola rebus sic stantibus, come attestato da V. PIERFELICI, Lineamenti di diritto civile sanmarinese, San Marino, 2022, p. 455 ss.. Per una ricostruzione del dibattito sulle sopravvenienze contrattuali nel secolo scorso, si veda il recente contributo di G. XXXXXX, Sopravvenienze contrattuali, inesigibilità della prestazione e rimedi: linee di una vicenda, in Riv. dir. civ., 5, 2023, p. 884.
17 Il cambio di prospettiva è segnato dall’intuizione del NICOLÒ, voce «Alea», in Enc. del dir., 1958, I, Milano, p. 1026, secondo cui «[B]isogna esaminare se il tipo di contratto posto in essere, per il suo contenuto e per la sua funzione, non implichi di per sé che al momento del suo perfezionamento vi sia o vi debba essere la consapevolezza delle parti di affrontare un certo margine di rischio, collegato appunto all’eventuale verificarsi di situazioni di fatto e di vicende, economiche o di altra natura, che normalmente, o per lo meno non eccezionalmente, incidono sullo svolgimento di quel singolo tipo di rapporto e influiscono sul risultato economico che le parti vogliono conseguire».
18 X. XXXXX, Analisi economica del diritto, in Introduzione al diritto comparato, III, Torino, 2017, p. 80; X. XXXXXXX, Xxxxxxx contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 1, 2002, p. 63 ss., spec. 84; per la dottrina nordamericana, che si è occupata diffusamente del problema, sia sufficiente in questa sede un rinvio a X. XXXXXX e A. XXXXXXXXXX, Impossibility and Related Doctrines in Contract Law: An Economic Analysis, in J. Legal Studies, 6 1977, p. 90 ss..
quelli istruttori o di scelta del contraente19. Se ne trae l’implicazione per cui la conservazione dell’equilibrio contrattuale attraverso il rimedio della rinegoziazione secondo buona fede in luogo della risoluzione ex art. 1467 c.c., da un lato, vuole evitare che i costi non ripetibili dell’evidenza pubblica siano traslati sulla collettività, dall’altro, che l’aggiudicatario, per far fronte all’aumento dei costi legati alla sopravvenienza, esegua una prestazione qualitativamente diversa rispetto a quella indicata nell’offerta tecnica, in potenziale pregiudizio dell’interesse pubblico20. Talché, a differenza del rimedio previsto dall’art. 1467 c.c., la rinegoziazione secondo buona fede non alloca il rischio della sopravvenienza sul solo contrante non pregiudicato, il quale rischia di perdere il contratto, bensì lo ripartisce tra le parti secondo una logica cooperativa21, diretta a massimizzare, nonostante la sopravvenienza, l’utilità marginale ritraibile dal contratto medesimo. Negli ultimi tempi, complice l’emergenza sanitaria e i focolai di guerra, il legislatore ha introdotto fattispecie tipiche di rinegoziazione del contratto22, le quali, al pari dall’art. 9 del nuovo codice degli appalti, comprimono lo spazio
19 Secondo X. XXXXX, Il contratto, Milano, 2011, p. 967, la risoluzione è «inidonea nei casi in cui il contratto serve a realizzare operazioni di lunga durata, tecnicamente complesse ed economicamente impegnative che – una volta avviate – sono difficilmente reversibili».
20 X. XXXXX, op. cit., p. 1979, il quale opportunamente declina il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale come attuazione del principio del risultato di cui all’art. 1, in quanto è interesse dell’amministrazione «giungere comunque alla realizzazione dell’opera o all’acquisizione dei beni o dei servizi per i quali la stessa si è determinata a procedere con l’appalto e, di conseguenza, è necessario eliminare tutte le rigidità che, a fronte di una situazione imprevedibile, conducono necessariamente alla risoluzione anziché alla rimodulazione del contratto». La stessa Commissione Speciale, 12 ottobre 2001, costituita in seno al Consiglio di Stato per rendere parere circa la legittimità della prassi delle stazioni appaltanti di “rinegoziare al ribasso” ha affermato che «quel che invece deve innanzitutto venire in rilievo al riguardo è il possibile peggioramento del servizio o della qualità del prodotto fornito in quanto in linea di fatto – come è noto – l’impresa aggiudicataria dovrebbe in qualche modo «scaricare» lo sconto ulteriore effettuato nei confronti dell’Amministrazione [...]».
21 Nel senso che in ogni rapporto obbligatorio si innestano doveri di collaborazione, cfr. E. BETTI, Prolegomeni: funzione economica sociale dei rapporti di obbligazione, Milano, Xxxxxxx, 1954, p. 13, secondo cui «Il rapporto obbligatorio non è fine a se stesso, ma è strumento ad un fine di convivenza e questo fine rappresenta l’appagamento di un interesse del creditore alla cooperazione del debitore. Il contenuto economico sociale del diritto di obbligazione è, infatti, l’interesse ad una prestazione altrui, un interesse destinato a realizzarsi attraverso un comportamento del debitore, attraverso la sua cooperazione».
