ISSN 1123-5055
ISSN 1123-5055
Pubblicazione trimestrale
Anno XXXVII
1/2021
Contratto e impresa
Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale
RIVISTA FONDATA DA XXXXXXXXX XXXXXXX
Tariffa R.O.C Poste Italiane s.p.a.- Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. I, comma I, DCB Milano
• Precedente e nomofilachia nella giustizia amministrativa
• Titoli di credito elettronici
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Prerogative del terzo e mandato senza rappresentanza Contratto tra titolare e responsabile del trattamento Contratti nel settore cinematografico
• Responsabilità
Perdita di chance e responsabilità proporzionale
• Impresa e società
Format e tutela delle opere televisive Contratti per la gestione della crisi di impresa
Crisi d’impresa, meccanismi di allerta interni e sistema monistico
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/XX
Xxxxxxxx Xxxxx
I CONTRATTI PER LA GESTIONE DELLA CRISI DI IMPRESA: I PIANI ATTESTATI DI RISANAMENTO (1)
SOMMARIO: 1. Il fenomeno della “contrattualizzazione” della crisi d’impresa. – 2. I piani attestati di risanamento ed i loro atti esecutivi. La qualificazione del piano in termini di contratto con obbligazioni del solo proponente. L’esercizio del potere di rifiuto da parte del creditore e la rinegoziazione del debito di cui all’art. 56, comma 2, lett. d),
c.c.i. – 3. Differenze strutturali tra i diversi modelli negoziali di regolazione della crisi. Le convenzioni di moratoria.
1. – Il percorso, iniziato gia` da oltre un decennio, finalizzato a favorire, attraverso specifici meccanismi normativi (2), le operazioni di ristruttura- zione aziendale si e` caratterizzato per aver progressivamente attribuito ad una “particolare” esplicazione dell’autonomia privata (3) una rilevante funzione per l’attuazione dei processi di recupero delle imprese che ver- sano in uno stato di crisi non irreversibile.
Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n.
14 (4), da ora in poi piu` semplicemente denominato c.c.i.) costituisce sicuramente un punto d’arrivo in questa direzione e proietta il contratto
(1) Il presente lavoro si inserisce nel contesto di un piu` ampio approfondimento che ha riguardato anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Nel successivo numero della presente rivista sara`, pertanto, pubblicato il saggio relativo agli accordi di ristrutturazione del debito.
(2) Cosı`, l’istituto degli accordi di ristrutturazione delle imprese in crisi e` stato intro- dotto nella disciplina fallimentare dal d.l. n. 35 del 2005, successivamente riformato dal d.lgs. n. 169 del 2007, dal d.l. n. 78 del 2010, dal d.l. n. 83 del 2012, integrato poi dal d.l. n. 83 del 2015, ora completamente disciplinato dal nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.
(3) Ci si riferisce ad una “particolare” esplicazione dell’autonomia privata in quanto nel settore delle crisi di impresa l’esigenza di attribuire primaria rilevanza alla continuita` azien- dale in un’ottica di conservazione dei valori produttivi ha creato specifiche caratterizzazioni dei modelli negoziali di settore con marcate deviazioni rispetto alla teoria generale del contratto e, piu` in generale, una peculiare conformazione della capacita` di agire dell’impresa in crisi.
(4) Si segnala che, a seguito dell’emergenza COVID-2019, il c.d. “decreto liquidita`” (d.l. 8 aprile 2020, n. 23 convertito con modiche dalla legge 5 giugno 2020, n. 40) ha differito l’entrata in vigore del c.c.i. al 1˚ settembre 2021 e che con d.lgs. 26 ottobre
Contratto e impresa 1/2021
oltre il contesto dell’organizzazione e del mero esercizio dell’attivita` eco- nomica per attribuirgli un ruolo di primaria importanza nella gestione della crisi di impresa, venendo cosı` meno il dogma della indisponibilita` della gestione dell’insolvenza (5).
Invero, la presenza dell’autonomia negoziale in situazioni di crisi di impresa non e` affatto nuova, basti notare che il codice di commercio del 1882, all’art. 615, prevedeva come obbligatorio il tentativo di un concor- dato fra il debitore gia` dichiarato fallito e i creditori, lasciando «all’inizia- tiva individuale, di chi puo` avervi interesse, il provocare la convocazione per trattare del concordato, quando vi sia probabilita` di successo» (6). Oggi, pero` , si osserva che per la gestione delle situazioni di crisi o di insolvenza non irreversibile (7) vengono sempre piu` preferite le soluzioni
2020, n. 147 e` stato apportato un correttivo al codice che, in ogni caso, non ha prodotto modifiche sostanziali con riferimento agli argomenti oggetto del presente articolo.
(5) Cfr. XXXXX, Profili strutturali e funzionali dei “contratti di salvataggio” (o di ristrut- turazione dei debiti di impresa), in Dir. fall e delle soc. comm., 2008, I, p. 371.
(6) Invero il concordato aveva limitazioni assai ristrette, lo stesso non poteva avere ad oggetto la mera cessione dei beni ai creditori, xxxxxx´ si temeva che «sotto le facilitazioni e le agevolezze di un trattato fra il fallito e i suoi creditori potessero ascondersi per avventura quel pericoli d’inganni e di frodi che gia` consigliarono al legislatore del 1842 di negare al commerciante il benefizio della cessione dei beni, respinto oggimai anco dal codice civile italiano», cosı` la “Relazione al Ministro Guardasigilli fatta a sua Maesta` in udienza del 25 giugno 1865”, sub libro III, riportata da XXXXXXXXXXXX, La genesi e la logica della legge fallimentare del 1942, in La cultura negli anni ‘30, a cura di Xxxxxxxxxx, Firenze, 2014, p. 160.
(7) Come chiarito da X. XXXXXXXXX, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, p. 1 ss. gli strumenti negoziali stragiudiziali finalizzati a gestire situazioni di insolvenza e di crisi dell’imprenditore, presuppongono – alla luce del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza – lo stato di crisi dell’imprenditore inteso come lo stato di difficolta` econo- mico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate (si tratterebbe di un elemento di natura sintomatica riferibile esclu- sivamente all’attivita` di impresa, cosı` arg. art. 2, comma 1, lett. a), c. c. i.). Piu` un particolare, la nozione di crisi – come delineata dal c.c.i. – presenta caratteri propri e piu` ampi rispetto all’insolvenza e, pur non costituendone necessariamente l’antecedente temporale, essa rap- presenta un indice, generato da fattori interni all’impresa, che non esteriorizzati e non conosciuti dai terzi, precede – in genere – il piu` grave fenomeno dell’insolvenza. La norma di cui all’art. 2 c.c.i. pare distanziarsi da quanto indicato dall’art. 160, comma 3, l. fall., a mente del quale «per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza», con l’intento di incentivare le possibilita` di regolazione negoziale della difficolta` economica e finanziaria dell’impresa, superando il limite riscontrato nella disciplina della legge fallimentare, nella quale mancava una definizione positiva e formale dello stato di crisi, distinto rispetto alla stessa nozione di insolvenza. Differentemente dallo stato di crisi, lo stato di insolvenza – come definito dall’art. 2, comma 1, lett. b) c.c.i. che riproduce l’art. 5 l. fall. – e` «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non e` piu` in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». L’uso dell’avverbio «regolarmente» conferma che il debitore, per non essere considerato insolven-
concordatarie e di composizione negoziale della crisi rispetto alle proce- dure concorsuali (o meglio al fallimento che, col nuovo codice, ha mutato denominazione in «liquidazione giudiziale»).
