PERSONA E MERCATO
PERSONA E MERCATO
Rivista periodica on-line xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx
Anno 2018 – Numero 4
Saggi
Sull’efficacia orizzontale in diritto privato delle norme sui diritti fondamentali dei Trattati euro-
pei, di Xxxxx Xxxxxxxxx p. 211
La Corte di giustizia tra scelte di mercato e inte-
ressi protetti, di Xxxxxxxxx Xxxxxxx ……………. p. 220
Accordi in funzione del divorzio tra autonomia e
limiti, di Xxxxxxx Xxxxxxx ……………………... p. 236
Materiali e commenti
Diritto dei figli ad essere amati?, di Xxxxxx Xxx-
xxxx, p. 27
Attualità
La commissione di stipula del mutuo tra ABF e
Bausparvertrag, di Xxxxxxxx Xxxxxxxx p. 47
Persona e Mercato è una rivista fondata da Xxxxxxxx Xxxxxxx.
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Persona e Mercato – Indice 4/2018
Persona e Mercato - Saggi
Sa ggi
Saggi
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SULL’EFFICACIA ORIZZONTALE IN DIRITTO PRIVATO DELLE NORME SUI DIRITTI FONDAMENTALI DEI TRATTATI EUROPEI1
Di Xxxxx Xxxxxxxxx
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Q u a l c h e r i f l e s s i o n e s u l l ’ e f f i c a c i a i n d i r i t t o p r i v a t o d e l l e n o r m e s u i d i r i t t i f o n d a - m e n t a l i d e i T r a t t a t i e u r o p e i ( M a r i o L i b e r t i n i )
SOMMARIO: 1. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e il diritto privato. 2. La giurisprudenza della Corte di Giustizia. 3. L’apertura dell’ordinamento interno al diritto euro- peo. 4 Diritti, principi e clausole generali. 5. Il problema dell’efficacia diretta nella prospettiva normativistica. 6. Considerazioni conclusive
ABSTRACT. Lo scritto concerne gli effetti di diritto privato che possono trarsi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Per quanto l’art. 51 sembri escludere un’applicazione diretta, lo scritto analizza alcune pronunce della CGUE che operano in tal senso ed ipotizza ulteriori aperture.
The paper deals with the effects on the private law drawn by the Charter of fundamental rights of the European Union. As far as the art. 51 seems to exclude a direct application, the text analyzes some judgments of the CJEU that operates in this way and hypothesizes further openings.
1 Relazione al convegno sul tema “I diritti fondamentali in Europa e il diritto privato”, svolto il 22 aprile 2016 presso l’Università di Roma 3
Q u a l c h e r i f l e s s i o n e s u l l ’ e f f i c a c i a i n d i r i t t o p r i v a t o d e l l e n o r m e s u i d i r i t t i f o n d a - m e n t a l i d e i T r a t t a t i e u r o p e i ( M a r i o L i b e r t i n i )
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1. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e il diritto privato.
Vorrei muovere da una ricostruzione elementare del diritto vigente, fondata sulla ricognizione dei testi normativi, per poi passare a qualche osserva- zione di ordine più generale sulla tematica degli ef- fetti “orizzontali”, che, in una cultura giuridica avanzata, dovrebbe essere, credo, in gran parte su- perata, mentre ancora è circondata da molte difficol- tà.
Per parlare del diritto vigente, e dovendo concentrare l’attenzione sugli effetti di diritto priva- to che possono trarsi dalla Carta dei diritti fonda- mentali dell’Unione Europea, prima di entrare nel tema vorrei fare una premessa. Questa carta è, a mio avviso, un bellissimo documento legislativo e meri- ta adesione sul piano dei giudizi di valore. I conte- xxxx della Carta medesima e, in larga misura, l’elenco dei diritti in essa contenuto, sono più esau- stivi e più avanzati di ciò che possiamo trovare in altri documenti, perfino nella nostra Carta costitu- zionale.
Permane però qualche differenza, e c’è almeno una eccezione, con un potenziale problema di “con- trolimiti”, che può essere individuata. Nella Carta dei diritti fondamentali ci sono numerose norme a tutela dei lavoratori (artt. 27-34), ma non c’è una norma esattamente paragonabile all’articolo 36, comma 1, della nostra Costituzione (diritto alla giu- sta retribuzione). Sotto questo profilo può nascere un contrasto tra la tutela dell’articolo 36 (che la no- stra giurisprudenza ha sempre ritenuto “diretta”) e lo stato del diritto europeo, sia quello scritto, sia quello “vivente” negli enunciati della giurispruden- za europea.
La sentenza Rüffert (Corte Giust. C-346/06) af- ferma chiaramente la prevalenza del principio della concorrenza fra ordinamenti, caro ad Xxxxxx Xxx- pini, sul diritto alla retribuzione minima del lavora- tore. Secondo la Corte, se si impedisse agli Stati di farsi concorrenza tra loro con diverse politiche del lavoro, sarebbe violato un principio fondamentale, ritenuto prevalente sul diritto alla retribuzione mi- nima del lavoratore. Questo è l’orientamento della Corte di giustizia, e ciò pone sicuramente un pro- blema che, proprio sul piano dei giudizi di valore, è tuttora aperto, e si ripresenta nella più ampia tema- tica dei possibili conflitti fra diritti sociali e libertà economiche dei trattati europei.
Sul punto non voglio ulteriormente soffermarmi, anche perché sarà oggetto di trattazioni più appro- fondite più avanti.
Una volta chiarito che non vi è una situazione di coerenza piena e idilliaca fra le diverse carte dei di- ritti, vorrei ribadire, però, l’assunto di adesione ten- denzialmente piena, sul piano dei giudizi di valore,
al contenuto della Carta di Xxxxx (chiamiamola co- sì), con il conseguente invito a “prenderne sul serio” le norme.
Cercherò dunque di soffermarmi, in questa pro- spettiva, sul valore giuridico che, negli ordinamenti degli Stati membri, e in particolare nel loro diritto privato, hanno queste norme.
Le indicazioni che ci danno i trattati, se guar- diamo ai meri dati testuali, sono alquanto ambigue.
Leggendo l’articolo 2 del trattato dell’Unione Europea troviamo una dichiarazione solenne: “I va- lori a cui si ispira il diritto dell’Unione sono valori comuni ai singoli Stati”. È un’indicazione che sta nell’incipit dell’insieme delle norme e dei trattati, ed è un’indicazione normativa forte, nel senso dell’unità, pur nella diversità di funzioni, del diritto europeo e del diritto degli Stati membri. In questa dichiarazione possiamo leggere l’espressione di un costituzionalismo multilivello, che dovrebbe essere coordinato in un quadro costituzionale comune a tutti gli Stati membri dell’Unione.
Se guardiamo invece alle norme della Carta dei diritti fondamentali, e in particolare alle norme di chiusura, vediamo un quadro molto più tradizionali- sta e molto diverso.
Leggendo l’articolo 51, intanto, troviamo enun- ciata una distinzione fra “diritti” e “principi”. In al- tri termini, la Carta comprende “diritti” che devono essere rispettati e “principi” che devono essere os- servati, ma essa si rivolge – è detto testualmente – a istituzioni, organi e organismi dell’Unione, non si rivolge direttamente ai singoli Stati. Però poi, leg- gendo l’articolo 52, troviamo una ulteriore ambigui- tà: al comma 5 dell’articolo 52 della Carta la distin- zione tra diritti e principi viene riutilizzata, nel sen- so che le norme che contengono “principi” possono essere attuate, con atti normativi di attuazione a val- le, sia dall’Unione sia dai singoli Stati, ma non pos- sono essere direttamente invocate davanti ad un giudice nazionale dal privato (possono essere invece “invocate dinanzi a un giudice solo al fine del con- trollo di legalità” dei provvedimenti attuativi, euro- pei o nazionali; in altri termini, stando al dato te- stuale, non possono essere invocate al fine del “con- trollo di legalità” su atti privati).
È un’indicazione netta, nel senso della non effi- cacia diretta, ma il dato testuale è significativo an- che perché si riferisce non ad ambedue le categorie di norme di cui si parla all’articolo 51 (cioè quelle che contengono i “diritti” e quelle che contengono i “principi”), ma solo alle norme che contengono “principi”.
Quindi, in maniera ambigua, sulle norme che “contengono diritti” – continuo ad usare questa espressione un po’ strana (“contengono”), che però è nel testo ufficiale – non abbiamo un’indicazione altrettanto netta in senso contrario alla Drittwir-
kung, come quella che testualmente è sancita dalle norme che contengono principi.
2. La giurisprudenza della Corte di Giusti- zia
A questo punto bisognerebbe chiarire la diffe- renza (ci torneremo dopo) fra queste due categorie di norme. Fatto sta però che, su questa base, abbia- mo, come è sempre accaduto e come continua ad accadere, un lavoro interpretativo della Corte di giustizia, che in qualche modo è fonte anch’essa di diritto per gli Stati membri e che ha portato, mi sembra, ad una soluzione che non può dirsi definiti- va, ma che comunque è molto interessante, e che cercherò di riassumere.
Tale soluzione si trova sancita nella sentenza As- sociation de médiation sociale del gennaio 2014 (C- 176/12). Una sentenza che riprende tutta un’elaborazione precedente e che mi sembra dia al- cune indicazioni nette su questa materia, per ciò che riguarda sempre una prospettiva di diritto europeo e di suo trasferimento nell’ambito degli ordinamenti degli Stati membri.
La prima indicazione che ci dà la Corte di giusti- zia va nel senso che ci possono essere diritti fondati su fonti europee che sono di applicazione diretta nell’ambito degli Stati membri. Ciò accade quando esista una normativa dettagliata di specificazione del contenuto di questi diritti. L’interpretazione di questa indicazione della giurisprudenza europea non è sempre facile, perché, sulla tematica dell’efficacia diretta delle norme che pongono i diritti, interferi- scono due varianti, che complicano un po’ il ragio- namento:
(i) la prima è costituita dalla presenza o meno di direttive di concretizzazione della norma a monte, dettata dalla Car- ta, che pone a livello di indicazione ge- nerale il principio del diritto;
(ii) la seconda è costituita dal problema dei rimedi: la Corte incentra la sua atten- zione soltanto sulla possibilità di disap- plicazione della norma interna, a segui- to della quale si ha la possibilità di una tutela nell’ambito del diritto dello Stato membro, ma limitata al diritto al risar- cimento del privato nei confronti dello Stato membro inadempiente (secondo la giurisprudenza Xxxxxxxxxx).
Questa seconda indicazione non esclude tuttavia, sul piano logico (anche se la Corte di Giustizia non se ne occupa), che ci possano essere altre soluzioni, che attribuiscono qualche ulteriore efficacia nel di- ritto interno alla norma europea. Può darsi, infatti, che, a seguito della disapplicazione della norma in- terna contrastante, possa invocarsi
un’interpretazione filocomunitaria di una diversa norma interna (di dettaglio o di principio), a cui possa seguire un rimedio specifico nei rapporti in- terprivati.
Ad ogni modo, la Corte di giustizia afferma che in certi casi abbiamo norme europee così dettagliate che, in base al principio del primato del diritto co- munitario, si impone la prevalenza del diritto sanci- to dalla norma comunitaria sulla norma interna.
Il caso specifico, che viene richiamato nella sen- tenza, è quello di una norma che comportava una discriminazione nei diritti del lavoratore subordina- to, fondata sull’età del lavoratore medesimo. Qui le norme europee sono sufficientemente dettagliate da comportare la disapplicazione della norma interna con esse incompatibile.
Nel caso Association de médiation sociale si trattava invece di diritti di contenuto più complesso (cioè i diritti alla informazione e alla rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’azienda), che non pre- sentavano, ad avviso della Corte, un sufficiente gra- do di contrasto tra una norma europea definita in dettaglio e la norma interna, tale da consentire una disapplicazione di quest’ultima; per cui si doveva passare eventualmente a rilevare in altro modo que- sto contrasto.
Considerati i testi normativi che la giurispruden- za europea si trova ad applicare, e che sono molto “frenati” – come si è visto – sul terreno della possi- bile Drittwirkung (gli articoli 51 e 52 chiaramente nascono da una resistenza degli Stati membri ad un’applicazione diretta delle norme di principio, ri- tenuta potenzialmente sconvolgente), credo che si debba considerare, tutto sommato, con atteggiamen- to positivo lo sforzo di razionalizzazione del siste- ma, che la Corte di giustizia ha compiuto.
Si deve però subito aggiungere che lo “stato dell’arte”, che vede affermata come conseguenza della lesione di un diritto fondamentale immediata- mente applicabile solo la massima Francovich (se lo Stato non si è adeguato al rispetto dei diritti fonda- mentali, chi è stato leso si rivolge al suo Stato e ot- tiene il risarcimento), è insoddisfacente (nel senso di necessaria ma non sufficiente) e suscettibile di precisazioni.
In sostanza, la giurisprudenza europea ci indica
– a mio avviso – solo un modello normativo di base, atto ad attribuire una tutela minima ai soggetti che vedano lesi diritti fondamentali sanciti da norme sufficientemente determinate.
Ciò non esclude che questa tutela minima possa essere rafforzata in vario modo.
Anzitutto, sul piano interpretativo: all’interpretazione delle norme della Carta dev’essere applicato quel criterio “magis ut valeat”, che, nell’esperienza giuridica italiana ha costituito – soprattutto dietro l’insegnamento di Crisafulli – passaggio fondamentale sulla via della valorizza-
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zione delle norme costituzionali. Ciò vale sia a ri- solvere in senso positivo i dubbi sull’attitudine au- toapplicativa di norme che pongono diritti, sia a va- lorizzare il valore di principio che deve pur sempre attribuirsi alle norme che non raggiungono tale li- vello di determinatezza.
In secondo luogo si deve considerare che la giu- risprudenza europea, nel porre limiti all’efficacia diretta “orizzontale” delle norme europee nei rap- porti interprivati, non pone limiti e divieti all’efficacia indiretta che le stesse norme possono acquisire, sulla base di strumenti e rimedi previsti nel diritto interno degli Stati membri.
Ciò significa che, al di là della possibilità di di- sapplicazione di eventuali norme nazionali contra- stanti, non si deve pensare affatto che, per il resto, vi sia irrilevanza delle norme che pongono diritti fondamentali.
Viceversa, la rilevanza di diritto interno può aversi anzitutto con la valorizzazione delle norme della Carta come criteri interpretativi vincolanti, nella misura in cui il diritto interno consenta inter- pretazioni diverse di dati testuali normativi in esso presenti. Ma anche negli spazi di discrezionalità che le norme interne attribuiscono ai giudici, quando dettano clausole generali, i criteri di valore ricavabi- li dalle norme sulla Carta dovrebbero essere valo- rizzati come indicazioni giuridiche vincolanti.
Solo quando tutto ciò non è possibile (e fatta salva la possibilità che in Italia ci potrebbe essere di un giudizio di costituzionalità interno della norma contrastante i diritti fondamentali), dovrebbe valere l’indicazione residuale che dà la Corte di giustizia, cioè quella del diritto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato membro.
Un secondo, e in certo senso più grave, limite all’efficacia delle norme della Carta dei diritti fon- damentali, deriva dalla giurisprudenza consolidata (basata sul già richiamato art. 51, comma 6 della Carta stessa) secondo cui “le disposizioni della Car- ta si rivolgono agli Stati membri esclusivamente qualora essi attuino il diritto dell’Unione”, sicché “i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione sono destinati ad essere ap- plicati in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non possono trovare applicazione fuori di siffatte situazioni” (così, da ultimo, la sen- tenza Xxxxxxxxx, C-483/12, del maggio 2014). A questa posizione la nostra Corte costituzionale si è uniformata con la sentenza numero 80 del marzo 2011 (concernente alcune norme procedimentali della legislazione antimafia).
Questa posizione richiederebbe un’attenta analisi interna: l’estraneità al diritto dell’Unione dev’essere intesa “per settore”, cioè per intere materie (nel qual caso rimarrebbero pochi settori totalmente estranei al diritto dell’Unione), o dev’essere intesa “per fat- tispecie”, con il risultato che le norme europee sui
diritti fondamentali non potrebbero mai incidere su norme interne che tocchino aspetti non disciplinati da una norma europea di attuazione dei diritti? Cre- do che debba essere affermata senz’altro la prima soluzione, con un risultato di grande ampliamento della portata applicativa delle norme della Carta. Ma credo anche che sia possibile un ulteriore pas- saggio interpretativo.
A mio avviso, l’art. 51, comma 6, della Carta, e la giurisprudenza consolidata che su di esso si è formata, devono intendersi soprattutto come norme delimitative della giurisdizione della Corte di Giu- stizia (nella citata sentenza Xxxxxxxx si legge, infat- ti: “ove una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Cor- te non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza”).
Ciò non significa però che, al di fuori della giu- risdizione della Corte di Giustizia, le norme sui di- ritti fondamentali divengano indifferenti, e i diritti fondamentali stessi possano essere impunemente violati dagli Stati membri.
La “comunanza di valori”, di cui all’art. 2 T.U.E., e il principio di “leale cooperazione” fra Unione e Stati membri, di cui all’art. 4 T.U.E., im- pongono agli Stati membri un dovere generale di coerenza con la Carta dei diritti che hanno sotto- scritto. Sul piano processuale, non ci potranno esse- re, nelle materie estranee al diritto dell’Unione, de- cisioni dei giudici europei e relative sanzioni. Ma il diritto interno, sostanziale e processuale, può ben fare la sua parte nel perseguire quell’obiettivo di coerenza.
3. L’apertura dell’ordinamento interno al diritto europeo.
In particolare, nell’ordinamento italiano una maggiore apertura dovrebbe ammettersi, a mio av- viso (e la nostra Corte costituzionale, su questo pro- filo, forse un po’ di coraggio in più potrebbe aver- lo).
Noi viviamo in un ordinamento in cui, in primo luogo, l’articolo 2 della Costituzione è stato inter- pretato, da lungo tempo, nel senso che esso non po- ne un elenco chiuso, cioè un numero chiuso di diritti inviolabili della persona, bensì un elenco che può essere integrato tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento.
Quale migliore occasione può venire dalla quan- tità di contenuti, di indicazioni di valore importanti, che ci vengono dalla Carta di Nizza, per considerare integrato, su tanti aspetti, questo elenco?
In secondo luogo, noi abbiamo le indicazioni che ci vengono dalla tradizione storica dell’articolo 11.
In terzo luogo (e forse soprattutto) abbiamo le indicazioni sui “vincoli del diritto comunitario e del diritto internazionale”, contenute nell’articolo 117, nuova formulazione, della nostra Costituzione che, come qualsiasi testo normativo, possono essere in- tesi in senso più o meno ampio e pregnante. Non vedo perché questi “vincoli” non debbano essere intesi in senso forte, come espressione di una scelta dell’ordinamento italiano volta ad anticipare, sul piano dell’equilibrio complessivo di interessi e di valori tutelati dall’ordinamento, una vis expansiva delle norme della Carta dei diritti fondamentali, che la Carta stessa, di per sé, non è riuscita a realizzare.
Questo ragionamento potrebbe farsi anche per altre carte dei diritti, a cui lo Stato italiano ha pre- stato adesione, come la Carta dei diritti del fanciullo e via discorrendo.
Tuttavia, la ritrosia a riconoscere un’efficacia più ampia dei diritti fondamentali nell’ambito dei rapporti interprivati comunque continua ad espri- mersi in vario modo, ed ha radici antiche2.
Su queste radici vorrei tentare di soffermarmi. Spero perciò che mi sia consentito di aprire un’ampia parentesi e di tornare molto indietro, cer- cando di ricollocare, nel quadro delle idee fonda- mentali su cui la nostra cultura giuridica si è svilup- pata, questa problematica, allargando un po’ l’orizzonte e spostandoci lontano da un terreno di limitato esame del diritto vigente.
4. Diritti, principi e clausole generali.
Credo che la prima considerazione da fare sia questa: nelle concezioni più antiche, che costitui- scono gli archetipi della nostra visione del diritto in generale, non c’era spazio per i principi, né per i di- ritti fondamentali. Nelle “civiltà del libro”, a cui noi apparteniamo, quello che noi oggi chiamiamo “di- ritto” è costituito da una serie di comandi prove- nienti da un potere comunque insindacabile (all’origine divino, ma questa è divenuta, storica- mente, una variabile secondaria). Il diritto appare dunque come un sistema di comandi, e come tali questi comandi devono essere interpretati. Abbiamo grandi tradizioni di interpretazione evolutiva della volontà dell’autorità (il diritto talmudico, per esem-
2 Nella amplissima letteratura in argomento, una trattazione ap- profondita (con conclusioni “prudenti”, ma equilibrate) può leggersi, da ultimo, in X. X’XXXXX, Principi costituzionali e clausole generali: problemi (e limiti della loro applicazione nel diritto privato (in particolare nei rapporti contrattuali), in Principi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, a cura di G. D’Xxxxx, Xxxxxxx, Milano, 2017, 49 ss. Per una impostazione più vicina a quanto si cerca di argomenta- re nel testo v, X. XXXXXXX, Il diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Persona e Mercato, 2 017, 15 ss.; e
X. XXXXXXX, Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0000 xx.
xxx), ma in questa prospettiva, ovviamente, non ci sono “principi” e non ci sono “diritti fondamentali”, ma solo comandi, di contenuto più o meno ampio.
Alle radici della nostra cultura giuridica sta, dunque, certo una concezione normativistica, ma propria di un normativismo antico, in cui la “nor- ma” si identifica con il “comando” dell’autorità.
La tradizione romanistica, a cui noi appartenia- mo, ha arricchito l’orizzonte concettuale del giurista di altre entità e di altri protagonisti, che non sono solo i comandi (che diventano “precetti” in un ordi- namento laico in cui non c’è più un potere supremo personificato, come accade invece nella Bibbia e nel Corano, ma ci sono i mores maiorum ed altre “fon- ti”, che dettano pur sempre norme di condotta).
In questo universo di norme di condotta sono stati così progressivamente introdotti altri “perso- naggi”. Storicamente i primi fra questi, che si af- fermano già nella cultura romanistica, sono i “con- cetti” giuridici, che traducono in termini ontologici insiemi di norme (p.e. essentialia, naturalia, acci- dentalia negotii, ecc.ecc.). Così un universo di nor- me di comportamento è tradotto in un insieme di entità considerate oggettivamente presenti nella realtà (le principali di esse saranno poi chiamate “istituti”), e tendenzialmente condizionanti l’intero ragionamento dei giuristi di professione.
Un altro “personaggio”, che a un certo punto della storia, diviene protagonista dei ragionamenti dei giuristi, è costituito dai “diritti soggettivi”, intesi originariamente nel senso restrittivo di diritti “titola- ti” (quindi dominio, con relativo ius excludendi; op- pure credito o pretesa) e dai “rapporti giuridici” che si costruiscono tra il titolare del diritto e il, o i titola- ri di situazioni giuridiche passive corrispondenti.
Questo è l’universo ideale in cui si sono formate generazioni di giuristi, si è formata la grande cultura giuridica europea: un universo fatto di comandi, di concetti, di diritti soggettivi titolati. Un universo che non comprende ancora le figure di cui si è pri- ma parlato, e che oggi popolano i nostri ragiona- menti e i nostri problemi, quali i principi giuridici e i diritti fondamentali.
In un universo di questo tipo, sia i principi sia i “diritti fondamentali” (concettualmente ben diffe- renti, com’è noto, dai “diritti soggettivi titolati”) so- no entità estranee.
Da qui il ragionamento sui principi giuridici che si è fatto per lungo tempo (e che oggi dovrebbe es- sere praticamente dimenticato, ma temo che conti- nui ancora a serpeggiare in molti ragionamento di sedicente carattere teorico-generale, che continuano a farsi sul tema): un ragionamento che vede(va) i principi come espressione di auspici morali o di pu- ra politica, o come meri riassunti, con valore resi- duale, di una serie di norme particolari, ma nulla più di questo.
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L’attribuzione di valore giuridico vero e proprio ai “principi” e ai “diritti fondamentali” poteva av- venire solo nella prospettiva del normativismo mo- derno, a sua volta storicamente dipendente dalla ri- voluzione statalistica del diritto.
Se mi è consentito continuare a svolgere, a volo d’uccello, questa riflessione sull’evoluzione della nostra cultura giuridica, direi che, ad un certo punto della storia, matura l’unica grande rivoluzione qua- lificabile – a mio avviso – come “copernicana”, nel- la storia del diritto occidentale, cioè quella costituita dalla costruzione politica della sovranità statale e dall’idea della statualità del diritto e del primato della legge.
In questa prospettiva, il riconoscimento del dirit- to come espressione della volontà dello Stato com- porta la rivalutazione del normativismo in generale.
Nel quadro concettuale che lo ius commune si era andato costruendo nei secoli, ed era culminato nella Pandettistica, la norma aveva perduto impor- tanza di fronte all’ “istituto” e al “rapporto giuridi- co”. La norma, in un certo momento della nostra cultura giuridica, era diventata addirittura una sorta di epifenomeno dei dati ontologici su cui veniva co- struita l’idea complessiva del diritto. La norma do- veva essere “spiegata” alla luce di una realtà onto- logica profonda del diritto e doveva essere interpre- tata alla luce della “natura giuridica” dell’istituto di riferimento.
In una concezione statalistica del diritto, si ri- propone invece come essenziale la concezione del diritto come insieme di norme, poste stavolta da questa entità che è lo Stato. Non è più un Dio lonta- no, non sono più i mores maiorum, ma comunque una autorità considerata, per qualche tempo, insin- dacabile.
Ma poi, nel corso del tempo, il potere statale viene ad essere considerato come espressione di un potere a sua volta regolato da norme e sindacabile.
Questo quadro, proprio del costituzionalismo moderno, dovrebbe essere oggi – anche se così non è sempre – il quadro ideale di riferimento di tutti i ragionamenti giuridici.
Il normativismo statalistico giuspositivista costi- tuisce la base teorica su cui si fondano la grande co- struzione a gradi e l’articolazione della teoria della norma giuridica, costruite dalla dottrina giuridica nell’ultimo secolo (Xxxxxx, ovviamente, in primo luogo).
Il normativismo giuspositivistico porta con sé un secondo mutamento di paradigmi: non solo conside- rare l’ordinamento come qualcosa che può conce- pirsi solo se collegato ad una realtà istituzionale concretamente esistente, ma anche considerare l’ordinamento come un insieme di norme aventi va- rie caratteristiche e varie posizioni gerarchiche all’interno dell’ordinamento stesso.
Nascono così, accanto alla figura della norma di condotta (obbligo/divieto comportamentale e relati- va sanzione), che aveva popolato i ragionamenti dei giuristi per secoli, e che tuttora in molti manuali è descritta come la norma giuridica tout court, le figu- re delle norme costitutive e delle norme di organiz- zazione.
La teoria della norma giuridica si popola così di altre entità, che sono norme sulla produzione di al- tre norme, o comunque di criteri di qualificazione di comportamenti umani: l’emersione di questa cate- goria di “super norme” costituisce così la premessa ideale per riconoscere anche ai principi, e alle di- sposizioni di principio, carattere di norma giuridica, anziché di meri enunciati etico-politici.
È ormai noto da tempo (per chi vuole vedere il fenomeno del diritto contemporaneo nella sua com- plessità) che gran parte del diritto è fatto di norme di organizzazione, prima ancora che di norme di condotta. Ma le norme di organizzazione sono pur sempre norme giuridiche, che non impongono o vie- tano direttamente condotte, ma disciplinano le mo- dalità di costruzione di nuove regole che qualifiche- ranno altri comportamenti, altre fattispecie che ope- reranno nei rapporti quotidiani fra soggetti presenti nell’ordinamento.
In questa prospettiva, che credo sia quella tuttora fondamentale nella nostra cultura giuridica, anche se non sempre consapevolmente considerata e vis- suta da parte dei giuristi, è chiaro che principi e clausole generali assumono un altro significato, cioè si inseriscono nella teoria complessiva dell’ordinamento non in modo conflittuale o spurio, ma anzi in modo organico.
I principi diventano piuttosto norme anch’essi: non più enunciati puramente ideali o politici, ma norme sulla produzione di altre norme; norme a contenuto assiologico, sicuramente, e a contenuto assiologico forte, ma che hanno, come fattispecie, da un lato determinati beni della vita che devono essere tutelati, dall’altro le norme di rango inferiore prodotte da autorità che possono essere le più varie, che vanno dal Parlamento fino ai soci di una asso- ciazione o di una società che adottano le norme sta- tutarie, fino al vero e proprio caso del contratto di scambio.
La concezione del principio giuridico come su- pernorma, cioè come norma di organizzazione che riguarda non i procedimenti, ma i contenuti della norma di rango inferiore che va ad essere costituita mediante tali procedimenti, può essere quella che viene spontaneamente alla mente, quando si adotta una concezione normativistica moderna dell’ordinamento giuridico.
La più attenta dottrina afferma che “è ormai co- munemente accettato che i principi generali sono norme, e che il loro principale tratto distintivo va rintracciato nell’elemento funzionale anziché in
quello quantitativo del grado di generalità”3. Non so proprio se il “comunemente” accettato debba in- tendersi nel senso di un’accettazione davvero gene- ralizzata dell’idea (credo anzi che il retaggio della vecchia concezione dei principi come aspirazioni etico-politiche e programmatiche sia ancora alquan- to diffuso). Tuttavia credo che sarebbe bene che questa concezione fosse comunemente accettata e che i principi fossero generalmente intesi come norme sulla produzione di altre norme, che traduco- no in criteri di qualificazione giuridica giudizi di valore ed esigenze di tutela di certi beni della vita, e che perciò vincolano, sul piano della validità e/o della liceità, i contenuti delle norme di rango infe- riore.
La stessa correzione di rotta dovrebbe avvenire per quelle che possiamo chiamare “clausole genera- li”, una categoria di norme rispetto alle quali, a mio avviso (con una proposta che ho avanzato in altre occasioni), si dovrebbe analiticamente precisare che si riferiscono a situazioni in cui al giudice è attribui- to un potere discrezionale di regolare conflitti fra soggetti dell’ordinamento che sono portatori di inte- ressi astrattamente meritevoli di tutela, rispetto ai quali l’ordinamento non riesce a definire il conflitto con norme generali e astratte e delega il giudice a stabilire la regola atta a risolvere il conflitto nel ca- so concreto.
Archetipo storico di questa categoria di norme è quello della disciplina dei rapporti di vicinato nella proprietà. Sulla stessa falsariga si è poi costruita la clausola generale della correttezza professionale nella concorrenza sleale, e via via altre (a comincia- re dal principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti; ma si pensi anche a tutta la materia dei di- ritti della personalità, o al bilanciamento richiesto dalla costruzione dei diritti di satira e di parodia, e via discorrendo).
Questa figura delle clausole generali, su cui tan- to si è scritto, è stata generalmente vista, nella no- stra cultura giuridica tradizionale, come un fenome- no di superamento del principio generale di statuali- tà del diritto; in altri termini, come una delega dal legislatore al giudice a regolare un conflitto secondo la propria coscienza, o traendo comunque dalla real- tà sociale, extra giuridica, i criteri di risoluzione del conflitto che si pone nel caso concreto.
In una concezione normativistica avanzata, que- sta concezione può essere però facilmente sostituita da un’altra, cioè quella per cui il giurista, nel risol- vere il problema, cioè nel realizzare il bilanciamen- to fra interessi astrattamente meritevoli di tutela de-
3 X. XXXXXXX, in Riv. ital. sc. giur., 2014, pp. 10-11, ci- tando Bobbio e Xxxxxxx. Per un convincente sviluppo della concezione normativa dei principi giuridici v. ora X. X’XXXXX, Appunti per una dogmatica dei principi, in X. X’xxxxx – X. Xxxxxxxxxxx, L’organizzazione degli ordinamenti dell’Unione europea tra princìpi e regole, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2018, 1 ss.
ve ispirarsi proprio ai “principi” che sono sanciti nell’ordinamento, e che sono sanciti dalle carte dei diritti.
L’esistenza di una clausola generale non signifi- ca che il giudice debba rifarsi al proprio sentimento, alla propria coscienza o debba trarre da elementi fattuali e sociali, distinti dalle norme giuridiche, il criterio di soluzione. In altri termini, come pure è stato più volte scritto (a cominciare da Xxxxxx) i principi devono guidare il giudice nella concretizza- zione delle clausole generali.
Una terza conseguenza di un normativismo coe- rente e moderno è il superamento di quella distin- zione tra “diritti” e “principi”, che troviamo sancita nella Carta dei diritti fondamentali.
In Xxxxxx il superamento è noto, nel senso che il diritto soggettivo diventa anch’esso un riassunto di norme che attribuiscono determinate prerogative a determinati soggetti, ma sono sempre norme giuri- diche (il diritto soggettivo diviene così un’espressione riassuntiva di norme giuridiche, concretizzabili in termini di tutela di interessi parti- colari e concreti, in determinate situazioni prefigu- rate dalla norma).
Ma, a prescindere da Xxxxxx e da quello che può dirsi per i tradizionali diritti soggettivi titolati, è an- cora più facile riconoscere le norme che pongono diritti fondamentali sono pur sempre anch’esse di- sposizioni di principio, che possono immediatamen- te tradursi, in certe situazioni concrete, nella tutela di determinati interessi presenti nella realtà. Anche questa idea può dirsi oggi, forse, “comunemente ac- cettata”: Xxxxx Xxxx ha scritto di recente4 che “i di- ritti fondamentali sono intesi come principi genera- li, di volta in volta presentati sotto forma di valori della persona” (e ciò è detto proprio descrivendo, in un quadro giusrealistico – molto diverso da quel- lo che si cerca di testimoniare in queste pagine – gli orientamenti dei giudici europei).
Alcune disposizioni di principio, tipo “la Repub- blica tutela il paesaggio” o il sopra citato art. 27 del- la Carta dei diritti U.E., che attribuisce ai lavoratori diritti di informazione o diritti di rappresentanza all’interno dell’azienda, richiedono la mediazione di norme più di dettaglio per potersi tradurre in con- crete pretese in rapporti interprivati.
Si può invece ritenere che le norme che pongono diritti siano anch’esse disposizioni di principio, che però consentono una concretizzazione più avanzata e immediata, in alcuni rapporti, rispetto alle altre disposizioni di principio che richiedono mediazioni normative più complesse, per potersi tradurre in di- ritto applicato e in concrete pretese intersoggettive.
In questa prospettiva normativistica avanzata, credo si debba condividere l’idea, presente nella giurisprudenza tedesca, per cui le disposizioni di
4 In Riv. ital. sc. giur., 2014, p. 103.
Q u a l c h e r i f l e s s i o n e s u l l ’ e f f i c a c i a i n d i r i t t o p r i v a t o d e l l e n o r m e s u i d i r i t t i f o n d a - m e n t a l i d e i T r a t t a t i e u r o p e i ( M a r i o L i b e r t i n i )
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rango costituzionale (in senso lato) che pongono di- ritti fondamentali, così come le disposizioni di prin- cipio, hanno un contenuto assiologico oggettivo da cui tutto l’ordinamento non può prescindere, in tutte le varie figure di qualificazione giuridica che si pongono all’interno dell’ordinamento stesso.
Se un certo contenuto assiologico è fatto proprio dall’ordinamento e considerato meritevole di tutela, ciò significa che esso deve essere coerentemente accolto e sviluppato in tutte le varie istanze, pubbli- che e private, spesso intrecciate tra loro, in cui si articolano i rapporti sociali.
Fermo restando poi che l’attribuzione, il ricono- scimento dei diritti fondamentali non sempre signi- fica indisponibilità di questi diritti fondamentali: esso significa piuttosto, credo, irrinunciabilità del diritto nel suo contenuto integrale e in prospettiva permanente, cioè inammissibilità di una rinuncia totale e sine die di qualsiasi diritto fondamentale. Invece, la disposizione parziale, limitata a certi tempi e a certi contesti, di molti diritti fondamentali, (non certo del diritto alla vita, ma certo di molti altri diritti), è in linea di principio ammissibile.
La coerenza complessiva dell’ordinamento non significa poi che, nella determinazione dei contenuti delle fonti di rango più basso rispetto alla legge, non ci possano essere momenti di deroghe e di bilan- ciamento dei diritti fondamentali.
In realtà, i diritti “inviolabili”, i diritti “indispo- nibili” e i diritti “fondamentali”, non sono sinonimi; e di ciò dovrebbe tenersi conto, anche ai fini dell’applicazione giurisprudenziale delle norme sul risarcimento del danno non patrimoniale.
vato, che passa per il tramite di norme a contenuto indeterminato dell’ordinamento interno.
Ma anche per quanto riguarda l’efficacia diretta in senso forte dei diritti fondamentali, una conce- zione normativistica avanzata è idonea – a mio av- viso - a favorire operazioni come quella che la giu- risprudenza italiana già settant’anni fa fece sull’articolo 36 della Costituzione. Non dico che questo debba avvenire in ogni caso. Sull’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Eu- ropea torno a dire che attribuire al giudice il potere di stabilire se ci debba essere una rappresentanza sindacale o no all’interno di un’azienda, e che carat- teristiche debba avere, mi sembrerebbe fuori dalla normalità e politicamente insostenibile.
Per ricordare un’altra sentenza della Corte di giustizia che mi viene in mente, la sentenza Xxxxxx (C-267/06) sui diritti previdenziali del vedovo rima- sto tale a seguito di matrimonio omosessuale, pro- babilmente i tempi sono invece maturi per afferma- re una possibilità di tutela diretta di questo diritto fondamentale della persona umana (e altri esempi si potrebbero fare).
Sicuramente bisognerebbe scendere in un discor- so analitico e farlo con molta prudenza, però con- clusivamente direi che, sull’efficacia che possiamo chiamare mediata (cioè, per intenderci, quella che si realizza per il tramite delle clausole generali e dell’interpretazione di norme di diritto privato a contenuto indeterminato) tutto l’insieme delle di- sposizioni di principio, comprese quelle che pongo- no i diritti fondamentali nella Carta di Nizza, può trovare larghissima ricezione nel nostro ordinamen- to.
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5. Il problema dell’efficacia diretta nella prospettiva normativistica.
Tutto questo è un problema di ricostruzione ana- litica del contenuto dei diritti fondamentali e della loro efficacia giuridica, che non toglie però che il principio dell’efficacia diretta debba trovare cittadi- nanza nel nostro ordinamento.
In realtà l’efficacia è, in senso tecnico, mediata (si può dire, in questo senso, “indiretta”), nel senso che essa può realizzarsi per il tramite dell’applicazione delle norme a contenuto indeter- minato presenti nell’ordinamento (principi fonda- mentali dettati da norme interne, clausole generali e norme a contenuto ampio, come quelle che riguar- dano l’interesse meritevole di tutela del contratto, e via discorrendo). In altri termini, mediante queste norme, il contenuto delle disposizioni di principio contenenti i diritti fondamentali può trovare tradu- zione ampia, e tendenzialmente piena, nel nostro ordinamento.
Questa è dunque un’efficacia non propriamente diretta, ma è pur sempre un’efficacia di diritto pri-
Sull’efficacia diretta in senso stretto, l’indicazione che ci viene dalla Corte di giustizia a favore di una possibilità, quando esista una norma di rango superiore sufficientemente dettagliata, di un’applicazione immediata, dovrebbe portare a va- lorizzare tutti i possibili rimedi specifici interprivati, ricavabili da norme di diritto interno, senza limitarsi al diritto al risarcimento del danno a carico dello Stato inadempiente.
6. Considerazioni conclusive.
Xxxxxx chiudere con poche battute sul tema più generale, sfiorato in precedenza. Credo che oggi un problema centrale della nostra cultura giuridica sia la crisi del normativismo.
Ho cercato di costruire il ragionamento, sopra sommariamente svolto, leggendo la storia della cul- tura giuridica europea nell’ultimo secolo come la ripresa, in un quadro politico valutativo ben diverso da quello dei diritti premoderni, di una concezione normativistica del diritto, e considerando la conce- zione normativistica del diritto uno strumento po-
tente per realizzare un’evoluzione dei contenuti e un rafforzamento della tutela di valori fondamentali.
Naturalmente questo significa anche accettare una concezione a gradi dell’ordinamento, e significa accettare una concezione della norma giuridica co- me “periodo ipotetico” e non come mero comando.
Oggi, tuttavia, questa concezione è in crisi, a fa- vore di un’altra concezione che possiamo chiamare decisionistica (o giusrealistica, in senso lato, anche se pochi giuristi, in Italia, si professano apertamente giusrealisti). È una concezione che possiamo anche definire “post-moderna” (come la chiama Xxxxxxx Xxxxx, che ha mostrato una certa simpatia, in un re- cente scritto, verso di essa).
È un atteggiamento diffuso, che ha influenzato anche il recente contributo di Xxxxxxxx Xxxx, che parla di crisi della fattispecie (come dato storico, non co- me programma o auspicio dell’autore); un saggio brillante, e che dà da pensare, come tutti i saggi di Xxxxxxxx Xxxx, ma che io leggerei non nel senso che oggi sia in crisi la fattispecie come categoria concet- tuale – perché, sul piano della teoria generale for- male, la fattispecie non può essere in crisi, se conti- nuiamo a concepire la norma giuridica come perio- do ipotetico - ma nel senso che oggi sia in crisi pro- prio il normativismo come teoria generale del dirit- to.
zioni di principio e, con esse, ai diritti fondamentali; nonché sulla gerarchia e sul bilanciamento fra prin- cipi). Tutto ciò come premessa per l’utilizzazione razionalmente controllabile degli stessi nell’interpretazione e applicazione delle norme di rango inferiore.
Ciò si può fare senza abbandonare quell’impostazione normativistica che, ai fini di un controllo razionale e di una confrontabilità delle de- cisioni, costituisce tuttora – a mio avviso – una frontiera di civiltà, alla quale credo che non do- vremmo rinunciare.
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Oggi il dilagare, che Xxxx vede con preoccupazio- ne, di valori e principi nel ragionamento dei giuristi, può portare a una esaltazione del decisionismo, co- me sicuramente è nelle possibilità reali (che Xxxx non vede certo adesivamente, anche se non si esprime a fondo, purtroppo, nel pensare una pars construens). Decisionismo che, in una versione estrema, può portare all’affermazione di un modello di giustizia del caso concreto, ma può anche sfociare in una vi- sione del diritto in cui l’impostazione normativa non è del tutto abbandonata, ma è incentrata sull’uso giurisprudenziale, anziché sul primato della legge5.
Personalmente ritengo, invece, che l’affermazione di valori e principi nei ragionamenti dei giuristi possa costituire anche la base per un percorso diverso, di razionalizzazione del diritto contemporaneo sul piano di un normativismo avan- zato, che continua a riconoscere il primato della legge, ma inquadra la fonte legislativa, e la sua in- terpretazione, nella rete di principi ricavabili dal si- stema costituzionale multi-livello.
In questo quadro, diviene componente essenziale del metodo giuridico una discussione razionale sui principi (i.e. sul contenuto da attribuire alle disposi-
5 La critica a questa prospettiva è ora sviluppata in X. XXXXXXXXX, Xxxxxx a proposito di principi e clausole generali, a partire dall’esperienza del diritto commerciale, in Giurispru- denza e autorità indipendenti nell’epoca del diritto liquido – Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Foro it. – La Tribuna, Ro- ma, 2018, 495 ss.
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LA CORTE DI GIUSTIZIA TRA SCELTE DI MERCATO E INTERESSI PROTETTI
Di Xxxxxxxxx Xxxxxxx
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SOMMARIO: 1. La Corte di Giustizia tra obiettivi di efficienza economica e tutela dei diritti: il ri- schio della “incalcolabilità”. – 2. La natura ibrida della Corte di Giustizia. Funzione giurisdi- zionale e innovazione del diritto nelle sentenze rese in via pregiudiziale. – 3. La genesi funziona- le dell’UE e il ruolo additivo della Corte di Giustizia. – 4. L’attività della Corte di Giustizia e l’interesse alla stabilità finanziaria dell’Unione. – 5. La Corte di Giustizia e la tutela del mercato comune a partire da Dassonville. - 6. Segue. La tutela della stabilità finanziaria in materia ban- caria: Pringle e OMT. – 7. Interessi delle parti in causa e interessi legati all’economia: i casi Xxxxxxx, Xxxxxx. – 8. La casistica in materia di migranti. I casi Viking e Laval e il principio di proporzionalità. – 9. La Corte di Giustizia “creatrice” del diritto e l’invasione di campo in mate- rie riservate. Principio di effettività e diritto processuale dei consumatori. – 10. Principio di ef- fettività e diritto all’informazione e alla trasparenza. Ancora sul ruolo suppletivo della Corte. –
11. – Conclusioni.
ABSTRACT. Muovendo dalle suggestioni del filosofo Xxxxxx Xxxxxxx, lo scritto muove dall’assunto che le decisioni dei Giudici hanno ormai acquisito un ruolo dominante nel fissare principi e regole comuni che orientano i mercati. Le sentenze della CGUE non sono escluse da questa logica. Tut- tavia, ciò che emerge è un’irrisolta tensione tra l’esigenza di perseguire obiettivi di efficienza eco- nomica comuni e quella di salvaguardare singole posizioni di diritto.
Starting from the suggestions of the philosopher Xxxxxx Xxxxxxx, the paper moves from the as- xxxxxxxx that markets are guided by the decisions of the Judges, which have a dominant role in es- tablishing common principles and rules. The judgments of the CJEU are not excluded from this logic. However, an unresolved tension between the need to pursue common economic efficiency objectives and safeguarding individual legal positions emerges.
1. La Corte di Giustizia tra obiettivi di effi- cienza economica e tutela dei diritti: il ri- schio della “incalcolabilità”.
Il filosofo Xxxxxx Xxxxxxx nel saggio su Three Globalizations of Law and Legal Thought distingue il pensiero giuridico sulla globalizzazione della leg- ge in tre fasi a partire dal 1850 ad oggi.
La prima fase la identifica nel pensiero legale classico (fino al 1914) in cui il rapporto pubblico- privato viene spiegato alla luce del sistema di diritto positivo e in relazione al mercato libero, con un ruo- lo forte esercitato dalla dottrina che si traduce, ad esempio, nel fenomeno delle codificazioni europee. La seconda fase, che lo studioso fa durare fino al 1968, è caratterizzata dall’attenzione ai diritti socia- li: lo sforzo è ripensare la legge come meccanismo regolatorio volto a cercare alternative alla logica del mercato e, in questa prospettiva, assume rilievo cen- trale la figura del legislatore. Infine, vi è la fase del- la globalizzazione che arriva, secondo Xxxxxxx, ai giorni nostri, in cui le norme cercano di operare al meglio il bilanciamento degli interessi in conflitto, in un modo che viene definito dallo stesso filosofo in termini di “neoformalismo” ma che, pragmatica- mente, si traduce in una regolazione del mercato improntata al principio dell’efficienza economica e, soprattutto, della supremazia del giudice su tutti gli altri poteri1.
Ci viene così autorevolmente dimostrato come attualmente i giudici siano, in primo luogo, giudici dell’economia, esercitando un ruolo essenziale nella regolazione dei mercati.
Si assiste, poi, a un processo circolare che viene a connotare l’attuale sistema giuridico in cui lo schema gerarchico delle fonti è stato sostituito da un sistema “a rete”, in cui norme e principi provenienti da fonti diverse assumono, in sostanza, medesima valenza normativa, collocandosi sullo stesso livel- lo2.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea non si sottrae a questo schema e ha ormai acquisito un ruo- lo dominante nel fissare principi e regole comuni
1 X. XXXXXXX, Three Globalizations of Law and Legal Thoughts: 1850-2000, in The New Law and Economic Devel- opment: A Critical Appraisal, a cura di X. Xxxxxx, X, Xxxxxx, Cambridge University Press, 2006.
2 P. XXXXXX, Il giudice civile. Un interprete, in Riv. dir. proc. civ., 2016, p. 1144, afferma che il pluralismo delle fonti impli- ca: “due conseguenze inevitabili: inadeguatezza della legge e perdita della sua autorità. Implica altresì l’esigenza urgente di supplenze; alla quale – come abbiam già detto – corrisponde un ruolo tutto nuovo per il giurista e, specialmente, per il giudice. Un ruolo – tutto nuovo rispetto alla modernità post- illuministica, ma con sonore ascendenze nella civiltà classica e medievale e con forti corrispondenze con il mondo del common law – che potremmo definire correttamente di invenzione del giuridico”.
che orientano i mercati3. La sinergia con legislatore europeo, CEDU e giudici domestici è evidente; tut- tavia, l’impressione che si trae dall’analisi della giu- risprudenza della Corte europea non è sempre di massima coerenza tra risultati raggiunti e scelte in- terpretative.
Il bilanciamento dei diritti e delle libertà fonda- mentali sconta, infatti, da sempre, nell’interpretazione della Corte di Giustizia, la fun- zionalizzazione degli istituti e delle categorie giuri- diche agli obiettivi dell’Unione volti, originaria- mente, alla realizzazione di un mercato unico4. Ciò che emerge, in particolare, è un’irrisolta tensione tra l’esigenza di perseguire obiettivi di efficienza eco- nomica comuni e quella di salvaguardare singole posizioni di diritto.
Se, in qualche misura, può ritenersi fisiologico un margine di incertezza nel bilanciamento tra le esigenze di tutela dei diritti fondamentali relativi alla persona e gli interessi del mercato come obiet- tivi di integrazione economica5, non sempre è chia- ro quale sia il criterio con cui oggi il giudice euro- peo effettui tale scelta nel caso concreto.
La Corte di Giustizia, che ha da sempre operato e “perseguito una strategia quantomeno di equipara- zione (quando non di subordinazione) sul piano as- siologico dei diritti fondamentali rispetto alle esi- genze del mercato comune”, in alcune più recenti pronunce sembra, in virtù del dialogo tra Corti eu- ropee, almeno sul piano dei principi dichiarati, “di- sposta a percorrere anche il cammino inverso rispet- to a quanto sopra, ammettendo la possibilità di limi-
3 P. GROSSI, Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, p. 18; X. XXXXXXX, Ritorno al diritto (Dialogo con Xxxxx Xxxxxx), in Riv. dir. civ., 2017, p. 124, il quale afferma che: “l’aspetto forse più saliente e caratteristico del diritto europeo è che esso, grazie all’intensa operosità della Corte di Giustizia, si è venuto sempre più conformando come diritto essenzialmente e prevalentemen- te giurisprudenziale, avente origine casistica, a volte tratto an- che dalle tradizioni comuni agli Stati membri, così atteggiando- si a diritto che rinviene radici e legittima vis regolativa imme- diatamente nel concreto e specifico caso della vita e come tale direttamente nell’esperienza e nella prassi”.