22 Il riferimento è, senza pretesa di completezza, alle seguenti novità normative: la rinegoziazione del mutuo ipotecario acceso sulla “prima casa” con il beneficio dell’esdebitazione del debitore esecutato, prevista dall’art. 41-bis, del d.l. n. 124 del 2019; l’art. 6-novies del d.l. n. 41 del 2021 a proposito della ricontrattazione delle locazioni commerciali durante il periodo di emergenza sanitaria (su cui si veda l’approfondimento di X. XXXXXXX, Contratto di locazione: sopravvenienze e modificazione del canone, in Giur. it., 1, 2023, p. 229 ss.); l’art. 10, comma 2, del d.l. 118 del 2021, che ha esplicitamente introdotto la possibilità per l’imprenditore, la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, di invocare la rideterminazione del contenuto dei contratti in corso (sul tema v. A. XXXXXXX, La rinegoziazione dei contratti di durata nelle crisi d’impresa, in Giur. it., 1, 2023, p. 239 ss.); l’art. 17, comma 5, del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, il quale prevede che l’esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute (cfr. X. XXXXXXX, La composizione negoziata della crisi e dell’insolvenza del debitore, in Contratti, 1, 2022, p. 5
applicativo della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, conformemente al generale favor ordinamentale per i rimedi manutentivi o di adeguamento del contratto23. Benché producano effetti diversi, i due rimedi condividono i medesimi presupposti: l’art. 9 chiarisce che la sopravvenienza è rilevante purché sia «straordinaria e imprevedibile», non diversamente dall’art. 1467 c.c.; inoltre, la norma sancisce, con formula sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui all’art. 1467, comma 2, c.c., che la sopravvenienza deve determinare «un’alterazione rilevante dell’equilibrio originario del contratto», non riconducibile alla «normale alea» dello stesso, alla ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato24. L’affinità fra i presupposti della rinegoziazione secondo buona fede e della risoluzione per eccessività sopravvenuta depone nel senso che la posizione giuridica soggettiva dell’aggiudicatario colpito dalla sopravvenienza sia qualificabile in termini di diritto soggettivo. Altri indici di carattere testuale confortano la bontà dell’impostazione in discorso.
ss.). Tra i moltissimi interventi della letteratura legati alle conseguenze della pandemia sui rapporti contrattuali si segnalano:
G. ALPA, Note in margine agli effetti della pandemia sui contratti di durata, in Nuova Giur. Comm., 2020, p. 57 ss..; X. XXXXX, Contratto, rinegoziazione, adeguamento – emergenza Covid e revisione del contratto, in Giur. It., 2020, p. 2439 ss.; X. XXXXXXX, Sopravvenienze e rimedi al tempo del ‘‘Coronavirus’’: interesse individuale e solidarietà, in Contratti, 2020, p. 129 ss..; X. XXXXXXXX, Contratto e Xxxxx, in Foro it., 3, 2021, c. 74 ss., spec. 80, ove si nega che gli interventi settoriali in tema di rinegoziazione dei contratti iniqui legittimino, in via di analogia legis o iuris, la deduzione di un generale principio di rinegoziazione del contratto divenuto squilibrato; contra A. SCARPA, Gli spazi dell’equità nel contesto del Covid-19, ivi, c. 89 ss., il quale stilla dagli artt. 1374 e 1375 c.c. un generale obbligo di rinegoziare il contratto inciso dalle sopravvenienze atipiche, peraltro passibile, ove inadempiuto, di esecuzione in forma specifica. Per l’incidenza dell’emergenza sanitaria sui contratti pubblici si veda X. XXXXXXX, Le sopravvenienze nelle concessioni e contratti pubblici di durata nel diritto dell’emergenza, in Urb. e app., 5, 2020, p. 641 ss.; in tema di accordi amministrativi, cfr. X. XXXXXXXXXX, L’obbligo di rinegoziazione degli accordi amministrativi. Due modelli a confronto, in Dir. econ., 1, 2022, p. 343 ss.; nonché X. XXXXXX-P- PANTALONE, op. cit., p. 123 ss..
23 La stessa Relazione di accompagnamento al d.lgs. 36 del 2023 sottolinea che con l’articolo in questione «viene introdotto un rimedio manutentivo del contratto, maggiormente conforme all’interesse dei contraenti – e dell’amministrazione in particolare – in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c.».