La liquidazione giudiziale nella logica del legislatore della crisi e del- l’insolvenza nonche´ nella prospettiva eurounitaria (8) e` posta, nella gerar- chia dei diversi modelli di reazione alla crisi, senz’altro in una posizione residuale e questo ha comportato una vera e propria rivalutazione dello strumento contrattuale (9).
Invero, anche prima del nuovo codice, la disciplina fallimentare degli ultimi decenni aveva subito una lenta ma progressiva metamorfosi generata da un radicale capovolgimento di prospettiva: mentre per la legge fallimen- tare del 1942, operante in un contesto storico ed economico connotato dalla predominanza delle piccole imprese individuali in cui il capitale reale ten- deva a coincidere con quello di credito, era ancora rilevante il carattere sanzionatorio della disciplina del fallimento (10); oggi, con la maggiore
te, deve essere in grado di poter adempiere le proprie obbligazioni integralmente, tempe- stivamente e con modalita` normali. In tal senso, anche il nuovo codice conferma l’insolvenza come una situazione complessiva e permanente (come tale irreversibile) di un’impresa che si colloca fuori oramai dal mercato e non risulta piu` risanabile, configurando una vera e propria fotografia del debitore in un dato momento storico-temporale.
(8) Indicativa al riguardo e` la dir. 2019/1023/UE del 20 giugno 2019.
(9) XXXXXXX, Il contratto e gli “strumenti negoziali stragiudiziali” nel Codice della crisi d’ impresa e dell’insolvenza, in I Contratti, n. 4, 2019, p. 369-371; XXXXXXXX, L’autonomia privata nella crisi di impresa tra giustizia contrattuale e controllo di merito (o di meritevolezza), in Il Fallimento n. 9, 2008, p. 1047 e ss.; XXXXXXXXXXX, Clausole generali e autonomia negoziale nella crisi di impresa, in questa rivista, 2011, n. 3, 687 e ss.; X. XXXXXXXXX, Il Piano di risanamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza: finalita` e struttura, con una nota su qualche aporia normativa, in Il dir. fall. e soc. comm., 2020, p. 566 ss.
(10) La legge fallimentare del 1942 era fortemente impregnata del carattere sanziona- torio che tradizionalmente aveva caratterizzato la disciplina del fallimento. Ebbene, il parti- colare rigore che caratterizzava il procedimento concorsuale contro il debitore insolvente, il cui fallimento comportava l’infamia, oltre a sanzioni penali indipendentemente dall’accerta- mento della presenza della frode (secondo il brocardo: decoctor ergo fraudator), discende direttamente dallo ius mercatorum, il quale a sua volta trae ispirazione dal diritto germanico e dal diritto romano. Sul punto cfr. XXXXXXX, Storia del diritto commerciale, Bologna, 1980,
p. 50. Del resto, l’art. 543 del codice di commercio del 1865, riecheggiando le sanzioni penali, recitava «il commerciante che cessa di fare i suoi pagamenti, e` in istato di fallimen- to», con una formula confermata dal successivo codice del 1882. Ma, anche nel sistema di regolazione giuridica del fallimento di inizi ‘900, il soggetto fallito era ancora considerato
«male infettivo da circoscrivere (…) e distruggere secondo un interesse supremo e statuale alla tutela dell’economia e del credito» cosı` D’AVACK, La natura giuridica del fallimento, Padova, 1940, p. 25. In definitiva, la finalita` delle procedure concorsuali – stando alla logica del legislatore del 1942 – era prettamente identificata nella garanzia del soddisfacimento delle pretese creditorie tramite la liquidazione dell’impresa e del patrimonio del debitore. A questa corrispondeva pero` l’interesse dello Stato alla tranquillita` dei traffici e del mercato, affinche´ le risorse aggregate nell’impresa fallita potessero essere utilizzate in impieghi piu`
diffusione e implementazione di complesse forme organizzative quali la societa` per azioni, nonche´ la frequente ricorrenza di periodi di recessione economica e la perdita di omogeneita` del ceto creditorio, si avverte mag- giormente l’esigenza di adoperare strumenti semplificati finalizzati a soddi- sfare in tempi ragionevoli i piu` disparati ed eterogenei interessi: l’interesse dei creditori, l’interesse pubblico ad evitare la perdita dei posti di lavoro e di strumenti che generano ricchezza, nonche´ l’interesse dell’imprenditore a gestire le situazioni di crisi dismettendo le attivita` o proseguendo l’attivita` di impresa (11). Anche nella gestione delle crisi aziendali di impresa, per- tanto, viene sempre piu` ad essere acquisita la consapevolezza che il miglior contemperamento degli interessi passi per la xxx xxx xxxxxxx xxxxxxxxxx il contratto, nell’ambito di una efficiente regolazione che coniughi il principio di sussidiarieta` con il controllo di meritevolezza degli atti (12).
A partire dalla riforma introdotta col d.l. n. 83 del 2015 si e`, quindi, cristallizzata l’idea che il contratto sia la soluzione piu` efficiente per consen- tire un rapido e coerente superamento del dissesto dell’impresa, contempe- rando al meglio i diversificati interessi di tutti i diversi soggetti riguardati dalle operazioni di risanamento (creditori in primis ma anche comparto
occupazionale, proprieta` e, piu` in generale, sistema produttivo nazionale).
E` stato, infatti, rilevato che «la continuazione dell’attivita` di impresa puo` consentire di mantenere sul mercato il debitore, di conservare il
complesso aziendale salvaguardando il suo avviamento, nonche´ di permet- tere il pagamento di una maggiore quota di debito con utili originati dall’ordinario esercizio, senza che la notizia dell’attivazione di procedure di risanamento o concorsuali (concordato) possa provocare la fine della rete di rapporti che “a monte” e “a valle” reggono l’azienda» (13).
produttivi. Su tali interessi pubblicistici e privatistici ai quali mirava la disciplina del falli- mento v. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, I, Milano 1962, p. 12, nonche´ FERRARA JR., BORGIOLI, Il Fallimento, Milano, 1995, p. 46.
(11) Sul punto si veda STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna 2007, p. 69. Infatti la conservazione degli assests e del plusvalore dei complessi aziendali rispetto ai singoli beni, che viceversa in caso di liquidazione atomistica del patrimonio sarebbero dispersi, non puo` che perseguire l’interesse dei creditori.
(12) Sulla meritevolezza degli interessi delle parti si esprime l’art. 1322 c.c. norma che costituisce una novita` del codice di eta` fascista, assente negli altri modelli di riferimento (Code Napole´on e il BGB), che ha voluto rimarcare che l’autonomia contrattuale, diversa- mente dalla signoria, non e` sconfinata liberta` del potere di ciascuno. Sul punto, si v. di recente LENER, La meritevolezza degli interessi nella recente elaborazione giurisprudenziale, in Xxx. xxx. xxx., x. 0, 2020, 3, p. 615 ss.
(13) XXXXXX, Analisi civilistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2017,
p. XXXVII.
In questa prospettiva, come abbiamo accennato, la funzione del con- tratto rispetto alle vicende dell’impresa si arricchisce di una nuova di- mensione andando a perseguire la finalita` del superamento della crisi in contesti del tutto differenziati dagli ordinari processi organizzativi e ge- stionali (14).