4 Il rapporto tra libertà fondamentali e diritti fondamentali è oggetto di studi numerosi e rilevanti. Sulla natura delle libertà fondamentali nella UE, si veda tra gli altri, F. XX XXXXX, Fun- damental Freedoms, Fundamental Rights and the Scope of Free Movement Law, in German Law Journal, 2014, p. 384 ss. Al- trettanto studiato è il tema del bilanciamento degli interessi tra esigenze del mercato e tutela della persona. La letteratura è am- plissima. Tra le pubblicazioni più recenti in Italia si veda: X. XXXXXXXXXX, Libertà fondamentali dell’UE e rapporti tra pri- vati: il bilanciamento di interessi e i rimedi civilistici, in Riv. dir. civ, 2015, p. 879 ss.; X. XXXXXXX, Il diritto privato e le liber- tà fondamentali dell’Unione Europea (principi e problemi della drittwirkung nel mercato unico), in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000 xx.
0 Quasi naturale conseguenza della crescente rilevanza che ha assunto la Corte nel sistema del diritto europeo che non le con- sente più di essere un giudice solo dell’economia. In generale, vedi X. XXXXXXX, Alcune riflessioni sul ruolo della Corte di giustizia nell’evoluzione dell’Unione europea, in Dir. Un. eur., 2013, p. 484.
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tare “le libertà fondamentali” al fine di tutelare “di- ritti fondamentali «come riconosciuti dalle Corti Costituzionali o dalla Cedu»”6.
Ma, al di là delle affermazioni di principio, sono poi ancora, spesso, i diritti fondamentali a cedere il passo all’efficienza economica dell’Unione. Come è stato rilevato, la giurisprudenza europea, “anziché orientare il diritto dell’Unione all’obiettivo di una conformità con i diritti fondamentali, tende invece a restringere – attraverso un sindacato sulle ragioni scriminanti e attraverso il principio di proporziona- lità – il potere giustificativo dei diritti sociali”7.
Tra principi declamatori ispirati, nel tempo, più di prima alla tutela di diritti fondamentali della per- sona, e regole dell’Unione interpretate dalla Corte di Giustizia alla luce del parametro dell’efficienza economica del mercato – vero obiettivo dell’Unione8 – si crea, dunque, una tensione che viene, di volta in volta, sciolta dalla Corte attraverso il bilanciamento degli interessi nel caso concreto.
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Il riflesso, non solo teorico, di questa complessi- tà è, oltre al tema della coerenza nell’armonizzazione, quello della “calcolabilità giu- ridica”9 che, almeno come prevedibilità delle deci- sioni, costituisce ormai un obiettivo ineludibile cui deve tendere la giurisprudenza, specie se di grado superiore10.
Si è detto, infatti, che occorre una “giurispruden- za precorritrice”, capace di fornire sulle questioni
6 X. XXXX, La «lotta per i diritti fondamentali» in Europa. Inte- grazione europea, diritti fondamentali e ragionamento giuridi- co, in Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, a cura di I. Xxxxxxxx e F. Viola, Bologna, 2007, p. 109 ss.; X. XXXXXXX, La protezione dei diritti fondamentali nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona: un quadro d’insieme, in Dir. Un. eur, 2009, p. 645.
7 X. XXXXXXXXXX, Libertà fondamentali dell’UE e rapporti tra privati: il bilanciamento di interessi e i rimedi civilistici, op. cit., p. 897.
8 F. BRAVO, Sul bilanciamento proporzionale dei diritti e delle libertà fondamentali tra mercato e persona: nuovi assetti nell’ordinamento europeo, in Contratto e Impresa, 2018, p. 206.
9 X. XXXX, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Calco- labilità giuridica, a cura di X. Xxxxxx, Bologna, 2017, p. 22, afferma che la fiducia nella legge è attesa di rigorosa applica- zione, di stabilità nel tempo, di continuità interpretativa. Soltan- to ciò che dura merita affidamento. Si veda anche: ID., La crisi della fattispecie, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, x. 00; ID., Calcolabili- tà weberiana e crisi della fattispecie, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 0,
x. 000; ID., Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ, 2015, I, 1,
p. 13: un diritto che non sa andare oltre l’irrazionalità del caso singolo, rimane non calcolabile; ID., Un contratto «incalcolabi- le», in Xxx. xxxx. xxx. xxxx. xxx., 0000, 0, x. 00; ID., Capitalismo e calcolabilità giuridica (letture e riflessioni), in Riv. soc., 2015, 5, p. 801. Molti di questi scritti sono ora in ID., Un diritto incalcolabile, Torino, 2016.
10 Osserva X. XXXXXXX, La giurisprudenza tra casistica e uni- formità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, p. 39 che: “viene così esaltata la posizione verticistica di tali organi, in quanto si pre- vede che essi possano imporre – in un modo o nell’altro – le proprie scelte interpretative ed applicative a tutti i giudici collo- cati nel grado inferiore della piramide”.
più importanti un orientamento certo e prevedibi- le11, evitando che la decisione discrezionale e crea- tiva si traduca in una scelta soggettiva e arbitraria12. Distinguendo tre diversi corni del problema enunciato, si può rilevare come: (i) sia opinione già sostenuta in termini generali che la progressiva giu- risdizionalizzazione abbia determinato un cambia- mento del tradizionale riparto di competenze tra le- gislazione e giurisdizione, ampliando la sfera di di- screzionalità del giudice chiamato a partecipare di- rettamente alla creazione della regola del caso con- creto13, con la conseguenza di introdurre elementi di incertezza che possono indebolire in modo signifi- cativo la prevedibilità e controllabilità delle deci- sioni14; (ii) tale margine di incertezza è inevitabil- mente maggiore quando il giudice è chiamato, come accade alla Corte di Giustizia, a dovere bilanciare interessi dell’Unione e interessi (a volte anche diritti fondamentali) dei singoli, non necessariamente alli- neati, tanto più che l’Unione non è “ordinamento” in senso tradizionale; (iii) se è naturale che il giudi- ce europeo tenga conto dell’impatto economico del- le decisioni nell’assumerle, occorre chiedersi fino a che punto la valutazione delle conseguenze econo- miche della sentenza sull’andamento del mercato comune possa condizionare l’interpretazione della legge. Quest’ultimo aspetto, relativo al condiziona- mento che può avere l’impatto economico delle de- cisioni sulle scelte interpretative del giudice, assu- me rilievo centrale nell’analisi che si intende con- durre volta a capire se, in questo modo, non si corra il rischio di procedere extra legem, preordinando logicamente l’obiettivo di politica del diritto
all’interpretazione del dato positivo.
L’incertezza sull’esito dei giudizi va in qualche modo scongiurata, sia perché si traduce in ineffi- cienze del sistema giurisdizionale europeo e, per l’effetto, in un indebolimento del sistema delle tute- le anche interne; il che, in un’analisi costi-benefici, rappresenta certamente un costo che deve essere te- nuto sotto controllo; sia perché introduce un pro- blema di giustizia distributiva.
Queste premesse rendono preferibile svolgere un’analisi della questione che tenga conto, in chiave interdisciplinare, degli aspetti pubblicistici e privati- stici del problema. La circolarità dei processi rego- latori e decisionali è caratterizzata, come si è detto,
11 X. XXXXXXX, voce Effettività delle tutele (Diritto civile), in
Enc. Dir., 2017, p. 405.
12 Xxxxxx, X. XXXXXXX, Legalità e giustificazione della crea- zione giudiziaria del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 15.
13 Nel senso di questo cambiamento sono, ad esempio, X. XXXXXXXXXX, La trasformazione costituzionale, in Riv. trim. dir. pubb., 2014, 2, p. 295 e X. XXXXXXX, La giurisprudenza fonte del diritto privato?, in Riv. trim. dir. priv., 2017, p. 869.
14 X. XXXXX, Il problema della prevedibilità delle decisioni: calcolo giuridico secondo i precedenti, in Calcolabilità giuridi- ca, a cura di X. Xxxxxx, Bologna, 2017, p. 137.
dal dialogo costante tra le Corti, europee e naziona- li, e da un sistema delle fonti variegato, in cui la commistione tra pubblico e privato diventa tale da configurare un sistema di vasi comunicanti e la so- luzione dipende dal grado di inclinazione che si sceglie.
2. La natura ibrida della Corte di Giustizia. Funzione giurisdizionale e innovazione del diritto nelle sentenze rese in via pre- giudiziale.
La Corte è, per sua natura, ibrida. E’ un organo giurisdizionale che si distacca dalla logica del “giu- dice e le leggi” e si muove in una dimensione più vicina al giudice di Common Law, connotata da una discrezionalità tale nelle scelte su come dare conte- nuto al diritto dell’UE che, quando interpreta, inno- va a tal punto il diritto da crearlo15, stabilendo, con- testualmente, di volta in volta, quale è il bene dell’UE e piegando ad esso i diritti nazionali.
Un esempio di questo modo di procedere è insito nella tecnica delle sentenze rese dalla Corte in via pregiudiziale, spesso direttamente applicabili e, dunque parametro di legittimità delle norme nazio- nali, anche successive, che a queste devono con- formarsi16. Infatti, “[l]a normativa comunitaria entra e permane in vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato; e ciò tutte le volte che essa soddisfa il requisito dell'immediata applicabilità. Questo prin- cipio, (…) vale non soltanto per la disciplina pro- dotta dagli organi della C.E.E. mediante regolamen- to, ma anche per le statuizioni risultanti, come nella specie, dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia”17. Analogamente, la nostra Corte Costitu- zionale già da un trentennio afferma che: “poiché ai sensi dell'art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell'inter-
diritto comunitario, nel senso che la Corte di xxxxxx- xxx, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le pro- prie sentenze e, per tal via, ne determina, in defini- tiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità ap- plicative. Quando questo principio viene riferito a una norma comunitaria avente “effetti diretti” – vale a dire a una norma dalla quale i soggetti operanti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri possono trarre situazioni giuridiche direttamente tu- telabili in giudizio – non v'è dubbio che la precisa- zione o l'integrazione del significato normativo compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di giustizia abbiano la stessa immediata effi- cacia delle disposizioni interpretate”18.
L’importanza che assumono ai fini dell’armonizzazione del diritto dell’UE le sentenze rese in via pregiudiziale è talmente nota da rendere superflua ogni considerazione ulteriore, ma il “mo- nopolio interpretativo” dei Trattati e degli atti nor- mativi dell’Unione rende ancora più evidente la ne- cessità che la Corte di Giustizia – che vincola il giudice nazionale nell’interpretazione della legge – garantisca in qualche misura certezza del diritto.
Ciò, a maggior ragione, in quanto la Corte di Giustizia occupa, fisiologicamente, il posto del legi- slatore con riguardo ai non irrilevanti vuoti norma- tivi dell’Unione19.
È in questo humus che nascono le sentenze- norme che assumono, però, un significato diverso e specifico rispetto alla prassi, derivata, negli Stati membri, poiché nell’Unione queste sono strumento necessario di completamento. La diversità si coglie sul piano ontologico, poiché per definizione e per vocazione le sentenze sono dirette a colmare i vuoti normativi con una logica da leading precendent20.
Il punto su cui occorre interrogarsi, rispetto a questo dato, pur fisiologico, è però se, soprattutto per le pronunce rese in via pregiudiziale, non sia più solo la validità o l’applicazione delle norme
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pretazione e nell'applicazione del medesimo Tratta-
to, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha in- dubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del
15 Secondo X. XXXXXXXXXX, Diritto civile europeo, in X. XXXXXXXXXX, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, p. 235, “Il risultato che ne emerge è l’irriducibilità del diritto europeo nel suo complesso all’alternativa tra diritto scritto e diritto giu- diziale … Diversamente dalla giurisdizione di common law, alla quale non è consentito pronunciare contro la legge scritta ma che può creare la rule of law andando oltre, essa può dun- que svolgere la pur del tutto riconoscibile creatività di cui an- diamo dicendo entro i territori occupati da quel diritto positi- vo”.
16 L’art. 267 TFUE, attribuendo alla Corte di Giustizia il mono- polio interpretativo dei Trattati e degli atti normativi dell’UE, instaura una giurisdizione di ordine superiore rispetto a quella di ultima istanza degli Stati membri. Così, X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 277.
17 Corte Cost., sentenza BECA, 23 aprile 1985, n. 113, par. 5.
18 Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 389. Così, anche, in modo co- stante la Corte di Cassazione. Ex multis: Cass., 15 marzo 2002,
n. 384; Cass., 12 marzo 2005, n. 4466; Cass., 1° settembre 2011, n. 17966; Cass., 11 dicembre 2012, n. 22577.
19 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 231, osserva che la carenza di contenuti della legislazione europea, cioè la sua strutturale in- completezza, avrebbe dovuto avere come implicazione necessa- ria il ricorso ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri (…). Tutt’al contrario la corte europea preferisce il criterio dell’interpretazione autonoma, talora dichiarandolo espressamente talora ricorrendo all’altro principio pure ad essa caro, quello di effettività (…).
20 Afferma ancora X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 230, che: “Nella situazione attuale, in parallelo alla estrema atipicità di quello che possiamo chiamare potere legislativo, è diventato sempre più evidente il carattere di precedente che in primo luogo la Corte ha attribuito alle proprie decisioni, osservate con altret- tanta puntigliosità dai giudici nazionali, onde si può dire che a una disciplina europea paralegislativa si è associata una funzio- ne ipergiurisdizionale di vera e propria integrazione della pri- ma”.
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dell’Unione ad essere considerata dalla Corte. O meglio, occorre valutare quale sia l’interesse protet- to che, mediante questi strumenti di tutela, la Corte fa prevalere21.
3. La genesi funzionale dell’UE e il ruolo additivo della Corte di Giustizia.
Il giudice europeo svolge un ruolo, da un lato, normativo quando attraverso l’interpretazione inte- gra gli atti legislativi e, dall’altro lato, esecutivo, quando guida i giudici nazionali nell’interpretare la compatibilità del diritto interno con quello europeo.
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In questa peculiarità si coglie, in modo evidente, la distanza che corre tra l’attività svolta dalla Corte di Giustizia e la normale funzione giurisdizionale esercitata dai giudici, e la si comprende solo in con- siderazione del fatto che con l’Unione Europea non si è in presenza di un “ordinamento statale” in senso proprio.
L’Unione, infatti, nasce come organizzazione in- ternazionale, originariamente unione doganale, fon- data sulle quattro libertà di circolazione della Co- munità economica europea (persone, merci, servizi, capitali) realizzate, non tutte e non in modo pieno, nel corso degli anni. Le norme istituzionali delle Comunità erano perciò, inizialmente, solo strumen- tali alle libertà dei mercati; successivamente, sono diventate architettura autonoma e fondamento di un’Unione politica, ma con una configurazione “atipica” rispetto a qualsiasi altra organizzazione internazionale o federazione di stati.
Il sistema dell’UE si è sviluppato, dunque, per definizione, a macchia di leopardo, in modo asiste- matico in ragione delle necessità – la genesi “fun- zionale” e non “federale” dell’Unione è uno dei peccati originali – ed è fondato sulla condivisione dei poteri legislativo ed esecutivo, impermeabile al- la gerarchia delle norme22 e, dunque, ai criteri inter- pretativi classici degli ordinamenti continentali che appaiono, peraltro, gli unici rilevanti oggi, post Brexit.
Va poi ricordato, ed è un elemento che aggiunge complessità all’analisi, che la legislazione
21 Ciò, consapevoli anche del fatto che nel tempo il diritto dell’Unione ha informato anche i diritti individuali, prima affi- dati agli ordinamenti nazionali e a quello, parallelo, della CEDU, e ora terreno comune. Ma mentre la CEDU si muove orientata dalla necessaria prevalenza della tutela della persona, la Corte di Giustizia – come si è detto – non abdica al ruolo di giudice dell’economia, ma neppure rinuncia ad affermare la centralità dei diritti fondamentali, con le conseguenze sopra evidenziate. Come effetto di questo concorso di giurisdizioni diverse, le tutele hanno inevitabilmente iniziato a divergere.
22 X. XXXXX, Multilevel Europe and Private Law, in Making European Private Law: Governance design, a cura di F. Cafag- gi, X. Xxxx-Xxxx, Cheltenham (UK)-Northampton (Ma), 2008,
p. 39 ss.
dell’Unione Europea continua ad evolvere, non solo quanto ai contenuti – in ragione del trasferimento delle competenze da parte degli Stati, a seguito del- le riforme dei Trattati – ma anche quanto alla forma e alle modalità, in considerazione del diverso grado di armonizzazione che il legislatore europeo vuole o può raggiungere, nel patchwork delle competenze derivanti dai cerchi asimmetrici dell’Unione a varie velocità, in cui norme e regole applicative valgono a volte per tutti gli Stati membri, altre solo per alcuni (basti pensare alla moneta o alla libertà di circola- zione). Il grado di armonizzazione è – grossolana- mente – inversamente proporzionale alla discrezio- nalità della Corte di Giustizia chiamata a giudicarne l’applicazione23.
Come è stato affermato, “il quadro che si com- pone non è, dunque, suscettibile d’essere rappresen- tato in un’immagine statica, in un disegno geome- trico, ma l’interazione tra regole si pone all’esito del percorso ermeneutico e si ridefinisce costantemente
– come in un ideale caleidoscopio – per effetto del concorso tra fonti, amministrato e conteso tra il ruo- lo additivo della Corte Europea di giustizia e la competenza decentrata delle corti nazionali, che operano quali giudici “delegati” nell’attuazione del diritto europeo”24.
In questo scenario, il giudice europeo ha assunto un ruolo multifunzionale, di ponte tra le isole del diritto derivato da quello internazionale, di enzima, tra gli ordinamenti nazionali in una contaminazione reciproca tra diritti nazionali ed europeo.
4. L’attività della Corte di Giustizia e l’interesse alla stabilità finanziaria dell’Unione.
Xxxxxx Xxxxxxx osserva che la Corte europea di Giustizia è neoformalista nella sua interpretazio- ne delle libertà fondamentali dell’Unione per na- scondere il suo potere legislativo sotto il mantello della necessità legale25. In effetti, già da quanto si è
23 Altre variabili dipendono anche dal fatto che le norme di primo livello abbiano carattere legislativo e, dunque, dal ruolo del Parlamento Europeo; talvolta le norme anche di primo livel- lo non sono espressione del Parlamento: si pensi agli atti della BCE, la cui indipendenza presuppone l’esclusività del processo decisionale. Rilievo assume, peraltro, anche il ricorso all’approccio intergovernativo – alternativo al “metodo comuni- tario” e la cui applicazione sfugge alla competenza della Corte di Giustizia – tipico dei momenti di crisi e assorbito al supera- mento di questi. Si veda, da ultimo, la disciplina sul fiscal com- pact, adottata con un trattato internazionale che ora una recente proposta di direttiva della Commissione sta “comunitarizzando” (Proposta di Direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni per rafforzare la responsabilità di bilancio e l'orientamento di bilancio a medio termine negli Stati membri del 6.12.2017, COM (2017) 824 final).
24 X. XXXXXXX, op. cit., p. 714.
25 X. XXXXXXX, op. cit., p. 69.
fin qui detto, si evince che la Corte di Giustizia ha assunto un ruolo così forte da renderla alla stregua di un legislatore aggiunto e forse davvero autono- mo. Di recente, vi è anche chi ha autorevolmente affermato che la Corte di Giustizia è diventata una spada ben più lunga del braccio positivo che la sor- regge, tramutando la sua natura originaria di ius di- cere, in quella di super legislatore26, quarto pilastro, insieme a Commissione, Parlamento e Consiglio della costruzione normativa dell’Unione27.
Per verificare se la discrezionalità è esercitata in modo (tecnico) consono allo spazio che può essere riservato a un giudice28, per quanto esso sia natu- ralmente formante forte del diritto, occorre guardare in concreto all’attività della Corte e ai riflessi sul diritto dell’economia dell’Unione.
Secondo l’insegnamento tradizionale, la Corte esercita il potere giurisdizionale svolgendo, al con- tempo, quando necessario: (i) un ruolo normativo (innova) quando interpreta il diritto applicando, ma anche integrando, gli atti legislativi ed esecutivi; (ii) un ruolo evolutivo, quando interpreta il diritto dell’UE lasciando, poi, ai giudici nazionali il com- pito di valutare la compatibilità del diritto interno con il diritto dell’UE; (iii) un ruolo di giudice di ap- pello rispetto al tribunale di primo grado: è questa, ai nostri occhi, la funzione più strettamente giuri- sdizionale, dal momento che decide sul rapporto, incidendo sui diritti individuali delle persone.
Appare, perciò, utile svolgere un esame – seppu- re limitato solo ad alcune decisioni – della giuri- sprudenza dell’Unione, per vedere fino a che punto la Corte di Giustizia talvolta capovolga la tecnica di interpretazione, facendosi condurre soprattutto da argomenti di carattere legal-economico relativi alle conseguenze, ordinati secondo il principio dell’efficienza29.
5. La Corte di Giustizia e la tutela del mer- cato comune a partire da Dassonville.
Come giudice dell’integrazione delle lacune normative la Corte ha svolto un’attività molto signi- ficativa. Si possono distinguere, anche in ordine di
26 X. XXXXXXXXXX, Eclissi del diritto civile, op. cit., pp. 227- 228.
27 Questo dato, peraltro, va inserito in un’evoluzione che ha spostato l’asse del balancing of powers, della condivisione del potere legislativo a favore del Parlamento europeo – il quale in origine veniva solo consultato mentre ora co-decide con il Con- siglio – con la conseguenza di una maggiore attenzione alle tu- tele nei mercati, su cui la Corte è stata poi chiamata ad espri- mersi.
28 X. XXXXXXX, Legalità e giustificazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 15: in altri termini, si tratta di stabilire il confine tra decisione discrezionale e decisione arbitraria.
29 Sul tema v. X. XXXXXX, Tra Europa e diritto privato: la que- stione del bilanciamento secondo il diritto civile comparato, in Eur. dir. priv., 2018, p. 159 ss.; p. 181.
tempo, diversi filoni di sentenze, il cui tratto comu- ne è rappresentato dalla realizzazione di chiari obiettivi di politica economica30.
Il “cuore” della Comunità Economica Europea, alla nascita, erano – come si è detto – le quattro li- bertà fondamentali di circolazione di merci, perso- ne, servizi e capitali31; secondo i Trattati, esse avrebbero dovuto realizzarsi al termine di un perio- do transitorio di dodici anni e dunque, nel 1968. La Corte, negli anni ’70, preso atto della mancata rea- lizzazione degli obiettivi (il percorso non era di fat- to neanche avviato), ha utilizzato principi espressi dai Trattati per supplire alla mancata armonizzazio- ne delle legislazioni nazionali (i.e. il principio del mutuo riconoscimento) – e, quando anche questi mancavano, non ha annullato atti delle istituzioni europee fondati su poteri impliciti (perché adottati in assenza di espressa attribuzione nei Trattati) – per promuovere, da un lato, misure compensative e, dall’altro lato, misure di stimolo verso un mercato unico.
Così, per le merci vi è stato il “mutuo ricono- scimento” che da Dassonville32 a Cassis de Dijon33 ha abbattuto le frontiere fino a costringere gli Stati più ostinati, negli anni ’80, al paradosso delle “di- scriminazioni a rovescio”34, poiché l’applicazione in via giudiziale del mutuo riconoscimento finiva per pregiudicare l’attività delle imprese nazionali, che
30 Si veda X. XXXXXXX, op. cit., p. 505 ss.
31 Sul punto X. XXXXXXX, op. cit., p. 732.
32 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 luglio 1974, causa X-0/00, Xxxxxxxxx xx Xxx x. Xxxxxx xxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx, 0000, Racc. I-837.
33 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 febbraio 1979, causa X-000/00, Xxxx Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung Fuer Branntwein, 1979, Racc. I-649.
34 Una delle finalità ultime dell’integrazione europea è rappre- sentata dalla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giu- stizia, nel quale è assicurata la libera circolazione delle persone e sono vietate le discriminazioni. Il riconoscimento dei diritti di mobilità ai cittadini che si spostano sul mercato comune può produrre situazioni di svantaggio per coloro che operano, inve- ce, nell’ambito di un singolo Stato membro. Le disposizioni nazionali che quei diritti comprimono non sono infatti applica- bili agli operatori comunitari, mentre conservano la loro portata restrittiva nei confronti delle situazioni interne. Nell’esperienza comunitaria, tale fenomeno prende il nome di discriminazioni alla rovescia. La rimozione di queste situazioni passa attraverso un’applicazione mirata del principio generale di eguaglianza, accompagnata da un’opportuna collaborazione tra Corte di giu- stizia e giudici nazionali. Così chiarisce il concetto, X. XXXXXXXXX, Le discriminazioni alla rovescia nel diritto dell’Unione Europea, Roma, 2010. Sul tema, per tutti, X. XXXXXXXXXX, Esercizio di competenze comunitarie e discrimi- nazioni “a rovescio”, in Dir. un. Eu., 1996, p. 351 ss. In giuri- sprudenza, Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 ottobre 1982, cause riunite X- 00/00 x X-00/00, Xxxxxx x Xxxxxxx (xx Racc., p. 3723); Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 gennaio 1985, causa C-229/83, Xxxxxxx (in Racc., p. 1); Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 ottobre 1986, causa X- 000/00, Xxxxxx (xx Xxxx., p. 3231); Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 luglio 1988, causa C-90/86, Zoni (in Racc., p. 4285); Corte di Xxxxxx- xxx, 30 maggio 1989, causa C-33/88, Allué I (in Racc., p. 1591); Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 0 agosto 1993, cause riunite C-259/91, C- 331/91 e C-332/91, Allué II (in Racc., p. I–4309).
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dei diritti garantiti dalla norma straniera non pote- vano avvalersi.
Si è anche consolidata, in via giurisprudenziale, la condanna delle restrizioni quantitative e delle mi- sure di effetto equivalente, distintamente (e anche indistintamente) applicabili, diretta a superare anche i tentativi di elusione delle norme da parte degli Sta- ti membri.
Per le persone, la libertà di circolazione, assicu- rata al solo lavoratore (attuale o potenziale) è stata poi estesa dalla Corte35 fino a indurre gli Stati Membri a stipulare il Trattato Schengen, che è stato la prima applicazione di una “cooperazione raffor- zata”, diventata poi principio e norma disciplinata dai Trattati fino a consentire, oggi, un’Unione a più velocità variabili.
Un’ampia giurisprudenza sui servizi36 ha poi aperto la strada alla costruzione di un impianto normativo da parte del legislatore europeo che, in applicazione, all’inizio, del mutuo riconoscimento, si è completato con la direttiva Bolkestein37. Di nuovo: la Corte ha avviato un processo che il legi- slatore ha poi completato quando i tempi erano ma- turi.
Il secondo filone si associa all’interesse colletti- vo all’apertura dei mercati alla concorrenza che ha indotto la Corte di Giustizia a pronunciare sentenze eversive rispetto ai Trattati formali, facendo preva- lere il carattere “funzionale” dell’ordinamento eu- ropeo che la Commissione costantemente richiama- va.
La storia è nota, riguarda le liberalizzazioni dei mercati degli anni ‘90.
Le sentenze “terminali”38 e “servizi”39 hanno, così, consentito alla Commissione europea di perse- guire la liberalizzazione dei mercati (a partire dalle telecomunicazioni), utilizzando la leva dell’art.
106.3 del Trattato che – nell’interpretazione della Corte – consentiva alla Commissione non solo di proporre, ma anche di adottare una direttiva, senza passare per il Consiglio e il Parlamento europeo, cui di fatto veniva negata la partecipazione alla forma- zione di un atto normativo.
Le “direttive fatte in casa” dalla Commissione hanno costretto, poi, gli Stati (e, dunque, il Consi- glio) ad accettare il progetto politico della Commis- sione di aprire i mercati alla concorrenza, scardi-
35 Una trattazione sistematica è in M. CONDINANZI, X. XXXX, X. XXXXXXXXXX, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006.
36 Si rinvia per un’analisi sistematica a X. XXXXXXXXXX, Mutuo riconoscimento e tecniche conflittuali, Padova, 2002, nonché a
X. XXXXX, Mutuo riconoscimento e tutela giurisdizionale, Mila- no, 2008.
37 Direttiva 2006/123/CE.
38 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 marzo 1991, causa C-202/88, Consiglio
c. Commissione, in Racc., p. I, 122.
39 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 novembre 1992, cause riunite C- 271/90, C-281/90 e C-289/90, in Racc., p. I-1239.
nando i monopoli nazionali (pubblici, tranne che nel Regno Unito). Questo obiettivo è stato ritenuto dalla Corte prevalente addirittura sul rispetto della proce- dura legislativa prevista dai Trattati.
6. Segue. La tutela della stabilità finanzia- ria in materia bancaria: Pringle e OMT.
La giurisprudenza recente della Corte di Giusti- zia in materia bancaria costituisce ulteriore esempio di funzione legislativa della Corte, integrativa di una normativa in costante evoluzione (in una fase di “codificazione permanente”), svolta in funzione suppletiva.
Pringle40 e OMT41 sono due pronunce della Cor- te storiche, adottate a breve distanza l’una dall’altra, su rinvio pregiudiziale di una corte irlandese la pri- ma, addirittura della Corte costituzionale tedesca la seconda (ed è stata la prima volta).
La Corte di Giustizia ha ritenuto legittima sia (nella prima) l’azione della BCE sia (nella seconda) le misure da questa adottate, per quanto non con- venzionali, e, dunque, sul piano giuridico, atipiche, poiché non fondate su norme specifiche che le attri- buissero tali poteri. Non volendo ricorrere, nuova- mente, ai poteri impliciti, la Corte ha ritenuto che le misure non convenzionali (le OMT, e così sarà poi per il quantitative easing) rientrassero nel perimetro
40 Corte di Giustizia (adunanza plenaria), sent. 27 novembre 0000, Xxxxxx Xxxxxxx x. Xxxxxxxxxx xx Xxxxxxx, Xxxxxxx and the Attorney General, causa C-370/12; non ancora pubblicata nella Raccolta; essa è riprodotta in Rivista, 2013, p. 580 ss. Per i primi commenti alla sentenza si vedano: X. XX XXXXX, X. XXXXXXX, The Court of Justice Approves the Creation of the European Stability Mechanism Outside the EU Legal Order: Pringle, Common Market Law Review, 2013, p. 805 ss.; X. XXXXXX, The ESM and the European Court’s Predicament in Pringle, German Law Journal, 2013, p. 113-139; P-A. XXX XXXXXXXXX, Pringle: a Paradigm Shift in the European Union’s Monetary Constitution, ibid., 2013, pp. 141-168; X. XXXXXXX, Il ruolo della Corte di giustizia dell’Unione europea nella governance economica europea, in Dir. Un. eur., 2013, pp. 593-612.
41 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 giugno 2015, causa C-62/14 Xxxxxxxxx e a. La vicenda processuale in esame trae origine da una serie di azioni (quattro ricorsi diretti e un conflitto tra poteri dello Stato) promosse dinanzi al Tribunale costituzionale-federale per contestare la compatibilità con la costituzione tedesca del co- siddetto programma OMT (Outright Monetary Transactions) con il quale la BCE annunciava un programma di acquisto sul mercato secondario, in quantità potenzialmente illimitata, di titoli sovrani di Stati membri in condizioni di difficoltà di bi- lancio e soggetti a programmi di assistenza finanziaria. Si veda tra i primi commenti alla vicenda dinanzi alla Corte tedesca: X. XXXXXX, Le operazioni non convenzionali della BCE al vaglio della Corte Costituzionale tedesca, in Riv. dir. int., 2014, pp. 361-393. Per l’elenco dei commenti alla sentenza della CGUE, si rinvia allo special issue, The European Court of Justice, the European Central Bank, and the Supremacy of EU Law, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2016, Vol. 1.
dei poteri attribuiti alla BCE in modo funzionale e, dunque, li ha qualificati come strumenti di politica monetaria (di competenza perciò esclusiva della banca centrale) e non economica (degli Stati mem- bri, sotto coordinamento della Commissione), diretti a raggiungere l’obiettivo di stabilità di un’inflazione vicina al 2%.
Tutto il resto erano conseguenze, effetti collate- rali, diretti o indiretti, e non costituivano l’obiettivo delle misure che così, e solo in virtù di questa stru- mentalità principale, venivano considerate legittime. Questa soluzione la si è raggiunta in via interpreta- tiva, perché modalità, termini e condizioni per rag- giungerla erano affidate alla discrezionalità esclusi- va e legittima – se esercitata in modo funzionale a quest’obiettivo – della BCE.
In sostanza, in questi casi, nel vuoto normativo, la Corte non ha provveduto a integrare direttamente le regole, ma ha ritenuto legittima l’integrazione che ne faceva la BCE, che doveva essere in ciò tutelata, poiché contestarne la discrezionalità comportava minacciarne l’indipendenza.
L’interesse dei singoli (ricorrenti, negli ordina- menti nazionali) delle banche, degli Stati membri, non solo differenti tra loro, ma chiaramente in con- trasto, è stato contemperato dal giudice in funzione dell’interesse primario tutelato dai Trattati, assu- mendo così rilevanza solo strumentale alla tutela dell’interesse economico dell’UE.
Sotto questo profilo, si potrebbe forse anche ri- tenere che la Corte, in un caso e negli altri, assicuri per certi versi la “calcolabilità giuridica” e la preve- dibilità dell’esito del giudizio, ponendo al centro della valutazione giuridica le esigenze economiche dell’UE e condizionando ad esse l’esito del giudi- zio; tuttavia così non sembra leggendo la giurispru- denza della Corte.
Resta il dubbio se, essendo il ragionamento giu- ridico condotto solo sulla base di un interesse terzo (stabilità dei mercati, concorrenza), sia garantita la correttezza dell’argomentazione giuridica.
7. Interessi delle parti in causa e interessi legati all’economia. I casi Xxxxxxx e Kot- nik.
La Corte, oltre al ruolo suppletivo del regolatore, assume su di sé anche il compito di dare un indiriz- zo politico-economico all’Unione, individuando e perseguendo l’obiettivo economico, anche se ciò, talvolta, comporta scelte interpretative che possono, in concreto, condurre a risultati a cui forse non si giungerebbe qualora la Corte si limitasse a decidere
il diritto UE non osta all’esecuzione di un aumento di capitale di un ente creditizio anche contro la espressa volontà dei soci e in assenza di una loro specifica approvazione in sede assembleare; appro- vazione, peraltro, imposta da una legge nazionale42.
La vicenda, che ha visto protagonista nel caso Xxxxxxx una banca irlandese, ha portato la Corte di Giustizia ad affermare che “gli interessi degli azio- nisti e dei creditori non possono essere ritenuti pre- valenti in ogni circostanza rispetto all’interesse pubblico alla stabilità del sistema finanziario”.
Nel caso di specie, la Corte, effettuando il bilan- ciamento degli interessi in gioco, ha ritenuto che, a seguito dell’insuccesso della proposta di ricapitaliz- zazione avanzata dal Governo irlandese, l’ordinanza ingiuntiva fosse il solo mezzo per garantire la rica- pitalizzazione della banca utile ad evitare l’insolvenza di tale istituto finanziario, nonostante la contraria valutazione dei soci. Ciò dopo avere va- lutato la gravità delle ripercussioni che, sul piano sistemico, sarebbero conseguite all’insolvenza dell’istituto creditizio, con pregiudizio dell’intera Unione Europea43.
La soluzione del caso è ineccepibile sotto il pro- filo formale essendo argomentata sul piano del rap- porto tra fonti normative: la Corte di Giustizia, nell’affermare la correttezza del ragionamento della Corte Suprema irlandese che ha imposto la ricapita- lizzazione, ha implicitamente ritenuto che le regole stabilite dalla Seconda direttiva europea cedano di fronte ad una previsione diversa, incompatibile con la direttiva, contenuta in una legge interna dello Sta- to, che però è anch’essa espressione di una scelta di politica economica della stessa Unione Europea. Ciò in quanto la II direttiva societaria è diretta a re- golare i diritti degli azionisti in fisiologia, e non in situazioni di patologia dell’economia che giustifica- no deroghe, dal momento che stabilità del sistema finanziario e minimizzazione delle distorsioni della concorrenza costituiscono un interesse pubblico su- periore.
Ma il disegno della Corte, volto ad assicurare la stabilità dell’Unione attraverso l’interpretazione delle regole, è più manifesto in un’altra decisione, nota come Xxxxxx.
In materia di aiuti di stato, Burden Sharing e bail in, la Corte, dopo avere chiarito condizioni e limiti che giustificano la concessione di “aiuti di stato”, ha affermato espressamente che la ratio della scelta se concedere o meno gli aiuti è quella di evitare il ri- schio che la difficoltà in cui versa una banca si pro- paghi rapidamente ad altre banche sia nello Stato membro sia in altri Stati membri, producendo rica-
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guardando solo l’interesse della parte.
La Corte di Giustizia ha affermato così, ad esempio, che in caso di grave perturbamento dell’economia e del sistema finanziario di un Paese,
42 Corte di Giustizia, 8 novembre 2016, causa C-41/15, Xxxxxx Xxxxxxx e a./Minister for Finance.
43 Sul tema X. XXXXXXXXX, La tutela della stabilità finanziaria nel settore bancario, in Giorn. dir. amm., 2017, p. 341 ss.
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dute negative in altri settori dell’economia44. Pertan- to, la stabilità degli Stati viene prima del diritto de- gli azionisti, perché altrimenti vi è rischio conse- guente “di produrre ricadute negative in altri settori dell’economia”, con pregiudizio di tutta l’Europa.
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L’argomentazione seguita dalla Corte rivela che è la preferenza per la tutela del mercato su quella delle parti a determinare l’esito del giudizio: si assi- ste, cioè, al ricorso ad una diversa tecnica di bilan- ciamento degli interessi da parte del giudice, il qua- le non si limita più a scegliere tra due interessi in conflitto riferibili alle parti in causa, ma tra questi e alcuni interessi generali, legati all’economia nazio- nale o sovranazionale che, di volta in volta, vengo- no in gioco. Ciò solleva il dubbio che l’impatto economico della decisione orienti a priori l’interpretazione, con il rischio, per dirla con Xxxx, che il diritto perda, man mano, qualsiasi razionalità nei confronti delle parti e si risolva nell’occasionalità del puro decidere45.
8. La casistica in materia di migranti. I casi Viking e Laval e il principio di propor- zionalità.
La Corte di Giustizia ricorre spesso al principio di proporzionalità46 e a quello di effettività47 soprat-
44 Corte di Giustizia, Grande Sezione, 19 luglio 0000, X- 000/00, Xxxxxx. Per un commento si veda X. XXXXXXXXX, Gli aiuti di Stato alle banche nel contesto della crisi finanziaria, in Giorn. dir. amm. 2016, p. 779.
45 N. IRTI, Un diritto incalcolabile, cit., p. 49.
46 Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istitu- zioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tali obiettivi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure ap- propriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti. La stessa Corte di Giustizia, 21 giugno 2018 (Repubblica di Polonia v. Parlamento europeo), precisa i limiti che in teoria incontra nel ricorso al principio di proporzionalità. Esso costituisce parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione ed esige che gli strumenti istituiti da una disposi- zione del diritto europeo siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli. Per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale di tali condizioni, occorre, tuttavia, riconoscere al legislatore dell’Unione un ampio potere discre- zionale in un settore che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse; quindi, nel suo sindacato giurisdizionale sull’esercizio di siffatta competenza, la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione. Essa potrebbe, tutt’al più, censurarne la scelta normativa soltanto qualora apparisse manifestamente errata, oppure qualora gli inconvenienti che ne derivano per alcuni operatori economici fossero sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa presenta per altri.
47 Con riferimento alla esperienza eurounitaria del principio di effettività delle tutele, si vedano: X. XXXXXX, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in AA.VV., Diritto co- munitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà
tutto per le sentenze rese in via pregiudiziale in cui, come si è detto, non è più solo la validità e applica- zione delle norme dell’Unione che viene ad essere presa in considerazione, ma quest’attività, anziché essere finale, diventa strumentale per tutelare anche altri interessi rilevanti, incidendo sul diritto nazio- nale.
Il principio di effettività orienta il giudice alla ri- cerca del rimedio più adeguato alla reintegrazione dell’interesse leso e giuridicamente protetto48 e, nel diritto europeo, si declina nel senso che le norme applicabili non devono rendere praticamente impos- sibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei dirit- ti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione49.
Esso ha consentito, più degli altri, alla Corte di Giustizia di accreditare qualunque interpretazione che ritenesse preferibile sul terreno della politica del diritto. In questo modo, esso ha finito col prevalere anche sul “principio di interpretazione autonoma”50, spesso anch’esso richiamato dalla Corte, che presta il fianco a una condivisibile critica, dal momento che presuppone la completezza del dato da interpre- tare che, come si è detto, è un carattere che manca all’Unione Europea che non è un ordinamento giu- ridico in questo senso. È, dunque, soprattutto attra- verso il principio di effettività che la Corte di Giu- stizia è “creatrice” del diritto.
Vale la pena di considerare l’uso che in concreto la Corte ha fatto dell’uno e dell’altro principio ri- chiamati.
Nel bilanciamento tra diritti sociali e libertà eco- nomiche, è chiaramente delineato il modo in cui opera il principio di proporzionalità in molte sen- tenze sui migranti, nonché nei casi giurisprudenziali in tema sindacale, noti come Viking e Laval.
Quanto al tema dell’immigrazione – oggi di drammatica attualità – la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia UE si è mossa tra esigenze differenti: equilibrio istituzionale; bilanciamento tra la tutela dei diritti fondamentali della persona e de- gli interessi di carattere generale; attuazione effetti-
degli ordinamenti, Napoli, ESI, 2010, p. 633; pp. 392-393; X. XXXXXXX, La formazione del diritto processuale europeo, Tori- no, 2011, p. 111; C. MAK, Rights and Remedies. Article 47 EUCFR and Effective Judicial Protection in European Private Law Matters, in X. Xxxxxxxx (ed), Constitutionalization of Eu- ropean Private Law, Oxford University Press, 2014, p. 236; X. XXXXX, General Principles of EU Civil Law, CambridgeAnt- werp-Portland, 2014, p. 89; X. XXXXXXXXXX, Libertà fonda- mentali dell’U.E. e rapporti fra privati: il bilanciamento di in- teressi e i rimedi civilistici, in op. cit., p. 878; G. XXXXXXX, Il diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2017, p. 666; X. XXXXXXXXX, Effettività delle tutele e ruolo del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 961 ss. 48 X. XXXXXXX, voce Effettività delle tutele, op. cit., p. 390.
49 X. XXXXXXX, Il diritto processuale europeo e le tecniche del- la sua formazione: l’opera della Corte di Giustizia, in Eur. dir. priv., 2010, p. 373 ss.
50 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 252.
va del principio di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri di cui all’articolo 80 del TFUE. Come si è rilevato, la Cor- te di Giustizia, in materia di diritti degli stranieri, “pur confermando l’orientamento apertamente ga- rantista, dà concreto risalto e significato alla nozio- ne di «interessi riconosciuti dall’ordinamento euro- peo» (formula edulcorata dell’interesse pubblico eu- ropeo), che include, evidentemente, anche l’interesse all’autoconservazione dello stesso pro- getto europeo, questo sì gravemente minacciato dall’ondata migratoria in atto”51.
L’interconnessione del tema dei migranti con i diritti umani ha comportato anche l’integrazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo52. Ad esempio, è a seguito della sentenza Hirsi con cui la CEDU ha condannato l’Italia per il respingimento di migranti senza aver valutato il ri- schio cui questi sarebbero stati esposti, che l’Unione ha adottato il Regolamento 656/2014/UE che disci- plina questa fase in modo completo53.
La Corte, in altra occasione, bilanciando le esi- genze di integrazione di cui all’art. 79 TFUE con la tutela dei diritti fondamentali, ha sottolineato l’importanza di garantire la proporzionalità di misu- re nazionali pure formalmente legittime quando ne- gano il ricongiungimento familiare decorso un certo periodo di tempo54. O, ancora, ha pronunciato sen- tenze che fanno prevalere l’interesse legittimo di un
51 X. XXXXXX, Il trattenimento dei richiedenti asilo tra Corte UE dei diritti fondamentali e CEDU, in Giorn. Dir. amm., 2016, p. 658. Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 0 settembre 2012, causa X-000/00, Xxx- lamento x. Xxxxxxxxx dell’Unione europea, EU:C:2012:516.
52 Si veda Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 febbraio 2016, causa X- 000/00 XXX, XX. Xxxxxx, X. XXXXXX, op. cit., p. 668: “Sebbene la Corte di Giustizia giudichi in base a parametri autonomi e parzial- mente differenti da quelli impiegati dalla Corte dei diritti, essa ricerca nondimeno una conclusione che si incastri perfettamen- te con la giurisprudenza di quest’ultima. Rispetto alla Corte dei diritti – secondo la quale le limitazioni dei diritti della CEDU devono essere previste dalla legge, orientate a un fine pubblico legittimo (nazionale) e proporzionate a quest’ultimo – la Corte di Giustizia deve, altresì, sincerarsi che dette limitazioni non incidano sul nucleo essenziale dei diritti e, soprattutto, rispon- dano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione; così confrontandosi con una sorta di interesse o fine pubblico europeo, distinto da quelli nazionali, che rappre- senta la sorgente primaria dell’autonomia dell’ordinamento UE. A fronte di questa differenza nei parametri, però, essa è al con- tempo aperta a interpretare il diritto UE, in ossequio al princi- pio dell’effetto utile, in modo convenzionalmente orientato – nella fattispecie prevedendo che la domanda di asilo sospende e non interrompe il procedimento di rimpatrio – così da evitare conflitti e, anzi, saldare la propria giurisprudenza a quella della Corte dei diritti (consensual jurisdiction)”.
53 CEDU, 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, app. n. 27765/09.
54 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 aprile 2016, causa C-561/14, Genc, EU:C:2016:247. La Corte ha tenuto che la norma danese, che negava il ricongiungimento del minore trascorsi due anni, fosse legittima, ma andasse applicata in modo proporzionale, bilan- ciando le esigenze di integrazione di cui all’art. 79 TFUE con la tutela dei diritti fondamentali.
paese (peraltro terzo: gli Stati Uniti) a mantenere una forza armata su quello del militare che si op- ponga alla prosecuzione del servizio per non esporsi al rischio concreto di commettere crimini contro la pace, di guerra e contro l’umanità e a tal fine chieda asilo55.
I casi richiamati dimostrano, tra l’altro, che, a fronte del fatto che il Trattato sull’Unione europea sancisce l’incompetenza della Corte di Giustizia ri- guardo alle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, si verifica un fenomeno di progressiva occupazione di spazi sempre più ampi di politica estera e di sicurezza comune, non solo sul piano normativo, ma anche su quello giurispru- denziale, con l’effetto di un’estensione significativa delle competenze della Corte di Giustizia, a con- ferma della progressiva giurisdizionalizzazione del diritto dell’Unione.
Veniamo ai casi Viking e Laval e, dunque, ai di- ritti sindacali dei lavoratori. In questa materia, come si è rilevato in dottrina, si è utilizzata la tecnica del- la Drittwirkung56 – sul presupposto della necessità di sindacare atti collettivi di natura privata – per contrastare a difesa delle imprese l’esercizio del di- ritto di sciopero e la contrattazione collettiva, ove questi ostacolino la libera prestazione dei servizi delle imprese57.
Nel caso Xxxxxx, la Corte si è pronunciata sul conflitto tra azione collettiva del sindacato e libertà di stabilimento. La società finlandese Viking, con sede in Finlandia, intendeva registrare una propria nave con la bandiera di un altro Stato membro per ragioni di convenienza economica; il sindacato, pe- rò, agiva per tutelare i lavoratori contro il cambio di bandiera di convenienza, chiedendo all’impresa di applicare comunque le clausole previste dal contrat- to di lavoro della Finlandia ai lavoratori dipendenti dalla società controllata e stabilita nel diverso Stato membro.
La Corte ha affermato che la tutela dei lavoratori rientra tra le ragioni di interesse generale che giusti- ficano le restrizioni alla libertà di stabilimento, pur- ché sia accertato che queste siano idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo e non vadano al di là di ciò che è necessario. In altri termini, la Corte ha condiviso le ragioni dell’impresa, affermando che anche l’esercizio dei diritti sindacali può porsi in
55 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 febbraio 2015, causa C-472/13, She- perd, EU:C:2015:117. Qui la Corte ha ritenuto che il sig. She- perd, arruolandosi sapeva a cosa andava incontro e che il suo interesse ad evitare una pena detentiva fino a cinque anni do- vesse cedere rispetto a quello degli Stati Uniti a mantenere un esercito.
56 Su cui vedi, tra gli altri, X. X’XXXXX, Problemi (e limiti) dell’applicazione diretta dei principi costituzionali nei rapporti di diritto privato (in particolare nei rapporti contrattuali), in Giust. civ., 22016, p. 443 ss.; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 878 ss.
57 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 882 s.
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contrasto con le libertà fondamentali del Trattato, specie qui quella di stabilimento, se l’esercizio del diritto di sciopero è ingiustificato o non proporzio- nato. È, dunque, il principio di proporzionalità a rendere legittima la scelta interpretativa della Corte europea.
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Nel caso Xxxxx, invece, la Corte di Giustizia si è pronunciata sul conflitto tra diritto di sciopero e li- bertà di prestazione dei servizi. La Laval, società lettone, aveva distaccato in Svezia 35 lavoratori per farli lavorare in una società di diritto svedese, con- trollata al 100 per cento; il sindacato ha tentato di costringere, con un’azione collettiva in forma di blocco di cantiere, la Laval ad avviare una trattativa sulle retribuzioni dei lavoratori distaccati e a stipu- lare condizioni più favorevoli di quelle previste dal- la legge vigente. Anche in questo caso, la Corte ha concluso ritenendo non giustificata l’azione sinda- cale in quanto le restrizioni che ne sarebbero deriva- te al principio di libera prestazione dei servizi non erano giustificate neppure alla luce del principio di non discriminazione e di proporzionalità.
A proposito di questa giurisprudenza, si osserva anche che pronunciarsi sul diritto di avviare un’azione collettiva esula dalle competenze regola- torie dell’UE, essendo riservate alla competenza degli Stati; la Corte, però, riconoscendo l’effetto orizzontale della libertà di circolazione opponibile anche alle organizzazioni sindacali, ha creato lo spazio per operare il bilanciamento.
