Linee di intervento sulla disciplina delle tipologie contrattuali
Linee di intervento sulla disciplina delle tipologie contrattuali
SOMMARIO: 1. OBIETTIVI GENERALI. - 2. CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO. – 3. APPRENDISTATO. – 4. CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE. – 5. CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE. – 6. COLLABORAZIONE A PROGETTO. – 7. PARTITE IVA. – 8. ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE CON APPORTO DI LAVORO. – 9. LAVORO ACCESSORIO.
1. OBIETTIVI GENERALI
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La riforma si propone, come obiettivi generali, di rendere più dinamico il mercato del lavoro, soprattutto a vantaggio delle fasce svantaggiate (a partire dai giovani), contrastando al contempo il fenomeno della precarizzazione della forza lavoro.
Tale obiettivo è perseguito, da un lato, con interventi sulla flessibilità in entrata, che hanno come cifra caratterizzante quella del riequilibrio delle convenienze relativi delle tipologie contrattuali (su tutte, il contratto a tempo determinato e la collaborazione a progetto) nelle quali si sono prevalentemente condensate, negli ultimi anni, le tendenze dualistiche del mercato del lavoro italiano; dall’altro lato, con interventi sulla flessibilità in uscita, rivolti (oltre che a reprimere pratiche scorrette, come il fenomeno delle dimissioni “in bianco”) a rendere più adeguata al mutato contesto economico la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, e in particolare di quelli per motivi economici.
L’azione di disincentivo all’utilizzo improprio degli istituti contrattuali esistenti si affida a una attività dei servizi ispettivi più mirata ed efficace, nonché ad una revisione e razionalizzazione delle sanzioni previste. Il disegno regolativo è completato dalla disciplina di riforma degli ammortizzatori sociali, di cui si tratta a parte.
Di seguito sono esposte le principali linee di intervento sulla disciplina delle tipologie contrattuali.
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2. CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
Il disincentivo all’uso del contratto a tempo determinato è perseguito, principalmente, tramite un incremento del relativo costo contributivo, destinato al finanziamento dell’assicurazione sociale per l’impiego (attuale assicurazione contro la disoccupazione involontaria).
Peraltro, è previsto che la maggiorazione contributiva in discorso possa essere recuperata nel caso che all’assunzione o alle assunzioni a termine faccia seguito l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore, operando quindi, il dispositivo, come “premio di stabilizzazione”.
Dalla maggiorazione sarebbero esentate, peraltro, alcune tipologie di contratti a tempo determinato, tra i quali certamente quelli conclusi per ragioni sostitutive.
Inoltre, sulla premessa che, anche alla luce della normativa comunitaria di cui alla direttiva 99/70/CE, l’esigenza prioritaria è quella di limitare il fenomeno della successione abusiva di contratti a termine, e che le tecniche di limitazione utilizzabili a tale riguardo sono lasciate alla discrezionalità degli Stati membri, viene resa più rigida la disciplina del rinnovo dei contratti a termine, tramite l’aumento dell’intervallo temporale che deve esservi tra la scadenza di un contratto e la stipulazione di quello successivo.
Dal punto di vista delle sanzioni applicabili nel caso che il contratto a termine sia dichiarato illegittimo da un giudice, il regime continuerà ad essere basato sul doppio binario della “conversione” del predetto contratto e del riconoscimento al lavoratore di un importo risarcitorio compreso tra 2,5 e 12 mensilità retributive secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 (cd. Collegato lavoro), di recente dichiarato legittimo dalla sentenza n. 303/2011 della Corte costituzionale.
Sono peraltro prefigurati, in merito a tale regime, due tipi di interventi.
Da un lato, per scoraggiare il contenzioso sull’argomento, si ribadisce che l’indennità di cui sopra, in quanto prevista dalla legge come “onnicomprensiva”, copre tutte le conseguenze retributive e contributive derivanti dall’illegittimità del contratto a termine.
Dall’altro lato, si corregge la stortura derivante dal fatto che oggi il lavoratore a termine coinvolto in una successione di contratti (entro il tetto legale di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi) è posto di fronte all’alternativa eccessivamente difficile, e in qualche modo lesiva del suo diritto di azione in giudizio nonché della sua stessa dignità, tra manifestare al datore di lavoro la volontà di impugnare il contratto a termine, di cui ritenga l’illegittimità, entro 60 giorni dalla scadenza dello stesso, e rischiare così di mettere in crisi prematuramente il rapporto col datore di lavoro, oppure non fare nulla sperando in una stabilizzazione che non necessariamente giungerà, e perdere così per sempre la possibilità di fare valere i propri diritti.
