SCUOLA INTERNAZIONALE DI DOTTORATO IN FORMAZIONE DELLA PERSONA E DIRITTO DEL MERCATO DEL LAVORO XXVII CICLO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO
SCUOLA INTERNAZIONALE DI DOTTORATO IN FORMAZIONE DELLA PERSONA E DIRITTO DEL MERCATO DEL LAVORO XXVII CICLO
MOBILITÀ ENDOAZIENDALE, CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E PROSPETTIVE PER LA FLESSIBILIZZAZIONE DEL SISTEMA
Relatore Dottorando
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Dott. ssa Xxxxxx Xxxxx
INDICE – SOMMARIO
Abstract 4
Capitolo I
LA MOBILITÀ MANSIONALE
1.1 Mansioni, qualifica, categoria nella regolamentazione normativa 8
1.1.1 Il concetto di categoria 10
1.2 L’equivalenza delle mansioni 13
1.2.1 L’irriducibilità della retribuzione 21
1.3 Il demansionamento 23
1.3.1 I casi ammessi dall’ordinamento 24
1.3.2 Le tutele a disposizione del lavoratore 30
1.4 Le mansioni superiori 32
1.5 Cenni sul pubblico impiego 39
Capitolo II
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA DI SETTORE
2.1 II ruolo della contrattazione collettiva 43
2.1.1 Ricostruzione storica 46
2.1.2 Il linguaggio e le categorie concettuali utilizzate dalla contrattazione: i sistemi di classificazione inquadramento 49
2.2 La valorizzazione delle competenze trasversali nei sistemi di classificazione 55
2.2.1 Il C.C.N.L. Chimici 56
2.2.2 Il C.C.N.L. Energia Petrolio 63
2.3 Contrattazione collettiva e contributo alla disciplina della mobilità 66
2.3.1 La mobilità orizzontale 66
2.3.2 Le mansioni promiscue 68
2.3.3 Il passaggio a mansioni superiori 71
2.3.4 L’adibizione a mansioni inferiori 73
Capitolo III
L’APPROCCIO AZIENDALE ALLA MOBILITÀ
Parte I
LA CONTRATTAZIONE AZIENDALE
3.I.1 Il ruolo della contrattazione aziendale 75
3.I.2 Contrattazione aziendale e sistemi di inquadramento 75
3.I.3 Contrattazione aziendale e disciplina della mobilità 83
3.I.4 L’accordo Fiat del 29 dicembre 2010 89
3.I.5 Le intese di prossimità sottoscritte ex art. 8, l. n. 148/2011 91
Parte II
LE PROCEDURE INTERNE ALL’IMPRESA
3.II.1 La struttura organizzativa di un’impresa 101
3.II.1.1 Mansioni, posizioni e ruoli nelle discipline organizzative 104
3.II.2 Analisi e progettazione delle posizioni 106
3.II.2.1 I processi di valutazione 109
3.II.2.2 Lo sviluppo del personale 112
Capitolo IV PROSPETTIVE DI FLESSIBILIZZAZIONE
4.1 Il dibattito legato all’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori 115
4.2 L’esperienza del codice semplificato Ichino-Tiraboschi 120
4.3 Attuali prospettive di riforma 124
4.4 Considerazioni conclusive 127
4.4.1 I sistemi di classificazione ed inquadramento 127
4.4.2 La mansione e il concetto di equivalenza 129
4.4.3 Il demansionamento 131
Literature Review 135
Bibliografia 179
Abstract
Il tema della presente trattazione è la mobilità mansionale del lavoratore, materia disciplinata nell’ordinamento italiano principalmente dall’art. 2103 c.c., come modificato, da ultimo, dall’articolo 13, legge 5 maggio 1970, n. 300. Lo scopo dell’elaborato è ricostruire i profili giuridici, dottrinali e giurisprudenziali in materia, al fine di evidenziare le linee direttrici nell’ambito delle quali possano essere formulate proposte effettive di riforma di questa norma, tali da soddisfare le esigenze che l’evoluzione del contesto sociale ed economico ha generato in capo alle aziende, flessibilizzando il regime delle tutele previsto per il prestatore di lavoro.
La prima parte dell’analisi (capitolo 1) ha ad oggetto la disciplina legislativa. La disamina si concentra in primo luogo sulla norma del codice civile, la quale prevede il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, la possibilità di attuare interventi di mobilità orizzontale nell’area della equivalenza fra le mansioni, il diritto all’inquadramento alle mansioni superiori che il lavoratore abbia successivamente acquisito ed il divieto di attuare interventi di mobilità verso mansioni inferiori. Il quadro delle disposizioni a presidio della materia è completato dall’analisi dell’art. 96 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, che prevede che il lavoratore debba essere messo a conoscenza della qualifica e della categoria assegnata in relazione alle mansioni cui è adibito, e dell’art. 2095 c.c., da ultimo modificato dalla legge n. 190/85, che ha disposto la divisione dei lavoratori nella categorie legali degli operai, degli impiegati, dei quadri e dei dirigenti. L’ultimo intervento esaminato è costituito dall’art. 8, legge 14 settembre 2011 n. 148, che ha concesso la facoltà alla contrattazione collettiva cd “di prossimità” di prevedere, nel rispetto di determinate condizioni, deroghe alla disciplina legislativa in tema di mobilità e di sistemi di classificazione ed inquadramento dei lavoratori, definiti dalla contrattazione collettiva di settore.
La parte centrale della trattazione (capitoli 2 e 3) è dedicata all’analisi delle norme previste dalla contrattazione collettiva settoriale ed aziendale ed è funzionale a sottolineare il contributo dei sistemi di classificazione ed inquadramento del personale per l’evoluzione dei concetti cardine della materia della mobilità.
Il primo fra questi concetti è quello di mansione, ormai avvicinato nei suoi contenuti alla nozione di ruolo o posizione professionale. La definizione di mansione quale insieme di compiti cui il lavoratore è adibito non è più sufficiente a descrivere i tasselli nei quali può essere scomposto il lavoro, nella moderna concezione organizzativa. L’attuale contesto economico e sociale è infatti profondamente mutato rispetto agli anni in cui il sistema codicistico è stato concepito ed i metodi di organizzazione del lavoro si sono evoluti abbandonando l’assetto di matrice fordista che li caratterizzava. La mansione è pertanto arricchita di ulteriori elementi che sfuggono alla definizione giuridica, quali le competenze trasversali che il lavoratore possiede e il presidio che questi esercita sul ruolo organizzativo che occupa. La maggior parte dei contratti aziendali analizzati ed alcuni contratti collettivi di settore – quali il CCNL del Settore Chimico o del Settore Energia e Petrolio – valorizzano gli elementi sopra richiamati, nell’ottica di definire un concetto di mansione in chiave di polivalenza e polifunzionalità.
Direttamente collegata all’evoluzione del concetto di mansione è la necessità di ripensare le modalità di intervento in ambito di mobilità orizzontale in quanto il principio di equivalenza, pur in considerazione dell’opera di interpretazione ed adeguamento effettuata dalla giurisprudenza, non può più assolvere alla funzione che sin ora gli è stata affidata dal sistema.
Ulteriori elementi di rilievo che emergono dallo studio della contrattazione collettiva riguardano il superamento del concetto di categoria legale e la funzione stessa della mobilità, la quale viene concepita come risorsa a disposizione dell’azienda in ottica di reazione alla crisi economica ed ai mutamenti tecnologici e di sviluppo della professionalità del lavoratore.
Con riferimento agli interventi di mobilità diversi dalla mobilità orizzontale le parti sociali si sono generalmente limitate a riproporre nei testi contrattuali i contenuti della norma di legge, sostanzialmente perché l’art. 2103 c.c. non prevede spazi di operatività per la contrattazione, sancendo espressamente la nullità dei patti contrari al disposto della norma. Anche la contrattazione in deroga ammessa dall’art. 8, legge 14 settembre 2011 n. 148, non ha visto uno sviluppo di rilievo e pertanto l’opera di interpretazione e – per certi versi di innovazione – in questi ambiti è stata effettuata esclusivamente dalla giurisprudenza.
Ci si riferisce soprattutto agli orientamenti giurisprudenziali che hanno stabilito la legittimità di patti di declassamento del lavoratore in determinati casi quali la richiesta dello stesso lavoratore, dovuta essenzialmente a motivi di salute e l’ammissibilità del demansionamento in alternativa alla risoluzione del rapporto a causa di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o in ragione del consenso del dipendente.
L’ultima parte dell’analisi (capitolo 4) si concentra sull’attuale dibattito in ordine alla riforma della disciplina della mobilità con cenni alla legge delega di riforma sul Jobs Act, approvata nel mese di dicembre 2014, nonché sulla rilevazione dei dati emergenti dall’analisi compiuta. Alla luce di questi ultimi si ritiene che una riforma che permettesse al quadro legislativo di adeguarsi all’attuale contesto economico non sarebbe caratterizzata da un atteggiamento di rottura con il sistema preesistente qualora si muovesse nel senso di recepire i risultati cui sono pervenute la contrattazione collettiva e la giurisprudenza.
Sarebbe conseguentemente possibile una modifica dell’art. 2103 c.c. che sancisse la legittimità dell’adibizione a mansioni inferiori nei casi che già la giurisprudenza – sebbene con orientamenti non sempre univoci – ritiene ammissibili. Verrebbe introdotta, in questo modo, una modulazione delle tutele a disposizione del lavoratore la cui compatibilità con la protezione di tutti i diritti fondamentali in gioco è stata già accertata dai Giudici, ma il sistema ne guadagnerebbe in termini di certezza del diritto.
Con riferimento ai sistemi di classificazione ed inquadramento una efficace riforma della materia potrebbe accogliere i risultati del processo già timidamente iniziato a livello di contrattazione collettiva, operando in primo luogo su quei concetti – quali la mansione o la categoria legale – ormai fortemente rimodulati ad opera delle parti sociali.
La delineazione dell’ambito di legittimità della mobilità orizzontale dovrebbe, infine, essere di esclusivo dominio della stessa contrattazione, stante la complessità dei moderni metodi di organizzazione del lavoro che esigono la valorizzazione del singolo contesto aziendale e, conseguentemente, dell’equivalenza convenzionale.
Capitolo 1
La mobilità mansionale
Sommario: 1.1 Mansioni, qualifica, categoria nella regolamentazione normativa. -
1.1.1 Il concetto di categoria. - 1.2 Il concetto di equivalenza delle mansioni. - 1.2.1 L’irriducibilità della retribuzione. - 1.3 Il demansionamento. - 1.3.1 I casi ammessi dall’ordinamento. – 1.3.2 Le tutele a disposizione del lavoratore - 1.4 Le mansioni superiori. – 1.5 Cenni sul pubblico impiego
1.1 Mansioni, qualifica, categoria nella regolamentazione normativa
Nel rapporto di lavoro coesistono due obbligazioni contrapposte: l’una a carico del datore di lavoro, costituita dalla retribuzione; l’altra a carico del lavoratore, costituita dalla prestazione di lavoro.
Per descrivere l’oggetto della prestazione di lavoro si fa ricorso al concetto di mansione che indica l’insieme delle attività e dei compiti cui il lavoratore è adibito.
Stabilire la mansione affidata al lavoratore è un’operazione che ha una valenza almeno duplice:
- sul piano individuale, del singolo rapporto di lavoro, ad ogni mansione corrisponde uno specifico inquadramento contrattuale e, pertanto, uno specifico trattamento retributivo e normativo. È partendo dalla mansione quindi che si può analizzare il rapporto di lavoro e stabilire se il suo concreto svolgimento rispetta le norme contrattuali e legali vigenti;
- sul piano organizzativo, la mansione è la descrizione dettagliata ed operativa del contenuto di una posizione organizzativa: è la rappresentazione concreta di ciascuna posizione aziendale. Descrivere le mansioni presenti in un’organizzazione, è un’operazione funzionale alla comprensione degli scopi della
stessa. Come le organizzazioni hanno scopi precisi e differenti l’una dall’altra, così le mansioni calate in ciascuna specifica realtà aziendale avranno diversi significati.
Nel Codice Civile, le mansioni sono disciplinate dall’art. 2103 e dall’art. 96 delle disposizioni di attuazione. La prima disposizione stabilisce che il prestatore «debba essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione» (1).
Il concetto di categoria è poi nuovamente chiamato in causa dal già citato art. 96 disp. att. secondo il quale, all’atto dell’assunzione, il datore di lavoro ha l’obbligo di far conoscere al prestatore la qualifica e la categoria assegnata in relazione alle mansioni per le quali è stato assunto.
La categoria, a sua volta, è disciplinata dall’art. 2095 c.c. che dispone, dopo la modifica operata dalla legge n. 190/85, che i prestatori di lavoro si dividono in operai, impiegati, quadri e dirigenti.
Pertanto per stabilire il trattamento economico e normativo del prestatore di lavoro, non basta fare riferimento alla mansione, ma bisogna avere riguardo anche alla categoria ed alla qualifica.
In particolare, la qualifica costituisce un raggruppamento di mansioni omogenee che identificano una figura professionale.
A prescindere dalle distinzioni operate dalla dottrina per definire il concetto (in merito ad esempio a qualifica oggettiva, intesa come
1 Art. 2013 c.c.: Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.
variante semantica delle mansioni e soggettiva intesa invece come insieme di capacità, cognizioni e attitudini preesistenti al rapporto di lavoro (si veda Literature Review, par. 1.1) e dalle varianti terminologiche che esso ha conosciuto nella contrattazione collettiva (v. infra Cap.2), possiamo affermare come la qualifica sia fondamentale per riassumere il profilo professionale che in ragione di determinati tratti caratterizzanti può essere assegnato ad un lavoratore tipo: la qualifica è necessaria per potere parlare, in astratto, delle mansioni.
La categoria è invece un’entità classificatoria più ampia in cui vengono a loro volta raggruppate le qualifiche.
1.1.1 Il concetto di categoria
Nel 1963, Xxxxxx aveva definito la categoria come un mero espediente di tecnica contrattuale o di espressione legislativa diretto esclusivamente a permettere l’individuazione dell’ambito di applicazione di una determinata disciplina, quindi a stabilire una serie precisa di diritti e di obblighi (GIUGNI, 1963).
Secondo tale autore il concetto di categoria esplicherebbe una funzione di «definizione precettiva» ed alla violazione della norma non potrebbero quindi ricollegarsi effetti di nullità. Alla stregua di questa dottrina, l’appartenenza alla categoria, non sarebbe un interesse azionabile indipendentemente dal trattamento economico ad essa corrispondente. La collocazione in una determinata categoria deve, insomma, essere riflessa nel contenuto concreto della mansione e nel identità della prestazione dovuta.
Secondo altri (LISO, 1988), invece, la categoria sarebbe un criterio di raggruppamento omogeneo di lavoratori subordinati destinatari di trattamenti normativi e collettivi conformi e pertanto nel linguaggio comune tale termine sarebbe da considerarsi pressoché equivalente al termine “qualifica”.
Per altri ancora, la categoria non avrebbe alcuna funzione definitoria, ma la sua ragion d’essere si ritroverebbe nel fatto che esistono
normative che non hanno applicazione generale, ma che prevedono trattamenti differenziati (XXXX, 1991).
È proprio alla luce di quest’ultima impostazione dottrinale che si può arrivare a ritenere che, ad oggi, il concetto di categoria abbia perso quasi del tutto la sua funzione originaria.
Originariamente l’art. 2095 aveva introdotto tre categorie: operai, impiegati e dirigenti. La distinzione fra la qualifica operaia ed impiegatizia trova il suo fondamento legislativo nel R.D.L. n. 1825 del 1924. L’art. 1 della citata legge definiva l’impiegato come colui che svolge attività professionale, con funzioni di collaborazione, tanto di concetto che di ordine, eccettuata ogni prestazione che sia di manodopera che invece è di competenza dell’ «operaio».
La l. n. 190/1985, come già accennato, ha modificato l’art. 2095 c.c. introducendo la categoria dei quadri, ovvero quei lavoratori che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dell’attuazione e dello sviluppo degli obiettivi dell’impresa.
Dalla distinzione fra operai ed impiegati riportata sopra, appare evidente come i criteri di differenziazione adottati siano tipici di un modello di organizzazione del lavoro fordista ed ancorato a logiche del passato.
La distinzione fra lavoro manuale ed intellettuale è ormai infatti largamente inidonea a descrivere l’organizzazione del lavoro, le mansioni affidate ai lavoratori e, soprattutto, i sistemi di competenze che presidiano le diverse mansioni esistenti.
Essa non è più tale da identificare mansioni meno qualificate nell’ambito della prima categoria o più qualificate nell’ambito della seconda e il processo di evoluzione tecnologica ha introdotto mansioni che comportano compiti di manodopera altamente specializzata o, al contempo, attività del tutto basilari e stereotipate che oggi si eseguono in ufficio, davanti ad un pc. L’operaio tipo, che era colui che utilizzava la forza fisica e l’abilità manuale nell’esecuzione della sua prestazione è ormai scomparso da tempo, con l’introduzione dei processi automatici dei sistemi produttivi. L’adozione di tali nuovi processi di
produzione ha comportato un mutamento sostanziale della mansioni ed ha introdotto nuovi criteri di valutazione delle stesse. La dottrina ha peraltro nel corso degli anni riconosciuto l’impossibilità di basarsi ancora su un criterio distintivo fra impiegati ed operai fondato sulla manualità ed ha elaborato una formulazione evolutiva del principio legato al grado di collaborazione nella struttura dell’impresa del lavoratore.
Anche tale criterio però si dimostra attualmente del tutto inadeguato a definire trattamenti retributivi e normativi diversi tra varie tipologie di lavoratori, in quanto prevede il riconoscimento dell’impiegato come colui che collabora nell’amministrazione dell’impresa e che ha funzioni connesse alla amministrazione e gestione della stessa. L’emersione di nuove professionalità – legate al mondo della comunicazione, del marketing, della pubblicità ad esempio – fa si oggi che esistano al contrario molte mansioni «impiegatizie» che con la gestione e l’amministrazione nulla hanno a che vedere.
A ciò si aggiunga che tale distinzione legislativa non ha più alcun impatto nella regolamentazione reale dei rapporti di lavoro, posto che l’appartenenza alle differenti categorie non si stabilisce i base al rispetto di criteri legali, ma dipende dai criteri fissati dalla contrattazione collettiva.
Contrattazione collettiva che, sin dagli anni ’70 ha tentato di delineare l’inquadramento unico con il quale si è in parte stata superata la distinzione fra operai ed impiegati.
La classificazione, nei contratti collettivi che hanno introdotto l’inquadramento unico, si realizza attraverso declaratorie generiche e con la descrizione di una serie di profili professionali generici che specificano le declaratorie, prevedendo gruppi di mansioni omogenei. Infine vengono esemplificate, in tali gruppi omogenei di mansioni, singole mansioni tipiche, rientranti nei vari profili. Nel capitolo successivo, si dimostrerà come i contratti collettivi della gran parte dei settori produttivi abbiano ormai abbandonato la distinzione introdotta dal regio decreto del ’24 ed ancora oggi riproposta nel dettato normativo vigente.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente l’urgenza di aggiornare il dettato normativo alle reali esigenze del contesto, riconoscendo come l’evoluzione tecnologica e sociale del lavoro e il processo di informatizzazione che ha coinvolto le organizzazioni negli ultimi anni abbiano determinato profondi mutamenti che non possono più essere descritti con le categorie concettuali di cui si dispone.
1.2 Il concetto di equivalenza delle mansioni
Il principio di equivalenza delle mansioni è un concetto tanto centrale nella disciplina della mobilità endoaziendale quanto difficile da definire. Esso è un concetto relazionale la cui descrizione implica la precisa definizione dei termini della relazione stessa, essendo pressoché impossibile addivenire ad una definizione astratta della nozione, avulsa dalla situazione concreta.
È peraltro proprio il concetto di equivalenza ad abilitare il datore di lavoro ad effettuare operazioni di mobilità orizzontale.
L’art. 2013 nella sua prima parte enuncia, infatti, il principio secondo cui il lavoratore debba essere adibito alle mansioni previste nel contratto di assunzione (ovvero il principio della contrattualità delle mansioni). Detto principio risponde all’esigenza di circoscrivere l’obbligazione lavorativa in ragione del consenso prestato dal lavoratore all’inizio del rapporto. A tale proposito occorre specificare che per accertare la reale volontà delle parti andranno verificate le mansioni effettivamente e concretamente assegnate e non quelle astrattamente deducibili dalla qualifica indicata nel contratto in quanto esiste una osservabile frattura fra criteri di organizzazione astratta e gestione concreta della forza lavoro. È pertanto fondamentale avere riguardo alla reale posizione che il lavoratore andrà ad occupare nell’impresa.
Ciò a maggior ragione se si considera che, sempre secondo la norma in commento, il lavoratore dovrà essere adibito, in alternativa a quanto sopra, alle ultime mansioni effettivamente svolte o «alle mansioni
corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito».
Quanto alla prima ipotesi (relativa all’assegnazione alle ultime mansioni svolte), in dottrina sono state proposte diverse interpretazioni della locuzione. Secondo alcuni autori, per identificare le ultime mansioni svolte si deve fare riferimento esclusivamente ad un criterio temporale (ASSANTI, 1972); secondo una dottrina maggioritaria, invece, le ultime mansioni sarebbero quelle svolte dal lavoratore in maniera stabile e definitiva (LISO, 1982). Pertanto, le ultime mansioni svolte coinciderebbero o con le mansioni di assunzione o con le mansioni svolte successivamente in forza di un precedente mutamento definitivo. In assenza di un mutamento definitivo, non sarebbe quindi possibile isolare nell’ambito delle mansioni di assunzione, le mansioni più elevate che il lavoratore avesse successivamente svolto in assenza dei requisiti della stabilità e della definitività.
Si ritiene che tale seconda impostazione sia la più conforme allo spirito ed al tenore, anche letterale, della norma e sostanzialmente la unica compatibile con i principi enunciati nella seconda parte della disposizione e relativi al conseguimento della promozione alle mansioni corrispondenti alla qualifica superiore che il lavoratore abbia successivamente acquisito solo trascorso un determinato periodo di tempo (per l’approfondimento del punto si veda infra par. 1.4).
Quanto alla seconda ipotesi (relativa alle mansioni superiori), bisogna innanzitutto sottolineare come il legislatore nell’art. 2013 c.c. utilizzi il termine categoria in modo improprio, ovvero non con riferimento alla categoria legale (operai, impiegati, quadri o dirigenti), bensì alla categoria definita dalla contrattazione collettiva come sorta di ripartizione ulteriore della categoria legale. Tale formulazione intende evidenziare il carattere migliorativo del mutamento intervenuto nella posizione del lavoratore, ma non anche fare riferimento naturalmente a tutte le mansioni inquadrate nella categoria (LISO, 1982).
Se così fosse, lo scopo della norma potrebbe essere inteso come quello di estendere l’ambito delle mansioni esigibili, quando invece essa deve essere interpretata in funzione impeditiva, intesa quindi ad impedire
l’affidamento di compiti inferiori alla categoria di provenienza, riservando il processo di mobilità ad interventi esclusivamente migliorativi.
Se fin qui abbiamo tentato di chiarire quale sia il parametro relazionale per operare il giudizio di equivalenza, ancora molto resta da dire sul significato del concetto di mansioni equivalenti.
Secondo un orientamento, le diverse ampiezze della nozione di equivalenza variano in funzione delle modalità in cui lo jus variandi viene esercitato: in caso di modifica unilaterale e definitiva delle mansioni si avrà un ambito decisamente ristretto; se la modifica è temporanea l'area sarà più ampia, fino ad essere quasi illimitata (seppur sempre nell'ambito dello stesso livello di inquadramento) in presenza del c.d. patto modificativo, ossia del consenso del lavoratore (Liso, 1982).