24 Si avverte l’eco di quell’impostazione dottrinale secondo cui l’«alea normale del contratto» dipende non solo dal tipo contrattuale, giacché ogni tipo sottende un diverso piano di ripartizione dei rischi fra i contraenti, bensì anche dall’apprezzamento di ogni dato personalizzante che concorra a disegnare il piano di ripartizione dei rischi concretamente divisato dai contraenti, come la specifica congiuntura di mercato in cui il singolo contratto si inserisce (cfr. X. XXXXX, op. cit.,
p. 953; X. XXXXXXX, Manuale sistematico di diritto civile, Roma, 2021, p. 1502). Inoltre, la formulazione letterale del nuovo art. 9 riprende quanto affermato da Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2022, n. 11635 laddove evidenzia che «[G]li istituti volti al riequilibrio del sinallagma contrattuale non assumono affatto come obiettivo l’azzeramento del rischio di impresa, connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi, dovendosi fare riferimento non già ad aumenti di costi di fattori della produzione prevedibili – anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale – nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, bensì al fatto di aver fornito la prova “rigorosa”, non circa il maggior costo sostenuto rispetto a quello ipotizzato in sede di offerta, ma in merito alla sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nei costi».
3. Il diritto alla rinegoziazione secondo buona fede come diritto soggettivo: la giurisdizione del giudice ordinario.
L’art. 9 allude al «diritto alla rinegoziazione» e non all’interesse legittimo dell’aggiudicatario all’esercizio di un potere ripristinatorio dell’equilibrio del contratto. Benché il solo argomento letterale non sia dirimente25, non può negarsi che il legislatore collocando il diritto alla rinegoziazione a valle del procedimento di evidenza pubblica e, dunque, in un momento successivo alla stipulazione del contratto26, abbia cifrato la posizione dell’appaltatore – il quale, non a caso, è definito dallo stesso art. 9, comma 3, «contraente» – come diritto soggettivo. Allo stesso modo, non va sottovalutato il tenore letterale dell’art. 133 lett. e) c.p.a., il quale, al n. 1) devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a. le (sole) controversie relative alle procedure di affidamento, con esclusione di quelle che si pongono a valle della fase dell’evidenza pubblica; inoltre, il successivo n. 2) attribuisce al g.a. le (sole) controversie relative ai provvedimenti applicativi delle clausole di adeguamento dei prezzi ex art. 133, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 163 del 2006. Non può recarsi in dubbio che il rinvio al vecchio codice degli appalti abbia natura non ricettizia27 e, dunque, vada inteso alle corrispondenti norme del d.lgs. 36 del 2023, ossia all’art. 60 che regola la clausola di revisione prezzi inserita nei documenti di gara. L’attivazione di tale clausola è rimessa, al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 120, all’esercizio di un potere unilaterale dell’amministrazione come comprovato dall’utilizzo del termine «provvedimento» da parte dell’art. 133 lett. e), n. 2), c.p.a., cui fa da contraltare un interesse legittimo del privato. Infatti, l’art. 120, comma 13, prevede che le
25 È noto, infatti, che il legislatore utilizza con una certa promiscuità i termini «diritto» e «interesse legittimo». L’esempio forse più noto è quello del diritto di accesso regolato dall’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo, il quale, a dispetto del tenore letterale della disposizione, ha caratura di interesse legittimo procedimentale in ragione della situazione di potere in capo all’amministrazione tenuta all’ostensione, il cui mancato esercizio è sanzionabile nelle forme previste dagli artt. 31 e 116 c.p.a.. Ciò nonostante, l’art. 133 c.p.a. lett. a) n. 6) riconduce le controversie in materia di accesso alla giurisdizione esclusiva del g.a., con ciò avallando la tesi che lo configura come diritto soggettivo. La querelle è stata sopita da Cons. Stato, ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7, la quale, senza prendere posizione circa la natura dell’accesso, ne ha evidenziato il carattere strumentale e funzionale alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti. L’utilità sottesa al diritto di accesso non è in re ipsa, bensì è collegata al bene della vita finale che l’istante intende tutelare. Talché, la qualificazione della pretesa ostensiva in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo è irrilevante, atteso che la sua eventuale lesione non incide direttamente sulla sfera giuridica dell’istante, ripercuotendosi su di essa solo indirettamente nella misura in cui comporti una menomazione nella tutela della situazione giuridica finale (cfr. X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 902; X. XXXXXXX, Manuale sistematico di diritto amministrativo, cit., p. 797).