A tal fine, pertanto, si propone di eliminare l’onere di impugnazione stragiudiziale del contratto a termine entro 60 giorni dalla cessazione dello stesso, riducendo, contemporaneamente, dagli attuali 330 giorni a 270 (9 mesi) il termine entro il quale il lavoratore deve proporre, a pena di decadenza, l’azione in giudizio. Ciò sulla base della valutazione presuntiva per cui dopo 9 mesi lo scenario (conferma o meno in servizio del lavoratore) dovrebbe essersi ormai chiarito, per cui il lavoratore ha ormai gli elementi per valutare se proporre o no un’azione in giudizio.
3. APPRENDISTATO
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Sulla premessa, condivisa da tutte le parti sociali, di individuare nell’apprendistato, articolato nelle tipologie previste, il canale privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro, la riforma rispetto dell’impianto del d.lgs. n. 167/2011, della quale Regioni e parti sociali dovranno promuovere l’implementazione entro il termine attualmente fissato del 25 aprile 2012.
Ciò premesso, vengono proposti alcuni interventi correttivi, che si muovono nello spirito del Testo unico (e che in parte sono di mera “pulizia” del testo), segnatamente l’introduzione di norme rivolte: a condizionare la facoltà di assumere tramite apprendisti al fatto che il datore di lavoro possa dar conto di una certa percentuale di conferme in servizio nel passato recente; a prevedere una durata minima dell’apprendistato (fermo restando la possibilità dell’apprendistato a termine nelle attività svolte in cicli stagionali); a eliminare l’ambigua figura del “referente” aziendale e prevedere la presenza obbligatoria del tutore; a chiarire che anche durante l’eventuale periodo di preavviso al termine del periodo di formazione continua ad applicarsi la disciplina dell’apprendistato; a chiarire che sin quando non sarà operativo il libretto formativo la registrazione della formazione è sostituita (come di fatto già accade, ma con incertezze degli operatori) da apposita dichiarazione del datore di lavoro.
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4. CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE
Per quanto concerne il contratto di lavoro a tempo parziale, al fine di scoraggiare abusi nell’impiego dello strumento, in particolare come copertura nei confronti di utilizzazioni irregolari di lavoratori, la proposta governativa è di istituire un obbligo di comunicazione amministrativa, contestuale al preavviso da dare al lavoratore, di ogni variazione di orario attuata in applicazione di clausole elastiche o flessibili nell’ambito del part-time verticale o misto (che è la forma di part-time che maggiormente si presta ad abusi).
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5. CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE
Al fine di contenere il rischio che lo strumento del contratto di lavoro intermittente, o “a chiamata”, possa essere utilizzato come copertura nei riguardi di forme di impiego irregolare del lavoro, si prevede l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa, con modalità snelle (compreso il messaggio telefonico), in occasione di ogni chiamata del lavoratore.
6. COLLABORAZIONE A PROGETTO
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Gli interventi proposti sul regime delle collaborazioni a progetto vanno nella direzione di una restrizione del ricorso all’istituto, che pur comportando un irrigidimento della disciplina delle “normali” collaborazione coordinate e continuative (ancora in vigore in ipotesi residuali) non si è rivelato capace di riassorbire il fenomeno delle collaborazioni che mascherano situazioni di subordinazione.
Tale obiettivo è perseguito prevedendo disincentivi tanto normativi quanto contributivi.
Tra i primi, una definizione più stringente del “progetto”, che non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente (in qualche misura con una ripresa dello spirito della circolare del Ministero del lavoro n. 4/2008, che comunque permane come direttiva per l’attività ispettiva); l’abolizione del fuorviante (ed inutilizzato) concetto di “programma”; l’introduzione di una presunzione relativa in merito al carattere subordinato della collaborazione quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta, nell’ambito dell’impresa committente, da lavoratori dipendenti; l’eliminazione della facoltà di introdurre nel contratto clausole individuali (presenti pressoché in tutti i contratti a progetto) che consentono il recesso del committente, anteriormente alla scadenza del termine e/o al completamento del progetto, anche in mancanza di una giusta causa, fermo l’obbligo del committente di dare un preavviso al collaboratore.