In dottrina, si ritengono equivalenti quelle mansioni che permettono l’utilizzo ed il perfezionamento del livello di professionalità già posseduto dal dipendente (PERA, 1996).
Un orientamento minoritario (e superato) riteneva invece che le mansioni equivalenti fossero mansioni tali da permettere la crescita professionale del lavoratore, ma si può ormai ritenere che tale assunto rappresenti una forzatura in quanto non vi sono elementi tali da avvallare una simile tesi nel dettato della norma. Lo sviluppo della professionalità è, infatti, tutelato autonomamente nella parte della disposizione che fa riferimento alla definitività dell’assegnazione a mansioni superiori ed è poi lasciato, nella sua compiuta definizione, alla contrattazione collettiva (BROLLO, 1997).
Dunque il concetto di mansioni equivalenti non postula l’identità delle mansioni (in quanto, se così fosse, implicherebbe l’immobilità totale del dipendente nell’assegnazione alle mansioni di assunzione), ma implica che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza tecnica e professionale del lavoratore e che consentano a quest’ultimo di utilizzare il patrimonio di competenze posseduto. Questo tratto caratterizzante, che comporta il mantenimento nella carriera del dipendente di una linea professionale omogenea e continua rappresenta
uno dei due requisiti del criterio della doppia chiave dell’equivalenza, utilizzato, appunto, dalla giurisprudenza e dalla dottrina (XXXXXXX, BELLAVISTA, 1989), per effettuare la valutazione. Si tratta del requisito dell’equivalenza soggettiva, accanto al quale si prevede quello, complementare, dell’equivalenza oggettiva, che impone l’ascrizione delle mansioni nuove nella medesima qualifica d’inquadramento di quelle precedenti.
Questo secondo requisito, infatti, da solo non basterebbe a postulare l’equivalenza delle mansioni in quanto la qualifica o categoria contrattuale di inquadramento comprende solitamente prestazioni di valore e contenuto eterogeneo. Esso deve pertanto essere accompagnato dalla valutazione concreta circa il tipo di professionalità che il lavoratore è chiamato ad utilizzare, nonostante la collocazione delle nuove mansioni in un livello inferiore rispetto alle precedenti sia considerato di per sé indice di non equivalenza dalla giurisprudenza.
Pertanto la previsione contrattuale che colloca determinate mansioni allo stesso livello non vincola in alcun modo la valutazione circa l’equivalenza delle stesse, in quanto dovranno essere valutati altri elementi legati alla svolgimento in concreto della prestazione lavorativa.
Nella giurisprudenza, storicamente, il concetto di equivalenza, di per sé molto vago, ha assunto una qualificazione rigida e ristretta intesa a tutelare la professionalità del lavoratore in senso statico e restringendo di conseguenza l’area di legittimità degli interventi di mobilità orizzontale.
Questa visione del concetto di equivalenza non può che valutarsi come espressione di una visione del mondo del lavoro che ha come referente economico il modello di organizzazione del lavoro taylorista e come referente giuridico il clima di garantismo (CARINCI, 1998).
Tale visione è peraltro legata ad un sistema economico in espansione, mentre in una situazione di recessione si rivela addirittura come pericolosa per il lavoratore in quanto solo una visione dinamica del concetto di equivalenza e una maggiore flessibilità della prestazione
sembrano potere essere presupposti per la crescita professionale e per l’adattamento all’evoluzione, anche tecnologica, del mondo del lavoro. Nonostante quanto sopra la tesi per cui il giudizio di equivalenza debba essere attuato nell’ottica di tutelare la professionalità in senso statico ha trovato, come si diceva, non solo ampi consensi in una prima fase della giurisprudenza, ma risulta tutt’ora piuttosto diffuso (si veda, a titolo esemplificativo Cass. 12 gennaio 2006, n. 425, Cass. 12 aprile 2005, n.
7453, Cass. 11 aprile 2005, n. 7351, Cass. 30 luglio 2004, n. 14666,
Cass. 11 febbraio 2004, n. 2649, Cass. 11 dicembre 2003, n. 18984).
Esiste però un secondo orientamento dottrinale, da valorizzare sempre di più, soprattutto al giorno d’oggi, nonostante sia stato spesso oggetto di critiche perché troppo creativo rispetto al dato letterale della norma, che mira alla tutela della professionalità dinamica del lavoratore intesa non solo come professionalità già acquisita, ma come professionalità potenziale.
Tale orientamento sposta il centro della riflessione dal concetto di mansione, al concetto di posizione professionale del lavoratore, termine che appunto non compare nel dettato normativo ma che viene mutuato dal linguaggio delle discipline organizzative. L’utilizzo di questo concetto permette di prendere a riferimento elementi ulteriori, che si collocano all’esterno della mansione intesa come insieme di compiti e che caratterizzano la prestazione quali la posizione gerarchica del lavoratore, il prestigio, il potere di controllo, l’autonomia decisionale valutandoli complessivamente. Essi fanno ingresso nel giudizio di equivalenza andando a controbilanciare eventuali discostamenti nel contenuto delle mansioni assegnate al lavoratore. Il giudizio di equivalenza si arricchisce divenendo un giudizio omnicompresivo in cui vengono valutati vantaggi e svantaggi del mutamento (DELL’OLIO, 1986).
In quest'ottica assumono particolare importanza le conoscenze culturali del lavoratore, nonché i percorsi di formazione e riqualificazione. In tal modo, la professionalità non è più considerata come un patrimonio immodificabile del lavoratore ed egli non è più soggetto ai rischi che
l'obsolescenza dei contenuti professionali tradizionali, dovuta all'innovazione tecnologica, comporta (anche se la valorizzazione delle capacità potenziali del lavoratore non deve mai comportare un'alterazione definitiva del corredo genetico minimo essenziale del patrimonio professionale dello stesso).
Pertanto il passaggio a mansioni diverse dal punto di vista oggettivo e contenutistico, proprio per la presenza degli elementi sopra richiamati potrebbe essere considerato legittimo perché tale da garantire maggiormente il ruolo e l’importanza del lavoratore nell’organizzazione aziendale.
La giurisprudenza stenta ancora ad imboccare in maniera decisa tale orientamento continuando ad assestarsi su posizioni abbastanza garantiste.
Invero, i più recenti orientamenti della Cassazione, hanno tentato, seppur timidamente, di ampliare il ventaglio di possibilità a disposizione del datore di lavoro per attuare una gestione più flessibile della forza lavoro, attraverso la valorizzazione del principio di equivalenza professionale proprio in questa sua seconda accezione dinamica.
Punto fermo per la definizione del parametro rimane l'inclusione delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione nella medesima area professionale e nel medesimo livello di inquadramento (si veda, in proposito, Cass. 2 maggio 2006 n. 10091, Cass. 15 febbraio 2003, n.
2328, Cass. 1° settembre 2000, n. 11457).
Accanto a questo aspetto (ovvero il requisito oggettivo), è necessario prendere in esame il contributo della giurisprudenza nella definizione dei contenuti della tutela della professionalità del lavoratore ed analizzare il percorso evolutivo compiuto in ottica di adeguamento della norma alle esigenze del contesto sociale ed economico.
La nozione dinamica di equivalenza professionale ha cominciato ad affermarsi in giurisprudenza sin dagli anni Ottanta, nel segno del superamento del modello fordista di organizzazione del lavoro. Le decisioni che rientrano in questo orientamento possono essere raggruppate in tre filoni principali. Il primo, della seconda metà degli
anni '80, è quello che maggiormente ha allargato l'àmbito dello ius variandi datoriale. Xxxx ha infatti centrato la nozione di equivalenza professionale sulla capacità professionale potenziale del lavoratore, intesa come sintesi di «formazione culturale di base» e «abilità tecnica acquisita attraverso l'esperienza, che lo rende idoneo ad espletare un'ampia gamma di attività lavorative», eventualmente anche del tutto diverse da quelle svolte fino ad allora (così Cass. 16 ottobre 1985, n. 5098, Cass. 7 febbraio 1987, n. 1315). Un secondo filone, sostiene che l'equivalenza professionale ricomprenda, sempre fermo il requisito oggettivo, «mansioni anche del tutto nuove e diverse», ma a condizione che esista un «minimo comun denominatore di conoscenze teoriche e capacità pratiche» e «non venga del tutto disperso il patrimonio professionale e di esperienza già maturato dal dipendente» (Xxxx. 20 marzo 2004, n. 5651, Cass. n. 2328/2003; Cass. 1° marzo 2001, n.
2948; Cass. 1° settembre 2000, n. 11457; Cass. 8 febbraio 1985, n.
1038; Cass. 15 giugno 1983, n. 4106).
L'esistenza di un “minimo comune denominatore” di conoscenze teoriche e capacità pratiche è infatti condizione necessaria e sufficiente a consentire lo svolgimento da parte del dipendente delle nuove mansioni con la preparazione posseduta; anzi, il fatto di mutare ramo di attività, operando in settori diversi della medesima area professionale, permette al lavoratore d'incrementare ed arricchire il bagaglio di nozioni sviluppato nella fase pregressa del rapporto. In quest'ottica, consona alle attuali caratteristiche ed esigenze del mondo del lavoro la professionalità non rileva, dunque, come un'entità statica ed assoluta, sganciata dalla realtà aziendale, bensì come patrimonio di conoscenze potenzialmente polivalente (Cass. 18.2.2008, n. 4000; Cass. 8.3.2008,
n. 5285).
Un terzo filone scompone la posizione professionale del lavoratore nei suoi elementi costitutivi (collocazione gerarchica, autonomia decisionale, prestigio, capacità di controllo, procedendo a compensare vantaggi acquisiti sotto questo profilo in seguito all'assegnazione delle nuove mansioni con le possibili perdite in termini di professionalità pregressa (Cass. 11 gennaio 1995, n. 276).
La presenza di molteplici orientamenti giurisprudenziali che oscillano tra la propensione per un concetto statico di equivalenza ed uno dinamico, variamente specificato, rivela quanto il presidio di questo principio nella materia della mobilità interna sia tale da rendere i contorni degli interventi legittimi estremamente vago ed incerto. Ciò depotenzia lo strumento e frustra la sua capacità di rispondere alle esigenze organizzative delle imprese.
Dal canto suo, la contrattazione collettiva – a cui spetta la competenza nel disciplinare i sistemi di classificazione ed inquadramento - poco può e sembra stabilire in tema di equivalenza e di mobilità orizzontale (si veda infra, Capitolo II).
Secondo alcuni, peraltro, (XXXXXX, 1997) i poteri della contrattazione in materia sarebbero comunque poco estesi, perché vincolati dal limite di intangibilità e di immodificabilità del bagaglio professionale posseduto dal lavoratore.
La giurisprudenza si è sempre limitata a riconoscere ai limiti ed ai contenuti della nozione di equivalenza definita a livello contrattuale un valore solo indiziario e non vincolante (Cass. 18 agosto 2004, n. 16183, Cass. 9 aprile 1992, n. 314, Cass. 5 aprile 1984, n. 2231). In proposito si segnala un’interessante sentenza del 2006, che ha consentito, con riferimento all’inquadramento del personale delle Poste, alla contrattazione collettiva una deroga all'art. 2103 c.c., giustificando la clausola di fungibilità di mansioni in realtà non equivalenti in quanto motivata da esigenze oggettive aziendali e dall’operatività è limitata ad un periodo breve (24 novembre 2006, n. 25033).
La chiave quindi per superare la rigidità del concetto di equivalenza potrebbe essere proprio quella di abbandonare l’approccio oggettivo al contenuto delle mansioni in favore di un giudizio complessivo, o, anche, soggettivo che porti a ridurre il peso della professionalità pregressa in vista della tutela della capacità professionale in divenire. In questo senso la professionalità posseduta si atteggerebbe come una riserva di competenze e capacità tecniche che possano consentire, previ eventuali interventi di formazione o di riqualificazione, l’esecuzione di nuove prestazioni.
L’esigenza di tutela della norma, se si sposassero gli orientamenti più flessibili sopra richiamati, si sposterebbe da quella di preservare una professionalità del medesimo tipo a quella di preservare una professionalità del medesimo valore.
Come si vedrà nel prosieguo della trattazione, sarebbe inoltre quanto mai opportuno stabilire una effettiva ed esclusiva competenza della contrattazione collettiva nella definizione del principio in esame.
1.2.1 L’irriducibilità della retribuzione
Gli spostamenti orizzontali, tra mansioni equivalenti fra loro, devono avvenire senza alcuna diminuzione della retribuzione, nell’ottica di garantire che gli interventi di mobilità legittimamente attuabili dal datore di lavoro non producano conseguente svantaggiose per il prestatore. A tale proposito occorre individuare quali siano i limiti dell’intangibilità della retribuzione, perché se è chiaro che gli elementi normali debbano rimanere inalterati (paga base e contingenza) e che i rimborsi spese e le indennità di natura non retributiva vadano esclusi, più complicato è il discorso sulle indennità accessorie collegate a particolari modalità della prestazione. In dottrina si sono sviluppati diversi orientamenti sul punto.
Secondo un primo orientamento maggiormente garantista, da una lettura letterale del dato normativo discenderebbe una nozione omnicomprensiva del concetto di retribuzione. Alla stregua di tale orientamento, nel passaggio alle nuove mansioni, il dipendente dovrebbe conservare lo stesso trattamento economico globale di cui beneficiava nelle mansioni precedenti (PISANI 1996).
Diversamente, altri autori hanno sostenuto l’opportunità di tenere in considerazione il principio di proporzionalità della retribuzione, secondo il quale non sarebbe giustificata la conservazione di elementi retributivi strettamente collegati alle particolari modalità di luogo o tempo collegate alle precedenti mansioni, che non ricorrano in quelle nuove (PERSIANI, 1982). Questo secondo orientamento, ormai
prevalente, è stato peraltro variamente modulato in posizioni intermedie da parte di diverse correnti dottrinali.
Secondo una prima tesi (GIUGNI, 1975) sarebbero escluse dalla garanzia retributiva le indennità connesse a fattori ambientali (indennità di rischio, maneggio denaro ecc.) che attengano a fattori estrinseci alla prestazione ed inclusi invece gli elementi intrinseci alla prestazione e alle aspettative di guadagno derivanti dalla stessa. Secondo questo orientamento spetterà al giudice un’analisi di fatto della situazione per individuare l’effettiva funzione attribuita dalle parti all’indennità di volta in volta in questione. Ad esempio, nel caso in cui l’indennità di turno sia stabilmente adottata dall’impresa per lo svolgimento di determinate mansioni e non costituisca una circostanza meramente occasionale, allora verrà conservata anche nel passaggio alle nuove mansioni.
Secondo altri (XXXXXXXX, 1982) sarebbero escluse dalla garanzia retributiva le indennità legate ai contenuti oggettivi della prestazione, mentre sarebbero incluse quelle volte a compensare caratteristiche soggettive della prestazione, quali particolari competenze o capacità professionali.
In ogni caso l’orientamento che pare più convincente e che, nella prassi, risulta adottabile soprattutto in via prudenziale, impone di considerare l’incisività della tutela retributiva con esplicito riferimento al caso concreto e, segnatamente, a seconda che ci si trovi davanti a mutamenti di mansioni unilaterali operati dal datore di lavoro, che esigeranno garanzie più forti, o mutamenti consensuali o addirittura motivati da una richiesta del lavoratore (LISO, 1982).
La giurisprudenza di legittimità e di merito ha da tempo riconosciuto inequivocabilmente il carattere non assoluto della regola dell'irriducibilità della retribuzione (si vedano, fra tutte, Cass. 10 maggio 2002, n. 6763; Cass. 7 dicembre 2000, n. 15517; Cass. 7
maggio 1992, n. 5388).
In sostanza, esso non trova applicazione alle indennità erogate in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa, le quali essendo corrisposte soltanto per compensare disagi o difficoltà del
lavoratore, possono essere soppresse quando vengono meno le specifiche situazioni che le hanno generate (Cass. 19.2.2008, n. 4055 Cass. 27.10.2003, n. 16106). È altresì esclusa dalla garanzia di cui all'art. 2103 cod. civ. la maggiorazione per lavoro notturno, caratterizzata da un'intrinseca precarietà anche qualora l'attività venga prestata secondo regolari turni periodici (Cass. 29.1.2004, n. 1680).
La giurisprudenza ha poi ritenuto operante il principio di irriducibilità della retribuzione in un’accezione estensiva, volta a comprendere anche indennità diverse dagli “elementi base”, in particolari fattispecie in cui il comportamento aziendale assumeva una connotazione particolarmente rilevante, quali ad esempio:
- qualora, variate le mansioni e cessata l'attività in funzione della quale era erogata una particolare indennità, l'erogazione stessa in concreto venga mantenuta dall'azienda (Cass. 13.2.2006, n. 3050);
- allorché il lavoratore percepisca, in forza di sovra inquadramento, una retribuzione superiore a quella prevista dal contratto collettivo di categoria rispetto alle mansioni in concreto svolte e rimaste invariate anche a seguito dell'assegnazione del corretto inquadramento (Cass. 23.1.2007, n. 1421).
- con riferimento ad un compenso denominato “compenso forfetario per straordinario”, che può essere ritenuto componente irriducibile della normale retribuzione in base al comportamento tenuto dall'azienda (Cass. 13.10.2006, n. 22050).
1.3 Il demansionamento
L’art. 2103 c.c. non contiene un riferimento espresso all’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, ma il divieto di porre in essere tale mutamento si ricava dall’impianto complessivo della disposizione che, come abbiamo visto sopra, pone precise limitazioni all’esercizio dello jus variandi del datore di lavoro. Inoltre la disposizione sancisce, al secondo comma, la nullità di ogni patto contrario.
Un breve cenno merita la ricostruzione dell’evoluzione storica della norma che nella sua formulazione originaria, prima dell’intervento dello Statuto dei Lavoratori, permetteva l’attuazione di misure di reformatio in peius. Essi erano infatti ammessi sulla base di accordi raggiunti con il consenso del lavoratore, fosse questo esplicitamente espresso oppure desumibile dal suo comportamento.
In questo ambito, la riforma ha inteso limitare l’autonomia negoziale del prestatore di lavoro, con l’intento di preservarlo da eventuali prevaricazioni datoriali rese possibili dalla posizione di contraente debole, ovvero sul presupposto che il lavoratore accettasse il mutamento in peius delle mansioni più per paura di perdere il posto di lavoro che per autentica volontà.
L’attuale formulazione della norma, quindi, sanziona oggi la nullità di qualsiasi patto stipulato per l’attuazione di interventi di dequalificazione professionale, siano essi individuali o collettivi, impliciti o espliciti, stipulati all’inizio del rapporto o in un momento successivo.
1.3.1 I casi ammessi dall’ordinamento
Con l’evolversi dell’organizzazione del lavoro, il legislatore ha però previsto in alcune specifiche situazioni, ipotesi di deroga al divieto di adibizione a mansioni inferiori previsto dall’ordinamento, legate essenzialmente o a ragione di carattere occupazionale o a motivi di tutela del diritto alla salute del prestatore di lavoro.
La legge n. 223 del 23 luglio 1991 - che disciplina le procedure di licenziamento collettivo - ha disposto agli artt. 4, comma 11, e 24, comma 1, che, in occasione dell’apertura di procedure di mobilità o di riduzione di personale (per le aziende con più di 15 dipendenti) si possa, con accordo sindacale, disporre l’assegnazione del personale in eccedenza a mansioni diverse, anche in deroga al 2° comma dell’art. 2103 c.c.
Nonostante l’ambiguità della formula legislativa, in questo caso si ritiene che la norma vada interpretata nel senso di permettere la
possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori o non equivalenti (XXXXXXX, 1995). Tale facoltà del datore di lavoro è però riconosciuta solo in presenza di accordi sindacali, stipulati nel corso delle procedure di mobilità, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti.
Con riferimento a tali tipologie di accordi sindacali, definiti gestionali, in quanto hanno il potere di realizzare una limitazione concordata dei poteri del datore di lavoro, (nello specifico, del potere di licenziare una pluralità di lavoratori) emergono due profili di criticità:
- l’ambito soggettivo di efficacia;
- gli effetti dell’accordo sulla retribuzione.
Quanto al primo profilo, il problema principale è legato all’efficacia dell’accordo nei confronti dei lavoratori che non siano aderenti al sindacato sottoscrittore dell’accordo o dissenzienti. Un orientamento dottrinale ha sostenuto che nella prima ipotesi l’accordo sia valido anche nei confronti di questi lavoratori solo in seguito ad una ratifica dell’accordo stesso. Nella seconda ipotesi invece i lavoratori dissenzienti, per non subire gli effetti dell’accordo, dovranno portare a conoscenza del datore di lavoro la loro posizione prima della stipula dello stesso (XXXXXXXXX, 1991).
Un secondo orientamento dottrinale ha invece sostenuto l’efficacia erga omnes di tali accordi in quanto il potere negoziale al sindacato viene conferito, in questi casi, dalla legge (BROLLO, 1997).
Per quanto riguarda gli effetti del demansionamento sulla retribuzione, la legge nulla dispone in quanto anche questo aspetto è lasciato alla disciplina da parte degli accordi sindacali in questione, che quindi potrà essere differentemente normato caso per caso.
Il secondo gruppo di disposizioni presenti nell’ordinamento che prevedono la possibilità di attuare interventi di mobilità in peius sono accumunate dal fatto che il legislatore nel giudizio di bilanciamento tra contrapposti interessi alla base di ciascuna fattispecie, ha inteso sacrificare la tutela della professionalità del lavoratore in ragione dell’interesse di tutelare la salute del prestatore di lavoro.
La prima fattispecie in cui si debba ritenere ammessa l’assegnazione del dipendente a mansioni non equivalenti a quelle di provenienza riguarda il caso delle lavoratrici madri. La disposizione di riferimento è l’art. 7 del d. lgs. n. 151 del 2001, che ripropone una norma già contenuta nella legge n. 1204 del 1971. In tale legge è previsto, appunto, l’obbligo per il datore di lavoro di adibire la donna lavoratrice, durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto, a mansioni non pregiudizievoli per il suo stato di salute, anche se inferiori rispetto alle mansioni di appartenenza.
Con riferimento alla situazione della lavoratrice madre si segnala che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha fornito - rispondendo ad un interpello - un’interpretazione relativa alla possibilità di demansionamento anche al di fuori delle ipotesi previste dalla legge. Ci si riferisce all’interpello n. 39 del 21 settembre 2011, il quale, nel fornire l’interpretazione sul diritto alla conservazione del posto della lavoratrice madre, ex artt. 54 e 56, D.lgs. n. 151/2001, ammette il patto individuale di demansionamento (senza diminuzione della retribuzione) della lavoratrice rientrata in servizio, anche nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento, chiedendo di verificare che il contesto aziendale sia tale «che, per fondate e comprovabili esigenze tecniche, organizzative e produttive o di riduzione dei costi, non sussistano alternative diverse per garantire la conservazione del posto di lavoro e per consentire aliunde l’esercizio delle mansioni».
Altre ipotesi riguardano casi in cui il dipendente sia divenuto fisicamente inidoneo allo svolgimento delle mansioni. La legge, in proposito, ha recepito un principio di diritto enunciato dalla stessa giurisprudenza di legittimità che aveva appunto statuito come sussistesse l’onere per il datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute (si veda in particolare Xxxx. S.U. n. 7755/1998).
Nella legge n. 68/99 recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” si prevede, con riferimento alle ipotesi di sopravvenuta inidoneità allo svolgimento delle mansioni, da parte di lavoratori inizialmente abili e divenuti non più idonei per inabilità dovuta ad infortunio o malattia,
che gli stessi non possano essere licenziati per giustificato motivo oggettivo qualora possano essere adibiti a mansioni diverse equivalenti o, eventualmente, anche inferiori.