Puo` dirsi, dunque, che con il nuovo codice e` maturata l’idea di una vera e propria “contrattualizzazione” della crisi di impresa, posto che lo stesso dedica una intera sezione agli “strumenti negoziali stragiudiziali” (l’espressione costituisce l’intitolazione del Capo I del Titolo IV dedicato agli strumenti di regolazione della crisi). Gli strumenti di regolazione della crisi prendono sostanzialmente corpo in: a) procedimenti unilaterali per impulso dell’impresa in crisi (per quanto riguarda i piani attestati di risa- namento, art. 56 c.c.i.); b) procedimenti bifasici con l’accordo delle parti e la specifica attestazione da parte di un professionista indipendente (per quanto riguarda la convenzione di moratoria ex art. 62 c.c.i.); c) procedi- menti bifasici maggiormente articolati, con accordo delle parti ed omolo- gazione del tribunale (per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione dei debiti, art. 57 c.c.i., per i quali e` prevista l’omologazione del giudice ex artt. 44 e 70 c.c.i.) (15).
(14) Il nuovo codice induce ad ulteriori riflessioni in relazione allo strumento contrat- tuale, da sempre (e per tradizione) accostato all’attivita` di impresa come strumento utile per l’organizzazione e svolgimento della stessa. Ad oggi, il contratto finisce per realizzare molte- plici funzioni: a) e` necessario per costituire – in primo luogo – il soggetto dell’imputazione giuridica (nell’esempio piu` emblematico, la societa`: il contratto costituisce l’imprenditore, ma analogamente potrebbe dirsi il “gruppo”, come modalita` ancora una volta di matrice contrattuale per svolgere l’attivita`, benche´ in assenza di un’autonoma nuova soggettivita` giuridicamente rilevante); b) il contratto e` lo strumento principe per la concreta realizza- zione dell’attivita` di impresa, attraverso il complesso organizzato dall’azienda, diventando il mezzo tecnico per lo svolgimento dell’attivita` economica organizzata (in termini di produ- zione e distribuzione di beni e servizi); c) il contratto funge anche da strumento per l’ag- gregazione di piu` soggetti (e attivita` imprenditoriali), come nel caso dei gruppi; d) il con- tratto e` anche strumento usato dall’impresa per il reperimento di finanziamenti; e) da ultimo, nel nuovo sistema di regolazione della crisi e dell’insolvenza, il contratto ha avuto la sua consacrazione di strumento elettivo per la gestione della crisi di impresa sia con riferimento agli schemi di composizione stragiudiziale che nell’ambito di schemi caratteriz- zati per una piu` marcata procedimentalizzazione e sottoposti al controllo giudiziale.
(15) Si nota un legame indissolubile tra crisi di impresa e diritto privato, con conse-
guente arretramento dell’intervento pubblico a favore di una maggiore espansione dell’au- tonomia privata e cio`, pero`, non significa completa assenza delle norme eteronome, posto che i limiti della stessa autonomia privata sono posti in ragione di interessi superiori e collettivi (cfr. X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalita` costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3a ed., Napoli, 2006, p. 396). Come, difatti, notava ROVELLI – in I nuovi assetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria, in Il Fall., 2009, p. 1030 – «se non vi e` mercato laddove non vi e` alcuno spazio per l’autoregolamen-
Nel piu` ampio fenomeno di “contrattualizzazione della crisi di impre- sa” i diversi schemi che l’imprenditore puo` adoperare per superare lo stato di crisi possono essere classificati in negozi interni e negozi esterni all’im- presa (16). I primi sono i piani redatti dall’imprenditore in difficolta` che predispone unilateralmente scelte strategiche, ritenute da lui piu` opportu- ne, finalizzate a modificare la realta` aziendale (i piani di risanamento, art. 56 c.c.i.) (17); mentre i secondi sono appunto rappresentati dagli accordi conclusi tra imprenditore e creditori (accordi di ristrutturazione, 57 e ss.
c.c.i. (18), nonche´ le convenzioni di moratoria, art. 62 c.c.i.) (19).
tazione, neppure vi puo` essere mercato quando il diritto arretra fino ad esaurire la regola nella autoregolamentazione». In questa logica, la “degiurisdizionalizzazione” o meglio la “disintermediazione giudiziaria” delle procedure concorsuali non denuncia affatto una riti- rata regola giuridica con conseguente aperture di vuoti normativi, ma si assiste ad una sostituzione di regole: dalla regola di diritto pubblico alla autoregolamentazione. In tal senso, la dottrina fa spesso riferimento al fenomeno di “privatizzazione” della crisi di impresa, col quale si intende riassumere le peculiarita` della nuova disciplina fallimentare: attrazione del diritto della crisi di impresa nell’alveo del diritto dei privati, quindi dell’au- tonomia negoziale. Sull’uso del termine “privatizzazione” si veda: XXXXX, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 359; DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi di impresa, Milano, 2011, p. 3; XXXXXXXX, Crisi socie- tarie e governo dei creditori, in Dir. giur., 2007, p. 10. Nel diritto della crisi d’ impresa, l’autonomia contrattuale conquista spazi significativamente ampi ma, al contempo, e` sotto- posta a controlli del Tribunale o di professionisti specializzati.
(16) Come in maniera molto chiara rileva T.M. UBERTAZZI, Gli accordi per i risanamenti
delle imprese in crisi, Napoli, 2014, p. 2 e 3, «il turnaround di un’impresa in declino richiede principalmente scelte interne; mentre quello di un’impresa in crisi richiede la negoziazione, conclusione ed esecuzione di accordi complessi con numerosi soggetti esterni alla vita dell’impresa ed in primis con i propri creditori».
(17) I piani attestati di risanamento sono finalizzati alla continuazione dell’attivita` di impresa, al risanamento dell’esposizione debitoria nonche´ ad assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria (art. 56 c.c.i.). Il piano di risanamento e` destinato ad attuare finalita` di conservazione dell’attivita` di impresa e, differentemente dagli accordi di ristrutturazione dei debiti, non e` necessariamente un accordo, in quanto puo` tradursi anche in un piano che preveda un atto unilaterale del debitore, cosı` come puo` tradursi in un’o- perazione di finanza straordinaria, quale aumento di capitale riservato a determinati inve- stitori, con eventuale conferimento di beni o altre attivita` da parte di altri imprenditori.
(18) Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 c.c.i.) hanno (anche, ma non solo) finalita` di liquidazione dei beni aziendali e sono soggetti ad omologazione da parte del Tribunale. Come si avra` modo di notare, tali negozi tendono a valorizzare il ruolo del rapporto dialettico tra il debitore e i suoi creditori nella ricerca di soluzioni finalizzate al superamento della crisi di impresa. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti costituiscono un procedimento semplificato a struttura “bifasica”, di tipo misto, caratterizzato da una prima fase di natura meramente privatistico-negoziale e da una seconda fase, comunque necessaria, a connotazione giudiziale.
(19) Le convenzioni di moratoria (art. 62 c.c.i.) sono dirette a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi ed hanno ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti. Come si avra` modo di notare piu` innanzi, l’istituto della “convenzione di moratoria” si presenta coerente con le ipotesi di preventiva ristrutturazione dell’impresa in un’ottica
Una prima distinzione tra tali negozi puo` rintracciarsi nell’unilateralita` o plurilateralita` delle parti, nonche´ nella diversa causa contrattuale, ossia nelle diverse funzioni cui tali contratti sono chiamati ad assolvere.