26 Sul tema si veda X. XXXXXX, Giurisdizione, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS, V, Milano, 2019, p. 592. Anche la giurisprudenza è concorde nel ritenere che lo spartiacque tra giurisdizione del g.a. e quella del giudice ordinario sia di norma segnato dalla stipula del contratto (cfr. Cons. Stato, ad. plen. 30 luglio 2008, n. 9, in Dejure), dal momento che nella fase di esecuzione le parti operano su un piano di sostanziale parità e sono titolari di diritti e obblighi sui quali si riespande la competenza generale che l’art. 102 Cost. riconosce al giudice ordinario.
27 Così P. PATATINI, op. cit., p. 9.
modifiche e le varianti applicative delle clausole di revisione prezzi debbano essere autorizzate dal RUP all’esito di un subprocedimento disciplinato dalle norme dell’ordinamento della stazione appaltante. Pertanto, un’interpretazione a contrario dell’art. 133 lett. e), n. 2), x.x.x. xxxxxxx il convincimento per cui, fuori dall’ipotesi di adeguamento del contratto in applicazione della clausola del bando di revisione prezzi, il privato, a fronte delle sopravvenienze considerate dall’art. 9, è titolare di un diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario (breviter: g.o.). Inoltre, l’esperienza giurisprudenziale antecedente all’entrata in vigore del nuovo codice suffraga l’idea per cui spetta al g.o. decidere sulle controversie aventi ad oggetto la rinegoziazione del contratto di appalto; infatti, l’amministrazione non dispone di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto ed è, dunque, in posizione di parità rispetto all’aggiudicatario28.
L’opposta tesi ritiene, invece, che l’amministrazione sia titolare di un potere discrezionale che dialoga con l’interesse legittimo dell’appaltatore colpito dalla sopravvenienza, dal momento che la rinegoziazione, ai sensi dell’art. 9, comma 1, cpv., deve avvenire nei limiti delle risorse economiche stanziate dalla Stazione appaltante al momento della programmazione dell’intervento; talché, l’amministrazione sarebbe tenuta ad una attività di ponderazione dei diversi interessi coinvolti nella vicenda procedimentale, tra cui l’interesse legittimo pretensivo dell’affidatario alla rinegoziazione del contratto29. L’argomento prova troppo e finisce per confondere la discrezionalità amministrativa con la funzionalizzazione dell’attività iure privatorum dell’amministrazione a fini di interesse pubblico. Invero, l’azione amministrativa, anche quando espressa attraverso moduli non autoritativi, è diretta al perseguimento dell’interesse pubblico30; infatti, la garanzia costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, unitamente alle sue declinazioni di settore, si riferisce all’amministrazione- apparato, non già all’amministrazione-potere31. In altri termini, l’impiego di moduli privatistici non esonera l’amministrazione dal perseguimento dell’interesse pubblico32. Una cosa è la discrezionalità amministrativa, altra la funzionalizzazione dell’attività amministrativa di diritto
28 Cfr. Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1937.
29 G. F. NICODEMO, op. cit., p. 569.
30 In tal senso, con particolare riguardo all’attività iure privatorum della pubblica amministrazione nel settore degli appalti pubblici, X. XXXXXXXX, L’esecuzione del contratto, in Autorità e consenso nei contratti pubblici, Torino, 2017, p. 150.
31 Così X. XXXXXXX, ult. op. cit., p. 429.
32 In tal senso, VILLATA - M. XXXXXXXX, op. cit., p. 95, secondo cui «del tutto vaga risulta, infatti, l’affermazione in base alla quale l’amministrazione nell’esercizio del suo potere discrezionale debba perseguire l’interesse pubblico, il quale si pone come misura di valore della decisione discrezionale. Del resto, tutta l’attività amministrativa, sia quella provvedimentale, sia quella negoziale, è funzionalizzata». Non a caso, l’art. 8 del nuovo codice degli appalti prevede che l’autonomia privata delle stazioni appaltanti è funzionalizzata al perseguimento delle finalità istituzionali, con ciò avallando l’idea secondo cui anche l’attività di diritto privato è preordinata al soddisfacimento del superiore interesse della collettività.
privato al perseguimento dell’interesse pubblico33. Il presupposto della discrezionalità amministrativa è l’esercizio di un potere autoritativo: senza potere non può esservi vera discrezionalità. La tesi in esame finisce dunque per inferire la sussistenza di un potere discrezionale dalla compresenza di limiti di carattere economico al diritto alla rinegoziazione, non considerando che l’art. 120, comma 8, ricostruisce la posizione dell’amministrazione, a fronte dell’istanza di rinegoziazione dell’operatore economico, in termini di «obbligo», dizione, quest’ultima, del tutto incompatibile con la pretesa situazione di potere in capo all’amministrazione34.
