Contract
IL CONTRATTO DI RETE IN AGRICOLTURA AL SERVIZIO DELLA COMMERCIALIZZAZIONE
DEL PRODOTTO BIOLOGICO
QUADERNI KNOS
AREA AZIENDALE
QUADERNO N°8 a cura della
Commissione di Studio UNGDCEC “Agricoltura”
Novembre 2017
IL CONTRATTO DI RETE IN AGRICOLTURA AL SERVIZIO DELLA COMMERCIALIZZAZIONE
DEL PRODOTTO BIOLOGICO
a cura della
Commissione di Studio UNGDCEC “Agricoltura”
Presidente Commissione
Xxxxxxx XXXXXX
Segretario Commissione
Mariangela PALAZZO
Hanno partecipato alla stesura del presente lavoro i seguenti componenti:
Xxxxx XXXXXXXX, Xxxxxxxxxx XXXXXXXXX, Xxxxxxxx XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx XXXXXXXX, Xxxx Xxxxx de XXXXXXX, Xxxxxxx Xxxxxx DE XXXXXXX, Xxxxxx XXXXXXXXX,
Xxxx Xxxxxx XXXXXXXX, Xxxxxx XXXXXXXXXX, Xxxxxx XXXXXXX, Xxxxxx XXXXXX, Xxxxxxxx XXXXXX, Xxxxxxxx XXXXXX, Xxxxxxxxxx XXXXXXX, Xxxxxx XXXXXXX, Xxxx XX XXXXXXX, Xxxxx XXXXXXXXXXXX, Xxxxxxx XXXXXX, Xxxxxxx XXXXXX, Xxxxx Xxxxxx XXXXXX
Prefazione
di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
INDICE
PREFAZIONE
di Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx 6
PRESENTAZIONE
di Xxxxxxx Xxxxxx 7
IL PRODOTTO BIOLOGICO ED IL SUO MERCATO
CAPITOLO 1.1 I NUMERI ED IL TREND DEL MERCATO BIOLOGICO 8
CAPITOLO 1.2 IL CERTIFICATO BIOLOGICO DI SISTEMA O DI PRODOTTO 12
CAPITOLO 1.3 I PRODOTTI AGRICOLI CERTIFICABILI 14
CAPITOLO 1.3.1 LE COLTIVAZIONI 17
CAPITOLO 1.3.2 GLI ALLEVAMENTI 17
CAPITOLO 1.4 GLI ENTI CERTIFICATORI 18
CAPITOLO 1.5 LA DIMENSIONE E LA STRUTTURA DELLE AZIENDE CHE PRODUCONO IL BIOLOGICO 19
LA RETE D’IMPRESA
CAPITOLO 2.1 INTRODUZIONE 21
CAPITOLO 2.2 RIFERIMENTI NORMATIVI 22
CAPITOLO 2.3 LA RETE CONTRATTO E LA RETE SOGGETTO 25
CAPITOLO 2.4 ASPETTI CIVILISTICI E FISCALI DELLE RETI DI IMPRESA IN AGRICOLTURA 27
CAPITOLO 2.5 LA GESTIONE COMUNE DEL PERSONALE 32
CAPITOLO 2.6 GLI ASPETTI FORMALI BUROCRATICI ED OPERATIVI PER LA COSTITUZIONE 33
LA RETE D’IMPRESA PER LA COMMERCIALIZZAZIONE E L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL PRODOTTO BIO
CAPITOLO 3.1 INTRODUZIONE 39
CAPITOLO 3.2 IL PRODOTTO BIO IN ALCUNE FILIERE MEDITERRANEE E LA GLOBALIZZAZIONE DEL SISTEMA AGROALIMENTARE 42
CAPITOLO 3.3 INDIRIZZI PER LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE 46
CAPITOLO 3.4 LA COMMERCIALIZZAZIONE DEL PRODOTTO BIO 48
CAPITOLO 3.5 FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA SCELTA DEL CANALE DISTRIBUTIVO 49
BIBLIOGRAFIA 53
PREFAZIONE
di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Presidente Fondazione Centro Studi UNGDC
La prefazione al presente volume dal titolo “Il contratto di rete in agricoltura al servizio della commer- cializzazione del prodotto biologico”, che mi accingo sinteticamente a compiere, mi rende particolar- mente orgoglioso in quanto rappresenta il primo prodotto della Commissione di studio nazionale UNGDCEC sull’Agricoltura, di cui sono stato membro delegato di Giunta fino allo scorso ottobre.