Viene stabilito quindi, anche in questo caso, un vero e proprio onere a carico del datore di lavoro e solo in caso di rifiuto del dipendente ad essere adibito alle mansioni da questi individuate cesserà l’obbligo di conservazione del posto.
L'articolo 42 del D.Lgs. n. 81/2008, come modificato dal X.Xxx. n. 106/2009 (che ha eliminato i riferimenti al mantenimento della qualifica originaria e all’art. 2103), dispone che il datore di lavoro
«anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999,
n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6» , attui le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisca il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Qualora il medico competente giudichi un lavoratore inidoneo alla mansione specifica ed emetta il relativo giudizio, il datore dovrà adibirlo, “ove possibile”, ad altra mansione equivalente, superiore o inferiore che sia, compatibile con il suo stato di salute.
Viene stabilito in tale caso peraltro, che il lavoratore non subisca alcuna decurtazione della sua retribuzione.
Un’ulteriore ipotesi di possibilità di deroga alla disciplina prevista dall’art. 2103 c.c. – che verrà diffusamente trattata nel Capitolo 3 della presente trattazione – è da ultimo stata introdotta dall’art. 8 l. n. 148/2011. Esso prevede che attraverso la stipula di intese di prossimità, in presenza di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi, la contrattazione collettiva sia abilitata a prevedere ipotesi di deroga alla disciplina legale e contrattuale in materia di «mansioni del lavoratore, alla classificazione ed inquadramento del personale». Pertanto fra i molteplici interventi che le intese di prossimità potrebbero attuare in questo campo, in tema, ad esempio, di individuazione di nuovi profili professionali, inquadramento del personale, principio di equivalenza rientra anche la possibilità di prevedere ipotesi legittime di adibizione
del lavoratore inferiori a mansioni inferiori a quelle effettivamente svolte.
Oltre alle ipotesi di legittimo demansionamento previste dalla legge vi sono particolari fattispecie ormai riconosciute in modo piuttosto univoco dalla giurisprudenza e che vengono spesso portate a dimostrazione di quanto l’art. 2013 c.c. sia stato interpretato in senso evolutivo e tale da adeguarne i contenuti all’attuale contesto economico.
La prima riguarda il caso del demansionamento quale possibile e legittima alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione della posizione occupata dal lavoratore. Tale ipotesi è riconosciuta dal filone giurisprudenziale del « male minore », inaugurato dalla sentenza della Cassazione n. 266 del 12 gennaio 1984. Il principio a base di tale corrente è quello della preminenza del valore della conservazione del posto di lavoro su quello della tutela della professionalità.
Non esiste infatti alcuna norma che impedisca l'innovazione organizzativa dell'impresa, sacrificandola all'interesse del lavoratore alla conservazione delle precedenti condizioni di lavoro. Sulla base di questa considerazione, la giurisprudenza di legittimità ha talvolta ritenuto ammissibile il licenziamento di un lavoratore che si era mostrato incapace o indisponibile ad adattarsi alle nuove condizioni di lavoro conseguenti all'introduzione di procedure e strumentazioni informatiche ed aveva rifiutato altresì la ricollocazione in diverse posizioni lavorative che pure gli erano state proposte (si veda ad esempio Xxxx. 8 luglio 1982, n. 4050).
Anche nella giurisprudenza più recente troviamo continue conferme dei principi sopra richiamati (v. in proposito Xxxx. 9 marzo 2004, n. 4790; Cass. 5 ottobre 2000, n. 10339; Cass. 29 marzo 2000, n. 3827; Cass. 6
aprile 1999, n. 3314). Per Cass. 7.2.2005, n. 2375, inoltre, il patto di demansionamento con il quale il lavoratore accetta di proseguire il rapporto di lavoro con mansioni e retribuzione inferiori a quelle di assunzione, se posto in essere per evitare il licenziamento è valido, pur con le riserve derivanti dalla possibilità che il lavoratore al termine del
rapporto di lavoro impugni il patto per nullità ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2103 c.c.
Adottare posizioni in contrasto con essi urterebbe infatti con la ragionevolezza ed il buon senso, soprattutto in quelle situazioni in cui patti di declassamento possano effettivamente rappresentare l'unico modo per il lavoratore di salvaguardare il proprio status di occupato. Una volta che si siano compiuti tutti i doverosi accertamenti circa l'effettiva sussistenza delle ragioni che legittimerebbero il licenziamento e si sia verificata l'obbiettiva impossibilità di recuperare il lavoratore su posizioni equivalenti, non pare equo impedire a quest'ultimo di sacrificare un interesse (la professionalità) che sul piano logico costituisce un posterius rispetto ad un altro (il lavoro). Ciò soprattutto tenuto conto della situazione di grave difficoltà in cui versa oggi il mercato del lavoro.
La gran parte delle sentenze di Cassazione che ammettono l'attribuzione di mansioni inferiori al lavoratore per evitare il licenziamento o la Cassa Integrazione osservano che le esigenze di conservazione del posto di lavoro trovano fondamento negli artt. 4 e 36 della Costituzione e per questo motivo prevalgono sulle esigenze di tutela della professionalità (Xxxx. 12 gennaio 1984, n. 266; Cass. 7
marzo 1986, n. 1536; Cass. 4 maggio 1987, n. 4142; Cass. 29
novembre 1988, n. 6441; Cass. 8 settembre 1988, n. 5092; Cass. 1°
dicembre 1988, n. 6515; Cass. 7 settembre 1993).
Posto che anche il diritto alla professionalità è un diritto tutelato a livello costituzionale, altra soluzione per arrivare a consentire il demansionamento in determinati casi potrebbe essere quella di considerare la dichiarazione del datore di lavoro di modificare in peius le mansioni come una vera e propria dichiarazione di non voler o poter continuare il rapporto alle precedenti condizioni. Si tratterebbe di fatto di un recesso, sottoposto a condizione risolutiva.
Non si avrebbe così alcuna violazione dell'art. 13 St. lav., poiché non vi sarebbe alcuna modifica del rapporto originario, ma una vera e propria integrale rinegoziazione di un nuovo rapporto obbligatorio (con la conseguente novazione dello stesso).
Da ultimo la Suprema Corte ha ribadito che il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisce al lavoratore mansioni e conseguente retribuzione inferiori a quelle di assunzione o successivamente acquisite è valido non solo ove avvenga su richiesta del dipendente, ma anche quando l'iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro (Cass. 10.10.2006, n. 21700). In caso di controversia il datore di lavoro è tenuto a provare l'esistenza delle ragioni organizzative che avrebbero comportato il licenziamento (Cass. 22.8.2006, n. 18269).
Una delle ultime frontiere dell’orientamento sopra tratteggiato è rappresentata dalle sentenze che sanciscono la legittimità del patto di declassamento in caso di richiesta del lavoratore dovuta a qualsiasi interesse dello stesso, non necessariamente tipico o legato alla necessità di evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tale interesse rileverebbe come indice di genuinità del consenso e, in giudizio, dovrà essere fornita la prova del fatto che l'adibizione a mansioni inferiori sia frutto della libera scelta del lavoratore, cui sia pervenuto «senza alcuna sollecitazione, neppure indiretta, del datore di lavoro, che l'abbia invece subita» (x. Xxxx. Sez. Lav. 8.8.2011, n. 17095).
1.3.2 Le tutele a disposizione del lavoratore
Di fronte all’esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro il lavoratore potrà opporsi ed azionare delle forme di tutela, sia in caso di legittimo esercizio del potere sia, ed a maggior ragione, in caso tale potere venga esercitato illegittimamente.
Nel primo caso, qualora il lavoratore non abbia intenzione di ottemperare all’ordine di adibizione a mansioni differenti (ma equivalenti), potrà azionare forme di autotutela quali il rifiuto o, in estrema ipotesi, la presentazione delle dimissioni. Mentre quest’ultima scelta sembra la meno percorribile, in quanto ad essa seguirebbe la perdita del posto di lavoro e, conseguentemente, della fonte di sostentamento costituita dalla retribuzione, più spesso il lavoratore
tenterà di non adempiere all’ordine, nella speranza che, conseguentemente, il datore di lavoro modifichi la determinazione assunta.
Naturalmente in tal caso il lavoratore sarà esposto al potere disciplinare del datore di lavoro che, stante l’inadempimento contrattuale, potrà anche decidere di procedere con un licenziamento.
Nel secondo caso, il lavoratore invece si troverà sovente a decidere di attivare una forma di tutela in via giudiziale, che potrà essere:
- dichiaratoria della nullità del patto intervenuto;
- reintegratoria, ovvero tale da portare ad una condanna del datore di lavoro alla reintegra del dipendente nelle mansioni antecedenti all’illegittimo spostamento ordinato dal datore;
- cautelare, ovvero tale da sospendere attraverso la promozione di un ricorso d’urgenza gli effetti giuridici del mutamento di mansioni in via provvisoria ed in attesa della definitiva pronuncia di nullità in via ordinaria;
- risarcitoria.
È proprio in relazione a quest’ultima tipologia di tutela che si ritiene utile un breve approfondimento in ragione del fatto che il lavoratore assegnato a mansioni inferiori o non equivalenti a quelle dovute può subire pregiudizi a beni fondamentali riferibili alla sua persona, oggetto di diritti tutela a livello costituzionale. Sebbene molti fra questi beni non siano in realtà suscettibili di essere pienamente riparati a mezzo di un risarcimento monetario e la tutela risarcitoria possa apparire inadeguata, stante la generale incoercibilità degli obblighi di non fare, essa rimane l’unico mezzo a disposizione del lavoratore.
Quali siano le tipologie di danno risarcibili in conseguenza di una violazione del dettato dell’art. 2103 e pertanto di una lesione del diritto alla professionalità è materia oggetto di un ampio dibattito che nei tempi più recenti ha assunto nuove configurazioni, in conseguenza dello sviluppo delle problematiche legate al mobbing, di cui spesso la dequalificazione o lo svuotamento delle mansioni assegnate al lavoratore è una forma di espressione.
Infatti tali condotte sono spesso risultate, in svariate pronunce giurisprudenziali, l’effetto di una pratica persecutoria e vessatoria posta in atto dai colleghi di lavoro ovvero direttamente dai superiori gerarchici, svincolata da qualsiasi esigenza organizzativa e posta in atto al solo fine di escludere un lavoratore dal contesto lavorativo.
Esse appaiono differenti a seconda del pregiudizio subito dal lavoratore, ma dall’esame della giurisprudenza si evince come il contenuto del danno da dequalificazione non abbia ancora acquisito una definizione precisa. Esso si configura innanzitutto come danno alla professionalità, in quanto lo priva di utilizzare e valorizzare il patrimonio di competenze che esercitava nelle mansioni precedenti. Il danno alla professionalità, peraltro, è prevalentemente qualificato come un danno patrimoniale in senso tradizionale ed il suo risarcimento si articolerà sia sotto forma di danno emergente che di lucro cessante.
Accanto a questa tipologia di danno la giurisprudenza ha riconosciuto il danno alla personalità del lavoratore, alla sua immagine, alla vita di relazione, alla perdita di chances, il danno morale ed il danno biologico inteso come danno alla salute o menomazione delle capacità psico- fisiche del lavoratore, spesso riconoscendo le tipologie di danno legate ai diritti afferenti alla personalità come categorie autonome e distinte dal danno patrimoniale.
Viene invece tendenzialmente esclusa la riconoscibilità di un danno morale, posto che il risarcimento di quest’ultimo – definito come riparazione delle sofferenze morali patite dal soggetto – viene ammesso solo in particolari ipotesi previste dalla legge (art. 2059 c.c.).
Il risarcimento non è una conseguenza automatica dell’illecito, ma il lavoratore dovrà fornire la prova dell’effettiva lesione lamentata, nonché del nesso di causalità fra inadempimento e danno. La difficoltà di fornire una simile prova – pur nella generale e ferma esclusione della sussistenza di un danno in re ipsa – ha peraltro fatto propendere parte degli interpreti nel ritenere sufficienti anche solo prove indiziarie e probabilistiche.
1.4 Le mansioni superiori
L’art. 2103 c.c. contempla l’adibizione a mansioni superiori sia nel primo periodo del primo comma che nel secondo. Nel primo periodo considera l’acquisizione del superiore inquadramento conseguente all’assegnazione in via non provvisoria a mansioni corrispondenti alla categoria superiore.
La norma, in sostanza sancisce il principio secondo cui una volta acquisita una posizione migliore di quella posseduta in partenza, questa diviene irreversibile e non è più possibile tornare alle mansioni precedenti.
Non viene peraltro considerato il motivo per cui il lavoratore abbia acquisito la categoria superiore, che potrebbe essere anche indipendente dal merito o dall’acquisizione di professionalità in quanto potrebbe essere dovuto ad un automatismo legato all’anzianità (cd. promozione automatica) o comunque ad una previsione della contrattazione collettiva.
Nel secondo periodo invece la norma considera l’ipotesi del “diritto alla promozione” a seguito di provvisoria assegnazione a mansioni superiori.
Infatti la previsione stabilisce che «in caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi».
Dunque gli elementi costitutivi di questa seconda fattispecie sono due: il primo è un elemento positivo consistente nell’effettivo svolgimento di mansioni superiori per il lasso di tempo indicato dalla norma.
L’unica deroga, a tale proposito, è stabilita dalla legge n. 180/1985 che prevede appunto che quando l’assegnazione riguardi le mansioni di quadro o dirigente il diritto alla qualifica superiore maturi dopo un periodo di tre mesi oppure dopo quello superiore stabilito dalla contrattazione collettiva.
In merito alla maturazione del periodo necessario ai fini del riconoscimento va precisato che:
- l'assegnazione a mansioni superiori deve durare ininterrottamente per tutto il periodo fissato dalla contrattazione collettiva o dalla legge;
- non è possibile cumulare distinte e reiterate assegnazioni provvisorie di breve periodo, a meno che le stesse non abbiano assunto particolare frequenza e sistematicità.
Posto che il principio che domina la materia del conseguimento della qualifica superiore è il principio dell’effettività, assume rilievo anche il modo in cui calcolare il periodo di continuativa assegnazione alle mansioni superiori: in particolare i giorni non lavorati o non lavorabili, a causa di assenze, permessi o chiusure aziendali non potranno essere computati nel periodo utile per la maturazione del diritto. Si deve ritenere infatti che la ratio della norma che mira alla verifica della idoneità professionale del lavoratore debba prevalere sulla finalità sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro che sovrautilizzi i propri dipendenti, al contrario di quanto sostenuto da una minoritaria corrente dottrinale.
Pare in effetti corretto che per computare il periodo di assegnazione a mansioni superiori si utilizzi una tecnica simile a quella propria del calcolo del periodo di prova, durante il quale il datore di lavoro ha a disposizione un lasso di tempo in cui valutare l’adeguatezza del dipendente al contesto aziendale ed ai compiti assegnati.
Problematico è il profilo della continuatività dell’assegnazione a mansioni superiori: da un lato le assenze del lavoratore per ferie o malattia non interrompono il periodo, dall’altro non è immaginabile consentire al datore di lavoro di porre in essere pratiche elusive attraverso cui aggirare il principio del diritto alla promozione, di fatto interrompendo i periodi di assegnazione in modo fraudolento. Ruolo fondamentale nella regolamentazione di questo aspetto della fattispecie è pertanto assegnato alla giurisprudenza che avrà il compito di valutare caso per caso il comportamento delle parti.
Si segnala, in proposito, Cass. 23.4.2007, n. 9550, secondo cui la reiterata assegnazione a mansioni superiori per periodi inferiori,
singolarmente considerati, al termine previsto dall'art. 2103 cod. civ., ma superiori per cumulo di più di esse, può rivelare l'intento del datore di lavoro meramente elusivo della disposizione finalizzata alla c.d. promozione automatica, quando non sussista contemporaneamente la prova, il cui onere è a carico dello stesso datore di lavoro, di aver fatto ricorso a tali modalità nella gestione delle assegnazioni provvisorie per assicurare la vacanza del posto da coprire obbligatoriamente per il tramite della procedura concorsuale o selettiva, e per il periodo necessario alla definizione di essa (Cass. 22.5.2007, n. 11850).
Il secondo requisito è invece negativo, in quanto l’assegnazione non deve avvenire per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.
In merito la giurisprudenza ha ormai assunto posizioni consolidate. Cass. 28 settembre 2011, n. 21021 ha affermato che per lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto deve intendersi solo quello che non sia presente in azienda a causa di una delle ipotesi di sospensione legale o convenzionale del rapporto di lavoro e non anche quello destinato, per scelta organizzativa, al di fuori dell’azienda o in un’altra unità produttiva. Quanto alla sostituzione dei lavoratori assenti per ferie l’orientamento giurisprudenziale più rigido ritiene che tale fattispecie di sostituzione comporti l’inapplicabilità del meccanismo della promozione automatica, difettando in tal caso quella effettiva vacanza del posto che costituisce il presupposto dell’acquisizione della qualifica superiore (con riferimento al più rigoroso orientamento si vedano Cass. 13.11.1984, n. 5798, Cass. 3.6.1976, n. 2010).
Un orientamento più flessibile, che però restringe l’ambito della promozione automatica, allarga la nozione di assenza ricomprendendovi i casi che rientrano nel nomale svolgimento del rapporto quali le ferie (Cass. 8.10.1997, n. 9763, Cass. 13.8.1996, n. 7541) o addirittura le assenze di coloro che, pur presenti in azienda, sono momentaneamente addetti ad altre mansioni (Cass. 28.10.1989, n. 4526).
Controverso è invece il caso della sostituzione a cascata: secondo alcune pronunce non si acquisisce il diritto al superiore inquadramento
(Cass. 17.7.2002, n. 10346). Un diverso orientamento ha invece ritenuto che la locuzione assente con diritto alla conservazione del posto debba essere interpretata in senso lato come comprensiva cioè non soltanto del lavoratore direttamente sostituito ma anche nell’ipotesi di sostituzione “a cascata” anche del sostituto dell’assente sempre che rimanga provato che la sostituzione di tale soggetto trova causa diretta ed immediata nell’assenza (effettiva) del lavoratore con diritto alla conservazione del posto non in servizio (Cass 18 ottobre 1982 n. 5374). Quanto alla fonte del miglioramento della propria posizione lavorativa, non si darà conto nella presente trattazione dei differenti orientamenti dottrinali in proposito sulla esistenze di una sorta di potere unilaterale del datore di lavoro nel disporre l’assegnazione a mansioni superiori. In giurisprudenza, infatti, le pronunce in tema non sono numerosissime, in quanto è più frequente osservare procedimenti in cui il lavoratore esiga il disposto della norma rispetto a istanze dei dipendenti volte a contestare l’assegnazione delle mansioni superiori.
Basti osservare che indubbiamente il mutamento in melius delle mansioni può avvenire a seguito di un accordo tra le parti, ma nemmeno la contrattazione collettiva richiede sempre l’esistenza del consenso del lavoratore (v. infra cap.2, nonché Literature Review, par. 1.4).
L’espletamento delle mansioni superiori dà luogo immediatamente al diritto al corrispondente trattamento retributivo, anche nel caso in cui esso sia conseguente alla necessità di sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.
Si osserva peraltro che anche il concetto di mansioni superiori è un concetto difficile da definire senza fare ricorso ai contenuti concreti della prestazione calata nel contesto aziendale, nonostante sia opinione consolidata che per determinare la superiorità delle mansioni si debba fare riferimento alle declaratorie contrattuali.
Tale criterio può creare però profili di incertezza nel caso in cui si discuta della fattispecie della mobilità verticale interna, ovvero quando il lavoratore sia chiamato a svolgere mansioni che sono inquadrate nella stessa categoria contrattuale rispetto a quelle di provenienza, ma
che sono differenti per contenuti qualitativi e per valore professionale. In generale, la dottrina e giurisprudenza escludono un diritto alla promozione in tali casi, posto che il mutamento delle mansioni deve sempre consistere in un miglioramento dal punto di vista del livello di inquadramento o, quantomeno, del profilo retributivo.
Anche in questi casi però, solo una attenta considerazione del contesto ambientale e culturale di riferimento rende possibile l’analisi completa della fattispecie e quindi portare ad ammettere una “progressione di carriera” anche in assenza di una progressione dal punto di vista del livello di inquadramento assegnato al lavoratore.
Le pronunce giurisprudenziali in materia sono particolarmente numerose in quanto la disposizione ha dato vita ad un contenzioso piuttosto consistente in quanto intimamente connessa con alcuni degli interessi fondamentali dei lavoratori: lo sviluppo della carriera, l’accrescimento delle proprie competenze e professionalità, il soddisfacimento delle proprie aspirazioni e desideri professionali.
In particolare, è ormai riconosciuto che la valutazione circa la superiorità delle mansioni svolte dal lavoratore implica un’ analisi qualitativa delle stesse (x. Xxxx. 13 luglio 2004, n. 12923), anche se la giurisprudenza ha posto in rilievo il ruolo determinante che gioca la contrattazione collettiva (Cass 7 febbraio 2004, n. 2360).
In ogni caso l’accertamento delle mansioni concretamente svolte dal dipendente ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se sorretto da logica ed adeguata motivazione (Cass, 11 luglio 2007, n 15489).
Alcuni profili di criticità sono emersi con riferimento alla tipologia e al contenuto delle mansioni cui il lavoratore venga adibito.
Come abbiamo visto, il diritto alla promozione consegue ad una effettiva e piena assegnazione alla posizione superiore. Assume rilievo, in tale contesto, la categoria delle mansioni promiscue, ovvero situazioni caratterizzate dal fatto che accanto alle mansioni proprie della categoria o qualifica superiore il lavoratore svolge anche mansioni inquadrabili nella qualifica inferiore.
In tali ipotesi il criterio da utilizzare per determinare se il lavoratore abbia o meno acquisito il diritto alla promozione è il criterio di prevalenza che tiene conto di un criterio qualitativo, valorizzando le mansioni di più elevata specializzazione che il lavoratore svolga e di un criterio quantitativo che dovrà valutare la frequenza e la ripetitività nello svolgimento di tali mansioni più qualificate.
Nel caso di adibizione a mansioni promiscue, ad esempio, l’esercizio contemporaneo di più mansioni, tutte ricomprese nella medesima qualifica, non giustifica di per sé solo il riconoscimento della qualifica superiore (si veda Cass, Sez. Un. 24 novembre 2006 n. 25033).
Quando tra le mansioni tipiche della qualifica di appartenenza sono compresi compiti di collaborazione e sostituzione temporanea del dipendente di grado più elevato si parla di mansioni vicarie e la giurisprudenza ha di norma escluso il diritto del lavoratore che sostituisce alla superiore qualifica del sostituito. La sentenza Cass. 25.7.1994 n. 6912 ha stabilito che la previsione contrattuale di tale compito di sostituzione comporta l’implicita valutazione di esercizio di mansioni non superiori stante la precarietà dell’incarico, precarietà che contrasta con la necessaria pienezza dell’assegnazione.
Occorre però che si tratti di sostituzioni meramente occasionali e non frutto di una stabile scelta organizzativa del datore di lavoro (in questo senso si veda Cass. 28 settembre 2006, n. 21021).
È quest’ultimo il caso del sostituto programmato: compito del magistrato, alla ricorrenza di tale fattispecie, sarà quello di valutare se la sostituzione sia causata da esigenze contingenti dell’impresa oppure da un’obiettiva carenza dell’organico, optando nella seconda ipotesi, per il riconoscimento della qualifica superiore (Cass. 10.5.97, n. 2296). In ogni caso, se lo svolgimento di mansioni superiori avviene per la necessità di sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto non si produce l’effetto dell’acquisizione definitiva della qualifica più elevata, mentre, per quel lasso di tempo, si beneficerà comunque del trattamento retributivo corrispondente. Sono nulle infatti le clausole dei contratti collettivi che subordinino tale
diritto al decorso di un periodo minimo di tempo, più o meno lungo (BROLLO, 1997).