La Corte ha così “eroso” le competenze degli Stati membri, dando spazio al diritto dell’Unione nella sua dimensione di diritto vivente. Nel momen- to in cui la soluzione dipende dal fatto che l’azione sindacale intrapresa sia adeguata per raggiungere l’obiettivo e non xxxx xx xx xx xx xxx xxx x xxxxxxx- xxx, xx consente – mediante il principio di propor- zionalità – al giudice un sindacato molto penetrante sulle dinamiche conflittuali di imprese e sindacati. L’impressione è che si riconosca ampia discreziona- lità all’interpretazione della Corte di Giustizia con il rischio di una influenza eccessiva delle sensibilità politiche contingenti.
9. La Corte di Giustizia “creatrice” del di- ritto e l’invasione di campo in materie ri- servate. Principio di effettività e diritto processuale dei consumatori.
Quanto si è fin qui detto dimostra che la Corte di Giustizia interviene anche in materie riservate, a volte persino creando un diritto europeo in quelle materie. Si pensi, ad esempio, alla giurisprudenza europea sul diritto processuale dei consumatori58
58 Sentenze: Oceano (C-240/98), Cofidis (C-473/00), Mostaza Claro (C-168/05), Pannon (C-243/08), Xxxx (C-415/11), Banco Espanol (C-618/10).
che si è reso necessario proprio per la mancanza di un meccanismo istituzionale di armonizzazione in materia processuale59.
Se l’obiettivo è quello di assicurare che i mecca- nismi processuali nazionali non impediscano la tute- la dei diritti che spettano sul piano sostanziale alla disciplina UE, la conseguenza dell’intervento della Corte è che essa, in assenza di un meccanismo di armonizzazione in materia processuale, ha finito con incidere – mediante il ricorso ai principi genera- li di equivalenza ed effettività – sull’autonomia de- gli Stati nella scelta degli strumenti processuali ido- nei a tutelare le situazioni giuridiche soggettive di derivazione europea.
Si è così ridotto il margine di discrezionalità de- gli Stati membri e l’effettività è divenuto un metodo per “armonizzare surrettiziamente”60 la disciplina processuale, in teoria materia di competenza esclu- siva degli Stati.
Mediante il ricorso al principio di effettività la Corte ha, cioè, nel tempo, eroso l’autonomia degli Stati nella scelta degli strumenti processuali efficaci per tutelare i diritti di matrice europea, ma soprat- tutto per assicurare la regolamentazione del mercato in modo efficiente61.
Un esempio di questo modo di procedere è dato dalla giurisprudenza sulle clausole vessatorie, con particolare riguardo alla qualità di consumatore.
Con il caso Xxxxx, la Corte è stata chiamata a verificare se l’acquirente possa essere considerato un consumatore, sebbene egli non abbia agito ri- vendicando tale qualità. La soluzione è stata nel senso che il giudice debba attivarsi, quantomeno con l’obbligo di domandare chiarimenti, sostituen- dosi d’ufficio al consumatore per l’esigenza di una tutela di ordine processuale europeo del consumato- re che manca ma che si rivela necessaria, secondo il ragionamento della Corte, per dare piena attuazione
59 Afferma X. XXXXXXX, Il diritto processuale europeo e le tec- niche della sua formazione: l’opera della Corte di Giustizia, op. cit., p. 361 che: “in una prima fase i giudici europei si ser- vono di alcuni principi strutturali della costruzione comunitaria, in particolare del principio degli effetti diretti, per trasformarli in realtà processuale e fare della «vigilanza dei singoli» un effi- cace strumento per garantire, insieme alla salvaguardia dei di- ritti individuali, l’effetto utile delle norme del sistema comuni- tario. In una seconda fase, che inizia con l’apertura dell'ordina- mento comunitario ai diritti fondamentali e la individuazione- rilevazione di un diritto-principio generale di effettiva tutela giurisdizionale, la Corte, attraverso un «uso alternativo» della competenza pregiudiziale si apre la strada per intervenire con le proprie elaborazioni sulle discipline processuali dei singoli or- dinamenti e per disegnare, essa stessa, il tipo di tutela – ora co- me forma di tutela o rimedio, ora come tecnica di tutela – che va accordato dai giudici degli Stati membri ai diritti di fonte comunitaria”.
60 X. XXXXXXXXXXX, Effettività della tutela giurisdizionale, con- sumer welfare e diritto europeo dei contratti nel canone inter- pretativo della Corte di Giustizia: traccia per uno sguardo d’insieme, in NLCC, 2014, p. 812.
61 Ancora, X. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 806.
alla tutela sostanziale del consumatore imposta dal diritto dell’Unione62.
Si osserva che, in assenza di armonizzazione delle norme processuali, “le modalità processuali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spet- tanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione rien- trano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, purché, tuttavia, esse non siano meno favo- revoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non ren- dano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consuma- tori dall’ordinamento giuridico dell’Unione (princi- pio di effettività)”63.
Appare evidente in questo caso sia la valenza del principio di effettività, sia il superamento dei limiti imposti all’UE in materie riservate agli Stati mem- bri. Così, “di fatto, in forza del principio di effettivi- tà e nonostante norme giuridiche interne contrarie, la Corte ha imposto al giudice nazionale di applica- re d’ufficio talune disposizioni contenute nelle Di- rettive dell’Unione in materia di tutela dei consuma- tori”64.
L’obiettivo è quello di correggere l’asimmetria di posizione in cui si trova il consumatore, che in- duce la Corte a intervenire per superare il rischio che il consumatore per debolezza e difetto di infor- mazione non faccia valere i suoi diritti.
Anche il caso Xxxxxxxx merita di essere richia- mato, dal momento che la Corte di Giustizia ha af- fermato che la normativa nazionale, nella specie spagnola, che non consenta al giudice dell’esecuzione di rilevare ex officio l’abusività di una clausola contrattuale in presenza dell’ingiunzione di pagamento non opposta, non è compatibile con il sistema di tutela previsto dalla direttiva sulle clausole abusive65.
Come si è rilevato, il principio di effettività ha una funzione compensativa dello squilibrio profes- sionista-consumatore, ma anche suppletiva delle de- terminazioni del consumatore. Ritiene la Corte che l’inattività del consumatore vada superata se utile e necessario per assicurare la tutela dei diritti e che ciò legittima il superamento della riserva prevista per l’autonomia processuale degli Stati membri66.
62 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 0 giugno 2015, causa C- 497/2013, Faber, con commento di F. P. XXXXX, Tutela effettiva del consumatore nella vendita: il caso Xxxxx, in NGCC, 2016, p. 10 ss.
63 Corte di Giustizia, 4 giugno 2015, causa C- 497/2013, cit. p. 7.
64 Corte di Giustizia, 4 giugno 2015, causa C- 497/2013, cit., p. 8.
65 Corte di Giustizia, 18 febbraio 2016, causa X-00/00, Xxx- brano, con commento di X. XXXXX, Autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore, in NGCC, 2016, p. 1147 ss.
66 Sul tema già X. XXXX-ZENCOVICH, C. PAGLIETTI, Verso un diritto processuale dei consumatori?, in NGCC, 2009, p. 268 ss.
In questa prospettiva il principio di effettività di- viene strumentale, non solo per ancorare l’interpretazione conforme del diritto nazionale a quello europeo, ma anche per imporre al legislatore interno di adeguare la normativa processuale nazio- nale a quella europea, secondo le scelte interpretati- ve della Corte di Giustizia.
I principi di proporzionalità, effettività, equiva- lenza, si confermano essere i mattoni dell’integrazione di un ordinamento che, essendo non originario ma derivato, vive delle attribuzioni che gli Stati gli conferiscono o, in assenza, la Corte “conquista”67.
10. Principio di effettività e diritto all’informazione e alla trasparenza. An- cora sul ruolo suppletivo della Corte.
A completamento di quanto si è fin qui detto va- le la pena di richiamare il tema del diritto all’informazione e alla trasparenza dei consumatori e l’incidenza che il principio di effettività ha su di essi.
Particolarmente significative, ai fini del discorso che si va qui conducendo, sono le pronunce in tema di mutuo contratto in valuta estera.
Due i principali riferimenti giurisprudenziali che meritano di essere richiamati. Il primo è relativo al caso Xxxxx Xxxxxx, in cui si chiarisce che il requisi- to secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile deve essere inteso in modo “estensivo”; nel senso che la clauso- la in questione, non solo deve essere intelligibile per il consumatore su un piano grammaticale, ma anche esporre in maniera trasparente il meccanismo di conversione della valuta estera al quale si riferisce, nonché il rapporto fra tale meccanismo e quello pre- scritto da altre clausole relative all’erogazione del mutuo68. Obiettivo è, infatti, che il consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi ed intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano.
Dunque, la vessatorietà della clausola si lega a un difetto di trasparenza che va ben oltre la man- canza di intellegibilità della clausola, ma che si tra- duce nel rischio di non consapevolezza del pregiu- dizio economico a cui si espone il consumatore; ri- schio che la Corte di Giustizia pone a carico del professionista con una rimodulazione evidente dello stesso principio di autonomia privata, anche rispetto alla pur avanzata tutela del consumatore che si era realizzata con la Direttiva 93/13. Si è al riguardo affermato che la Corte ha in tal modo proceduto ad una “responsabilizzazione strisciante del professio-
67 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit., p. 503.
68 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 aprile 2014, C-26/13, Xxxxx Xxxxxx.
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nista, finalisticamente orientata a mo’ di «enforce- ment tool», ad un consumo efficiente69”.
L’altra decisione, di particolare rilevanza, è quella Andriciuc, del 2017.
Il caso era il seguente: i ricorrenti, i cui redditi, in quel periodo, erano in moneta rumena, stipularo- no con la banca contratti di credito espressi in fran- chi svizzeri finalizzati al soddisfacimento di esigen- ze personali. Essi erano tenuti a rimborsare le rate mensili dei crediti nella medesima valuta in cui que- sti ultimi erano stati contratti, vale a dire in franchi svizzeri, con la conseguenza che il rischio di cam- bio, in termini di aumento delle rate mensili in caso di calo del tasso di cambio del leu rumeno rispetto al franco svizzero, era previsto interamente a loro carico. Successivamente alla conclusione dei con- tratti, era intercorsa la svalutazione del leu rumeno rispetto al franco svizzero.
L a C o r t e d i G i u s t i z i a t r a s c e l t e d i m e r c a t o e i n t e r e s s i p r o t e t t i ( M a d d a l e n a R a b i t t i )
La Corte ha affermato che – poiché la banca era in grado di prevedere l’evoluzione e le fluttuazioni del tasso di cambio del franco svizzero – aveva il dovere di indicare i rischi potenziali nonché la pro- babilità che si realizzassero70. Qui rileva l’asimmetria delle posizioni delle parti in un senso diverso: nel senso, cioè, che vada ristabilito l’equilibrio tra le parti onde evitare che una parte possa prevedere l’andamento dell’investimento me- glio dell’altra.
Come è stato rilevato, la Corte di Giustizia enu- clea, senza esplicitarla, l’idea di probabilità chia- rendo che il giudizio di vessatorietà, pur essendo necessariamente condotto ex ante, deve essere però “proiettato” al futuro. Si tratta, cioè, nel caso di spe- cie, di dare vita a un giudizio probabilistico sull’incidenza del parametro finanziario (tasso di cambio) sulla quantità delle prestazioni future.
Si delinea, così, un nuovo ambito di operatività della clausola di trasparenza che porta – in un certo senso – alle estreme conseguenze l’idea dell’adeguatezza dell’informazione imposta dalla Mifid 2, pretendendo che la consapevolezza del consumatore sia tale da condividere con l’intermediario anche il rischio economico e finan- ziario dell’operazione71.
La trasparenza va assicurata, in altri termini, an- che attraverso il modo in cui vengono rappresentati all’investitore-consumatore gli scenari probabilisti- ci, che richiedono elementi grafici chiari e sintesi massima, con l’obiettivo di semplificazione legato all’idea dell’adeguatezza della informazione.
A questo punto, se si volesse approfondire, il tema diventerebbe anche altro, portando il discorso sugli aspetti della finanza comportamentale, che
69 X. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 814.
70 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 settembre 2017, C-186/16 Andriciuc.
71 X. XXXXXXX, In finanza trasparenza è trasparenza del rischio, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx., 2017, p. 4.
rappresenta certamente una prospettiva importante, di cui non si riesce in questa sede a rendere conto72.
Dunque, per tornare al tema che qui interessa, negli ultimi anni, la Corte ha stabilito, innovando il concetto di trasparenza73, che il consumatore deve essere in grado di ricavare dalla clausola la stima del rischio finanziario (secondo un giudizio di pro- babilità) che dipende dall’incidenza sulle rate future del rischio di cambio. La Corte di Giustizia bilancia, in sostanza, i diversi interessi in gioco in chiave funzionale alla tutela della trasparenza del mercato che coincide con l’interesse dei consumatori, inno- vando il significato di clausole generali e principi consolidati negli ordinamenti interni. Obiettivo rea- le: la concorrenza. Il diritto interno è inciso dal ruo- lo forte esercitato dalla Corte che innova il diritto, anche laddove la disciplina appare compiuta.
Di fatto, inoltre, la trasparenza si traduce in tute- la della sostanza. Ci sembra di sentire un’eco della storica pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti a metà degli anni Quaranta dello scorso secolo in materia di tutela di acquirenti di “securities” o prodotti finanziari, quando basa la propria scelta a tutela dell’ignaro investitore, sul principio “sub- stance governs, rather than form”74.
11. Conclusioni.
L’esame fin qui condotto ha mostrato come la Corte di Giustizia nella sua attività integrativa- interpretativa del diritto dell’Unione si sforzi di in- dividuare il punto di equilibrio tra: (i) l’obiettivo dell’armonizzazione del diritto tra gli Stati membri, che ben può richiedere adattamenti; (ii) l’interesse alla stabilità economica dell’Unione; (iii) le garan- zie sulla certezza del diritto; (iv) l’esigenza di non abdicare alla funzione di realizzare la giustizia del caso concreto.
I casi fin qui trattati, pur tra loro molto eteroge- nei, hanno anche mostrato come, al di là di principi declamatori, la Corte di Giustizia privilegi spesso l’efficienza economica rispetto a valori solidaristi- ci75. Il bilanciamento operato dalla Corte è dunque un bilanciamento sbilanciato76 o, secondo alcuni, asimmetrico, in quanto la vocazione tendenzialmen- te economica dell’Unione può fare prevalere le li-
72 Per tutti v. il bel volume di AA. VV. Finanza comportamen- tale, in AGE, 2012; in particolare X. XXXXXX – X. XXXXXXXXX, Finanza, mercati, finanza e regole… ma soprattutto persone, ivi, p. 19 ss.
73 La Corte di Giustizia afferma anche che la trasparenza deve essere intesa come comprensione della clausola non solo in chiave lessicale, ma anche di possibile impatto sulla propria sfera economica (sent. Xxx Xxxx, 00 aprile 2015, C-96/14).
74 SEC v. W.J. Xxxxx Co., 328 U.S. 293, 298-299, (1946).
75 Per un approfondimento, X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 897.
76 Sul punto, X. XXXXXXXXXX, La tutela multilivello dei diritti, in
Riv. it. dir. pubbl. com., 2005, p. 91 ss.
bertà economiche sul resto, nel rispetto del criterio di proporzionalità. L’efficienza economica proposta dalla Corte è, tuttavia, temperata, nel senso che essa si piega alla tutela della stabilità dell’Unione quale confine ultimo dell’operato della Corte.
Questa tecnica di bilanciamento è alla base di molte decisioni della Corte, tra cui Xxxxxxx e Kot- nik, in cui l’interesse alla stabilità del sistema ban- cario dell’Ue prevale sugli altri interessi in gioco alla luce del principio di proporzionalità ed effi- cienza della misura.
In questa prospettiva potrebbe apparire superato anche il rischio dell’imprevedibilità giuridica: l’obiettivo è la stabilità del sistema finanziario eu- ropeo e ciò rappresenta il criterio-guida nell’interpretazione.
Ma quando, dal piano teorico, si passa a quello della soluzione del caso concreto, si è visto come spesso le decisioni difettino sul piano della coerenza dell’argomentazione.
Così, nella casistica fin qui esaminata sui diritti fondamentali è possibile distinguere i casi in cui la salvaguardia del sistema coincide con gli interessi individuali, da quelli in cui invece si registra un contrasto, come, ad esempio, nell’ampia giurispru- denza richiamata sui migranti o in quella, non esa- minata in questa sede, del diritto all’oblio77. Anche in materia di concorrenza, come si è visto con OMT e Pringle, si pongono diversi esempi in cui “la tute- la dei singoli viene ad affiancarsi all’esigenza della tutela del diritto dell’Unione europea della concor- renza, dando così origine a situazioni (almeno all’apparenza) conflittuali”78.
77 Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 2017, X-000/00, XXXXX Xxxxx, chia- mata a bilanciare la protezione e la libera circolazione dei dati personali in una fattispecie sorta nel nostro ordinamento con riguardo alla pubblicità delle informazioni contenute nei registri gestiti dal sistema camerale, ha ritenuto prevalente, in relazione alla fattispecie concreta, l’interesse alla pubblicità dell’informazione relativa ad un pregresso fallimento di un ope- ratore economico, ancorché´ concernente una società ormai estinta da tempo, rispetto all’interesse individuale all’“oblio” delle informazioni pregiudizievoli e non più attuali (ovvero – nel caso specifico – alla tutela della propria reputazione a fronte della riabilitazione successiva al fallimento. In linea di princi- pio invece, in altro caso, Xxxxx Xxxxx., 00 maggio 2014, X- 000/00, Xxxxxx Xxxxx relativa sempre al bilanciamento tra dirit- to alla protezione dei dati personali e libertà di circolazione dei dati, ha stabilito che «(...) il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a se- guito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti in- formazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simulta- neamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e cio` even- tualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sè lecita». Per un approfondimento v. F. XXXXX, op. cit., p. 192 ss.
78 Per un esame v. X. XXXXXXX, L’effettività del diritto dell’Unione tra tutela del singolo e salvaguardia dell’ordinamento, in Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, Na- poli, 2014, IV, p. 2327.
L’esigenza di evitare che tali incertezze determi- nino esternalità negative che pregiudicano l’opera della Corte di Giustizia, è necessario trovare stru- menti per assicurare altrimenti prevedibilità e cer- tezza.
Scegliere di perseguire l’interesse terzo, sebbene sia legittimo nei limiti stabiliti, non può comportare rinuncia all’interpretazione secondo diritto in nes- suna occasione79.
Come ha osservato di recente un autorevole stu- dioso: “l’interpretazione giuridica non può che esse- re sistematica, nel duplice e concorrente senso: qua- le ricerca-interpretazione delle regole e dei principi presenti nella pluralità delle fonti, nel rispetto della loro gerarchia, ma anche dei principi di competenza e sussidiarietà verticale e orizzontale, e quale valu- tazione-interpretazione del fatto singolo nei contesti socio-culturali”80. Se così non è, la possibilità che le valutazioni del giudice sembrino “prive di briglie” diventa concreta81.
Anche un giudice peculiare come la Corte di Giustizia non può abdicare a questa funzione, es- sendo comunque tenuto a ricostruire il sistema nor- mativo per come è, pronunciandosi sul fatto e veri- ficando se esso è riconducibile a una regola e ricor- rendo ai principi quando ciò si renda necessario, senza procedere all’inverso: evitando, cioè, di risali- re a priori dalla soluzione prescelta alla regola ap- plicabile. Dice Xxxxx Xxxxxx che l’operazione intel- lettiva tipicamente giudiziale è la inventio, il repe- rimento82.
In questa attività, l’interpretazione avviene se- condo diritto e, come ricorda la migliore dottrina, è legata sempre al fatto da valutare83.
Occorre, ancora, ricordare che il dibattito giuri- dico ha da tempo evidenziato che, in generale, si as- siste: “alla tendenziale sostituzione della tradiziona- le struttura basata sulla sequenza fattispecie-regola e tutela con una normativa in chiave funzionale, che individua l’interesse protetto e il fine di tutela, che in relazione ad esso si deve realizzare, lasciando spesso indeterminati gli elementi costitutivi del fatto
79 Per un approfondimento in generale si veda X. XXXXXXXX, Giudizio, in Filosofia del diritto. Xxxxx, concetti, argomenti, a cura di Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Roma, 2017, p. 253 ss.; spec. p. 267.
80 X. XXXXXXXXXXX, Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica, in Riv. dir. civ., 2010, p. 319.
81 X. XXX, A discrezione del giudice. Ordine e disordine: una prospettiva quantistica, Milano, 2014, p. 7.
82 P. XXXXXX, La invenzione del diritto: a proposito della fun- zione dei giudici, in Riv. dir. proc. civ., 2017, p. 831 ss.
83 Va, peraltro, precisato che la Corte di Giustizia rivendica spesso nelle sue decisioni il necessario rigore dell’attività inter- pretativa, affermando espressamente che il primo criterio inter- pretativo è quello letterale e che il testo di una disposizione co- stituisce sempre il punto di partenza e, al contempo, il limite di ogni interpretazione. Così A. DI PORTO, Calcolo giuridico se- condo la legge nell’età della giurisdizione. Il ritorno del testo normativo, in Calcolabilità giuridica, a cura di X. Xxxxxx, Bo- logna, 2017, p. 135 s.
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cui la disciplina è applicabile e il rimedio che deve o può essere utilizzato a tal fine”84.
L’eclissi della fattispecie85 comporta che la strut- tura logica della norma resti fissata nell'essenziale, cosicché la proposizione normativa ha struttura più semplice dell'ordinario, limitandosi a tutelare un certo valore giuridico incondizionatamente, espri- mendo una valutazione in chiave di risultato. Spetta poi all’interprete riempire di contenuto, in relazione al caso concreto, la formula indeterminata del prin- cipio o della clausola generale ad esso applicabile86.
A fronte della constatazione del diverso modo
in cui è costruita la norma si registra una discrezio- nalità del giudice molto maggiore di quella consen- tita dalla tradizione e, di conseguenza, ciò impone di individuare nuovi meccanismi di controllabilità e prevedibilità della decisione, essendo evidente che quelli finora utilizzati sono inefficienti nel diverso contesto.
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L’impressione, però, è che la risposta al proble- ma risieda, nonostante le differenze evidenziate, an- cora, nello stesso sistema normativo: benché il giu- dice sia orientato, come ormai accade, in base al ri-
tizzazione della regola se motiva la sua decisione valutando la compatibilità tra la specificità del fatto su cui si deve pronunciare89 con il principio che ri- tiene, di volta in volta, applicabile90. Muovendo dal fatto concreto, il principio a cui si ricorre deve, dunque, essere enucleabile dal sistema di riferimen- to e ad esso deve xxxxxxx00, concretizzato nella rego- la operativa92.
Compito del giudice diviene, poi, anche quello di individuare le tecniche di protezione adeguate all’effettiva attuazione dell’interesse protetto, sce- gliendo il rimedio a tal fine più efficiente che egli è autorizzato a selezionare all’interno dell’intero strumentario concettuale del diritto sostanziale, sul- la scorta di valutazioni che toccano l’adeguatezza, la proporzionalità e la ragionevolezza del rimedio. Il principio di effettività, dunque, correttamente decli- nato, non deroga affatto al metodo argomentativo così descritto93.
Se il procedimento interpretativo, nel suo com- plesso, è rispettato, significa soprattutto che la deci- sione è controllabile sotto il profilo della sua logici- tà e coerenza, alla luce delle caratteristiche del fatto
sultato o al fine che intende perseguire, l’arbitrarietà
della sua decisione è esclusa quando l’argomentazione giuridica è corretta87.
Fatto, principio e regola applicabile, le parole chiave88; prevedibilità, certezza e calcolabilità giu- ridica gli obiettivi.
Il processo che garantisce la prevedibilità delle decisioni dipende, perciò, oltre che dalla qualifica- zione del fatto, dalla corretta individuazione e poi dalla rigorosa applicazione dei principi che il giu- dice richiama a fondamento delle proprie decisioni, tenendo presente anche la gradazione degli interes- si che emerge dal sistema complessivo. Ciò signifi- ca che il giudice assolve al suo compito di concre-
84 X. XXXXX, Il problema della prevedibilità delle decisioni. Calcolo giuridico secondo i precedenti, op. cit., p. 137 ss.
85 L’espressione è di X. XXXXXXXXX, Fattispecie e altre figure di certezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1103.
86 Ancora, X. XXXXX, Principi generali e regole operative: la concretizzazione delle norme a contenuto indeterminato nel dialogo tra le Corti, in Principi e clausole generali tra fonti del diritto e tecniche dell'argomentazione, a cura di X. Xxxxx, Xxxx- no, 2018, in corso di pubblicazione.
00 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 267, “(…) il giudice, pur compiendo delle scelte è tenuto a giustificarle: egli deve fornire ragioni a sostegno del suo operato argomentando in maniera plausibile “secondo diritto”. La discrezionalità è, nell’attività giudiziale, presente e ineliminabile; ciò impone la vigilanza, il controllo sul decisore e sulla decisione, ma la discrezionalità non va con- fusa con l’arbitrio, poiché chi decide discrezionalmente ricerca
«a satisfactory compromise between different values (Xxxx) ed è tenuto a darne adeguatamente conto».
88 Xxxxx qualificazione del fatto come prius rispetto all’interpretazione, X. XXXXXXXXXXX, Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica, op. cit., p. 317 ss. Sul tema X. XXXXXXX, Legalità e giustificazione della creazione giudiziaria del diritto, op. cit., p. 21 s. Si veda anche F. XXXXX, op. cit., p. 1050 ss.
89 X. XXXXXXX, Legalità e giustificazione della creazione giu- diziaria del diritto, op. cit., p. 15 afferma che: “il giudizio sui fatti è un aspetto importantissimo della decisione perché guida e condiziona il giudizio sulle norme in ordine alla decisione finale, ma è a sua volta largamente «creativo» in quanto l’accertamento del fatto dipende dall’esercizio di importanti poteri discrezionali da parte del giudice”.
90 Sulla funzione nomogenetica dei principi, F. XXXXX, Sulla distinzione tra norme e principi, op. cit., p. 1054.
91 F. XXXXX, Sulla distinzione tra norme e principi, in Eur. dir. priv., 2016, p. 1045, secondo il quale, anche se la fattispecie non è adeguatamente predefinita, “non si può dire che la tecnica della sussunzione sia realmente inapplicabile: si assiste, più esattamente, ad un differimento del suo impiego, che rimane necessario ma che è appunto preceduto dal compimento di un’opera di concretizzazione affidata all’adeguatezza dell’apparato argomentativo che la sorregge”.
92 Ancora una volta non si inventa nulla, ma si applica, in via generale, il modello di argomentazione già conosciuto e speri- mentato nel nostro ordinamento a partire dal secolo scorso nel dibattito sull’operatività delle clausole generali e dei principi costituzionali. F. XXXXX, op. cit., p. 1019; X. XXXXXXX, Regole e principi. Un decalogo, in NGCC., 2016, II, p. 126.
93 X. XXXXXXX, L’attuazione del principio di effettività. Chi è come, in Persona e Mercato, 2017, p. 196: “diviene chiaro allo- ra che l’essenza giuridica del fatto, distinta dall’efficacia, orien- ta e delimita la tutela sostanziale della situazione soggettiva o del conflitto perché consente di conoscere il fatto, nella sua es- senziale manifestazione della diversità e delle differenze, e di valutarlo tramite il principio di effettività rispetto a un ordine descritto negli articoli 2, 24 e 117 Cost., 13 Cedu e 47 Carta di Nizza. Sicché, in caso di violazione della situazione in tal modo protetta si dovrà esaminare la tutela prevista da regole (interne e comunitarie) e dalla giurisprudenza consolidata. Se la protezio- ne non è adeguata andrà ricondotta ad uno standard costituzio- nale interno o comunitario attraverso un’interpretazione inte- grativa, legittimata da una fonte costituzionale. Ed è chiaro che in questi limiti, il principio di effettività non riduce il diritto al fatto, ma attribuisce valore al fatto in virtù di norme di sistema che attribuiscono al giudice e all’interprete questo potere”. Tut- to ciò con un uso corretto delle tecniche interpretative delle norme interne e comunitarie.
che le viene sottoposto e, in questo modo, la senten- za può anche costituire un precedente valido94. L’alternativa al vincolo della fattispecie in questa prospettiva diviene perciò, secondo alcuni, il vinco- lo del precedente che soddisfa, quantomeno, un grado minimo di certezza e di calcolabilità delle de- cisioni, senza però limitare la flessibilità del giudi- zio in termini di effettività95.
Se questo è il quadro che caratterizza questo momento storico e che segna il riparto di competen- ze tra legislatore e giudice, la certezza e la prevedi- bilità sembrano, alla luce di queste considerazioni, poter essere salvaguardate.
La Corte di Giustizia mostra, al di là delle criti- che fin qui svolte, in moltissime decisioni come si fa a procedere in tal senso: muovendo dal fatto, se- lezionando il principio e riportandolo a sistema tra- dotto in una regola operativa. E’ il caso, esaminato con le sentenze Xxxxx e Xxxxxxxx, del principio di effettività applicato alla tutela dei consumatori, co- me quando la Corte riempie di contenuto la norma sulle clausole abusive assicurando la tutela giurisdi- zionale anche al di là della previsione normativa, ricorrendo al principio di equivalenza e a quello di effettività; o come quando in Xxxxxxxxx e Xxxxxx, statuisce il significato che assume la formula “chia- rezza e comprensibilità della clausola” sempre alla luce del principio di effettività.
Resta da stabilire, ma qui ci si limita ad una bat- tuta finale, quali siano le ricadute del modus ope- randi della Corte di Giustizia sul diritto interno.
I giudici domestici si uniformano alle scelte del giudice europeo importando principi e, per l’effetto, talvolta derogano ai principi di diritto interno (con il problema dei contro-limiti) oppure trasformano e reinterpretano il significato delle clausole generali (pensiamo alla trasparenza nei contratti con i con- sumatori). Tuttavia, nel procedere, essi devono ri- cordare che ormai il vero limite del giudice si trova proprio in uno stare decisis, sebbene attenuato (ri- spetto a quanto accade nel sistema di Common Law) che obbliga l’istanza inferiore a conformarsi al pre- cedente superiore oppure a riaprire il discorso intor- no ad esso con argomenti nuovi96. Come è stato af- fermato, “la nomofilachia è l’antidoto più forte all’incertezza e alla fluidità dell’esperienza giuridi- ca postmoderna” 97.
Il rispetto di questo paletto del vincolo del pre- cedente che agisce attraverso il prisma del principio fissato dalle giurisdizioni superiori è essenziale alla luce della necessità del dialogo fra le Corti superio-
ri, nazionali e sovranazionali. Diversamente, ragio- nare per finalità e principi in modo eccessivamente discrezionale renderebbe l’attività del giudice molto rischiosa, con la possibilità, talvolta, di fare apparire la Corte di Giustizia uno Statista e i giudici dome- stici (specie se di merito) dei Politicanti.
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94 X. XXXXXXX, op. cit., p. 28 ss.; X. XXXXX, op. cit., p. 145 ss.
95 Ancora, X. XXXXX, op. cit., p. 145.
96 X. XXXXXX, Calcolo giuridico e nomofilachia, in Calcolabili- tà giuridica, a cura di X. Xxxxxx, Bologna, 2017, p. 172.
97 X. XXXXXX, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, in Contr. e impr., 2017, p. 367. In questo senso, si rivela essenzia- le, a garanzia del sistema, la funzione nomofilattica esercitata dalla Cassazione a Sezioni Unite.
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ACCORDI IN FUNZIONE DEL DIVORZIO TRA AUTONOMIA E LIMITI
Di Xxxxxxx Xxxxxxx
SOMMARIO: 1. Gli accordi della crisi coniugale dopo l’intervento della Cassazione a Sezioni unite sull’assegno di divorzio. - 2. Gli accordi definitivi nell’evoluzione dell’ordinamento. - 3. Compatibilità del quadro normativo con la validità degli accordi divorzili - 4. Doppia funzione dell’assegno di divorzio secondo la Cassazione a Sezioni unite e autonomia dei coniugi. - 5. La nullità acritica nella recente giurisprudenza sugli accordi in previsione del divorzio. - 6. Artifici giurisprudenziali e meritevolezza della regolazione, anche prematrimoniale, degli effetti econo- mici della crisi coniugale. - 7. Equità dell’accordo definitivo sugli effetti economici. - 8. Rilevan- za della contribuzione personale anche dal confronto con altri ordinamenti - 9. Accordo in pre- visione del divorzio e accordo prematrimoniale: tra validità ed esigenze di riforma.
A c c o r d i i n f u n z i o n e d e l d i v o r z i o t r a a u t o n o m i a e l i m i t i ( A n t o n i o G o r g o n i )
ABSTRACT. La sentenza della Cassazione a Sezioni unite n. 18287/2018 sull’assegno di divorzio sollecita la riflessione sulla validità, quasi sempre esclusa dalla giurisprudenza, degli accordi prematrimoniali e di quelli conclusi a seguito della crisi coniugale e in previsione del divorzio. Si afferma nella pronuncia che i diritti rilevanti in materia hanno una «natura prevalentemente di- sponibile» e si argomenta, in chiave costituzionale, la doppia funzione dell’assegno divorzile. Una funzione non più esclusivamente assistenziale, ma anche perequativo-compensativa. Queste due novità, se correlate allo spazio che la disciplina legislativa riconosce all’autonomia contrattuale dei coniugi (e dei nubendi), inducono a sostenere la validità e l’efficacia sia degli accordi in vista del divorzio che di quelli prematrimoniali. Ciò senza far arretrare la tutela che l’ordinamento ha riservato al coniuge economicamente più debole.
The sentence of the Cassation to joint sections n. 18287/2018 on the divorce allowance solicits the reflection on the validity, almost always excluded from the jurisprudence, of premarital agreements and those concluded following the conjugal crisis and in anticipation of divorce. It is stated in the ruling that the relevant rights in the matter have a "prevalently available nature" and, in a constitutional key, the double function of the divorce allowance is argued. A function that is no longer exclusively assistance, but also equalization-compensatory. These two novelties, if related to the space that the legislative discipline recognizes the contractual autonomy of spouses (and nubendi), induce to support the validity and effectiveness of both the agreements in view of divorce and premarital ones. This without backing the protection that the legal system has reserved for the economically weaker spouse.
1. Gli accordi della crisi coniugale dopo l’intervento della Cassazione a Sezioni unite sull’assegno di divorzio.
Due affermazioni contenute nella sentenza della Cassazione a Sezioni unite, intervenuta di recente sull’assegno di divorzio1, inducono a ripensare il tema degli accordi divorzili2, sia prematrimoniali che conclusi a seguito della crisi coniugale, volti a regolare i rapporti patrimoniali tra i coniugi.
La prima è lapidaria ma significativa: a proposi- to dei poteri istruttori officiosi del giudice nel pro- cedimento di divorzio, le Sezioni unite sottolineano quasi una contraddizione tra tali poteri e «la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco». La seconda, supportata da un’ampia motivazione, con- siste nella duplicità della funzione dell’assegno di divorzio: una funzione che non è più, quindi, esclu- sivamente assistenziale, ma anche e soprattutto pe- requativo-compensativa.
Sembra esserci un collegamento logico tra que- ste due asserzioni: l’ampliamento della funzione dell’assegno oltre la mera assistenza induce la Su- prema Corte ad affermare la natura «prevalentemen- te disponibile» dei diritti rilevanti nello scioglimen- to del matrimonio. Se questo è vero, però, si pec- cherebbe di superficialità concludendo sbrigativa- mente che le Sezioni unite avrebbero legittimato in- direttamente gli accordi in previsione del divorzio e finanche i patti prematrimoniali. Vi sarebbe un salto logico, non fosse altro perché le Sezioni unite si so- no espresse in termini di prevalente e non già di as- soluta disponibilità dei diritti.
Vero è che, al netto di fughe in avanti, un’ulteriore riflessione sul tema degli accordi colle- gati alla crisi coniugale si impone: prematrimoniali, a latere o in vista del divorzio. Basti ricordare che
1 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, in Giur. it., 2018, 8-9,
1843 ss., con nota di C. RIMINI, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, in Corr. giur., 2018, 10, 1186 ss., con nota di X. XXXXX, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni unite, in Foro it., 2018, I, 2699 ss., con nota di X. XXXXXXXX, L’assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica «terza via» e ivi 2703 ss., con nota di M. BIANCA, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?, in Fam. e dir., 2018, 11, 983 ss con nota di X. XXXXX, Attribuzio- ne e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare
2 X. XXXXXX, La sentenza delle Sezioni unite sull’assegno di divorzio favorirà i patti prematrimoniali?, in Fam. e dir., 2018, 11, 1031 ss. e C. RIMINI, Il nuovo assegno di divorzio: la fun- zione compensativa e perequativa, cit., 11 (versione in Banca- dati Leggi d’Italia, ID., Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una prospettiva per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, in Fam. e dir., 2018, 11, 1041 ss., colgono le potenzialità del decisum sull’evoluzione dell’ordinamento con riguardo ai patti prema- trimoniali e agli accordi, anche in funzione transattiva, conclusi in sede di separazione consensuale.
uno degli argomenti a sostegno della nullità della maggior parte di essi è stato tratto dalla natura esclusivamente assistenziale dell’assegno di divor- zio3. Ma è proprio quest’assunto ad essere stato su- perato dalle Sezioni unite della Cassazione. Da qui l’esigenza di verificare se e in quali limiti gli accor- di originati dalla crisi - sui quali ci si soffermerà maggiormente - o i patti prematrimoniali siano vali- di ed efficaci.
Le Sezioni unite, nel superare il contrasto giuri- sprudenziale4 e dottrinale5 sulla funzione
3 Ex multis: Cass., 18.2.2000, n. 1810, in Corr., giur., 2000, 1021 ss.; Cass., 10.3.2006, n. 5302, in Banca dati Leggi d’Italia. Più di recente cfr.: Cass., 30.1.2017, n. 2224, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 7-8, 955 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Accordi preventivi tra coniugi e assegno divorzile una tantum: spunti di riflessione alla luce delle evoluzioni normative in ma- teria di gestione della crisi familiare, Cass., ord. 20.2.2018, n. 4764, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx.
4 Com’è noto il contrasto si è determinato per effetto di
un’innovativa sentenza della Cassazione del 10.5.2017, n. 11504, in Giur. it., 2017, 6, 1299 ss., con nota di X. XX XXXX, Divorzio. Assistenza o riequilibrio negli effetti del divorzio?, in Giur. it., 2017, 8-9, 1795 ss., con nota di C. RIMINI, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, in Corr. giur., 2017, 7, 885, con nota di X. XXXXXX, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?. in Fam. e dir., 2017, 6, 636 ss., con nota di X. XXXXXX, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, e ivi con nota di E. AL MUREDEN, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solida- rietà post-coniugale, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 7-8, 1001 ss., con commento di U. ROMA, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’autosufficienza economica. Secondo questa sentenza, l’inadeguatezza dei mezzi di cui all’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 deve essere rapportata non più all’impossibilità di godere di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ma alla non autosufficienza economica. Tale ultima condizione assurge a presupposto dell’assegno di divor- zio (l’an), la cui quantificazione (il quantum) dipende dall’applicazione degli indicatori di cui al medesimo art. 5, co.
6. In sostanza, secondo la pronuncia de qua, chi risultava eco- nomicamente autosufficiente non aveva diritto all’assegno; chi non lo era ne aveva diritto nella misura che sarebbe dipesa dall’applicazione degli indicatori di cui all’art. 5, co. 6, cit. La Suprema Corte confermava, quindi, la costruzione bifasica dell’assegno di divorzio, innovando radicalmente in punto di an dell’assegno. Ciò in aperto contrasto con l’orientamento quasi trentennale inaugurato da Xxxx. Sez. un. 29.11.1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 67 ss., con nota di X. Xxxxxx, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite, in Corr. giur., 1991, 3, 305 ss., con nota di X. Xxxxxxxxxx, Le Sezioni Unite ritorna- no sul «tenore di vita» del coniuge divorziato, e costantemente seguito sino al 2017. Alcune pronunce di merito hanno preso le distanze da tale revirement: Trib. Roma, sez. I civ., 21.7.2017, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Roma, 7.3.2018, n. 4858, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx.); Trib. Udine, 1.6.2017, in Fam. e dir., 2018, 3, 272 ss., con nota di B. M. XXXXXXXXX, Xxxxxxx divor- zile: la vexata quaestio del rilievo da attribuire al tenore di vita matrimoniale, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 2, 215 ss., con
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dell’assegno di divorzio, attraverso un’interpretazione unitaria dell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970, hanno attribuito un particolare rilievo agli accordi sull’indirizzo della vita familiare (art. 144 c.c.). Questi ultimi, nella valutazione delle par- ti, si giustificano e governano la vita matrimoniale, laddove, invece, nella crisi coniugale, possono pale- sare conseguenze negative sulla condizione econo- mico-patrimoniale di uno dei coniugi. Ed è in que- sta ipotesi che viene in rilievo l’ulteriore funzione dell’assegno di divorzio, che consiste non già nel riequilibrare le fortune economiche degli ex coniu- gi, ma piuttosto nell’attribuire un valore monetario agli «sforzi e alle rinunce» che hanno connotato la vita matrimoniale del richiedente l’assegno6.
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La necessità che il giudice, nel decidere sull’attribuzione dell’assegno, consideri gli effetti negativi degli accordi di indirizzo discende - secon- do le Sezioni unite - dal principio costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29, co. 2, Cost.). L’art. 5, co. 6, l. 898/1970, proprio in attuazione di tale principio, impone al giudice di tener conto del «contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno». Tener con- to, come si diceva, non già solo eventualmente in sede di quantificazione, ma di attribuzione dell’assegno (ed è questa la novità principale accol- ta dalle Sezioni unite).
A questo punto, la domanda da porsi è la se- guente: attesa la doppia funzione dell’assegno, può il coniuge economicamente più debole in occasione della separazione consensuale - nel relativo proce- dimento o a latere di essa - accordarsi sull’attribuzione di una somma di denaro o di altri beni o diritti quale corrispettivo per aver contribuito alla conduzione familiare e alla formazione del pa- trimonio dell’altro a detrimento del proprio? Anco-
nota di U. ROMA, Primissime contestazioni al criterio dell’indipendenza economica per l’assegno di divorzio e non solo. sarà questa la tesi accolta dalle Sezioni unite n. 18287/2918, ci.).
5 X. XXXXXXXX-X. XXXXXX, L’assegno post-matrimoniale, in Tratt. dir. fam., diretto da X. Xxxxxxxx, La separazione persona- le dei coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza more uxorio, Milano, 2016, III, 2887, ritengono che riferire il sin- tagma mezzi adeguati non già al tenore di vita matrimoniale ma a un modello di vita autonomo e dignitoso sia perfettamente rispondente «alla lettera e allo spirito» della riforma attuata con la legge n. 74/1987. In tal senso si era già espressa Cass., 2.3.1990, n. 1652, in Dir. fam., 1990, 437 ss., con note di X. XXXXX, Assegno divorzile e principio di solidarietà post coniu- gale, e di F. DALL’XXXXXX, L’art. 10 della legge 75/1987 ed il dissidio sul concetto dei mezzi adeguati. Per una sintesi del di- battito cfr. X. XX XXXXXXX, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità, in Fam. e dir., 2015, 6, 537 ss. e ID., Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzi- le e famiglia destrutturata, Milano, 2007.
6 X. XXXXX, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezio- ni unite, cit., 6 (versione in Banca dati-Leggi d’Italia).
ra: se tale accordo è valido, quale rilevanza ha in sede di divorzio?
Si cercherà di dimostrare come un tale accordo, nonostante l’orientamento giurisprudenziale preva- lentemente contrario, sia valido anche se funzionale a regolare gli effetti economici del divorzio. Ma ciò non postula affatto un’assoluta libertà negoziale, non potendosi, ad esempio, rinunciare all’assegno di divorzio7.
L’evoluzione dell’ordinamento, tuttavia, si è mossa verso un riconoscimento sempre più ampio dell’autonomia contrattuale dei coniugi. Su ciò me- xxxx soffermarsi.
2. Gli accordi definitivi nell’evoluzione dell’ordinamento.
Com’è noto vi è una sola disposizione che con- sente ai coniugi, d’accordo tra loro, di regolare de- finitivamente i loro rapporti economici. È quella contenuta nell’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970 sulla cor- responsione in unica soluzione di una somma di de- naro (o di un trasferimento/costituzione di un diritto reale), il cui effetto è di impedire, inderogabilmen- te8, ogni successiva domanda di contenuto econo- mico. Quest’effetto è subordinato al controllo giu- diziale di equità del contratto.
La disposizione de qua è inserita in materia di scioglimento del matrimonio e non di separazione consensuale. Probabilmente questa collocazione ha favorito alcuni esiti interpretativi che hanno prestato il fianco a penetranti critiche dottrinali9. È stata so-
7 X. XXXXXXXX, La separazione personale, in La separazione personale dei coniugi, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, 59 ss., pur riconoscendo gli ampi spazi riservati all’accordo nella crisi matrimoniale, non si lascia giustamente convincere dall’idea del dominio dell’autonomia negoziale. Un’autonomia deve fare i conti con l’art. 160 c.c., con la regola dell’efficacia rebus sic stantibus e con l’irrinunciabilità dell’assegno di separazione e di divorzio. C. IRTI, L’accordo di corresponsione una tantum nelle procedure stragiudiziali di separazione e divorzio: spunti di riflessione sulla gestione della crisi coniugale tra autonomia delle parti e controllo del giudi- ce, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 4, 812 ss. (versione in Banca dati Leggi d’Italia), afferma che l’ampliamento della libertà dei coniugi «ha riguardato, sino ad oggi, soprattutto la decisione in merito allo scioglimento del vincolo e alle proce- dure di scioglimento dello stesso, piuttosto che quelle relative alle concrete pattuizioni oggetto del contenuto degli accordi, anche quelle di natura economica, ancora ampiamente soggette agli originali vincoli normativi».
8 X. XXXXXXXX-X. XXXXXX, L’assegno post-matrimoniale, cit., 2977, sottolineano come l’effetto preclusivo dell’accordo sull’una tantum sia insuscettibile di patto contrario e riguardi ogni possibile domanda di contenuto economico, anche di natu- ra alimentare, poiché, in forza dell’accordo stesso, si scioglie il vincolo di solidarietà economica.
9 Più di recente: X. XXXXXXXX, L’autonomia privata nella fami- glia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 303 ss.; C. XXXX, Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita, in Dir. Fam. e pers, 2016, 665 ss.; R.
prattutto la giurisprudenza a ritenere fermamente che: gli accordi raggiunti in sede di separazione consensuale sono sempre modificabili in sede di di- vorzio (art. 156, ult. co. c.c.); essi sono nulli se con- clusi in previsione del divorzio e, a fortiori, i patti prematrimoniali sono, in quanto tali, cioè in ragione della loro causa, affetti da nullità.
Questa sicurezza in ordine alla nullità non trova riscontro in una espressa disposizione di legge. Per la verità, la mancanza di disposizioni specifiche su- gli accordi tra coniugi in crisi costituisce un limite della disciplina. Un limite tanto più grave se si con- sidera che, spesso, le parti hanno interesse a regola- re definitivamente i rapporti patrimoniali. Ciò può dipendere dalla decisione già maturata - comune o assunta da uno soltanto - di sciogliere il matrimonio e dall’intento di eliminare ogni contatto con l’altro, finanche quello caratterizzato dal rapporto di debi- to/credito, oppure dal desiderio di vivere un altro legame di tipo familiare, avendo la completa dispo- nibilità dei propri redditi.
In questi casi i coniugi, dovendo prima conse- guire lo status di separati, trovano un ostacolo nella giurisprudenza della Cassazione secondo cui, nella fase della separazione, non è consentito regolare conclusivamente gli aspetti patrimoniali. L’accordo perfezionato a tal fine, essendo in funzione del di- vorzio, sarebbe nullo per illiceità della causa10.
Questa posizione di chiusura non è consonante né con le disposizioni del codice civile11, di cui si tratterà nel paragrafo successivo, né con la più re- cente evoluzione dell’ordinamento giuridico, alla quale è necessario accennare per cogliere qualche iniziale indicazione di carattere generale12.
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La legge n. 76/2016 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disci- plina delle convivenze) ha sostanzialmente rafforza- to il diritto fondamentale di vivere un legame di tipo familiare, formalizzato in un istituto diverso dal ma-
trimonio13. Anche il convivente di fatto acquista di- ritti patrimoniali e non patrimoniali (art. 1, coo. 36, 42, 44, 46, 65 l. n. 76/2016). Perciò,
un’interpretazione della normativa sulla crisi coniu- gale in senso marcatamente restrittivo dell’autonomia negoziale finisce per scontrarsi con l’effettività del diritto di costituire un’altra fami- glia14 o, secondo la terminologia più cara al nostro legislatore, una nuova formazione sociale.
Ancora: la legge n. 55/2015 (Disposizioni in ma- teria di scioglimento o di cessazione degli effetti ci- vili del matrimonio nonché di comunione tra i co- niugi) ha ridotto la durata della separazione neces- saria per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il tempo della permanenza dello status di coniuge separato è stato diminuito da tre anni a dodici mesi in caso di separazione giudi- ziale o a sei mesi se la separazione è consensuale o perfezionata tramite il procedimento di negoziazio- ne assistita. La prossimità tra separazione e divorzio rende irrazionale una nullità dell’accordo concluso in sede o a latere della separazione per disciplinare anche gli effetti del divorzio15.