Non deve poi stupire la “procedimentalizzazione” della rinegoziazione di cui all’art. 120, comma 8; infatti, atteso che l’azione amministrativa, quantunque condotta secondo moduli privatistici, deve tendere alla realizzazione dell’interesse pubblico, la previsione di finestre partecipative e di termini per lo svolgimento delle trattative è coerente con la logica della
«massima tempestività» di cui all’art. 1 del nuovo codice. Pertanto, la ricostruzione dell’art. 9 in termini di norma di azione, nella misura in cui stabilisce limiti, economie e finalità della rinegoziazione, non pare sufficientemente avallata dal dato normativo.
4.Inadempimento della stazione appaltante e tutele esperibili dall’appaltatore: il problema dell’esecuzione in forma specifica.
La ricostruzione del diritto alla rinegoziazione in guisa di diritto soggettivo influisce sul ventaglio di tutele, esperibili dinanzi al g.o., a disposizione dell’operatore economico in caso di inerzia dell’amministrazione. Esclusa l’azione contro il silenzio-inadempimento di cui agli artt. 31, comma 3, e 117 c.p.a., l’art. 120, comma 8, sancisce che il RUP, ricevuta la richiesta di rinegoziazione, debba formulare una proposta di un nuovo accordo entro un termine non superiore a tre mesi, il cui decorso è fonte di responsabilità per l’amministrazione. Benché il decorso del termine integri un inadempimento qualificato, non pare che l’operatore economico possa agire contro la stazione appaltante per la risoluzione del contratto ex art.
33 Secondo la classica definizione del XXXXXXXX, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e Problemi, Milano, 1939, p. 77, la discrezionalità amministrativa consiste in una comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi, pubblici e privati coinvolti in una vicenda di esercizio del potere, in maniera tale che ciascuno di essi «sia soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene che abbia nella fattispecie».
34 Come già notato da X. XXXXXXXXX, Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale nel nuovo Codice dei contratti pubblici: prime osservazioni, in I principi nel codice dei contratti pubblici, Firenze, 2023, p. 120; negli stessi termini, X. XXXXXX e
X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 130. La correlazione tra diritto alla rinegoziazione dell’appaltatore e obbligo dell’amministrazione di trattare secondo buona fede, ritraibile dall’intreccio degli artt. 9 e 120, comma 8, riporta alla mente la nota definizione del PUGLIESE, Actio e diritto subbiettivo, Milano, 1939, p. 60, del diritto soggettivo come «particolare situazione di preminenza di un soggetto di diritto rispetto ad uno o a tutti gli altri relativamente a un determinato bene della vita, quale risulta da un obbligo gravante sui secondi nei confronti ed in favore del primo, ed avente per oggetto quel bene».
1453 c.c. siccome la caducazione del contratto violerebbe al contempo i principi del risultato e della conservazione del contratto pubblico, di cui agli artt. 1 e 9 del nuovo codice. Se si ammettesse il rimedio della risoluzione, per una sorta di eterogenesi dei fini, uno strumento di carattere manutentivo, come la rinegoziazione del contratto, finirebbe per operare in guisa di un rimedio caducatorio, in spregio allo spirito della riforma. Pertanto, il riferimento alla responsabilità di cui all’art. 120, comma 8, va più correttamente inteso come alla responsabilità precontrattuale per violazione dell’obbligo di buona fede in fase di trattativa, ex art. 1337 c.c.. Per giunta, è ragionevole supporre che il risarcimento del danno dovrà essere pari all’interesse positivo differenziale35: il giudice, ai fini della quantificazione del danno, sarà tenuto ad effettuare un giudizio prognostico di carattere ipotetico, volto a ricostruire quale sarebbe stato il contenuto del contratto qualora l’amministrazione non avesse posto in essere la condotta scorretta. Peraltro, l’attività di quantificazione è facilitata dalla circostanza che l’art. 9 fissi un price-cap agli oneri sostenibili in sede di rinegoziazione36; talché, il risarcimento dell’interesse positivo differenziale non potrà mai eccedere il valore delle somme indicate nel quadro economico di intervento alle voci «imprevisti e accantonamenti».
Non è escluso che oltre al rimedio di carattere risarcitorio l’appaltatore possa domandare, in caso di inadempimento dell’amministrazione, l’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., del contratto adeguato. Nonostante si tenda a negare la possibilità in forma specifica l’obbligo di rinegoziare37, in ragione della ontologica differenza tra obbligo di rinegoziare e obbligo di contrarre, nel particolare contesto degli appalti pubblici pare sostenibile una diversa tesi che, in applicazione dei principi del risultato e della conservazione del contratto pubblico,