Una Commissione la cui costituzione è avvenuta in tempi relativamente recenti, sul finire dell’anno 2016, e che è diventata operativa da inizio 2017.
Pertanto, la realizzazione di un primo contributo quale quello contenuto nel presente Quaderno KNOS rappresenta un elemento in grado di rappresentare il grande lavoro compito dalla Commis- sione Agricoltura che, in così breve tempo, è riuscita a realizzare un approfondimento di particolare interesse e di apprezzabile valore scientifico.
Le ragioni che hanno condotto alla costituzione della Commissione Agricoltura sono da ricondursi non solo alla rilevanza in termini numerici delle aziende del settore agricolo primario, ma anche e soprattutto a nuove opportunità di business relative alla diversificazione, innovazione e internaziona- lizzazione dell’attività; così come a rilevanti e complesse problematiche di tipo fiscale e previdenziale, nonché alle modalità di accesso al credito e agli incentivi di natura comunitaria, nazionale e regionale. La vocazione agricola del territorio nazionale, le eccellenze nel campo agroalimentare e zootecnico, le produzioni biologiche nonché il recente fenomeno dell’agricoltura sociale rappresentano dei plus del settore agricolo che si traducono in opportunità di nascita di nuove realtà produttive e che rappresen- tano, al contempo, un importante volano per la crescita degli investimenti e l’incremento del numero dei posti di lavoro.
In questo quadro di riferimento si inserisce, quindi, la scelta dell’Unione Nazionale dei Giovani Dot- tori Commercialisti ed Esperti Contabili, con il supporto scientifico della Fondazione Centro Studi UNGDC, di dedicare un’attività di studio e approfondimento sul settore agricolo tramite la una spe- cifica “Commissione Agricoltura”. L’obiettivo che ci si è proposti, e che ci si continua a proporre, è quello di fornire un sostegno all’attività professionale dei giovani professionisti che si affacciano alle problematiche di consulenza relative a realtà aziendali così complesse operanti in un settore in conti- nua evoluzione e trasformazione, destinato a formare un “nuovo modello di agricoltura” i cui confini sono in continua evoluzione e cambiamento.
Pertanto, non mi resta che augurare alla Commissione Agricoltura, anche per i prossimi mandati, di mantenere lo stesso entusiasmo che ho potuto ammirare in questi mesi vissuti da “delegato di Giun- ta”, in quanto tale aspetto risulta essere di fondamentale importanza per coinvolgere giovani colleghi a ricercare su questi temi specifici, e per organizzare eventi formativi volti a sviluppare competenze specifiche in tale ambito di attività.
PRESENTAZIONE
di Xxxxxxx Xxxxxx, Presidente Commissione Agricoltura UNGDCEC
La qualità dei nostri prodotti agroalimentari è ormai riconosciuta a livello internazionale e nessuno ritengo possa avere qualcosa da ridire sul punto, così come nessuno possa insegnare ai nostri amici agricoltori come si coltiva la terra nel nostro meraviglioso territorio.
Qualcosa da imparare, forse ancora molto, c’è ancora invece in termini di posizionamento sul mercato, di analisi della domanda, di politiche di marketing e conseguentemente sugli strumenti aggregati- vi per la produzione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti. Questo lavoro vuole essere quindi uno strumento di ausilio sia per il produttore che per i suoi consulenti con l’obiettivo, nella sua semplicità, di favorire una visione più ampia dell’evoluzione del mercato, delle sue opportunità e degli strumenti che possono essere di aiuto per cavalcarlo. Partendo dal dato oggettivo, vale a dire l’esponenziale crescita del mercato dei prodotti Bio, nella prima parte del lavoro si è cercato di rendere edotto il lettore, sia esso un produttore, un consulente, un operatore finanziario o un consumatore, su quello che è il mondo Bio in termini di numeri e di tendenziale crescita degli stessi, oltre che delle percezioni di valore, anche da un punto di vista etico-culturale, di tali prodotti.