Posto che non sempre lo svolgimento di mansioni superiori si accompagna ad un incremento retributivo, ci si chiede se l’inciso della norma che vieta qualsiasi diminuzione della retribuzione a seguito di interventi di mobilità debba essere applicato anche in caso di svolgimento di mansioni superiori. In proposito la dottrina non ha dato soluzioni univoche. Meno recente è l’orientamento rigido che sostiene che il principio della garanzia retributiva debba applicarsi anche agli interventi di mobilità verticale. Più recente, e confermato in genere dalla giurisprudenza, l’orientamento inverso che ammette che il lavoratore possa subire un peggioramento del trattamento retributivo in ragione dell’inesistenza di un diritto alla conservazione della carriera economica di provenienza.
1.5 Cenni sul pubblico impiego
In considerazione degli aspetti che si analizzeranno nei capitoli successivi legati al ruolo della contrattazione collettiva con riferimento alla disciplina delle mansioni e della mobilità, pare opportuno un breve cenno alla disciplina del settore del pubblico impiego, quanto meno con riferimento alla mobilità mansionale e alla discussa operatività dell’art. 2103 c.c. nel settore.
La materia è disciplinata dall’art. 52 del d. lgs. 165/2001 come modificato, da ultimo, dal d.lgs.150/2009, ovvero dalla Riforma Brunetta.
Esso prevede che il prestatore di lavoro debba «essere adibito alle mansioni per le quali stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini
dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione».
Si escluderà, peraltro, dalla presente ricostruzione la disciplina dell’attribuzione di mansioni superiori, disciplinata in modo autonomo e totalmente differente nel settore pubblico rispetto a quanto avviene nel settore privato dai commi 2 – 6 dell’art. 52 in commento. Xxxxx segnalare, a tale proposito, che nel settore pubblico le mansioni concretamente svolte dal lavoratore sono totalmente irrilevanti rispetto alla qualifica individuata al momento dell’assunzione e che l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 52 sancisce espressamente il divieto di promozione automatica.
Prima dell’intervento della riforma Brunetta l’art. 52 TU prevedeva che le mansioni equivalenti fossero quelle ricomprese «nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi.
La successiva formulazione ha cancellato il rinvio esplicito alla contrattazione collettiva che assume comunque rilievo indirettamente in virtù della competenza della contrattazione collettiva circa le aree di inquadramento per la suddivisione del personale (fermo restando l’obbligo della previsione di un numero minimo di aree pari a tre).
Pertanto si può affermare che il principio di equivalenza delle mansioni nel settore pubblico sia fortemente ancorato alla contrattazione collettiva ed alle tipizzazioni in essa contenute. Da ciò discende che mentre nel settore privato il giudizio di equivalenza assolve alla funzione di tutelare la professionalità dinamica o effettiva del lavoratore ed ha necessitato un’opera di costante interpretazione ed aggiornamento ad opera della giurisprudenza, nel settore pubblico ha assunto una configurazione più formalistica. In particolare la disciplina introdotta dalla contrattazione collettiva ha il potere di disciplinare la materia in termini esclusivi e in caso di controversia, il giudice si dovrà limitare a verificare se le mansioni di assunzione e le nuove mansioni del dipendente siano riconducibili alla medesima area di inquadramento.
Ulteriore annotazione riguarda il fatto che l’art. 52 del Testo Unico sul Pubblico Impiego non prevede espressamente la nullità dei patti
contrari e la dottrina si è pertanto interrogata sull’applicabilità o meno dei principi generali stabiliti dall’ultimo comma dell’art. 2103. In merito la tesi prevalente e che si ritiene di dovere accogliere propende per il conferire alla norma del codice civile una funzione regolatrice generale destinata ad essere applicata in quegli spazi in cui la normativa speciale per il settore del pubblico impiego privatizzato non abbia previsto una disciplina specifica. Inoltre indice dell’applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 2103 c.c. sarebbe costituito anche dall’evoluzione normativa seguita dalla norma che nella sua formulazione originaria – costituita dall’art. 56 d.lgs. m. 29/1993 – consentiva espressamente la possibilità di adibire il dipendente pubblico a compiti o mansioni immediatamente inferiori rispetto alla qualifica di appartenenza, garantendo comunque l’invarianza del trattamento economico. La successiva abrogazione di tale previsione pare pertanto dimostrare la volontà del legislatore di allineare i contenuti della disciplina delle mansioni del settore pubblico a quella vigente nel settore privato.
Infine, questa tesi è avvalorata dal testo dell’art. 5 l. n. 90/2014 recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficientamento degli Uffici Giudiziari, il quale introduce un’ipotesi di legittima adibizione a mansioni inferiori sancendo espressamente che questa si pone «in deroga all’art. 2103 c.c.»
La disposizione prevede che i dipendenti collocati in disponibilità – iscritti in appositi elenchi pubblicati sul sito istituzionale delle amministrazioni – possano presentare istanza di ricollocazione richiedendo di essere adibiti a mansioni corrispondenti ad una qualifica o posizione economica inferiore rispetto a quella precedentemente posseduta, in deroga a quanto previsto dall’art. 2103 c.c. Il dipendente dovrà presentare l’istanza nei sei mesi anteriori alla data di scadenza del periodo massimo di permanenza negli elenchi del personale in disponibilità (24 mesi) e l’accoglimento dell’istanza non potrà avvenire prima di 30 giorni dalla scadenza di tale data. Uno strumento posto come ultima ratio, al fine di evitare il licenziamento che consegue, appunto, all’inutile decorrere dei 24 mesi sopra richiamati. Si prevede
poi che nell’istanza il dipendente possa richiedere di essere collocato in una qualifica o posizione economica inferiore di un solo livello rispetto a quella precedentemente posseduta e che mantenga comunque il diritto ad essere ricollocato nella propria originaria qualifica e categoria, anche attraverso il ricorso a procedure di mobilità volontaria.
Questa breve analisi della disciplina vigente dimostra sinteticamente il principale scostamento fra gli ambiti pubblico e privato, che risiede quindi, appunto, nel ruolo privilegiato della contrattazione collettiva nella determinazione dei contenuti dell’equivalenza e dalla differente configurazione dello stesso, volto a tutelare nel settore pubblico una professionalità formale e non conseguente alla tipologia di attività svolta in concreto dal lavoratore. L’attenzione verso la tutela di una professionalità dinamica ed effettiva che i giudici hanno posto nei giudizi aventi ad oggetto la mobilità orizzontale nel settore privato, ha costituito un vantaggio ed al contempo un grande difetto per l’assestamento della disciplina.
Infatti, se ha permesso un adeguamento del principio alle mutevoli esigenze del contesto sociale economico e produttivo ha anche causato la proliferazione di orientamenti giurisprudenziali numerosi e differenziati. Non a caso, vari autori, soprattutto a seguito dell’introduzione nell’ordinamento dell’art. 8 l. n. 148/2011 – che come meglio si vedrà nel capitolo 3 affida un ruolo importante alla contrattazione collettiva di prossimità in materia – hanno paventato interessanti ipotesi relative al fatto che il lavoro provato possa assumere alcuni aspetti imitativi degli esiti regolativi del lavoro pubblico (si rimanda, per l’approfondimento, alla Literature Review, paragrafo 1.5).
Capitolo 2
La contrattazione collettiva di settore
Sommario: 2.1 Il ruolo della contrattazione collettiva. - 2.1.1 Ricostruzione storica. -
2.1.2 Il linguaggio e le categorie concettuali utilizzate dalla contrattazione: i sistemi di classificazione e inquadramento. - 2.2 La valorizzazione delle competenze trasversali nei sistemi di classificazione. - 2.2.1 Il C.C.N.L. Chimici. – 2.2.2 – Il C.C.N.L. Energia Petrolio. – 2.3 Contrattazione collettiva e contributo alla disciplina della mobilità. – 2.3.1 La mobilità orizzontale. – 2.3.2 – Le mansioni promiscue. – 2.2.3 – Il passaggio a mansioni superiori. – 2.2.4 L’adibizione a mansioni inferiori: i provvedimenti per la ricollocazione dei lavoratori inidonei
2.1 Il ruolo della contrattazione collettiva
Per analizzare il tema della mobilità mansionale e della sua disciplina nell’ambito della contrattazione collettiva di settore, almeno due sono gli elementi da tenere in debita considerazione.
Il primo è costituito dal fatto che l'individuazione delle mansioni e delle qualifiche è tradizionalmente effettuata dalla contrattazione stessa. Essa, come si vedrà nel paragrafo che segue, ha nel tempo adottato sistemi di inquadramento dei lavoratori differenti in funzione dell'evolversi delle esigenze della produzione e della professionalità nell'ambito dei vari settori merceologici.
Il secondo elemento da sottolineare riguarda invece il fatto che in tema di disciplina della mobilità, la norma di legge attualmente non contempla alcuna delega in favore della contrattazione di primo livello per l’individuazione di deroghe o di particolari ipotesi in cui il divieto di demansionamento possa essere considerato legittimo. Xxxx, l’art. 2103 c.c., al secondo comma, sancisce espressamente la nullità di qualsiasi patto contrario al dettato della norma.
Come già accennato, la previsione della nullità riguarda sia i patti individuali che i patti collettivi, nonostante un orientamento dottrinale minoritario abbia sostenuto in passato come la disposizione potesse
essere applicabile ai soli patti individuali, mentre i contratti collettivi, se stabiliscono condizioni meno favorevoli, devono essere considerati invalidi (ASSANTI, 1972).
In dottrina vari autori hanno sostenuto, invero, la marginalità del ruolo del contratto collettivo con riferimento al tema in esame.
Per quanto riguarda il concetto di equivalenza delle mansioni, ad esempio, il ruolo della contrattazione dovrebbe considerarsi marginale in quanto vincolato dal limite di modificabilità e di intangibilità dello status socio – tecnico professionale acquisito dal lavoratore nella fase pregressa del rapporto di lavoro.
Ancora, le nuove caratteristiche della professionalità, emerse a seguito dell’evoluzione del lavoro, per alcuni sarebbero tali da comportare capacità interpretative in larga parte simili sia nelle diverse postazioni lavorative, sia nell’ambito dei diversi settori merceologici, tra loro sempre più integrati.
La conseguenza, pertanto, sarebbe la progressiva perdita di significato della contrattazione collettiva per categorie e per rami di attività produttiva.
Nonostante le possibilità di intervento dello strumento in esame possano sembrare limitate, un’analisi delle disposizioni contrattuali relative ai sistemi di classificazione e, più in generale, alla disciplina delle mansioni, si spiega sotto vari aspetti.
In primo luogo il contratto di settore, rappresentando per sua natura il mezzo privilegiato per guidare le scelte organizzative delle professionalità all’interno di un’azienda, è lo strumento più vicino alle reali esigenze dei vari settori merceologici. Pertanto esso, adeguandosi e seguendo i mutamenti dei processi tecnologici e produttivi che coinvolgono le imprese, conserva il compito di descrivere le mansioni e le posizioni professionali esistenti e quindi di rivelare le tendenze in atto nei vari settori che la regolamentazione normativa non riesce e non può cogliere.
La contrattazione, inoltre, può rivestire un ruolo importante nella definizione di alcuni concetti che hanno una caratterizzazione piuttosto vaga nel dettato normativo quali il centrale concetto di equivalenza
delle mansioni oppure i concetti di mansioni promiscue, polivalenti o polifunzionali. In proposito il contratto di settore potrebbe spingersi fino ad individuare i fattori di affinità tra mansioni attinenti a distinte posizioni lavorative, posto che, come abbiamo visto, per costante orientamento giurisprudenziale e dottrinale l’includibilità delle mansioni nella medesimo livello di inquadramento delle precedenti non è di per sé indice sufficiente di equivalenza (GHERA, 1984).
Già negli anni Novanta, i contratti nazionali di lavoro si proponevano quale fonte privilegiata per la regolazione dell'ampiezza degli spazi di mobilità endoaziendale del lavoratore. Nel pubblico impiego la contrattazione collettiva è nondimeno competente ex lege ad individuare l'ambito dell'equivalenza professionale (cfr. l'art. 52, comma 1, del Testo Unico adottato con d.lgs. n. 165/2001), svincolando così il concetto da valutazioni giurisprudenziali spesso difficili.
Uno fra gli aspetti disciplinati o disciplinabili dalla contrattazione collettiva è appunto costituito dalle c.d. « clausole di fungibilità » in base alle quali, a fronte di contingenti esigenze aziendali, il datore di lavoro può adibire il lavoratore a mansioni che la stessa fonte collettiva ha provveduto a collocare all'interno di un'unica categoria contrattuale. In tal modo, il lavoratore inquadrato in quella determinata categoria potrà essere coinvolto in un meccanismo di rotazione su più mansioni (job rotation), tecnica, questa, che, se attuata correttamente - mediante un'effettiva alternanza di compiti a diverso contenuto professionale, secondo un ordine ciclico in cui le assegnazioni risultino sufficientemente brevi da poter essere distinte da un'adibizione stabile -
, potrebbe contribuire ad incrementare la professionalità del dipendente. In tal caso, una breve adibizione a mansioni di contenuto professionale inferiore può risultare compatibile con il disposto dell'art. 2103 c.c., in quanto nuova esperienza professionale che va ad arricchire la professionalità del dipendente.
In proposito le Sezioni Unite della Cassazione hanno avuto modo di affermare che la contrattazione collettiva, nel creare meccanismi di mobilità orizzontale endoaziendale tesi alla valorizzazione della
professionalità potenziale del lavoratore, non incorre nella sanzione di nullità comminata dall'art. 2103, comma 2, c.c. (Cass. 24 novembre 2006 n. 25033). Tuttavia, poiché le clausole contrattuali non possono comunque consentire « un'indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità » resta essenziale compito del giudice accertare che, nel caso concreto, la rotazione delle mansioni non sia avvenuta con modalità tali da contraddire il fine di accrescimento e valorizzazione della polivalenza professionale del lavoratore.
Nel presente capitolo, dopo avere brevemente ricostruito l’evoluzione storica della disciplina dei sistemi di classificazione ed inquadramento si darà atto del contributo della contrattazione collettiva di settore al tema della mobilità endoaziendale.
I testi contrattuali verranno analizzati da varie prospettive di osservazione. La prima è la prospettiva linguistica/definitoria: attraverso la descrizione della terminologia utilizzata dalle parti sociali si rileverà la misura in cui le discipline organizzative hanno fatto ingresso nei testi contrattuali così andando a scardinare lo schema mansione – qualifica – categoria delineato dalla norma di legge.
La seconda chiave di lettura sarà invece funzionale all’analisi dell’evoluzione del contenuto delle mansioni e delle posizioni professionali. L’ultima analisi infine riguarderà il contributo dei testi nella definizione dei concetti chiave del tema della mobilità endoaziendale e degli spazi di manovra a disposizione dell’imprenditore.
2.1.1 Ricostruzione storica
La materia dei sistemi di classificazione ed inquadramento è di competenza principale della contrattazione collettiva, la quale, nel corso degli anni, l’ha sottoposta a profonda revisione dando vita ad un sistema autonomo e diverso da quello legale, quale risulta enucleabile dai provvedimenti normativi illustrati nel capitolo precedente.
Fino agli anni Sessanta è stato prevalente, nel settore dell’industria, un sistema di classificazione tradizionale che traeva le sue origini dalla contrattazione degli anni Trenta: segno di una sostanziale staticità dell’organizzazione del lavoro e della contrattazione stessa. Tale sistema era caratterizzato dalla distinzione fra operai ed impiegati e dalla previsione di livelli di inquadramento distinti per le due categorie. Nel corso degli anni Sessanta, sotto la spinta dello sviluppo economico, la contrattazione sperimentò nuovi sistemi di classificazione basati su tecniche di valutazione delle posizioni del lavoro; la c.d. job evaluation, che ebbero però una diffusione piuttosto limitata e di limitata efficienza.
Il cambiamento più rilevante del sistema si realizzò a partire dalla fine degli anni Sessanta con l’adozione dell’inquadramento unico, prima nella contrattazione aziendale e quindi nella maggior parte dei contratti nazionali degli industriali (a partire dalla tornata 1973-1974).
Le novità introdotte riguardarono l’abolizione nominale della divisione tra operai ed impiegati con l’adozione di una scala di classificazione unificata. Si ridusse notevolmente il numero delle categorie contrattuali di inquadramento, chiamate livelli, in cui si raggrupparono le varie mansioni a fini retributivi e si attuò un parziale cambiamento delle tecniche di inquadramento. La classificazione è infatti generalmente suddivisa in sette o otto categorie corrispondenti ad altrettanti livelli retributivi comuni ad impiegati ed operai.
La classificazione si realizza attraverso declaratorie generiche con la descrizione di una serie di profili professionali diretti a specificarle secondo gruppi di mansioni professionalmente omogenei, definiti in relazione alla valutazione della generica capacità professionale del dipendente. Le declaratorie raggruppano infatti una serie più o meno ampia di specifici profili professionali individuati sulla base delle caratteristiche professionali (abilità, conoscenza, esperienza) della prestazione e non più in base alla mera descrizione delle mansioni.
Il sistema di classificazione è completato infine con la esemplificazione di singole mansioni tipiche rientranti nei vari livelli.
L’introduzione dell’inquadramento unico si deve, essenzialmente, ad un’ esigenza di perequazione normativa del trattamento previsto per le differenti categorie di lavoratori ed ha avuto principalmente un effetto di riduzione dei differenziali salariali. Negli anni Ottanta, a causa dell’influsso della scala mobile il sistema classificatorio è messo in crisi in modo decisivo e si assiste ad un crescente appiattimento salariale.
Ecco perché, successivamente, abbiamo avuto il susseguirsi di reazioni che hanno teso all’aggiustamento e in parte al depotenziamento del sistema stabilito con l’inquadramento unico, senza però profilare un modello alternativo definito.
Dall’inizio degli anni Novanta è stata introdotta un’innovazione più netta nei contratti di categoria che hanno riformato il sistema sostituendo i tradizionali livelli di inquadramento con nuove aree professionali, minori di numero, ma più ampie di contenuto all’interno delle quali sono previste vari profili professionali. Esse prevedono un trattamento retributivo differenziato e sono graduate al loro interno sulla base di parametri flessibili di tipo professionale in cui saranno inquadrati i lavoratori sulla base delle declaratorie e dei profili. Sintetizzando quanto si vedrà più compiutamente nel paragrafo successivo possiamo infatti dire che oggi il sistema si presenta come inquadramento per aree professionali (chiamate anche categorie), articolate al loro interno in diverse posizioni organizzative (o livelli) ed alle quali corrisponde un trattamento retributivo differenziato.
Questa evoluzione contrattuale rende labile il confine tra definizione generale delle qualifiche e attività concreta di inquadramento dei singoli lavoratori ed è pertanto tale da incidere sul sindacato giudiziale e sui diritti del singolo lavoratore all’inquadramento.
Il controllo giudiziale, che è infatti tradizionalmente ammesso per verificare la congruenza fra le mansioni concrete del singolo e la relativa classificazione, non è invece ammissibile con riferimento alle regole classificatorie come tali, che rientrano nella insindacabile competenza dell’autonomia collettiva.
Con riferimento alle tendenze della contrattazione collettiva degli ultimi decenni, si specifica infine che sin dagli anni Novanta molti contratti di categoria si sono limitati a prevedere apposite Commissioni Paritetiche Nazionali per la revisione della classificazioni, provviste di compiti non solo applicativi, ma anche innovativi di modifica e aggiustamento dei profili professionali a seconda delle indicazioni provenienti dalla realtà aziendale. Tali innovazioni riflettono la consapevolezza che negli attuali contesti produttivi caratterizzati da grande mutevolezza tecnologica/organizzativa, una valutazione corretta del lavoro può difficilmente raggiungersi con declaratorie statiche ma solo adottando procedure flessibili di adattamento continuo delle classificazioni alla realtà produttiva realizzabili a livello decentrato. La stessa professionalità infatti dipende sempre meno da predefinite capacità pratico tecniche del singolo, ma è legata sempre di più ad un insieme mutevole di fattori correlati alla posizione del lavoratore nell’intera organizzazione.
2.1.2 Il linguaggio e le categorie concettuali utilizzate dalla contrattazione: i sistemi di classificazione e inquadramento
L’analisi condotta nell’ambito dei contratti collettivi nazionali dei principali settori economici rivela essenzialmente che, salvo alcune eccezioni, gli attuali sistemi di classificazione ed inquadramento sono strutturati secondo l’impianto dell’inquadramento unico.
La categoria e i profili professionali
A livello terminologico, la contrattazione collettiva utilizza il termine categoria genericamente non al fine di identificare la categorie legali, ma piuttosto al fine di identificare le qualifiche. Alcuni contratti parlano appunto di categoria nell’identificare i cluster di inquadramento del personale, altri di livelli di inquadramento, altri ancora di aree professionali. Accanto a questo utilizzo della nozione di categoria, troviamo però anche l’impiego del termine in senso legale, in pressoché
tutti i contratti analizzati, nella sola disposizione che definisce i quadri, ed in quei contratti dove invece la distinzione fra impiegati, intermedi ed operai ha un valore classificatorio più evidente.
Nella maggior parte dei contratti, infatti, la suddivisione dei dipendenti nelle categorie legali rimane un presupposto che non si riflette in alcun modo nel sistema di classificazione. Tutti i contratti infatti specificano che la classificazione unica, mentre determina comuni livelli di retribuzione minima contrattuale, non modifica per il resto l'attribuzione ai singoli lavoratori dei trattamenti di carattere normativo ed economico che continuano ad essere previsti per gli operai gli impiegati ed i quadri dalle disposizioni di legge, di accordo interconfederale e di contratto collettivo (v. C.C.N.L. Lapidei, C.C.N.L. Commercio, C.C.N.L. Turismo, C.C.N.L. Comunicazioni, C.C.N.L. Chimici). Solo alcuni contratti collettivi prevedono però ancora nel loro articolato disposizioni normative distinte per operai e impiegati (v.
C.C.N.L. Edilizia), mentre altri nell’ambito di ciascuna categoria di lavoratori definiscono i profili professionali cui si applica la normativa operai e quelli cui invece si applica la normativa impiegati (v. C.C.N.L. Ceramica e C.C.N.L. Cemento).
Inoltre vi è da segnalare che molti contratti tendono oggi a diversificare il trattamento normativo da applicare ai lavoratori in ragione di elementi intrinseci al contenuto delle mansioni. Il trattamento normativo quindi, non è più diversificato in base ad un elemento esterno alla prestazione, quale l’appartenenza alla categoria legale, ma ad un elemento interno legato alle caratteristiche dei compiti affidati al dipendente.
È il caso delle particolari norme previste per i lavoratori “con mansioni di semplice attesa o custodia” (v. C.C.N.L. Alimentari, Elettrici, Edilizia, Chimici, Ceramica), per i “viaggiatori o piazzisti” (v.
C.C.N.L. Alimentari) oppure per i “turnisti a ciclo continuo” (v.
C.C.N.L. Chimici, C.C.N.L. Ceramica).
Nel C.C.N.L. Ceramica, poi, è stabilita l’applicazione del medesimo trattamento normativo (in materia di copertura assicurativa ed assistenza legale) dei quadri anche ai lavoratori che, pur non
appartenendo alla categoria legale dei quadri, svolgono funzioni direttive che implicano la responsabilità, il coordinamento ed il controllo di unità organizzative di notevole importanza, con ampia discrezionalità di poteri per l'attuazione dei programmi stabiliti dalla direzione aziendale
Sempre a livello terminologico e definitorio, vi è da annotare che molti contratti hanno superato la denominazione “profili professionali”, in favore di locuzioni mutuate dalle discipline organizzative.