2. – Gia` l’art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. (tuttora vigente), introdotto nel sistema dal d.l. n. 35 del 2005, ha stabilito che sono esenti da revoca- toria «gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore purche´ posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b) deve attestare la veridicita` dei dati aziendali e la fattibilita` del piano (...)».
Non dissimile da quest’ultima disposizione e` il nuovo art. 56 c.c.i. che cosı` dispone: «l’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza puo` predi- sporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il rie- quilibrio della situazione finanziaria».
L’art. 166, comma 3, lett. d) riprende, poi, il gia` citato art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. e sottrae all’azione revocatoria gli atti esecutivi compiuti nell’ambito del piano di risanamento attestato: in questa prospettiva la norma si riferisce dal punto di vista soggettivo agli imprenditori assogget- tati alla liquidazione giudiziale e questo, ovviamente, come e` stato corret- tamente rilevato, comporta che «paradossalmente, il piano attestato di risanamento acquista rilevanza, sul piano giuridico, soltanto quando ha fallito il suo obiettivo» (20).
Una simile previsione e` funzionale a perseguire l’obiettivo di salva- guardare il piu` possibile la conservazione dell’impresa, da preferirsi alla sua liquidazione (21) in quanto la rigenerazione finalizzata al rilancio com- petitivo dell’impresa consente la creazione di nuovo valore economico a vantaggio sia del sistema produttivo che dei creditori.
Tale finalita` viene in primo luogo perseguita con la previsione di strumenti negoziali che consentano di affrontare l’emersione precoce della
anticipatrice e prodromica rispetto all’adozione dello specifico strumento negoziale soggetto ad omologazione (ristrutturazione dei debiti).
(20) MEO, I piani “di risanamento” previsti dall’art. ł7, l. fall., in Giur. comm., 2001, I, p. 33.
(21) Per liquidazione si intende, ovviamente, quella finalizzata alla cessazione dell’atti- vita` di impresa.
crisi (tendenzialmente non ancora irreversibile), in modo da poterla fron- teggiare per tempo ed adeguatamente; cio` sul presupposto che favorire la sistemazione del dissesto possa scongiurare l’indesiderato impatto, sul sistema socio-economico, dell’estinzione dell’impresa per effetto dell’aper- tura di una procedura concorsuale liquidatoria (22). Le finalita` di preser- vare la continuita` aziendale devono in ogni caso essere perseguite contem- perando al meglio le posizioni creditorie, soprattutto di coloro i quali non aderiscono alle operazioni di regolazione negoziata della crisi.
L’atto denominato “piano di risanamento” consente la gestione del debito attraverso tutta una serie di obbligazioni finalizzate al riequilibrio dell’impresa e, dunque, alla possibilita` dell’integrale soddisfazione dei cre- ditori.
Il nuovo codice, all’art. 56, dispone che l’imprenditore, in stato di crisi o di insolvenza, puo` predisporre un piano, rivolto ai creditori. Il termine “predisporre”, ossia redigere e non proporre, e il termine “rivolto”, in- durrebbero a concepire il piano come un negozio unilaterale in virtu` del quale l’imprenditore assume un impegno nei confronti dei creditori (23). Il corretto inquadramento del fenomeno richiede di verificare se sia possibile utilizzare le tradizionali categorie civilistiche per qualificare que-
sta operazione economica.
Apparentemente, nell’eterno e tradizionale conflitto tra convenzione e pollicitazione (24), il piano di risanamento non sembra costituire una vera e propria promessa unilaterale di cui all’art. 1987 c.c., cioe` quel negozio in virtu` del quale il dichiarante si assume un obbligo nei confronti del de- stinatario.
(22) XXXXXX, L’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare. L’intervento riformatore e sua applicabilita`, in Riv. Commercialisti, 2008, 6, p. 1238: il favor verso le soluzioni stragiudiziali e` il frutto dell’accoglimento della teoria del “going concern”, secondo cui un’impresa in movimento produce molta piu` ricchezza di quanta se ne possa produrre da un procedimento di liquidazione concorsuale. Sicche´, il legislatore ha ritenuto che il sistema economico ricevera` maggiori benefici se, «invece di ergere intorno all’impresa in crisi un cordone sanitario e spingere il soggetto decotto verso il fallimento, si alletteranno i terzi a correre al capezzale dell’imprenditore per tentare di rianimarlo», cosı` GUERRIERI, Il controllo giudiziale sui piani attestati, in Giur. comm., 2012, 3, p. 385.
(23) Cfr. MEO, I piani di risanamento previsti dall’art. ł7 l. fall., in Giur. comm., 2011, 1,
p. 30; XXXXXXXX, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2007, 2,
p. 163. Per approfondimenti sugli aspetti penalistici si veda X. XXXXXXX, Il nuovo art. 217 bis
l. fall.: una riforma che tradisce le aspettative, in Fallimento, 2010, p. 1366 e ss.
(24) Sul punto ORESTANO, Le promesse unilaterali, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu- Messi- neo, gia` diretto da Xxxxxxx, continuato da Xxxxxxxxxxx, Xxxxx e Xxxxxx, Milano, 2019, p. 2 ss.
Le ragioni che non consentono la qualificazione del piano attestato di risanamento in termini di promesse unilaterali sono sostanzialmente due:
a) le strette maglie della tipicita` che involgono le promesse unilaterali (25);
b) la constatazione che, a differenza di quanto avviene nel negozio unila- terale, il creditore di una impresa in fase di risanamento non si trova in
(25) In particolare, occorrerebbe notare che il principio di tipicita` delle promesse unilaterali troverebbe fondamento per diverse ragioni che si pongono alla base delle scelte legislative operate nel codice civile. Il primo, e` il timore – da parte di un legislatore che non tollera l’astrazione della causa – di indebolire, appunto, la causa negoziale. La promessa unilaterale, quale fonte di obbligazioni, e` infatti atto che non trova al proprio interno una giustificazione causale. Il timore avvertito dal legislatore del ‘42, dunque, e` stato quello di permettere una eccessiva semplificazione strutturale del negozio, lasciando in luce l’impegno di un solo soggetto e impedendo all’interprete di individuare all’interno dello schema la giustificazione dell’impegno medesimo, con la conseguenza che l’attribuzione contenuta nella promessa si risolverebbe in un atto “isolato”. Ebbene, tale caratteristica della promessa sarebbe stata collisiva con l’idea di causa, intesa quale scopo intrinseco (e socialmente apprezzabile) del negozio. Autorevole dottrina ha, infatti, sostenuto che «la legge e` contra- xxx, tendenzialmente, ai negozi non titolati perche´ teme l’astrattezza (…) e percio` diffida delle promesse, che ne costituiscono normalmente una sottospecie». Tale problematica spiegherebbe il principio di tipicita`: la legge infatti riconoscerebbe l’efficacia della promessa quando, eccezionalmente, la stessa «rileva la causa». Ma, invero, nel piano di risanamento non si pone un problema di causa negoziale, posto che e` lo stesso legislatore che attribuisce al negozio una specifica funzione senza la quale non puo` parlarsi di piano di risanamento. In particolare, sotto l’aspetto funzionale, il piano di risanamento e` lo strumento negoziale per effetto del quale l’imprenditore insolvente mira essenzialmente ad un vero e proprio risa- namento dell’impresa e non anche al soddisfo di tutti i creditori. Ulteriore problema che colpirebbe le promesse unilaterali e che, dunque, imporrebbe le stesse di operare nelle strette maglie della tipicita` (ex art. 1987 c.c.) consiste in un’assenza dello scambio, e quindi di una cause suffisante, oggettivamente apprezzabile, sicche´ il giudizio di vincolativita` della promessa si consumerebbe in una ricerca del particolare interesse economico del promit- tente, che renda ragionevolmente plausibile l’assunzione dell’impegno (ossia la cause raison- nable ou plausible, connessa con una cause juste). Il piu` delle volte, come nel caso del piano di risanamento, la promessa gratuita trova giustificazione nel preesistente interesse dell’im- prenditore promissario: il riferimento e` dunque alla causa di pagamento. La sussistenza di tali interessi del promittente, secondo una piu` recente dottrina, rappresenta il confine oltre il quale, in assenza di accettazione (repromissione) e di interesse economico del promittente, la promessa cessa di trovare giustificazione oggettiva. E in assenza di tale giustificazione, la promessa dovrebbe essere accompagnata da ulteriori elementi quali, esemplarmente, la forma solenne (come nella donazione), ovvero la consegna o, piu` in generale, l’anticipata esecuzione. Il formalismo – che si avrebbe ad es. nella donazione – rappresenterebbe il
vestimentum della promessa. E` noto che il nostro ordinamento attribuisce ai vestimenta della
promessa una funzione essenziale per quegli atti che, presentando una certa debolezza giustificativa, necessitano della forma oltre al voluto e che, con la simultanea presenza di forma e volonta`, qualificano la promessa, consentendo di ritenere legittimo e ragionevole l’affidamento che in quest’ultima abbia riposto il promissario. In questa prospettiva, anche il piano di risanamento si proporrebbe coma una promessa “vestita” capace di indurre nei creditori promissari ragionevoli e legittimi affidamenti. In particolare, l’art. 56 c.c.i. impone che il piano, non solo abbia forma scritta, ma che abbia persino data certa e contenuto minimo e necessario.