13 Cass., 19.5.2017, n. 11504, cit., tra gli argomenti adoperati per stabilire un nuovo criterio di riferimento dell’an dell’assegno di divorzio, utilizza anche quello della tutela del diritto fondamentale dell’individuo di costituire una nuova fa- miglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare. Può essere richiamata anche Xxxx., 3.4.2015, n. 6855, in Fam. e dir., 2015, 6, 553 ss., con nota di X. XXXXXXXX,
«Famiglia di fatto» e assegno di divorzio. Il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione, in Giur. it., 2015, 10, 2078 ss., con nota di X. XXXXXXXX, La Cassazione e l’incidenza della convi- venza more uxorio sull’assegno, che estende l’art. 5, co. 10, l.
n. 898/1970 sulla cessazione dell’obbligo di corrispondere l’assegno di divorzio all’ipotesi in cui l’ex coniuge creditore dell’assegno, invece di passare a nuove nozze, come prescrive l’articolo de quo, abbia dato vita ad una vera e propria famiglia di fatto. La quale può ritenersi esistente - soggiunge la Suprema Corte - quando la convivenza abbia assunto «i connotati di sta- bilità e continuità, e i conviventi [abbiano elaborato] un proget-
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to e un modello di vita comune (analogo a quello che di regola
MONTINARO, Accordi stragiudiziali sulla crisi coniugale e giu- stizia contrattuale, in Biblioteca della Fondazione del not., Ac- cordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di X. Xxx- xxxx e X. Xxxxxxx,.2018, 1, 209 ss e xxx X. XXXXXXX, Contratti in vista del divorzio e assegno postmatrimoniale, 255 ss.,
10 Da ultimo Cass., ord. 20.2.2018, n. 4764, cit.,
11 E. QUADRI, La nuova legge sul divorzio. Profili patrimoniali, Napoli, I, 1987, 43 ss.
12 Cfr.: X. XXXXXXXXXXX, La legge sulle unioni civili e la disci- plina delle convivenze, in Fam. e dir., 2016, 10, 845 ss.; F. D. XXXXXXXX, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti in Riv. dir. civ., 2016, 6, 1447 ss.; X. XXXXXXX, La fecondazione assistita tra legge e giudici, in Persona e mercato, 2016, 1, 4 ss.; X. XXXXXX, Capire il dirit- to di famiglia attraverso le sue fasi, in Riv. dir. civ., 2017, 6, 1572 ss.; X. XXXXXXX, Negoziazione assistita per la separazione o il divorzio. Tutela dei figli minori e poteri del Presidente, in Fam. e dir., 2017, 3, 267 ss.; M. PALAZZO, Il diritto della crisi coniugale: antichi dogmi e prospettive evolutive, in Riv. dir. civ., 2015, 3, 575 ss.;
caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)». Dunque, chi esercita il proprio diritto di formare una nuova famiglia, sia pur di fatto, non può continuare a pretendere l’assegno di divorzio dall’ex coniuge debitore, giacché, per effetto di tale nuova for- mazione sociale, «si rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita goduto durante la convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile». Cfr. anche Cass., 19.3.2014, n. 6289, in Fam. e dir., 2015, 5, 470 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Assegno di divorzio e nuova famiglia dell’obbligato, sulla rimodulazione dell’assegno di divorzio in considerazione del nuovo matrimonio del sogget- to debitore dello stesso. Insomma, la regolazione giuridica degli effetti economici del divorzio deve tener conto che un’ultrattività del matrimonio, sotto il profilo economico, ri- schia di confliggere con la tutela del diritto fondamentale a co- stituire una nuova famiglia.
14 Secondo X. XXXXXXX, La funzione del diritto privato in Euro- pa, in Persona e mercato, 2018, 2, 150, «l’effettività non rende giuridico un fatto che non lo è, ma assicura ad un interesse rile- vante la massima tutela». Cfr. amplius ID., Effettività delle tute- le (diritto civile), voce, in Enc. dir., Xxxxxx, X, 2017, 381 ss.
15 X. XXXXXXXXX, Accordi stragiudiziali sulla crisi coniugale e giustizia contrattuale, cit., 226-227, trae dalla disciplina del c.d.
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Significativa è anche la disposizione che, rispet- to all’orientamento giurisprudenziale consolidato16, ha anticipato lo scioglimento della comunione lega- le tra i coniugi al momento dell’autorizzazione pre- sidenziale a vivere separati (art. 2 l. n. 55/2015).
In questo quadro va richiamata anche la norma- tiva sulla negoziazione assistita, che consente ai co- niugi, finanche con figli minorenni, di addivenire alla separazione o al divorzio mediante un procedi- mento extragiudiziale, incentrato su un accordo che sia conforme alle norme imperative e all’ordine pubblico (artt. 5 e 6 d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014). In sostanza è stata introdotta una «forma di autonomia privata assistita» da un avvocato per parte, attraverso la quale i coniugi possano regolare i profili patrimoniali della separazione, anche unita- riamente e in previsione di quelli del divorzio. Si noti che il consenso alla negoziazione assistita po- trebbe intervenire anche dopo aver raggiunto l’intesa sugli effetti economici della separazione o del divorzio. Ciò non implica affatto commercio di status; piuttosto i coniugi, nel condizionare la sepa- razione o il divorzio consensuale all’intesa sui pro- fili economici, in un certo senso dispongono vali- damente del loro status 17.
Gli elementi appena indicati della brevità della separazione, dello scioglimento anticipato della co- munione legale e della centralità dell’accordo modi- ficativo/estintivo dello status di coniuge raggiunto nel procedimento di negoziazione assistita, dovreb- bero indurre la giurisprudenza ad aprire alla validità degli accordi, anche prematrimoniali, in funzione
“divorzio breve” uno degli indici della rilevanza delle «pattui- zioni e attribuzioni avvenute in occasione e in dipendenza della separazione». Il giudice del divorzio non può considerarle in- differenti perché nulle.
16 Ex multis cfr. Cass., 12.1.2012, n. 324, in Leggi d’Italia on line, secondo cui la comunione legale si scioglie, con effetto ex nunc, dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione o dall’omologa degli accordi di separazione consensuale.
17 C. RIMINI Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una prospettiva per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, cit., 5 (versione in Banca dati-Leggi d’Italia on line), rileva come le norme introdotte dal- la legge sulla negoziazione assistita familiare «sembr[ino] svuotare dall’interno la tesi che afferma la nullità dei patti in vista del divorzio sulla base dell’argomento per cui essi si risol- verebbero in un patto dispositivo dello status». Se la legge, con- tinua l’Autore, ha ammesso che il divorzio «avvenga per effetto di un patto fra coniugi e senza l’intervento del giudice, espres- samente [essa] riconosce la validità di un patto sullo status», salvo naturalmente per quanto attiene alle condizioni legali del divorzio (ad es.: la durata minima della separazione). X. XXXXXXXXX, op. cit., 225-226, rileva acutamente come la legge
n. 162/2014 abbia fatto cadere «l’argomento della indisponibili- tà preventiva al di fuori del procedimento di divorzio, sostenuto da una parte della dottrina favorevole alla tesi della nullità degli accordi preventivi». L’Autrice afferma esattamente l’irrilevanza del momento in cui l’accordo è concluso (p. 227). L’incidenza della negoziazione assistita sul tema della validità degli accordi della crisi coniugale è messa ben in rilievo da X. XXXXXXXX, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli ac- cordi in occasione o in vista del divorzio, cit. 325 ss.
del divorzio. Altrimenti non può che apparire con- traddittorio in una logica di sistema, da un lato, agevolare la separazione e lo scioglimento del ma- trimonio in un contesto sociale connotato da una pluralità dei modelli familiari, dall’altro, costruire artificiose nullità degli accordi conclusi proprio per facilitare la separazione e il divorzio.
Appare dunque incoerente, già sulla base di que- ste prime considerazioni, la nullità degli accordi in parola. Oltretutto, le disposizioni che andremo ad esaminare non escludono affatto l’autonomia dei coniugi con riguardo agli effetti economici del di- vorzio. Non solo: se il perno della pronuncia delle Sezioni unite del 2018 è la rilevanza delle scelte ef- fettuate in attuazione dei doveri coniugali di cui all’art. 143 c.c. (ciò che ha indotto a ritenere più complessa la funzione dell’assegno), a fortiori do- vrebbe riconoscersi ampio spazio all’autonomia ne- goziale dei coniugi, anche in previsione del divor- zio. Sono proprio questi ultimi i soggetti maggior- mente in grado di attribuire un valore monetario al ruolo assunto e al contributo offerto alla vita fami- liare da chi dei due si sia ritrovato in difficoltà eco- nomica al momento dello scioglimento del matri- monio.
3. Compatibilità del quadro normativo con la validità degli accordi divorzili.
Le disposizioni del codice civile e quelle sull’assegno di divorzio non escludono, né expressis verbis né implicitamente, che i coniugi possano ac- cordarsi in previsione dello scioglimento del matri- monio. L’art. 160 c.c. non smentisce quest’affermazione.
Tale articolo, sebbene afferisca alla sez. I del ca- po VI del titolo VI del libro I del codice civile, ha un ambito applicativo più esteso del regime patri- moniale della famiglia. Secondo la dottrina maggio- ritaria18 e la giurisprudenza xxxxxxx00 esso, nel pre- scrivere l’inderogabilità dei diritti e dei doveri ma- trimoniali, si riferisce anche agli effetti economici della separazione e del divorzio. Ne consegue, quale corollario dell’inderogabilità, l’irrinunciabilità del
18 X. XXXXXXXXX, Assegno di divorzio: attribuzione giudiziale e disponibilità degli interessati, in Giur. it., 1981, I, 1, 1553 ss.;
X. XXXXX, Le convenzioni matrimoniali, artt. 159-166 bis, in Commentario fondato da Xxxxxxxxxxx e diretto da Xxxxxxxx, Xx- xxxx, 2004, 342 ss.; X. XXXXX, Autonomia privata e causa fami- liare, Milano, 1996; T. V. RUSSO, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001; X. XXXXXXX, Accordi traslativi e crisi coniugale, Milano, 2009, 166 ss.; Contra X. XXXXXX, I contratti della crisi coniugale, Milano, 1999, 491 ss.; ID., Sulla natura disponibile degli asse- gni di separazione e divorzio: tra autonomia privata e interven- to giudiziale, in Fam. e dir., 2003, 5, 498.
19 Ex multis: Cass., 4.6.1992, n. 6857, in Corr. giur.1992, 863 ss., con nota di CARBONE; Cass., 30.1.2017, n. 2224, cit.
diritto all’assegno di mantenimento e all’assegno post-matrimoniale.
Ma l’irrinunciabilità non palesa indisponibilità assoluta del diritto, ponendo piuttosto un limite all’autonomia privata. L’ordinamento della crisi co- niugale è caratterizzato dal contemperamento tra l’autonomia negoziale e l’esigenza di protezione del coniuge economicamente più debole. E qui il di- scorso diventa delicato e complesso, in ragione an- che dei nuovi spunti che ha offerto la pronuncia del- le Sezioni unite del 2018 sull’assegno di divorzio. Se quest’ultimo ha una funzione oltre che assisten- ziale anche compensativa, si potrebbe pensare a una rinunciabilità di tale ultima componente dell’assegno, sebbene la funzione compensativa ab- bia fondamento nel principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Il coniuge più debole po- trebbe rinunciare validamente non all’assegno tout court, ma esclusivamente a ricevere un corrispettivo del contributo da egli prestato alla conduzione fami- liare e alla formazione del patrimonio dell’altro co- niuge20.
Certamente invalida sarebbe, invece, una rinun- cia alla componente assistenziale-alimentare dell’assegno di divorzio, essendo quest’ultima at- tuativa del principio di solidarietà post-coniugale.
Ma a parte queste considerazioni da approfondi- re, preme sottolineare un punto fermo che influenza l’efficacia degli accordi: la regola dell’efficacia re- bus sic stantibus di ogni pattuizione o statuizione giudiziale relativa agli effetti economici della sepa- razione o del divorzio (art. 156, ult. co., x.x., x xxx. 0, xx. 0, x. x. 000/0000). Un’eventuale rinuncia all’assegno varrebbe, semmai, come dichiarazione di autosufficienza economica, che di per sé non pre- clude una futura reviviscenza del diritto all’assegno nei limiti del sopravvenuto giustificato motivo. Ef- ficacia sì “precaria”, ma pur sempre originata dalla volontà delle parti, libere di determinare il contenu- to dei loro accordi economici.
Un’altra regola svela più di altre la disponibilità relativa dell’assegno post-matrimoniale; una dispo- nibilità che si traduce nel comporre uno spazio ri- servato all’autonomia patrimoniale dei coniugi21. È
20 C. RIMINI, Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una prospettiva per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, cit., 4 (versione in Ban- ca dati-Leggi d’Italia), sottolinea come l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale consenta di attribuire «all’art. 160 c.c. il valore non di un dogma assoluto ma di un principio flessibile in grado di contemperare l’autonomia negoziale in ambito familia- re con le conseguenze connesse alla particolare natura composi- ta dei diritti di cui si tratta».
21 X. XXXXXXXX, La separazione personale, cit., 60; X. XXXXX,
Le convenzioni matrimoniali, cit., 281- 420; ID., Gli «effetti in- derogabili» del matrimonio. (contributo allo studio dell’art. 160 c.c.), in Riv. dir. civ., 2004, p. 569 ss.; C. M. BIANCA, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, 228-229; X. XXXXXXXXX, voce Separazione personale, in Enc. giur., 1996, 19; X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, voce Separazione personale, in
quella, già ricordata, contenuta nell’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970, che subordina l’effetto preclusivo di suc- cessive domande di contenuto economico al giudi- zio positivo di equità della corresponsione in unica soluzione. Un giudizio espresso dal tribunale attra- verso un controllo di merito22, i cui parametri di ri- ferimento non sono stati esplicitati dalla medesima disposizione; ma su quest’ultimo punto si tornerà nel prosieguo.
Il giudizio di equità si atteggia, secondo una tesi già sviluppata altrove23, quale condicio juris non già di validità né di efficacia del patto, ma dell’eliminazione dell’efficacia rebus sic stantibus di esso. La mancanza della valutazione giudiziale o una valutazione di iniquità non rende l’accordo nul- lo né inefficace e perciò non vincolante; semplice- mente consente al coniuge più debole, titolare del diritto all’assegno, di chiedere un’integrazione di quanto pattuito.
L’impianto normativo, insomma, indica che i coniugi sono liberi di determinare il contenuto dei loro accordi economici, i quali assumono il carattere della definitività soltanto se valutati equi dal giudi- ce. Se questo è vero, si deve mettere in discussione la tesi della nullità degli accordi in previsione del divorzio: sia di quelli conclusi a latere della (o nel- la) separazione personale e destinati a regolare gli effetti economici del divorzio, sia degli accordi prematrimoniali.
Il legislatore non ha strutturato l’accordo eco- nomico divorzile quale atto complesso, la cui validi- tà o efficacia dipenda dall’intervento congiunto dei coniugi e del giudice24. Egli ha protetto colui il qua- le non possa mantenersi perché privo di «adeguati
Enc. dir., 1989, 1398-1399; X. XXXXXXXX, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, 58 ss.
22 X. XXXXXXXX-X. XXXXXX, L’assegno post-matrimoniale, cit., 2969, rilevano come la corresponsione in un’unica soluzione
«non mut[i] la causa del diritto all’assegno post-matrimoniale, che rimane la solidarietà post-coniugale, e neppure il suo titolo, che è pur sempre la legge». Quindi il giudice dovrà valutare se quanto previsto dai coniugi sia idoneo a soddisfare quell’esigenza.
23 X. XXXXXXX, Accordi traslativi e crisi coniugale, cit., 145 ss. La tesi sostenuta in questa monografia è condivisa da C. IRTI, L’accordo di corresponsione una tantum nelle procedure stra- giudiziali di separazione e divorzio (…), cit., 5. Il controllo di equità - preme qui ribadirlo - rappresenta un principio generale che presidia l’autonomia privata tra i coniugi in crisi. È vero che tale controllo entra in gioco soltanto quando si intenda sta- bilizzare gli effetti dell’accordo tra i coniugi in crisi, ma è an- che vero che è proprio la previsione di un tale controllo a limi- tare l’autonomia negoziale. Contra X. XXXXXXXX-A. NATALE, L’assegno post-matrimoniale, cit., 2967, i quali ritengono, in- vece, che il giudizio di equità sia un «requisito necessario, in assenza del quale, l’accordo, raggiunto dai coniugi, non è vin- colante, e deve reputarsi privo di effetto».
24 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, 1951, rist. Napoli, 2002, 301; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 2002, 211- 212; X. XXXXXXXX, voce Convenzione (diritto privato), in Enc. dir., 1962, 510 ss.
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redditi propri» (art. 156, co. 1, c.c.) o per mancanza di «mezzi adeguati» (art. 5, co. 6, l. n. 898/1970), attraverso due regole collegate: l’efficacia rebus sic stantibus dei provvedimenti giudiziali e degli ac- cordi sugli assegni matrimoniali e il giudizio di equità.
Non vi sono, dunque, ostacoli normativi ad am- mettere la validità dell’accordo concluso durante la separazione personale con lo scopo di regolare gli effetti non soltanto di tale istituto, ma anche del fu- turo divorzio. Di tale accordo, sebbene non sottopo- sto al giudizio di equità - del resto non previsto nel procedimento di separazione - non può essere pre- dicata la nullità né l’inefficacia; esso, piuttosto, non produrrà l’effetto estintivo dell’efficacia rebus sic stantibus, che caratterizza ogni accordo della crisi coniugale.25.
L’accordo perfezionato fin dalla separazione po- trà essere assoggetto al giudizio di equità successi- vamente, in sede di divorzio26. Non solo: il giudice del divorzio, richiesto di valutare i presupposti del diritto all’assegno, dovrà tener conto degli accordi conclusi in sede di separazione, soprattutto quando i coniugi abbiano esplicitato in essi la comune inten- zione di riequilibrare le loro posizioni economico- patrimoniali27. Ciò è tanto più vero alla luce della nuova funzione perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio, in base alla quale il giudi- ce dovrà considerare anche gli effetti positivi dello scioglimento della comunione legale28.
Se le Sezioni Unite del 2018 hanno sottratto all’orientamento della nullità l’argomento della fun- zione esclusivamente assistenziale dell’assegno di divorzio, a tale impostazione rimale l’asserzione, fragilissima, della causa illecita. Si sostiene, con un’incongrua generalizzazione, che l’accordo in
25 Questa tesi consentirebbe di avvalersi della liquidazione una tantum anche nel procedimento di negoziazione assista di cui all’art. 6 del d.l. n. 132/2014 cov. in l. n. 162/2014, demandan- do a un successivo intervento del giudice la valutazione di equi- tà. C. IRTI, L’accordo di corresponsione una tantum nelle pro- cedure stragiudiziali di separazione e divorzio (…), cit., 3 ss., approfondisce questo tema, ricordando tra l’altro che nella pro- cedura davanti al sindaco, disciplinata dall’art. 12 d.l. 132/2014 conv. in l. 162/2014, sono inammissibili i patti produttivi di effetti traslativi di diritti reali. È consentito, invece, per effetto della Circolare ministeriale n. 6/2015, confermata da una pro- nuncia del Consiglio di Stato, accordarsi sulla misura dell’assegno di separazione o di divorzio.
26 C. RIMINI, Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una prospettiva per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, cit., 7 (versione in Ban- ca dati-Leggi d’Italia), ammette che la valutazione di equità possa essere effettuata ex post dal giudice, qualora uno dei co- niugi, dopo aver sottoscritto un accordo in sede di separazione, formuli in sede di divorzio o successivamente ad esso «pretese incompatibili con l’accordo medesimo».
27 C. RIMINI, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compen- sativa e perequativa, cit., 9 (versione in Banca dati-Leggi d’Italia).
28 X. XXXXX, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Se- zioni Unite, cit., 4 (versione in Banca dati-Leggi d’Italia).
previsione del divorzio «appa[ia] sempre connesso, esplicitamente o implicitamente, alla finalità di vi- ziare o limitare la libertà [del coniuge che accetti una determinata prestazione] di difendersi nel suc- cessivo giudizio di divorzio, sia in relazione agli aspetti economici sia, e prima ancora, alla stessa di- chiarazione di divorzio»29.
La Suprema Corte vuole evitare che l’accordo in previsione del divorzio, da un lato, danneggi il co- niuge protetto, dall’altro, costituisca il mezzo per attuare il commercio dello status di coniuge. La re- plica è agevole: la sanzione della nullità è spropor- zionata e nient’affatto necessaria a tali finalità. Lo è perché la parte debole è adeguatamente tutelata dal- le regole appena sopra ricordate e per altre ragioni ben argomentate dalla dottrina30, incentrate soprat- tutto sul diritto soggettivo potestativo di ottenere il divorzio e sulla causa in concreto31.
L’argomento giurisprudenziale, ogni volta ripro- posto, della «radicale indisponibilità preventiva dei diritti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio» è fuori fuoco, almeno per due ra- gioni. La prima: esso è scollato da quell’equilibrio normativo di cui si è appena detto esistente tra au- tonomia privata e tutela del coniuge impossibilito a mantenersi. Il sistema esprime non già una radicale indisponibilità, ma un’ampia, non assoluta, disponi- bilità dell’assegno di divorzio. E la negoziazione assistita, come si diceva, ne è una chiara riprova.
Alla seconda ragione attinente alla nuova com- posita funzione dell’assegno di divorzio si è già fat- to cenno, ma essa necessita di un approfondimento
29 Cass., 6.12.1991, n. 13128, in Giust. civ., 1992, I, 1495 ss.,
con nota di X. XXXXXXX, Sull’indisponibilità dell’assegno di divorzio; Cass., 9.5.2000, n. 5866, in Leggi d’Italia on line.
30 X. XXXXX, Le convenzioni matrimoniali. Artt. 159-166-bis, cit., 425 ss.; X. XXXXXXX, L’autonomia privata nel diritto di fa- miglia sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2002, 213 ss.; X. XXXXXX, Gli accordi a latere nella separazione e nel divorzio, in Fam. e dir., 2006, 2, 147 ss.; X. XXXXXXXX, Gli accordi in vista del divorzio: la Cassazione conferma il proprio orienta- mento, in Fam. e dir., 2000, 431 ss.; X. XXXXXXXX, Accordi in vista del divorzio: il revirement incompiuto della Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 704 ss.; X. XXXXXXXXXX, Gli accordi preventivi sugli effetti economici del divorzio, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Napoli, 2008, 1321 ss. Più di recente cfr.: X. XXXXXX, Assetti patrimoniali in occasione della separazione, in Fam. pers. succ., 2011, 1 ss. (versione on line);
X. XXXXXXX, Gli accordi della crisi coniugale alla luce dell’interesse ad impugnare: una nuova presa di posizione del- la giurisprudenza di legittimità, in Fam. e dir., 2015, 4, 357 ss.;
X. XXXXXXX, Epicedio per la nullità dei contratti sugli effetti patrimoniali del divorzio, in Vita not., 2016, 3, 1499 ss.; X. XXXXXXXX, La Cassazione e gli accordi tra i coniugi in pen- denza del giudizio di separazione, in Fam. e dir., 2016, 8-9, 747 ss.
31 M. COMPORTI, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, in Giur. it., 1995, V, 110 ss.; F. D. BUSNELLI-X. XXXXXXXX, Con-
venzione matrimoniale (voce), in Enc. dir., Aggiornamento IV, 463.
per meglio fissare le implicazioni sul regime degli accordi qui indagati.
4. Doppia funzione dell’assegno di divorzio secondo la Cassazione a Sezioni unite e autonomia dei coniugi.
Perno dell’orientamento giurisprudenziale che propende per la nullità degli accordi in previsione del divorzio è la funzione esclusivamente assisten- ziale dell’assegno divorzile. Ma ciò non costituisce un argomento pregnante, atteso che non vi è un nes- so stringente tra questo carattere dell’assegno e la nullità degli accordi32.
Il problema dell’invalidità si pone piuttosto se il coniuge più forte abbia tratto vantaggio dolosamen- te o in violazione della buona fede nelle trattative dalla condizione di debolezza contrattuale in cui si trova l’altro. Non è questa la sede per sviluppare ta- le tema33; è utile, invece, rimarcare che oggi vi è un elemento in più in forza del quale contrastare l’orientamento giurisprudenziale della nullità degli accordi in previsione del divorzio.
Le Sezioni unite della Cassazione hanno ben ar- gomentato la doppia funzione dell’assegno di divor- zio: non soltanto assistenziale-alimentare, ma anche perequativo-compensativa34. Doppia funzione che emerge dalla prescrizione di cui all’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 rivolta al giudice, il quale deve tener con- to del «contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello di entrambi».
Il tener conto, secondo le Sezioni unite, deve av- venire non più nella seconda (eventuale) fase atti- nente alla quantificazione dell’assegno di divorzio (quantum), ma fin da subito per decidere sull’attribuzione del medesimo (l’an). Ciò in quanto l’assegno di divorzio è volto non soltanto a sostene- re l’ex coniuge privo di reddito o con un reddito in- sufficiente per vivere, ma anche a perequare, quan- do la disparità delle posizioni economico- patrimoniali dei coniugi sia dipesa dalle scelte con cui è stata indirizzata la vita matrimoniale.
La necessità, più che di perequare di compensare sacrifici, origina dal contribuito apportato da un co-
32 A. C. XXXXXXX, Il contenuto degli accordi pre-crisi, in Bi- blioteca della Fondazione del not., cit., vol. I, 94, afferma luci- damente come non sembri possibile «affermare che ogni accor- do che abbia ad oggetto la quantificazione dell’assegno divorzi- le debba essere considerato nullo, stante la funzione assistenzia- le di detto assegno, poiché ciò che va valutata è l’adeguatezza nel caso concreto». Ancora: «neanche può affermarsi che l’assegno di divorzio sia in assoluto indisponibile poiché ciò che è indisponibile è il principio di solidarietà (…)».
33 X. XXXXXXXXX, op. cit., 232 c.c., ne traccia una limpida sin- tesi.
34 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit., § 10.
niuge alla vita familiare; contributo frutto di scelte condivise e di attività svolte nella famiglia, che in- sieme possono determinare, al momento dello scio- glimento del matrimonio, un’inferiorità della pro- pria situazione economica rispetto a quella dell’altro35. Di conseguenza sorge l’esigenza, la cui base giuridica risiede nel principio della pari dignità dei coniugi, di compensare il coniuge più debole. Il che si traduce nell’attribuzione di una somma di de- naro che esprima il valore di quelle scelte e attività.
Ecco che le Sezioni unite hanno reinterpretato l’inadeguatezza dei mezzi di cui all’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 come un presupposto «intrinsecamente relativo»36, da riferirsi alla storia matrimoniale. I mezzi sono inadeguati se le scelte attuative dei do- veri matrimoniali (art. 143 c.c.) e dell’indirizzo del- la vita familiare (art. 144 c.c.) li hanno resi tali, se- condo una sequenza causale da accertare nel proce- dimento di divorzio37.
È stata pertanto abbandonata quella consolidata distinzione tra criterio attributivo e parametri de- terminativi dell’assegno38. Errato è stato ritenuto
35 Secondo Cass. Sez. un. 11.7.2018, n. 18287, cit., «al fine d’indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell’esigenza riequilibratrice posta a base dell’orientamento proposto dalle Sezioni unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standards euro- pei [cui è dedicato un cenno nella parte finale della sentenza], questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5 co. 6 più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come già evi- denziato, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost».
36 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit., § 10, così si espri- me.
37Cass. Sez. un. 11.7.2018, n. 18287. In applicazione del nuovo orientamento cfr. Trib. Pescara, 29.8.2018, n. 1248, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx, che dispone la corresponsione dell’assegno di divorzio poiché dalla fase istruttoria è emerso che la ex moglie (già era stata pronunciata la sentenza non defi- nitiva di divorzio), a causa delle scelte condivise di non spende- re i propri titoli professionali e di trasferirsi con il marito al fine di agevolarlo nella progressione di carriera, si è ritrovata in condizioni economiche inferiori a quelle dell’ex marito (nel frattempo diventato colonnello). Il tribunale valorizza anche la circostanza dell’età della donna, la quale - si osserva - a 59 anni verosimilmente non troverà una collocazione in una scuola co- me insegnante (ne aveva i titoli) né altra occupazione.
38 X. XXXXXX, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazio- ne del «tenore di vita» e «autoresponsabilità»: «persone singo- le senza passato»?, in Corr. giur., 2017, 885 xx. (x. 00 xx. xxx- sione on line), svolge perspicue considerazioni sulle possibili incongruenze derivanti dalla scissione del giudizio attributivo dell’assegno da quello attinente alla sua quantificazione, essen- do, i medesimi giudizi, due facce della stessa medaglia. L’Autore stigmatizza astrattezza del criterio dell’autosufficienza economica, il quale finisce con l’ignorare che il matrimonio «rappresenta per i coniugi un momento di intima compenetrazione delle sfere personali ed (inevitabilmen- te) economiche, le cui conseguenze devono essere disciplinate in modo tale da assicurare comunque l’adeguata partecipazione di ciascuno a quanto insieme complessivamente costruito». An- che U. ROMA, Primissime contestazioni al criterio dell’indipendenza economica per l’assegno di divorzio e non
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dalle Sezioni unite sia l’orientamento giurispruden- ziale che ancorava l’assegno di divorzio all’analogo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sia quello più recente della non autosufficienza econo- mica.
In questo nuovo scenario, al fine di rendere ef- fettiva la funzione perequativo-compensativa dell’assegno, il richiedente dovrà provare, anche per presunzioni, i fatti che hanno determinato la dispari- tà economico-patrimoniale conseguente allo scio- glimento del vincolo.
Ebbene, posto che l’assegno di divorzio non ha più una funzione esclusivamente assistenziale, giu- stificandosi in ragione delle conseguenze negative della vita familiare nella sfera economico- patrimoniale, si apre uno spazio ancor più netto e ampio per l’autonomia privata dei coniugi. Nessuno meglio di questi ultimi è in grado di ricostruire la vita matrimoniale, stabilendo quanto valga il contri- buto apportato da ciascuno alla famiglia.
Se il matrimonio, come è stato sottolineato dalle Sezioni unite, si costituisce vive e cessa per effetto dell’autodeterminazione delle parti, le quali stabili- scono i ruoli e il contributo di ciascuna di esse in attuazione dell’art. 143 c.c., anche la determinazio- ne degli effetti economici dello scioglimento deve rientrare nella disponibilità delle stesse39. E un ac- cordo su tali effetti ben può essere raggiunto in pre- visione del divorzio, fin dalla separazione consen- suale, posto che il principio consensualistico, come
ha dimostrato un’autorevole dottrina40, connota l’intero istituto del matrimonio, dove in posizione di assoluta centralità si colloca il rapporto41.
Ritenere ancora nullo l’accordo in funzione del divorzio appare davvero incongruo rispetto non sol- tanto ai recenti sviluppi legislativi dell’ordinamento, come sopra tratteggiati, ma anche in ragione della doppia funzione dell’assegno di divorzio. L’accordo concluso in occasione della crisi coniugale, nel o fuori dal procedimento giudiziale o extragiudiziale, in cui si preveda una corresponsione in unica solu- zione o un trasferimento della proprietà non è illeci- to, essendo volto ad attuare la funzione equilibratri- ce dell’assegno post-matrimoniale, rilanciata dalle Sezioni unite.
Non è da condividersi, pertanto, quella giuri- sprudenza più recente che ha predicato la validità del patto soltanto qualora la sua causa sia estranea alla volontà comune di disporre dell’assegno di di- vorzio ora per allora42. A parte che, come si dirà più estesamente in seguito, tale distinguo - causa estra- nea/non estranea - è piuttosto evanescente, volendo le parti in ogni caso regolare gli effetti economici della crisi coniugale.
Si dirà che la Cassazione non ha sempre predica- to la nullità. È vero. Una timida apertura si è avuta in un tempo più risalente, quando la Suprema Corte, per tutelare il coniuge più debole, si è rifugiata, non senza una lampante contraddizione43, nella nullità
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40 X. XXXXXXX, Xxxxxxxx e rapporto nella teoria del matrimonio
solo, cit., 5 ss. (versione on line), critica Xxxx., n. 11504/2017, cit., soprattutto perché il criterio dell’autosufficienza economica esclude il coniuge, che in tale situazione si trovi, «dalla com- partecipazione alle risorse cumulate dall’altro, spesso proprio in ragione delle scelte compiute dalla coppia nel «pregresso rap- porto matrimoniale» (cfr. anche art. 9, coo. 2 e 3, e art. 12-bis l.
n. 898/1970). L’altro profilo della critica, su cui Roma si sof- ferma lucidamente, attiene alle intollerabili incertezze contenu- tistiche del criterio dell’autosufficienza economica.
39 La Cass. Sez. un. 11.7.2018, n. 18287, cit., afferma che «i principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in matri- monio ma, ciò che è più rilevante ai fini degli effetti conseguen- ti al suo scioglimento così come definiti nell’art. 5, co. 6 l. n. 898/1970, hanno determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall’art. 143 cod. civ. La conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano do- veri e obblighi che imprimono alle condizioni personali e eco- nomiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla dura- ta del vincolo, anche irreversibile». E, sempre secondo le Se- zioni unite, sono proprio i criteri di cui all’art. 5, co. 6 cit. a sot- tolineare che il matrimonio è atto di libertà e di autoresponsabi- lità, il che esige di considerare le declinazioni della vita matri- moniale in via principale e non subordinatamente all’accertamento di una condizione astratta qual è l’analogo tenore di vita o l’autosufficienza economica. Diversamente opi- nando, il matrimonio finisce col diventare un fattore che gene- ra, al momento del suo scioglimento, disparità e disuguaglianze tra gli ex coniugi.
civile, in Riv. dir. civ., 1990, 153 ss,, oltre a trarre argomento da una serie disposizioni del codice civile sul matrimonio (ad es: artt. 1119, 120, 22, 123 c.c.), ragiona sull’aggettivo «naturale» di cui all’art. 29 Cost. per valorizzare il consenso.
41 X. XXXXXXX, Xxxxxxxx e rapporto nella teoria del matrimonio civile, cit., 164-165, ritiene che nel matrimonio, diversamente dal contratto, è il rapporto ad essere misura dell’atto; ciò in quanto «il matrimonio è un tipico atto a prevalente efficacia strumentale», dove la volontà dei coniugi, pur nella predetermi- nazione legale dei doveri derivanti dal matrimonio, «ha un peso importante e decisivo nella realizzazione del consorzio di vita, in che consiste l’attuazione del matrimonio-rapporto». L’illustre Maestro scrive di «regime consensuale permanente», il quale, se vale nella costituzione e nello svolgersi del rapporto, deve valere - si può aggiungere - anche a regolare lo sciogli- mento del matrimonio.
42 Cass., 19.8.2015, n. 16909, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass. 3.12.2015, n. 24621, in Fam. e dir., 2016, 8-9-,747 ss., con nota di X. XXXXXXXX, già cit. supra; Cass., 21.12.2012, n. 23713, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 5, 442 ss., con nota di
X. XXXXXXXX, Accordi in vista del divorzio: la crisi coniugale fra «causa genetica» ed «evento condizionale», in Fam. e dir., 2013, 321 ss., con nota di X. XXXXXX, Gli accordi prematrimo- niali in Cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nel- la Haarspaltemaschine, in Rass. dir. civ., 2015, 258 ss., con no- ta di I. TARDIA, Gli «accordi prematrimoniali» tra timide aper- ture giurisprudenziali, autonomia negoziale e tutela del coniu- ge economicamente debole. Cfr. anche Cass., 21.8.2013, n. 19304, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 2, 94 ss., con nota di
X. XXXXXXXXXXXX, Accordi in vista della crisi coniugale: from status to contract?
43 La rileva puntualmente X. XXXXXXXX, La separazione perso- nale, cit., 55, rispetto all’indisponibilità dello status, argomen-
relativa di matrice comunitaria44. Ma anche questa impostazione è da respingere, perché postula co- munque l’invalidità.
5. La nullità acritica nella recente giuri- sprudenza sugli accordi in previsione del divorzio.
La normativa sugli effetti della separazione e del divorzio limita ma non esclude l’autonomia privata. Il trasferimento della proprietà in previsione del di- vorzio, non assoggettato al giudizio di equità (ecco un limite), è un atto da ritenersi valido ed efficace rebus sic stantibus (l’altro limite). Ciò anche in ra- gione, come si diceva, del rilievo dell’autodeterminazione quale elemento che gover- na il matrimonio in tutte le sue fasi.
La più recente giurisprudenza di legittimità e di merito continua a non accogliere questa ricostruzio- ne45, avversando soprattutto gli accordi funzionali a
to, quest’ultimo, centrale dell’orientamento della Cassazione, che verrebbe, però, contraddittoriamente superato.
44 Cass., 14.6.2000, n. 8109, in Giur. it., 2000, 12, 2249 ss., con
nota di X. XXXXXXXX, Un incerto revirement della Cassazione in favore della validità degli accordi sui rapporti patrimoniali tra coniugi da valere anche dopo il divorzio; in Contratti, 2001, 1, 45 ss., con nota di M. DELLA CASA, Accordi stipulati in previ- sione del divorzio, giudizio di liceità della causa e tecnica di integrazione; in Notariato, 2001, 1, 16 ss., con nota di X. XX XXXXXXXX, Xxxxxxxx e accordi patrimoniali tra coniugi. Cfr. anche: Cass. 21.2.2001, n. 2492, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 345 ss., con nota di X. XXXXXXXX, la quale conferma la validità di una somma prevista in sede di separazione da con- siderarsi, per espressa pattuizione, quale anticipazione di un futuro incremento dell’assegno di divorzio. Tale accordo, se- condo la Cass., non integra «una rinuncia alla revisione futura dell’assegno di divorzio».
45 Trib. Milano, decr. 15-16.4.2015, in xxx.xxxxxx.xx, dichiara
regolare il divorzio. In particolare, è stata dichiarata nulla un’intesa perfezionata in occasione della sepa- razione personale, tenuta a latere di questa, con cui si trasferiva al coniuge in difficoltà economica una consistente somma di denaro. Somma da imputare, per volontà delle parti, a quanto sarebbe spettato a titolo di assegno di mantenimento e di assegno di- vorzile46.
Le ragioni del decisum sono sostanzialmente due: 1) in forza dell’art. 160 c.c. e della conseguente
«radicale indisponibilità dei diritti in materia ma- trimoniale», deve ammettersi la nullità dell’accordo in vista del divorzio, anche qualora lo stesso, come nel caso di specie, dovesse soddisfare pienamente le esigenze di vita del coniuge economicamente debo- le; 2) l’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970 è inapplicabile al di fuori del divorzio. Ne consegue l’inammissibilità in sede di divorzio del giudizio di equità del patto concluso nell’ambito della separazione personale. Ciò vale, continua la Cassazione, quand’anche vi sia stata la volontà concorde di entrambi i coniugi di chiedere successivamente la valutazione equitativa.
L’affermazione di cui al punto 1 ha una forza semantica che non corrisponde né al sistema giuri- dico, né all’intendimento delle parti. Non c’è una radicale indisponibilità, bensì una disponibilità limi- tata dal controllo giudiziale di equità. Un controllo che - è bene sottolineare - è richiesto dalla legge soltanto qualora i coniugi preferiscano la correspon- sione in unica soluzione e non già in ogni caso.
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L’autonomia negoziale gode perciò di ampio spazio e quando essa è stata esercitata - segno che i coniugi riescono ancora a collaborare nonostante la crisi - non la si può contrastare evocando la nullità. A rigore, come si diceva, neppure il patto iniquo è nullo, bensì improduttivo dell’effetto preclusivo di ulteriori domande di contenuto economico.
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la nullità del patto contenuto nel ricorso di divorzio con cui i
coniugi avevano previsto, quale corresponsione una tantum, due trasferimenti patrimoniali reciproci a titolo di assegno di- vorzile. La nullità, secondo il trib., è legata a uno «stridente contrasto con i profili pubblicistici che compongono la trama dell’art. 5 l. div.». Si sottolinea, da un lato, l’irragionevolezza del trasferimento reciproco, che postulerebbe la debolezza o la forza di entrambi i coniugi, laddove l’una tantum è uno stru- mento a tutela del coniuge privo di adeguati redditi propri. Dall’altro lato, l’operazione prospettata, non essendo legata all’assegno di divorzio, sarebbe volta «a privare i contraenti, per il futuro, del diritto al supporto economico con una “causa concreta” emergente, da stimarsi illecita». Questa motivazione suscita più di una perplessità. La corresponsione dell’assegno in unica soluzione può astrattamente concretarsi anche in un tra- sferimento reciproco della proprietà, qualora vi sia una diffe- renza di valore dei cespiti. Differenza che rappresenta il contri- buto al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi pro- pri. Si aggiunga che, per quanto già sostenuto sopra nel testo, quand’anche i valori dei beni fossero pressoché equivalenti, non c’è ragione di dichiarare la nullità del patto. Semplicemen- te, ove dovesse mancare (o sia negativo) il giudizio positivo di equità dell’accordo, sarebbero ancora ammissibili successive domande di contenuto economico. Forse il tribunale ha deciso per la nullità, avendo i contraenti dichiarato di voler «istituire due assegni una tantum». Ma anche in questo caso non si ravvi-
serebbero motivi di nullità. Per un approfondimento cfr. X. XXXXXXXX, Assegno di divorzio: «Doppia una tantum» e indi- sponibilità del diritto, in Fam. e dir., 5, 496 ss.
46 Cass., 30.1.2017, n. 2224, cit. È da notare che la Corte d’appello di Milano aveva deciso correttamente, revocando l’assegno di divorzio disposto in favore della moglie. La Corte, tenuto conto di alcuni parametri legali (durata del matrimonio, capacità patrimoniale dei coniugi, contributo personale dato dalla moglie alla famiglia) e della corresponsione alla moglie nel 2006 di una ingente somma di denaro, afferma quanto se- gue: «doveva ritenersi che in tal modo il [marito] avesse inteso corrispondere alla stessa quanto le sarebbe spettato per assegno di mantenimento ed assegno divorzile, dovendosi considerare che il predetto importo [di euro 1.934.922], per la sua rilevanza, assorbiva, per almeno vent’anni, persino la richiesta di un asse- gno divorzile parti ad euro 7.000 mensili». Insomma non è ra- gionevole ritenere, come fa la Cassazione, che quanto stabilito nella fase della separazione sia irrilevante nel procedimento di divorzio; né è corretto presumere iuris et de jure che l’attribuzione di una consistente somma di denaro induca il co- niuge beneficiario a divorziare. Non fosse altro perché, solita- mente, le trattative volte alla definizione dei rapporti economici iniziano quando il matrimonio è già irrimediabilmente com- promesso.
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Ancora sul punto 1: la Cassazione precisa che è nullo l’accordo in vista del divorzio pur vantaggioso per il coniuge in difficoltà economica. Quest’affermazione discende da un’attuazione estrema e astratta del principio d’indisponibilità de- gli status. Un principio ritenuto violato ogniqualvol- ta vi sia stata una preventiva e conveniente pattui- zione che, in quanto tale, indurrebbe - per così dire fisiologicamente - al divorzio47.
È evidente la fallacia di siffatto automatismo tra beneficio economico e decisione di divorziare o di non opporsi alla domanda altrui. Così argomentan- do si svuota proprio quel principio di autodetermi- nazione, legato al canone dell’uguaglianza di cui all’art. 29, co. 2, Cost., a partire dal quale le Sezioni unite della Cassazione hanno riconfigurato la fun- zione dell’assegno di divorzio48.
Se è infondata l’equazione accordo in previsione del divorzio uguale disponibilità dello status, va inoltre sottolineato, sempre in chiave di pars con- struens della validità, che lo status di coniuge è, sot- to certi profili, disponibile, se si considera che la domanda di divorzio, come del resto quella di sepa- razione49, non può essere paralizzata dal coniuge
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47 Cass., 30.1.2017, n. 2224, cit., richiama Cass., 18.2.2000, n. 1810, cit. a dimostrazione della saldezza dell’orientamento con- trario alla validità degli accordi in funzione e in vista del divor- zio. La Suprema Corte collega la propria pronuncia del 2017 ai precedenti anche risalenti, senza aprire ad altri ragionamenti, con una pigra ripetizione di frasi oramai disallineate dal tessuto normativo e dall’evoluzione complessiva dell’ordinamento.
48 Cfr. Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit., dove al § 9 c’è un passaggio particolarmente significativo in chiave costruttiva della doppia funzione dell’assegno di divorzio. Si dice che l’uguaglianza dei coniugi (art. 29, co. 2, Cost.) si invera nell’organizzazione della vita matrimoniale, caratterizzata dall’autodeterminazione dei medesimi che attuano i doveri di cui all’art. 143 c.c. Uguaglianza a autodeterminazione devono connotare anche la fase della crisi coniugale e l’accordo in fun- zione del divorzio è lo strumento più adatto allo scopo. Si legge nella sentenza: «Il canone dell’uguaglianza, posto a base dell’art. 29 Cost., può essere attuato e reso effettivo soltanto all’interno di una relazione governata da scelte che sono il frut- to di determinazioni assunte liberamente dai coniugi in partico- lare in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita familiare. L’eguaglianza si coniuga indissolubilmente con l’autodeterminazione e determina la peculiarità della rela- zione coniugale così come declinata dall’art. 143 cod. civ., norma che ne costituisce la perfetta declinazione. L’autodeterminazione non si esaurisce con la facoltà anche uni- laterale di sciogliersi dal vincolo, ma preesiste a tale determina- zione e connota tutta la relazione e, in particolare, la definizione e la condivisione dei ruoli endofamiliari». Osserva X. XXXXXX, Le Sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?, cit., 3 (versione Foro it. on line), che «Il principio di autodeterminazione, non più da inten- dersi quale mera espressione del libero arbitrio, risulta essere espressione del principio della dignità umana e felice sintesi di libertà e di responsabilità». Dunque, continua l’Autrice, «il ri- sultato assiologico delle sezioni unite del 2018 è la declamazio- ne di un felice equilibrio tra libertà e responsabilità e quindi tra autodeterminazione e solidarietà postconiugale».
49 Secondo Cass., 29.4.2015, n. 8713, Cass., 29.3.2011, n. 7125,
entrambe in Leggi d’Italia on line, e Cass., 14.3.2018, n. 6145, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx, la disaffezione e il distacco spirituale,
che intenda conservare il matrimonio. Pericolose sono, talvolta, le generalizzazioni se si considera che persino lo status filiationis, dove più forte è l’esigenza di indisponibilità, non è del tutto indi- sponibile; basti pensare al diritto della madre di non essere nominata nell’atto di nascita (art. 30, co. 1,
d.P.R. n. 396/2000) e all’ammissibilità della trascri- zione in Italia dell’atto di nascita legittimamente formato all’estero, da cui risulta che il nato ha come genitori due persone dello stesso sesso50.
Neppure il predetto punto 2 dell’argomentazione della Cassazione coglie nel segno. Certo, il giudizio di equità è disciplinato solo con riguardo al proce- dimento di divorzio. Xx è vero che esso «non è ap- plicabile al di fuori [di quest’ultimo]». Ma ciò non implica affatto che i coniugi non possano attuare la loro comune volontà di regolare, fin dalla separa- zione, gli effetti economici del divorzio. L’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970 non subordina al giudizio di
anche di uno solo dei coniugi, sono sufficienti a integrare il re- quisito dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza ai sensi dell’art. 151 c.c.
50 Cass., 30.9.2016, n. 19599, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 3, 362 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Le ragioni della trascrivibi- lità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex, in Corr. giur., 2017, 2, 181 ss., con nota di X. XXXXXXXX, Ordine pubblico e interesse del minore nella circo- lazione dello status filiationis, in Giur. it., 2017, 11, 2365 ss., con nota di X. XXXXXX, Omogenitorialità: la giurisprudenza italiana si apre all’Europa e al mondo. Cass., 15.6.2017, n. 14878, in Fam. e dir., 2018, 1, 5, con nota di X. XXXXX, Le “due madri” e il rapporto biologico. Perspicuo è il rilievo di X. XXXXXX, Capire il diritto di famiglia attraverso le sue fasi, cit., 3 (versione on line), secondo cui nell’attuale terza fase del dirit- to di famiglia (caratterizzata dalla centralità dei diritti umani e dal pluralismo dei modelli familiari), il concetto di status assu- me una «funzione declamatoria» e riassuntiva di obiettivi legi- slativi di tutela. Questa funzione entra in dialettica con la clau- sola del migliore interesse del minore, con la centralità dei dirit- ti umani di fonte sovranazionale (cfr. X. XXXXXXX, Il tempo dei diritti, in Persona e mercato, 2013, 2, 179 ss.) e con le proble- matiche suscitate dai processi migratori. Tutto ciò concorre a mettere in «discussione alcuni dei canoni della famiglia tradi- zionale» e a determinare, come afferma giustamente Xxxxxx,
«una sorta di polivalenza funzionale del concetto di status, il quale si rende disponibile a favorire l’affermazione ora di pro- spettive conservatrici dell’organizzazione sociale ora di tenden- ze e spinte che intendano mettere in radicale discussione quell’assetto». Questi complessi mutamenti devono essere valu- tati nel quadro dei principi e dei valori costituzionali, senza aprioristiche chiusure rispondenti a scelte, anche legislative, fortemente ideologiche. In tale più moderna prospettiva si col- loca l’orientamento della Cassazione favorevole a una nozione più ristretta di ordine pubblico internazionale (cfr. Cass. 30.9.2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, 2, 181 ss., con nota di
X. XXXXXXXX, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis; Cass. Sez. un., 5.7.2017, n. 16601, in Giur. it., 2017, 8-9, 1787 ss., con nota di A. DI MAJO, Principio di legalità e di proporzionalità nel risarcimento con funzione punitiva, in Danno e resp., 2017, 4, 419 ss., con note di X. XXXXXXXXXX, Polifunzionalità tra diritto internazionale privato e diritto privato, di P. G. MONATERI, Le Sezioni unite e le funzioni della responsabilità civile e in Nuova giur. civ. comm., 2017, 10, 1392, con nota di X. XXXXXXXX, Le direzioni della responsabilità civile tra ordine pubblico e punitive dama- ges.
equità la validità dell’accordo concluso nella fase della separazione personale. Piuttosto, secondo la disposizione de qua, affinché si possa ottenere l’effetto tombale, tale accordo dovrà essere succes- sivamente sottoposto al giudizio equitativo del giu- dice del divorzio.
Non bisogna perciò sovrapporre il piano della validità con quello del giudizio di xxxxxx, né evocare il primo in mancanza di norme imperative preclusi- ve dell’autonomia privata. La giurisprudenza ha creato un condizionamento eccessivo, reiterato acri- ticamente, tra l’indisponibilità dello status di coniu- ge, l’autonomia privata e la tutela del coniuge im- possibilitato a mantenersi, giungendo così, più che a proteggere quest’ultimo, a limitarne ingiustificata- mente il diritto di autodeterminarsi in tutte le fasi del matrimonio. Con ciò impedendo il miglior per- seguimento dei propri interessi economici.
Un condizionamento che dipende altresì, nella prospettiva della giurisprudenza, da una esorbitante e per certi versi irrealistica sottolineatura della di- versa funzione e dei diversi effetti prodotti dalla se- parazione e dal divorzio. Nella separazione - si rile- va - il rapporto coniugale non viene meno, determi- nandosi la sospensione dei doveri di natura persona- le, permanendo, invece, sia pur con un adattamento alla nuova situazione, quelli patrimoniali. Diversa- mente accade nel divorzio.
Questo distinguo non convince appieno, perché, sebbene esatto in termini descrittivi, non coglie l’evoluzione dell’ordinamento e l’interesse perse- guito in concreto dai coniugi. Si guarda a un profilo per così dire “didattico”, smarrendo il senso della complessità e della realtà del fatto.
