REPUBBLICA ITALIANA
CONTRATTI DELLA P.A.
CASS. CIV., SEZ. I, 14 APRILE 2011, N. 8539.
Il contratto di prestazione d'opera professionale stipulato con una pubblica amministrazione, ancorché quest'ultima agisca "iure privatorum", deve rivestire, a pena di nullità, la forma scritta, la quale deve essere estesa anche alle modifiche successive dell'incarico che comportino variazioni sostanziali nella natura delle prestazioni affidati al professionista e/o nella misura del compenso dovutogli. Qualora sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione del contratto, in quanto il professionista incaricato abbia chiesto il pagamento degli onorari, la nullità del contratto per difetto della forma scritta è rilevabile d'ufficio in ogni grado e stato del giudizio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXX Xxx - Presidente - Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxx Xxxxx - Consigliere - Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXXXX Xxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxx - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Regina Margherita n. 278, presso l’avv. XXXXX XXXXXXX dal quale, unitamente all’avv. XXXX XXXXX del foro di Bergamo, è rappresentato e difeso in
virtù di procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI SERINA, in persona del Sindaco p.t. elettivamente domiciliato in Roma, alla via Xxxxx Xxxxxxxx n. 8, presso l’avv.
XXXXX XXXXXXXX, dal quale, unitamente all’avv. XXXXXXXXX XXXXX del foro di Bergamo, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine de controricorso;
- controricorrente intimato -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 241/04. pubblicata il 18 marzo 2004;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 gennaio 2011 dal Consigliere xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxx;
udito llavv. Gobbi per il controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale xxxx. XXXXXXXXXX Xxxxxxxx, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con sentenza del 30 marzo 2001. il Tribunale di Bergamo accolse l’opposizione proposta dal Comune di Serina avverso un decreto ingiuntivo emesso su ricorso dell’arch. C.A., revocando il decreto ma condannando il Comune al pagamento della somma di L.
14.878.122 a titolo di saldo del corrispettivo per prestazioni professionali rese dal ricorrente.
2. L’impugnazione proposta dal Comune è stata accolta dalla Corte d’Appello di Broscia, che con sentenza del 18 marzo 2004 ha rigettato la domanda proposta dal ricorrente.
A fondamento della decisione, la Corte ha affermato l’irrilevanza della documentazione prodotta dall’appellato, attestando la stessa unicamente l’adozione da parte del Comune di delibere aventi ad oggetto l’ampliamento e la ristrutturazione di un complesso scolastico e l’affidamento dell’incarico all’arch. C., nonché l’esecuzione di molteplici incombenti da parte di quest’ultimo, e non anche l’avvenuta stipulazione del contratto di prestazione d’opera professionale in forma scritta.
Premesso inoltre che con la comparsa di costituzione in primo grado l’appellato aveva proposto domanda di risarcimento del danno ai sensi degli arti. 1337 e 1338 cod. civ., in ordine alla quale il Comune aveva omesso di rifiutare il con-traddittorio. la Corte d’Appello ha rigettato anche tale domanda, sia per difetto di prova della condotta tenuta dall’Amministrazione, sia perchè il C. ora a conoscenza della necessità della forma scritta per il conferimento dell’incarico, trattandosi di requisito prescritto dalla legge.
3. Avverso la predetta sentenza il C. propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.
Il Comune resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 99,
112. 11 5 e 116 cod. proc. civ., nonché l’erronea e carente motivazione su un elemento decisivo della controversia.
Premesso che in primo grado il Comune di Serina aveva dedotto due profili di nullità del contratto di prestazione d’opera professionale, consistenti nella mancata deliberazione del conferimento dell’incarico nel suo intero ammontare e nell’assenza dell’impegno di spesa, sostiene che la mancata stipulazione del contratto in forma scritta integrava una diversa causa di nullità, non rilevabile d’ufficio dal Giudice di appello e la cui deduzione in sede d’impugnazione costituiva una non consentila mutatio libelli.
Aggiunge che correttamente il Giudice di primo grado aveva accertato l’intervenuta modificazione delllincarico nel corso del suo svolgimento, in base alla documentazione prodotta, nonché l’avvenuta pattuizione di tali modifiche tra le parti e l’integrazione degli impegni di spesa.
1.1. Il motivo è infondato.
EE opportuno premettere che l’opposizione a decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, il quale, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, investe il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente latta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni e difese contro la stessa proposte, con la conseguenza che l’opponente, pur assumendo normalmente la veste di attore, viene a trovarsi nella posizione sostanziale di convenuto, mentre l’opposto, formalmente convenuto, dev’essere considerato attore dal punto di vista sostanziale.
Tanto precisato, si osserva che con il ricorso per decreto ingiuntivo il C. aveva chiesto il saldo del compenso professionale dovutogli per la progettazione generale ed esecutiva di un edificio scolastico, producendo le delibero adottate dal Comune ai fini del conferimento dell’incarico professionale e dell’integrazione dell’originario impegno di spesa. Nel proporre opposizione, il Comune di Serina aveva sostenuto che le maggiori prestazioni delle quali il ricorrente aveva chiesto il pagamento si riferivano a lavori non deliberati o per i quali non era stato adottato l’impegno di spesa.