Ed infatti alcuni testi utilizzano le espressioni “posizione organizzativa” o “posizione professionale”: è il caso del C.C.N.L. Elettrici, del C.C.N.L. Chimici e del C.C.N.L. Ceramica, ad esempio. Tale mutamento a livello terminologico implica il riconoscimento del fatto che il dipendente non svolga solo una mansione, ma sia in realtà parte di un sistema più complesso ed integrato in quanto occupa, appunto, una posizione. La posizione è uno snodo in cui si articolano i processi e le funzioni che compongono il sistema impresa e pertanto nel concetto di posizione è implicito uno sforzo di sintesi che accomuna differenti compiti ad unica entità organizzativa e, conseguentemente, classificatoria.
La struttura della classificazione
La classificazione unica utilizzata dalla maggior parte dei contratti segue lo schema già descritto nel paragrafo precedente: in primo luogo, sono definite la declaratorie, che determinano, per ciascuna categoria, le caratteristiche ed i requisiti indispensabili per l'inquadramento nella categoria stessa e corrispondono a livelli omogenei di competenze e capacità necessarie per lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Nelle declaratorie sono quindi descritte, in modo piuttosto asciutto e basilare, le caratteristiche generiche della mansione, generalmente riconducibili alla semplicità o alla complessità dei compiti, al binomio mansioni esecutive/mansioni di concetto, alla specializzazione del lavoratore o all’ambito di responsabilità. A questo proposito è singolare
il caso del C.C.N.L. Bancari che stabilisce quattro livelli retributivi nell’ambito della categoria dei quadri direttivi e che determina il passaggio da un livello retributivo al superiore a seconda del numero delle risorse che il lavoratore ha in carico.
In quasi tutti i contratti analizzati le declaratorie sono seguite dalla esemplificazione dei profili, funzionale a descrivere in modo più specifico il contenuto professionale delle mansioni in essi individuate. L’esemplificazione dei profili professionali è poi seguita, a sua volta, da esempi che si riferiscono genericamente alla figura professionale del lavoratore, e pertanto sono prevalentemente formulati in termini uniformi. Prevedono per esempio tutti questi step classificatori il
C.C.N.L. Metalmeccanici ed il C.C.N.L. Comunicazioni. Altri
C.C.N.L. invece prevedono esclusivamente la declaratoria e l’esempio, omettendo l’esemplificazione dei profili professionali: è il caso ad esempio del C.C.N.L. Terziario.
L’abbondanza di esempi contenuti nell’art. 95 del summenzionato
C.C.N.L. Terziario, Distribuzione e Servizi consente la riflessione sull’inadeguatezza della maggior parte dei sistemi di classificazione ed inquadramento ad adattarsi ed a recepire l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro. Scorrendo infatti gli esempi riportati nel testo, si nota come da un lato alcune mansioni citate siano ormai completamente in disuso (è il caso dello steno – dattilografo o del dattilografo) o di difficile definizione nell’assetto attuale delle aziende moderne, caratterizzate dall’emergere di nuovi profili professionali complessi in cui convivono competenze di diversa natura (è il caso delle professionalità legate al mondo della comunicazione, della pubblicità, delle ricerche di mercato).
Pertanto, un’auspicata evoluzione dei sistemi di qualificazione ed inquadramento dovrebbe passare non già attraverso il perfezionamento delle tecniche di esemplificazione, ma piuttosto attraverso un più puntuale recepimento dell’organizzazione aziendale e del lavoro. In questo senso, esempi interessanti e virtuosi sono costituiti dal C.C.N.L. Elettrici, dal C.C.N.L. Gomma Plastica e dal C.C.N.L. Chimici che
pongono quale presupposto della scala classificatoria la suddivisione dei lavoratori in differenti aree funzionali.
Esse non sono propriamente definibili come aree di competenze professionali, ma sono in realtà i veri e propri settori operativi in cui si esplica l’attività aziendale. Le aree funzionali definite dai C.C.N.L. sono l’area amministrazione, commerciale-logistica, manutenzione, personale/org/EDP, produzione, qualità, ricerca e sviluppo, servizi vari. Nell’ambito di ciascuna area funzionale vengono quindi esemplificati i profili professionali, secondo una scala che tiene conto del diverso contenuto professionale delle mansioni.
Una classificazione siffatta costituisce un buon punto di partenza per superare la funzione classica cui assolvono i sistemi di classificazione ed inquadramento professionale, ovvero la mera definizione di livelli retributivi ed evolvere verso la possibilità di attribuire a tali sistemi un significato di natura gestionale ed organizzativa. Un passo ulteriore in questo percorso, come si vedrà nel paragrafo che segue, è costituito da quei sistemi di classificazione ed inquadramento che hanno saputo valorizzare i profili professionali non solo in ragione delle competenze tecniche o specialistiche possedute dai dipendenti, ma anche delle competenze trasversali (come ha fatto, ad esempio, il C.C.N.L. per i dipendenti dell’industria chimica).
In pochi contratti il titolo di studio posseduto dal dipendente rappresenta un criterio attraverso il quale attuare l’inquadramento dello stesso. Esemplificativo è il caso del C.C.N.L. Edilizia il quale prevede che i laureati in specialità tecniche inerenti all'industria edilizia (ingegneri, architetti e simili), in specialità amministrative (dottori in economia e commercio, in giurisprudenza e simili) e i diplomati di scuole medie superiori in specialità tecniche inerenti all'industria edilizia (geometri, periti edili e simili) o in specialità amministrative (ragionieri, periti commerciali) non possano essere assegnati a categoria inferiore alla 2ª per i laureati ed alla 3ª per i diplomati, sempreché siano adibiti a mansioni inerenti al loro titolo di studio. Terminato il periodo di prova i laureati mantenuti in seconda categoria
ed i diplomati mantenuti in terza, avranno diritto a maggiorazioni retributive.
Le mansioni emergenti
Descritto il sistema di classificazione, i contratti contemplano poi alcune indicazioni relative all’inquadramento di mansioni non individuate dalla contrattazione collettiva ed emergenti dal processo di evoluzione del lavoro.
Il C.C.N.L. Metalmeccanici, specifica ad esempio che i requisiti indispensabili derivanti dalle caratteristiche e dai presupposti professionali indicati nelle declaratorie e dai contenuti professionali specificati nei profili, consentono, per analogia, di inquadrare le figure professionali non indicate negli esempi contenuti nel testo contrattuale. Lo stesso contratto specifica poi che per mansioni nuove non previste nelle esemplificazioni contrattuali, l’azienda darà comunicazione, tramite la propria Associazione, all’Organizzazione dei lavoratori della categoria retributiva nella quale il lavoratore è stato inserito ed in tal caso il Sindacato potrà formulare i suoi rilievi al riguardo.
Allo stesso modo, i requisiti definiti dalle declaratorie e dai profili professionali guideranno il datore di lavoro anche nel caso in cui le figure professionali non siano indicate perché il contratto collettivo non utilizza la esemplificazione del profilo professionale, o pur utilizzandola, non la prevede per tutte le categorie ad esempio perché già sufficientemente definite nelle declaratorie. Il C.C.N.L. Lapidei, ad esempio, specifica che per le mansioni non rappresentate nei profili o aventi contenuto professionale superiore a quello del relativo profilo, anche in relazione ad innovazioni tecnologiche, l'inquadramento sarà effettuato nell'ambito della stessa qualifica - sulla base delle declaratorie ed utilizzando per analogia i profili esistenti (similarmente anche il C.C.N.L. Alimentari, che stabilisce come l’inquadramento verrà effettuato a livello aziendale).
Il C.C.N.L. Turismo, invece, stabilisce che nel caso in cui dovessero identificarsi, a livello territoriale, mansioni non riconducibili alle
qualifiche previste, l'inquadramento sarà esaminato, sulla base delle declaratorie, dalle competenti Organizzazioni territoriali ed in caso di mancata soluzione la questione sarà demandata alle rispettive Organizzazioni Nazionali.
L’equivalenza
Per quanto riguarda il concetto di equivalenza, vi è da segnalare che pochi contratti collettivi stabiliscono a priori quali mansioni si possono definire equivalenti: ciò è comprensibile essenzialmente perché il giudizio di equivalenza è un giudizio concreto, affidato alla valutazione del giudice. Tale giudizio, come si è detto nel capitolo precedente non è vincolato, in senso assoluto, dall’appartenenza delle mansioni alla medesima categoria contrattuale. Una valutazione operata chiaramente dalla contrattazione collettiva, potrebbe da un lato avere l’utilità di costituire una base per il ragionamento del giudice, ma dall’altro lato potrebbe avere l’effetto di restringere eccessivamente gli ambiti di legittimità degli interventi di mobilità professionale. In ogni caso, anche i contrati collettivi che contengono un giudizio di equivalenza, non si spingono più in là di considerare equivalenti le mansioni ricomprese nella medesima categoria. È il caso dell’art. 62 del
C.C.N.L. Ceramica, che stabilisce come il personale sia inquadrato “in un'unica scala classificatoria composta dalle seguenti 6 categorie nell'ambito delle quali sono previste figure professionali con mansioni contrattualmente equivalenti, distribuite su diverse posizioni organizzative”, o dell’art. 4 del C.C.N.L. Chimici.
0.0.Xx valorizzazione delle competenze trasversali nei sistemi di classificazione.
La premessa principale dell’impianto normativo concernente la disciplina della mobilità è, come abbiamo visto, il concetto di mansione. Essa è definita, secondo la tradizionale impostazione, dall’insieme dei compiti cui è adibito il lavoratore. La mansione è
inoltre il primo tassello dell’architettura organizzativa del sistema impresa che si esplica poi in categorie più ampie, quali la posizione organizzativa ed il ruolo.
L’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e delle professionalità è stata tale negli ultimi anni da mettere in crisi, non solo - come evidenziato nel paragrafo precedente - il concetto di categoria legale, ma addirittura il concetto stesso di mansione che è sempre più difficile identificare oggi con un insieme di compiti.
Infatti al fine di poter ricondurre un lavoratore ad un determinato livello di inquadramento è sempre più importante individuare accanto a cosa il dipendente fa quotidianamente anche come lo fa, ovvero quali sono le competenze - sia specifiche che trasversali – cui fa ricorso.
Tale operazione è diventata indispensabile secondo i sistemi di classificazione ed inquadramento individuati in alcuni contratti collettivi, in particolare il contratto nazionale del settore dei chimici ed altri contratti ad esso affini. Per tali contratti collettivi l’evidenza delle competenze messe in atto dal lavoratore è lo strumento principale per riconoscere e valorizzare adeguatamente le figure professionali emergenti o nuove, caratterizzate da elevata professionalità e che contribuiscono in modo significativo allo sviluppo della produttività tecnica ed economica delle imprese.
Il sistema di inquadramento, attraverso la profonda revisione attuata in tali contratti collettivi, diventa capace di cogliere le evoluzioni e gli sviluppi dei sistemi organizzativi. Il contratto collettivo è così addirittura in grado di prefigurare percorsi di crescita professionale, anche attraverso la mobilità dei lavoratori verso diverse e figure professionali presenti nelle organizzazioni.
2.2.1 Il C.C.N.L. Chimici
Come esplicitamente dichiarato dalle parti nella premessa al titolo del
C.C.N.L. Chimici dedicato alla classificazione, la revisione del sistema di inquadramento è finalizzata a valorizzare e rafforzare il rapporto tra organizzazione del lavoro, ruoli e professionalità e sistema di
inquadramento del personale, supportare ed aderire al cambiamento e alle evoluzioni presenti nelle organizzazioni, introdurre riferimenti oggettivi nelle declaratorie di ciascuna categoria in grado di facilitare il corretto inquadramento delle posizioni di lavoro, aumentare la trasparenza del sistema di inquadramento contribuendo a renderne più coerente l'applicazione a livello aziendale.
Le parti confermano che lo sviluppo della produttività tecnico- economica passa anche attraverso il migliore utilizzo di tutte le risorse tecniche ed umane.
Viene riconosciuta, inoltre, la possibilità di valorizzare la professionalità anche mediante l’utilizzo di nuovi modelli organizzativi comportanti una diversa configurazione delle mansioni e delle figure professionali.
Le parti sottolineano inoltre l'importanza che lo sviluppo professionale dei lavoratori sia sostenuto dalla realizzazione di programmi formativi mirati a facilitare la crescita professionale in connessione con le esigenze organizzative delle imprese e dalla diffusione di tecnologie informatiche.
La ricerca volta all’individuazione del modello organizzativo più idoneo al perseguimento di tutti questi scopi, potrà comportare l'accorpamento e l'arricchimento di più mansioni e quindi, come si può bene immaginare, la necessità che i lavoratori affrontino, nello svolgimento dei loro compiti, veri e propri cambiamenti.
Nel C.C.N.L. Chimici i lavoratori sono inquadrati in un'unica scala classificatoria composta da sei categorie nell'ambito delle quali sono previste figure professionali con mansioni contrattualmente considerate equivalenti, distribuite su diverse posizioni organizzative. La declaratoria individua, per ciascuna categoria, attraverso otto fattori guida, le caratteristiche ed i requisiti indispensabili per l'inquadramento nella categoria stessa.
Sono inoltre individuate 187 figure professionali di riferimento, i cui contenuti professionali, ai fini dell'inquadramento, devono essere integrati con i contenuti indicati dalle declaratorie.
L'attribuzione del corretto inquadramento, rispetto alla posizione di lavoro assegnata, avviene attraverso un procedimento composto da più fasi che impone una profonda analisi della posizione di lavoro e dei suoi contenuti professionali e l’esame concreto della corrispondenza tra i contenuti professionali della posizione di lavoro e i contenuti delle declaratorie. L’ultimo step del procedimento impone poi di individuare il grado di copertura della posizione di lavoro, ovvero il grado di corrispondenza tra i requisiti richiesti dalla posizione di lavoro e quelli espressi dal lavoratore.
Il lavoratore che abbia requisiti corrispondenti a quelli richiesti dalla posizione di lavoro riconducibile ad una figura professionale individuata dal C.C.N.L. dovrà avere l'inquadramento previsto dal
C.C.N.L. per quella figura professionale.
Per le figure professionali non individuate o aventi contenuto professionale diverso rispetto a quelli delle 187 figure professionali indicate nel C.C.N.L., l'inquadramento dovrà effettuarsi o utilizzando in via analogica le figure professionali ivi previste, oppure utilizzando figure professionali definite a livello aziendale.
Come già accennato, ai fini di una puntuale comprensione delle declaratorie, la descrizione del sistema di classificazione e di inquadramento è preceduta dal glossario dei fattori, che ha appunto l’obiettivo di rendere più chiaro il contenuto delle declaratorie stesse e quindi di agevolare la correlazione tra i contenuti della declaratoria quelli della specifica posizione lavorativa presente in azienda.
Esso è costituito da una definizione generale del fattore cui poi è seguita la esemplificazione della declinazione che ciascun fattore ha nelle diverse categorie.
Il primo dei fattori presi in esame dal C.C.N.L. è la conoscenza, definita come il complesso di nozioni necessarie nella propria attività Nella categoria A, in cui sono ricomprese le professionalità più elevate, il livello di conoscenze richiesto è interdisciplinare, ovvero riferito a più ambiti del sapere.
Il livello di conoscenza diventa interfunzionale, ovvero riferito a più ambiti di attività, nella categoria B, interspecialistico ovvero
approfondito in più ambiti specialistici diversificati, nella categoria C, specialistico, ovvero approfondito in ambiti specialistici collegati, nella categoria D, generalistico, ovvero formalizzato, ma non approfondito, in ambiti specialistici, nella categoria E ed infine di base, ovvero non formalizzato e tipo pratico, nella categoria F.
Il secondo fattore è la capacità, intesa come esercizio delle proprie conoscenze, seguono le competenze, ovvero l'insieme di conoscenze e capacità necessarie per ricoprire un dato ruolo organizzativo
Il quarto fattore è l’esperienza, intesa come insieme di conoscenze, capacità, competenze, effettivamente maturate e stabilizzate attraverso una ripetuta pratica. Il quinto fattore è l’autonomia che misura l'ambito e l'ampiezza della presa di decisione applicata all'area di attività
Il sesto fattore è infine la responsabilità, che misura, con riferimento ai risultati prodotti e agli impatti economici, l'influenza della posizione e la sua correlazione con altre posizioni nella struttura
Oltre ai sei fattori essenziali, descritti sopra, il contratto definisce due fattori accessori: la modalità di rapporto con i collaboratori e l’attività in gruppi di progetto.
Il primo è quel meccanismo organizzativo che individua la relazione, anche non di tipo gerarchico, tra le diverse posizioni nella struttura e può essere di supervisione, sviluppo o coordinamento per le professionalità più elevate o guida e controllo per le professionalità meno elevate.
Il criterio delle attività in gruppi di progetto individua invece quell’insieme di azioni, non necessariamente coincidenti con la propria attività, rivolte al raggiungimento degli obiettivi di un progetto cui il lavoratore prenda parte, con diversa intensità (l’impatto del lavoratore nelle attività può andare dalla gestione alla mera partecipazione).
Il sistema di inquadramento del C.C.N.L. in commento divide le figure professionali a seconda delle aree funzionali dell'impresa convenzionalmente individuate, che sono:
1) Amministrazione e controllo
2) Commerciale marketing/vendite
3) Logistica/acquisti
4) Produzione
5) Qualità
6) Ricerca e sviluppo
7) Risorse umane e organizzazione
8) Servizi tecnici (composta da manutenzione, ingegneria, tecnologia)
9) Servizi vari
10) Sicurezza, salute, ambiente
11) Sistemi informativi
Il sistema delineato viene poi reso ulteriormente più chiaro da ulteriori accorgimenti. Infatti per ogni declaratoria sono riportate le relative definizioni del glossario, le figure professionali sono ordinate per posizione organizzativa e, nell'ambito della stessa, per area funzionale dell'impresa. Nel titolo di ogni figura professionale è riportata la qualifica di appartenenza (in realtà si tratta della categoria legale).
Per meglio comprendere tutto quanto sin qui esposto, si riporta un’esemplificazione nell’ambito della Categoria A, che come abbiamo già detto, è la categoria in cui sono ricomprese le professionalità più elevate.
La declaratoria stabilisce come appartengano a questa categoria le posizioni di lavoro con la qualifica di quadro preposte ad importanti settori di attività aziendale e che richiedano:
- conoscenza e competenze interdisciplinari per svolgere mansioni per le quali necessita capacità gestionale integrata;
- esperienza gestionale integrata e/o diversificata in più discipline;
- autonomia decisionale nell'ambito delle politiche aziendali con obiettivi di carattere generale ed in relazione alle caratteristiche dell'azienda, anche di tipo internazionale;
- responsabilità rilevanti per l'impresa che comportano l'assunzione di decisioni integrate con più aree funzionali e la gestione di risorse aziendali.
Eventuale:
- supervisione, sviluppo, coordinamento di collaboratori;
- gestione attività di articolati gruppi di progetto.
Dopo la definizione è riportato nuovamente il glossario che permette di comprendere precisamente il significato della stessa. A seguire in una tabella sono riportate le figure professionali suddivise per area funzionale e posizione organizzativa che poi vengono ampliamente illustrate in modo discorsivo. Solo in quest’ultima sezione, possiamo notare la presenza della descrizione dei compiti cui sono adibiti i lavoratori inquadrati in ciascuna posizione professionale e ritroviamo quindi la mansione in senso classico.
Ad esempio, il Responsabile personale/organizzazione di unità operativa (figura professionale n. 19, appartenente alla categoria legale dei quadri) garantisce:
- la corretta applicazione delle norme contrattuali e l'osservanza degli adempimenti di legge in fase di costituzione, gestione e cessazione del rapporto di lavoro nel rispetto delle politiche societarie;
- alla linea la continuità del personale qualitativamente e quantitativamente necessario al conseguimento degli obiettivi specifici e generali della società;
- le relazioni con le Organizzazioni sindacali locali per il raggiungimento degli obiettivi aziendali nel rispetto delle politiche societarie.
Inoltre:
- contribuisce all'applicazione ed al rispetto delle norme di legge in materia di sicurezza, salute e ambiente partecipando alla formulazione degli interventi adeguati;
- provvede all'impostazione e gestione del contenzioso di lavoro;
- mantiene un adeguato sistema di comunicazione con il personale al fine di garantire un clima di partecipazione e di elevata produttività;
- propone piani di sviluppo organizzativo coerentemente con la politica generale della società;
- imposta, in collaborazione con le altre funzioni, piani di formazione e sviluppo del personale dell'unità operativa di competenza.
L’evoluzione del sistema di classificazione e di inquadramento attuata dal C.C.N.L. per i lavoratori dell’industria chimica oltre che segnare il tramonto delle definizioni tradizionali di mansione, qualifica e
categoria, segna il decisivo passaggio da un sistema funzionale esclusivamente al soddisfacimento di esigenze di equità retributiva ad uno in cui il sistema di classificazione disegnato dal C.C.N.L. assolve esigenze propriamente gestionali. La collocazione di un lavoratore in una delle caselle predisposte dal sistema di inquadramento non rivela esclusivamente quanto questi venga retribuito, come accade per i sistemi di classificazione classici, ma offre una completa fotografia del prestatore di lavoro.
A riprova del fatto che le parti abbiano inteso predisporre uno strumento di valenza gestionale vi è la definizione, nel C.C.N.L., di un sistema di classificazione ed inquadramento pensato appositamente per la piccola impresa. Ciò in considerazione del fatto che la PMI manca delle strutture e delle risorse necessarie per adottare una architettura organizzativa troppo complessa.
L’art. 4-bis del contratto infatti disegna un sistema di classificazione semplificato che pur conservando le direttrici del modello sopra descritto è in grado di cogliere e di adattarsi alla realtà delle PMI, caratterizzata da snellezza organizzativa e dall'espletamento di più mansioni in capo allo stesso lavoratore con conseguente necessità di una elevata flessibilità nell'esercizio della prestazione lavorativa.
Altra spia della funzionalità gestionale del modello proposto dal
C.C.N.L. del settore chimico è costituita dalla modalità in cui sono definiti nello stesso testo contrattuale i profili formativi per il contratto di apprendistato professionalizzante. Infatti la mappatura delle figure professionali si riflette sulla completezza dell’elaborazione dei profili formativi e sull’individuazione delle qualifiche da conseguire. Le competenze, che costituiscono l'obiettivo formativo per il conseguimento della qualificazione professionale e devono essere conseguite mediante l'esperienza di lavoro e l'attività formativa formale sono suddivise in competenze professionali generali di carattere trasversale e competenze specifiche caratteristiche e proprie delle aree funzionali individuate nell'ambito delle quali si colloca la qualifica. La normativa contrattuale relativa al contratto di apprendistato pertanto
poggiando su un sistema di classificazione ed inquadramento così strutturato diviene estremamente concreta ed effettiva.
2.2.2 Il C.C.N.L. Energia Petrolio
Il C.C.N.L. del settore chimico non è l’unico a prevedere un siffatto impianto classificatorio in quanto anche altri C.C.N.L. affini hanno proseguito in questa strada.
Il C.C.N.L. Gomma Plastica ad esempio prevede la suddivisione delle figure professionali per aree funzionali, ma non arriva ad un’analisi così completa delle competenze trasversali proprie di ciascuna figura professionale.
Interessante è il C.C.N.L. Energia – Petrolio che prevede il collegamento tra il sistema di inquadramento e la valutazione dell’apporto professionale complessivo del lavoratore.
In particolare, mentre l’inquadramento nelle categorie avviene sulla base delle declaratorie e con riferimento diretto o analogico ai ruoli professionali individuati per ciascuna categoria, l'apprezzamento dei singoli apporti professionali (C.R.E.A.) avviene attraverso la valutazione analitica e complessiva inscindibile di quattro fattori oggettivi e soggettivi: complessità; responsabilità; esperienza ed autonomia.