Non va ignorato che nel rapporto tra separazione e divorzio c’è un elemento significativo, ben rimar- cato da un’attenta dottrina51. La separazione, con la caduta del principio di indissolubilità del matrimo- nio, non è da intendersi semplicisticamente come
«uno stato temporaneo orientato a favore della ri- conciliazione dei coniugi». Piuttosto essa appare, in ragione dell’evoluzione normativa di cui già si è già dato conto, come necessario momento, oggi divenu- to di più breve durata, propedeutico allo scioglimen- to del matrimonio.
Se così è, non si giustifica la regola giurispru- denziale che preclude ai coniugi, decisi fin da subito a sciogliere il matrimonio, di regolamentare in mo- do definitivo i propri rapporti economici. La richie- sta successiva di valutare l’equità dell’accordo non esprime altro che la conferma di quella volontà, pa- lesata fin dall’inizio della crisi, di porre fine al ma- trimonio con una regolamentazione ultima, concor- data e soppesata dalle parti, degli aspetti patrimo- niali52.
51 X. XXXXXXXX, Diritto di famiglia, Bologna, 2015, 171.
52 È evidente che in questo caso le distinzioni tra separazione consensuale e scioglimento del matrimonio si attenuano moltis-
6. Artifici giurisprudenziali e meritevolezza della regolazione, anche prematrimonia- le, degli effetti economici della crisi co- niugale.
La giurisprudenza di legittimità se, da un lato, ha negato validità agli accordi in previsione del divor- zio, dall’altro, ha delimitato un’area di rilevanza di alcuni contratti ascrivibili solo lato sensu alla crisi coniugale, non avendo in quest’ultima, secondo la Cassazione, la propria causa. Si tratterebbe di quegli accordi estranei alle vicende della vita matrimonia- le, giacché conclusi prima delle nozze53 e comunque slegati dai diritti e obblighi derivanti dal matrimo- nio54.
Questa linea di demarcazione, su cui si insiste da tempo, è stata ribadita più di recente dalla Suprema Corte55. Si continua a distingue tra contenuto neces- sario e contenuto eventuale dell’accordo di separa- zione. Il primo comprenderebbe il consenso a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegnazione del- la casa familiare e l’assegno di mantenimento (artt. 156, co. 1, e 337-ter c.c.). Il secondo riguarderebbe
«ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi»56, che trova nella separazione soltanto l’occasione per regolamentarla.
Siffatta distinzione, piuttosto labile, ha consenti- to di aggirare gli argomenti a sostegno della nullità degli accordi in funzione del divorzio; argomenti ritenuti dalla Cassazione non pertinenti, ove si di- scuta di pattuizioni riconducibili al contenuto even- tuale della separazione e perciò valide.
xxxx, poiché nel programma dei coniugi in crisi la separazione è reputata soltanto come un necessario presupposto del divor- zio.
53 Cass., 21.12.2012, n. 23713, cit. Nel caso di specie i nubendi, un giorno prima del matrimonio, stabiliscono con scrittura pri- vata quanto segue: qualora il matrimonio dovesse fallire per separazione o divorzio, la moglie cederà al marito la piena pro- prietà di un immobile a titolo di indennizzo delle spese che il marito sosterrà per la ristrutturazione in un altro immobile, da adibire a casa coniugale, sempre di proprietà della moglie. Per riequilibrare i valori del trasferimento immobiliare e dell’esborso di denaro, il marito trasferirà alla moglie la pro- prietà di un titolo BOT pari a lire 20.000.000. L’esecuzione del contratto è, quindi, per una parte immediata, per l’altra parte sospensivamente condizionata alla separazione o al divorzio.
54 Cass., 19.8.2015, n. 16909, cit.
55 Cass., 19.8.2015, n. 16909, cit.
56 Così Cass., 3.12.2015, n. 24621, in Foro it., 2016, 5, 1, 1826
ss.; analogamente cfr. Cass., 19.8.2015, n. 16909, cit., secondo la quale le pattuizioni ulteriori rispetto a quelle che integrano il contenuto tipico della separazione consensuale sono quelle che
«pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniale»).
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Si è creduto, così, di tracciare un confine netto tra gli accordi prematrimoniali, da ritenersi nulli, e quelle intese che, pur anteriori al matrimonio, sa- rebbero meritevoli di tutela perché non attinenti agli effetti economici della separazione e del divorzio. Per la stessa ragione, andrebbe predicata la validità di quegli accordi volti a riequilibrare una pregressa situazione patrimoniale; la nullità colpirebbe, inve- ce, quegli accordi in previsione del divorzio aventi la propria causa nella crisi coniugale.
In verità non è possibile degradare la separazio- ne e il divorzio a mere circostanze degli accordi tra coniugi, siano questi prematrimoniali o successivi alla crisi. Separazione e divorzio penetrano la causa di ogni pattuizione patrimoniale tra coniugi (o nu- bendi), giustificandone gli effetti57. Causa da inten- dersi nell’accezione, oramai consolidata, di «sintesi di interessi concreti che il contratto è diretto a rea- lizzare»58. Interessi che funzionalizzano il modello, anche tipico, adottato dalle parti, svelandone la ra- gione, lo scopo pratico59, in una prospettiva neces- sariamente dinamica della contrattazione.
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57 X. XXXXX, Autonomia privata e causa familiare, cit., 297 ss., è l’Autore che, con maggiore sforzo argomentativo, ha teorizza- to la causa familiare dell’accordo della crisi coniugale. Cioè un accordo che esprime una sintesi di tutti gli interessi e le situa- zioni emergenti nella fase patologica del rapporto matrimoniale. I tipi negoziali sono, infatti, insufficienti a qualificare l’accordo della crisi coniugale, essendo questo caratterizzato da una
«complessa ragione economico-giuridica». Cfr. anche X. XXXXXXX, Accordi traslativi e crisi coniugale, cit., 273 ss.
58 Cass., 8.5.2006, n. 10490, in Contratti, 2007, 7, 621 ss., con nota di X. XXXXXXX, La causa quale ragione in concreto del sin- golo contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 3, 299 ss., con nota di X. XXXXXXXXXX, La nullità del contratto d’opera per difetto di causa; Cass. Sez. un., 11.11.2008, n. 26972, in Xxxxx e resp., 2009, 1, 19 ss., con note di PROCIDA MIRABELLI di XXXXX XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, fa riferimento alla causa in concreto per valutare la risarcibilità del danno non pa- trimoniale da inadempimento del contratto; v. anche Cass. Sez. un., 6.3.2015, n. 428, in Giur. it., 2015, 5, 1064 ss., con nota di
X. XXXXXXX, Preliminare: l’atipicità dei procedimenti di for- mazione del contratto, sul preliminare di preliminare. In dottri- na dopo la fondamentale monografia di G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, cfr. alme- no: X. XXXXXXXXX, Tramonto della causa del contratto?, in Contr. e impr., 2003, I, p. 100 ss.; X. XXXXXXXXXX, Causa e giustizia contrattuale a confronto: prospettive di riforma, in Riv. dir. civ., 2006, 411 ss.; X. XXXXX, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in Contr. e impr., 2007, 2, 416 ss.;
X. XXXXX, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di legit- timità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 4, 957 ss.; X. XXXXXX, Una disciplina per la causa del contratto. Riflessioni in memo- ria di una nozione al tramonto, in Rass. dir. civ., 2017, 3, 858 ss.
59 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 171 ss., insiste sull’interesse (sociale) che deve connotare ogni contrat- to, il quale, altrimenti, mancherebbe di causa. Xxxxx non pensa affatto che la causa coincida con il tipo (cfr. p. 175 e p. 180). Egli scrive che «la causa caratteristica del tipo astratto cui il negozio appartiene comporta ed esige in ogni concreto negozio una specificazione o colorazione concreta, adeguata all’intento comune di esse parti» (p. 185). Piuttosto, com’è noto, Betti ri- teneva che la liceità fosse condizione necessaria ma non suffi-
E allora, se la finalità oggettiva dell’operazione economica ne esprime la causa60, gli accordi prema- trimoniali sono, in quanto tali, giustificati dal fine di regolare gli effetti economici della crisi coniugale. Ciò anche quando l’oggetto dell’accordo non ri- guardi direttamente gli assegni matrimoniali, ma si colleghi alla crisi coniugale.
Alla stessa conclusione si giungerebbe anche ac- cogliendo la lucida ricostruzione di chi61, alla no- zione di causa in concreto, preferisce un approccio incentrato sulla «ricostruzione della norma del caso concreto», così ponendo l’accento sulla proiezione della funzione materiale del negozio sul piano dell’ordinamento. Anche da questa più ampia e mo- derna prospettiva (funzione materiale + effetti), gli accordi tra i coniugi, sia in funzione del divorzio che prematrimoniali, appaiono meritevoli di tutela, collocandosi senza contraddizioni all’interno della disciplina della crisi coniugale62.
Non si condivide, pertanto, la Cassazione quan- do, in un caso che ha suscitato l’attenzione della dottrina, ha escluso che il patto prematrimoniale ap- partenesse agli accordi prematrimoniali63. Si è mo- tivato sostenendo, da un lato, che i nubendi non avevano regolato l’intero assetto economico, ma soltanto un determinato aspetto; dall’altro, che emergeva la volontà di disporre non già degli effetti della separazione e del divorzio, bensì di un rappor- to del tutto scollegato da essi.
Si trattava - secondo la Suprema Corte - di resti- tuire, attraverso una datio in solutum, quanto presta- to dal marito per ristrutturare la casa familiare di proprietà della moglie; restituzione sospensivamen- te condizionata al fallimento del matrimonio. Tutto ciò senza che vi fosse sproporzione tra quanto pre- stato dal mutuante (il marito) e quanto ricevuto dal medesimo quale prestazione in luogo dell’adempimento (un immobile di proprietà della moglie), poiché lo stesso mutuante avrebbe a sua volta corrisposto alla moglie un conguaglio in Bot.
A ben vedere, al di là dell’apparente persuasività dell’argomentazione, l’operazione economica de qua è meritevole di tutela non perché - come ritiene la Cassazione - sia estranea alla nozione di accordo prematrimoniale. È proprio quest’ultimo a venire in
ciente dell’esistenza della causa e quindi del riconoscimento da parte del diritto dell’autonomia privata («giacché il diritto non presta il suo appoggio al capriccio individuale)».
60 G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., 142.
61 X. XXXXXX, Una disciplina per la causa del contratto. Rifles- sioni in memoria di una nozione al tramonto, cit., 861 e 870, ritiene che, oggi, i più penetranti controlli sull’autonomia con- trattuale possano prescindere dalla nozione di causa.
62 Cass., 10.7.2018, n. 18138, in Banca dati-Leggi d’Italia on line, ammette la validità di un patto parasociale, riconducendo- ne la causa concreta a una fattispecie complessa «formata dall’accordo di separazione, con scioglimento della comunione legale e divisione del compendio».
63 Cass., 21.12.2012, n. 23713, cit.
rilievo64, se solo si considera che è l’andamento del- la vita coniugale a governare la complessità degli effetti di quel patto. E l’effetto restitutorio è giusti- ficato dalla crisi coniugale.
Se, nel caso di specie, non si esce dall’astrattezza del tipo (mutuo+datio in solutum)65, non si coglie l’interesse perseguito dalle parti, né, di conseguenza, la giustificazione della condizione so- spensiva che è connaturata ai patti prematrimoniali. La separazione e il divorzio attivano l’interesse a riequilibrare la situazione patrimoniale, che aveva ragione di restare squilibrata soltanto nella fisiolo- gia del matrimonio. L’accordo prematrimoniale, per come è stato strutturato dalle parti, produce taluni effetti immediatamente, altri, quelli restitutori, solo successivamente a causa proprio della separazione personale66.
Può dirsi, allora, utilizzando le parole di un grande studioso67, che se è «lo scopo pratico indivi- duale contenuto nel contratto» a giustificarlo, quello dell’accordo prematrimoniale in esame è meritevo- le, in quanto volto a riequilibrare una situazione economica che si squilibra solo in conseguenza del- la crisi coniugale. La quale giustifica la produzione degli effetti ulteriori.
Anche a volere ragionare come la Cassazione tracciando linee di confine, non può sfuggire come l’accordo qui esaminato del trasferimento immobi- liare al marito-mutuante e del trasferimento a titolo di conguaglio dei Bot da parte di quest’ultimo alla moglie-mutuataria incida comunque sulla determi- nazione dell’assegno di divorzio. Il giudice, nella valutazione della sussistenza dei mezzi adeguati (art. 5, co. 6, l. n. 898/1970), deve considerare «il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobi-
64 X. XXXXXXXXXX, Riflessioni su accordi prematrimoniali e causa del contratto…, cit., 4 ss., ragiona sulla causa concreta dell’accordo prematrimoniale e, in quest’ottica, assume rilievo decisivo «l’oggettivazione contrattuale delle finalità soggettive perseguite dai nubendi». Ciò che emerge e che viene sottaciuto dalla Cassazione è, secondo l’Autore, l’«interesse familiare in- trecciato con quello patrimoniale modellato dai futuri coniugi nella prospettiva eventuale del fallimento del matrimonio».
65 Secondo alcuni autori (X. XXXXXXXXXX, Riflessioni su ac- cordi prematrimoniali e causa del contratto…, cit., 4 ss., X. XXXXXX, Gli accordi prematrimoniali in Xxxxxxxxxx (…), xxx., 0 xx. (xxxxxxxx on line), la Cassazione, nella sentenza n. 23713/2012, cit. non avrebbe dovuto qualificare come atipico il contratto concluso dalle parti prima di contrarre matrimonio, né escluderlo dal novero dei patti prematrimoniali. Critica nei con- fronti della pronuncia è anche A. C. XXXXXXX, Il contenuto de- gli accordi pre-crisi. I limiti di negoziabilità, cit., 89-90.
66 X. XXXXXX, Gli accordi prematrimoniali in Xxxxxxxxxx (…), xxx., 00, (xxxxxxxx on line), distingue esattamente tra l’accordo, affetto da nullità, in cui il profilo personale è oggetto della pre- stazione («in cambio di x mi impegno a (o a non) divorziare» e l’accordo, da ritenersi valido, in cui il medesimo profilo funge da evento condizionante l’efficacia.
67 G. B. XXXXX, Une cause ne dit pas son nom. Il problema della causa del contratto e la riforma del terzo libro del code civil, in Riv. dir. comm., 2017, 1, 14.
liari»68. E se l’accordo prematrimoniale perequa in concreto le situazioni economico-patrimoniali dei coniugi, l’assegno di divorzio non sarà dovuto, co- me è stato affermato in alcune pronunce successive alle Sezioni unite della Cassazione 69.
Il patto in esame è, dunque, legato alla crisi, ed esso - preme sottolinearlo - non sarebbe stato neces- sariamente nullo per commercio di status neppure qualora vi fosse stata sproporzione tra le prestazioni dei coniugi. Diversamene, invece, si è espressa la Cassazione, secondo la quale la differenza di valori avrebbe potuto indurre, a seconda delle posizioni delle parti, ora alla separazione ora a disincentivar- la.
Certo, in astratto, quest’affermazione è corret- ta70, ma il giurista valuta gli interessi concretamente perseguiti dalle parti rispetto al contesto e all’ordinamento giuridico di riferimento. Si ipotizzi che i nubendi abbiano giustificato la differenza di valori in ragione dalla scelta - condivisa quale indi- xxxxx della vita familiare (art. 144 c.c.) - di un uno dei due di non lavorare o di lavorare part time. In tal caso non sembra proprio che il patto prematrimo- niale sia immeritevole di tutela, posto che la diffe- renza di valori si basa su quella distinzione di ruoli, concordata dai coniugi, i cui riflessi economici per- sonali sono stati ritenuti dalle Sezioni unite rilevanti ai fini dell’attribuzione dell’assegno di divorzio71.
68 Così Cass., 10.5.2017, n. 11504, cit. e anche Xxxx. Sez. un.,11.7.2018, n. 18287, cit., la quale, pur avendo respinto, co- me si diceva, il revirement accolto da Cass. n. 11504/2017, sot- tolinea come la prima operazione richiesta al giudice chiamato a decidere sull’assegno di divorzio sia di compare la situazione economico-patrimoniale dei coniugi. Se dovesse emergere un divario tra le due posizione economiche, si dovrà accertare se esso dipenda eziologicamente dagli indicatori contenuti nell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970; indicatori che «sottolineano il significa- to del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vi- ta».
69 Trib. Trieste, 19.7.2018, n. 459, Trib. Verona, 20.7.2018, n.
1764 e Trib. Roma, 8.8.2018, n. 16394 tutte in
70 Lo sottolinea A. C. XXXXXXX, Il contenuto degli accordi pre- crisi. I limiti di negoziabilità, cit., 90, secondo la quale una no- tevole sproporzione tra le prestazioni è un indice dell’intento dissuasivo dallo scioglimento del matrimonio, con conseguente nullità del contratto prematrimoniale. L’Autrice fonda le Sue riflessioni sulla meritevolezza dell’accordo in quanto equilibra- to economicamente.
71 Una delle sottolineature più significative contenute in Cass. Sez. un.,11.7.2018, n. 18287, cit., è quella del nesso di dipen- denza che si crea tra le scelte funzionali alla migliore organiz- zazione della vita familiare e le conseguenze economico- patrimoniali personali, che svelano il loro “peso” al momento dello scioglimento del matrimonio. Una dipendenza che l’ordinamento giuridico ha preso in considerazione, ritenendo che non si possa lasciare senza tutela quel coniuge che abbia sacrificato la propria posizione economica e le proprie ambi- zioni lavorative per contribuire ai bisogni della famiglia e alla formazione del profilo economico-patrimoniale dell’altro. Af- fermano le Sezioni unite che «La relazione coniugale è orienta- ta fin dall’inizio dai principi di libertà ed autoresponsabilità ed il legislatore ha inteso valorizzare la funzione conformativa di
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Il commercio di status, come si diceva, va accer- tato nella singola fattispecie concreta, non potendo essere presunto iuris et de jure. Anche perché, di regola, i coniugi si separano non già per beneficiare di una concordata differenza di valore tra le presta- zioni, ma per l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
La Cassazione, insomma, per evitare gli eccessi dell’orientamento restrittivo, espunge forzatamente la crisi coniugale dalla causa di talune pattuizioni, che si sostanziano in veri e propri accordi prema- trimoniali. Come pure essa relega al contenuto eventuale dell’accordo di separazione, intese che andrebbero considerate in previsione del divorzio e, ciononostante, ritenute valide. Se in occasione della separazione personale, i coniugi senza prole stabili- scono di vendere la casa familiare di proprietà di uno soltanto e di dividersi il ricavato in una certa percentuale, non si può, sic et simpliciter, affermare la nullità di siffatta pattuizione. La quale non solo non integra commercio di status72, ma non lede neppure i diritti patrimoniali del coniuge economi- camente debole73.
questi principi nel regime giuridico dell’unione matrimoniale anche in relazione agli effetti che possono conseguire dopo lo scioglimento del vincolo, senza incidere sulla efficacia solutoria di tale determinazione, volta al riacquisto dello stato libero ma anche senza azzerare l’esperienza della relazione coniugale alla quale si dà forte rilevanza nella forma che prefigura gli effetti di natura economica che conseguono al divorzio. L’immanenza del principio di autoresponsabilità risulta cristallizzata nei crite- ri fissati nell’incipit dell’art. 6, co. 6 (…)».
72 Cass., 3.12.2015, n. 24621, cit., ha ritenuto valido l’accordo transattivo concluso dai coniugi durante la pendenza del giudi- zio di appello, abbandonato successivamente alla transazione con la quale si prevedevano plurime e reciproche assegnazioni di beni. Sono quindi validi gli accordi conclusi a latere del giu- dizio di separazione. Del resto, la Suprema Corte ricorda come in pronunce precedenti sia stata ammessa anche la regolamen- tazione extraprocessuale dei rapporti con i figli, «purché si per- venga ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudice» (cfr. Cass., 22.1.1994, n. 657, in Foro it., 1995, I, 2984, secondo la quale gli accordi anteriori o contemporanei al procedimento di omologazione riguardanti il mantenimento della prole sono validi ed efficaci purché migliorativi rispetto a quanto omologato). In dottrina cfr. X. XXXXX, Transazione in vista del divorzio, in Fam. e dir., 2011, 10, 919 ss.; F. R. XXXXXXXX, Autonomia dei coniugi e trasferimenti mobiliari e immobiliari nei procedimenti di separazione e di divorzio, in Fam. pers. succ., 2010, 5, 1 ss. (versione on line).
73 Se ne avvede in definitiva la stessa Xxxx., 19.8.2015, n. 16909, cit., che cassa la sentenza d’appello per non aver valuta- to, con riguardo alla previsione di trasferire la casa coniugale a un terzo al fine di dividersi in percentuali diverse il ricavato,
«quali patti abbiano causa concreta nella [separazione consen- suale] e nei doveri di solidarietà familiari, e quali trovino in essa mera occasione mirando a riequilibrare la reciproca situa- zione patrimoniale in ragione di pregresse dazioni di denaro effettuate da un coniuge in favore dell’altro». Quindi l’accordo traslativo, secondo l’impostazione della Suprema Corte, da un lato può sostituire o integrare l’assegno di divorzio, dall’altro può essere avulso dagli effetti della separazione e del divorzio, dipendendo esclusivamente da pregressi rapporti economici svoltisi durante la vita coniugale. Ma è proprio questa distin- zione ad avere poco senso. L’atto ha una funzione unitaria ed è
Ma allora a questo punto della nostra analisi, l’aspetto saliente sul quale riflettere attiene non già alla validità degli accordi in previsione del divorzio, ma all’individuazione dei criteri sulla base dei quali parametrare il giudizio di equità degli accordi me- desimi. Solo l’equità consente ai coniugi, ai sensi dell’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970, di regolare definiti- vamente i rapporti economici.
La previsione del giudizio di equità esprime la scelta legislativa di tutela del coniuge economica- mente più debole, il quale, se lasciato del tutto libe- ro di autodeterminarsi, potrebbe essere schiacciato dalla forza contrattuale del coniuge abbiente.
7. Equità dell’accordo definitivo sugli effetti economici.
La funzione dell’assegno di divorzio si lega, se- condo un andamento circolare, al problema della regolazione definitiva dei rapporti economici tra gli ex coniugi e all’equità dell’accordo. Questo è un punto delicato, ignorato da quella sentenza della Cassazione, già ricordata e respinta dalle Sezioni unite della Cassazione, secondo la quale presuppo- sto dell’assegno è la non autosufficienza economi- ca74.
Se tale più recente orientamento fosse stato ac- colto dalle Sezioni unite, vi sarebbe stato un consi- stente affievolimento della tutela del coniuge più debole, anche con riguardo agli accordi con presta- zione in unica soluzione. Si ipotizzi lo svolgimento di una trattativa tra coniugi su beni immobili di pro- prietà comune o di uno soltanto o sul quantum della somma di danaro da attribuire in unica soluzione al fine di chiudere definitivamente i rapporti economi- ci. La trattativa sarebbe stata influenzata dall’orientamento della predetta Cassazione che in- tendeva subordinare l’an debeatur dell’assegno alla condizione obiettiva della mancanza di indipenden- za economica.
Nella concretezza dei casi, sarebbe accaduto che il coniuge più danaroso avrebbe tentato di indurre l’altro ad accontentarsi di quanto da egli proposto per chiudere ogni profilo patrimoniale, paventando che, altrimenti, in sede di divorzio contenzioso, il giudice non avrebbe ravvisato l’esistenza del pre- supposto dell’assegno, essendo la controparte eco- nomicamente autosufficiente75.
quella di regolamentare gli effetti della crisi coniugale. L’accordo traslativo deve essere posto in relazione all’assegno di mantenimento e di divorzio per capire se esso costituisca la ragione della rinuncia a tali assegni o se di questi ultimi per- xxxxxxx i presupposti. In ogni caso senza predicare, tenden- zialmente, alcuna nullità del patto, neppure se raggiunto in pre- visione del divorzio.
74 Cass. 10.5.2017, n. 11504, cit.
75 Si consideri anche che manca una espressa e specifica indica- zione legislativa su cosa debba intendersi per autosufficienza
Una condotta del genere volta a svalutare il con- tributo apportato alla vita familiare dal coniuge è stata scongiurata76. Secondo le Sezioni Unite della Cassazione, i parametri dell’assegno di divorzio di cui il giudice deve tener conto, tra i quali va ricono- sciuta «primaria e peculiare importanza»77 a quello dell’apporto fornito dall’ex coniuge alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio dell’altro, sono di derivazione costituzionale, giac- ché attuativi della pari dignità dei ruoli che i coniugi hanno assunto durante la relazione matrimoniale78.
Il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) - afferma- no le Sezioni unite - che «poggia sul cardine costi- tuzionale fondato sulla pari dignità dei coniugi», esige di ricomporre il «profilo soggettivo»79 del co-
economica. Così i giudici sono stati costretti ad individuare, non senza un certo arbitrio, un parametro di riferimento. Para- metro che finiva comunque per essere artificioso e non espres- sivo del costo della vita. Cfr. infatti Trib. Milano, ord. 22.5.2017, in xxx.xxxxxx.xx, il quale afferma che: «Per indipen- denza economica deve intendersi la capacità per una persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento
– di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, allog- gio, esercizio dei diritti fondamentali) (…). Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al pa- trocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528,41 annui ossia circa euro 1.000 mensili)». Parametro, questo, da integrare con il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente l’assegno vive e abita. Quindi, tendenzial- mente, il coniuge che integra il presupposto reddituale di ac- cesso al gratuito patrocinio è considerato privo dell’autosufficienza economica, mentre, di contro, sarebbe economicamente autosufficiente chi guadagna 1.050 euro men- sili!
76 Trib. Nuoro, 23.8.2018, n. 424, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx, rico- nosce l’assegno di divorzio alla ex moglie, titolare di un reddito pari ad euro 997,00 mensili, in quanto è emerso nella fase istruttoria che ella: 1) ha significativamente contribuito alla formazione del patrimonio personale dell’ex marito; 2) non può più beneficiare dell’assegnazione della casa familiare, non con- vivendo più con i figli; 3) ha corrisposto, quando il marito era disoccupato, alcune rate del mutuo contratto per la edificazione della casa familiare. Ciò in un matrimonio durato 20 anni.
77 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit. così si esprime.
78 Alcuni tribunali, come si diceva supra alla nota 2, si sono mostrati critici nei confronti della sentenza della Cassazione n. 11504/2017, avendo colto che la storia matrimoniale non pote- va essere ignorata e cancellata dallo scioglimento del matrimo- nio. Dalla pronuncia del Trib. Roma, 21.7.2017, cit. emerge come considerare soltanto l’esistenza o meno dell’indipendenza economica conduca a decisioni che obliterano le conseguenze delle scelte matrimoniali. E ciò anche quando quelle scelte non abbiano comunque impedito all’ex coniuge economicamente più debole di essere economicamente autosufficiente. Rispetto a questa considerazione, la sentenza della Cass., n. 11504/2017, cit., da un lato, ha il merito di aver posto la questione della ren- dita parassitaria e della non irragionevole ultrattività del matri- monio, dall’altro, ha il torto di aver sottovalutato i principi co- stituzionali della solidarietà e pari dignità. Di conseguenza essa ha appiattito il matrimonio sull’atto, quando, invece, la prospet- tiva di studio più in linea con il sistema è, come si diceva, quel- la del matrimonio-rapporto.
79 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit.
niuge con un reddito e un patrimonio inferiore a quello dell’altro. Ciò implica avere contezza delle scelte dallo stesso effettuate per la conduzione della vita familiare, non soltanto al fine di decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, 80 ma an- che per accordarsi sul contenuto dell’accordo in unica soluzione.
Durante le trattative per l’attribuzione patrimo- niale in unica soluzione, il coniuge che si sia ritro- vato privo di reddito o con un reddito decisamente inferiore a quello dell’altro81, avrà modo di far vale- re il proprio contributo alla conduzione familiare - si pensi al maggior tempo dedicato alla crescita dei figli - e alla formazione del patrimonio dell’altro. Non fosse altro perché è il rapporto il cuore della vicenda matrimoniale; è il rapporto che se, da un lato, riassorbe in sé il matrimonio-atto82, dall’altro deve guidare, in attuazione dei principi costituzio-
80 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit. afferma esattamente che solo attribuendo rilevanza giuridica al contributo e alle scelte di un coniuge, funzionali allo svolgimento della vita ma- trimoniale, può dirsi che la valutazione di adeguatezza dei mez- zi richiesta dall’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 sia effettivamente fondata sui predetti principi e valori costituzionali.
81 Trib. Trieste, 19.7.2018, n. 459, cit., afferma, in ossequio ai principi espressi dalle Sezioni unite n. 18287/2018, cit., che l’assegno di divorzio non spetta qualora tra le condizioni eco- nomico-patrimoniali dei coniugi non vi sia un «divario sensibi- le. E già questo basterebbe» (così era nel caso concreto). Ma il tribunale ha cura di precisare che l’assegno di divorzio non è dovuto anche perché: a) gli sposi ultraquarantenni lavoravano già prima di contrarre matrimonio; b) non vi è stato alcun ap- porto familiare tale da incidere negativamente sulla propria condizione economico-patrimoniale. Cfr. anche Trib. Verona, 20.7.2018, n. 1764, cit., che non riconosce l’assegno di divorzio sebbene il reddito degli ex coniugi sia risultato sensibilmente diverso. Ciò in ragione dei seguenti argomenti: 1) la ex coniu- ge, seppur con un reddito inferiore a quello dell’ex marito, era da considerarsi economicamente autosufficiente; 2) ella non aveva contribuito alla formazione del patrimonio dell’ex mari- to; 3) la breve durata del matrimonio (dopo 4 anni dalla cele- brazione è stata presentata domanda di separazione personale);
4) la ex moglie era proprietaria di un immobile che, per sua scelta, non veniva messo a reddito. Infine, cfr. Trib. Roma, 8.8.2018, n. 16394, cit., il quale, a fronte di una disparità reddi- tuale (1.900, 00 euro mensili lei, 3.500 euro mensili lui), nega l’assegno di divorzio perché: 1) il divario economico non è eziologicamente riconducibile, per quanto emerso, «a determi- nazioni e a scelte comuni e condivise che hanno condotto [la richiedente l’assegno] ad esplicare il suo ruolo prevalentemente nell’ambito della famiglia»; 2 non è stato provato che il periodo di lavoro part-time come insegnante «abbia pregiudicato gli sviluppi di carriera».
82 X. XXXXXXX, Xxxxxxxx e rapporto nella teoria del matrimonio civile, cit., 169, critica quella corrente di pensiero la quale, nel tentativo apprezzabile di superare l’impostazione soggettivisti- ca del matrimonio, ha finito col capovolgere la prospettiva, as- sumendo «entro lo schema - sia pur in versione integrata - della fattispecie una vicenda che invece gravita interamente sul rap- porto e che come tale appunto acquista rilievo per l’ordine giu- ridico come matrimonio-rapporto, piuttosto che in funzione di una nuova e diversa figura del matrimonio-atto». L’Autore, prendendo spunto, tra l’altro, dalla disciplina della patologia del matrimonio (artt. 117 ss. c.c.) arriva a sostenere che si è oramai assistito al «definitivo riassorbimento del matrimonio-atto nel matrimonio-rapporto».
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nali qui più volte evocati, lo scioglimento attraverso il perfezionamento delle intese.
Ove i coniugi dovessero raggiungere l’accordo sull’unica soluzione, il giudice non ha ampi margini per sindacarne il merito, salvo macroscopiche in- congruenze rispetto alle ultime dichiarazioni dei redditi da allegare al ricorso. Ciò in quanto egli, per lo più, non conosce le circostanze rilevanti attinenti alla vita matrimoniale; circostanze verosimilmente non del tutto esplicitate nel testo del contratto e co- munque selezionare e valutate dagli stessi coniugi83. Ad ogni modo, per effetto della pronuncia delle Sezioni unite del 2018, l’accordo in funzione del divorzio è equo ove il suo contenuto garantisca non già l’autosufficienza economica, ma un’adeguata valorizzazione dell’apporto fornito dal coniuge più debole alla vita familiare a detrimento del proprio livello professionale e della propria capacità di red- dito. A tale fine vi sono due fattori da considerare: la durata del matrimonio, espressamente prevista dall’art. 5, co. 6, l. n. 898/197084 e l’età del coniuge privo di mezzi adeguati. Xxxxxxx, quest’ultimo, ugualmente riconducibile a tale articolo nella parte in cui esso si riferisce alle «condizioni dei coniugi». Secondo le Sezioni unite della Cassazione, la du- rata del matrimonio è un «fattore di cruciale impor- tanza»85 per stabilire il diritto di ricevere l’assegno di divorzio e il suo ammontare, in forza della lettura unitaria dell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970. Si aggiunga che la durata è un elemento particolarmente signifi- cativo anche in sede di trattative, iniziate per stabili- re l’oggetto della prestazione in unica soluzione. Più è stato lungo il matrimonio, maggiore sarà l’incidenza negativa sulla propria condizione perso- nale ed economico-patrimoniale e, di conseguenza,
più elevate potranno essere le pretese economiche. L’età consente di moderare o rafforzare le prete-
se del coniuge più debole, essendo un elemento su cui incentrare la valutazione sulle «effettive poten-
83 C. RIMINI, Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una prospettiva per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, cit., 7 (versione in Ban- ca dati-Leggi d’Italia), rileva come «solo una totale trasparenza dei presupposti [di fatto del regolamento contrattuale] permette ex post al Tribunale di valutarne l’equità e di valutare l’opportunità di discostarsi dagli effetti pattuiti al mutare dei presupposti di fatto all’ombra dei quali l’accordo è stato rag- giunto. È dunque necessario che il patto sia accompagnato da una full disclosure sulla situazione patrimoniale e reddituale di ciascuno». Certo, l’accordo potrà essere, come indica l’Autore, inefficace qualora dovesse produrre effetti manifestamente ini- qui. Ciò si verificherebbe qualora il patto privasse il coniuge più debole dei mezzi di sussistenza. In tal caso il patto sarebbe nullo per violazione del principio costituzionale della solidarie- tà coniugale posto a fondamento della componente assistenziale dell’assegno di divorzio.
84 La durata del matrimonio è un elemento di cui tener conto
anche nella determinazione dell’assegno di mantenimento; cfr. più di recente Cass., 27.4.2018, n. 10304, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx.
85 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit.
zialità professionali e reddituali valutabili alla con- clusione del matrimonio»86. Si tratta di verificare, secondo un giudizio prognostico, se vi sia «la con- creta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro», rispetto alle aspettative profes- sionali ed economiche eventualmente sacrificate per attuare l’indirizzo della vita familiare come concor- dato con l’altro coniuge87.
Anche lo stato di salute non può non avere un ri- lievo nella determinazione del contenuto della pre- stazione in unica soluzione, soprattutto per chi non sia in grado di lavorare (o non lo sia più a tempo pieno), avendo speso le migliori energie per la con- duzione della vita familiare. È sempre dal principio costituzionale di solidarietà e di pari dignità dei co- niugi che discende l’esigenza di ridurre il divario economico tra i coniugi, quando questo sia dipeso dall’organizzazione della vita matrimoniale.
Se l’accordo di cui all’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970 viene valutato equo dal giudice, non sarà più am- missibile alcuna successiva domanda di contenuto economico, neppure, come ha chiarito una recente pronuncia della Cassazione a Sezioni unite88, a tito-
86 Cass. Sez. un., 11.7.2018, n. 18287, cit.
87 X. XXXXX, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Se- zioni unite, cit., (p. 6-7), manifesta giuste perplessità nei riguar- di di quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il coniuge privo di un’occupazione può rifiutare proposte di lavo- ro non attinenti al titolo di studio o all’esperienza professionale in precedenza maturata. «Con la conseguenza che le difficoltà del mercato andranno a detrimento dell’obbligato che dovrà continuare a lavorare anche per mantenere l’ex coniuge, perfino se scontento della propria occupazione lavorativa, eventual- mente non adeguata rispetto alla sua formazione e al suo titolo di studio».
88 Cass. Sez. un., 24.9.2018, n. 22434, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx, afferma che il presupposto della pensione di reversibilità, con- sistente nell’essere l’ex coniuge «titolare di assegno ai sensi dell’art. 5» deve essere inteso «come titolarità attuale e concre- tamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione». Ciò in quanto, secon- do le Sezioni Unite e sulla scia della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cassazione, deve ammettersi che «il pre- supposto per l’attribuzione della pensione di reversibilità è …il venir meno di un sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso e la sua finalità è quel- la di sovvenire a tale perdita economica all’esito di una valuta- zione effettuata dal giudice in concreto», che tenga conto di una serie di elementi (e non soltanto della durata del matrimonio) ai fini della quantificazione dell’assegno di reversibilità da corri- spondere (ciò nella fattispecie di cui all’art. 5 co. 3 l. n. 898/1970 del concorso tra l’ex coniuge e il coniuge superstite). Quindi, l’ex coniuge ha diritto alla pensione di reversibilità se, al momento della morte dell’altro ex coniuge, era titolare dell’assegno di divorzio e dunque se si trovava in condizioni di difficoltà economica. All’opposto egli non ne ha diritto se ha beneficiato di una prestazione in unica soluzione ai sensi dell’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970. Se l’assegno di reversibilità - chiariscono le Sezioni unite - «si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all’ex coniuge, me- diante la corresponsione dell’assegno divorzile», ne consegue che se non sia ha diritto all’assegno di divorzio o se si è già be-
lo di pensione di reversibilità (art. 8 coo. 2 e 3 l. n. 898/1970).
8. Rilevanza della contribuzione personale anche dal confronto con altri ordinamen- ti.
L’art. 160 c.c. e i commi 6 e 8 dell’art. 5 l. n. 898/1970 delineano un sistema coerente di tutela del coniuge più debole. La funzione perequativo- compensativa dell’assegno, che ha un fondamento costituzionale, non può essere elusa dalla parte do- tata di una maggiore forza contrattuale. Il giudizio di equità evita che il matrimonio, sulla cui durata ciascuno dei coniugi ha fatto affidamento, sia la causa di arricchimenti di uno ai danni dell’altro, con palese violazione del principio di uguaglianza.
Tale giudizio, sebbene l’art. 5, co. 8, l. n. 898/1970 non ne indichi i criteri ispiratori, deve ba- sarsi su quegli stessi parametri che orientano l’an e il quantum dell’assegno di divorzio. Solo così il si- stema si mostra coerente e unitario. E la ricaduta pratica di questa ricostruzione è rilevante: il coniuge abbiente dovrà essere disponibile a riconoscere che lo squilibrio economico-patrimoniale è dipeso dalle scelte dell’altro e dalla divisione dei compiti attuata durante la fisiologia del rapporto matrimoniale89. Altrimenti, sarà il giudice, in sede contenziosa, a imporre un assegno di divorzio che non chiuderà definitivamente i rapporti economici e che terrà conto dell’esigenza perequativa.
L’autonomia negoziale, quindi, è conformata dai principi costituzionali; ma ciò non la depotenzia, rendendola anzi armonica con i principi e i valori posti all’apice dell’ordinamento.
È così anche in altri paesi, dove il matrimonio non può essere veicolo di disuguaglianze posticipate al suo scioglimento. Il code civil francese ha attri- buito rilievo alla «disparité que la rupture du ma-
neficiato della prestazione in unica soluzione, viene meno la ragione dell’attribuzione della pensione di reversibilità.
Questa sentenza è apprezzabile perché giunge a una soluzione coerente con i principi e le regole che informano il sistema del- la crisi coniugale. Il principio di solidarietà giustifica tanto l’assegno di divorzio quanto la pensione di reversibilità. L’alternativa - rigettata dalle Sezioni unite - di considerare la pensione di reversibilità come un diritto di natura previdenziale, autonomo e diverso dall’assegno di divorzio, avrebbe rotto in- giustificatamente l’unitarietà del sistema.
89 X. XXXXXXXXX, Accordi stragiudiziali sulla crisi coniugale e giustizia contrattuale, cit., 230, sottolinea come il dovere di lealtà imposto nella negoziazione assistita esiga di far conosce- re all’altro tutti gli elementi di fatto utili al raggiungimento di un accordo contrattuale. Questo procedimento stragiudiziale può essere decisamente utile per evitare la lite giudiziale e per favorire accordi consapevoli - stante l’assistenza dell’avvocato che deve certificare la conformità dell’accordo all’ordine pub- blico - sugli effetti della separazione e del divorzio. Il suo limite è dato dalla mancanza del potere del procuratore della repubbli- ca di valutare l’equità dell’accordo.
xxxxx crée dans les conditions de vie respectives»90. Per attenuarla, il legislatore d’oltralpe ha esplicitato i criteri posti a fondamento della prestation com- pensatoire. Tra quelli indicati dall’art. 271 code ci- vil si segnalano in particolare: «le conseguenze del- le scelte professionali fatte da uno dei coniugi du- rante la vita comune per l’educazione dei figli e per il tempo che ancora a questi ultimi andrà dedicato o per favorire la carriera dell’altro coniuge a scapito della propria»; «il patrimonio stimato o prevedibile, quanto al capitale e al reddito, dopo la liquidazione del regime matrimoniale»; «i loro diritti esistenti o prevedibili»91.
La somiglianza di quest’articolo con l’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 è emblematica dell’esigenza di ri- conoscere valore economico al contributo familiare, che, spesso, ha effetti positivi sulla carriera e sulla posizione economica dell’altro. Diversamente, si ridurrebbe in modo contraddittorio la distanza tra il matrimonio e le altre formazioni sociali di tipo fa- miliare92.
90 L’art. 270 code civil prende in considerazione proprio l’esigenza di compensazione, che può scaturire dal divorzio rispetto a certi fatti occorsi durante il matrimonio o futuri (cfr. anche art. 271 code civil).
91 Stabilisce l’art. 271 code civil che il giudice, nel determinare l’ammontare della somma dovuta a titolo di prestation compen- satoire, tiene conto di diverse circostanze tra cui: «la durata del matrimonio, l’età e lo stato di salute del coniuge, la qualifica- zione e la situazione professionale dei coniugi e le conseguenze delle scelte professionali fatte da uno dei coniugi durante la vita in comune per l’educazione dei figli e per il tempo che sarà an- cora necessario o per favorire la carriera del proprio congiunto a detrimento della propria ». L’art. 271 dà rilevanza anche a probabili eventi futuri quali la pensione.
92 Il tema della esclusività o meno del matrimonio quale istituto in grado di dare vita ad una famiglia è ancora aperto (cfr. F. D. XXXXXXXX, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 509 ss.; M. SESTA, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. e dir., 2016, 881 ss.). La legge sulle unioni civili, almeno nelle intenzioni del legislatore, ha scavato un sol- co tra le unioni civili e la famiglia (cfr. X. XXXXX, Introduzione al Convegno «Modelli familiari e nuovo diritto» (Padova 7-
8.10. 2016), in Nuova giur. civ. comm., 2016, 12, 1665). Se può
essere dubbio che l’unione civile sia un istituto dal quale non scaturisca la famiglia, certamente non possono essere equipara- te tutte le formazioni sociali di tipo familiare. La tutela da riser- vare al convivente more uxorio a seguito della cessazione della convivenza di fatto non può essere quella del coniuge che addi- venga allo scioglimento del matrimonio. Ciò in quanto matri- monio e convivenza di fatto postulano una scelta di vita sostan- zialmente diversa in punto di diritti e di doveri (cfr. l’art. 143
c.c. rispetto all’art. 1, coo. 36-39, l. n. 76/2016). Rileva giusta- mente C. IRTI, L’accordo di corresponsione una tantum nelle procedure stragiudiziali di separazione e divorzio (…), cit., 9- 10, come il revirement della Cassazione (n. 11504/2017) sull’an debeatur dell’assegno divorzile (rigettato da Xxxx. Sez. un. n. 18287/2018, cit.) determini un avvicinamento della posi- zione del coniuge non economicamente autosufficiente al con- vivente di fatto che, ai sensi dell’art. 1, co. 65, l. 76/2016, «ver- si in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento». In tal caso, sul presupposto della cessazione della convivenza di fatto, il convivente ha diritto di ricevere dell’ex compagno gli alimenti «nella misura determinata ai sen-
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All’opposto, va rilevato che il matrimonio, svuo- tato della sua sostanza, non legittima di per sé, in caso di suo scioglimento una pretesa economica. In questa prospettiva si spiega il § 1579, co. 5, BGB che attribuisce al giudice il potere di «respingere, ridurre o limitare temporalmente una pretesa di mantenimento (…), [qualora] l’avente diritto [ab- bia] violato gravemente, prima della separazione, per lungo tempo, il suo obbligo di contribuire al mantenimento della famiglia». Questa regola con- ferma lo stretto legame tra contribuzione ed effetti economici del divorzio, a dimostrazione, ancora una volta, della prevalenza del rapporto sull’atto di ma- trimonio.
Va sottolineato però che la disciplina tedesca spinge molto di più rispetto a quella italiana, soprat- tutto in assenza di prole, al reinserimento del coniu- ge debole nel mondo del lavoro. Il § 1570 BGB sta- bilisce che il mantenimento può essere ottenuto da un ex coniuge fino a quando «da egli non possa pre- tendersi l’esercizio di un’attività produttiva in ra- gione della cura e dell’educazione di un figlio co- mune».
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Il codice tedesco, da un lato, circoscrive accura- tamente i casi in cui si ha diritto all’assegno (§§ 1571- 1573), dall’altro, con riguardo all’ipotesi in cui non si abbia un lavoro, si prevede sia il dovere di compiere «sforzi» per reperirlo sia la possibilità di limitare temporalmente il mantenimento (§ 1573, co. 5), prevedendone altresì ipotesi di limitazione o di esclusione a fronte di fatti gravi (§ 1579). Con ciò si valorizza maggiormente l’autoresponsabilità economica.
Ad ogni modo anche in altri ordinamenti l’assegno di divorzio si lega alla struttura e all’organizzazione della vita matrimoniale, con di- verse sensibilità legislative in punto di cessazione dell’assegno.
9. Accordo in previsione del divorzio e ac- cordo prematrimoniale: tra validità ed esigenze di riforma.
Si è cercato di dimostrare che gli artt. 160, 156 coo. 1 e 7 c.c., 5, coo. 6 e 8 e 9, co. 1, l. n. 898/1970 non precludono ai coniugi di accordarsi, fin dalla separazione, per regolare definitivamente i loro rap- porti economici. La tesi qui sostenuta, che ne am- mette la validità, non entra in contraddizione con l’inderogabilità di cui all’art. 160 c.c., con il princi- pio d’indisponibilità dello status, con il divieto del commercio di status e con la garanzia costituzionale della tutela del coniuge economicamente debole.
si dell’art. 438 c.c.». Certamente quest’avvicinamento stride, stante la diversità strutturale e funzionale del matrimonio rispet- to alla convivenza di fatto.
La giurisprudenza della Cassazione dissente da tale impostazione, ritenendo nullo l’accordo in pre- visione del divorzio; una nullità, come si diceva, ancor più infondata in ragione della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione citata in apertura con la quale è stata affermata la doppia funzione dell’assegno di divorzio e la prevalente disponibilità dei diritti che vengono in rilievo nella crisi coniuga- le. Tuttavia, se quest’orientamento restrittivo doves- se permanere, appare necessario un intervento legi- slativo; soprattutto perché i coniugi in crisi manife- stano spesso la volontà di regolamentare fin da subi- to, e definitivamente, i profili patrimoniali, senza essere costretti a ridiscuterli in sede di scioglimento del matrimonio.
Xxxxxxxx interesse è rilevante e l’ordinamento non ha ragioni per ostacolarlo, soprattutto se l’accordo è equo. Oltretutto l’assegno post-matrimoniale perpe- tua la dipendenza economica e la conflittualità93, in aperto contrasto con quella linea di fondo dell’ordinamento, sempre più marcata, di conteni- mento del dissidio nella crisi coniugale. Sia consen- tita allora qualche considerazione de iure condendo. Per garantire la validità di tali accordi, occorre- rebbe modificare l’istituto della separazione perso- nale. O nel senso di abrogarlo, accogliendo così il modello tedesco che conosce soltanto il divorzio (§§ 1564 ss. BGB)94 o di renderlo facoltativo com’è in Francia95. È ragionevole ipotizzare che quest’ultima soluzione avrebbe maggiori possibilità di essere condivisa dal legislatore italiano, contem- perando, senza radicalismi, la libertà degli individui
con l’esigenza di preservare il matrimonio96.
93 X. XXXXXX, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazio- ne del «tenore di vita» e «autoresponsabilità»: «persone singo- le senza passato»?, cit., 10. Cfr. anche: X. XX XXXXXXX, Teno- re di vita e assegno di mantenimento tra diritto ed econometria, cit., 39 ss.; C. RIMINI, La tutela del coniuge più debole fra logi- che assistenziali ed esigenze compensative, in Fam. e dir., 2008, 1, 412 ss.
94 Analogamente dispongono i «Principi di diritto europeo del- la famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi». La parte I del documento è dedicata esclusivamente al divorzio, senza che si preveda una status intermedio, qual è la separazio- ne. Il principio 1:3 stabilisce che «La legge permette sia il di- vorzio per mutuo consenso sia il divorzio senza il consenso di uno dei coniugi».
95 La séparation de corps (art. 296 code civil) può essere pro- nunciata soltanto se i coniugi sono d’accordo, altrimenti, «lor- sque la demande principale en divorce est fondée sur l’alteration définitive du lien conjugal, la demande reconven- tionelle [en séparation de coprs] ne peut tendre qu’au divorce» (art. 297 code civil).
96 Va comunque riconosciuto che l’esigenza di non favorire scioglimenti frettolosi del matrimonio - ciò che sminuirebbe il rilievo costituzionale di quest’ultimo agli occhi dei consociati - può essere garantita anche da un ordinamento che preveda esclusivamente il divorzio. La disciplina tedesca costituisce un modello avanzato, in grado di coniugare la libertà personale con il valore della stabilità del matrimonio. Il §1565 BGB stabilisce che il matrimonio può essere sciolto per divorzio se i coniugi vivono già da un anno da separati e se presentano una domanda congiunta o se la parte che non ha presentato la domanda dia la
Una riforma del genere aprirebbe la strada agli accordi di sistemazione definitiva dei rapporti eco- nomici, superando quella giurisprudenza che, per ritenere valido un tale patto, deve sforzarsi di sle- garlo dal cosiddetto contenuto necessario del nego- zio di separazione. Se fosse possibile ottenere diret- tamente la sentenza di divorzio, semplicemente in- dicando nel ricorso di vivere separati da un certo tempo (sul modello dell’art. 238 code civil o degli artt. 1565-1567 BGB), i coniugi potrebbero rag- giungere subito un accordo sulla corresponsione in unica soluzione97. E il giudice ne valuterebbe l’equità.