I risultati che emergono possono indurre i produttori a convertire in tutto od in parte la loro pro- duzione in biologico, intraprendere il percorso della certificazione per presentarsi poi sul mercato. E’ in questo momento che entra in gioco la figura del professionista, del consulente, ed il passaggio dalla produzione alla commercializzazione è il momento cruciale per la valorizzazione del prodotto, è quello che, se centrato, è in grado di generare una remunerazione per il produttore tale da giustificare investimenti e lavoro per ottenere un prodotto di elevatissima qualità.
Per ovviare ad alcuni strutturali limiti delle aziende agricole del nostro paese, in primis la grande frammentazione delle stesse che ne limita la capacità contrattuale, nella seconda parte del lavoro si è analizzato uno strumento aggregativo relativamente recente, quale la rete d’impresa, che se corret- tamente applicato, anche in ambito agricolo, può risolvere in prima battuta il problema della fram- mentazione od altre questioni organizzative, di utilizzo della forza lavoro o di altre risorse aziendali. Il consulente deve quindi poter conoscere anche lo strumento della rete di impresa per poterne valutare l’applicabilità e l’opportunità per le realtà aziendali da lui conosciute avendo una visione globale dello stesso sia dal punto di vista contrattuale, fiscale e di adempimento collegati.
Nella terza parte infine, alla luce dell’analisi dei dati sulla diffusione di prodotti a marchio Bio al di fuo- ri dei confini italiani, si è voluto identificare i principali prodotti commercializzabili con tale marchio, rischi ed opportunità del mercato e l’eventuale aiuto dello strumento rete d’impresa, per la commer- cializzazione del prodotto italiano Bio all’estero, ma non solo.
CAPITOLO 1
IL PRODOTTO BIOLOGICO ED IL SUO MERCATO
CAPITOLO 1.1 I numeri ed il trend del mercato biologico
Il ruolo dell’agricoltura, ed in particolare di quella biologica, nella nostra società, sta diventando sempre più centrale. Si pensi che già nel 2015 era biologico il 21,3% dell’intera superficie agricola dell’Austria, il 16.9% di quello della Svezia, il 16,5% di quella dell’Estonia, il 13,1% della Svizzera, il 12.8% della Lettonia, il 12% di quella dell’Italia.
In particolare, negli ultimi anni, l’agricoltura biologica si è dimostrata un importante fattore di dina- mismo e innovazione dell’agricoltura e dei territori rurali, nonché di rinnovamento e qualificazione degli addetti agricoli, oltre che di attenzione alle esigenze del consumatore finale, perché:
• rimette al centro delle decisioni aziendali il produttore/contadino, cui è affidata la gestione del territorio, compito che esalta il ruolo di utilità sociale dell’azienda agricola e integra quello di operatore economico, che deve percepire un giusto reddito ed ottenere il riconoscimento della collettività per un’attività che ha un forte legame positivo con il territorio e che rispetta le regole sancite dalle norme del metodo di produzione biologico;
• è un modello di sviluppo sostenibile e, in quanto tale, l’agricoltura biologica non riguarda solo la produzione alimentare, ma influisce su tutti i processi di produzione legati ai prodotti di origine agricola: dal tessile alla cosmesi, dalla detergenza alla produzione di mezzi tecnici, fino a tutti i servizi che l’azienda può offrire, quali ristorazione, ospitalità, informazione, formazione;
• è un elemento fortemente caratterizzante l’agricoltura sociale e non soltanto perché la gran par- te delle esperienze private e cooperative di agricoltura sociale utilizza il metodo di produzione biologica, ma per le forti assonanze e motivazioni comuni che legano agricoltura biologica e agricoltura sociale, con particolare riferimento alla capacità di accumunare e valorizzare qualità ambientale e qualità sociale.