Ciascun fattore del C.R.E.A. è individuato attraverso l'individuazione di 14 elementi complessivi, e cioè con 3 elementi ciascuno per quanto riguarda la complessità e la responsabilità, e 4 elementi ciascuno per quanto riguarda esperienza ed autonomia.
Anche in questo contratto – che prevede un sistema salariale unico per tutto il settore - i ruoli professionali sono raggruppati per aree di business e per comparti omogenei all'interno delle stesse.
Con la definizione del nuovo impianto classificatorio e della struttura retributiva complessiva, le parti hanno inteso porre in essere una strumentazione compiutamente idonea a favorire la valorizzazione dell'evoluzione dell'apporto individuale dei lavoratori e relativa crescita professionale, la flessibilità operativa, l'adozione di nuovi e più evoluti
modelli organizzativi coerenti con gli sviluppi tecnologici, consentendo con ciò il miglioramento della competitività delle imprese.
Il sistema delineato dal C.C.N.L. in esame per l’apprezzamento dell’apporto professionale dei lavoratori è piuttosto complesso, ma una sua breve descrizione è interessante per comprendere la valenza dello strumento.
Per l'apprezzamento del C.R.E.A. sono predisposte delle schede che prevedono l'indicazione degli elementi individuati fra i quattro sopra citati e del numero dei gradi di apprezzamento rilevati. Il livello di
C.R.E.A. è quindi rappresentato dalla media aritmetica dei singoli elementi.
Il livello salariale complessivo del lavoratore è determinato oltre che dall'inquadramento nella categoria di competenza dall'attribuzione del livello derivante dall'apporto individuale complessivo.
La verifica dell'apprezzamento dell'apporto professionale è necessaria per definire la retribuzione che percepirà il dipendente ed avverrà in caso di assegnazione dello stesso ad altro ruolo all'interno della stessa categoria oppure in caso di significativi cambiamenti organizzativi, tecnologici o dell'apporto professionale, tali da mettere in discussione il sistema previgente.
Nel sistema delineato i ruoli chiave sono espressi in forma sintetica e le declaratorie assumono un ruolo preminente per definire quella parte della valutazione complessiva della professionalità che è rappresentata dall'inquadramento. La definizione delle caratteristiche fondamentali che contraddistinguono le singole categorie è sviluppata in forma ampia e dettagliata per consentire una lettura uniforme, senza lasciare margini interpretativi agli interlocutori. La funzione del C.R.E.A. è peraltro specificamente quella di apprezzare con valori puntuali gli ambiti che caratterizzano la declaratoria, sia per quanto riguarda gli aspetti oggettivi (definiti dagli elementi della complessità e della responsabilità), sia per quanto riguarda quelli soggettivi (definiti dai criteri dell’esperienza e autonomia).
È evidente come, rispetto ai sistemi di inquadramento classici quello delineato dal C.C.N.L. Energia, sia radicalmente diverso ed innovativo.
Nei sistemi tradizionali infatti, come abbiamo visto, l'inquadramento è sostanzialmente guidato da profili professionali dettagliati e descrittivi di gran parte delle attività effettivamente svolte. Ne consegue che la funzione demandata alle declaratorie è essenzialmente quella di indicazione generica di realtà successivamente dettagliate e, solo per eccezione, si fa riferimento diretto alle declaratorie per procedere all'inquadramento.
Tralasciando le modalità di calcolo del C.R.E.A, non rilevante in questa sede, si specifica come il livello venga determinato dalla somma dei valori derivanti dall'apprezzamento dei singoli elementi dei 4 fattori diviso 14, che è il numero complessivo degli elementi che possono essere presi in considerazione e che l'apprezzamento dell'apporto professionale individuale venga formalizzato con apposito documento, costituito dalle già citate schede, allegate al contratto collettivo stesso. Il C.C.N.L. descrive quindi analiticamente i quattro fattori nei loro vari elementi in una vera e propria guida tale da permettere la descrizione non tanto della mansione, ma delle vere e proprie modalità in cui si esprime il ruolo professionale del lavoratore. A titolo esemplificativo, la complessità è declinata in vari elementi tra cui troviamo l’innovazione, la definizione di obiettivi o compiti, le relazioni esterne. Nel fattore responsabilità la sicurezza delle persone e degli impianti, l’impatto sui risultati economici, lo sviluppo delle persone. Nel fattore esperienza troviamo elementi quali la padronanza di tecniche teoriche e pratiche e modelli specialistici, l’esperienza generale aziendale, l’esperienza interfunzionale. Infine per l’apprezzamento dell’elemento dell’autonomia, si dovranno tenere in considerazione elementi quali ad esempio la capacità di innovazione, orientamento al compito, la definizione delle priorità.
Solo la completa descrizione del ruolo e pertanto la comprensione del significato organizzativo della prestazione permette l’attribuzione del corretto peso retributivo alla prestazione resa.
2.3 Contrattazione collettiva e contributo alla disciplina della mobilità.
Nonostante l’articolo 2103 del Codice Civile non permetta alcuna deroga da parte della contrattazione collettiva di settore è interessante indagare la tipologia di interventi posti in atto in tema di ius variandi del datore di lavoro dai vari testi contrattuali.
Preliminarmente si osserva che molti C.C.N.L. introducono gli articoli in tema di mobilità con una sorta di “premessa” che sostanzialmente ribadisce quanto disposto dalla legge. Le più complete sono quelle presenti nel C.C.N.L. Commercio e nel C.C.N.L. Turismo, che ricordano, in modo del tutto pleonastico come il prestatore di lavoro debba essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti al livello superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo non superiore a tre mesi. Più sintetiche quelle presenti in altri testi contrattuali, come il C.C.N.L. Meccanica e il C.C.N.L. Cooperative Sociali.
2.3.1 La mobilità orizzontale
Dalla prospettiva della mobilità orizzontale, molti sono i concetti introdotti dalla contrattazione collettiva al fine di definire lo spazio di manovra del datore di lavoro e di arricchire e specificare il concetto di equivalenza. Già abbiamo citato i contratti che in modo esplicito qualificano come equivalenti le figure professionali definite nell’ambito della medesima categoria di inquadramento. Alcuni testi contrattuali utilizzano al fine di chiarire l’ambito di legittimo intervento da parte del datore di lavoro il concetto di fungibilità delle mansioni. È il caso, ad esempio, del C.C.N.L. Bancari, il quale dispone che può essere attuata
la piena fungibilità - nell’ambito della categoria dei quadri direttivi - rispettivamente fra il 1°, il 2° e il 3° livello retributivo e fra il 2°, il 3° e il 4° livello retributivo. Nei confronti dei quadri direttivi di 3° e 4° livello cui sia stata attribuita l’indennità di ruolo chiave, la piena fungibilità può essere attuata solo rispetto ai livelli immediatamente inferiori. La fungibilità, così come definita in questo C.C.N.L., ha lo scopo di soddisfare esigenze aziendali ma anche di consentire conoscenze quanto più complete del lavoro ed un maggiore interscambio nei compiti in impresa. Lo stesso contratto collettivo stabilisce poi ulteriormente il valore formativo, in termini di accrescimento della professionalità, dei mutamenti di mansioni nell’ambito dell’equivalenza nella parte in cui disciplina la mobilità a seguito di specifica richiesta del lavoratore.
In particolare, il C.C.N.L. stabilisce che i lavoratori inquadrati nella 3ª area professionale e nel 3° livello retributivo della 2ª area professionale (esclusi gli addetti a mansioni operaie), possano richiedere alla Direzione aziendale competente, dopo un periodo determinato di adibizione alle medesime mansioni (3 o 6 anni a seconda delle mansioni) di essere utilizzati in altre mansioni di propria pertinenza. La Direzione aziendale accoglierà la richiesta di cui sopra compatibilmente con le esigenze operative e tenuto altresì conto delle attitudini del richiedente, potendo adibire l’interessato anche ad un diverso nucleo operativo (reparto, ufficio, servizio, succursale). Qualora le richieste avanzate non trovino accoglimento entro 3 mesi dalla relativa presentazione, l’interessato può chiedere alla Direzione aziendale competente che gli vengano forniti motivati chiarimenti. Dopo 8 anni di adibizione alle medesime mansioni, gli stessi lavoratori maturano poi il diritto di ottenere, su richiesta, l’adibizione ad altre mansioni di propria pertinenza. Tale rotazione deve avvenire entro un anno dalla presentazione della richiesta scritta.
L’impresa è tenuta a soddisfare le richieste di cui al comma precedente entro un limite di rotazioni, nel corso di ogni anno, del 10% del personale inquadrato nella 3ª area professionale e nel 3° livello retributivo della 2ª area professionale (esclusi gli addetti a mansioni
operaie) del nucleo operativo comunque denominato, nel quale presta la propria attività il richiedente e compatibilmente con la possibilità di far ricoprire il posto che si rende vacante.
Altri C.C.N.L., pur non prevedendo meccanismi che, in modo così esplicito, valorizzano la rotazione in mansioni riconducibili ad uno stesso ambito, definiscono alcuni concetti funzionali ad esaltare il valore della complessità dei contenuti delle mansioni. Il C.C.N.L. Alimentari, ad esempio, prevede la possibilità, per le parti, di procedere ad esami congiunti che siano finalizzati alla definizione, di modelli organizzativi che consentano, mediante l'adozione di elementi obiettivi di riconoscimento, la valutazione di nuove posizioni di lavoro anche in funzione delle nuove competenze acquisite e delle estensioni dei ruoli professionali riscontrate. L’accrescimento delle competenze e lo sviluppo delle professionalità conducono quindi ad un concetto di mansione più esteso, meno incasellabile in schemi predefiniti. I concetti cardine della definizione di questi nuovi modelli di lavoro sono, secondo il C.C.N.L., la polivalenza, intesa come quella caratteristica della mansione tale da permettere al lavoratore un intervento su ambiti di competenza, in astratto, di più posizioni di lavoro e la polifunzionalità, intesa come esercizio di attività complementari quali coordinamento, conduzione, controllo, manutenzione e qualità.
2.3.2 Le mansioni promiscue
Un tema trattato da tutti i C.C.N.L. presi in esame è quello delle mansioni promiscue. Alcuni C.C.N.L. definiscono la fattispecie utilizzando esattamente tale locuzione (è il caso del C.C.N.L. Alimentari, C.C.N.L. Edilizia, C.C.N.L. Commercio, C.C.N.L. Turismo), altri invece parlano di cumulo di mansioni (così ad esempio il C.C.N.L. Lapidei, C.C.N.L. Meccanica, C.C.N.L. Gomma Plastica,
C.C.N.L. Ceramica). In ogni caso, ci si riferisce sempre alla fattispecie in cui il lavoratore esplichi mansioni di pertinenza di diversi livelli di inquadramento). I criteri presi in esame dalla contrattazione per stabilire in quale livello il lavoratore debba essere inquadrato sono
essenzialmente due: quello della prevalenza e quello della continuità delle mansioni svolte. Secondo il C.C.N.L. Alimentari e il C.C.N.L. Ceramica, al lavoratore che esplichi mansioni pertinenti a livelli diversi viene riconosciuto il livello corrispondente alla mansione superiore, sempre che quest'ultima abbia carattere di prevalenza e sia svolta con continuità.
Secondo il C.C.N.L. Edilizia, l'operaio che sia adibito, con carattere di continuità, a mansioni relative a diverse qualifiche sarà classificato nella qualifica della categoria superiore e ne percepirà la retribuzione quando le mansioni inerenti alla qualifica superiore abbiano rilievo sensibile, anche se non prevalente, sul complesso dell'attività da lui svolta.
Tale C.C.N.L. peraltro pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di comunicare per iscritto , decorsi tre mesi ed in caso di richiesta scritta del lavoratore, la categoria relativa alle nuove mansioni assegnata allo stesso.
Anche nel caso del C.C.N.L. Lapidei indispensabile è il criterio della continuità nell’esplicazione di mansioni di diverse categorie, mentre non è sempre necessario il criterio della prevalenza, essendo sufficiente quello della equivalenza di tempo. Il contratto prevede poi la possibilità di tenere conto, dal punto di vista retributivo, di casi particolari di adibizione a mansioni promiscue che non rispettino i predetti requisiti (medesima disciplina è, peraltro prevista nel C.C.N.L. Meccanica).
Il C.C.N.L. Gomma Plastica non cita invece il requisito della prevalenza disponendo che al lavoratore al quale vengono affidate mansioni pertinenti a diversi livelli, è riconosciuto il livello corrispondente alla mansione superiore, sempreché quest'ultima sia svolta con normale continuità.
I C.C.N.L. Commercio e Turismo invece si preoccupano di precisare che in caso di mansioni promiscue si farà riferimento – per attribuire l’inquadramento superiore - all'attività prevalente sempre che venga abitualmente prestata, e che non si tratti di un normale periodo di addestramento (o non si tratti di un’attività accessoria o
complementare). Il C.C.N.L. Commercio stabilisce inoltre che tale norma si applichi, ad eccezione delle mansioni relative alla qualifica di addetto a mansioni d'ordine di segreteria, di addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita nelle aziende ad integrale libero servizio e di addetto all'insieme delle operazioni nei magazzini di smistamento, centri di distribuzione e/o depositi nelle aziende ad integrale libero servizio.
Il C.C.N.L. Commercio definisce poi cosa si intenda per attività prevalente, ovvero quella di maggiore valore professionale.
Alcuni C.C.N.L. (Gomma Plastica, Chimici, Energia Petrolio) disciplinano poi la fattispecie del cumulo e della mobilità delle mansioni nell’ambito della medesima categoria. I criteri per l’attribuzione dell’inquadramento superiore sono sostanzialmente i medesimi di quelli utilizzati nella fattispecie appena esaminata, ma con alcune precisazioni.
Secondo tali contratti collettivi il lavoratore può, in relazione ad esigenze aziendali organizzative, tecniche, produttive, di mercato, essere adibito a tutte le mansioni relative alla categoria nella quale risulta inquadrato. L'effettuazione di mansioni relative ad una diversa posizione organizzativa non dà luogo al passaggio di posizione quando è motivata da: sostituzione di altro lavoratore assente per motivi che danno luogo alla conservazione del posto di lavoro; esigenze organizzative, tecniche, produttive, di mercato di durata non superiore a mesi quattro. Con riferimento a queste fattispecie l'effettuazione di mansioni relative ad una posizione organizzativa superiore comporta il riconoscimento della differenza tra le relative indennità di posizione organizzativa per il periodo relativo alla loro effettuazione e l'effettuazione di mansioni relative ad una posizione organizzativa inferiore comporta il mantenimento dell'indennità di posizione organizzativa di provenienza. Nel caso di passaggio ad una posizione organizzativa inferiore, la differenza tra l'indennità di posizione nuova e quella di provenienza sarà attribuita a superminimo e sarà assorbita nel caso di successivo passaggio ad una posizione organizzativa superiore.
Al di fuori di tali casi, il lavoratore adibito continuativamente a mansioni relative ad una diversa posizione organizzativa passa a tutti gli effetti nella diversa posizione organizzativa dopo 45 giorni nel caso del C.C.N.L. Gomma Platica o 30 giorni nel caso del C.C.N.L. Chimici e nel C.C.N.L. Energia Petrolio.
2.3.3 Il passaggio a mansioni superiori
Un altro ambito di intervento della contrattazione collettiva riguarda il passaggio a mansioni superiori a seguito dell’assegnazione per un determinato periodo di legge che non sia dovuta alla necessità di sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. La normativa contrattuale non presenta in tale caso profili di particolare interesse posto che i C.C.N.L. si differenziano solo per la determinazione della durata del periodo di assegnazione alle superiori mansioni che dia diritto all’inquadramento nel livello superiore (che la legge dispone poter essere, al massimo, pari a tre mesi.
Tutti i C.C.N.L. prevedono una disciplina ad hoc per i quadri, per cui il periodo deve essere naturalmente più lungo. Nel C.C.N.L. Bancari, ad esempio, l’assegnazione del lavoratore/lavoratrice alla categoria dei quadri direttivi, ovvero ai relativi livelli retributivi, diviene definitiva quando si sia protratta per il periodo di 5 mesi, a meno che non sia avvenuta in sostituzione di lavoratori/lavoratrici assenti con diritto alla conservazione del posto. Nel caso del C.C.N.L. Elettrici esigenze di carattere aziendale, possono portare all'assegnazione del lavoratore allo svolgimento di mansioni inerenti ad altra categoria, ma il periodo non può essere superiore a tre mesi, fatta salva l'assegnazione temporanea a mansioni comportanti la categoria Quadri, che non sia avvenuta in sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, che non può essere di durata superiore a sei mesi. Quando il periodo supera tali tetti, l’assegnazione diviene infatti definitiva.
In ogni caso, secondo il predetto contratto collettivo, quando l'affidamento di mansioni di categoria superiore sia previsto per un periodo eccedente il mese, dovrà essere data comunicazione scritta al
lavoratore della data di inizio del temporaneo mutamento di mansioni e, successivamente, di quella di cessazione di detto mutamento.
Secondo il C.C.N.L. Edilizia l'operaio acquisisce il diritto alla categoria relativa alle nuove mansioni, qualora il passaggio di mansioni si prolunghi oltre due mesi consecutivi di effettiva prestazione (il periodo diventa pari a tre mesi per l’impiegato). Nell'ipotesi che l'operaio adibito a mansioni superiori risulti aver già nel passato acquisito la qualifica inerente alle mansioni superiori cui viene adibito, egli acquisterà nuovamente la qualifica superiore quando la permanenza nelle nuove superiori mansioni perduri invece per un periodo di tempo non inferiore a quello previsto per il periodo di prova.
Il C.C.N.L. in commento prevede poi, per l’impiegato, una apposita disposizione per il caso in cui a seguito del definitivo passaggio di categoria, questi non venga a beneficiare di una nuova retribuzione superiore alla precedente di almeno il venti per cento della differenza intercorrente fra lo stipendio minimo mensile della categoria di provenienza e di quella di assegnazione. Il tal caso infatti dovrà essere riconosciuto al lavoratore l'importo corrispondente alla differenza necessaria per fargli raggiungere la suddetta maggiorazione.
Infine, il contratto prevede l’ipotesi in cui l’adibizione a mansioni appartenenti alla categoria superiore non sia continuativa. In tal caso la somma dei singoli periodi, agli effetti del passaggio a categoria superiore deve raggiungere, rispettivamente, sette mesi nel disimpegno di mansioni di 1ª categoria super e di 1ª categoria e quattro mesi nel disimpegno di mansioni di altra categoria.
Anche il C.C.N.L. Meccanica prevede l’ipotesi dell’adibizione non continuativa a mansioni superiori, stabilendo specificamente la durata del periodo complessivo, a seguito di sommatoria. In particolare, i lavoratori avranno diritto al passaggio a categoria superiore se disimpegnano le mansioni superiori per un periodo pari a:
- 30 giorni continuativi, ovvero 75 giorni non continuativi nell’arco di un anno o 6 mesi non continuativi nell’arco di tre anni;
- 3 mesi continuativi, ovvero 9 mesi non continuativi nell’arco di tre anni, per l’acquisizione della 6ª e della 7ª categoria professionale.
Il C.C.N.L. Meccanica sceglie poi di specificare le ipotesi di “assenza con diritto alla conservazione del posto” che ostacolano, in caso di sostituzione, l’applicazione della citata disciplina, ovvero permesso o congedo, malattia, gravidanza e puerperio, infortunio, ferie, servizio militare di leva o richiamo di durata non superiore a 6 mesi, aspettativa Per citare un ultimo esempio, si riporta la disciplina del C.C.N.L. Comunicazioni, secondo il quale i lavoratori che disimpegnino, non continuativamente, mansioni di livello superiore hanno diritto al passaggio a detto livello superiore purché la somma dei singoli periodi, nell'arco massimo di tre anni, raggiunga mesi nove per il passaggio al 6° livello professionale e mesi sei per il passaggio agli altri livelli professionali.
2.3.4 L’adibizione a mansioni inferiori: i provvedimenti per la ricollocazione dei lavoratori inidonei
Con riferimento alle ipotesi di mobilità in peius, pochissimi sono i contratti collettivi che contengono apposite previsioni. Si tratta, ad esempio, dei C.C.N.L. Chimici e Cooperative Sociali che contengono una norma atta a disciplinare nella cornice prevista dal d. lgs. n. 81/2008 le modalità per la ricollocazione dei lavoratori divenuti inidonei alla prestazione.
Essenzialmente i contratti citati prevedono che in caso di sopravvenuta inidoneità al lavoro in orario notturno o alla mansione specifica, il lavoratore possa essere adibito ad altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili, applicando le previsioni contrattuali in materia di mobilità/passaggio di mansioni. Nel caso di assenza di mansioni equivalenti, al fine di salvaguardia del posto di lavoro e col formale consenso del lavoratore, resta ferma la possibilità di demansionamento su posizioni di lavoro esistenti e disponibili in altre categorie.
Il C.C.N.L. Chimici prevede che, al fine di agevolare la ricollocazione dei lavoratori sia internamente sia esternamente all'impresa, le parti considerano opportuna l'attivazione, compatibilmente con le caratteristiche aziendali, di adeguati percorsi formativi.
Come è noto, eventuali interventi di demansionamento a seguito dell’inidoneità del lavoratore non devono comportare diminuzioni della retribuzione. In proposito il C.C.N.L. Cooperative Sociali specifica che dal momento del nuovo inquadramento la lavoratrice e il lavoratore seguirà la dinamica retributiva della nuova qualifica funzionale con il riassorbimento del trattamento già in godimento a seguito degli adeguamenti retributivi previsti dai futuri rinnovi contrattuali.
Capitolo 3
L’approccio aziendale alla mobilità
Sommario: Parte I – La contrattazione aziendale - 3.I.1 Il ruolo della contrattazione aziendale. – 3.I.2 – Contrattazione aziendale e sistemi di inquadramento. – 3.I.3 Contrattazione aziendale e disciplina della mobilità. – 3.I.4 – L’accordo Fiat del 29 dicembre 2010 3.I.5 Le intese di prossimità sottoscritte ex art. 8 l. n. 148/2011 - Parte II – Le procedure interne all’impresa - 3.II.1 La struttura organizzativa di un’impresa – 3.II.1.2 - Mansioni, posizioni e ruoli nelle discipline organizzative. -
3.II.2 Analisi e progettazione delle mansioni. - 3.II.2.1 I processi di valutazione. -
3.II.2.2 Lo sviluppo del personale.
Parte I
3.I.1 Il ruolo della contrattazione aziendale
Il presente capitolo intende analizzare gli interventi posti in essere in tema di inquadramento e mobilità professionale al livello della contrattazione aziendale. Si proporrà pertanto di seguito l’analisi degli accordi sottoscritti da aziende di primaria rilevanza, condotta sulla base delle stesse direttrici seguite per la disamina dei contratti di settore: esame del contributo definitorio e terminologico dei sistemi di inquadramento definiti a livello aziendale ed esame della specifica normativa prevista in tema di mobilità, mansioni equivalenti, mansioni promiscue, mansioni superiori.
Dall’altro lato, l’indagine si concentrerà sulle modalità di utilizzo da parte di sindacati ed aziende dello strumento messo loro a disposizione da parte del legislatore con l’introduzione dell’art. 8 del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011.
3.I.2 – Contrattazione aziendale e sistemi di inquadramento
Venendo in primo luogo all’esame del contributo della contrattazione aziendale, si deve rilevare come nei testi analizzati, non si trovi una specifica
e completa trattazione dei sistemi di classificazione ed inquadramento previsti dai contratti di settore, tarata sulla particolare organizzazione aziendale, ma essenzialmente solo norme particolari riguardanti alcune specifiche mansioni o professionalità.