Quest’ipotesi di riforma appare ancor più neces- saria dopo quella recente sentenza con la quale la Cassazione ha confermato il proprio orientamento secondo il quale l’assegno di mantenimento è volto a garantire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio98. Ma gli argomenti ad- dotti a sostegno99 sono diventati ancor più fragili
sua approvazione (§ 1566 BGB). Il comma 2 del § 1566 BGB stabilisce che «si presume inconfutabilmente che il matrimonio sia in stato di disfacimento se i coniugi vivono da tre anni sepa- rati». Significativa è anche la disposizione secondo la quale se il requisito del decorso del tempo non è ancora maturato, il ma- trimonio può essere sciolto ugualmente, fin da subito, se la sua continuazione «costituisca per colui che propone la domanda, per cause relative alla persona dell’altro coniuge, un pregiudi- zio impretendibile». Si pensi alla violenza domestica, anche soltanto psicologica, che pregiudica fortemente la qualità della vita di chi la subisca. Da questo angolo di osservazione, l’art. 3
l. n. 898/1970 appare, al contrario, sbilanciato verso il valore della conservazione del matrimonio nel legare i casi di sciogli- mento immediato del matrimonio soltanto alle condanne penali per certi reati.
97 X. XXXXXXXX-A. NATALE, Gli effetti patrimoniali del divorzio, cit., 2962, attribuiscono grande importanza alla corresponsione in unica soluzione, pur rilevandone le difficoltà applicative. De jure condendo, è ragionevole ritenere che, se si potesse addive- nire subito al divorzio senza dover passare dalla separazione, vi sarebbe maggiore spazio per l’accordo sull’una tantum, soprat- tutto qualora vi sia il desiderio di ottenere, come affermano gli Autori, «uno stacco definitivo da un rapporto, oramai, irrime- diabilmente cessato».
98 Cass. 16.5.2017, n. 12196, in Fam. e dir., 2018, 4, 330 ss.,
con nota di X. XX XXXXXXX, Xxxxxxxxxx x. Xxxxx: autosufficien- za e tenore di vita coniugale in un big money case italiano, in Giur. it., 2017, 8-9, 1795 ss., con nota di C. RIMINI, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale. Questa sentenza è intervenuta dopo quella della Cassazione n. 11504/2017, cit. In essa si afferma che, sebbene quest’ultima sentenza abbia previsto che l’assegno di divorzio è volto a garantire l’autosufficienza economica (orientamento poi rigettato da Cass. Sez, un., n. 18287/2018, cit.), con riguardo all’assegno di mantenimento deve essere confermata la sua fun- zione di assicurare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
99 Cass. 16.5.2017, n. 12196, cit., basa il decisum su due argo- menti: 1) la diversità di effetti della separazione e del divorzio. Si sottolinea che nella prima permane il dovere di assistenza materiale attuato proprio dal mantenimento. Il divorzio, invece, sciogliendo il matrimonio, sarebbe incompatibile con il perdu- rare di un tenore di vita analogo al matrimonio; 2) l’assegno di mantenimento avrebbe un fondamento costituzionale nell’art.
dopo l’intervento delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio.
Queste ultime hanno affermato che il criterio del tenore di vita matrimoniale è extra-legale, non es- sendo menzionato nell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970, né deducibile dai principi costituzionali inverati in tale articolo. Ora poiché anche l’art. 156, co. 6, c.c. si esprime analogamente all’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970, adoperando l’espressione «non abbia adeguati redditi propri», si dovrebbe escludere an- che con riguardo all’assegno di mantenimento per la illegittimità del parametro del tenore di vita. Si obietterà, come del resto fa la Cassazione100, che la diversità di effetti tra separazione e divorzio impone di ragionare diversamente, a seconda che venga in rilievo l’assegno di mantenimento o quello di divor- zio.
Ma così opinando, ferma l’extra-legalità del cri- terio, si finisce per ragionare in astratto, perché vi sono casi i cui i coniugi in crisi hanno già deciso di sciogliere il matrimonio, ancor prima di ottenere il pronunciamento sulla separazione101. Non a caso l’ordinamento ha ridotto considerevolmente i tempi della separazione (art. 3 n. 2 let. b come modificato dalla l. n. 55/2015), proprio al fine di rafforzare l’interesse allo scioglimento del vincolo.
La ricostruzione della Cassazione a Sezioni unite sulla funzione dell’assegno di divorzio deve essere estesa anche all’assegno di mantenimento, non es- sendo coerente che il criterio del tenore di vita, stan- te l’avviarsi del matrimonio verso lo scioglimento, sia conservato per l’assegno di mantenimento. Ol- tretutto, distinguendo la funzione dei due assegni, si favorisce la conflittualità tra i coniugi, divenendo la separazione personale terreno di scontro per ottene- re un assegno di mantenimento di importo decisa- mente maggiore rispetto a quello che potrà essere preteso in sede di scioglimento del matrimonio. Il che non agevola certo gli accordi, tanto meno defi- nitivi, in sede di separazione; anzi l’attuale orienta- mento sull’assegno di mantenimento disincentiva proprio la separazione consensuale.
Insomma, l’intervento legislativo appare neces- sario per rendere il sistema più coerente rispetto allo spazio già ampio riconosciuto all’autonomia nego- ziale dei coniugi e alla linea di policy tesa a favorire lo scioglimento del matrimonio. Solo qualche con- siderazione finale sui patti prematrimoniali.
Si è osservato come la Cassazione si sia piegata a ricostruzioni incerte, pur nell’intento di affermare la validità soltanto di certi accordi conclusi prima del matrimonio e ritenuti estranei agli effetti della
29 Cost. e quindi nel ruolo rilevante riconosciuto alla famiglia matrimoniale.
100 Cass. 16.5.2017, n. 12196, cit.
101 I dati ISTAT su matrimoni e divorzi in Italia evidenziano un considerevole aumento dei divorzi soprattutto dopo l’entrata in vigore della l. n. 55/2015 sul c.d. divorzio breve.
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separazione e del divorzio102. La strada della gene- rale validità degli accordi prematrimoniali passa al- lora dall’intervento legislativo103.
La loro introduzione, di cui la politica ha discus- so104, determinerebbe almeno tre vantaggi significa- tivi: a) diminuzione della conflittualità tra i coniugi, i quali perverrebbero alla separazione e al divorzio più agevolmente; b) più efficace tutela dei figli che, verosimilmente, subirebbero minori contrasti tra i genitori; c) riduzione dei costi della separazione e del divorzio, poiché entrambe verrebbero pronun- ciate per lo più con la negoziazione assistita, non essendoci divergenze (salvo se originate dall’adeguamento del patto), con conseguente al- leggerimento del carico giudiziario.
Aspetti fondamentali di una futura disciplina dei patti prematrimoniali attengono alla delimitazione dell’oggetto105, delle condizioni di validità e dei li-
102 Cass., 21.12.2012, n. 23713, cit., criticata puntualmente da
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X. XXXXXX DE XXXXXX, Accordi prematrimoniali e regolazione degli arricchimenti nella crisi coniugale, cit., 880 ss., soprattut- to perché la pronuncia, nel qualificare la scrittura privata sotto- scritta prima del matrimonio, unitamente a un accordo ad essa collegato (che prevedeva il trasferimento di un titolo di stato in funzione perequativa di quanto ricevuto dal marito), quale datio in solutum sospensivamente condizionata al fallimento del ma- trimonio, tenta malamente di celare la sostanza di un accordo prematrimoniale. La Suprema Corte reputa valido il contratto perché estraneo alla nozione di accordo prematrimoniale. Il quale - si legge nella sentenza - è davvero tale se è volto a «re- golare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rile- vante (come la corresponsione di assegno), con possibili arric- xxxxxxxx e impoverimenti». Xxxxxx, non sembra qualificante questa perimetrazione incentrata sull’oggetto. L’altra ragione di validità indicata dalla Cassazione starebbe nella natura non me- ramente potestativa della condizione sospensiva del fallimento del matrimonio, il cui avveramento dipende da un fattore ogget- tivo.
103 X. XXXXXX DE XXXXXX, Accordi prematrimoniali e regolazio- ne degli arricchimenti nella crisi coniugale, cit., 884 ss. Cfr. anche: X. XXXXXX, «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, 171 ss.; ID., Con- tratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniuga- le, in Fam. e dir., 2012, I, 69 ss.; X. XXXXXX, Marital contracts, Everträge, convenzioni e accordi prematrimoniali. Linee di una ricerca comparatistica, in Nuova giur. civ. comm., 2012, II, 475 ss.; X. XXXXXXXXX, Accordi in previsione della futura ed even- tuale separazione dei coniugi nella recente giurisprudenza di legittimità, in Contratti, 2016, 2, 173 ss.
104 La Proposta di legge n. 2669 (XVII legislatura) presentata il 15.10.2014 alla Camera dei Deputati prevede l’introduzione dopo l’art. 162 c.c. di un nuovo art. 162-bis c.c., riguardante la forma e il contenuto degli accordi prematrimoniali. Diversa- mente, il disegno di legge del 18.3.2011, n. 2629 («Modifiche al codice civile e alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, in mate- ria di patti prematrimoniali») prevede l’introduzione di un nuo- vo comma 5° nell’art. 162 c.c., in cui si riconosce ai nubendi di stipulare un patto prematrimoniale. Si prevede la possibilità di stabilire un «criterio di adeguamento automatico del valore del- le attribuzioni patrimoniali predisposte con gli accordi prema- trimoniali».
105 Negli Stati nordamericani, i prenuptial agreement hanno un oggetto complesso, regolando non solo gli obblighi di mante- nimento conseguenti al divorzio, ma anche il regime patrimo- niale secondario e la successione mortis causa.
miti al potere giudiziale di adeguarne in certi casi il contenuto. Tali patti esprimono una valutazione prognostica di quella che sarà la propria condizione economico-patrimoniale in caso di scioglimento del rapporto, a prescindere dall’effettivo andamento della vita coniugale.
Ora, sebbene un potere correttivo del giudice dovrebbe essere tendenzialmente escluso, posto che la ragion d’essere dei patti prematrimoniali è di evi- tare l’applicazione della disciplina della crisi coniu- gale106 e la negoziazione durante la fine del matri- monio, non si può escludere che, talvolta, fatti ori- ginari (ad es.: la mancanza di una consulenza legale che dovrebbe essere obbligatoria per legge) o so- pravvenuti (figli, problemi di salute, pesante pena- lizzazione di un coniuge) possano legittimare una nullità o un’integrazione/revisione dell’accordo107. Rimarrebbe applicabile l’art. 1467 c.c.
Si dubita, inoltre, della validità del patto prema- trimoniale che escluda l’attribuzione dell’assegno di divorzio e di ogni altra misura volta a sollevare dal- la grave difficoltà economica il coniuge più debole; come pure dovrebbe ritenersi invalido il patto pre- matrimoniale insostenibile per la parte gravata, tan- to da impedirle di provvedere ai propri bisogni.
In sostanza un futuro provvedimento legislativo sui patti prematrimoniali dovrebbe prevedere la possibilità di rinunciare, in tutto o in parte, al man- tenimento ma non agli alimenti e ad ogni forma di sostentamento. Una tale disposizione sarebbe coe- rente rispetto a quanto affermato dalle Sezioni unite
106 il disegno di legge n. 2629/2011 consente ai nubendi che concludono un accordo prematrimoniale di escludere
«l’applicazione delle disposizioni in materia patrimoniale pre- viste dalla legge 1° dicembre 1970, n. 898». Di conseguenza ove tale patto, al verificarsi della crisi coniugale, dovesse risul- tare iniquo, non vi sarebbe possibilità di ricondurlo ad equità. Invece, il patto prematrimoniale che regola in via anticipata eventuali pretese restitutorie giustificate dalla fine del matrimo- nio dovrebbe essere assoggettato al giudizio ex post di equità. Un’equità sulla quale incidono sia la durata del matrimonio, sia la presenza di figli. Il giudice, nel valutare il patto, dovrebbe tener conto del principio di proporzionalità che informa il dove- re di contribuzione (art. 143, co. 3, c.c.). La corresponsione di un indennizzo in esecuzione di un accordo prematrimoniale ha una causa propria nella misura in cui quanto prestato da un co- niuge (ad esempio per ristrutturare l’immobile di proprietà dell’altro) ecceda quanto dovuto a titolo di contribuzione ai bi- sogni della famiglia. Sulla questione della ripetibilità delle elar- gizioni sproporzionate effettuate in esecuzione di un contratto di convivenza more uxorio (ex art. 1, co. 53, l. n. 76/2016) cfr.
X. XXXXXX DE XXXXXX, Accordi prematrimoniali e regolazione degli arricchimenti nella crisi coniugale, cit., 886.887, la quale propende per la tesi della derogabilità del principio di propor- zionalità tra conviventi di fatto. Di conseguenza, il convivente che abbia contribuito maggiormente non ha diritto alla restitu- zione degli arricchimenti fatti propri dall’altro.
107 X. XXXXXX, La circolazione dei modelli giuridici nell’ambito dei patti in vista della crisi del matrimonio, in Biblioteca della fondazione del not., cit., 16 ss., dà conto di questa eventualità trattando del caso inglese Xxxxxxxxx x. Xxxxxxxxx e svolendo un’interessante disamina della giurisprudenza tedesca sulla le- gittimità del controllo degli Eheverträge.
sulla duplice funzione dell’assegno di divorzio e sulla relativa disponibilità dei diritti in materia.
Il tema è complesso e non può essere in questa sede sviluppato oltre. Preme però segnalare che le soluzioni prospettate in Italia nei diversi disegni di legge appaiono lacunose rispetto all’elaborazione presente nei sistemi di common law e di civil law (soprattutto in Germania), in cui, com’è noto, sono più diffusi i pre-nuptial agreements108.
Fino a quando il nostro legislatore non interver- rà109, il patto prematrimoniale, diversamente da quanto ritenuto dalla Cassazione, deve essere consi- derato valido ma assoggettabile al giudizio di equità o, in alternativa, a clausole di rinegoziazione110.
L’autonomia contrattuale dei coniugi (o dei nu- bendi) non è avversata dall’ordinamento, ma con- temperata con la tutela del coniuge che, al momento della crisi coniugale, si scopra economicamente de- bole a causa dell’indirizzo impresso alla vita matri- moniale.
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108 X. XXXXXX, La circolazione dei modelli giuridici nell’ambito dei patti in vista della crisi del matrimonio, cit., 8 ss.; E. AL MUREDEN., I prenuptial agreements negli Stati uniti e nella pro- spettiva del diritto italiano, in Fam. e dir., 2005, 54 ss.; X. XXXXXX, Per un intervento normativo in tema di accordi pre- ventivi sulla crisi della famiglia, in Biblioteca della Fond. ita- liana del not., cit., 76 ss., prospetta un’articolata proposta di legge in materia di accordi preventivi, attenta ai diversi profili che vengono in rilievo.
109 X. XXXXXXX, La funzione del diritto privato in Europa, cit., 148, osserva che l’apertura «ad un metodo normativo, ma anche esegetico-valoriale, (…) ha consentito un’evoluzione cauta e radicale del sistema».
110 X. XXXXXXX, Accordi in vista della crisi, principio rebus sic stantibus e clausole di rinegoziazione, in Biblioteca della Fon- dazione italiana del not., cit., vol. I, 249 ss., sviluppa questa prospettiva, criticando l’applicazione dell’art. 2932 c.c. in caso di inadempimento dell’obbligo di rinegoziare previsto in una clausola del patto prematrimoniale, preferendo la previsione, nella clausola stessa, di meccanismi di “giustizia privata” (con- ciliatore, arbitro).
Persona e Mercato – Materiali e commenti
Mat eri ali e com m ent i
Materiali e commenti
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DIRITTO DEI FIGLI AD ESSERE AMATI?
Di Xxxxxx Xxxxxxx
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SOMMARIO: 1. Il caso ed il problema: sono compatibili ‘diritto’ e ‘amore’? – 2. La rilevanza giu- ridica dei “fatti di sentimento”. – 3. Il diritto all'assistenza morale dei figli come “diritto all'a- more”: il definitivo ingresso della dimensione affettiva nell'ordinamento. – 4. La prospettiva del- le fonti extracodicistiche: diritto dei figli ad essere amati e diritto di crescere in famiglia
ABSTRACT. Muovendo da Xxxx., 14 febbraio 2018, n. 3594 laddove si afferma che la stabilità affet- tiva è un’esigenza imprescindibile per il minore, lo scritto si interroga se nell’ordinamento attuale sia configurabile un diritto soggettivo all’affetto dei genitori.
D i r i t t o d e i f i g l i a d e s s e r e a m a t i ? ( M a r i n a P e z z o l a )
Xxxx., February 14th 2018, n. 3594 affirms that the affective stability is an essential requirement for the child, the paper investigate if it could be configured a subjective right to the affection of the parents.
1. Il caso ed il problema: sono com- patibili ‘diritto’ e ‘amore’?
La sentenza in esame costituisce l’ultima tappa di una complessa vicenda giudiziaria che ha riguar-
censurabilità in sede di legittimità dell’accertamento svolto ed ha precisato che la sentenza impugnata non ha violato i principi ai quali era tenuta ad atte- nersi in sede di rinvio. La decisione non è infatti fondata esclusivamente sui due elementi
dato una minore, sin dai suoi primi mesi di vita.
dell’episodio di abbandono e dell’età dei genitori,
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La Corte d’Appello di Torino1, confermando la decisione del Tribunale per i minorenni2, ne ha di- chiarato lo stato di adottabilità.
Nonostante il rigetto da parte della Cassazione3 del ricorso proposto contro la decisione della Corte d’Xxxxxxx, essa è passata in giudicato, ma è stata impugnata per revocazione. All’esito del giudizio così instaurato, la Suprema Corte4 ha revocato la sentenza n. 25213/2013 e cassato, con rinvio, la de- cisione della Corte d’Appello di Torino: e ciò nel convincimento che non fossero emersi elementi concreti, idonei ad integrare la fattispecie dello stato di abbandono materiale e morale della minore che – com’è noto – costituisce il presupposto fondamenta- le della dichiarazione di adottabilità ai sensi dell’art. 8 della Legge 4 maggio 1983, n. 184, “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”. Se- condo la Corte di legittimità, inoltre, il giudice di secondo grado aveva erroneamente considerato di- rimenti l’età avanzata dei genitori e l’episodio (poi peraltro escluso dalla sentenza della Cassazione pe- nale del 12 giugno 2013) dell’abbandono in stato di pericolo della bambina.
Ancorché fosse nel frattempo intervenuta e pas- sata in giudicato la sentenza di adozione della mino- re, la Corte d’Appello di Torino, in diversa compo- sizione, è stata dunque nuovamente chiamata a pro- nunciarsi sullo stato di abbandono. In questa occa- sione la Corte5 ha affermato di condividere la pre- cedente valutazione circa lo stato di abbandono del- la bambina in ragione di gravi carenze genitoriali e non emendabili in tempi adeguati alla crescita; giungendo ad affermare che “il lungo periodo in cui i genitori hanno continuato a incontrare la bambina, con l’aiuto degli operatori, non [ha] consentito la strutturazione di alcun legame “nutritivo” e funzio- nale per il benessere di R. (ma , anzi, [è] stato per la bambina fonte di sofferenza), e, nonostante la com- pliance, indubbia, dei signori D. rispetto ai tempi e alle modalità degli incontri previsti, e nonostante il sostegno ricevuto dai professionisti interpellati, non è stata neppure prospettata l’ipotesi dell’esistenza di un concreto margine di cambiamento”.
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha dunque respinto il ricorso proposto avverso la decisione della Corte territoriale, confermando lo
ma su una pluralità di fattori che, valutati nel com- plesso, sono risultati decisivi in quanto caratteriz- zanti il profilo personale e l’(in)idoneità genitoriale dei ricorrenti.
In particolare la Cassazione ha affermato che, benché i genitori non si trovino in una situazione di emarginazione sociale, culturale ed economica, e abbiano sempre tenuto un comportamento collabo- rativo, permane la valutazione tecnica negativa cir- ca la loro idoneità, specie con riferimento ad “una complessiva incapacità non emendabile di com- prendere quali siano i bisogni emotivo-affettivi e pratici della minore, risultando il padre totalmente dipendente dalle aspettative e desideri della moglie e quest’ultima chiusa in un processo narcisistico che le impedisce di percepire la minore come un inve- stimento affettivo”. È in relazione a tali carenze che la Corte d’Xxxxxxx aveva condiviso la valutazione, compiuta in primo grado, circa lo stato di abbando- no della minore; considerando giustificata e propor- zionata, al fine della sua tutela, l’iniziale decisione di allontanarla dal nucleo familiare d’origine “te- nendo a mente l’interesse della minore non già ad avere una famiglia “migliore”, ma a vedersi assicu- rata una crescita sana, adeguata assistenza e stabilità affettiva”.
La linea argomentativa seguita dalla Corte d’Appello di Torino, e condivisa dalla Suprema Corte, lascia agevolmente intendere come, tra gli elementi valorizzati ai fini della valutazione del ‘best interest’ della minore, rientrino i bisogni affet- tivi: che assumono rilevanza in quanto strumentali rispetto ad un sano sviluppo.
Inoltre, l’esigenza di stabilità affettiva è annove- rata tra quelle imprescindibili per la minore e risul- ta, per tale ragione, apprezzabile dal giudice ai fini della dichiarazione di adottabilità.
La sentenza offre quindi lo spunto per qualche riflessione su un tema non del tutto nuovo, ma al quale anche i recenti interventi del legislatore6 han- no restituito attualità. Viene da chiedersi in partico- lare se nell’ordinamento attuale sia configurabile un diritto soggettivo all’affetto dei genitori; o, in altre parole, se esista un vero e proprio diritto dei figli ad essere amati.
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stato di adottabilità. In particolare, ha escluso la
6 L. 10.12.2012, n. 219 “Disposizioni in materia di riconosci-
1 App. Torino, 22.10.2012, n. 150, inedita.
2 Trib. Minorenni Torino, 16.08.2011, n. 4, inedita.
3 Cass., 08.11.2013, n. 25213, in Foro it., 2014, 1, 59.
4 Cass., 30.06.2016, n. 13435, in Foro it., 2016, I, 2319.
5 App. Torino, 11.03.2017, n. 21, in Foro it., 2017, I, 1184.
mento dei figli naturali”; d. lgs. 28.12.2013, n.154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”; l. 20.5.2016, n. 76 “Regolamentazione delle unioni civili tra per- sone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze ”.
La nostra dottrina ha già coniato, proprio per i figli, l’espressione ‘diritto all’amore’, inteso quale diritto fondamentale della prole, diretto a tutelare l’interesse essenziale a ricevere quella carica affet- tiva di cui l’essere umano non può fare a meno, al tempo della propria formazione7. Ma a tale ricostru- zione si può contrapporre l’interrogativo di chi si è chiesto: “Sono compatibili, sono pronunciabili in- sieme, le parole diritto e amore? O appartengono a logiche conflittuali, tanto che l’una o l’altra cercano reciprocamente di sopraffarsi?”8.
La contrapposizione può essere resa in modo an- cora più concreto. Da un lato, si può sostenere che la recente riforma della filiazione, riconoscendo ai figli il diritto all’assistenza morale, abbia con ciò garantito loro il diritto di ricevere dai genitori l’apporto affettivo necessario alla crescita e alla ma- turazione della persona: quindi, senza che ciò suoni come metafora, il diritto ad essere amati.
Tuttavia, la tradizionale obiezione che si può muovere a tale assunto è che la legge non può im- porre sentimenti9. La configurabilità di un diritto soggettivo ad essere amati, quindi, esige che sia po- sitivamente risolta la questione della rilevanza giu- ridica dei sentimenti10. La difficoltà che si incontra è evidente, dal momento che tradizionalmente si tende a ricondurre la materia dei sentimenti a feno- meni connotati da libertà e spontaneità: caratteristi- che antitetiche rispetto alla categoria dell’obbligo e alla coercibilità della condotta dei privati.
2. La rilevanza giuridica dei “fatti di sentimento”.
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Com’è noto, va ascritta al merito di Xxxxxx Xxx- xxx l’elaborazione di una teoria giuridica dei fatti di
7 C. M. XXXXXX, La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla Riforma del diritto di famiglia, in Dir. famiglia, 2006, fasc.1, I, p. 208.
8 X. XXXXXX, Diritto d’amore, Laterza, Roma; Bari, 2015, p. 3: “Sono compatibili, sono pronunciabili insieme, le parole diritto e amore? O appartengono a logiche conflittuali, tanto che l’una o l’altra cercano reciprocamente di sopraffarsi? […] Siamo di fronte ad un conflitto, combattuto però non ad armi pari, con il potere concentrato sostanzialmente dalla parte del diritto, che lo esercita come strumento di disciplinamento dell’amore, fino a negare alla persona la libertà di innamorarsi.”
9 X. XXXXXXXX, La comunità familiare, Xxxxxxx, Milano, 1984,
p. 32 ss., il quale rileva la pericolosità di quelle tendenze dottri- narie che attribuiscono rilevanza giuridica ai sentimenti “che vengono assunti non quale “dato grezzo”, quale “ratio” delle norme o mero criterio concorrente di valutazione dei compor- tamenti”.
10 X. XXXXXXXX, Il diritto all’assistenza morale (Art. 315 bis c.c. come inserito dall’Art. 1 comma 8, L. n. 219/2012), in C. M. XXXXXX, La riforma della filiazione, Cedam, Padova, 2015, p. 73 e ss.
sentimento.11 Sebbene tra le figure in cui si distin- guono i fatti di coscienza – volontà, conoscenza e sentimento – quelli di sentimento siano i meno stu- diati nella prospettiva giuridica, le difficoltà di rego- lamentare tale materia non impediscono di affer- marne la rilevanza giuridica purché il sentimento raggiunga una manifestazione sociale sufficiente. I sentimenti rispetto ai quali il diritto prende posizio- ne si distinguono per la loro ‘polarizzazione’, posi- tiva o negativa, quali “sentimenti-valori” e “senti- menti-disvalori”12. Alla opposta polarizzazione cor- rispondono diverse situazioni giuridiche, tramite le quali il diritto garantisce i primi e combatte i secon- di.
Ancorché la rilevanza dei sentimenti non sia sta- ta indagata all’interno degli ordinamenti positivi, e di riflesso la teoria generale del diritto non abbia avvertito l’esigenza di dotarsi di categorie dogmati- che per i fenomeni di sentimento quali fenomeni giuridici propriamente detti, Falzea ammette che ai sentimenti possa essere riconosciuto un posto im- portante tra essi. Xxxxxxx, infatti, che i sentimenti riflettono situazioni di interesse e che la nozione giuridica di interesse conduce alla categoria genera- le del valore e al problema dei suoi rapporti con il diritto. Il sentimento, allora, assume un ruolo nel quadro dei fenomeni giuridici in quanto è definito quale “organo attraverso cui la coscienza individua- le si mette in rapporto con i valori. Se quindi le si- tuazioni giuridiche sono essenzialmente legate a certi valori chiamati interessi, è da supporre che al fondo di ogni interesse e perciò di ogni situazione giuridica ci siano e si possano scoprire fenomeni di sentimento i quali, perciò, dovrebbero figurare am- piamente e con spiccato rilievo tra gli altri fenomeni del diritto”13.
Il sentimento come fatto giuridico è dunque con- figurabile allorché la fattispecie definita dalla norma contempli stati o eventi emozionali. Sicché l’interrogativo cui è chiamata a rispondere una teo- ria giuridica del sentimento riguarda la possibilità della sua rilevanza positiva.
La risposta offerta da Xxxxxx è affermativa: al pari che nelle norme etiche e sociali, anche in quelle giuridiche il sentimento può essere contemplato sia nella fattispecie effettuale sia in quella causale.
11 X. XXXXXX, Ricerche di teoria generale del diritto e di dog- matica giuridica. II. Dogmatica giuridica, Xxxxxxx, Milano, 1997, p. 437 ss..
12 X. XXXXXX, Ricerche di teoria generale del diritto e di dog- matica giuridica. II. Dogmatica giuridica, Xxxxxxx, Milano, 1997, p. 455: “la conformità o difformità tra i valori racchiusi in certi sentimenti e i valori giuridici deve raggiungere un grado di intensità apprezzabile per ottenere l’approvazione o la ripro- vazione del diritto e quindi per dare luogo a una qualificazione giuridica nettamente positiva o nettamente negativa.”
13 X. XXXXXX, Ricerche di teoria generale del diritto e di dog- matica giuridica. II. Dogmatica giuridica, Xxxxxxx, Milano, 1997, p. 441.
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Sempre che, come anticipato, esso raggiunga una adeguata manifestazione sociale, ancor più necessa- ria perché nelle norme giuridiche si accentuano i ca- ratteri dell’oggettività e dell’esteriorità. Il sentimen- to può dunque acquisire rilevanza se assume la for- ma del fatto giuridico, e così comparire nella fatti- specie ovvero negli effetti della norma; senza, tutta- via, che possa da solo esaurirne gli elementi.
Di qui una notazione decisiva anche per le rifles- sioni sulla sentenza in esame e sull’interrogativo posto in apertura: il sentimento non rileva se non in ragione di una sua esteriorizzazione, che deve ne- cessariamente avvenire attraverso altri fatti. Gli eventi e gli stati emozionali necessitano, cioè, di fat- ti manifestativi, attraverso i quali acquistano forma giuridica e divengono oggettivamente osservabili: perché “i fatti sono in grado di varcare la soglia del diritto solo se riescono a esteriorizzarsi e la loro esteriorizzazione è affidata al altri fatti: appunto a fatti di vita o a comportamenti.”
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Si pone così il problema dei rapporti tra senti- mento e comportamento. Per acquisire rilevanza, il sentimento deve entrare in una fattispecie comples- sa, composta sia dal fatto interiore affettivo sia dal fatto esteriore, appunto il comportamento. Ed il nes- so tra i due fatti, interiore ed esteriore, può essere di mera manifestazione ovvero di condizionalità: nel senso che sentimento e comportamento possono condizionarsi l’un l’altro. Ma in tal modo si spiega la problematica rilevanza giuridica dei sentimenti: perché le norme, già soltanto per le caratteristiche di generalità ed astrattezza, tendono a cogliere il mo- mento oggettivo e comportamentale, svalutando quello soggettivo ed emozionale. Di qui l’eccezionalità (per così dire statistica) della rile- vanza del sentimento quale fatto soggettivo: appun- to perché tale rilevanza esige uno specifico riferi- mento da parte della legge. Ciò che si verifica – si potrebbe dire in una prima approssimazione – uni- camente quando il legislatore intenda disciplinare situazioni non completamente definite sul piano og- gettivo, che necessitano dell’integrazione di mo- menti soggettivi di natura emozionale.
È in questa prospettiva, allora, che meglio si colgono spunti e suggerimenti di altri autori che hanno riflettuto sulla possibilità di conciliare le ma- terie del diritto e dei sentimenti14.
Alcuni, pur occupandosene soltanto indiretta- mente, non hanno potuto prescindere dall’affrontare il tema dell’‘amore’. Così chi – trattando il rapporto omosessuale e l’(allora) auspicato riconoscimento
14 X. XXXXXXX, Amore e diritto ovverosia i diritti dell’amore, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1994, p. 3, per il quale: “il diritto ha difficoltà a regolamentare i c.d. fatti di sentimento, non solo per motivi di lessico giuridico, ma anche perché le vicende che coinvolgono sentimenti (e non patrimoni) sono per loro natura ambigue ed oscure, in particolare per quel che ri- guarda i fatti d’amore”.
legislativo, con le significative conseguenze in tema di convivenza, matrimonio e filiazione – ha attribui- to un ruolo decisivo alla “capacità di amare”, pro- pria e tipica di ogni essere umano.15
Altri, espressamente riflettendo sul conflitto tra sfera dell’amore e diritto, ha rilevato come nell’esperienza storica il secondo sia stato utilizzato per neutralizzare il primo, pericoloso per l’ordine sociale, confinandolo attraverso l’istituto del matri- monio. Con la progressiva legittimazione di unioni diverse da quella matrimoniale, tuttavia, si assiste- rebbe ad un’inevitabile inversione di rotta. È stata così prospettata la tesi che il diritto costituisca lo strumento per liberare l’amore, consentendo alle persone di autodeterminarsi: “La negazione del di- ritto d’amore e la sua sottoposizione a vincoli ob- bliganti ci mostrano una persona alla quale vengono negate, insieme, libertà e dignità. Il diritto d’amore si iscrive così in un orizzonte giuridico che non en- tra in contraddizione con esso, e trova il suo fonda- mento nel rispetto pieno dovuto alla persona. La negazione di quel diritto diviene così pure negazio- ne di un ordine giuridico finalmente liberato dall’obbligo di impadronirsi della vita delle perso- ne”16.
3. Il diritto all'assistenza morale dei fi- gli come “diritto all'amore”: il defini- tivo ingresso della dimensione affetti- va nell’ordinamento.
La c.d. riforma della filiazione - ossia il com- plesso normativo costituito dalla Legge delega 10 dicembre 2012, n. 219, recante "Disposizioni in ma- teria di riconoscimento dei figli naturali", e dal De- creto legislativo 12 luglio 2013, n. 154, recante re- visione delle disposizioni vigenti in materia di filia- zione, volta alla parificazione di figli naturali e figli legittimi - dando attuazione al principio di ugua- glianza previsto agli artt. 3 e 30 Cost., ha definiti- vamente eliminato la distinzione tra figli nati all'in- terno e al di fuori del matrimonio.
Essa, però, si è anche spinta oltre, introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento, con il
15 X. XXXXXXX, Eros e jus, Mimesis, Milano; Udine, 2015, p. 49: “L’idea guida che abbiamo posto al centro della nostra in- dagine è stata quella della capacità di amare. Se una coppia non l’ha raggiunta si decide per forme di unione precaria che si adattano alla temporaneità del rapporto. La durata nel tempo dell’unione è viceversa la prima prova della sussistenza della capacità di amare e può coesistere con altro fatto di prova, che è la decisione comune di avere figli da allevare”.
16 X. XXXXXX, Diritto d’amore, cit., p. 48: “La norma giuridica non ha il fine, esplicito o non dichiarato, di impadronirsi dell’amore, ma lo specifico, e limitato, ruolo, di apprestare le strutture necessarie per l’autodeterminazione, grazie alle quali le persone possano effettuare liberamente le proprie scelte e costruire liberamente la propria personalità”.
nuovo art. 315-bis c.c., ciò che è stato definito un vero e proprio “statuto dei diritti del figlio”.
Di grande significato, anche etico-sociale, è la solenne proclamazione del novellato art. 315 c.c. per la quale “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuri- dico”: una definitiva conquista di civiltà giuridica, attesa da tempo, che costituisce il tratto fondamen- tale dell'intera riforma.17
La dottrina18 è ben riuscita ad esprimere il signi- ficato della norma contenuta nell’art. 315 c.c. e il conseguente mutamento di prospettiva realizzatosi con la formula “la legge conosce solo figli”.
Ciò che si è voluto eliminare è l'ingiusta conce- zione dell'esistenza di una distinzione tra i figli in ragione della nascita. In tal senso la felice espres- sione "famiglia dei figli"19: per indicare la assoluta centralità assunta dalla figura del figlio, intorno al quale ruota la responsabilità dei genitori.
Lo stato giuridico della filiazione è ora sancito come unitario, perché è indipendente dallo status familiae. Esso risulta, in sé, meritevole di tutela e, di conseguenza, tutelato indipendentemente dal vin- colo fattuale o di diritto esistente tra i genitori.20
zioni’ giuridiche attive e passive facenti capo al fi- glio22.
In particolare, così inteso, lo status di figlio rap- presenta un elemento costitutivo dell'identità perso- nale del nato ed integra un diritto inviolabile della persona umana.23 Come tale, risulta intimamente connesso al solo fatto della procreazione24 e pre- scinde da qualsiasi condizione di nascita e dall'e- ventuale domanda o accertamento dello status me- desimo25.
Sotto l’indicativa rubrica “Diritti e doveri del fi- glio”, l’art. 315-bis c.c. è scandito in quattro commi, tre dei quali contengono l'enunciazione dei diritti, mentre soltanto il quarto (identico nel testo al previ- gente art. 315, sui “Doveri del figlio verso i genito- ri”) riguarda i doveri verso i genitori.
Oltre ai tradizionali diritti al mantenimento, all'educazione e all'istruzione, la norma fissa i diritti all'assistenza morale, a crescere nella propria fami- glia e a mantenere rapporti significativi con i paren- ti: nonché, per il figlio che abbia compiuto dodici anni o sia anche di età inferiore, qualora dotato della
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La riforma del 2012 ha dunque impresso allo
status filiationis un rilievo primaria, autonomo dal rapporto che lega gli autori del concepimento,21 ef- ficacemente sintetizzata nella formula "dallo status familiae allo status personae".
Si comprende allora lo stretto legame tra il rin- novato art. 315 c.c., che stabilisce l’unicità dello status di figlio, e l'art. 315-bis c.c., altro pilastro della novella e al tempo stesso necessario corollario della norma precedente, il quale afferma i diritti e i doveri dei figli, enucleando quello che viene consi- derato un vero e proprio “statuto” di diritti. Ossia un complesso di disposizioni volte a sancire e tutelare, direttamente ed espressamente, i diritti nella titolari- tà del figlio, in forza del rapporto di filiazione, assi- curandone sistemazione unitaria e portata generale.
In questa prospettiva, lo status filiationis costi- tuisce il presupposto, la fonte del ‘fascio di situa-
17 X. XXXXXX, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale: testo aggiornato al D. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2014, p.1; C. M. XXXXXX, Verso un più giusto diritto di famiglia, in Iustitia, 2012, fasc. 2, p. 237.
18 C. M. XXXXXX, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, fasc. 1, p. 1 e ss.
19 L’espressione è stata introdotta da X. XXXXXXXXX, Diritto di famiglia e nuove letture della Costituzione, in Valori costitu- zionali, atti del Convegno nazionale dell'U.G.C.I., Milano, 2010, 190, prima della Riforma della filiazione ma in tale con- testo è stata riproposta da X. XXXXX XXXXXX, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, p. 1262.
20 X. XXXXXXXXXX, Caratteri e funzione dello status, in X. XXXXX, La filiazione e i minori, vol.4, in Le persone e la famiglia, UTET, Assago, 2015, p. 67.
21 X. XXXXX XXXXXX, Status e contratto nel mosaico della fami- glia, in Dir. Famiglia, fasc.1, 2016, p. 221.
22 X. XXXX, Introduzione allo studio del diritto privato, Cedam, Padova, 1990, p. 29 e ss., ha osservato che il concetto di “sta- tus” ha incontrato distinti momenti. In una prima fase essa è stata utilizzata per descrivere in maniera sintetica un gruppo di diritti e di obblighi, che sembravano trovare unità nel comune riferimento ad un determinato fenomeno sociale, quale ad esempio la famiglia. In un’ulteriore fase di elaborazione, inve- ce, tale categoria è stata ritenuta come il presupposto o la fonte di una serie aperta di diritti ed obblighi. Alla luce di tale evolu- zione, la nozione di status si è spostata dalla dimensione degli effetti giuridici a quella delle fattispecie, ossia degli eventi che la norma contempla in ipotesi e al cui accadere collega deter- minate conseguenze. I diversi stati, che possono essere quello di cittadino, di coniuge o di figlio, costituirebbero la fonte di determinati effetti giuridici, che, appunto, individuano la pro- pria causa negli stati medesimi.
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23 In tal senso, Corte cost., 28.11.2002, n. 494, in Giur. It., 2003, 130: "La Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti: nella specie, il diritto del figlio, ove non ricorrano costringenti ragioni contra- rie nel suo stesso interesse, al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, un diritto che, come affermato da que- sta Corte (sentenza n. 120 del 2001), è elemento costitutivo dell'identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall'art. 2 della Co- stituzione. "
24 Cass., 22.11.2013, n. 26205, in Giur. It., 2014, 1593: "Alla
formula costituita dall'endiadi "diritto ad essere educato e man- tenuto" non può attribuirsi un valore soltanto descrittivo. Essa contiene e presuppone il più ampio ed immanente diritto, de- sumibile dalla lettura coordinata degli artt. 2 e 30 Cost., di con- dividere fin dalla nascita con il proprio genitore la relazione filiale, sia nella sfera intima ed affettiva, di primario rilievo nel- la costituzione e sviluppo dell'equilibrio psicofisico di ogni per- sona, sia nella sfera sociale, mediante la condivisione ed il rico- noscimento esterno dello status conseguente alla procreazione. Entrambi i profili integrano il nucleo costitutivo originario dell'identità personale e relazionale dell'individuo e la comunità familiare costituisce la prima formazione sociale che un minore riconosce come proprio riferimento affettivo e protettivo.".
25 X. XXXXXXXXXX, La posizione del figlio nato nel matrimonio, in C. M. XXXXXX, La riforma della filiazione, cit., p. 328.
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capacità di discernimento, ad essere ascoltato in tut- te le procedure che lo riguardano.
È stato ampiamente sottolineato il radicale ribal- tamento di prospettiva rispetto al passato, e non sol- tanto perché il legislatore ha enunciato, positiva- mente e in maniera esplicita, i diritti dei figli, mo- strando come essi non siano più solamente desumi- bili, in via indiretta, dai corrispondenti doveri sussi- stenti in capo ai genitori.
Ed è stato altresì segnalato come l’inequivoca enunciazione dei diritti dei figli, anteposti ai doveri previsti dall’ultimo comma dell’art. 000 x.x., xxxxx- xx la necessità che la formula “interesse del mino- re” ceda il passo all'espressione “diritti del minore”: enfatizzando l'idea che l’ordinamento non tuteli sol- tanto un mero e generico interesse del minore, ma veri e propri diritti soggettivi della persona, ai quali l’attuale art. 315-bis c.c. ha conferito innegabile so- stanza concreta.
Il più vago concetto di “interesse del minore”, cui numerose norme del diritto di famiglia si ri- chiamano, deve essere allora abbandonato perché espressione della superata concezione che vedeva
Essa è stata ricondotta, ma in senso opposto, all’espressione utilizzata dalla Legge sull’adozione per la situazione suscettibile di originare la dichia- razione di adottabilità: il diritto in questione, quindi, integrerebbe la condizione minima accettabile ri- chiesta ai genitori.28
In tale direzione alcune pronunce – affermando che sussiste “stato di bisogno” quando alla prole venga a mancare la componente fondamentale per la formazione migliore della personalità – sono giunte a delineare un concetto di assistenza morale modellato non tanto sulla base del relativo contenu- to, comunque ricondotto alla nozione di “amore”29, quanto sulla sua finalità.30 L’assistenza morale, in- tesa quale immancabile apporto di cure ed affetto, viene ad assumere rilevanza perché la sua assenza giustifica il rimedio, pur residuale, dell’adozione: che pertanto si pone in chiave strumentale rispetto alla sana crescita del minore.
Si può dire, allora, che proprio nella riforma del- la filiazione il legislatore abbia definitivamente con- siderato meritevole di tutela la componente affetti- va, imprescindibile per una sana e serena crescita
nel figlio, e nel minore, più un oggetto di poteri al-
trui e di soli propri doveri, che non un soggetto tito- lare di diritti inviolabili. Una concezione considera- ta ormai superata.26
In questo quadro, l’art. 315-bis c.c. non si limita a riproporre i noti diritti dei figli e i corrispondenti doveri dei genitori (di mantenimento, istruzione ed educazione), già previsti dal previgente art. 147 c.c.. Ne enuncia, bensì, in maniera innovativa, di ulterio- ri, sconosciuti alla tradizione codicistica, tra cui quali il diritto all’assistenza morale. Senso e conte- nuto di essi sono ribaditi dall’art. 337-ter, comma 1
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c.c. (“Provvedimenti riguardo ai figli”): il quale, di- sciplinando i diritti della prole nei procedimenti ri- guardanti il rapporto matrimoniale e in quelli relati- vi ai figli nati al di fuori di esso, riconosce al mino- re, oltre al diritto di mantenere un rapporto equili- brato e continuativo con ciascuno dei genitori, quel- lo di ricevere da entrambi l’istruzione, l’educazione, la cura nonché, appunto, l’assistenza morale.
Di qui l’interrogativo, in dottrina e già in giuri- sprudenza, sul significato che il legislatore della ri- forma ha voluto imprimere alla formula “assistenza morale”27.
26 E' l'opinione di X. XXXXXXXX, Una buona novella di fine legi- slatura: tutti i figli hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale or- dinario, in Famiglia e dir., 2013, fasc. 3, p. 264.
27 Tale formula è stata consacrata con la riforma della filiazio- ne, come osservato da C. M. XXXXXX, Verso un più giusto dirit- to di famiglia, in Xxxxxxxx, XX, x. 000-000: “Che il figlio debba essere assistito moralmente si può desumere solo dalla legge sull’adozione. Neppure la legge sull’adozione, tuttavia, men- ziona il diritto all’assistenza morale, limitandosi essa ad indica- re la mancanza di tale assistenza come circostanza qualificante la situazione di abbandono. Il disegno di legge proclama invece espressamente l’assistenza morale come diritto del figlio, rico-
noscendo nella cura affettiva dei genitori il bene di cui il mino- re ha un bisogno primario per la sua crescita armoniosa”.
28 C. XXXXXX, Il diritto del figlio di ricevere cura e di essere assistito moralmente, in Minorigiustizia, 2014 fasc. 2, p. 37; sempre con riferimento alla Legge sull’adozione, C.M. XXXXXX, Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149 - "Modifiche alla
l. 4 maggio 1983, n. 184, recante 'Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori', nonché al titolo VIII del libro pri- mo del codice civile), in Le Nuove leggi civili commentate, 2002 fasc. 4-5, p. 909, ha rilevato lo stretto legame esistente tra il diritto del minore alla propria famiglia e quello all’assistenza morale: “il minore ha diritto di crescere nella sua famiglia in quanto riceva da questa l’assistenza morale necessaria per la serena ed equilibrata formazione”.
29 Cass., 28.3.1987, n. 3038, in Mass. Giur. It., 1987, voce Ado- zione: “Lo stato di abbandono è ravvisabile qualora i genitori abbiano fatto mancare al figlio un’assidua e amorevole assi- stenza nelle vicende quotidiane”; Xxxx., 02.10.2015, n. 19735, in Famiglia e dir., 2016, 1068: “In tema di adozione di minori, il diritto del minore a crescere ed essere educato nell'ambito della famiglia di origine incontra i suoi limiti in presenza di uno stato di abbandono, cosicché la rescissione del legame familiare costituisce l'unico strumento idoneo ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed a garantirgli assistenza e stabilità affetti- va”.
30 Trib. Minorenni Roma, 6.2.1984, in Dir. Famiglia, 1984, p. 637: “Il minore ha diritto non ad un'assistenza qualsiasi da parte dei suoi genitori, ma alla prestazione di cure idonee a garantir- gli uno sviluppo armonico ed equilibrato; ha diritto a vivere non in una famiglia qualsiasi, ma in un ambiente familiare moral- mente sano, che lo sottragga ad influenze che possano incidere negativamente sul suo armonico processo di maturazione”; Cass., 20.1.1998, n. 482, in Famiglia e dir., 1998, p. 273: “la nozione di “assistenza” prevista dal legislatore non deve essere intesa in termini meramente quantitativi, implicando, al contra- rio, una valutazione anche qualitativa delle funzioni genitoriali, in termini di adeguatezza al fine educativo, intese come corretto (e giammai distorto) esercizio del ruolo parentale. Integra, per- tanto, gli estremi della "situazione di abbandono" ogni irrepara- bile difetto di quella assistenza morale e materiale, intesa come idoneo apporto di cure ed affetto, necessario al normale e cor- retto sviluppo della personalità del minore.
del minore e per un equilibrato sviluppo della sua personalità; facendo emergere, con chiarezza, il va- lore centrale e fondante che l’elemento affettivo as- sume nella famiglia.31 Tale interesse finisce anzi per oggettivarsi, divenendo un valore per l’ordinamento e giustificandone la tutela: tanto più che la carenza dell’apporto affettivo rischia di ingenerare danni e squilibri psichici che, manifestandosi in età adulta, causerebbero problemi ancor più gravi per la socie- tà.32
Risulta pertanto evidente come l’esplicita men- zione, nell’art. 000-xxx x.x., xxx xxxxxxx xxx xxxxxx alla “assistenza morale” conferisca rilievo giuridico ge- neralizzato alla modalità naturalmente tipica della relazione genitore-figlio: la quale, prima ancora che xxxxxxxxx, è una relazione affettiva33 antropologica. La dimensione affettiva della filiazione, infatti, è un dato senz’altro pregiuridico: che il legislatore coglie e rende giuridicamente rilevante, non potendosene prescinderne ai fini di una compiuta e moderna di- sciplina del peculiare rapporto tra genitori e figli.34
Non è un caso, quindi, che il riconoscimento normativo del diritto all’amore riguardi esclusiva- mente i minori. Una medesima ragione di tutela non si rinviene, invece, nei rapporti tra adulti35, nei quali l’amore non assurge a diritto ma rimane una mera possibilità. E la differenza sussiste nonostante l’identità della locuzione (“assistenza morale”) uti-
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31 X. XXXXX, La famiglia degli affetti, in X. Xxxxxxxxx-X. Xxxxx (a cura di), Persona, famiglia e successioni, in Diritto privato: studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx, 2, 2, Torino, UTET giuridi- ca, 2009, p. 541 e ss., il quale, nell’affrontare i problemi aperti dalle nuove famiglie, non fondate sul matrimonio, si è espresso nei seguenti termini: “la costruzione della nuova famiglia in chiave egualitaria e solidaristica, per un verso, ha agevolato l’attenzione verso i profili sostanziali del rapporto, aprendo la strada alla protezione dei figli naturali e dei conviventi; per al- tro verso, ha attribuito valore fondante all’affettività, quale da- tore di stabilità dell’assetto interpersonale, idoneo a giustificar- ne riconoscimento e tutela, seppure episodici e parziali. L’istituto della famiglia […] trae la propria legittimazione so- stanziale dal fattore affettivo: ne è riprova il fatto che la cessa- zione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi è suf- ficiente all’accoglimento della domanda di divorzio [...]”.
32 X. XXXXXX, Filiazione: commento al decreto attuativo: le novità introdotte dal D. Lgs. 28 dicembre 2013, n.154, Xxxxxxx, Milano, 2014, p.153.
33 M. XXXXX, Famiglia e figli a quarant'anni dalla riforma, cit., p. 1013.
34 X. XXXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e capacità, in
X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, La filiazione e i minori, 4, in Le persone e la famiglia, Utet giuridica, Assago, 2015, p. 419.