L’agricoltore moderno, infatti, lavora per contribuire all’innovazione, alla diffusione di una cultura dell’alimentazione di qualità e alla tutela dell’ambiente.
L’agricoltura biologica rappresenta, quindi, una risposta positiva ai principali problemi generati nelle campagne italiane dall’agricoltura intensiva e produttivistica che si porta dietro danni ambientali e territoriali che hanno rotto l’equilibrio ecologico e territoriale tra le aree di pianura, collina e monta- gna che caratterizza il nostro territorio. L’agricoltura biologica è, infatti, un modello di sviluppo per le campagne italiane alternativo all’ ”agricoltura industriale”, capace di indirizzare in senso ecologico i comportamenti degli operatori e dei cittadini e, in particolare, il loro approccio al metodo di produ- zione ed al consumo. Gli interessi dei produttori biologici sono concettualmente gli interessi dei cit- tadini-consumatori ed esaltano il ruolo e la funzione dei tecnici specializzati in agricoltura biologica. In virtù di tutti questi elementi si è assistito negli ultimi decenni alla conversione di un numero eleva- to di aziende agricole al biologico, aziende che cercano di assecondare le nuove esigenze del consu- matore tentando di vincere la sfida di produrre in modo più naturale senza l’uso di sostanze chimiche di sintesi e nel rispetto di elevati standard di benessere.
In vent’anni, dal censimento dell’agricoltura 1990 a quello 2010, in Italia il numero di aziende agri- xxxx convenzionali è crollato del 46%, quello delle aziende biologiche è aumentato dell’898%. Le
Regioni in cui sono presenti il maggior numero di operatori biologici sono la Sicilia (11.326), la Calabria (8.684) e la Puglia (6.685, con un incremento dell’1,3%) nelle quali si concentra il 45% del totale degli operatori italiani.
In particolare Assobio evidenzia, nelle sue indagini sul sistema produttivo biologico, come tale si- stema produttivo sia quanto di più moderno esprima l’agroalimentare italiano. Il settore occupa oltre
200.000 addetti nelle aziende agricole, in quelle di trasformazione e distribuzione, nelle attività di controllo, assistenza tecnica e nel resto dell’indotto. Nel 61,8% dei comuni italiani è attiva almeno un’azienda biologica, con concentrazione maggiore nelle regioni centrali e meridionali. In 41 comuni operano oltre 100 aziende biologiche: sono 446 a Noto (SR), 242 a Xxxxxxxxxx Xxxxxxx (XX), 000 x Xxxxxx Xxxxxx (XX). In 55 comuni la superficie agricola biologica supera il 60% di quella totale, in 15 (tutti settentrionali) incide per oltre l’80%. È coltivata con metodi biologici tutta la superficie agricola di Rhêmes Notre-Dame (AO), il 99,5% di quella di Lardirago (PV), il 98,8% di quella di Vaddasca (VA), 10 aziende biologiche coltivano il 95,4% della superficie di Introbio (LC). il 16,8% dei conduttori delle aziende biologiche è laureato (con una percentuale tripla della media italiana), ed il 32,2% ha un diploma di scuola media superiore. Ma i numeri non finiscono qui. Rispetto alla media delle aziende agricole italiane “tradizionali”, sulle aziende bio si registrano ad esempio sempre maggiori presenze di giovani ed il 22% dei responsabili aziendali ha tra i 20 e i 39 anni più del doppio della media), solo il 19,1% dei conduttori biologici ha oltre 65 anni, mentre la media dei conduttori over 65 in Italia è del 37,2%. Circa il 17% delle aziende biologiche è impegnato in attività connesse (trasformazione, agriturismo, fattoria didattica, fattoria sociale), la media delle aziende agricole ita- liane registra un dato 3 volte inferiore; usa strumenti informatici il 15,6% delle aziende bio (più del quadruplo della media nazionale); il 10,7% ha un sito internet (contro l’1,8% della media) e il 5,2% vende on-line (contro una media nazionale dello 0,7%). L’estensione media delle aziende biologiche è di 27,7 ettari, più del triplo della superficie media aziendale italiana.