Tali deduzioni erano state tuttavia disattese dal Giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto sussistenti sia le deliberazioni che l’impegno di spesa, ed aveva pertanto accolto la domanda, sia pure per un importo inferiore a quello riconosciuto con il decreto ingiuntivo. Il Comune aveva pertanto proposto appello, ribadendo le difese svolte in primo grado, ed aggiungendo che in ogni caso le delibere prodotte erano inidonee a far sorgere un vincolo contrattuale, in quanto a tal fine era necessaria la stipulazione di un contratto in forma scritta.
In tale contesto, essendo ancora in discussione l’applicazione o l’esecuzione del titolo negoziale posto a fondamento della pretesa azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo, la nullità del contratto era rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ. anche in sede di gravame, ponendosi la validità dell’atto come elemento costitutivo della domanda, che il giudice è tenuto a verificare, nell’ambito dell’indagine a lui demandata in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione, senza che ciò comporti una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (cfr. Cass.. Sez. 1, 21 dicembre 2007, n. 27088; 1 ottobre 2007, n. 21141; 1 marzo 2007, n. 4853). Le deduzioni svolte al riguardo nell’atto di appello non integravano dunque una domanda, avendo il Comune la veste
sostanziale di convenuto, nè un’eccezione riconvenzionale, non facendosi valere con esse un controdiritto idoneo a paralizzare il diritto fatto valere dal ricorrente, nè ancora un’eccezione in senso stretto, non essendone prevista dalla legge la deduzione ad esclusiva iniziativa della parte. Esse, in quanto volte a sollecitare l’esercizio di un potere ufficioso del giudice, costituivano mere difese, proponibili per la prima volta anche in grado d’appello senza che la loro deduzione potesse qualificarsi come mutai io libelli, inammissibile in sede di gravame (cfr. Cass. Sez. 2^, 30 luglio 2004, n. 14570: 18 luglio 2002. n. 10440).
1.2. Quanto poi alla riconducibilità delle prestazioni di cui il ricorrente ha chiesto il pagamento alle modifiche dell’incarico originariamente conferitogli, la Corte d’Appello ne ha escluso la rilevanza, nonostante l’avvenuta produzione in giudizio delle relative delibere, in virtù della considerazione che le stesse non erano state seguite dalla stipulazione del contratto d’opera professionale nella forma scritta richiesta dalla legge.
Questa conclusione appare conforme al consolidalo orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai sensi del X.X. 00 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, il contratto di prestazione d’opera professionale stipulato con una Pubblica Amministrazione, ancorché quest’ultima agisca jure privatorum deve rivestire, a pena di nullità, la forma scritta; l’osservanza di tale requisito, che risponde ad evidenti finalità di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, presuppone la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo legittimato a manifestare la volontà dell’ente pubblico nei rapporti esterni, nonché l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e dell’entità del compenso, non risultando a tal fine sufficiente la delibera con cui l’organo competente a formare la volontà dell’ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, la quale ha natura di atto meramente interno (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 1^, 6 luglio 2007, n. 15296; 26 gennaio 2007, n. 1752). La necessità della forma scritta, quale strumento per evitare arbitrii nell’interesse del cittadino e per favorire l’esercizio della funzione di controllo, dev’essere estesa anche alle modificazioni successive dell’incarico che comportino variazioni sostanziali nella natura delle prestazioni affidate al professionista e nella misura del compenso dovutogli, in quanto le stesse, risolvendosi in un mutamento dell’oggetto del contratto, richiedono una nuova manifestazione di volontà, espressa nella forma prescritta dalla legge ad substantiam, e non possono quindi essere desunte da comportamenti concludenti delle parti o dalle determinazioni assunte al riguardo dall’organo deliberante dell’ente (cfr. Cass., Sez. 3^, 9 gennaio 2007. n. 209; 12 aprile 2006. n. 8621; Cass. Sez. 2^, 4 giugno 1999, n.
5448).