35 M. BIANCA, Il diritto del minore all’amore dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, p. 10155: “Con riferimento ad un soggetto mi- nore, si è recepita l’idea che l’amore, al pari della salute, della vita, costituisca un autonomo diritto della personalità, di rile- vante importanza per la crescita e la cui violazione può deter- minare danni irreversibili nella personalità dell’adulto. Si è per- tanto recepito anche a livello normativo il monito che attenta dottrina predicava da tempo, ovvero l’affermazione “ dell’idea che occorra aver riguardo al bisogno del minore di ricevere quella carica affettiva di cui l’essere umano non può fare a me- no nel tempo della sua formazione”.
lizzata dal legislatore per indicare da un lato, nell’art. 315-bis c.c., il diritto dei figli nei confronti dei genitori, e dall’altro, nell’art. 143 c.c., l’obbligo reciproco dei coniugi. Si è persuasi, tuttavia, che il nucleo essenziale dell’obbligo di assistenza morale non vada individuato nell’interesse ad essere amati, bensì nell’aiuto e nel conforto spirituale che essi so- no tenuti a prestarsi reciprocamente. Nell’ambito del rapporto coniugale, infatti, il venir meno dell’assistenza morale, qualora renda intollerabile la prosecuzione della convivenza, giustifica il sorgere del diritto alla separazione personale36; mentre la carenza di amore non assume, di per sé, rilevanza autonoma né per un eventuale addebito della sepa- razione, né ai fini di un giudizio di responsabilità dei coniugi37. Coerentemente, la sua mancanza co- stituisce autonomo titolo di risarcimento del danno non patrimoniale soltanto quando si traduce in un comportamento lesivo di altri diritti della personali- tà.38
Nella prospettiva qui delineata, dunque, si può senz’altro affermare che il diritto dei figli ad essere assistiti moralmente altro non è se non un diritto a ricevere amore, e dunque diritto all’amore: cioè a quell’interessamento sollecito e premuroso che spinge a provvedere direttamente alle esigenze di una persona e ad averne cura. Dopo che dottrina e giurisprudenza ne avevano colto l’importanza, ad esso l’attuale quadro normativo ha dato riconosci- mento.39 La dimensione affettiva del rapporto di fi- liazione ha così finalmente fatto definitivo ingresso nell’ordinamento positivo.
36 Cass. 7 giugno 1982, n. 3437, in Mass. Giur. it., 1982, c. ...:
“Il reciproco obbligo di assistenza e collaborazione, posto a carico dei coniugi dall'art. 143, 2° comma c.c., comporta che la condotta dell'uno, consistente nell'ingiustificato rifiuto di aiuto e conforto spirituale, con la volontaria aggressione della perso- nalità dell'altro, per annientarla, deprimerla, o comunque osta- colarla, integra violazione dei doveri che derivano dal matri- monio, e giustifica una pronuncia di separazione personale con addebito”.
37 XXXXXXXX, Il diritto all’assistenza morale (Art. 315 bis c.c. come inserito dall’Art. 1 comma 8, L. n. 219/2012), in C. M. Xxxxxx, La riforma della filiazione, cit., p. 82.
38 Cfr. Cass., 1 dicembre 2004, n. 22593, in Danno e Resp., 2005, 324: “Circa, infine, il danno da serenità familiare, la sen- tenza impugnata ne ha giustamente escluso la risarcibilità. […]D'altra parte, altrettanto recentemente questa Corte ha of- ferto tutela all'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla in- violabilità della libera e piena esplicazione delle attività realiz- zataci della persona umana nell'ambito di quella peculiare for- mazione sociale (tutela ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.), limitatamente, però, alla risarcibilità del danna subito in conse- guenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto "parentale" (Xxxx. 31 maggio 2003, n. 8828)”.
00 X. XXXXXXXXXXX, Xx nuove norme sui figli nati fuori dal ma- trimonio. Superamento di alcuni aspetti discriminatori, in Giur. di Merito, 2013 fasc. 3, p. 530; M. XXXXX, Famiglia e figli a quarant'anni dalla riforma, in Famiglia e dir., 2015, fasc. 11,
p. 1013; C. M. XXXXXX, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., p. 335.
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Lo conferma la circostanza che, nel progetto ini- ziale di “statuto dei diritti dei figlio”, ora compen- diato nel menzionato art. 315-bis c.c., è stato te- stualmente previsto proprio il diritto del figlio “di essere amato” dai genitori. Sebbene l’espressione letterale sia stata soppressa in sede di approvazione della legge delega, e sia stata sostituita da quella sull’assistenza morale, si è ugualmente persuasi che “con tale espressione sia comunque stato introdotto nell'ordinamento giuridico familiare un diritto del figlio, particolarmente quando in età minore, alla tenerezza e piena solidarietà dei genitori, quindi, in definitiva, ad essere amato dagli stessi”. 40
E si è altresì persuasi che questa conclusione rappresenti l’esito di un percorso normativo al quale anche il legislatore italiano è giunto progressiva- mente.
4. La prospettiva delle fonti extracodi- cistiche: diritto dei figli ad essere amati e diritto di crescere in famiglia.
Benché l’esplicita codificazione del diritto (d’amore) all’assistenza morale sia avvenuta ad opera della L. 219/2012, va sottolineato come, già in precedenza, il diritto in questione fosse ricavabile da fonti extracodicistiche.
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Nel diritto sovranazionale si può cogliere come, sebbene, con riferimento all’assistenza morale, l’espressione “diritto” non comparisse, il concetto ad essa sotteso – per il quale la prole, fin dalla pri- ma infanzia, deve ricevere dai genitori tutte le cure necessarie allo sviluppo – emergeva con evidenza già da alcune previsioni. Le quali esprimevano, e tuttora esprimono, i fondamentali bisogni di rela- zione dei minori. Tra tali norme si collocano, sicu- ramente, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 195941 e la Convenzione internazionale sui diritti
40 X. XXX XXXXXXX, La filiazione prima e dopo la Riforma, in Dir. Fam. Pers. (Il), fasc.1, 2014, p. 337: “Non che l'affettività non sia già entrata tra le regole giuridiche familiari: infatti, in ordine all'adozione, gli adottandi debbono dimostrare di es- ser affettivamente idonei (art. 6 2 l. n. 149 del 2001) e gli affi- datari familiari debbono poter assicurare al minore relazioni affettive (art. 2 1 l. n. 149 del 2001); ma permane quel malinte- so senso di concettuale impedimento (più che di contrarietà al dato tecnico giuridico) che resiste all'ingresso dei fatti di senti- mento sia nella legge che nelle elaborazioni civilistiche. Come è noto, non vi è posto nel codice civile, creatura dell'illumini- smo giuridico, per termini che facciano diretto ed esplicito rife- rimento ai comuni sentimenti quali l'amore, l'amicizia, la grati- tudine, limitandosi, al più, al rinvio a criteri di comportamento della “correttezza”, “buona fede”, “buon costume”, non dando spazio normativo e riferimento diretto ai fatti di sentimento.”.
41 Principio sesto:
“Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età
del fanciullo del 1989.42 E con forza ancora maggio- re l’esigenza primaria di cura del fanciullo è mani- festata nella Carta di Nizza del 200043, che per pri- ma discorre di un vero e proprio diritto.
Nella legislazione italiana si può notare come, sebbene già la Costituzione menzioni (art. 30) non il diritto dei minori alla cura e all’assistenza, ma il corrispondente dovere dei genitori, un primo e im- portante passo verso il riconoscimento della rile- vanza della dimensione affettiva è stato compiuto dalla L. 184/1983 sull’adozione, in specie da alcune sue specifiche disposizioni.44
L’art. 1, comma 1 sancisce il diritto del minore a crescere nella propria famiglia: un diritto evidente- mente strumentale e legato alla necessità di garanti-
non deve essere separato dalla madre. La società e i poteri pub- blici hanno il dovere di aver cura particolare dei fanciulli senza famiglia o di quelli che non hanno sufficienti mezzi di sussi- stenza. E' desiderabile che alle famiglie numerose siano conces- si sussidi statali o altre provvidenze per il mantenimento dei figli”.
42 Articolo 18:
“Gli Stati parti si devono adoperare al massimo per garantire il riconoscimento del principio secondo cui entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all'allevamento ed allo sviluppo del bambino. La responsabilità di allevare il fanciullo e di garantire il suo sviluppo incombe in primo luogo ai genitori o, all'occorrenza ai tutori Xxxx'assolvimento del loro compito essi debbono venire innanzitutto guidati dall'interesse superiore del fanciullo”.
Articolo 20:
“Un fanciullo che venga privato, permanentemente o tempora- neamente del suo ambiente familiare o che nel suo proprio inte- resse non possa essere lasciato in tale ambiente. avrà diritto a speciale protezione e assistenza da parte dello Stato.
Gli Stati parti debbono garantire a tale fanciullo una forma dl cura ed assistenza alternativa in conformità alla loro legislazio- ne nazionale”.
Articolo 27:
“Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo ad un li- vello di vita sufficiente atto a garantire il
suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale.
I genitori o le altre persone aventi cura del fanciullo hanno pri- mariamente la responsabilità d assicurale, nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo”.
43 Articolo 24, Diritti del bambino:
“I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”.
44 Art. 1: “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia”.
Art. 2: “Il minore temporaneamente privo di un ambiente fami- liare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto dispo- sti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferi- bilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le rela- zioni affettive di cui egli ha bisogno".
Art. 6: “I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adotta- re”.
Art. 8: “Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio”.
re alla prole l’apporto affettivo indispensabile. In maniera più esplicita, l’art. 2, comma 1 sull’affidamento, tra i requisiti soggettivi degli affi- datari introduce la capacità di assicurare al minore le relazioni affettive di cui ha bisogno. Ed ancora, l’art. 6, comma 2 prevede tra i requisiti degli adot- tanti l’essere “affettivamente idonei”. Mentre l’art. 8 individua, quale unico presupposto sufficiente per giustificare lo stato di adottabilità, la carenza di as- sistenza morale e materiale e con ciò, implicitamen- te, l’incapacità e l’inidoneità affettiva della famiglia d’origine.45
Allo stesso modo, la nozione di cura del figlio era stata enunciata dalla disciplina in tema di affi- damento condiviso, tra l’altro imponendo il relativo obbligo anche a carico dei genitori separati, con l’art. 155, comma 1 c.c..
In un panorama normativo che da tempo si muo- veva in questa direzione, d’altra parte, la giurispru- denza aveva da tempo rilevato come dal ruolo geni- toriale non discendano soltanto i doveri economici correlati al mantenimento, ma anche quelli di edu- xxxxxxx, istruzione e assistenza morale nei confronti dei figli, sottolineando la decisiva rilevanza di que- sti ultimi. Su tale linea, è giunta ad enucleare il c.d. danno da privazione del rapporto genitoriale, con la conseguente risarcibilità e, correlativamente, quello che si potrebbe definire un “diritto alla relazione af- fettiva” della prole. Configurato quale diritto fon- damentale caratterizzato dalla già accennata stru- mentalità rispetto alle esigenze di sana crescita e di sviluppo del minore.
Ripetutamente, poi, è stata riconosciuta46 la re- sponsabilità del genitore per essere venuto meno
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45 C. XXXXXX, Il diritto del figlio di ricevere cura e di essere assistito moralmente, cit., p. 35 e ss.; M. BIANCA, Filiazione: commento al decreto attuativo: le novità introdotte dal D. Lgs. 28 dicembre 2013, n.154, cit., p.154.
46 Tra le diverse pronunce di merito: Trib. Venezia, 30.6.2004, in Giur. It., 2005, 1630: “Il genitore che si disinteressi comple- tamente dei figli, violando l'obbligo di assistenza materiale, morale ed educativa, è responsabile ex art. 2043 c.c. ed è obbli- gato a risarcire i pregiudizi subiti dalla prole nel percorso di maturazione e crescita e nello sviluppo della personalità”; Trib. Roma, 11.1.2012, in Resp. civ., 2012, 314: “Sussiste la respon- sabilità del padre che - pur avendo provveduto a versare somme di denaro per il mantenimento del figlio - abbia, con pervicacia, completamente omesso di occuparsi della cura morale del figlio e di mantenere con lui una costante relazione affettiva, con ciò violando i diritti fondamentali dello stesso minore”; Trib. Tori- no, 10.2.2014, in Giur. It., 2014, 1890: “Si rileva, in merito, come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dal- la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche ineliminabili, a quei diritti che, scatu- rendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzio- nale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internaziona- le recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di ricono- scimento e di tutela. ”; Trib. Milano, (ord.) 23.7.2014, in Dir. Famiglia, 2015, 43: “In ambito familiare, costituisce per il mi- nore situazione soggettiva di rango primario, tutelata a livello
agli obblighi di cura e di affetto, sul presupposto che l’attuazione del pieno rapporto affettivo con il genitore integri un diritto soggettivo del figlio, quindi una situazione giuridica azionabile per otte- nere il risarcimento del danno non patrimoniale. In particolare, i casi in questione hanno riguardato sia vicende in cui il genitore, riconosciuto il figlio, lo ha in seguito trascurato; sia casi nei quali il disinte- resse è iniziato con il mancato riconoscimento.47
Come opportunamente rilevato48, si può allora dire che il diritto all’assistenza morale esprima la sintesi dei diritti fondamentali del figlio: una sorta di fil rouge che li unisce tutti, per assicurare la cura più completa della persona nell’età della fanciullez- za.
Nel contesto di tali diritti, in particolare, pare evidente lo stretto legame tra il diritto dei figli all’assistenza morale ed il diritto del figlio a cresce- re in famiglia49, previsto, dopo la Legge 219/2012, dall’art. 315-bis, comma 2 c.c.. Esso integra, infatti, il diritto a compiere il percorso affettivo, formativo ed educativo, tracciato dalla legge, all’interno del proprio nucleo familiare, ossia nel contesto che l’ordinamento mostra di ritenere assolutamente prioritario per il pieno sviluppo della personalità del figlio.50
A tal proposito, è stato osservato che nell'ambito del rapporto di filiazione, il quale orbita tra respon- sabilità genitoriale e responsabilità filiale, ciò che riveste una posizione di preminenza è l'interesse del figlio a non essere pregiudicato nel suo sviluppo ed equilibrio psicofisico. In tal senso, quindi, le rela- zioni affettive, con i genitori e i parenti, assumono un’autonoma rilevanza che permette di considerarle come espressione di un interesse meritevole di tute- la51.
La correlazione tra i due diritti emerge, proba- bilmente, in maniera più chiara se si considera che anche l’introduzione nel nostro ordinamento del di- ritto di crescere in famiglia non costituisce una no- vità assoluta. Esso aveva, infatti, trovato riconosci-
costituzionale, lo svolgimento del rapporto con entrambi i geni- xxxx. Ne deriva che qualora uno dei genitori, venendo meno ai propri doveri di mantenimento, istruzione ed educazione, privi di tale rapporto il minore, quest'ultimo ha diritto al risarcimento del relativo danno, anche di natura non patrimoniale”.
47 X. XXXXXXXX, Il danno c.d. da privazione del rapporto genito- riale e le tabelle di Milano come possibile risposta al problema della relativa quantificazione, in Resp. civ. prev., 2015, fasc. 2, p. 562.
48 X. XXXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e capacità, in
X. Xxxxx-X. Xxxxxxxxx-X. Xxxxxxxxxx, La filiazione e i minori, 4,
in Le persone e la famiglia, cit., p. 419.
49 C. M. XXXXXX, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Xxxxxxx, Mila- no, 2014, p. 337: “il diritto del figlio a crescere nella propria famiglia è un diritto assoluto esperibile nei confronti di tutti i terzi, pubblici e privati”.
50 X. XXXXX, Famiglia e figli a quarant'anni dalla riforma, cit., p. 1014.
51 X. XXXXXXX, Lo stato giuridico di figlio e il nuovo statuto dei diritti e doveri, in Giust. civ., 2011, fasc. 4, II, p. 185.
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mento in numerosi accordi internazionali, grazie ai quali ha assunto rilievo costituzionale52.
Ci si riferisce alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989, nella quale il diritto alla conservazione delle relazioni familiari è asso- ciato al diritto del minore alla propria identità, al proprio nome e alla propria nazionalità, dunque agli elementi identificativi della persona53.
Nella legislazione italiana, il diritto del minore a crescere in famiglia è sancito nella L. 184/1983 sull’adozione, significativamente intitolata proprio “Diritto del minore ad una famiglia”.
Per l’art. 1, comma 1 della legge sull’adozione, come modificato dalla Legge del 2001, “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia”.
Secondo l’attuale quadro normativo, i figli han- no diritto ad una famiglia, possibilmente la propria originaria, ovvero una sostitutiva nella quale siano accolti come figli54. È questo il senso profondo del riferimento alla espressione “ad una famiglia” con- tenuta già nel titolo della legge sull’adozione.
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Ed invero, posto che l’art. 1, comma 1 della leg- ge sull’adozione sancisce il preminente diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito del- la propria famiglia e l’art. 8 fa discendere la dichia- razione di adottabilità del minore dall’assenza di as- sistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, si arriva a sostenere che l’art. 1, comma 5 della legge sull’adozione si riferisca al diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia. Emerge, così, come il diritto di crescere nella propria fami- glia, ove questa risulti inadeguata, ceda - legitti- mando i rimedi, seppure residuali, dell’affidamento e dell’adozione - rispetto al diritto del minore a cre- scere comunque in una famiglia, purché in grado di far fronte ad eventuali carenze assistenziali.55 Ed è
52 X. XXXXXXXX, Rapporti tra genitori e figli, Xxxxxxx, Milano, 2014, p. 38.
53 Art. 8: “Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali.
Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono con- cedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identi- tà sia ristabilita il più rapidamente possibile”.
54 X. XXXXXXX, Il diritto del minore ad una famiglia, in Fam. Pers. Succ., 2008, fasc. 11, p. 872.
55 Cfr. G.E. NAPOLI, Il diritto di crescere nella propria fami- glia, in C.M. Xxxxxx, La riforma della filiazione, cit., p. 1126; è quanto emerge anche da Xxxx., 21 giugno 2018, n. 16357, in Giust. civ., Mass., 2018, voce Adozione: “Il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le pro- prie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei
in questo senso che è stato osservato come la legge sull’adozione riveli il ruolo prioritario che il diritto all’amore dei genitori svolge nella vita dei figli.56 Sembra, così, possibile affermare che il diritto del minore a ricevere le cure e l’affetto necessari per il suo migliore sviluppo possa estendersi sino ad esse- re esercitabile anche nei confronti della nuova fa- miglia.
La famiglia d’origine rimane dunque il luogo privilegiato per la crescita del minore, salvo che ri- sulti inadeguata; ma, nel contesto della disciplina dell’adozione, il riconoscimento del diritto ad una famiglia comporta necessariamente un bilanciamen- to tra contrapposte esigenze.
Se infatti, come si è avuto modo di osservare, la carenza, o addirittura la totale assenza di assistenza morale e materiale da parte dei genitori costituisce il presupposto dello stato di abbandono e, di conse- guenza, per la dichiarazione di adottabilità del mi- nore, e quindi integra un elemento necessario e non trascurabile per lo sviluppo dei figli, per altro verso è fondamentale tutelare anche la loro primaria esi- genza di crescere nella propria famiglia.
Allora la privazione, disposta nei confronti del figlio, del rapporto con la propria famiglia può av- venire soltanto nei casi in cui i relativi limiti siano tanto gravi da compromettere seriamente lo svilup- po, né possano essere altrimenti superati mediante l’impegno delle strutture sociali.
Xxxxxxxx e giurisprudenza hanno sostenuto tale opinione57 e anche il legislatore è intervenuto in questa direzione. Diverse sono, infatti, le leggi re- gionali e statali che dispongono azioni di sostegno a beneficio delle famiglie58 e in tal senso è anche la riforma della filiazione.
minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico- fisica.”.
56 X. XXXXXX XXXXXXX, I provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in C.M. Xxxxxx, La riforma della filiazione, cit., p. 701.
57 Cfr. Cass., 29.11.1988, n. 6452, in Giust. Civ., 1988, I, 2814:
“Nella nuova disciplina della dichiarazione dello stato di adot- tabilità, di cui agli art. 8 ss. l. n. 184 del 1983, mentre resta fer- mo il principio della prevalenza da accordare all'interesse del minore, viene confermata l'esigenza di assicurarne, in difetto di specifiche ragioni ostative, la crescita e lo sviluppo nella fami- glia di origine considerata come ambiente naturale e, a tal fine, vengono introdotte particolari cautele da osservarsi prima della suddetta declaratoria.”. In dottrina C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., p. 420; X. XXXXXXX, Diritto di famiglia, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2014, p. 387, il quale espressamente af- ferma: “la mancanza di mezzi economici sufficienti da parte della famiglia di sangue non può costituire ragione giustificatri- ce per avviare il minore all’adozione”, peraltro evidenziando, come visto nella precedente trattazione che, al contrario, l’assistenza materiale, qualora non accompagnata da quella mo- rale, non risulta sufficiente ad escludere lo stato di abbandono. 58 Tra queste si richiamano: Legge 28.8.1997, n. 285 "Disposi- zioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza", il cui art. 1, comma 1: “É istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzato alla realizzazione di inter-
Il D. Lgs. 154/2013, infatti, nel dare esecuzione alla legge delega, ha introdotto nella legge sull’adozione l’art. 79-bis, che obbliga il giudice a segnalare ai comuni le situazioni di indigenza delle famiglie al fine di attivare gli opportuni interventi di sostegno.
L’inclusione del diritto ad una famiglia nel nove- ro dei diritti sanciti dall’art. 000-xxx x.x. xxx xx, xxx- xx dubbio, conferito quella centralità di cui era ante- riormente privo, configurandolo quale diritto fon- damentale: esso è essenziale per la vita affettiva del- la prole e per la sua armoniosa formazione59.
L’enunciazione nel codice civile, del resto, per- mette a tale diritto di spiegare i propri effetti ben oltre l’ambito dell’adozione, investendo l’intero si- stema dei rapporti di diritto di famiglia e proponen- dosi quale espressione generale del diritto del mino- re alle relazioni familiari. Diritto ora sancito anche dall’art. 337-ter c.c., nel quale è stato trasposto, da parte della Legge 219/2012, il principio, introdotto dalla Legge sull’affidamento condiviso del 2006, per cui “il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori”.
La portata generale di tale diritto, grazie all’art. 315-bis c.c., fa sì che ogni istituto che preveda, con un obiettivo rimediale, il distacco o
A maggior ragione, il diritto di crescere in fami- glia rileva ai fini della valutazione in ordine alla di- chiarabilità dello stato di abbandono morale e mate- riale. Invero, alla luce dell’art. 315-bis c.c., è riaf- fermato il diritto dei figli a non subire provvedimen- ti di adozione, affidamento o allontanamento dalla propria famiglia se non nei casi tassativamente pre- visti dalla legge; ed i presupposti per la relativa emanazione devono essere interpretati in senso re- strittivo, dovendosi dare precedenza, nel dubbio, al diritto del figlio di crescere in famiglia60.
La L. 219/2012 è intervenuta anche in materia di affidamento e adozione, delegando il Governo a specificare la nozione di abbandono materiale e mo- rale, che costituisce uno dei nodi centrali e più complessi della disciplina. Ne è stato imposto il ri- pensamento alla luce della provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali, considerata imprescindibi- le per la dichiarazione di adottabilità che, pertanto, deve considerarsi l’extrema ratio61.
Nello stesso senso si è espressa la giurispruden- za, chiarendo come l’adozione costituisca non una misura diretta a risolvere minime carenze genitoriali o semplicemente fornire condizioni migliori al mi- nore, ma soluzione estrema a fronte di situazioni di irreparabile abbandono.62
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l’allontanamento, temporaneo o permanente, del
minore dalla propria famiglia, debba essere riconsi- derato alla luce del superiore interesse del minore a crescere in famiglia.
In particolare, il nuovo quadro consente di limi- tare a casi residuali i rimedi dell’affidamento esclu- sivo ed extrafamiliare ai sensi degli articoli 337-bis e 337-octies e, nello stesso modo, opera con riguar- do agli strumenti di tutela previsti dagli articoli 330 e 333 c.c., nella misura in cui accordano al giudice la facoltà di disporre l'allontanamento del minore o del genitore.
venti a livello nazionale, regionale e locale per favorire la pro- mozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizza- zione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adole- scenza, privilegiando l'ambiente ad esse piú confacente ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei princípi della Convenzione sui diritti del fanciullo resa esecuti- va ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e degli articoli 1 e 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.”; Legge 8.11.2000, n. 328, "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", il cui Art.1 comma 1: “La Repub- blica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, de- rivanti da inadeguatezza di reddito, difficolta' sociali e condi- zioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.”; Legge 8.3.2000, n. 53 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città", il cui Art. 1: “La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione”.
59 C. M. XXXXXX, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., p. 337.
60 X. XXXXXX, Filiazione: commento al decreto attuativo: le novità introdotte dal D. Lgs. 28 dicembre 2013, n.154, cit., p. 147; P. SIRENA, Il diritto del figlio minorenne di crescere in famiglia, in C.M. Xxxxxx, La riforma della filiazione, cit., p. 120.
61 X. XXXXXXX, Il diritto del minore ad una famiglia: interventi sulla L. 4 maggio 1983, n. 184, in X. Xxxxxxxx-X. Xxxxxxx-X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Bologna, 2013, p. 132 e ss.; contrariamente
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X. XXXXXXX, Legge n. 219 del 2012: responsabilita genitoria- le o astratti modelli di minore età? in Il Dir. di famiglia, 2013 fasc. 4, p. 1479, segnala il timore che, proprio a causa delle predette disposizioni introdotte dalla riforma della filiazione e di quelle contenute nella disciplina dell’adozione, si faccia stra- da nel nostro ordinamento il convincimento che l’assoluto valo- re da salvaguardare sia costituito dal legame del minore con la famiglia biologica, relegando l’adozione ad un provvedimento totalmente residuale, che interviene quando ormai non è più in grado di assicurare al minore stesso un’effettiva salvaguardia delleasua personalità.
62 Ex plurimis: Cass., 12.5.2006, n. 11019, in Mass. Giur. It., 2006, voce Adozione: “[…] si rende necessario un particolare rigore, da parte del giudice del merito, nella valutazione della situazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, ad essa potendosi ricor- rere solo in presenza di una situazione di carenza di cure mate- riali e morali, da parte dei genitori e degli stretti congiunti (ed a prescindere dalla imputabilità a costoro di detta situazione), tale da pregiudicare, in modo grave e non transeunte, lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore stesso”; Cass., 26.5.2014, n. 11758, in Giust. civ. mass., 2014: “la prioritaria esigenza per il figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i genitori biologici e di essere da loro allevato, alla stregua del legame naturale og- getto di tutela L. n. 184 del 1983, ex art. 1, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, che non può fondarsi di per sé su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei genitori, comprese eventuali condizioni patolo- giche di natura mentale (nella specie, escluse in relazione ai nonni), che non compromettano la capacità di allevare ed edu-
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Ma anche questi peculiari tratti patologici del rapporto di filiazione, allora, confermano che la di- mensione affettiva è destinata ad assumere oggi un rilievo diverso, ben più pronunciato che in passato. È stato opportunamente rilevato che “proprio perché oggi si può e si deve parlare di diritto soggettivo, il minore deve essere considerato come portatore di una ‘pretesa’, cui la collettività deve assolutamente rispondere”: e ciò sebbene il diritto del bambino alla cura da parte dei genitori non sembri, a prima vista, coercibile63. Tenuto conto della difficoltà di delinea- re contorni di obbligatorietà alla situazione passiva corrispondente al diritto ad essere amati, viene allo- ra da chiedersi se si possa ammettere la configurabi- lità di un diritto all'amore, negando tuttavia l’esistenza del corrispondente obbligo di amare.
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care i figli senza danni irreversibili per il relativo sviluppo ed equilibrio psichico”.
63 In questi termini C. XXXXXX, Il diritto del figlio di ricevere cura e di essere assistito moralmente, in Minori giustizia, 2014, 2, p. 40, pur riconoscendo che, “affinché un diritto sia tale in senso tecnico (e la parola “diritto” non sia invece una semplice declamazione retorica e vuota) occorre che sia esigibile, azio- nabile, specifico nel suo contenuto, individuato nel tempo e nello spazio, chiaro nei suoi connotati, nell’individuazione del soggetto obbligato”.
Persona e Mercato – Attualità
At t ua l i t à
Attualità
Persona e Mercato
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LA COMMISSIONE DI STIPULA DEL MUTUO TRA ABF E
BAUSPARVERTRAG.
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SOMMARIO: 1. Il problema: il rimborso della commissione per la stipula del mutuo immobiliare;
2. L’orientamento dell’ABF: invalidità della clausola e restituzione della commissione; 2.1. L'invalidità della commissione di stipula per violazione della normativa che vieta penali in caso di recesso del consumatore; 2.2. L'invalidità della commissione di stipula per violazione della normativa in materia di trasparenza; 2.3. L'elemento comune all'orientamento ABF: lo spac- chettamento dell'operazione di risparmio edilizio; 3. L‘Abschlussgebühr nella giurisprudenza tedesca in tema di Bausparvertrag; 4. Interpretazione della clausola; 5. Conclusioni
ABSTRACT. Il saggio prende in esame il problema della validità della commissione di stipula inseri- ta nel contratto di risparmio edilizio (Bausparvertrag), oggetto di un recente orientamento nelle decisioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario. Viene dunque offerta una interpretazione alternati- va della clausola, traendo spunto dall’esperienza giuridica tedesca, attraverso la qualificazione dell’operazione negoziale in termini unitari.
The paper analyzes the validity of a standard term in building savings agreement, which has been center of some recent decisions of the ADR in banking and financial litigation. The specific aim is to provide a different interpretation of this clause, built on Germany’s case law and related to the unitary purpose of the whole agreement.
1. Il problema: il rimborso della commissione per la stipula del mutuo immobiliare.
Fin dai primi anni del suo operato, l’Arbitro
ne di abitazioni3. Oltre a impegnarsi al versamento rateale della somma, il cliente, proprio per effetto della clausola in parola, assume l’obbligo di corri- spondere all’istituto di credito, già al momento della sottoscrizione del piano, una somma di denaro quale
Bancario Finanziario (nel prosieguo, ABF)1 è inter-
commissione per la stipula di un mutuo.
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venuto in diverse occasioni in merito alla validità della clausola che attribuisce alla banca una forma di remunerazione, a titolo di diritto di stipula, per la futura assegnazione del mutuo immobiliare2.
La clausola, com’è noto, rientra nella conven- zione – c.d. contratto di risparmio edilizio - che prevede una concessione di credito secondo un pia- no articolato in più fasi, una c.d. di risparmio (in cui il cliente accumula un certo capitale, depositandolo presso l’istituto di credito su di conto vincolato e remunerato da interessi attivi) e una c.d. di finan- ziamento (in cui la banca concede al cliente a titolo di mutuo una somma pari alla differenza tra il valo- re complessivo dell’investimento e la somma già accumulata nella prima fase) per finalità di carattere immobiliare, quali la costruzione o la ristrutturazio-
1 L’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF) è un organismo di risoluzione stragiudiziale delle liti (i cd. sistemi di Alternative Dispute Resolution, o ADR) istituito nel 2009 in attuazione dell’art. 128 bis tub, introdotto dalla legge sulla tutela del ri- sparmio (lg. 262/2005), come reazione agli scandali finanziari dell’epoca. Il procedimento si svolge di fronte ad un organo collegiale costituito ex ante (l’articolazione territoriale prevede sette collegi, Bari, Bologna, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino, oltre che la composizione più autorevole del Collegio di Coordinamento), secondo specifici criteri indicati nella delibera CICR 29 luglio 2008, n. 275 e da disposizioni di Banca d’Italia. La decisione di diritto emanata al termine del procedimento in contraddittorio (meramente documentale) non è vincolante per le parti, non precludendo pertanto il successivo ricorso agli or- gani della giurisdizione ordinaria. La pronuncia assume co- munque conseguenze di carattere reputazionale sull’intermediario non adempiente, il cui nome è pubblicato all’interno di un apposito registro consultabile sul sito web dell’arbitro xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
Sui caratteri e sul funzionamento dell’ABF, si veda G.L. XXXXXXXX, ABF e principali ADR in materia finanziaria: profili comparatistici, in Contratto e Impresa, I 2018, pag. 35-44; X. XXXXXX, L’Arbitro Bancario e Finanziario nell’ambito dei si- stemi ADR: brevi note intorno al valore delle decisioni dell’ABF, in Società, X, 2011, pag. 1216 ss; X. XXXXXX, L’Arbitro Bancario Finanziario nel quadro dei sistemi di riso- luzione stragiudiziale delle controversie, in Nuova Giur. Civ. Comm., II, 2010, pag. 305 ss.; X. XXXXXXXXXXX, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’ADR, in Ban- ca Borsa e Titoli di Credito, I, 2010, pag. 261 ss.; F. XXXXXXX, Commento sub art. 128-bis, in X.Xxxxx – X. Xxxxxxxx – X.Xxxxxx – X. Xxxxxxx Xxxxxx (a cura di, Commentario al Testo Unico Bancario, Milano 2010, pag. 1144 ss.
2 Ex multis, Collegio di Roma, 29 luglio 2011, n. 1673; Colle- gio di Roma, 8 novembre 2013, n. 5686; Collegio di Milano, 14 gennaio 2014, n. 165; Collegio di Napoli, 14 aprile 2014, n. 2330; Collegio di Milano, 23 gennaio 2015, n. 500; Collegio di Coordinamento 7 luglio 2016, n. 6173; Collegio di Napoli, 15 luglio 2016, n. 6468; Collegio di Roma, 7 novembre 2016, n. 9848; Collegio di Roma, 16 febbraio 2017, n. 1437. Tutte le pronunce sono consultabili in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
Xxxxxx, nei procedimenti in parola il cliente agi- sce domandando all'ABF il rimborso di quanto pa- gato a titolo di commissione per la stipula quando, nonostante egli abbia versato la somma richiesta per l’assegnazione del finanziamento in ottemperanza al piano finanziario prestabilito, l'istituto bancario si rifiuta di passare alla seconda fase dell'operazione e quindi di procedere alla concessione del mutuo. Come è noto, nella quasi totalità dei casi, l’ABF ha individuato una serie di profili di problematicità della clausola, privandola dei suoi effetti e obbli- gando la banca alla restituzione della somma versa- ta a questo titolo dal cliente.
Ancorché sia certamente consolidata, tale solu- zione dell'ABF merita di essere oggetto di qualche ripensamento.
Dopo avere dato conto in dettaglio dell’orientamento dell’ABF (§2-2.1.-2.2.), nonché degli ulteriori profili concernenti l’operazione di mutuo immobiliare sottoposti all’attenzione della giurisprudenza di merito (§2.3), in questa sede in- tendo confrontare l'interpretazione interna in mate- ria di commissione di stipula con quanto avviene nel contesto originario dell'operazione, il tedesco Bausparvertrag, dove la clausola di commissione di stipula (Abschlussgebühr) è invece ritenuta efficace ed è respinta la domanda di rimborso avanzata dal cliente cui non viene concesso il mutuo. Il confron- to con il sistema tedesco pone in luce un modo di qualificare la clausola profondamente diverso, giac- ché, come meglio si vedrà nel prosieguo, lì si guar- da in termini maggiormente unitari all'operazione in cui si inserisce la commissione (§3). Xxxxxx, una tale impostazione che inquadra la questione della validità e del rimborso della commissione nell’operazione finanziaria nel suo complesso trova,
3 A titolo di esempio, si immagini l’ipotesi in cui Xxxxx decide di compiere lavori di ristrutturazione ed ampliamento della pro- pria abitazione per un ammontare di centocinquantamila euro. Egli non ha a disposizione la somma necessaria, ma, forte del suo elevato stipendio che gli permette di mettere da parte ogni mese dei soldi (risparmio) e non avvertendo l’urgenza di intra- prendere l’opera di ristrutturazione in breve periodo (tempo), decide di concordare con la Banca S un piano finanziario (mo- neta\tempo) diretto all’accumulo del capitale necessario al pa- gamento della ristrutturazione del suo appartamento. L’operazione viene strutturata nel modo seguente. In una prima fase, Xxxxx si impegna a versare millecinquecento euro ciascun mese presso la Banca S., su un conto vincolato e remunerato da parte dell’istituto di credito ad un tasso costante. Una volta rag- giunto l’importo concordato di sessantacinquemila euro, Xxxxx potrà ottenere un finanziamento dalla Banca S per la differenza tra il valore complessivo dei lavori (centocinquantamila euro) e la somma già accumulata nella prima fase (sessantacinquemila euro).
a ben vedere, cittadinanza anche nel nostro ordina- mento (§4) e conduce ad una soluzione alternativa all’orientamento dell'ABF (§5).
2. L’orientamento dell’ABF: invalidità della clausola e restituzione della commissione
Come detto, il problema del mancato rimborso di quanto versato alla banca a titolo di commissione per la stipula di un mutuo che poi non è stato nei fatti assegnato ha ad oggetto una clausola che i) è contemplata nei modelli contrattuali standard im- piegati dalle banche, ii) è dovuta direttamente con la sottoscrizione iniziale del contratto di risparmio edi- lizio; iii) è solitamente di importo pari all’1% del totale del valore complessivo dell'operazione4. La somma oggetto della commissione e della domanda di rimborso è dunque versata all’apertura del rap- porto in una fase antecedente al mutuo vero e pro- prio. Xxxx, al momento del pagamento della com- missione, il finanziamento rappresenta un evento futuro e incerto, in quanto condizionato sia al rego- lare adempimento delle rate nella fase c.d. di ri- sparmio, sia all’espressione di un consenso da parte del cliente all’erogazione della somma residua sul valore totale del contratto5.
2.1. L'invalidità della commissione di sti- pula per violazione della normativa che vieta penali in caso di recesso del consumatore
Nell'esaminare la domanda di rimborso avanzata dal cliente, le decisioni arbitrali muovono nella qua-
4 Riprendendo l’esempio fatto in nota 3, la percentuale a titolo di commissione di stipula viene calcolata sul valore complessi- vo dei lavori (centocinquantamila euro), indipendentemente dall’effettiva erogazione del mutuo da parte della banca (ottan- tacinquemila euro) a seguito della messa a risparmio della somma da parte del cliente (sessantacinquemila euro)
5 L'ipotesi in cui il cliente decida di non domandare l'assegna- zione del mutuo, ma di continuare la fase a risparmio, è meno peregrina di quanto si possa pensare. Specie in costanza di rap- porti di più risalente accensione, gli interessi convenuti per l’erogazione del mutuo non risultano più particolarmente attrat- tivi nel mutato contesto economico in cui sono maturati i pre- supposti per l’assegnazione. Per il Bausparer risulta difatti maggiormente conveniente rivolgersi nuovamente sul mercato, ove sono previsti interessi più bassi, continuando a percepire invece interessi attivi sulla somma a deposito. Specie nelle di- verse ipotesi in cui la stipulazione del contratto non fosse giu- stificata da una reale finalità di carattere edilizio, numerosi ri- sparmiatori hanno trovato in questa figura contrattuale una for- ma di rendita sicura di investimento. Con riferimento all’esperienza tedesca, da conto del problema, in dettaglio, D. BARTLITZ, Die Kündbarkeit von Bausparverträgen, in ZfPW 2017, pag. 109-128.
si totalità dei casi dalla qualifica della commissione in parola nei termini di una clausola penale6.
Per giungere a tale qualificazione, l’ABF si in- terroga su quale sia la funzione che la commissione dovuta dal cliente intende soddisfare e ciò fa a parti- re dalla sua stessa formulazione. In primo luogo, infatti, questo indirizzo rileva come il testo della clausola contenuta nel contratto di risparmio edili- zio esclude che la commissione possa formare og- getto di rimborso o finanche di riduzione in caso di estinzione anticipata del rapporto, ovvero della sua prosecuzione nella fase a risparmio7. In secondo luogo, l'orientamento in parola rileva l’assenza di una giustificazione causale autonoma dell’onere, che, si osserva, non poggia su alcuna contropartita in termini di prestazione o servizio effettivamente erogato da parte della banca. Il cliente difatti, in co- stanza di un’estinzione anticipata del rapporto, non è in grado di profittare dei vantaggi derivanti dalla partecipazione alla funzione mutualistica del siste- ma delle Bausparkassen e delle agevolazioni in termini di costo del finanziamento.
Pertanto, il collegio arbitrale ravvede nella con- venzione della commissione di stipula la funzione esclusiva di predeterminazione dell’ammontare del risarcimento in ipotesi di estinzione anticipata del rapporto (cd. clausola di estinzione anticipata)8. In altre parole, il pagamento della clausola, per il tra- mite di un’operazione di riconduzione ad una figura socialmente tipizzata e regolata nel nostro ordina-
6 In questi termini si pronuncia il Collegio di Coordinamento (7 luglio 2016, n. 6173), secondo il quale “il versamento del dirit- to di stipula [ha] natura sostanziale di penale, poiché, da un lato, ne è escluso il rimborso nei casi di recesso da parte del cliente e, dall’altro, risulta privo di autonoma giustificazione causale, non trovando la propria contropartita in alcuna pre- stazione o servizio resi dall’intermediario in favore del clien- te”. Su natura funzione e struttura della clausola penale, si veda,
X. XXXXXXXXXX, La clausola penale, in Clausole negoziali, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano 2017, pag. 803 ss.; X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto civile (a cura di), Milano 2016, pag. 1092 ss.; F.P. XXXXX, Contratti in- ternazionali e clausola penale: esigenze di armonizzazione, in Obbligazioni e contratti, 2012, pag. 792-801; X. XXXXX, Il con- tratto, Milano 2011, pag. 927; X. XXXXXXXXXXX, Sub artt. 1382 - 1384, in Codice Civile commentato (a cura di), Napoli 2010;
C.M. XXXXXX, Il contratto, in Diritto Civile, III, Milano 2000;
X. XXXXXXX, La pena contrattuale, Milano,1991; X.XXXXXX, Clausola penale, in Enciclopedia giuridica, VII, Roma 1988, pag. 6; X. XXXXXXXXX, Clausola penale e sanzioni private nell’autonomia contrattuale, in Rass. Dir. civ., 1984; V.M. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx penale, in Xxxxxx. Xxx. Xx., XXX, Xxxxxx 0000; X. XXXXX, Il contratto, Milano 1955, pag. 261; X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano 1948, pag. 132 ss.
7 In tal senso, ABF, Coll. Roma, dec. 9848/2016, cit.
8 Tale pattuizione viene di regola apposta nei contratti di finan- ziamento, a fronte della possibilità riconosciuta al mutuatario di estinguere il rapporto prima della naturale scadenza, per remu- nerare la rinuncia da parte della banca alle somme cui avrebbe avuto diritto a titolo di interessi sul capitale residuo (la clausola prevede difatti l’applicazione di una percentuale, solitamente intorno all’1%, sull’ammontare rimanente del finanziamento).
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mento, garantirebbe alla banca una forma di inden- nizzo rispetto alla facoltà del cliente, una volta ma- turate le condizioni indicate nel piano, di non ri- chiedere l’erogazione del finanziamento concorda- to.
Una volta riconosciuta dunque la natura di clau- sola penale della commissione di stipula, l’ABF ha gioco facile a ravvisare un suo contrasto evidente con le previsioni che limitano l’autonomia negozia- le del professionista nella contrattazione con il con- sumatore (art 33., lett. e) cod. cons.)9 e della banca rispetto alla facoltà di recesso del cliente nei rappor- ti a tempo indeterminato (art. 120-bis tub)10. La convenzione, imponendo un limite sostanziale alla libertà di recesso del consumatore, non è in grado derogare le norme imperative sulla tutela della parte debole nel rapporto di consumo, in quanto disposi- zioni aventi rilievo di ordine pubblico.
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2.2. L'invalidità della commissione di sti- pula per violazione della normativa in materia di trasparenza
Un ulteriore appunto critico da cui muovono al- cuni collegi territoriali lamenta che la clausola di commissione per la stipula del mutuo contenuta nel contratto di risparmio edilizio soffra, inoltre, di ca- renze in ordine alla trasparenza11. In particolare, la
9 Secondo l’art 33., lett. e) cod. cons., sono da considerarsi pre- suntivamente vessatorie quelle clausole che “[consentano] al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è que- st'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere”. In- tegrare con biblio da commentario. Diversamente, X.XXXXXX, Presunzione di vessatorietà, in Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, Commentario a curia di X.Xxxx e X.Xxxxx, Mi- lano 2003, pag. 207, secondo cui, più che di presunzioni, si trat- terebbe di una inversione dell’onere della prova rispetto a quel- lo previsto nell’art. 2467 c.c.
10 L’art. 120-bis tub riconosce il diritto del cliente “di recedere in ogni momento da un contratto a tempo indeterminato senza penalità e senza spese”. Nel settore del credito immobiliare, tale previsione è ulteriormente rafforzata dal successivo art. 120-ter tub, che sanziona con un’ipotesi di nullità speciale rela- tiva “qualunque patto o clausola, anche posteriore alla conclu- sione del contratto, con il quale si convenga che il mutuatario sia tenuto al pagamento di un compenso o penale o altra pre- stazione a favore del soggetto mutuante per l’estinzione antici- pata o parziale dei mutui [...] per l’acquisto o per la ristruttu- razione di unità immobiliari adibite ad abitazione”. L’ambito di questa specifica ipotesi di nullità è circoscritto alle ipotesi di finanziamento che siano finalizzate all’acquisto o alla ristruttu- razione di immobili e comporta la piena libertà di scelta da par- te mutuatario di adempiere anticipatamente rispetto alla sca- denza del mutuo, senza che ciò comporti la necessità di soppor- tare costi ulteriori; in questo senso, X.XXXXXXX, Contratto e ri- medi, Milano 2017, pag. 134.
11 Si veda, ad esempio, Abf, Coll. Roma, 5686/2013, cit.
Sulla trasparenza in ambito contrattuale, si veda X. XXXXXXXX,
Note sulla trasparenza bancaria, venticinque anni dopo, in
documentazione contrattuale fornita al cliente non offrirebbe alcun tipo di delucidazione in ordine alla natura e alla funzione per cui quella somma deve essere corrisposta in sede di stipulazione del rappor- to, limitandosi, invece, a prevedere il quantum della prestazione dovuta, sotto forma di percentuale sul valore del contratto. Di per sé, la dizione generica della corresponsione della somma a titolo di “diritto di stipula” non costituirebbe difatti profilo dirimen- te per identificare il servizio o la prestazione che quest’ultima è tesa a remunerare.
Questo filone prescinde dalla qualifica della clausola in termini di penale. Esso, piuttosto, prende le mosse dalla definizione della commissione alla stregua di una componente di costo quale “tassi di interesse, prezzi e altre condizioni economiche rela- tive alle operazioni e ai servizi offerti” (art. 116 t.u.b.). In conformità alle disposizioni sulla traspa- renza delle operazioni e dei servizi bancari e finan- ziaria, da tale qualificazione deriva per la banca il rispetto di obblighi informativi in sede precontrat- tuale. Il cliente non sarebbe pertanto messo in con- dizioni di comprendere se la commissione vada a predeterminare un risarcimento in ipotesi di recesso, ovvero remuneri la prestazione del procacciatore di affari o costituisca un onere da sostenere come for- ma di partecipazione agli scopi mutualistici propri del sistema delle Bausparkassen12.
2.3. L'elemento comune all'orientamento ABF: lo spacchettamento dell'opera- zione di risparmio edilizio
La valutazione dei collegi arbitrali affronta la tematica della validità in ottica strettamente ricolle- gata al profilo specifico della clausola, mettendo in secondo piano la dimensione della qualificazione complessiva del rapporto e ciò si coglie come diret- ta conseguenza dell’orientamento assunto nei due profili sopra esaminati.
Banca Borsa e Titoli di Credito, II, 2018, pag. 143 ss.; X. XXXXXXXXXX, Profili generali della contrattazione bancaria, in
X. Xxxxxxxxxx (a cura di), I contratti bancari, Trattato Resci- gno-Gabrielli, Torino 2016, pag. 5 ss.; A.A. DOLMETTA, Tra- sparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna 2013; X.XXXXXXXXXXX, Trasparenza contrattuale, in Enc. Dir., Annali V, Milano 2012, pag. 1280 ss.
Sul profilo della trasparenza e delle tutele contrattuali, X. XXXXX DE MARINIS, La forma del contratto nel sistema di tutela del contraente debole, Napoli 2013; X. XXXXXXX, Trasparenza del contratto e rimedi di autotutela, in Riv. Trim. di Dir. e Proc. Civ., 2013; F. RENDE, Informazione e consenso nella costruzio- ne del regolamento contrattuale, Milano 2012; X. XXXXXXX, Ap- punti in tema di rapporti fra tutele civilistiche e disciplina della trasparenza bancaria, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 2012, I, pag. 35 ss.
12 Da conto di questo dibattito, Abf., Coll. Napoli, 5973/2013,
cit.
A ben vedere, la stessa interpretazione della commissione in termini di penale - come tale illecita ex artt. 33, lett. e) cod. cons. e 120 bis tub – è possi- bile solo considerando il momento dell’apertura del rapporto - ossia quello in cui sorge il diritto alla commissione in capo alla banca - come un qualcosa di a sé stante, tale da privarla di una giustificazione causale autonoma, da ravvisarsi in una contropartita in termini di prestazione della banca.
Da questo punto di vista, l’orientamento dell’ABF in parola si avvicina all’indirizzo della giurisprudenza di merito in tema di oneri, commis- sioni ed usura13. Anche in questo distinto frangente, il rapporto viene “disassemblato”, nella logica rico- struttiva della giurisprudenza, come prodotto finan- ziario frutto del collegamento negoziale fra tre di- verse ed autonome fattispecie14: il contratto di ri- sparmio edilizio, il mutuo immediato senza ammor- tamento e una promessa di assegnazione del mutuo al termine del periodo di risparmio. La complessa configurazione della fattispecie negoziale non con- sente, di conseguenza, di ricondurre semplicistica- mente l’operazione alla categoria dei “mutui ipote- cari a tasso fisso”, perché solo al termine della pri- ma fase del rapporto la banca è obbligata a conce- dere un mutuo con piano di ammortamento predefi- nito, a fronte dell’obbligo del cliente di effettuare versamenti mensili a risparmio. Il mutuo immediato
13 Cfr. Tribunale di Bolzano 28 aprile 2017 n. 529; Tribunale di
Lecco 19 ottobre 2016, n. 664; Tribunale di Campobasso 22 novembre 2016, n. 508; decisioni reperibili integralmente in xxxxxxxxxxxxxxx.xx.; nonché Tribunale Venezia 11 ottobre 2016, in xxxxxxxxxxxxxxx.xx; Tribunale di Latina, Sez.II, 21 luglio 2016, in XxXxxx.xx.