È un sistema d’imprese che all’interno di un quadro di controllo e certificazione europeo rappresenta una quota consistente dell’agricoltura italiana, senza un grammo di sostanze chimiche di sintesi che inquinino le falde acquifere, che tutela la biodiversità, incrementa la fertilità naturale del suolo, alleva animali al pascolo e produce non solo beni pubblici (tutela ambientale, sviluppo rurale, ecc.), ma an- che prodotti che sono distribuiti in vendita diretta, nel canale del dettaglio specializzato, nella grande distribuzione, nella ristorazione e vengono esportati con successo in tutto il mondo.
Le notevoli potenzialità di sviluppo dell’agricoltura biologica nel nostro Paese sono messe in eviden- zia dai dati che mostrano come in questo settore siano esercitate pressioni considerevoli sul fronte del consumo, dove la domanda di prodotti bio è in sensibile aumento. L’Italia è tra i primi Paesi per superficie biologica complessiva e il primo produttore al mondo di cereali, agrumi, uva e olive bio- logiche.
L’orientamento del consumo di generi alimentari, negli ultimi anni, ha subito una netta inversione di tendenza, dovuta ad una maggiore attenzione da parte del consumatore finale alle caratteristiche nutrizionali ed a quelle igienico-sanitarie, complici probabilmente di questa nuova tendenza il livello socio-economico raggiunto dalla popolazione ed i numerosi scandali che hanno caratterizzato il set- tore alimentare (vino al metanolo, polli e suini alla diossina, “mucca pazza”, ecc.).
Quella del biologico è una cultura, uno stile di vita, Per molti “biologico” è sinonimo di “più salute, più amico dell’ambiente, libertà dagli OGM”, biologico in particolare è sapere cosa mangi, ossia co- noscere nelle linee essenziali in che modo un alimento è prodotto in tutti i suoi passaggi, dal campo al punto vendita. Perché ciò sia possibile almeno due condizioni sono necessarie: un insieme di regole
cui deve sottostare la produzione e la distribuzione di un cibo, uno o più organismi indipendenti che controllano l’applicazione delle norme e la certificano ai consumatori. Oggi bio non è più sinonimo di brutto ma sano e giusto; oggi non c’è degustazione o ricerca nella quale il biologico non si collochi al livello delle qualità medio alte degli altri prodotti e ciò grazie alla crescita delle capacità di produrre qualità sia sul campo che nel post raccolta (confezionamento, conservazione, trasformazione…).
Uno studio fondato sui dati Nielsen aggiornati al 31 marzo e diffusi da Assobio ha evidenziato questo trend di crescita positivo. Lo studio dimostra che il biologico guida la crescita del food e difatti so- prattutto nella GDO, le vendite di prodotti biologici hanno superato il valore di 1,27 miliardi di euro, in crescita del 19,7% rispetto all’anno precedente. Ai suddetti numeri vanno aggiunti poco meno di 900 milioni nel canale dei negozi specializzati, circa 350 milioni nella ristorazione e circa 1,8 miliardi in export. Rispetto al 2015, dei 419 milioni di euro di maggiori vendite dell’intero comparto alimen- tare, ben 166 milioni si devono ai prodotti biologici, rappresentando il 40 % del mercato del food & beverage.
Fonte AssoBio xx Xxxxxxx Trade Mis Data
IIl 60% delle vendite si basa sui prodotti “secchi”, il 21% sui prodotti freschi e il 12% sull’ortofrutta, Sono biologici più del 30% delle confetture, delle bevande sostitutive del latte e delle gallette, il 19% di legumi e cereali, il 14,5% delle uova. E’ biologica più di metà della pasta integrale che finisce sulle tavole degli italiani, l’8% delle farine con cui in casa gli italiani fanno pane, dolci e biscotti ed il 5,5% dello yogurt. Al 31 marzo 2017 il biologico pesava già per il 3,4% dei consumi alimentari nella grande distribuzione (e non si possono dimenticare gli oltre 1.200 negozi specializzati, che sono stati i pionieri della diffusione non dei consumi, ma della cultura del biologico).