uno stato di soggezione avendo il potere di esercitare il rifiuto del piano industriale-finanziario presentato dall’imprenditore.
Neppure sembra possibile ricondurre il fenomeno nell’ambito della promessa al pubblico di cui all’art. 1989 c.c. in quanto, come vedremo, non sempre le obbligazioni oggetto del piano di risanamento consistono nella promessa di una prestazione a favore dei creditori (26) e non sempre il piano e` reso di pubblico dominio (27). Il piu` delle volte, infatti, l’im- prenditore tende ad operare con chirurgica discrezione per evitare danni all’immagine professionale e la pubblicazione del piano nel registro delle imprese e` soltanto facoltativa e richiede una specifica richiesta da parte del debitore (art. 56, comma 5, c.c.i.).
Il piano di risanamento, invece, potrebbe piu` correttamente essere qualificato come contratto con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333 c.c. posto che la relativa proposta risulta essere irrevocabile appena giunge a conoscenza dei creditori ai quali e` destinata e che gli stessi, per non aderirvi, devono espressamente rifiutarla nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi e, quindi, entro il termine previsto dal piano per l’attuazione del primo intervento (industriale o finanziario) di risana- mento.
Sotto il profilo causale, il piano e` elettivamente finalizzato a supportare le ipotesi di continuita` aziendale (28), opzione quest’ ultima non sempre rinvenibile, ad esempio, negli altri strumenti di soluzione negoziale sotto- posti ad omologazione. Il fine del piano e`, dunque, realizzare il risanamen- to aziendale permettendo, cos`ı, all’impresa di recuperare la capacita` di creare valore economico (29). Esso costituisce, come gli altri “strumenti
(26) I creditori, infatti, nell’ambito dell’efficacia prescrittiva dell’art. 1989 c.c. potreb- bero rientrare nella categoria di «… chi si trovi in una determinata situazione...».
(27) Sulla fattispecie della promessa al pubblico si veda SBISA` , Promessa al pubblico, Mi- lano, 1974; ID., Promessa al pubblico, in ffnc. giur., XXIV, Roma, 1991; ID., La promessa al pubblico, Milano, 1974; XXXXXXXX, Le promesse unilaterali, in Tratt. Xxxxxxxx, Torino, 1984; XXXXXXXX, Lo schema della promessa al pubblico e i concorsi privati, in Riv. dir. civ., 1972, I; XXXXXXX, voce Promessa al pubblico, in Diz. enc. dir., Padova, 1996, II, 1047 e segg.
(28) Non possono tuttavia escludersi a priori eventuali previsioni all’interno del piano di risanamento di assets non core o non strategici dell’azienda. Cfr. Si vedano X. XXXXXXXXX, Il piano di risanamento nel codice della crisi e dell’insolvenza, in il fallimento, 2019, p. 1282 e GALLETTI, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in La riforma del diritto fallimentare, Milano, 2005, p. 235.
(29) XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in La riforma del diritto fallimentare, Milano, 2005, 235; SANZO, Il piano di risanamento attestato, in Giur. it., 2010, 2478, arg. anche ex art. 2487 c.c. Secondo altra impostazione, la compatibilita` con finalita` liquidatorie deriva dalla circostanza che la liquidazione societaria necessita comun- que di una programmazione strategica che non e` dissimile da quella richiesta agli ammini-
negoziali stragiudiziali” (tutti regolati dal c.c.i. al Titolo IV Capo I), atto di autoregolamentazione degli interessi dell’imprenditore insolvente (30) e protende alla prevenzione della crisi o di uno stato di insolvenza (che non assume i caratteri dell’irreversibilita`) attraverso tutta una serie di effetti programmatici.
Il piano, come si e` detto, piu` che una promessa unilaterale, dovrebbe qualificarsi come contratto con obbligazioni a carico del solo proponente in quanto configura una particolare ipotesi di “contratto unilaterale” (31) che, seppur geneticamente riferito ad una iniziativa unilaterale e caratte- rizzato da obbligazione esclusivamente a carico del proponente, diventa produttivo di effetti per entrambe le parti in mancanza di espresso rifiu- to (32). Il piano e` dunque il contratto con il quale l’imprenditore si assume tutta una serie di obbligazioni (33) nei confronti dei propri creditori e
stratori per una gestione corrente e non liquidatoria (MONTALENTI, Struttura e contenuti dei piani di risanamento e dei progetti di ristrutturazione nel concordato preventivo e negli accordi di composizione stragiudiziale delle situazioni di crisi, in Le nuove procedure concorsuali per la prevenzione e la sistemazione delle crisi di impresa, a cura di Xxxxxxxx e Falcone, Milano, 2006). Deve pero` essere chiarito che l’art. 67 l. fall. funzionalizza il piano al raggiungimento del risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e del riequilibrio della sua situa- zione finanziaria: e` evidente che tali obiettivi si collocano normalmente in un’ottica conser- vativa e di continuazione dell’impresa, ma nulla vieta che la finalita` di risanamento sia quella di portare i conti in pareggio, per poi procedere ad una liquidazione satisfattiva di tutto il ceto creditorio. XXXXXXXX e XXXXXXXXXX, I piani attestati ex art. ł7 l. fall., cit., 3181. Cosı`, in
«una dimensione tipicamente dinamica dell’attivita` di impresa e di riequilibrio della situa- zione economica, patrimoniale e finanziaria della stessa, il Piano [permette] il superamento della crisi [e agevola] la continuita` aziendale» X. XXXXXXXXX, Il piano di risanamento nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 11, p. 1281.
