SENTENZA
R.G. 3551 /2014
SENTENZA
N.
Reg. cron. n. Reg. rep. n.
OGGETTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Siena
Il Giudice XXXXXXXXXX XXXXX ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 3551/2014 R.G. promossa da
Avvocati
srl, domiciliata presso lo studio dell’Avv. i che la rappresenta unitamente agli e ,
PARTE ATTRICE
CONTRO
Banca
Avvocati e
spa, domiciliata presso la propria sede, rappresentata e difesa dagli i,
PARTE CONVENUTA
CONCLUSIONI DELLE PARTI: V. I RISPETTIVI ATTI INTRODUTTIVI, IL VERBALE D’UDIENZA DEL 15/11/2016 E QUANTO SEGUE.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La compagine attrice si duole che a svariati rapporti di conto corrente, succedutesi nel tempo, sia stato applicato l’anatocismo sugli interessi passivi, calcolati interessi indeterminati ed usurari nonché pagate indebite commissioni di massimo scoperto (oltre alla postergazione delle valute nelle operazioni ed all’addebito di spese non pattuite). Xxxxxx, pertanto, la condanna alla restituzione del denaro indebitamente percepito dalla controparte (indicato in € 286.495,12).
La Banca resiste in quanto spiega, nell’evidenziare l’altrui carenza probatoria, di aver adottato la reciproca capitalizzazione degli interessi nonché pattuito le altre condizioni applicate; per il resto, nega di aver imposto tassi usurari. In ogni caso, eccepisce la prescrizione decennale.
La causa ha visto il solo espletamento di CTU contabile.
Nella relazione pervenuta il 2/5/2016 sono stati presi in rassegna i seguenti rapporti: c/c
10470/a intrattenuto dalla di con la Banca
Filiale di ; c/c 15180 intrattenuto dalla di
con la Banca
Filiale di
; c/c 15088 intrattenuto dalla .
di con la Banca Filiale di
; c/c 34587 intrattenuto dalla
di e C. s.n.c. già .
di con la Banca Filiale di
. Tale conto a partire dal 01/11/1996 è divenuto il n. 3458/z presso la medesima filiale
della Banca
nata dalla fusione della Banca
e della Banca
; c/c 12356 intrattenuto dalla di e C. s.n.c.
poi oggetto di trasformazione in
s.r.l. con la Banca
poi
oggetto di cambio di denominazione in s.p.a. e poi incorporata nella Banca .
filiale di
poi traferito presso la filiale di
Viale i.
L’esperto ha evidenziato che l’esame della documentazione negoziale riguarda il solo conto corrente 12356, rispetto a cui parte convenuta ha fornito copia di richiesta di apertura di conto corrente del 24/07/1997 debitamente controfirmata dalle parti, ma senza che vi sia riportata alcuna condizione contrattuale.
Peraltro, tutti i conti in questione, eccetto in parte qua (v. infra) l’ultimo ora menzionato, sono coperti sicuramente dalla prescrizione perché chiusi oltre dieci anni prima dell’altrui intimazione di mora giudiziale (data di notificazione della citazione: unico dato certo e documentalmente provato nei termini preclusivi).
Come è ben noto, la prescrizione decorre, ma nella sola ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto funzione solutoria, dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati (non dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati: ipotesi questa riguardante i soli addebiti aventi funzione ripristinatoria della provvista). Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché si è tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del "solvens" con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell' "accipiens" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24418 del 02/12/2010 sopra menzionata).
In altri termini, è ripetibile la somma indebitamente pagata e non già il debito sostenuto come illegale. Vero è, infatti, che un pagamento, per dar vita ad un'eventuale pretesa
restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato, deve tradursi nell'esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l'accipiens); e in tanto può definirsi indebito, con conseguente diritto di ripetizione a norma dell'art. 2033 cod. civ., in quanto difetti di una idonea causa giustificativa.
Muovendo da tale premessa, le Sezioni unite nella menzionata pronuncia hanno fatto riferimento alla nota distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca (cfr. Cass. 6 novembre 0000, x. 00000; e Xxxx. 23 novembre 2005, n. 24588), al fine di stabilire se (e quando) sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens. In tale prospettiva è stato osservato che, se pendente l'apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, è indubbio che non vi sia stato alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato; nel caso, invece, che, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto "scoperto" (cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento) e non, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. Invero l'annotazione in conto di una posta di interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un
pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei termini sopra indicati in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli), ma non potrà agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto.