Nella specie, pertanto, la mancata consacrazione delle modifiche dell’incarico in un contratto stipulato in forma scritta costituiva un motivo sufficiente ad escludere la fondatezza della domanda proposta dal ricorrente in via contrattuale, indipendentemente dalla forma rivestita dall’originario contratto di prestazione d’opera professionale, la cui stipulazione per iscritto appare peraltro quanto meno dubbia, non avendone il ricorrente fatto alcuna menzione, e nulla di preciso emergendo al riguardo dalla sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1337 e 1338 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Osserva infatti che la Corte d’Appello ha omesso di esaminare la corrispondenza intercorsa tra le parti, dalla quale emergeva la scorrettezza del comportamento del Comune, che, dopo aver pagato una parte delle competenze professionali, aveva contestato llavvenuta redazione di un progetto definitivo, per poi chiedere la stesura di un nuovo disciplinare recante l’indicazione soltanto di una parte delle opere, e successivamente interrompere ogni trattativa. Sostiene che, proprio in base alla condotta risultante da tale documentazione, egli aveva maturato un’aspettativa alla stipulazione del contratto per la parte eccedente l’incarico iniziale, in quanto i progetti da lui redatti erano stati recepiti ed approvati, e sulla scorta degli stessi erano stati richiesti finanziamenti.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Come è noto, gli artt. 1337 e 1338 cod. civ. contemplano distinte fattispecie di responsabilità precontrattuale, l’una di carattere generale, riguardante la violazione del dovere di buona fede nello svolgimento delle trattative, in funzione di tutela dell’affidamento delle parti nella conclusione del contratto, e l’altra, che ne costituisce una specificazione, avente ad oggetto la mancata comunicazione preventiva di eventuali cause d’invalidità, in funzione di tutela dell’affidamento delle parti in ordine alla validità del contratto.
La sentenza impugnata ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, rilevando da un lato (d’assoluto difetto di materiale probatorio idoneo a fondare una pretesa ispirata ad una condotta che nulla consente di conoscere nelle sue manifestazioni, ed osservando dall’altro che la conoscenza della necessità della stipulazione di un contratto scritto per il conferimento di un incarico professionale da parte della Pubblica Amministrazione, ben nota al Comune, non poteva non esserlo anche per l’architetto. Lo specifico riferimento di quest’ultima affermazione alla fattispecie di cui all’art. 1338 rende evidente la riconducibilità della prima a quella di cui all’art. 1337, in ordine alla quale la Corte d’Appello, con espressione sintetica ma chiaramente percepibile nella sua portata, non si è limitata a riscontrare l’assoluta mancanza di prova, ma ha stigmatizzato, più radicalmente, la mancata allegazione da parte del ricorrente delle modalità di manifestazione della condotta antidoverosa ascritta all’Amministrazione.
Il ricorrente, pur denunciando la violazione sia dell’art. 1337 che dell’art. 1338, ha censurato la sentenza impugnata nella sola parte in cui ha escluso la responsabilità del Comune in riferimento alla prima disposizione. Egli, peraltro, si è limitato a dolersi dell’omesso esame dei documenti prodotti in giudizio, da cui risulterebbe la condotta dell’Amministrazione contraria al dovere di buona fede, senza però contestare il rilievo della Corte ddAppello relativo all’inadempimento dell’onero di allegazione, e senza indicare in particolare la sede in cui sarebbero stati individuati i fatti dai quali dovrebbe desumersi la violazione del dovere di buona fede nello svolgimento delle trattative contrattuali, con la conseguenza che nessuna
verifica risulta possibile compiere in ordine al carattere decisivo dei documenti prodotti, ai tini della prova dei fatti tempestivamente introdotti nel giudizio.
3. EE parimenti inammissibile la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, proposta dal Comune di Serina con il controricorso.
3.1. L’omessa pronuncia da parte del giudice di appello sulla domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza impugnata, in caso di accoglimento totale del gravame, si traduce infatti in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che, in caso di proposizione del ricorso per cassazione ad opera della parte soccombente, dev’essere fatta valere, quale error in procedendo, nelle forme del ricorso incidentale (cfr. Cass. Sez. 3^, 24 aprile 2008, n. 10765).
Tali forme, nella specie, non risultano osservate, essendosi il Comune limitato a lamentare l’omessa condanna del ricorrente alla restituzione, sul presupposto della mancata contestazione dell’avvenuto pagamento da parte del C., ed a dedurre la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., senza però fare alcun accenno all’avvenuta proposizione di un’apposita domanda nel giudizio d’impugnazione, e senza chiedere la cassazione sul punto della sentenza di appello.
L’assenza di quest’ultima richiesta, posta anche in relazione con la discordanza degli elementi allegati a fondamento della domanda, non consente di attribuire al controricorso, cosii come formulato, la valenza di ricorso incidentale: sebbene, infatti, non sia necessaria a tal fine l’adozione di formule sacramentali, il principio di strumentalità delle forme esige che l’atto contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 in relazione agli artt. 365, 366 e 369 cod. proc. civ. ed in particolare la predetta richiesta, specificamente prevista dall’art. 366 c.p.c., n. 4 la quale risulta essenziale per individuare nell’atto in questione un mezzo di impugnazione, alla luce dei principi della domanda, del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, implicanti, rispettivamente, la chiara indicazione del mezzo processuale azionato, il diritto della controparte di essere messa in condizione di difendersi e di replicare e il potere-dovere del giudice di identificare la domanda senza incertezze, per non andare oltre il limite della stessa (cfr. Cass. Sez. 1^, 21 ottobre 2005, n. 20454;
Cass., Sez. 3^, 11 novembre 2005, n. 22901).
4. - Il ricorso va pertanto rigettato, mentre la domanda proposta dalla controricorrente va dichiarata inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, in qualità di principale soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, e condanna C.A. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00. ivi compresi Euro 2.500,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Cosii deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011