(30) Il profilo resta pero` diverso da quello configurato per i cc.dd. piani unilaterali: BURRONI, I piani attestati di risanamento nel Codice della crisi, in Crisi d’impresa. Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di Danovi e Acciaro, Milano, 2019,
p. 17. Contrari alla possibilita` di un piano unilaterale: XXXXX, Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, in Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, a cura di Xxxxx e Burroni, Bologna, 2019, p. 106-107; X. XXXXX, op. ult. cit., p. 993.
(31) SACCO, Conclusioni del contratto, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000.
(32) Cosı` C.M. BIANCA, Diritto Civile, vol. 3, Il contratto, Milano, 2019, p. 261; GAZ- ZONI, Manuale di diritto privato, Napoli 1996, p. 816. Viene qualificato come “atto unila- terale soggetto a rifiuto” da X. XXXXXXXXX, Dal Contratto al negozio unilaterale, Milano 1960, p. 240.
(33) Parte della dottrina ritiene che «per quanto riguarda la struttura negoziale del Piano, pur essendo dato per scontato nella prassi che nella maggioranza dei casi vi sia un preventivo accordo con i creditori ad esso sottostante (per altro, finanche presupposto nel comma 1, lett. d), che richiama lo stato di “eventuali trattative”), la questione va esaminata alla luce dell’art. 56 del Codice, che indica un elemento che a prima vista potrebbe apparire secondario, e che non e` presente nella lettera dell’art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., ovvero che “il piano e` rivolto ai creditori”, e cio` significa che non e` “proposto” ai creditori in un consequenziale procedimento formativo del consenso che si sviluppa nell’endiadi proposta-
richiede, successivamente, specifici atti esecutivi delle predette obbligazio- ni; tali atti esecutivi si presentano tra loro funzionalmente collegati. Nella prassi il piano trova, quindi, riscontro in specifici atti posti in essere dall’imprenditore in esecuzione delle obbligazioni assunte con tale stru- mento di regolazione della crisi: ad esempio pagamento integrale dei cre- ditori strategici, aumento di capitale reale, datio in solutum, dismissione di assets non strategici, costituzione di garanzie, prestazione di una fideius- sione, accesso di nuovi soci, riorganizzazione del personale, impegno a rimodernare le linee produttive, riconversione produttiva (34).
Le modalita` esplicative del piano attestato di risanamento coincidono sostanzialmente con la fattispecie disciplinata dall’art. 1333 c.c. in quanto si riferiscono esclusivamente a contratti ad effetti obbligatori (35) e giam- mai a contratti ad effetti reali.
In questa prospettiva dobbiamo evidenziare che, eventuali effetti reali previsti dal piano, riguardano esclusivamente terzi che non hanno la qua-
accettazione, con la conseguente formazione di un accordo. Naturalmente, cio` non esclude la circostanza che il piano per trovare effettiva attuazione presupponga il compendio attua- tivo degli atti e dei contratti in esso previsti (dunque, successiva e conseguente attivita` negoziale), elemento questo indefettibile per la realizzazione delle finalita` connesse allo strumento. Non e`, poi, senza rilievo il disposto del comma 6 dell’art. 56, a mente del quale “gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa”, laddove il termine utilizzato – “esecuzione” – implica proprio la circostanza che, almeno dal punto di vista formale, il Piano resti il prius rispetto a successivi (e dipendenti) atti e contratti conclusi con i creditori» cosı` X. XXXXXXXXX, Il Piano di risanamento…, cit., p. 1283.
(34) Per quanto caratterizzati da un’ampia flessibilita` nella fase formativa ed esecutiva dell’accordo – cosı` come confermato dalla mancata previsione di qualsiasi tipo di controllo di legittimita` ex post da parte dell’autorita` giudiziaria –, detti accordi trovano, all’interno della disciplina concorsuale, una tutela importante, seppur minima: i piani attestati, infatti, sono regolati in senso “negativo”, e cioe` allorquando, non concretizzatosi il tentativo di risanamento intrapreso, venga aperta la fase di liquidazione giudiziale dell’impresa il legi- slatore si premura di fornire un’esenzione dall’azione revocatoria per tutti quegli atti posti in essere in esecuzione del piano di risanamento. In altri termini, se lo scopo dell’operazione e` di ristabilire l’equilibrio della situazione finanziaria del debitore, la dottrina ne ha fatto discendere la conseguente, necessaria prosecuzione delle attivita` d’impresa di quest’ultimo, tutt’al piu` contemplando la possibilita` di ricorrere ad accordi stragiudiziali solo parzialmente liquidatori del complesso aziendale. Xxx` spiega l’esonero degli atti compiuti in ragione dell’esecuzione del piano, che resta atto tipicamente negoziale ovvero frutto di una iniziativa del debitore che si esplica senza alcun intervento del giudice, dall’azione revocatoria sia ordinaria che fallimentare, come disposto dall’art. 166, comma 2, lett. d).
(35) Sostengono la tesi dell’esclusione dei contratti ad efficacia reale dal perimetro dell’art. 1333 c.c. CARRESI, Il contratto con obbligazioni del solo proponente, in Riv. dir. civ., I, p. 394 ss. e SACCO, Contratto e negozio a formazione bilaterale, in Studi in onore di Xxxxx, II, Padova, 1965, p. 982. Contra, invece, XXXXXXXXX, La formazione del contratto, I, Milano, 1966, p. 350.
lita` di creditori e, pertanto, nei confronti di questi ultimi, che sono le uniche controparti del piano di risanamento, rileva soltanto l’impegno a dare esecuzione agli specifici effetti obbligatori previsti dal piano: si pensi all’impegno di dismettere, in un contesto temporale definito, i rami non core dell’azienda. In queste ipotesi l’impegno nei confronti del creditore e` sempre e solo a carattere obbligatorio consistendo la prestazione del pro- ponente nell’impegno di operare, nei termini previsti dal piano, le dismis- sioni programmate.
L’efficacia negoziale del piano dipende unicamente dall’imprenditore proponente ed il silenzio di eventuali creditori comporta soltanto la loro decadenza dal diritto di rifiutare (36).
La struttura dell’operazione di risanamento, quindi, pur essendo un contratto che si forma con la dichiarazione di una sola parte, assume connotati bilaterali nel senso che i creditori, in caso di mancata condivi- sione del piano, hanno il potere di reagire attraverso il rifiuto (37).
Solo attraverso l’esercizio del potere di rifiuto del piano il singolo creditore puo` accedere ai separati ed autonomi meccanismi di rinegozia- zione del debito che, come emerge dall’art. 56, comma 2, lett. d), richie- dono una specifica fase di trattative con l’imprenditore e, pertanto, si caratterizzano per la loro bilateralita` nella fase di formazione del contratto, nonche´ per l’insorgenza di obblighi reciproci a carico delle parti (38). Gli accordi di rinegoziazione del debito sono un fenomeno eterogeneo in quanto nella prassi si esplicano in maniera multiforme sia con riferimento ai contenuti di tali atti che sotto il profilo soggettivo. Una prima classifi- cazione di tali atti puo` essere effettuata facendo riferimento al profilo soggettivo e, per questa via, si possono distinguere accordi con creditori minori ed accordi con banche creditrici.
La prima tipologia di accordi normalmente riguarda i crediti dei for- nitori dell’impresa i quali, di regola, hanno l’interesse ad una liquidazione immediata delle loro posizioni attraverso pagamenti a saldo e stralcio dell’importo complessivamente dovuto e, quindi, con una conseguente remissione parziale del credito.