35 Su cui si veda X. XXXXX, op. cit., p. 179 ss.; X. XXXXXXX, Manuale sistematico di diritto civile, cit., p. 1206.
36 Cfr. supra § 3.
37 Cfr. X. XXXXXXX, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, in Contr. impr., 1, 2016, p. 179 ss., secondo cui «l’art. 2932 si riferisce ad un obbligo a contrarre e non ad un obbligo a trattare, come l’obbligo di rinegoziazione in cui non si prevede l’obbligo di dar vita ad un contratto definitivo avente un certo contenuto. Il discorso vale sia per le clausole di rinegoziazione che prevedano il mero obbligo di iniziare la trattativa sia per quelle che dettano criteri sufficientemente specifici e tali da consentire l’emissione di una sentenza costitutiva che esegua in forma specifica l'obbligo di contrarre. L’obbligo a rinegoziare è altro dall’obbligo a contrarre che presuppone un contenuto contrattuale di riferimento»; X. XXXXXXX, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004, p. 81; contra A. FICI, Il contratto “incompleto”, Torino, 2005, p. 209 ss.; nonché S. XXXXX, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, in Contratti, 7, 2012, p. 572 ss., spec. 582, il quale ritiene possibile praticare «un’interpretazione evolutiva della norma sull’esecuzione in forma specifica – soprattutto alla luce del fatto che l’intervento del giudice rappresenta un elemento ineliminabile per conferire effettività all’obbligo di rinegoziare». Nello stesso cfr. la Relazione tematica dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione dell’8 luglio 2020, n. 56, Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti- Covid 19, p. 27, ove si legge che il ricorso all’art. 2932 c.c. per attuare l’obbligo inadempiuto di rinegoziare non è così avventato quando «le variate circostanze attengono ai costi indispensabili ad eseguire la prestazione, l’adattamento del contratto può condursi attraverso una rimodulazione delle modalità attuative della prestazione o mediante una revisione al rialzo dei costi con incremento del prezzo finale in ambito contrattuale e concorsuale».
riconosca al giudice un vero e proprio potere sostitutivo dell’autonomia negoziale delle parti. La valorizzazione del quadro economico come limite quantitativo del diritto al riequilibrio del contratto, di cui all’art. 9, gli conferisce una particolare rilevanza esterna in quanto esso diventa un parametro estremamente rilevante per l’appaltatore, al fine di conoscere quale sia lo spazio di adeguamento delle proprie pretese in caso di eventi straordinari ed imprevedibili38. Il quadro economico, da mero atto interno, assurge a dignità di elemento la cui conoscenza da parte dell’operatore economico è necessaria per formulare un’offerta di modificazione congrua e informata al RUP; al contempo, le voci «imprevisti e accantonamenti» del quadro economico, segnando il limite di valore massimo entro cui il RUP può accogliere la proposta di rinegoziazione formulata dall’appaltatore, forniscono al giudice un utile parametro per l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’art. 2932 c.c.. Più precisamente, la valorizzazione del quadro economico contenuta nell’art. 9, supporta l’idea per cui l’appaltatore vanti un diritto potestativo alla modificazione del contratto nei limiti delle risorse indicate nel quadro economico. Pertanto, la sentenza costitutiva del giudice non creerebbe il precetto negoziale sostitutivo di quello divenuto squilibrato a causa delle interferenze da sopravvenienza, bensì adeguerebbe il corrispettivo dovuto all’appaltatore nei limiti tracciati dall’art. 939. Inoltre, la stessa Relazione di accompagnamento al nuovo codice, nella parte in cui lega il diritto alla rinegoziazione dell’appalto pubblico alle “suggestioni” provenienti dagli strumenti di soft law40, induce a ritenere che l’inerzia della pubblica amministrazione, a fronte dell’istanza dell’appaltatore, sia sanzionabile con il rimedio di cui all’art. 2932 c.c..
Tale soluzione non è poi così eversiva se si considera che l’impossibilità di adeguamento giudiziale del contratto incentiverebbe l’appaltatore, in base a valutazioni di opportunità, ad eseguire una prestazione di qualità inferiore rispetto a quella indicata nell’offerta tecnica, in grave pregiudizio dell’interesse pubblico. Tale esito, potenzialmente pregiudizievole del principio del risultato, nella parte in cui impone alle stazioni appaltanti di assicurare il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo dell’opera pubblica, dovrebbe indurre gli interpreti a
38 Così X. XXXXX, op. cit., p. 1983.
39 L’idea espressa nel testo fa eco a quanto anzitempo affermato da A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 667, spec. 714, secondo cui «altro è che quei criteri siano concretamente dettati, ancorché bisognosi di ricognizione, applicazione, e al caso qualche sviluppo e integrazione; altro è che le parti (come spesso accade nella prassi) dettino solo vaghe clausole generali di equità, buona fede, proporzionalità, appropriatezza, e simili. Le osservazioni appena spese si riferiscono al primo caso. Il giudice potrà qui intervenire coercitivamente, anche con poteri di integrazione marginale, alla stessa stregua di quanto si ammette per la determinazione ai sensi dell’art. 2932 c.c. del contratto definitivo».