Conseguentemente il CTU, facendo corretta applicazione di tali principi, ha svolto la
rideterminazione del saldo finale per il rapporto - -
. C/C 12356/p secondo i c.d. TASSI TUB ovvero saldo finale del conto corrente con esclusione degli interessi anatocistici ed ogni altra spesa ed onere non prevista contrattualmente per i soli dieci anni anteriori alla costituzione in mora):
saldo finale del conto corrente 2.865,15
interessi passivi - 6.609,99 interessi attivi
7.087,52
SALDO FINALE RIDETERMINATO 3.342,68
saldo finale del conto corrente originario banca - 141.354,17
DIFFERENZA A FAVORE DEL CORRENTISTA 144.696,85.
Venendo all’esame dei rilievi sul computo degli interessi usurari, il CTU ha evidenziato che i conteggi sono stati effettuati per il solo conto corrente 12356, unico conto in essere alla data di entrata in vigore della Legge 108/96, e periodo successivo.
Ai fini di verificare il superamento dei c.d. “tassi soglia” di cui alla Legge 108/96, sono state adottate differenti metodologie di calcolo ma quella prescelta in questa sede è quella di seguito illustrata.
Al riguardo è necessario rimandare alla sentenza della S.C. dell’11 gennaio 2013 n. 602, la quale afferma: “trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L.
n. 108, va richiamato la L. n. 108 del 1996, art. 1 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali), al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi dell'art. 1419 c.c., comma 2 e art. 1319 c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia.”
In tale computo, non si considererà la commissione di massimo scoperto (Cassazione Civile, sez. I, sentenza 22/06/2016 n° 12965), qualora contrattualmente prevista ed applicata fino all'entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, art. 2- bis (ma nella specie abbiamo visto che il contratto nulla specifica), nonché sino al termine del periodo transitorio fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il TEGM - dal 1997 al dicembre del 2009
- sulla base delle istruzioni diramate dalla Banca d'Italia, non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario, e dato atto che ciò è avvenuto solo dal 1 gennaio 2010, nelle rilevazioni trimestrali del TEGM.
Tuttavia, nel decennio non coperto dalla prescrizione non vi è stato alcun superamento dei tassi soglia.
Ogni altra questione rimane assorbita.
Sul suddetto importo, trattandosi di obbligazione pecuniaria sin ab origine, gli interessi legali vanno computati ex art. 2033 c.c. In particolare, trattandosi di somma versata a soggetto in buona fede, sono dovuti gli interessi dal momento della domanda, mentre il maggior danno derivato al solvens dall'impossibilità di disporre della somma versata è riconoscibile - ai sensi dell'art. 1224, comma secondo, cod. civ. e con decorrenza, nel caso di buona fede dell'"accipiens", dal giorno della domanda (intesa, in senso tecnico giuridico, come domanda giudiziale) - nei limiti in cui il creditore deduca e dimostri, sia pure mediante il ricorso ad elementi presuntivi ed a fatti di comune esperienza con riguardo alle qualità e condizioni personali, che un tempestivo rimborso lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre gli effetti economici depauperativi che l'inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro, essendo esclusa l'applicabilità, in via generale, di parametri fissi, quali quelli evincibili dagli indici Istat o dal tasso corrente degli interessi bancari (Cass. Sentenza n. 4675 del 13/05/1994): nella specie, niente di tutto questo è stato dimostrato.
Le spese di causa seguono in proporzione alla reciproca soccombenza.
P.Q.M.
condanna la Banca convenuta alla restituzione di € 144.696,85, oltre agli accessori come meglio spiegato in motivazione;
condanna la stessa parte al pagamento di 1/2 delle spese processuali che liquida nell’intero, oltre a quelle di CTU già determinate, in € 18.000 di cui € 14.500 per compenso di
Avvocato ed € 3.500 per esborsi documentati (anche di CTP), oltre spese generali, CPA ed IVA come per legge.
Così deciso in Siena il 7 febbraio 2017.