In senso diverso da questa tendenza, fra gli integrativi analizzati, solo l’accordo Feltrinelli, in cui si specifica che le parti hanno convenuto di studiare invia sperimentale un sistema di classificazione innovativo adeguato alle evoluzioni organizzative ed aderente alla realtà del gruppo, che tenga conto e in qualche misura stimoli lo sviluppo delle competenze individuali e sia rispettoso dei principi di equità interna e di competitività nel mercato.
Generalmente, come si vedrà, gli interventi sul sistema di classificazione sono solo di dettaglio e finalizzati all’adeguamento del sistema stabilito dal
C.C.N.L. di settore alla specifica realtà aziendale. Non sempre infatti è agevole l’applicazione del sistema nazionale alla specifica realtà, a causa dell’astrattezza e della generalità delle declaratorie previste dalla contrattazione settoriale.
A riprova di quanto sopra, si può citare l’integrativo dell’azienda Ceramiche Gravello, nel quale le parti, pur senza prevedere disposizioni di ragguaglio, nemmeno per specifiche figure professionali hanno espresso l’esigenza di rilevare che i livelli di inquadramento contrattuale in uso a livello aziendale sono stati esaminati e ritenuti conformi alla declaratorie contrattuali.
La contrattazione aziendale si muove, per quanto analizzato ai fini della presente trattazione, in due direttrici: la valorizzazione del concetto di ruolo e la valutazione dell’impatto, nell’organizzazione professionale delle aziende interessate, dell’introduzione delle nuove tecnologie. Tali aspetti sono rilevabili nella contrattazione di aziende, come quelle che si citeranno in seguito, molto differenti tra loro, appartenenti a diversi settori merceologici e che applicano diversi contratti collettivi, e ciò conferma il riconoscimento ormai universale degli stessi.
Prima di iniziare l’analisi, vi è da annotare che nel presente paragrafo – come in quello successivo – non verrà presa in considerazione la contrattazione aziendale siglata ex art. 8, che verrà invece analizzata separatamente.
L’impatto delle tecnologie sui sistemi di classificazione
Il contratto integrativo Auchan prevede l’istituzione di una commissione nazionale che dovrà monitorare varie tematiche. Fra queste risulta essere presente quella della introduzione, a livello aziendale, delle nuove tecnologie ed, in particolare, la commissione dovrà monitorare gli effetti che essa ha sulla professionalità. Tra i compiti dell’organo rientra poi quello di raccogliere, esaminare e approfondire tutti gli elementi validi per consentire alle parti di meglio qualificare e determinare l’inquadramento di quelle figure professionali non riconducibili alla classificazione esistente. In questa clausola, come in altre previste in altri testi, vi è quindi il riconoscimento del fatto che l’emersione e l’utilizzo di nuove tecnologie porta alla necessità di adeguare l’assetto del sistema di classificazione aziendale e la conferma dell’impegno dell’azienda all’analisi dei mutamenti in atto.
Tale aspetto è molto evidente anche nel contratto aziendale Xxxxxxx Xxxxxxxx, che prevede un appendice riguardante la “Professionalità e prestazione” . Le Parti in esso confermano come l’inquadramento professionale abbia carattere dinamico in relazione alla continua evoluzione tecnologica, alle conoscenze tecnico/operative ed alle abilità richieste, nonché alle modifiche dell’assetto organizzativo. Sulla base di questa premessa le parti prendono atto dell’esigenza di operare une revisione dell’attuale classificazione aziendale del personale, con l’obiettivo di valorizzare la competenza dei lavoratori e di favorire lo sviluppo della professionalità in modo integrato con l’organizzazione aziendale. Conseguentemente, le Parti dichiarano di costituire un apposito gruppo di lavoro cui verrà attuato tale compito nell’ottica di valorizzare e rafforzare il rapporto tra organizzazione del lavoro, ruoli e professionalità, supportare il cambiamento dell’organizzazione, valorizzare la competenza dei lavoratori in relazione alla continua evoluzione tecnologica, alle conoscenze tecnico/operative ed alle abilità richieste.
Nello stesso senso, il contratto Benetton, riconosce che le trasformazioni organizzative e produttive introdotte all’interno dell’azienda rendono particolarmente sensibile la tematica dell’inquadramento professionale. Le attuali esemplificazioni che completano le declaratorie indicate nel C.C.N.L. non sono più in grado da sole di rappresentare in via esaustiva l’intera complessa realtà aziendale. Si rende quindi necessaria una attenta analisi dei processi in atto al fine di individuare criteri oggettivi per una più precisa
collocazione dei lavoratori. Naturalmente, la cornice in cui effettuare questa operazione è quella del C.C.N.L. applicato dall’azienda, e le parti si sono impegnare ad effettuare una verifica sulla piena applicazione di quanto previsto dal C.C.N.L. ed una accurata analisi dell’organizzazione dei reparti per, individuare le mansioni in essere, catalogare secondo criteri oggettivi le modalità con cui vengono svolte le mansioni ed arrivare quindi a descrivere eventuali mansioni oggi non inserite nelle declaratorie del C.C.N.L..
All’esito dell’analisi sopra descritta, le parti procederanno a definire il livello di inquadramento, anche secondo il criterio dell’analogia e nel rispetto delle declaratorie, per le eventuali nuove mansioni ed a prevedere alla istituzione di indennità di mansione da corrispondere ai lavoratori che in base a criteri oggettivi realizzino funzioni arricchite rispetto alle funzioni base. In questo testo, le parti, oltre a riconoscere l’impatto della tecnologia e dell’innovazione sull’organizzazione del lavoro e le figure professionali riconoscono come questi fenomeni possano portare all’introduzione di un maggior numero di mansioni difficilmente inseribili in una delle caselle previste dal contratto di settore. È questa una implicita valorizzazione del concetto di ruolo, anche se non a livello terminologico, in quanto si prevede che l’analisi condotta dalle parti porterà alla rilevazioni di mansioni che comportano lo svolgimento di
«funzioni arricchite rispetto alle funzioni base», cui corrisponderà l’erogazione di una indennità di mansione.
Anche il contratto integrativo Conad istituisce una commissione paritetica per l’inquadramento, formata da 3 membri per parte, che avrà il compito di studiare ed approfondire le tematiche connesse all’evoluzione dei profili professionali, in rapporto ai processi di trasformazione dell’organizzazione del lavoro ed all’introduzione di nuove tecnologie. Essa avrà inoltre il compito di studiare e di elaborare progetti di fattibilità per interventi in campo formativo.
Anche questo integrativo, inoltre, riconosce il legame tra organizzazione del lavoro e superamento del concetto di mansione come insieme di compiti ascrivibili ad una delle caselle previste dalla contrattazione collettiva di settore (non a caso, si tratta, nel casi citati fino ad ora, di aziende che applicano il C.C.N.L. del settore commercio, che prevede, appunto, un sistema di classificazione ed inquadramento strettamente tradizionale).
Si prevede infatti l’introduzione di livelli intermedi tra il 4° ed il 3° livello e tra il 3° ed il 2° livello per quelle figure che, pur non trovando collocazione nel livello immediatamente superiore meritano un trattamento diversificato
rispetto a coloro che sono inquadrati rispettivamente al 4° o al 3° livello sulla base di determinati fattori. In particolare saranno inquadrati al livello intermedio «fra il 3° ed il 2°» quei lavoratori ai quali oltre alle mansioni previste dal proprio profilo professionale vengono affidate con carattere di continuità funzioni di coordinamento di più lavoratori anche di pari livello e di raccordo con il superiore diretto. Al livello intermedio fra 4° e 3° vengono invece inquadrati i lavoratori ai quali oltre alle mansioni previste dal proprio profilo professionale o mansioni promiscue di equivalente contenuto, vengono attribuite le medesime mansioni sopra indicate.
Il contratto Ansaldo S.T.S. S.p.A. parte dal riconoscimento del fatto che le nuove sfide di mercato e l’evoluzione tecnologica ed organizzativa in atto richiedono un miglioramento delle performance professionali finalizzate alla valorizzazione di tutte le risorse, per specificare un intervento di dettaglio sul sistema di classificazione ed inquadramento vigente in azienda. In particolare le parti dichiarano di estendere il progetto Performance Appraisal utilizzato con riferimento ai lavoratori appartenenti alla categoria dei quadri, anche nei confronti dei lavoratori inquadrati al livello 8° e 8° crp. È questa una conferma di quanto, in ragione delle caratteristiche intrinseche della prestazione resa dal lavoratore, sia possibile e talvolta necessario superare il significato del concetto di categoria legale. Il progetto in questione prevede una valutazione delle prestazione articolata sull’assegnazione formalizzata di obiettivi aziendali ed individuali, il cui conseguimento sarà monitorato in modo costante e trasparente e potrà dare luogo all’erogazione del premio.
La polivalenza e la polifunzionalità
Altri contratti aziendali sottolineano l’importanza di sviluppare i concetti di polivalenza e polifunzionalità per reagire alle nuove esigenze date dall’introduzione di innovazioni nell’organizzazione del lavoro.
Nel contratto Coca Cola le parti prevedono di attivare percorsi di sviluppo professionale finalizzati ad accrescere il livello di polivalenza e di polifunzionalità tenuto conto proprio della progressiva evoluzione organizzativa tecnologica, in grado di generare capacità di rispondere alle nuove esigenze anche attraverso il coinvolgimento delle qualità professionali dei lavoratori. Al realizzarsi di processi di innovazione tecnologica e organizzativa che necessitano di nuovi livelli di polivalenza e di
polifunzionalità le parti esamineranno le possibili conseguenti ricadute sui sistemi di riconoscimento delle professionalità e ne daranno informazione.
Similmente, il contratto Isringhausen S.p.A., al capitolo dedicato alla Professionalità, specifica l’intento di creare un sistema premiante che misuri in modo oggettivo la performance individuale con particolare attenzione agli aspetti della polivalenza e della polifunzionalità.
Anche il contratto integrativo Flunch, ripropone il concetto di polivalenza delle mansioni come chiave per l’adattamento ai processi di evoluzione dell’organizzazione del lavoro. in particolare, però, in questo testo il concetto di polivalenza è collegato al tentativo di privilegiare forme di lavoro che favoriscano l’aumento delle ore contrattuali del personale già occupato e/o la stabilizzazione dei rapporti di lavoro in occasione di incrementi di attività e/o secondo le esigenze riscontrate dalle parti firmatarie dell’accordo. Le parti concordano sull’opportunità, nell’ambito della norma del C.C.N.L., di utilizzare la polivalenza per risolvere problematiche organizzative determinate da necessità di servizio. Premessa del discorso è peraltro il riconoscimento della pari importanza e della dignità di tutti i mestieri che compongono l’attività del punto vendita e del valore della formazione in ambito aziendale.
La formazione
Il valore delle formazione è confermato anche dall’integrativo di Ferrarelle, in cui l’azienda conferma una particolare attenzione alla formazione del personale coinvolto in specifiche innovazioni tecnologiche e/o profonde modifiche organizzative, nonché del personale di nuovo inserimento, anche stagionale, affinché apprenda la necessaria pratica allo svolgimento della mansione assegnata.
L’azienda inoltre conferma la propria disponibilità ad effettuare un esame congiunto e preventivo sulla situazione organizzativa e professionale rispetto alle mansioni effettivamente svolte dai lavoratori al fine di assicurare il rispetto della griglia classificatoria prevista nel vigente C.C.N.L.. Anche in questo caso però si afferma la possibilità che a seguito di innovazioni tecnologiche e/o di profonde modifiche organizzative, si renda necessaria l’introduzione di nuove posizioni di lavoro rispetto all’attuale organizzazione del lavoro. In tale caso, le parti prevedono che direzione aziendale ed RSU si incontreranno al fine di valutare la loro adeguata collocazione all’interno della scala classificatoria del vigente C.C.N.L.
Particolarmente interessante è poi il contratto integrativo Nestlè Italia, in quanto poggia sull’iniziativa Nestlè Continous Excellence, un piano per sostenere lo sviluppo ed il successo competitivo del gruppo a livello globale che vede, al centro, la valorizzazione dello sviluppo delle risorse. Nel CIA si ribadisce la centralità dell’iniziativa, dando ulteriori conferme dell’importanza, per l’azienda, dell’investimento in formazione e coaching.
Tali attività saranno volte ad accrescere la capacità di estrinsecare le proprie competenze professionali, anche attraverso la polivalenza e la polifunzionalità, l’autonomia operativa, bastata sulla responsabilizzazione e sulla capacità – da parte del singolo lavoratore – di affrontare e risolvere problemi. L’integrativo confermando il sistema di “rewarding” vigente, istituisce delle indennità che verranno corrisposte dipendenti facenti parte di gruppi di lavoro che raggiungono determinati risultati negli obiettivi sopra richiamati.
Sempre con riferimento ai rapporti fra formazione e mobilità, viene in rilievo il contratto Luxottica, il quale, considerata la recente introduzione di un nuovo sistema di inquadramento a livello nazionale, precede la definizione di un processo formativo finalizzato all’applicazione del C.C.N.L. In ragione del continuo progresso tecnologico del mercato, l’azienda si impegna inoltre a favorire un’azione formativa attuata, ove possibile, anche con la job rotation riguardante sia i livelli produttivi che i livelli distributivi.
La valorizzazione economica della professionalità
La valorizzazione economica delle professionalità si realizza in primo luogo grazie alla erogazione di importi fissi collegati al sistema di inquadramento del CCNL, ma anche attraverso forme di retribuzione incentivante previste dalla contrattazione aziendale. Una best practice in questo campo è rappresentata dalla Tenaris Dalmine, azienda che dal 1995 ha istituito un “Premio professionalità espressa”, la cui struttura è stata aggiornata dal rinnovo contrattuale del 2012. Questo sistema prevede la corresponsione di somme di denaro parametrate rispetto ad una scala di punteggi assegnati sulla base di una scheda di audit composta dalle seguenti voci: informazioni, risultati, autonomia decisionale, capacità relazionali, conoscenze, sicurezza,
polivalenza e polifunzionalità. Alcuni di questi indicatori si riferiscono espressamente alle modalità di esecuzione della mansione. È il caso ad esempio del parametro Informazioni il quale si riferisce a come il prestatore di lavoro si attiva per reperire informazioni circa le procedure per l’esecuzione della propria attività, oppure a come utilizza gli strumenti di lavoro (documentazione e sistemi informatici). Gli altri indicatori recepiscono invece chiaramente le tendenze evolutive dei sistemi di classificazione ed inquadramento analizzate nei paragrafi che precedono. Alcuni di essi sono infatti relativi alle competenze trasversali (Autonomia decisionale, Capacità relazionali, Conoscenze), altri registrano l’atteggiamento del lavoratore di fronte al cambiamento. Infatti nell’indicatore Sicurezza, polivalenza e polifuzionalità, verrà rilevato il modo del lavoratore di affrontare i cambiamenti nella postazione di lavoro o del modo di lavorare. Ciò evidenzia come il valore della professionalità sia strettamente collegato alla flessibilità ed alla capacità di adattarsi ai cambiamenti organizzativi.
Il corretto funzionamento del sistema è garantito da una commissione paritetica che, tra le altre funzioni, esprime i nominativi dei soggetti valutatori, incaricati appunto di compilare le schede di giudizio sulle professionalità dei singoli lavoratori
Sistemi di inquadramento e discipline organizzative
Un ultimo integrativo che è necessario citare, in quanto apre spunti a quanto verrà trattato nella seconda parte del presente capitolo è l’integrativo Xxxxxx & Packard.
Nel testo si rimanda al sistema di job Architecture previsto a livello aziendale, un sistema di classificazione ed inquadramento predisposto dall’azienda nella cornice di quanto previsto dal C.C.N.L. di settore.
Si prevede che il profilo professionale aziendale di ciascun lavoratore sia individuabile nell’ambito di tale sistema, con ciò garantendo il preciso riconoscimento di tutte le professionalità previste a livello aziendale.
Si prevede inoltre – con uno sforzo organizzativo notevole e non applicato in via generale da tutte le aziende – che, con la massima trasparenza, ogni singolo dipendente abbia a disposizione la sua Job Description.
Essa viene definita come uno strumento di riferimento per percorsi di sviluppo professionale aderente all’evoluzione dell’Azienda ed è portata a conoscenza di tutti i lavoratori attraverso l’utilizzo degli strumenti informatici e, come specificato nel testo, “un chiaro rinvio a quanto pubblicato sul portale HP”. Le parti convengono inoltre l’istituzione di una commissione tecnica bilaterale - che si riunisce una volta l’anno - finalizzata a verificare il Sistema di Job Architecture e la sua compatibilità ed attendibilità in riferimento allo sviluppo tecnologico e di mercato dell’Information Technology.
3.I.3 Contrattazione aziendale e disciplina della mobilità
La contrattazione aziendale, con specifico riferimento alla disciplina della mobilità, attua spesso interventi di dettaglio, sfruttando naturalmente gli spazi concessi dalla contrattazione collettiva di settore applicati dalle aziende interessate.
Non a caso, tra i contratti integrativi più interessanti emergono quelli sottoscritti da aziende del settore bancario ed assicurativo che, come si è visto nel Capitolo II, applicano un C.C.N.L. in cui il valore della mobilità fra diversi profili professionali è riconosciuto come fattore di crescita delle risorse e in cui si prevede l’attuazione di interventi di mobilità orizzontale addirittura su richiesta del lavoratore, sottolineando come essi rappresentino, a determinate condizioni, un vero e proprio diritto del lavoratore.
Nel recente integrativo della banca Popolare di Vicenza, si prevede, ad esempio, istituzione di un gruppo di lavoro per la revisione dell’inquadramento. L’attività del gruppo in questione si concentrerà al fine di promuovere il riconoscimento del valore della mobilità nelle varie professioni ai fini della crescita professionale
Nel contratto Unipol, nello stesso senso, si dichiara espressamente come la mobilità professionale sia considerata uno strumento importante per la migliore organizzazione aziendale, per la valorizzazione delle risorse umane e per l’arricchimento delle esperienze professionali. Le Parti convengono che la mobilità possa essere esercitata a mezzo di interventi che coinvolgono tutte le Società ed i diversi comparti del Gruppo, ferme restando, naturalmente, tutte le tutele individuali derivanti da leggi e da contratti.
L’integrativo stabilisce i criteri fondamentali che regolano la mobilità ovvero:
- la corrispondenza dei requisiti di scolarità richiesti dalla posizione;
- la corrispondenza dei requisiti tecnico/professionali;
- la partecipazione ai corsi di formazione;
- l’anzianità aziendale.
Nel contratto è quindi normata la richiesta di mobilità che provenga dal lavoratore, prevedendo che questi possa segnalare per iscritto la propria disponibilità alla mobilità, che costituisce ulteriore criterio di valutazione. A fronte di specifica richiesta, la Direzione del Personale si impegna ad incontrare il lavoratore in tempi rapidi e comunque entro 45 giorni per approfondire gli aspetti legati alla situazione lavorativa ed alle possibilità di sviluppo/mobilità professionale.
Si specifica inoltre che le Società del Gruppo, ove si determinino esigenze di organico, faranno prioritariamente riferimento, compatibilmente con le professionalità richieste, a personale già dipendente, anche facendo ricorso ad apposite ricerche interne rese note sotto forma di avvisi di pubblicazione tramite gli strumenti di comunicazione interna del Gruppo.
Anche il contratto Genialloyd si muove nella stessa direzione, confermando l’esigenza di favorire la mobilità professionale, nell’ambito dei processi di migliore programmazione delle necessità organizzative e di valorizzazione delle risorse umane. Le parti individuano inoltre la mansione che più necessita di essere coinvolta da questo tipo di interventi, prevedendo che l’azienda si attiverà per favorire la mobilità nei confronti dei lavoratori aventi maggiore
anzianità di servizio nelle mansioni di operatore telefonico, anche mediante corsi di formazione. In questo caso la mobilità si ponga come soluzione a problematiche (non espresse nel contratto) quali la bassa specializzazione, l’appiattimento delle competenze ed il rischio di soppressione delle posizioni di lavoro, che sono evidentemente collegate all’occupazione per un consistente lasso di tempo, nella mansione sopra indicata..
Anche il contratto integrativo Groupama prevede disposizioni di dettaglio in linea con gli articoli 97 e 68 del C.C.N.L.. Si prevede che l’Azienda, comunicherà alle RSA i principi generali utilizzati per gestire i processi di mobilità sottolineando però che questo non influisce sul fatto che la gestione del personale rientra esclusivamente nella sfera di autonomia e discrezionalità del datore di lavoro.
Il personale coinvolto in processi di mobilità, che implichino un significativo cambiamento di mansioni, parteciperà a corsi di formazione, interni o esterni all’Azienda, che avranno l’obiettivo di supportare l’inserimento nel ruolo.
Inoltre l’integrativo Groupama prevede che la richiesta di mobilità per documentati motivi da parte di un lavoratore invalido sarà tenuta in debita considerazione, fatte salve le esigenze aziendali di carattere tecnico/organizzativo. Questa disposizione è particolarmente interessante perché sottolinea come la richiesta di mutamento di mansioni, possa essere collegata ad una richiesta del lavoratore che non sia connesse ad esigenze di tipo professionale, ma a motivi di salute, legati quindi al fatto che non risulta più sostenibile continuare ad essere occupati nella propria mansione.
Anche l’integrativo Carige prevede una disposizione ricollegata ai meccanismi di mobilità previsti dal contratto di settore, alla stregua di quelle già analizzate. Si prevede infatti che il personale abbia diritto ad accrescere le proprie conoscenze e capacità professionali, non solo mediante la partecipazione ai corsi di formazione, ma anche attraverso la rotazione delle mansioni come disposto dall'art. 98 del C.C.N.L. La rotazione delle mansioni, la ricomposizione delle stesse, la partecipazione ai corsi di formazione per accrescere la propria
professionalità, nonché l'anzianità costituiscono titolo preferenziale per il passaggio di livello.
Nel panorama degli accordi sottoscritti a livello aziendale in tema di mobilità, riferimento rilevante è costituito dall’ Accordo sul Piano Strategico 2015 del Gruppo UniCredit - perimetro Italia”, siglato in data 15 settembre 2012.
Tale accordo, all’art. 8 rubricato “Utilizzo del personale e Multipolarità”, evidenzia che la flessibilità di utilizzo del personale rappresenta un importante strumento che da un lato permette una più efficiente allocazione del personale interessato dai processi di riorganizzazione/ristrutturazione e dall’altro consente una maggiore realizzabilità di iniziative di multipolarità. In tale ottica, le Parti – riconfermato quanto disposto in materia dal Protocollo 18 ottobre 2010, nonché dagli Accordi di Gruppo 18 dicembre 2007 (mobilità infragruppo) e 4 dicembre 2008 (utilizzabilità in mansioni non equivalenti e multipolarità) – stabiliscono alcune previsioni, da intendersi straordinarie, eccezionali ed esclusivamente riferite alla durata del Piano Strategico (31 dicembre 2015), applicabili solo al personale di ogni ordine e grado operante sull’intero territorio nazionale interessato, in tale arco temporale, da processi di riorganizzazione/ristrutturazione rientranti nel Piano medesimo.
In particolare, tali previsioni possono riguardare la mobilità territoriale e la mobilità infragruppo o la mobilità sulle posizioni di lavoro
Con riferimento all’ultima ipotesi, che interessa in questa sede, si prevede che al fine di salvaguardare l’occupazione garantendo la copertura di tutti i ruoli che si rendano tempo per tempo disponibili secondo le esigenze organizzative e allo scopo di favorire processi di insourcing i lavoratori interessati potranno essere impiegati anche in mansioni non strettamente equivalenti.