I consumi sono triplicati dal 2009, il peso del biologico sull’intero consumo alimentare è raddoppiato dal 2011. Nell’ultimo anno un quarto dei prodotti alimentari lanciati sul mercato era biologico. Si tratta di una crescita che è in assoluta controtendenza rispetto allo scenario generale in cui versa il settore food & beverage, le cui vendite nel 2016 in Italia sono state inchiodate da un +0,1% rispetto al 2015. Tutte le principali catene di supermercati vantano linee di prodotti biologici proprie che sono in continuo sviluppo (+30% in numero di referenze medie nell’ultimo anno). Analizzando i dati dell’Osservatorio Xxxxx-Xxxxxxx, si desume come il mercato del biologico in Italia sia in costante crescita, confermando ancora una volta, il trend espansivo già rilevato negli anni precedenti con un aumento del numero degli operatori certificati, della superficie coltivata e dei consumi delle famiglie. In particolare, nell’arco temporale 2010-2015, la crescita media annua delle vendite bio è stata pari ad un + 11% e la spesa bio pro-capite pari ad € 42,60.
L’agricoltura biologica infatti, da nicchia di mercato sta accaparrandosi sempre più ampie fette di mercato, ed è una tendenza che sta conoscendo trend positivi in tutto il mondo. Questa è la dimo- strazione che siamo in una fase di grande rinascimento dell’agricoltura, con un’agricoltura biologica sempre più in crescita grazie alla sua vocazione alla qualità, alla tutela dell’ambiente e del benessere animale, alla sicurezza dei propri prodotti. Si tratta di valori che sempre più consumatori condivido- no, non più disposti a barattare prezzi bassi con il dissesto ambientale, coi diserbanti che contamina-
no le acque di falda, con animali erbivori condannati a non vedere mai l’erba, con additivi dai nomi impronunciabili nei prodotti finiti.
In coerenza con il cambiamento socio-culturale che ha accompagnato l’evoluzione della mentalità con cui oggi “si fa agricoltura”, e con cui si “consuma”, il Legislatore nazionale ha ritenuto indi- spensabile fornire alle imprese agricole una strumentazione normativa in grado di supportare la loro propensione ad assumere il nuovo ruolo di soggetto vocato alle relazioni con l’esterno, sia in ambito comunitario che nazionale, favorendo, in primis, la modernizzazione del settore agricolo ridisegnan- done i contorni dal punto di vista normativo e strutturale con il D.Lgs 228/2001 e le sue successive modiche, e, forte dei cambiamenti in tema di consumi sempre più vocati al biologico, recependo le normative comunitarie in tema di biologico, con Nota Esplicativa del DM 18354-09 e il D.M. 8 Febbraio 2010.
CAPITOLO 1.2 Il certificato biologico di sistema o di prodotto
Nei sistemi di certificazione il concetto di qualità ne rappresenta il cardine, e viene definita come “grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti” dove:
• la caratteristica è l’elemento considerato,
• il requisito è il valore atteso dell’elemento,
• il grado di soddisfacimento è il livello di valore.
Ne consegue che la qualità di un prodotto non è un giudizio di valore, ma la conformità ad un sistema di regole.
I parametri della qualità si distinguono in tangibili e determinano la qualità materiale, verificabile me- diante prove analitiche; o intangibili, e identificano la qualità immateriale garantita attraverso sistemi gestionali (es.: origine, valori etici, etc.).
In base all’oggetto certificato si distinguono le seguenti tipologie di certificazione:
• di sistema, è il caso in cui viene certificata la capacità dell’azienda, nel suo insieme, a perseguire il miglioramento delle prestazioni per quanto attiene aspetti specifici di varia natura. Di tipo or- ganizzativo/gestionale (ISO 9001), ambientale (ISO 00000, XXX, Impronta ecologica), etica (SA 8000) o di sicurezza alimentare (ISO 22000);
• di prodotto, interessa un singolo prodotto o categoria. Per questi l’azienda è in grado di assicura- re nel tempo, il mantenimento di determinati requisiti. I requisiti sono certificabili solo se,
√ superano lo standard previsto dalla legge;
√ sono verificabili e misurabili (oggettivi);
√ sono qualificanti il prodotto.