14 L’orientamento è ribadito da una recentissima pronuncia di merito (Tribunale Tivoli, 23 luglio 2018, in dejure), secondo cui il “mutuo [fondiario] è a sua volta inserito in un prodotto finanziario costituito dal collegamento negoziale tra tre distinti contratti”. L’espressione “prodotto finanziario” riprende lette- ralmente il testo della disposizione contenuta nell’art. 1 tuf (come modificato in conseguenza della direttiva MiFID), se- condo cui, “1. Nel presente decreto legislativo si intendono per: […] u) “prodotti finanziari” gli strumenti finanziari e ogni al- tra forma di investimento di natura finanziaria; non costitui- scono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rap- presentati da strumenti finanziari;”. Sui problemi di definizione e di individuazione della categoria del “prodotto finanziario”, si veda X.XXXXX-XXXXX, Attività e “prodotti” finanziari, in Riv. dir. civ., 2010, pag. 133 ss.; X.XXXXXXX, Prodotti finanziari, valori mobiliari e strumenti finanziari, in X.Xxxxxxx- X.Xxxxxxxx, a cura di, Il testo unico della finanza, I, Torino, 2012, sub art. 1, pag. 20 ss.; M.ONZA- X.XXXXXXXX, Prodotti, strumenti finanziari, valori mobiliari, in Banca borsa e titoli di credito, 2009, I, pag. 575 ss.
Per quanto consta in questa sede, sembra tuttavia che il riferi- mento da parte dei Tribunali alla figura del prodotto finanziario assuma una valenza esclusivamente terminologico/definitoria, volta ad inquadrare la matrice causalmente orientata del colle- gamento fra contratti, senza tuttavia che la figura impiegata porti con sé conseguenze in termini di apposita disciplina (il riferimento va, nello specifico, alle regole sull’offerta al pubbli- co di prodotti finanziari e sull’offerta pubblica di acquisto o di scambio, artt. 93 bis ss., tuf).
erogato contestualmente alla sottoscrizione del con- tratto di risparmio e all’iscrizione dell’ipoteca sui beni immobili deve pertanto essere ricondotto alla categoria dei “crediti personali alle famiglie”, in virtù del carattere puramente eventuale ed ipotetico della stipula del successivo mutuo di assegnazione.
L’insieme di questi due orientamenti - sulla commissione e sulle voci usurarie – mostra una chiara predilezione da parte della giurisprudenza per una lettura dell’operazione di investimento che, pur valorizzandone la finalità complessiva, conferisce uno spazio di autonomia causale alle singole fasi, le quali concorrono al raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalle parti in virtù del loro collegamento. L’elemento caratteristico di questo orientamento - che muove secondo la tradizionale riconduzione della tipologia contrattuale atipica nelle categorie ed nei tipi già conosciuti dal nostro ordinamento15 - è costituito difatti dalla identificazione della seconda fase (quella dell’erogazione del finanziamento) co- me di un contratto autonomo e distinto rispetto a quella dell’accumulo a risparmio, con un proprio peso specifico nella dinamica del rapporto, tale da non consentirne una riduzione in chiave forzata- mente unitaria. Pur cogliendo dunque la funziona- lizzazione dell’operazione ad uno scopo comunque unitario, la giurisprudenza sembra interpretare e qualificare la figura del contratto di risparmio edili- zio come un rapporto contrattualmente complesso, frutto dell’intreccio fra più negozi collegati fra loro ma contraddistinti, ciascuno, da una propria auto- nomia causale.
3. L‘Abschlussgebühr nella giurisprudenza tedesca in tema di Bausparvertrag
La questione della efficacia della clausola inseri- ta nel contratto di risparmio edilizio che attribuisce una commissione per la stipula del mutuo all’istituto di credito già al momento dell’apertura del rapporto è oggetto di discussione anche in Ger-
15 Ricorda, in proposito, De Nova come “la mentalità conserva- trice dei giuristi ed esigenze obiettive di certezza fanno sì che anche per il diritto si possa parlare di un fenomeno di inerzia: il desiderio di staccarsi il meno possibile dal terreno consolida- to porta infatti ad affrontare i problemi nuovi utilizzando gli schemi già noti e familiari [...] Ecco quindi che, dovendo deci- dere una controversia attinente ad un contratto, l’atteggiamento spontaneo del giudicante è quello di chiedersi di che contratto si tratti, a quale tipo appartenga”, in G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, pagg. 3-15. Ancora, Xxxxx: “L’interprete non si domanda se il contratto appartenga o meno ad un tipo, se sia o meno tipico. Egli si domanda a qua- le tipo appartiene questa o quell’altra fattispecie”., in R. XXXXX-X.XX NOVA, Il contratto, Milano, 2016, pag. 1413. A mo’ di esempio di questa impostazione si veda la ricostruzione della figura in parola offerta da X. XXXXXXX, Il contratto di ri- sparmio edilizio: una forma di mutuo a risparmio?, in diritto- xxxxxxxx.xx.
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mania, sistema dove la figura contrattuale (Bau- sparvertrag)16 si è diffusa17, consolidata18 ed è rego-
16 Dal tedesco, der Bau - l’edificazione, sparen - risparmiare,
der Vertrag - il contratto. L’idea dell’investimento a risparmio
lata in ogni sua fase19. Anzi, la suddetta questione costituisce uno dei temi più dibattuti nella giuri- sprudenza xxxxxxx00 e, di recente, ha formato ogget- to di un’importante decisione della corte federale
tedesca (Bundesgerichtshof, BGH)21. Pertanto, ap- pare opportuno ricostruire più nel dettaglio
nel settore immobiliare è tipicamente connaturata nella mentali-
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tà tedesca, tanto da elevarsi nel noto detto “sparen ist besser als
Schulden machen” (“Risparmiare è meglio che contrarre debi- ti”, riportata da X. XXXXXXX, Handlungsrahmen und Strukturen für Bausparkassen, in Banken in globalen und regionalen Um- bruchsituationen, Festschrift für Xxxxxx Xxxxxxxx von Xxxxx zum
60. Geburtstag, 1997, Stuttgart, pp. 769-782). I commentatori tedeschi collocano nel 7-8 maggio 1945 la cd. Stunde Null (“ora zero”) dell’attuale sistema del risparmio edilizio, cfr. Xxxxxx X., Bausparen in Deutschland zwischen Inflation und Wäh- rungsreform 1924-1948, Xxxxxxx, 0000. La nascita e la prima diffusione del sistema del risparmio edilizio in Germania è però precedente, e viene individuata nell’iniziativa assunta dal pasto- re protestante Xxxxxxxxx von Xxxxxxxxxxxxx con la fondazione nel 1885 della “Bausparkasse für Xxxxxxxxx “. Il sistema ha poi raggiunto il punto di massima espansione a cavallo fra gli anni ‘80 e ’90, quando fattori di carattere demografico e politi- co hanno influenzato fortemente l’andamento del mercato im- mobiliare aumentando esponenzialmente la domanda di abita- zioni di proprietà, specie fra i giovani. Le statistiche riportano un aumento da 150.000 nuove abitazioni nel 1990 fino al picco massimo di oltre 250.000 all’inizio degli anni 2000 (fonte: Sta- tistisches Bundesamt, ifo Institut, in Jahrbuch 2017 des Ver- bandes der Privaten Bausparkassen, Berlin 2018, pag. 18).
17 Per una prima bibliografia sulla figura e senza pretesa di esausitività; X. XXXXXXXXX, Kündigung von Bausparverträgen wegen Störung der Geschäftsgrundlage, in BB, 6, 2018, pag. 259-266; H.M. KREPOLD-X. XXXXXX, Negative Zinsen – rechtli- ches Neuland, in BKR 2018, pag. 89-99; X. XXXX, Die Kündi- gung von Bausparverträgen mit Bonuszinsen, in WM, 12, 2018, pag. 551-556; X. XXXXX, Bankrecht 2017¸ in VuR 5, 2018, pag. 163-174; D. BARTLITZ, Die Kündbarkeit von Bausparverträgen, in ZfPW 2017, pag. 109-128; X. XXXXX, Kündigungsrecht der Bausparkassen nach Zuteilungsreife, in BKR 2017, pag. 237- 249; X. XXXXXXX-X. XXXXX, Die Rechtmäßigkeit der Kündigung von Bausparverträgen durch Bausparkassen, in BKR 2017, pag. 99-106; X. XXXXXX, Kündigungsrechte von Bausparkassen
– Zugleich Anmerkung zu den Urteiln des BGH vom 21.2.2017
– XI ZR 185/16 und XI ZR 272/16, BKR 2017, pag. 229-236; O.
LANGENER, Einlagengeschäft, in Bankrechts-Handbuch, Band I, a cura di Xxxxxxxxxx-Bunte-Lwowski, München 2017, pag. 2315-2374; X. XXXXXXXXXX, Bauspardarlehen, in Deutsches und europäisches Bank- und Kapitalmarktrecht, a cura di Xxxxxxxx et al., Berlin Heidelberg 2017, pag. 981-1024; X. XXXXXX, Die Auswirkungen des Niedrigzinsumfelds auf die Bausparkassen, in ZBB/JBB 5, 2015, pag. 316-322; C. BARLEON, Kapitalanlage in Sparformen, in Handbuch des Fachanwalts Bank- und Kapitalmarktrecht, a cura di Xxxxxx- Beule-Xxxxx-Xxxxxx, Xxxx 0000, pag. 1345-1392; X. XXXXXXXXXXX- X. XXXXXX, Laufzeitunabhängige Bearbeitungs- entgelte bei Verbraucherdarlehnsverträgen aus deutscher und europäischer Sicht, in WM 2012, pag. 2349 ss.; X. XXXXXXXX, Die Inhaltskontrolle von Bankenbedingungen, in VuR, 8, 2011, pag. 283-289; Id., AGB Bausparkassen: Zur Zulässigkeit einer Abschlussgebühr iHv 1% der Bausparsumme, in VuR 3, 2011, pag. 93-95.; C.M. DÜSSEL, Allgemeine Geschäftsbedingungen (AGB)¸ in Praxiswissen Bankrecht, a cura di Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx, 0000; X. XXXXX, Neuregelungen im Verbraucher- kreditrecht, in WM, 2011, pag. 625 ss.; X. XXXXX, Aufklä- rungspflichten bei neuen Kreditformen – Xxx Xxxxxxxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxxxx xxx xxx Xxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx mit Fremdgeldsparung¸ in WM 1995, pag. 913; X. XXXXXXX., Risiko Baufinanzierung, Berlin 1993.
18 Il provvedimento che regola la struttura e l’attività delle Bau-
l’indirizzo tedesco anche perché, nello sviluppo del-
le proprie linee argomentative l'ABF non sembra
sparkassen è il Bausparkassengesetz (BSpKG), entrato in vigo- re il 16.11.1972 e successivamente modificato il 15.02.1991 e da ultimo alla fine del 2015. Il Bausparvertrag è invece oggetto di una disciplina composita frutto dell’applicazione delle norme generali del BGB in tema di mutuo (§ 488 ss.), di quelle speci- fiche per il credito al consumo e per il credito immobiliare ai consumatori. Il contenuto vero e proprio del contratto è invece regolato dalle condizioni generali di contratto (MBB - Muster Bedingungen für Bausparverträge), secondo espresso riferi- mento contenuto all’interno della BSpKG (§ 5 “Le casse di ri- sparmio edilizio devono basare la loro attività commerciale sui Principi Operativi Generali e sulle Condizioni Generali per i contratti di risparmio edilizio”).
19 Lì si distingue appunto tra una prima, chiamata fase a rispar- mio (Ansparphase) diretta all’accumulo di una somma di dena- ro (Bausparguthaben) da parte del cliente (§ 1, Abs. 2 (BSpKG), e al cui esito consegue poi la seconda fase con la concessione da parte della Bausparkasse § 1, Abs. 1 (BSpKG) di un finanziamento (Zuteilung des Bauspardarlehns) a tasso particolarmente contenuto e fisso, per scopi inerenti la costru- zione o ristrutturazione di immobili (wohnungswirtschaftliche Verwendungen). La principale prestazione che il Bausparer de- ve adempiere durante la fase a risparmio è il versamento in un conto acceso presso la Bausparkasse della somma di denaro necessaria alla concessione del mutuo. L'ammontare di questa somma di denaro è calcolata sulla base di una percentuale della somma complessiva dell'investimento (Bausparsumme) (§2 MBB). La somma così versata è vincolata ed è remunerata è remunerata periodicamente da interessi attivi, versati dalla Bau- sparkasse, in misura anch’essa fissa e predeterminata nel con- tratto (§ 3 MBB). L’integrale versamento da parte del cliente della Bausparguthaben conclude questa prima fase. Tale even- to, difatti, determina per il Bausparer il sorgere di un vero e proprio diritto del cliente all’assegnazione del mutuo (§ 4 MBB). La disciplina normativa prevede infatti che il cliente possa richiedere in ogni momento l’erogazione del finanzia- mento, per l’importo stabilito nella differenza tra il valore com- plessivo del contratto (Bausparsumme) e la somma accumulata fino a quel momento (Bauspardarlehen). L’assegnazione del mutuo può avvenire sia attraverso una comunicazione diretta della Bausparkasse, sia a seguito di una specifica richiesta in tal senso da parte del cliente (§ 6 MBB). Con l’assegnazione del mutuo, il rapporto entra nella seconda fase (Darlehensphase) e prosegue conformemente alle regole generali previste dal BGB (§§ 488-515) e quelle specifiche frutto della ricezione della di- rettiva sul credito al consumo e sul credito immobiliare (§ 12 MBB).
20 Si veda, in proposito, XX Xxxxxxxx, Xxxxxx 00 febbraio 2009, AZ 8 O 319/08; XX Xxxxxxx, X. 00 maggio 2009, AZ 324 O 777/08, in WM 2009, pag.1315; OLG Stuttgart, U. 3 dicembre 2009, AZ 2 U 30/09, in MDR 2010, pag. 705; OLG Hamm, U.
01 febbraio 2010, AZ 31 U 130/09, in MDR 2010, pag. 702. In senso apertamente critico, si veda G.Bitter-D.Linardatos, “Der Banksenat des BGH hat gesprochen: Ende der Vertragsfreiheit und Zwang zur Ineffizienz im Darlehensrecht!”, in ZIP 2018 Heft 25-26, pag. 1203 ss.
21 BGH, Urteil, 7.12.2010 - XI ZR 3/10 (OLG Stuttgart, LG Heilbronn), in BKR 2011, pag. 162 ss.; in VuR, 3, 2011, pag. 93 ss.; in BB, 2011, pag. 654; in ZIP, 2011, pag. 263 ss.
ignorare il dibattito tedesco, pur ritenendo tuttavia di doversene discostare in punto di conclusioni22.
Innanzitutto, il punto centrale per la compren- sione della posizione tedesca è costituito dalle coor- dinate del sindacato giudiziale (Inhaltskontrolle)23. Come è noto, infatti, nell'ordinamento tedesco tale controllo è tradizionalmente riservato alle sole clau- sole contrattuali attinenti ad una prestazione che sia accessoria (Preisnebenabreden)24 rispetto a quella principale (Preishauptabreden) dedotta nel contrat- to25. Orbene, se la giurisprudenza ammette il con-
22 Xxxxxx, in questo senso, la presa di posizione del Collegio di Coordinamento, quando afferma che “La sentenza della Corte federale tedesca, quando giustifica la causale del diritto di sti- pula, compie una scelta che implica necessariamente valuta- zioni di merito e che, quindi, può essere contraddetta dal giudi- ce straniero. Per il resto essa s’incentra sulla compatibilità delle clausole contrattuali in esame con il sistema normativo tedesco, ne sottolinea trasparenza e comprensibilità, ma omette di confrontarle con la normativa comunitaria e di valutare la rilevanza che questa attribuisce alla tutela in senso ampio del consumatore. Ma il giudice (quindi anche l’arbitro) italiano deve scrutinare dette clausole e la normativa che le legittima alla luce dell’art. 16 comma 1 della citata legge n. 218 del 1995, il quale stabilisce che l’ordine pubblico costituisce un limite all’applicabilità in Italia della legge straniera.” (cfr. Collegio Coordinamento ABF, 7 luglio 2016, n. 6173).
23 La disciplina tedesca prevede una disciplina specifica, relati- va alla facoltà del giudice di valutare il contenuto delle clausole contrattuali predisposte unilateralmente attraverso il meccani- smo delle condizioni generali di contratto (Allgemeine Geschäf- tsbedingungen - AGB). Lo scopo prefigurato dalla normativa è di evitare forme di approfittamento da parte del predisponente il quale, facendo leva sulla divergenza di forza contrattuale, im- ponga alla controparte delle condizioni non conoscibili o co- munque inique (cfr. in dettaglio, Niebling, Die Inhaltskontrolle von Bankenbedingungen, in Verbraucher und Recht, 2011, pag. 283 ss.). La disciplina prevista dai §§ 305 - 307 BGB sanziona con l’inefficacia (Unwirksamkeit) le previsioni contenute nelle condizioni generali quando, in violazione del principio di buona fede, svantaggino in modo indebito la parte contro cui queste sono predisposte. La norma provvede inoltre ad indicare i casi “sintomatici”, cui si possa ricondurre una situazione di svan- taggio indebito: a) disposizione non è chiara e comprensibile;
b) incompatibile con la logica sottostante alla norma dalla quale si discosta (wesentlichen Grundgedanken); c) limitazione dei diritti e degli obblighi essenziali che risultino dalla natura del contratto, tale da costituirne una minaccia per il raggiungimento dello scopo. Sull’articolazione in dettaglio, Staudiger - Xxxxxxx, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch mit Einführungsge- setz und Xxxxxxxxxxxxx, 2013, § 307, Rn 1.
24 Cfr., ex multis, BGH, Urteil vom 18. April 2002, III ZR 199/01, in WM, pag. 1355 ss.
25 Cfr, BGH, Urteil 24.11.1988, III ZR 188/87. Quello delle commissioni bancarie (Bankentgelte) e della loro validità costi- tuisce uno dei principali temi di dibattito in Germania dell‘ultimo ventennio, nell‘ambito della disciplina della tutela del consumatore. Viene rimesso al giudice il potere/dovere di effettuare un controllo sul contenuto di queste clausole, quali condizioni generali di contratto (Allgemeine Geschäftsbedin- gungen) ai sensi del § 305, Abs. 1 BGB, il cui esito negativo comporta l’inefficacia delle stesse quando sfavoriscano la parte contro cui sono predisposte contrariamente al dovere di buona fede (§ 307, Abs. 1 BGB). Un’ampia ricostruzione del dibattito sul cd. Inhaltskontrolle delle condizioni generali di contratto è offerta da X. XXXXX, Zulässigkeit von Bankentgelten*Gekürzte Fassung des am 26.11.2007 bei der WM-Tagung Bankrecht in
trollo giudiziale sulla clausola di commissione di stipula (Abschlussgebühr) contenuta nel Bauspar- vertrag è perché essa stessa viene in considerazione come dazione di denaro di carattere accessorio ri- spetto alla prestazione principale, ossia la pretesa giuridica (Rechtsanspruch) del cliente (Bausparer) di ottenere l’erogazione del mutuo in conseguenza dell’accumulo delle somme necessarie (§ 1, Abs. 1 e 2 BSpKG)26.
La natura accessoria propria della Abschlus- sgebühr apre al sindacato giudiziale sulla clausola e ne colora ogni ricostruzione, che non è mai nel sen- so della analisi atomistica della clausola contrattua- le, ma sempre in relazione al contratto nel suo com- plesso. In particolare, secondo un primo orienta- mento, la commissione costituirebbe il corrispettivo per l’ingresso del cliente (Bausparer) nella cd. Bau- spargesellschaft (comunità dei risparmiatori)27, cui consegue, già con la conclusione del Bausparver- trag, il riconoscimento in capo al Bausparer di un vero e proprio diritto di opzione avente ad oggetto l’erogazione del mutuo a tasso predeterminato e spesso agevolato rispetto alle medie di mercato28.
Frankfurt-Eschborn gehaltenen Vortrags., WM 2008 Heft 5, pag. 185 ss. Per una posizione critica sulla distinzione fra pre- stazioni principali e prestazioni accessorie del contratto, si veda WAND, in: Xxxxxxx/Xxxxxx, Bankrecht und Bankpraxis, Rdn. 18/54 ss.; HORN, WM 1997, SBeil. 1, pag.12 ss.; FRÜH, WM
1998, pag. 63 ss.
26 A fronte di questa pretesa, la banca non si trova però in una condizione di assoluta soggezione, in quanto il § 7 MBB le ri- conosce il diritto a ricevere adeguate garanzie rispetto alla pre- stazione dovuta, oltre al dovere di condurre la valutazione sul merito creditizio (Kreditwürdigkeitprufüng). Con riguardo, in- vece, all’ipotesi in cui il Bausparer non provveda a richiedere l’assegnazione entro il termine stabilito o revochi una preceden- te accettazione, la normativa si limita a precisare che il contrat- to prosegue la sua esecuzione, senza che venga meno la facoltà di domandare successivamente l’erogazione del finanziamento alle condizioni precedentemente concordate (§ 5, Abs. 2-3 MBB).
27 Su questa posizione, XXX Xxxx, in WM 2010, pag. 702 ss; LG Hamburg, in WM 2009, pag. 1315 ss.; XXXX, Rechtmäßig- keit der Abschlussgebühren bei Bausparverträgen¸in ZfIR, 2009, pag. 418 ss.; X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Die Wirk-
samkeit von Abschlussentgeltklauseln in Allgemeinen Bauspar- bedingungen, in ZIP 2009, pag. 1197 ss.; X. XXXXXXXX, Ge- richtliche Überprüfbarkeit von kreditwirtschaftlichen Entgelt- regelungen – dargestellt am Beispiel der Abschlussentgelte bei Bausparverträgen in BKR 2010, pag. 359 ss.
28 La lettera della legge sembra smentire però la configurazione di un diritto di opzione, in capo al Bausparer, in quanto è fatto divieto alla banca di vincolarsi all’erogazione del mutuo entro un preciso lasso temporale (§ 4, Abs. 5 BSpKG), limitando, di conseguenza, la posizione di soggezioni di quest’’ultima alla pretesa del cliente. I vari aspetti che contraddistinguono l’opzione nel diritto dei contratti tedesco sono approfonditi in dettaglio nel lavoro di X. XXXXXX, Der Optionsvertrag, Tübin- gen 2005; l’A. definisce il diritto di opzione (das Optionsrecht) come “das Recht einer Person, durch einseitige Erklärung ei- nen neuen Vertrag herbeizuführen oder einen bestehenden Ver- trag inhaltlich zu modifizieren“ (il diritto riconosciuto ad una persona, attraverso una manifestazione di volontà unilaterale, di concludere un nuovo contratto o di modificare il contenuto di uno preesistente). Sul patto di opzione nell’ordinamento italia-
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Tale posizione consentirebbe di superare l’impasse circa la validità della clausola, riconoscendogli un valore di corrispettivo ad un impegno assunto dalla banca all’erogazione successiva del mutuo29. La clausola andrebbe, in sostanza, a remunerare la po- sizione di “soggezione” della banca, a fronte dell’impegno assunto all’erogazione del mutuo, a seguito del soddisfacimento dei requisiti per la fase di accumulo e del consenso da parte del Bausparer.
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Questa lettura non è tuttavia l’unica interpreta- zione possibile della funzione della clausola. Vi è, in particolare, chi ammette l'efficacia della clausola escludendo una corrispondenza tra la commissione ed una specifica controprestazione contrattuale della banca30. Ad esempio, la BGH, nonché la precedente decisione in grado istanza d’appello, avevano rico- nosciuto il fondamento della commissione nell'inte- resse “mediato” del cliente al sostegno dell’attività di reclutamento di nuova clientela da parte della banca. In questo senso, il pagamento della commis- sione già al momento della sottoscrizione del con- tratto costituirebbe, di fatto, una forma di remunera- zione e di sostegno alla rete commerciale della ban- ca, del cui sviluppo si avvantaggia anche il cliente.
no e sui dibattiti circa la sua natura, si veda, X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx di opzione, in Clausole negoziali, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano 2017, pag. 543 ss.; C.M. XXXXXX, Diritto Civile, III, Il contratto, Milano 2000; X. XXXXXXXXX XXXXXXXXX, L’opzione, in I rapporti giuridici preparatori, a cura di Realmonte, Milano 1996, pag. 53 ss. X. XXXXXXXXX, Op- zione, in Enc. Giur., XXIV, Roma 1990; X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale¸ Milano 1969; X. XXXXX, Note sulla distinzione fra opzione e proposta irrevocabile¸ in Riv. dir. civ., 1962, I, pag. 163 ss.
29 Nè, d’altra parte, varrebbe a minare la legittimità di quest’onere, il fatto che debba essere corrisposto indipendente- mente dall’effettiva erogazione del mutuo: la pretesa del cliente rimane infatti una aspettativa giuridicamente fondata (entspre- chende Anwartschaft), con una modulazione che può, a sua vol- ta, articolarsi diversamente qualora si propenda per una tesi uni- taria o plurale del rapporto. Secondo l'orientamento unitario, la conclusione del contratto di mutuo avverrebbe già in fase pre- liminare di stipula del Bausparvertrag. Come tale, l’effettiva erogazione del finanziamento costituirebbe una mera esecuzio- ne di un contratto unitario scandito, al suo interno, da due di- verse fasi, regolate da un unico accordo. A sostegno si veda, XXXXXXX-XXXXXXX, in Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, XXX, Xxxxxxxx. 0000, § 000, Xx. 539, nonché X.XXXXXXXX, Kündigung von Bausparverträgen: Wirksamkeit und Folgen für den Bausparer, in VuR 2015, pag. 258. Secondo la diversa visione del rapporto di risparmio edilizio come operazione che si sviluppa in due momenti successivi, corrispondenti a due diverse e distinte ma- nifestazioni di volontà negoziale, il Bausparvertrag si configu- rerebbe come un vero e proprio preliminare di contratto (Vor- vertrag), dal quale scaturisce esclusivamente una pretesa (An- spruch) alla conclusione del successivo contratto di mutuo. Cfr. X.XXXXXXXXX, X.XXXXXXXX, Die Wirksamkeit von Abschluss- entgeltklauseln in Allgemeinen Bausparbedingungen, in ZIP 2009, pag. 1197.
30 Per questa posizione si veda, su tutti, X.XXXXX, Zulässigkeit von Bankentgelten, in WM, 5, 2008, pag. 185 ss., secondo il quale, la commissione di stipula non costituisce remunerazione di alcuna prestazione di un servizio da parte della banca, in quanto relativa ai costi di provvigione degli agenti commerciali (Vertriebskosten).
Infatti, il tempo di attesa per la maturazione dei re- quisiti per l’assegnazione del mutuo è direttamente influenzato dall’apporto continuo di risorse da parte di nuovi risparmiatori31.
Dopo averne escluso la contrarietà alla normati- va sulla trasparenza32 e sul Bausparvertrag (che non contiene disposizioni regolanti espressamente le fa- coltà ed i limiti delle parti nella convenzione di commissioni, di guisa che neanche da quella norma- tiva si possa far discendere l'illiceità della clausola), la BGH risolve il controllo ex art. 307 BGB della clausola accessoria di Abschlussgebühr a partire da questa seconda tesi. Infatti, proprio muovendo dalla considerazione per cui la clausola assume i connota- ti di una provvigione a favore degli agenti commer- ciali, la BGH ha affermato di non ravvisare nella clausola neanche il diverso indice di inefficacia che il §307 BGB individua nello scopo, mediante la pat- tuizione di una determinata clausola, di scaricare sul cliente, i costi che la legge o altri obblighi contrat- tuali secondari imporrebbero alla banca, o comun- que riferibili ad un interesse facente capo ad essa. Come chiarito dalla Corte Federale, non si ravvisa nessun limite da parte della legge o dal rispetto dell’obbligo di buona fede (Treu und Glauben) a trasferire sul cliente parte dei costi del sistema di reclutamento di nuova clientela, in quanto comun- que rispondente ad un suo interesse diretto.
4. Interpretazione della clausola.
Il raffronto tra l'indirizzo dell'ABF e la giuri- sprudenza tedesca mostra due modi distinti di guar- dare al medesimo problema, ossia il diritto del cliente (Bausparer) ad ottenere il rimborso della commissione di stipula del mutuo che, in forza di una clausola (Abschlussgebühr) contenuta nel con- tratto di risparmio edilizio (Bausparvertrag), questi ha versato, nell’ipotesi in cui la banca si rifiuti di assegnargli il mutuo. Se nell'orientamento interno vi è una tendenza a guardare la clausola nella sua indi- vidualità (penale), senza collocarla nel contesto globale del negozio, nel sistema tedesco l'attenzione offerta al profilo di accessorietà della pattuizione
31 OLG Stuttgart, 3.12.2009 - 2 U 30/09, in WM 2010, pag.
705 ss.
32 La Corte Federale ha innanzitutto escluso che la clausola in parola sia in contrasto con la logica sottostante alla normativa sulla trasparenza, e ciò in quanto la formulazione della clauso- la, oltre ad essere chiara e comprensibile, manifesta in modo esplicito sia l’entità, che le modalità di accredito della somma. Questa circostanza impedisce di considerare realizzata una vio- lazione del precetto sulla trasparenza, che, come noto, obbliga il professionista a porre il cliente in grado di identificare con precisione gli obblighi e le conseguenze negative che scaturi- scono dalla sottoscrizione di quella clausola. In questo senso, viene confermata la decisione di primo grado (LG. Heilbronn, in Wm 2010, pag. 702 ss.).
impone di guardare alla commissione in relazione all'intera logica sottesa all'operazione.
Da questa distanza discende, come visto, una di- versità di risultati.
Nell'orientamento interno, la tendenza dell'ABF è quella di obbligare la banca a restituire la somma che il cliente aveva pagato in forza di una clausola che viene dichiarata non efficace. Nell'esperienza tedesca, invece, il mancato passaggio alla fase di finanziamento dell'operazione per rifiuto dell'istitu- to di credito non si traduce nel rimborso della com- missione pagata dal Bausparer in forza della Ab- schlussgebühr che si ritiene essere valida33.
Orbene, se si considera che anche il nostro si- stema predilige l’adozione di una lettura che non segmenti il contratto nelle sue diverse articolazioni, ma ne offra una ricostruzione alla luce del contesto dell’operazione negoziale nel suo xxxxxxx00, per po- ter provvedere ad identificarne la natura e la funzio- ne cui essa è preordinata, si comprende che la di- stanza tra le impostazioni e gli orientamenti sia in realtà il frutto di un’erronea interpretazione dell’ABF e non già di una diversità più profonda e giustificata.
D’altra parte, nel senso di una debolezza della ricostruzione dell’ABF milita la stessa qualifica del- la clausola nei termini di una penale.
Vale difatti ricordare come la somma a titolo di commissione venga erogata e corrisposta dal cliente comunque al sorgere del rapporto, senza dipendere in alcun modo dal verificarsi di eventi legati a suo inadempimento o, in alternativa, dalla volontà di non richiedere l’erogazione del finanziamento. La circostanza per cui, in ipotesi di estinzione anticipa- ta (come anche di stallo, per così dire, nella fase a
33 Il rifiuto da parte dell’istituto di credito di procedere all’erogazione del finanziamento dipende, per la maggior parte dei casi, da un sensibile peggioramento della situazione patri- moniale o del valore delle garanzie offerte dal Bausparer, tale da pregiudicare la restituzione della somma data a mutuo; a queste condizioni, la normativa delle condizioni generali del contratto, riconosce il diritto di recesso in capo alla banca (MBB § 12, lett. c).
34 Ampie ed approfondite riflessioni sul tema della causa e dell’operazione economica sono dedicate negli studi di, X.XXXXXXXXX, Il codice xxxxxxxxx, il contratto e l’operazione economica, in Riv. Dir. Comm., I, 2018, pagg. 1-18; Id., L’operazione economica nella teoria del contratto, Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2009, pag. 905 ss.; N.IRTI, Un contratto in- calcolabile, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2015, pagg. 21 ss., secondo cui “prima nella prospettazione delle parti e poi nella decisione del giudici e, la fattispecie del contratto è sostituita dall’operazione economica, e come alla funzione tipica e co- stante subentri la causa concreta e individuale”; X.XXXXX, Contratti collegati e operazioni complesse, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Napoli 2008, pag. 1229 ss.; X.X.XXXXX, Operazioni negoziali “complesse” e la causa come funzione economico individuale del negozio giuridico, in Dir. giu., 2008, pag. 318 ss.; X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collega- mento negoziale, Padova 1999; X.XX NOVA, Frazionamento e aggregazione nei contratti alla luce del diritto comunitario, in Contratti, 1995, pag. 106 ss.
risparmio) la somma non deve essere retrocessa al cliente, costituisce un fattore solo di apparente affi- nità con la diversa fattispecie della clausola penale. Anche qualora il rapporto si svolgesse secondo la fisiologica esecuzione concordata tra le parti, la somma corrisposta a titolo di commissione di stipu- la non dovrebbe comunque essere retrocessa al cliente, in quanto non funzionale ad assicurare la garanzia di un suo corretto adempimento, né tanto- meno a predeterminare il prezzo del suo inadempi- mento35.
Pertanto, e onde evitare di cadere in errore, oc- corre innanzitutto evitare una riconduzione forzata del contratto atipico di risparmio edilizio alle sole categorie note, per poi considerarlo alla stregua di un contratto misto, inteso come semplice somma delle diverse discipline (tipiche) che lo compongo- no36. Difatti, intendere il contratto in parola come atto che presenta elementi di affinità con il deposito irregolare, con la promessa di mutuo, con il mutuo di scopo, significa coglierne solo limitati aspetti, perdendone di conseguenza la prospettiva unitaria, che conferisce il senso all’operazione37.
35 Nuovamente chiara la lettera della normativa tedesca, ove si afferma che la “Abschlussgebühr non viene, neppure in parte, retrocessa o diminuita. Ciò vale soprattutto quando il Bauspar- vertrag venga risolto, quando sia ridotta la Bausparsumme o quando non sia stata erogata completamente” (MBB. § 1, Abs. 2).
Per l’inquadramento di questa duplice funzione della clausola, si fa riferimento a X.XXXXXXX, Contratto e rimedi, Milano 2017, pag. 653.
36 Un inquadramento più risalente della teoria del contratto mi- sto è quello riportato in X. XXXXXXXXX, Contratto misto, negozio misto, negozio indiretto, negotium mixtum cum donatione¸ in Xxx. Xxx. Xxxx., 0000 X. XX XXXXXXX, I contratti misti¸ Padova 1934; X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano 1952; per il dibattito in Germania, si veda HÖNIGER, Untersuchungen zum Problem der gemischten Verträge: Die gemischten Verträge in ihren Grundformen, München Leipzig 1910; XXXXXXXXX, Gemischte Verträge im Reichsschuldrecht, in Xxxxxxx’x Jahrbücher, 1911, pag. 106 ss.
37 L’operazione in esame presenta difatti taluni caratteri di ap- parente affinità rispetto a figure già conosciute nel nostro ordi- namento. Nello specifico, la prima fase del rapporto sembra presentare solo un’identità di oggetto rispetto alla figura del deposito irregolare di denaro (art. 1782 c.c.), per la diversità di contenuto dell’obbligo in capo alla banca depositaria di erogare il finanziamento contemplato dal piano, in contrapposizione all’obbligo tipico di questa figura di restituzione del tantundem. Xxxxxxxx affinità sembra potersi invece rinvenire nella figura della promessa di mutuo (art. 1822 c.c.), specie in relazione alla sua configurazione quale procedimento negoziale di anticipa- zione della traditio; in ordine alla qualificazione della promessa di xxxxx, si veda V.DI GRAVIO, Teoria del contratto reale e promessa di mutuo, Milano 1990. In letteratura si è molto di- scusso in ordine alla possibilità di applicazione del rimedio del- la sentenza costitutiva (art. 2932 c.c.) a fronte di una promessa non seguita effettivamente dall’erogazione della somma conve- nuta: la giurisprudenza, pur affermando di trovarsi in presenza di un rapporto giuridico del tutto idoneo a costituire una fonte produttiva di diritti ed obblighi per le parti, ha tuttavia escluso l’ammissibilità di un siffatto rimedio (cfr. Cass., 18 giugno 1981, n. 3980, in Giust. civ., 1982, I, pag. 202, con nota di
M.R. XXXXXXX, Xxxx’ammissibilità del preliminare e su altri
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Pare invece opportuno trattare il contratto di ri- sparmio edilizio come fattispecie innominata ed atipica38, che fa ingresso nel nostro ordinamento in ragione della meritevolezza degli interessi che è preordinato a perseguire39, che si contraddistingue
per una formazione - che potremmo definire - pro- cedimentalizzata del negozio, possono essere e che deve pertanto essere compreso solo nel contesto complessivo in cui sono collocabili. Ciò vale a dire che, fra i singoli momenti in cui si articola il con-
tratto, intervengono differenze sostanziali sul piano
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aspetti della problematica attuale del contratto di mutuo). Spa- zi per l’applicazione del rimedio costitutivo sono invece stati ravvisati in presenza di una promessa di mutuo agevolato di scopo ai sensi dell’art. 47 Tub (cfr. X. XXXXXXXXX, Promessa di mutuo, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxx Xx- xxxxxxx, III, 2011, pag. 234); la configurabilità del rimedio non va letta tuttavia in relazione alle caratteristiche proprie della figura del mutuo, quanto alla presenza di una convenzione espressa con la pubblica amministrazione ai fini dell’erogazione di un finanziamento a condizioni agevolate. È proprio difatti quest’ultimo carattere che consente di tracciare un’ulteriore linea di demarcazione con l’operazione in com- mento, in quanto il mutuo agevolato ex art. 47 tub si configura come un rapporto trilatero, nel quale il mutuatario assume ca- ratteristiche maggiormente assimilabili a quelle del terzo bene- ficiario del contratto.
38 Ritengo di seguire quell’orientamento dottrinario, facente capo agli studi di Xxxxxxxx, che più correttamente differenzia fra loro l’uso del termine “contratto atipico” da quello di “con- tratto innominato”. Sottolinea X.XXXXXXXX, Il contratto atipi- co, Milano 1981, pag. 1, come “Nel linguaggio giuridico mo- derno l’espressione contratti atipici, per indicare figure con- trattuali che non sono espressamente previste e regole nell’ordinamento giuridico positivo, è proposta come alternati- va alla formula contratti innominati”; il “nomen”, prosegue l’A. “è per un contratto una semplice etichetta. Esso ha un va- lore puramente indicativo, ma è neutro rerlativamente al con- tenuto sostanziale e soprattutto alla disciplina che va applicata alla fattispecie […] La formula contratti atipici, che invece si ricava dalla parafrasi dell’art. 1322 c.c., è molto più compro- mettente”.
Di diverso avviso è invece X.XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano 1952, pag. 214, secondo cui “l’espressione contratto innominato equivarrebbe a contratto che non ha un nome nel sistema della legge; ma, in definitiva, non avere un nome dipende, a sua volta, dal fatto che il dato contratto non è assoggettato a disciplina propria; ed è questo ultimo l’esatto concetto di contratto innominato”. La tendenza a non differen- ziare fra loro l’uso di questi termini è rinvenibile anche nella dottrina più recente, fra cui, X. XXXXX, Il contratto, Milano 2011, pag. 400, secondo cui “Oggi, con il riconoscimento gene- rale del contratto atipico, la parte che intenda azionare diritti contrattuali non ha più l’onere di nominare il tipo di contratto concluso e la relativa azione: può limitarsi ad affermare di aver concluso un contratto, e a chiedere la tutela dei diritti conseguenti sulla base di un’atipica e innominata azione da contratto”. La distinzione tra inoltre fondamento in una scelta espressa del legislatore, in quanto “Il codice italiano vigente sostituisce la contrapposizione contratti noinati-innominati con l’altra contratti appartenenti-non appartenenti ai tipi che hanno una disciplina particolare”, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il con- tratto, cit., pag. 1402.
39 Non è difatti da dubitarsi che l’esigenza di suddivisione del rapporto in due fasi distinte, l’una prodromica rispetto all’altra, realizzi un assetto di interessi cui le parti possano legittimamen- te dar vita, in piena conformità del principio di autonomia con- trattuale.
Per quanto in dottrina vi sia consapevolezza che il “problema dell’individuazione dei criteri di meritevolezza che i contraenti intendono realizzare mediante il contratto è indubbiamente il problema centrale del concetto di autonomia privata” (G.B. XXXXX, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, nota a Xxx- xx Xxx. Xxxxxx, 00 dicembre 1970), in Xxx. xxx. xxxx., 0000,
x. 00), xxx xxxx, x xxxx, xx osserva una grande incertezza e si
del contenuto delle prestazioni delle parti, ma iden- tità di funzione rispetto alla causa comune dell’operazione. Questa peculiarità di struttura meri- ta dunque una piena valorizzazione in ottica di indi- viduazione della disciplina applicabile (quella detta- ta dal documento contrattuale convenuto fra le parti, prima, e quella derivante dalle regole generali del codice e della normativa di settore, poi).
registra con particolare chiarezza la distanza tra le varie impo- stazioni degli interpreti. Per una prima panoramica si vedano, sin d’ora, X. XXXXXXX, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 00-00; X. XXXXXXXX, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. impr., 1987, p. 427-430; X. XXXXXXXX, Il contratto immeritevole e il rasoio di Occam, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 253; U. BRECCIA, Interessi non meritevoli di tutela, in X. Xxxx, U. Breccia, X. Xxxxxxx, Il contratto in generale, III, Tratt. Bessone, 1999, p. 89; X. XXXXXX, Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi, in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 789; X. XXXXXXXX, La causa del contratto tra meritevolezza degli interessi ed equili- brio dello scambio, in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 0; e, tra la manua- listica, X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx e rimedi, Milano, 2017, III, p.
251. Per parte sua, la giurisprudenza, dopo un lungo periodo di sostanziale irrilevanza della disposizione, ne fa in tempi recenti un maggiore impiego dell’art. 1322, co. II. In tal senso, si veda- no sin d’ora: Xxxx. 31 luglio 2017 n. 19013 (in xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxx/); Cass. 28 aprile 2017, n. 10506 (in Foro it., 2017, I, c. 1919 con commento di X. XXXXXXXX, Della meritevolezza. Il caso claims made, in ivi, c. 3115, e con nota di X. XXXXXXXXXX, Il giudizio d'immeritevolez- za della "claims made" agli albori della tipizzazione della clau- sola, in Danno resp., 2017, p. 452); Cass. sez. Un., 17 febbraio 2017, n. 4424 (con nota di X. XXXXXXXX, Meritevolezza degli interessi e correzione del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 1205); Cass. Sez. Un., 06 maggio 2016, n. 9140 (con commento di X. XXXXX, Xxxxxxxx "claims made" fra meritevo- lezza e abuso secondo le Sezioni Unite, in Corr. giur., 2016, p. 727); Cass., 15 febbraio 2016, n. 2900 (con nota di X. XXXXXXX, Giudizio di meritevolezza e violazione di regole di condotta in materia di intermediazione finanziaria, in Nuova giur. civ., comm., 2016, p. 855); Xxxx. 10 novembre 2015, n. 22950 (con osservazioni di di X. XXXXXXXX, in Soc., 2016, p. 729, "For you for nothing" o immeritevolezza); Cass. 30 settembre 2015,
n. 19559 (con osservazioni di X. XXXXX, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale); Cass., 17 marzo 2015 n. 5216 (con nota di X. XXXXXXX, Rilevanza esterna delle norme endoassociative e validità dei contratti, in Rass. dir. econ. sport, 2015, p. 402); Cass. 08 febbraio 2013, n. 3080 (in Rep. Foro it., 2014, voce Farmacia, n. 14 e con commento di X. XXXXXXX, Intesa anticoncorrenziale e giudizio di meritevolezza, in Rass. dir. civ., 2014, p. 1301); Cass. 19 luglio 2012 n. 12454 (in Rep. Foro it., 2012, Xxxxx, n. 13 e con commento di X. XXXXXXX, Clausole generali e regole settoriali, in Giur. it., 2013,
p. 1812) e Xxxx. 19 giugno 2009 n. 14343 (in Rep. Foro it., 2010, voce Locazione, n. 126 e con commento di X. XXXXX, Locazione tra autodeterminazione e funzione esistenziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 317).
5. Conclusioni
In luogo di una lettura della validità della clauso- la che metta in secondo piano la considerazione uni- taria del rapporto e proceda a una sua frammenta- zione nei diversi segmenti che lo contraddistinguo- no (convenzione del piano - deposito rateale - matu- razione dei presupposti - erogazione del mutuo - adempimento del mutuo), risulterebbe dunque più in linea con il nostro sistema un’interpretazione del- la pattuizione che prenda le mosse dall’operazione complessiva in cui essa si inserisce. Ragionando al- trimenti, a ciascuna fase del rapporto corrisponde- rebbe l’applicazione di una singola disciplina, sle- gata dal contesto generale di operatività del negozio e calata nelle specificità del relativo segmento.
Una volta aderito invece a questo diverso orien- tamento andando a valorizzare, giova ripeterlo, la matrice funzionalmente unitaria dell’operazione, pare possibile affermare che la clausola che attribui- sce alla banca una percentuale sul valore comples- sivo del contratto a titolo di commissione per la sti- pula del mutuo i) risponde ad una logica - e presenta una struttura - profondamente diversa da quella del- la clausola penale, che è predeterminazione forfeta- ria di un danno da inadempimento40; ii) costituisce una componente di costo strettamente connaturata alla funzione e alla ratio del rapporto; iii) realizza un assetto di interessi pienamente meritevole di tu- tela.
La norma tedesca di riferimento è chiara e non vi sono ragioni per non ricercare in essa spunti per
Funzionale al perseguimento di questa finalità risulta essere, in definitiva, la previsione stessa della commissione di stipula, la quale non costituisce al- tro che un ingranaggio del funzionamento comples- sivo di questa operazione.
Il carattere mutualistico proprio del sistema delle Sparkassen costituisce difatti l’elemento sulla cui base essa poggia la sua validità e meritevolezza. La clausola non opera difatti secondo la logica di scari- co di costi che la legge imporrebbe altrimenti all’intermediario41, né tantomeno quale forma di sanzione per deviazioni rispetto allo schema prefis- xxxx nel piano di finanziamento. La capacità del si- stema di autoalimentarsi mediante la garanzia della messa a risparmio delle somme, nonché il sostegno di una rete commerciale che incentivi un apporto continuo di risorse, sono caratteri funzionali di un meccanismo che mira all’obiettivo prevalente della cd. inclusione finanziaria dell’individuo e alla rea- lizzazione delle primarie esigenze di carattere im- mobiliare42.
È la stessa ratio complessiva di garantire l’aspettativa giuridica del Bausparer all’erogazione del finanziamento al soddisfacimento dei requisiti finanziari, che giustifica, di conseguenza, la corre- sponsione della commissione, indipendentemente dal concreto e successivo svolgimento del rapporto.
Xxxxxx, trovandosi in presenza di una clausola non riconducibile ad ipotesi nominativamente tipiz- zate dal nostro legislatore, ma rispondente ad un preciso assetto di interessi meritevole di tutela, non- ché trasparente, la commissione deve trovare pater-
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leggere la fattispecie anche in un diverso contesto di
applicazione.
Non vi è chi non veda, infatti, come già il § 1, Abs. 2 (BSpKG) individui la causa del contratto nell’acquisizione, da parte del Bausparer, di una pretesa (ein Rechtsanspruch) all’assegnazione di un mutuo a tasso particolarmente vantaggioso rispetto a quelli praticati sul mercato, a seguito dell’accumulo di una somma a risparmio. La dispo- sizione scandisce la struttura del contratto in due momenti ben distinti, ciascuno dei quali regolato da un diverso riparto di diritti ed obblighi fra Bauspa- rer e Bausparkasse, ma senza distaccarsi dalla fina- lità centrale del rapporto: quella di soddisfare un in- teresse, di rilievo “pubblicistico”, all’erogazione di mutui agevolati per esigenze immobiliari.
40 Parla in proposito, il Messineo, di una promessa accessoria d’un contraente, che determina l’obbligo per l’altra parte di ef- fettuare una determinata prestazione, “a titolo di pena (o mul- ta), per il caso di inadempimento ingiustificato dell’obbligazione nascente dal contratto”. La penale agisce dunque come “fonte di un’obbligazione condizionale (l’evento in condicione è l’inadempimento), nella quale obbligazione, si converte ope legis l’obbligazione originale non adempiuta”, vedi X.XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano 1952, pag 131 ss.
41 Uniforme, in questo senso, la giurisprudenza tedesca nel pri- vare di efficacia le clausole contenute all’interno delle condi- zioni generali di contratto, qualora il predisponente abbia tra- sferito sul cliente costi che, sulla base di prescrizioni di legge, ovvero di obblighi accessori derivanti dal contratto (vertragli- chen Nebenpflicht), avrebbero dovuto gravare sulla banca stessa (cfr. BGH, Urt. 21 ottobre 1997 – XI ZR 5/97, in BGHZ 137, 43 ss.; BGH, Urt. 13 febbraio 2001, XI ZR 197/00, in BGHZ 146, 377 ss.; BGH, Urt. 21 aprile 2009, XI ZR 78/08, in BGHZ
180, 257 ss.).
42 In uno dei report più recenti della Banca Mondiale si sottoli- nea il ruolo fondamentale nella prospettiva di sviluppo, che è svolto dalla financial inclusion, attraverso istituzioni finanziarie “that facilitate financial intermediation, including payment sy- stems, credit information bureaus, and collateral registries. Financial infrastructure also includes a regulatory framework that fosters both consumer protection and competition among financial institutions” (WDR, Risk and Opportunity. Managing Risk for Development, 2014, pag. 46 consultabile all’indirizzo web xxxxx://xxxxxxxxxxxxx.xxxxxxxxx.xxx/XXXXXXX0000/Xxxxxxxx s/8258024-1352909193861/8936935-
1356011448215/8986901-1380046989056/WDR-
2014_Complete_Report.pdf).
Lo sviluppo dell’inclusione, delle infrastrutture e dell’innovazione nel campo finanziario è al centro di importanti lavori di economisti, cfr. R.J. XXXXXXX, Finance and the good society, Princeton 2012; ID, The new financial order, Princeton 2003; X.XXXXXXXX, The Economics of Integrity, New York 2010; X.XXXXXXX, L’innovazione finanziaria, Roma 1989; X. XXXXXXX, Democracy and finance, New Haven 1940.
nità anche all’interno del nostro ordinamento, in quanto valida e produttiva di effetti.
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