La seconda categoria non presenta contorni definiti in quanto i con- tenuti degli eventuali accordi variano dalla semplice concessione di un periodo di stand still alla piu` articolata erogazione di nuova finanza a volte
(36) Cfr. si veda CARRESI, op. ult. cit., p. 399.
(37) In questo senso si veda CARRESI, op. ult. cit., p. 400.
(38) Sulla tematica della rinegoziazione tra imprenditore e banche si veda T.M. UBER- XXXXX, op. ult. cit., p. 31 ss.
anche attraverso la preventiva conclusione di c.d. convenzioni interbanca- rie tra le banche creditrici maggiormente esposte (39).
Il piano di risanamento ha la finalita` di consentire la continuita` del- l’impresa attraverso l’adozione di atti, determinati e determinabili, funzio- nali a ripristinare l’equilibrio economico finanziario. Tali atti in caso di insuccesso dell’operazione di risanamento, qualora redatti per iscritto ed aventi data certa (40), sono sottratti alla revocatoria fallimentare (art. 166. comma 3, lett. e), c.c.i.).
3. – Si differenziano dal meccanismo sopra descritto, caratterizzato da unilateralita` nella formazione dell’atto, gli accordi di ristrutturazione del debito che richiedono, invece, la necessaria partecipazione dei destinatari, chiamati ad esprimere la loro adesione. In questi termini, emerge la natura plurilaterale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
In particolare, la plurilateralita` che caratterizza gli accordi di ristrut- turazione puo` essere riferita alla presenza di piu` parti che operano in ciascun proprio lato dell’accordo, intese come autonomi centri di interessi l’uno indipendentemente dall’altro (41) e non come piu` soggetti riuniti in un unico centro di interessi al fine della loro identificazione in una mede- sima parte negoziale (c.d. “parte complessa” – o plurisoggettiva – del negozio).
Ne deriva che agli accordi di ristrutturazione, qualora presentino pa- tologie, sono applicabili gli artt. 1420, 1446, 1459 e 1466 c.c.
Ancora, sotto un profilo funzionale, puo` essere notato che il termine “ristrutturazione” richiama le finalita` di riequilibrio delle finanze dell’im- presa conservando l’attivita` produttiva; l’istituto, tuttavia, si adatta anche
(39) T.M. UBERTAZZI, op. ult. cit., p. 60 ss.
(40) Sulla problematica della forma si xxxx XXXXXXXXXX, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimen- to del debitore, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 313 e 314.
(41) Tale e` la Cass. 30 marzo 1979, n. 1843, in Giust. Civ., 1979, I, p. 1422, con nota di XX XXXXX, Xxxxx note su fideiussione, confideiussione e contratto plurilaterale, dove appunto si argomenta la mancanza di uno «scopo comune» per escludere la confideiussione dal novero dei contratti plurilaterali. In dottrina, si e` posto il seguente problema: se ai contratti con parti soggettivamente complesse debbano applicarsi o meno gli artt. 1420 e analoghi. Sicche´, si rintracciano diverse tesi tra loro inconciliabili tra chi ammette che il singolo componente della parte complessa possa domandare lo scioglimento del rapporto limitata- mente alla propria quota (cosı` DE XXXXX, Sulla contitolarita`del rapporto obbligatorio, Milano 1974; IUDICA, Impugnative contrattuali e plurilateralita` degli interessati, Padova 1973) e chi, invece, nega che lo scioglimento possa riguardare un solo partecipante e percio` afferma la necessita` di un esercizio congiunto del potere di risolvere il contratto (tale e` la conclusione di BUSNELLI, L’obbligazione soggettivamente complessa, cit.)
al perseguimento dell’obiettivo di prevenire l’insolvenza e di agevolare la liquidazione. L’accordo produce un effetto novativo del debito, posto che
– come e` stato osservato (42) – la “ristrutturazione dei debiti” sta per modificazione della “struttura” del debito (ossia dei suoi elementi caratte- ristici: natura di esso, soggetto debitore, che puo` essere anche un terzo assuntore, entita`, scadenze, interessi, garanzie e quant’altro). In definitiva, come vedremo in seguito, ogni qual volta si intenda ristrutturare i debiti di una impresa, la finalita` si sostanziera` in una novazione del debito pregresso perche´ attraverso la ristrutturazione si da` al debito una nuova “struttura”, ossia una nuova composizione e/o forma. In sostanza i creditori, dopo aver preso atto delle variate circostanze di fatto dell’originario rapporto obbli- gatorio (43) a seguito del sopraggiungere della crisi dell’impresa e dopo aver valutato i rischi dell’impatto di quest’ultimo evento sull’originario programma negoziale, manifestando la loro adesione all’accordo di ristrut- turazione prospettato dall’imprenditore pongono in essere un contratto plurilaterale senza comunione di scopo (44). In questa prospettiva non assume alcuna rilevanza, con riferimento ai meccanismi di formazione del consenso, la circostanza che gli altri soggetti che prestano adesione all’accordo abbiano, anche essi, la natura di creditori. Infatti, come e` stato correttamente osservato (45), in queste fattispecie la qualita` soggettiva delle parti ed in particolar modo la loro appartenenza ad una medesima categoria (o classe) non consente di configurare meccanismi di formazione collettiva della volonta` dei creditori. Cio` in quanto la categoria dei credi- tori, con riferimento alla gestione di una crisi di impresa, e` caratterizzata da elevati profili di eterogeneita`. I creditori nei processi di ristrutturazione non sono portatori di una comunione di interessi ed anzi, spesso, perse- guono gli interessi specifici della categoria alla quale appartengono (46) e
(42) DI MAJO, Accordi di ristrutturazione, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Xxxx, Piccininni e Xxxxxxxx, IV, Il superamento della crisi e la conclusione delle procedure, Torino, 2011, p. 667.
(43) Sulla differenza tra c.d. negozio modificativo ed effetto novativo si veda XXXXXXXX, voce Novazione, in Nuov. Dig. Disc. Priv., vol. XII, p. 287.
(44) La ricostruzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti in termini di contratto plurilaterale senza comunione di scopo ovviamente non opera per quelle fattispecie, che, ad ogni modo, rappresentano meri casi scuola e non hanno alcun riscontro concreto nella casistica, di accordo concluso tra l’imprenditore in crisi ed un unico creditore, titolare di
una posizione creditoria pari al 60% dell’intero passivo. E` evidente, infatti, che in questa
particolare ipotesi l’accordo assume carattere bilaterale.
(45) Si veda X. XXXXXXXXX, L’accordo di ristrutturazione dell’indebitamento bancario tra specialita` negoziali e regole concorsuali, in Dir. Fall., 2016, 3-4, p. 729.
(46) Si pensi, ad esempio, alle diverse posizioni che, con riferimento ad un determinato programma di risanamento, hanno i creditori privilegiati rispetto a quelli chirografari. I
quelli individuali finalizzati alla migliore soddisfazione del singolo rap- porto.
La vicenda novativa del debito, inoltre, si concilia con tutte le finalita` degli accordi di ristrutturazione, ossia sia con la liquidazione concordata dell’impresa e sia con la continuazione della stessa (47).
A ben vedere, quindi, lo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti, considerato nella sua collocazione sistematica, costituisce un contratto che si pone a meta` strada tra la figura, maggiormente procedi- mentalizzata, del concordato preventivo e la figura elettivamente rimessa all’autonomia negoziale del piano attestato di risanamento.