L’azienda, al fine di limitare detti fenomeni, ricercherà - in relazione alle esigenze organizzative e comunque ove lo rendano possibile specifiche situazioni - tutte le soluzioni utili al mantenimento dei livelli di professionalità raggiunti dai dipendenti interessati. La disposizione evidenzia chiaramente che l’Azienda cercherà di addivenire a soluzioni
che possano garantire il mantenimento dei livelli di professionalità dei lavoratori, pur lasciando intendere che queste soluzioni potrebbero anche non esistere e che, quindi, il lavoratore potrebbe vedersi costretto ad accettare un vero e proprio demansionamento che, in tale caso, potrebbe essere ritenuto ammissibile proprio in quanto alternativa alla perdita del posto di lavoro come da costante orientamento giurisprudenziale.
Sebbene in modo meno esplicito e senza arrivare a prevedere ipotesi di utilizzo del personale in mansioni non equivalenti anche il contratto integrativo Bayer ricollega la funzione della mobilità interna alla necessità di affrontare eventuali situazioni di esubero del personale, sebbene sembra che l’attuazione di questi processi possa essere avviata solo in caso di richiesta volontaria del lavoratore. Ciò è previsto in un articolo del CIA rubricato “contrattazione di anticipo” nel quale le parti riconoscono che il cambiamento rapido degli scenari di riferimento è un aspetto strutturale della gestione aziendale e come tale richiede capacità di risposte strategiche, dinamiche ed anticipatorie. In caso di necessità di ricorrere alla mobilità, per aumentare il livello di corrispondenza tra le possibili competenze richieste dalle posizioni disponibili in azienda e le candidature interne che si rendessero disponibili dalle situazione di trasformazione organizzativa, verranno attuati percorsi di qualificazione professionale.
Nello stesso senso anche l’accordo siglato dal Gruppo Eni con riferimento al sito Syndial di Assemini, in cui si prevede un piano di riqualificazione per la struttura in ottica di recupero di competitività nello scenario internazionale. Nell’accordo si specifica che al fine di individuare soluzioni gestionali volte a coinvolgere le risorse nel processo di riqualificazione si farà ricorso all’istituto della mobilità.
L’accordo Tenaris Dalmine prevede il potenziamento di una serie di disposizioni riguardanti l’organizzazione del lavoro – soprattutto con riferimento all’orario ed ai turni – di cui si intende perseguire il potenziamento e l’efficientamento. L’accordo specifica che l’azienda ha intrapreso tali azioni a seguito della definizione del Piano Industriale 2010 – 2013 e molte di esse hanno contribuito a consentire la gestione,
con minore impatto, degli effetti della crisi. Al fine di proseguire con la strada già imboccata le parti prevedono ulteriori interventi fra i quali compare, a dimostrazione di quanto la razionalizzazione dei sistemi di classificazione costituisca una leva di competitività per le aziende, l’accorpamento delle mansioni.
Altra disposizione che si occupa di garantire all’azienda la possibilità di impiegare le risorse anche in mansioni di diverso contenuto professionale si riviene nel contratto integrativo Coin. Esso si occupa dell’evenienza per cui in funzione delle dimensione e delle caratteristiche dei singoli punti vendita non dovessero sussistere le condizioni per saturare l’orario settimanale di figure professionali Full Time operanti nei servizi (ufficio/ricevimento merci). In questa circostanza, si prevede che tali dipendenti verranno occupati anche in attività di vendita, che, come è facile comprendere implicano una tipologia di compiti ed un assetto di competenze radicalmente differente da quelle afferenti alla mansione originariamente svolta.
Con riferimento alle mansioni superiori, infine, i contratti aziendali non si pronunciano frequentemente, posto che non vi sono spazi per intervenire sulla disciplina legislativa e su quanto eventualmente precisato dai contratti di settore.
Interessante è la disposizione dell’integrativo Conad la quale specifica che in azienda, per l’adibizione – anche temporanea – a mansioni superiori sia necessario il conferimento da parte della direzione aziendale di un’apposita autorizzazione scritta e l’accettazione della stessa da parte del lavoratore interessato.
In tale autorizzazione verrà indicato il periodo di adibizione alla mansione superiore, nonché il trattamento economico che verrà riconosciuto nonché il relativo accrescimento di responsabilità derivante dall’assunzione del ruolo.
Si segnala infine l'integrativo Trenord che, nelle more del rinnovo del CCNL Mobilità/AF (cfr. Literature Review, par. 3.I.2 per un approfondimento sulla contrattazione collettiva del settore trasporti ferroviari), disciplina un sistema di classificazione ed inquadramento
autonomo. L’integrativo dispone che i lavoratori siano inquadrati in un’unica scala classificatoria. Sono previsti 17 profili professionali, suddivisi in base ai processi aziendali di appartenenza (processo commerciale, di produzione, di manutenzione, di staff, quadri), a ciascuno dei quali corrisponde un punteggio parametrale. L’azienda prevede, nell’ambito del sistema di classificazione così delineato, due tipi di percorsi di carriera: uno verticale, basato sul passaggio dal profilo inferiore al profilo superiore, l’altro orizzontale, basato sulla crescita parametrale nell’ambito dello stesso profilo. Dal punto di vista della disciplina della mobilità, il contratto prevede che per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive il lavoratore, anche dietro sua esplicita richiesta, possa svolgere temporaneamente anche mansioni diverse da quelle di provenienza, purché sia in possesso delle abilitazioni e dei requisiti richiesti e purché ciò non comporti un mutamento sostanziale della sua posizione professionale. Al permanere di tali esigenze per più di 18 mesi, le parti possono convenire che l’assegnazione diventi definitiva.
3.I.4 L’accordo Fiat del 29 dicembre 2010
Una menzione a parte merita l’accordo sottoscritto dalla Fiat in data 29 dicembre 2010, il quale costituisce il contratto collettivo specifico di lavoro in applicazione nei confronti dei lavoratori di Fabbrica Italia Pomigliano che, non aderendo al sistema confidustriale non applica la contrattualistica ivi definita (per l’approfondimento v. Literature review, par. 3.I.2). Gli artt. 5, 6 e 7 di tale accordo disciplinano la materia dei sistemi di classificazione ed inquadramento del personale, prescindendo, appunto, da qualsiasi cornice definita dalla classificazione di settore.
In particolare è l’art. 5 ad introdurre uno specifico sistema di classificazione per i lavoratori del sito, prevedendo che i prestatori di lavoro rientranti nelle categorie dei quadri, impiegati ed operai siano inquadrati in una classificazione unica articolata in 5 gruppi professionali. Per ciascun gruppo professionale, il contratto definisce
una declaratoria, in forma sintetica e piuttosto chiara, cui segue l’esemplificazione dei profili professionali ad essa afferenti. Si prevede inoltre che la distinzione fra la categoria legale dei quadri e quella degli impiegati sia superata con riferimento a particolari effetti. Infatti i lavoratori inquadrati nel secondo alinea del secondo gruppo professionale ed i lavoratori inquadrati al primo gruppo professionale (corrispondenti ai quadri) vengano inquadrati nella qualifica aziendale dei Professional, cui sarà riservato uno specifico sistema aziendale di retribuzione variabile e di valutazione delle prestazioni e sarà attribuita, in ragione delle peculiari caratteristiche delle prestazioni svolte, l’Indennità Funzioni Direttive. Solo ai quadri, invece, verrà riconosciuta l’assicurazione per la responsabilità civile nonché la possibilità di procedere a pubblicazioni di ricerche e lavori svolti mediante l’utilizzo dei dati aziendali reperiti nello svolgimento delle loro funzioni.
L’articolo successivo è poi dedicato alla crescita professionale dei lavoratori e prevede la valorizzazione del principio di meritocrazia, con l’esclusione di qualsiasi automatismo ad eccezione di quelli riconosciuti dal contratto (e riguardante ad esempio, il passaggio dei lavoratori inquadrati nella prima fascia del quinto gruppo professionale alla seconda fascia dello stesso decorsi 18 mesi di effettiva permanenza della mansione). Questa disposizione appare peraltro molto controversa e ci si chiede se possa avere efficacia con riferimento alla norma relativa alla promozione automatica alle mansioni superiori, contenuta nell’art. 2103 c.c. In assenza di qualsiasi riferimento specifico alla suddetta previsione di legge, si ritiene doversi propendere per una soluzione negativa, in quanto sussistono forti dubbi alla possibilità di prevedere con una norma contrattuale così generica, ad una deroga dell’art. 2103 c.c.
Lo stesso articolo 6 del contratto collettivo in esame prevede poi che per i lavoratori operai saranno attuate norme per la valorizzazione delle capacità professionali che prevedano:
- una ricomposizione delle mansioni con un arricchimento dei contenuti qualitativi del lavoro;
- una ricomposizione delle mansioni in termini di polivalenza favorendo ove possibile la valorizzazione delle capacità di mestiere al fine di preparare l’operaio all’inserimento in mansioni più complesse derivanti dagli effetti del progresso tecnologico;
- la partecipazione dei lavoratori ad attività formative.
Il successivo art. 7 rubricato “rapporti fra diretti ed indiretti” prevede infine disposizioni riguardanti in modo specifico la mobilità mansionale. Si stabilisce infatti che nelle fasi di avvio e di crescita di nuove produzioni ed in relazione a specifici programmi formativi saranno assegnate ai lavoratori mansioni tali da garantire un corretto equilibrio fra lavoratori diretti (operanti nella produzioni) ed indiretti (ovvero adibiti a mansioni di coordinamento e controllo).
Inoltre si prevede la possibilità di adibire il lavoratore ad altre postazioni di lavoro, in ragione di determinati fabbisogni organizzativi dell’azienda. Non si specifica, nella disposizione, se tali mansioni debbano considerarsi solo equivalenti oppure anche inferiori rispetto alla mansione di provenienza del lavoratore. Certo è che la norma, di dubbia legittimità nel caso di utilizzo volto a permettere interventi esorbitanti dall’ambito della mobilità aziendale, è volta ad attribuire all’azienda un potere unilaterale di modifica delle mansioni con la sola garanzia costituita dal fatto che le nuove attribuzioni debbano essere compatibili con le competenze professionali del lavoratore.
3.I.5 Le intese di prossimità sottoscritte ex art. 8 l. n. 148/2011
L’ art. 8 legge 14 settembre 2011, n. 148.
La norma in commento è rubricata “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”, intesa come contrattazione territoriale e/o aziendale e persegue l’obiettivo, auspicato dalla Banca Centrale Europea nella lettera del 5 agosto 2011, di aumentare il potenziale di crescita della produttività e competitività delle imprese e del sistema Paese.
Essa prevede che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, possano realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.
Tali specifiche intese potranno riguardare determinate materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, tra cui rientrano le mansioni del lavoratore e la classificazione e l’inquadramento del personale ed avranno la facoltà, fermo restando il rispetto di alcuni limiti di cui si dirà infra, di prevedere disposizioni anche in deroga alle norme di legge che disciplinano tali materie ed alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Con il provvedimento in esame, il legislatore non è pertanto intervenuto direttamente su specifici istituti del diritto del lavoro, ma ha deciso di accordare alle parti sociali una facoltà di deroga, anche in senso peggiorativo, del diritto del lavoro vigente: in materia di mansioni la portata dell’intervento può sintetizzarsi asserendo che la norma apre ad importanti interventi in tema di flessibilità gestionale.
Non è possibile, né funzionale alla trattazione, analizzare in questa sede tutte le problematiche sollevate dalla dottrina con riferimento alla norma, è invece opportuno provare ad indagare su quale potrebbe essere l’impatto della stessa sulla materia oggetto dell’analisi.
Quanto alla tipologia dei vincoli cui è soggetta la possibilità di deroga essi possono distinguersi in limiti interni ed esterni (BROLLO, 2012).
I vincoli interni sono costituiti dalla presenza di una «specifica intesa» collettiva, presumibilmente in forma scritta; dai livelli «aziendale o territoriale» della contrattazione collettiva di prossimità; dalla qualità, sul piano nazionale o territoriale, dei soggetti firmatari, integrata a livello aziendale dalle «loro» rappresentanze sindacali, dalla
sottoscrizione sulla base di un criterio maggioritario all’efficacia erga omnes.
Determinante ai fini della legittimità dell’intesa “derogatoria” è la finalizzazione della stessa agli obiettivi elencati dal legislatore, da ritenersi peraltro perseguibili singolarmente.
Con esplicito riferimento alla materia delle mansioni e della classificazione ed inquadramento del personale, la deroga potrebbe essere collegata, nelle aziende in difficoltà, alla finalità della gestione delle crisi aziendali ed occupazionali o, nelle aziende in crescita, alla finalità del sostegno agli investimenti e agli incrementi di produttività.
I vincoli esterni alla norma sono invece rappresentati dalla necessità di rispettare i principi di rango costituzionale e la disciplina di derivazione comunitaria.
Quanto ai principi costituzionali, rileva essenzialmente il principio di ragionevolezza fondato sull'articolo 3 della Costituzione e che, di fronte ad una disposizione che stabilisce vincoli di scopo, come l’art. 2013 c.c., permette al giudice di valutare l'adeguatezza del provvedimento posto in atto dalle parti sociali rispetto al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla disposizione stessa soprattutto in caso di misure che incidono negativamente sui diritti dei lavoratori.
Posto che il bene tutelato dalla disposizione in esame è la professionalità del lavoratore, intesa come interesse al perseguimento di legittime aspettative di miglioramento della propria posizione in azienda, sempre con riferimento all’art. 3 della Carta Costituzionale, si deve citare il principio di non discriminazione. Il rispetto di tale principio impone che qualsiasi disposizione in deroga alla norma del codice civile in esame – e specificamente qualsiasi disposizione contenuta nella contrattazione collettiva che abilitasse il datore di lavoro a demansionare dipendenti o categorie di essi - non sia preordinata a porre in essere interventi dal carattere discriminatorio o penalizzante, nei confronti di coloro verso i quali esplicherà i propri effetti.
Un altro principio costituzionale a venire in rilievo è quello di cui all'articolo 41, secondo xxxxx, della Costituzione, secondo cui
l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La professionalità del lavoratore è un aspetto inerente alla sfera della dignità umana. Da ciò consegue che qualsiasi intervento legato al diritto alla professionalità dovrà avere una configurazione circoscritta, proporzionata e specificamente legata al contrastante interesse dell’imprenditore che ne giustifica l’intervento all’interno dell’intesa.
Una violazione del concetto di equivalenza delle mansioni, come insegnano la casistica giurisprudenziale e le rivendicazioni dei lavoratori nelle cause connesse a tali fattispecie (v. par. 1.3.2), potrebbe dare luogo a pregiudizi ad altri beni fondamentali, oltre alla tutela della professionalità. Si tratta dei pregiudizi spesso invocati nelle cause intentate per pratiche di mobbing, la salute di cui all’art. 32 Cost. l’immagine, la reputazione, e ad altri valori esistenziali riconducibili agli artt. 1, 2, 3, 4 e 35 Cost.
Inoltre, la nozione di equivalenza delle mansioni, è funzionale al mantenimento dell’equilibrio del rapporto contrattuale tra corrispettivo riconosciuto dal datore di lavoro e quantità e qualità della prestazione resa dal lavoratore. È pertanto evidente come, in questo ambito, venga in rilievo il principio costituzionale di cui all’art. 36 della Costituzione. Pertanto la valutazione circa la legittimità della clausola convenzionale in deroga al dettato di legge sarà preordinata alla verifica del fatto che i diritti fondamentali tutelati dalle norme costituzionali in questione non risultino essere stati compressi in maniera irragionevole rispetto agli scopi perseguiti dalla norma.
Con riferimento ai vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, anche in questo caso si fa riferimento, in senso più generale, alle norme dedicate alla tutela e protezione della salute del lavoratore nei luoghi di lavoro e quelle tutela della dignità umana nel mondo del lavoro contro le discriminazioni, specie per ragioni basate sul sesso.
Considerato quanto sopra, i margini d'intervento conferiti da questa norma alla contrattazione collettiva di prossimità possono essere
comunque utili per consentire l'adattamento della regolamentazione vigente alle mutate esigenze dell’organizzazione del lavoro.
Sul fronte dei sistemi di classificazione ed inquadramento, le intese “di prossimità” sottoscritte in conformità alla norma in commento potrebbero tradursi in una puntuale valorizzazione del concetto di ruolo, che nelle realtà innovative, ormai si sostituisce del tutto al concetto di mansione e che evidenzia il complesso di attività, potenzialmente afferenti a più di un profilo professionale, affidate al prestatore di lavoro.
Insieme di attività e compiti che, se preordinati al perseguimento di un dato obiettivo, hanno positivi effetti sul bagaglio professionale dei lavoratori coinvolti, contribuendo ad arricchirlo, come peraltro ormai riconosciuto dalle norme in materia di mobilità orizzontale presenti nella contrattazione collettiva di settore, esaminate nel capitolo precedente.
È evidente però che l’intervento di maggiore portata che la contrattazione collettiva potrebbe porre in atto riguarda proprio l’art. 2103 c.c. ed, in particolare, il secondo comma della norma. Gli accordi di prossimità potrebbero infatti portare ad un superamento della sanzione della nullità dei patti contrari di cui alla suddetta disposizione, concedendo spazi di manovra più ampi al potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del lavoratore.
A scongiurare che le modifiche attuino una liberalizzazione eccessiva dello ius variandi che si traducesse in violazioni dei diritti individuali sopra richiamati si pongono proprio i vincoli posti dalla norma: in particolare la necessità che esse siano preordinate al raggiungimento degli obiettivi di cui alla disposizione stessa e l’obbligo di rispettare i diritti tutelati dalla Costituzione e dalle norme comunitarie. Quindi una deroga al divieto di demansionamento potrebbe essere giustificata solo dalla necessità di perseguire interessi di portata collettiva, come incrementi di produttività o gestione di crisi aziendali, e non per soddisfare esigenze arbitrarie del datore di lavoro connesse ai rapporti in essere con singoli lavoratori e, nemmeno, si deve ritenere, ad interessi particolari dei prestatori di lavoro (BORZAGA, 2013).
I contratti di prossimità sottoscritti sfruttando le opportunità concesse dall’art. 8 della l. n. 148/2011 sono ad oggi numericamente esigui ed ancor meno sono quelli che hanno inteso disciplinare anche la materia delle mansioni e dell’inquadramento professionale.
L’accordo Trelleborg Wheel System S.p.A.
L’accordo sottoscritto dalla Trelleborg Wheel System S.p.A. di Tivoli con le rappresentanze sindacali unitarie si occupa di classificazione dei lavoratori, ed introduce, tramite una deroga alla contrattazione collettiva, due nuove posizioni professionali. L’accordo non menziona espressamente l’art. 8 della l.n. 148/2011 , ma il paragrafo 7 dell’Accordo Interconfederale siglato da Confindustria e CGIL, CISL e UIL in data 28 giugno 2011, nonché, genericamente, l’attuale normativa vigente in tema di contrattazione aziendale.
In questo caso comunque, la deroga viene effettuata non tanto con riferimento alla legge, ma alla contrattazione collettiva di livello superiore, rappresentata dal C.C.N.L. del settore Gomma Plastica. Esso prevede una apposita procedura per la creazione di nuovi profili professionali – gestita da una Commissione Nazionale prevista dal contratto che avrà il compito di valutare la possibilità di prevedere nuove esemplificazioni delle mansioni – che il contratto aziendale in esame non rispetta. Esso prevede, in particolare, la creazione di due nuove posizioni professionali nell’ambito della funzione Produzione e Manutenzione, il “coordinatore di produzione” ed il “coordinatore di mautenzione”. Si prevede l’inquadramento del personale occupato in tali posizioni (livello E del C.C.N.L.), la qualifica (operaio), ed un’indennità che verrà erogata dall’azienda proprio al fine di compensare le funzioni di coordinamento che la figura dovrà ricoprire (pari a € 200,00 lorde). Inoltre l’allegato A dell’accordo aziendale in commento prevede altresì la esemplificazione del contenuto della posizione professionale.
L’accordo Ericcson
Anche l’Accordo Xxxxxxxx, pur non menzionando l’art. 8, attua interventi in deroga alla disciplina contrattuale della classificazione ed inquadramento, riguardanti peraltro esclusivamente lo stabilimento di Marcianise. In particolare nel testo vengono definiti ben sette nuovi profili professionali, tutti inquadrabili nella qualifica impiegatizia, aggiuntivi rispetto a quelli già presenti nell’unità produttiva di riferimento. Tra essi, vi è da annotare che due hanno la espressa qualifica di “operatore polifunzionale”, inteso come lavoratore che possiede più competenze relative a diversi ambiti dell’organizzazione (ad esempio l’assemblaggio, il montaggio ed il collaudo). Le parti si danno atto che l’istituzione dei suddetti profili rappresenta una concreta possibilità di valorizzazione e crescita professionale attraverso l’incremento della conoscenza individuale del processo produttivo o del prodotto e del conseguente apporto dei singoli all’attività produttiva. Inoltre l’accordo – ed è questo l’intervento centrale con esso attuato – dispone che i profili professionali specificati siano equivalenti alle mansioni attualmente svolte dal personale inquadrato nelle stesse categorie, indipendentemente dalla distinzione fra mansioni dirette ed indirette. L’azienda opererà riposizionamenti di personale da reparti indiretti (quali ad esempio pianificazione, qualità, ingegneria e staff) a reparti diretti, nonché altre ricollocazioni e spostamenti fra i reparti di produzione.
In merito al concetto di equivalenza delle mansioni, si osserva che la giurisprudenza sulle clausole convenzionali di fungibilità riconosceva, anche prima dell’introduzione dell’art. 8 l.n. 148/2011, che il contratto collettivo potesse accorpare nella stessa qualifica “mansioni diverse che esprimono professionalità che…costituiscono lo sbocco di percorsi formativi distinti, in ipotesi anche di livello diverso” (Cass. S. U. n. 25033/2006). I nuovi spazi lasciati dall’articolo 8 all’autonomia privata collettiva fanno seguito pertanto alle citate aperture delle Sezioni unite della Suprema Corte che avevano già generalmente ammesso il concetto di equivalenza contrattuale a patto che le clausole in questione fossero necessarie per determinate esigenze aziendali oppure per
consentire la valorizzazione della professionalità potenziale dei lavoratori ai quali la qualifica si riferisce (MARAZZA, 2012, PERULLI, 2013).
L’accordo Anasfim
Sempre citando intese di prossimità aventi ad oggetto interventi del medesimo tenore, si deva fare riferimento ad un accordo di natura diversa, perché non aziendale, ma di settore, sottoscritto fra l’associazione ANASFIM e le segreterie regionali di FISASCAT e UILTUCS. Si tratta dell’accordo quadro contenente il protocollo per la contrattazione aziendale di secondo livello applicato al settore del marketing operativo.
In esso vengono definiti i profili professionali del promoter e del merchandiser figure distinte, ma che presentano nella pratica vari profili di sovrapposizione, che operano nel settore del marketing operativo, tecnica di promozione commerciale ormai diffusa nell’ambito delle strutture di distribuzione al dettaglio cui fa ricorso la maggior parte delle case produttive presenti nei vari settori merceologici. Con specifico riferimento alla materia della classificazione e dell’inquadramento professionale si prevede che limitatamente al biennio 2013 – 2014 tali figure professionali, anche con compito di coordinamento o di esercizio promiscuo delle mansioni proprie di ciascun profilo professionale, trovino collocazione al 7° livello del C.C.N.L. del settore Terziario, Distribuzione e Servizi. Si prevede altresì che l’eventuale passaggio da un profilo all’altro non configuri violazione dell’art. 2103 c.c. essendo tali mansioni considerate equivalenti fra loro.
L’accordo Infocert
Oltre alle possibilità di sottoscrivere intese in deroga alla norma di legge o di contratto di settore con riferimento agli aspetti già citati, ovvero il sistema di classificazione ed inquadramento ed il concetto