40 Si allude, in particolare, alle clausole di hardship di cui ai Principi Unidroit e ai PECL (supra nota n. 3), i quali rispettivamente, agli artt. 6.2.3. e 6: 111, prevedono la possibilità per il giudice di sostituirsi all’autonomia privata in caso di fallimento delle trattative.
caldeggiare una lettura funzionalizzata e “smussata” dei limiti del rimedio di cui all’art. 2932 c.c..
5. Obbligo di trasparenza del RUP e interesse legittimo dei competitors.
Xxxxxxxx, non è escluso che nella vicenda negoziale sottesa alla rinegoziazione del contratto di appalto divenuto squilibrato possano innestarsi posizioni di interesse legittimo di altri operatori economici. L’art. 120, comma 14, prevede l’obbligo di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, a cura della stazione appaltante, delle modifiche del contratto avvenute nelle ipotesi di cui al comma 1, lettere b) e c). Inoltre, il comma 15 prevede che il RUP abbia l’obbligo di comunicare e trasmettere all’ANAC tutte le modifiche apportate ai contratti in corso, la cui inosservanza è fonte di sanzioni amministrative pecuniarie ex art. 222, comma 13. Tali disposizioni sono pratica declinazione dei principi di trasparenza e di “par condicio competitorum”, la cui violazione consente alle imprese non aggiudicatarie o addirittura estranee alla gara di agire dinanzi al g.a.41. Infatti, se mancano i presupposti dell’art. 120 e vi è comunque stata una modifica contrattuale (sostanziale) senza nuova gara, si verifica di fatto un affidamento diretto illegittimo, la cui contestazione, pur attenendo ad una vicenda esecutiva, rientra nel contenzioso sulle procedure di affidamento di spettanza della giurisdizione esclusiva del g.a.42, siccome l’operatore economico ricorrente vanta un interesse strumentale alla corretta esplicazione delle condizioni concorrenziali di accesso alla gara43.
41 Cfr. Cass. civ., 10 gennaio 2013, n. 477 secondo cui la scelta di ricorrere a trattativa privata per l’affidamento di un servizio è sindacabile sotto il profilo dei presupposti che legittimano la stazione appaltante ad adottare tale procedura in luogo di quelle più confacenti ai principi comunitari di apertura del mercato delle commesse pubbliche, con l’implicazione che l’impugnazione avverso la decisione potrebbe essere esperita da tutti gli operatori economici appartenenti al settore cui si riferisce il contratto stipulando, ritenendosi tale appartenenza idonea a differenziarne la posizione giuridica sostanziale rispetto a quella del quivis de populo; v. anche Cass. civ., sez. un., 31 ottobre 2019, n. 28211 ove si legge che «la domanda con cui il terzo titolare di posizione differenziata […], contestando la sussistenza dei presupposti per la modifica o variazione del contratto durante il periodo di efficacia, previsti dall'art. 106, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 50 del 2016, invochi l’annullamento o la declaratoria di inefficacia degli atti amministrativi con cui la P.A. committente abbia ampliato l’oggetto dello stesso in favore dell’aggiudicatario, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, venendo in rilievo, non già una questione relativa all'esecuzione del contratto […], né una questione di invalidità del contratto per vizi del procedimento di evidenza pubblica, bensì l’illegittima decisione dell'ente committente di procedere all'affidamento diretto dei lavori o servizi aggiuntivi in favore dell'aggiudicatario, senza indire un’ulteriore gara d’appalto, così ledendo l’interesse legittimo del terzo a partecipare a tale gara».
42 Così R. DE NICTOLIS, Il processo in materia di appalti pubblici, in Codice del processo amministrativo commentato, Milano, 2023, p. 2008, secondo cui, pur consistendo la rinegoziazione in una trattativa pura tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario, essa può comunque tradursi in una violazione delle regole dell’evidenza pubblica, denunciabile in giudizio dai controinteressati, i quali, lamentando l’utilizzo della rinegoziazione in luogo della gara, devono agire dinanzi al g.a. ai sensi dell’art. 133 lett. e) c.p.a..
43 Nel senso che si tratti di un interesse strumentale alla caducazione dell’atto di affidamento diretto della commessa e all’attivazione di una vera e propria procedura di evidenza pubblica, X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 1338; sulla tutelabilità degli
L’impugnazione dovrà dunque essere diretta contro il provvedimento amministrativo implicito di aggiudicazione di un nuovo contratto pubblico44, emanato in violazione delle regole dell’evidenza pubblica, entro il termine semestrale decorrente dalla stipulazione del contratto previsto dall’art. 120, comma 3, c.p.a.