In un estremo, infatti, si colloca il concordato preventivo, procedura concorsuale in cui, sebbene la riforma abbia previsto una totale liberta` di contenuto della proposta, rimane marcata la connotazione giudiziale e pregnante il profilo pubblicistico; in un altro estremo, si colloca lo schema molto elastico del «piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria» di cui all’art. 56 c.c.i. Quest’ ultimo istituto esplica i suoi effetti a prescindere da qualsiasi controllo giurisdizionale e al di fuori di qualsiasi parvenza di condivisione contrattuale con eventuali creditori dell’impresa che non sono stati coinvolti direttamente nella pro- grammata operazione di risanamento. L’eccezionale protezione degli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento trova, poi, la sua fonte non tanto nel mero potere dispositivo dell’imprenditore quan- to, piuttosto, nell’integrazione dei suoi poteri di esercizio gestorio ad opera di un soggetto terzo, l’attestatore, che si assume l’onere di verificare i dati aziendali e la fattibilita` economica e giuridica del piano producendo, quindi, una forma di controllo sulla meritevolezza tecnica dell’operazione.
primi cercheranno di agevolare un processo di riconversione a breve periodo anche a discapito dei valori di realizzo i secondi, invece, per mitigare l’elevato rischio dell’incapienza, sono normalmente favorevoli a processi di medio-lungo termine che consentano di valoriz- zare al meglio tutti gli assets.
(47) Il fenomeno della “ristrutturazione” dei debiti si presenta molto complesso e intricato e implica i profili riferibili all’attivita` di impresa e al suo finanziamento, nonche´ profili relativi ai singoli crediti implicati. In questi termini, la ristrutturazione dei debiti comporta la sostituzione della pluralita` di fonti e dei titoli “originari” dei singoli rapporti obbligatori, i quali all’esito della ristrutturazione saranno soddisfatti e dunque estinti. Oc- corre tuttavia distinguere tra soddisfazione e ristrutturazione, in quanto quest’ultima non si riferisce esclusivamente ai crediti anteriori, ma ammette e anzi tenta di favorire la presenza di nuovi apporti finanziari. In merito alla differenza tra soddisfazione e ristrutturazione dei crediti vd. XXXXX XX., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, in Riv. dir. comm., I, 2006, p. 747.
In posizione mediana tra concordato preventivo e piano di risanamento si trovano gli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall’art. 57 c.c.i. (gia` disciplinati dall’art. 182-bis l. fall.). Tale istituto si configura, al pari dei concordati stragiudiziali (48), come un ordinario contratto di diritto privato a formazione progressiva, soggetto dunque alla concorrente disciplina del codice civile e del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.
Infine, nell’ambito dei diversi strumenti negoziali di supporto alla ge- stione di una crisi di azienda la c.d. convenzione di moratoria (49) (art 62
c.c.i. e nel regime previgente art. 182 septies, commi 5, 6 e 7, l. fall.) si pone normalmente in un contesto temporale che anticipa la scelta dell’imprendi- tore in ordine al modello negoziale da adottare per la gestione della crisi (e, quindi, in un contesto temporale che precede un accordo di ristrutturazione del debito oppure concordato preventivo). La convenzione di moratoria e`, quindi, uno strumento preparatorio di specifiche scelte negoziali finalizzate a dare un assetto definito alla composizione della crisi.
Le convenzioni di moratoria hanno, in sostanza, la finalita` di regolare, in via provvisoria, una particolare situazione di tensione finanziaria in cui versa tradizionalmente l’impresa, attraverso la concessione da parte dei creditori di un periodo di standstill (50). Tale concessione, a differenza di quanto normalmente accade nella fattispecie di rinegoziazione che con-
(48) La l. n. 197 del 1903 sul concordato preventivo aveva abrogato la disciplina della moratoria e il sopra citato art. 825 del codice di commercio, che non avevano avuto grande diffusione a causa del pesante onere – probatorio e di pagamento – richiesto al debitore e alla non chiara regolamentazione. Nonostante cio`, sulla scia del concordato per aba`ndon d’actif francese (si fa riferimento al concordato per abbandono dell’attivo introdotto nel- l’ordinamento francese nel 1856 il quale prevedeva la liberazione del fallito al momento della cessione dei beni), la forma di “autodifesa privata” (cosı` PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, IV, Milano, 1974, p. 2755) del concordato stragiudiziale, stipulato dal debitore con i creditori uti singuli e vincolante i soli aderenti, si presentava talvolta come un con- cordato con cessio bonorum, attuato mediante un mandato irrevocabile a uno o piu` credi- tori, i quali si assumevano l’onere di realizzare le attivita` e di tacitare gli altri a stralcio oppure integralmente. Tali concordati risultavano sicuramente piu` efficienti in quanto assi- curavano maggiore rapidita` ad un costo inferiore, consentivano una maggiore riservatezza della crisi, permettevano flessibilita` e varieta` degli strumenti utilizzabili nelle diverse situa- zioni, evitando al contempo controlli giudiziali sulla gestione. Siccome pero`, sino al 2005 ossia fino a quando la legge fallimentare e` rimasta praticamente intatta, prevalente era l’idea che il Tribunale e il giudice delegato erano depositari di un potere palesemente invasivo della gestione ed amministrazione della crisi e che solo il Tribunale aveva il potere di concedere all’imprenditore onesto e sfortunato il beneficio del concordato preventivo, i concordati restavano “stragiudiziali” evidenziando che l’aggettivo – stragiudiziali – volesse significare la subalternita` di queste pratiche negoziali rispetto alla soluzione giudiziale pre- ferita dal legislatore.
(49) Cfr. X. XXXXXXXXX, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 54.
(50) Sulla tematica si veda T.M. UBERTAZZI, op. ult. cit., p. 32 e ss.
seguono all’esercizio del potere di dissenso del creditore nei confronti di un piano attestato di risanamento, e` accompagnata dall’assunzione da parte dell’imprenditore di un’obbligazione negativa consistente, per lo piu` , nell’impegno a non compiere atti di straordinaria amministrazione.
La convenzione di moratoria non richiede alcuna omologazione da parte del Tribunale essendo sufficienti: a) il coinvolgimento di tutti i creditori nelle trattative; b) l’attestazione da parte di un professionista indipendente in ordine alla veridicita` dei dati aziendali ed alla idoneita` della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi; c) la sussistenza di concrete possibilita` che i creditori non aderenti alla conven- zione vengano soddisfatti in misura non inferiore all’eventuale soddisfa- zione del credito derivante dalla liquidazione giudiziale [art. 62, comma 2, lett. d), c.c.i.]; d) la trasmissione, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ai creditori non aderenti.
Le convenzioni di moratoria, inoltre, al pari degli accordi di ristruttu- razione c.d. ad efficacia estesa comportano il “trascinamento” nell’ambito della convenzione dei creditori non aderenti purche´ l’adesione sia stata avanzata da almeno il settantacinque per cento dei creditori appartenenti ad una determinata categoria (51).
Infine, in questo contesto, a differenza di quanto accade per gli ac- cordi di ristrutturazione ad efficacia estesa manca la fase di omologazione e l’intervento del tribunale e` soltanto eventuale e consegue all’opposizione dei creditori non aderenti (art. 62, comma 5, c.c.i.).
(51) Sul punto cfr., da ultimo, G.B. FAUCEGLIA, La convenzione di moratoria: novita` e conferme nel «codice della crisi e dell’insolvenza», in Banca borsa e tit. cred., 2020, 4, p. 583 e ss.