In particolare, con riferimento a quest’ultimo aspetto, la facoltà di recesso prima della tramite Con quest’ultima correzione tale facoltà verrebbe meno, a parte l’ipotesi sopra ricordata di giusta causa, nonché quelle di un’incapacità professionale del collaboratore che renda impossibile l’attuazione del progetto, e quelle della cessazione dell’attività cui il progetto è inerente. Ciò al fine di fare emergere i committenti che non utilizzano l’istituto come un mero strumento di flessibilità.
E’ proposta, infine, una norma interpretativa sul regime sanzionatorio, che chiarisce, d’accordo con la giurisprudenza di gran lunga prevalente (ma superando la posizione già assunta dal Ministero del lavoro con la precedente circolare n. 1/2004), che l’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, ed anche al fine di evitare che la questione continui ad essere riproposta ai giudici, contiene una presunzione assoluta di subordinazione.
Sul versante contributivo, è introdotto un incremento dell’aliquota contributiva prevista a favore della Gestione separata INPS, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente.
7. PARTITE IVA
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Per contrastare l’abuso del ricorso a collaborazioni professionali con titolarità di partita IVA, sono proposte norme che, a partire dalla contiguità logica e normativa tra le collaborazioni professionali (autonome e occasionali) e la collaborazione a progetto (coordinata e continuativa), e tenuto conto della disciplina che sanziona le collaborazioni coordinate e continuative prive di un progetto specifico con la conversione della collaborazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sono introdotte norme rivolte a far presumere, salvo prova contraria, il carattere coordinato e continuativo (e non autonomo ed occasionale) della collaborazione tutte le volte che essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività imprenditoriale), e comporti la fruizione di una postazione di lavoro presso il committente.
Si deve far presente, per chiarezza sull’impatto di una tale norma (peraltro, si ribadisce, suscettibile di prova contraria da parte del committente, per evitare che collaborazioni professionali genuinamente autonome possano uscirne condizionate), che data la vigente normativa sanzionatoria delle collaborazioni coordinate e continuative prive di un progetto specifico, l’eventuale accertamento giudiziale del carattere coordinato e continuativo della collaborazione comporta, pressoché automaticamente, l'accertamento del carattere subordinato del rapporto.
La soluzione proposta è pensata come alternativa alla ridefinizione della nozione di lavoro subordinato in modo tale da inglobarvi la dipendenza economica, che è molto controversa e che appare poco controllabile in assenza di una rimodulazione generale delle tutele riconducibili ai vari lavori.
Rimangono comunque escluse da tali presunzioni, così come lo sono dalla disciplina del progetto, le collaborazioni professionali realizzate con professionisti iscritti ad albi, per attività riconducibili almeno in misura prevalente all’attività professionale contemplata dall’albo in discorso.
E’ infine allo studio una revisione e razionalizzazione dei requisiti e modalità per l’apertura di una Partita Iva.
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8. ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE CON APPORTO DI LAVORO
Le innovazioni normative proposte puntano ad una “bonifica” del fenomeno delle associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, il cui abuso è perseguito, anzitutto, tramite la limitazione del numero massimo degli associati di lavoro (o di capitale e lavoro), tale da lasciare operante l’istituto soltanto nelle piccole attività (ove operano sino a cinque soggetti, compreso l’associante), e fatte salve le associazioni costituite in ambito familiare, nonché, eventualmente, quelle aventi ad oggetto lo svolgimento di attività di elevato contenuto professionale.
In aggiunta, è proposta una norma che recepisce l’indicazione giurisprudenziale in merito all’effettività della partecipazione agli utili ed alla consegna del rendiconto come connotati qualificanti dell’istituto. In mancanza di tale effettività, il rapporto si presume di natura subordinata, fatta salva la prova contraria.
E’ previsto, infine, un incremento dell’aliquota contributiva per la Gestione separata INPS, nella stessa misura delle collaborazioni a progetto.
9. LAVORO ACCESSORIO
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Sono allo studio misure di correzione dell’art. 70 del d.lgs. n. 276/2003, come modificato dalle legge n.33/2009 e n. 191/2009, finalizzate a restringere il campo di operatività dell’istituto; sul regime orario dei buoni (voucher); sull’introduzione di modalità snelle di comunicazione amministrativa dell’inizio dell’attività lavorativa.