L’impossibilità di ricorrere al g.a. decorsi sei mesi dalla rinegoziazione del contratto che non ha avuto alcuna pubblicità45, non esclude che il g.o. possa adeguatamente tutelare gli interessi degli operatori economici esclusi. In caso contrario si indulgerebbe forse a riconoscere al fatto compiuto un’importanza eccessiva; nella logica del bilanciamento tra l’interesse alla celere esecuzione dell’opera e il principio di trasparenza dell’azione amministrativa, strumentale al diritto alla parità di accesso alle commesse pubbliche, maturata la preclusione prevista dall’art. 120, comma 3, c.p.a., l’ordinamento deve riconoscere agli operatori economici pregiudicati una qualche forma di tutela giurisdizionale. Talché, per fugare dubbi di costituzionalità, la decadenza semestrale andrebbe intesa come mera preclusione dell’azione dinanzi al giudice amministrativo e non come decadenza da ogni forma di tutela giurisdizionale avverso l’aggiudicazione illegittima46. A tale ricostruzione non osta il dettato dell’art. 133 lett. e) c.p.a. che qualifica in subiecta materia la giurisdizione del g.a. come “esclusiva”, giacché essa attiene alla fase antecedente alla stipula ovvero a quella dell’evidenza pubblica, non già al rapporto contrattuale. Non sembra, dunque, inibito al g.o. disapplicare incidentalmente l’aggiudicazione implicita, emessa in violazione dei presupposti di cui all’art. 120 del d.lgs. 36 del 2023, anche oltre il termine semestrale di decadenza.
interessi strumentali in guisa di posizioni giuridiche di vantaggio allorquando la violazione dei primi possa incidere sul bene della vita finale anelato dal privato, F.G. SCOCA, L’interesse legittimo, Torino, 2017, p. 230 ss..
44 La giurisprudenza amministrativa propende per l’ammissibilità del provvedimento amministrativo implicito, a condizione che: a) esista, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell'azione amministrativa; b) la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo; c) non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme; d) dal comportamento si desuma in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento di necessaria implicazione tra atto implicito e atto presupponente; e) che, in ogni caso, emergano e factis gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 589; Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019,
n. 5822; T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 15 marzo 2023, n. 658; T.A.R. Firenze, (Toscana) sez. II, 12 luglio 2023, n. 701, tutte in Dejure).
45 Osserva opportunamente F. XXXXXXXXX, Tratti peculiari del rito speciale in materia di appalti, in Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx, Torino, 2012, p. 1030 ss., che l’art. 120, comma 3, c.p.a. infrange un principio consolidato nel nostro ordinamento processuale, secondo cui in assenza di idonee forme di comunicazione/notificazione/pubblicazione dei provvedimenti amministrativi «è la piena conoscenza a costituire il parametro di riferimento per calcolare i termini per proporre ricorso al avanti al giudice».
46 Così M. FRACANZANI, Il rito in materia di contratti pubblici, in Diritto processuale amministrativo, diretto da G. P. Xxxxxxx, Milano, 2017, p. 1196 ss.
Passando ai rimedi esperibili, l’imprenditore, venuto a conoscenza oltre il termine semestrale della rinegoziazione pratica in assenza dei presupposti di legge, potrà domandare al g.o. l’accertamento della nullità del contratto d’appalto pubblico concluso nonostante la violazione delle regole imperative dell’evidenza pubblica47, fermo restando il diritto al risarcimento del danno per perdita di chances.
Pertanto, la giurisdizione sulle vicende modificative del contratto spetta al g.o. quando l’inadempimento dell’obbligo di rinegoziare viene contestato dall’appaltatore, mentre spetterà al g.a. qualora il terzo estraneo rispetto al contratto, titolare di un interesse strumentale al rifacimento della gara, contesti la violazione dei presupposti previsti dagli artt.
9 e 120, lamentando un affidamento diretto della commessa pubblica fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge48. Infine, esigenze di effettività della tutela giurisdizionale impongono di riconoscere la giurisdizione del g.o. una volta decorso il termine di decadenza semestrale dalla sottoscrizione del contratto rinegoziato in assenza dei presupposti, fattuali e pubblicitari, previsti dall’art. 120.
Xxxxxxxxxx Xx Xxxxxx Xxxxxxxxxx
47 Per la sussistenza della giurisdizione del g.o. rispetto alle controversie in materia di nullità contrattuale, Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2017, n. 2482.
48 Sulla legittimazione del terzo non aggiudicatario, cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2003, n. 4167, in Dir. proc. amm., 4, 2004,
p. 1160 ss., con nota di A. XXXXX, Rinegoziazione del contratto dopo l’aggiudicazione e riparto di giurisdizione.