Ne sono esempi gli standard UNI 12233 (Agricoltura integrata), SQNPI (Sistema di qualità nazionale di produzione integrata), Global Gap (Agricoltura integrata), BRC/IFS (Brititsh Retail Consortium/ International Food Standard), CoC (Chain of Custody), FSC/PEFC (Sistemi forestali);
• rintracciabilità, è la capacità dell’azienda a costruire il percorso del prodotto, in termini di lo- cazione e storia (ISO 22005). Riguarda quindi gli interventi che lo hanno interessato, le materie che sono entrate a farne parte, la posizione lungo la filiera. Anche in questo caso, la certificazione è possibile solo a fronte di un superamento di quanto stabilito per legge sulla tracciabilità degli alimenti.
Uno degli standard e degli schemi di certificazione più diffuso nel comparto agroalimentare agricolo,
risulta essere: il metodo biologico.
Il metodo biologico è una certificazione di prodotto regolamentata e rientra nella categoria dei segni di qualità legale a valenza ambientale. Fondata sulla base di atti legislativi e garantita dalla vigilan- za delle istituzioni, il fulcro normativo è rappresentato dal Reg. (CE) n.834/2007 e dal Reg. (CE) n.889/2008 che definiscono le regole del processo. La comunicazione del termine e del segno corre- lato, può essere effettuata solo se il prodotto ha rispettato le modalità di coltivazione, allevamento, manipolazione, trasformazione e commercializzazione, lungo tutto il processo produttivo, fino al consumatore finale. E’ di fatto una certificazione di filiera con garanzia di sostenibilità ambientale, qualità del prodotto e, in virtù delle recenti disposizioni, origine delle materie prime.
Nell’adesione al sistema di certificazione l’azienda può trarre un sicuro vantaggio, grazie alla noto- rietà del marchio e dei valori associati dal consumatore, promossi e garantiti dalle autorità pubbliche. Quella dei prodotti biologici è una certificazione classificabile come:
• Regolamentata. Il prodotto “biologico” è definito a livello legislativo; sia dal punto di vista ope- rativo, attraverso la specifica delle tecniche produttive da adottare; che dal punto di vista della comunicazione, per disciplina delle modalità di utilizzo e del termine stesso. Nel sistema relativo ai prodotti biologici, l’azienda ha due grandi libertà:
√ può scegliere se aderire o meno al sistema;
√ può scegliere l’Organismo di Certificazione.
Tali due aspetti rappresentano le uniche componenti di “volontarietà” del sistema. Una volta aderito l’azienda risponde a regole cogenti.
• Di parte terza. La dichiarazione può essere resa solo da un Organismo accreditato ed autorizzato a svolgere attività di controllo e certificazione per lo specifico settore. L’autorizzazione è concessa dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, l’accreditamento da un ente garante, “Accredia” per l’Italia. Entrambi sono chiamati a monitorare e vigilare sulle attività degli orga- nismi di certificazione, allo scopo di garantire il rispetto delle regole. L’organismo deve essere estraneo al sistema produttivo aziendale ed avere caratteristiche di indipendenza, imparzialità e competenza, un “professionista della dichiarazione”. Le regole sono definite sia da standard spe- cifici (ISO 17065:2012 e 17021:2006) che da norme legislative.
• Di prodotto. È una certificazione che, anche se mediante validazione del processo, si riferisce però al prodotto realizzato. L’obiettivo primario di questo sistema produttivo è quello di garan- tire un approccio rispettoso dell’ambiente, tale è il fine chiaramente identificato nel regolamento ed il contenuto immateriale caratterizzante. Il prodotto è il risultato dell’approccio basato sulla sostenibilità ambientale. Inoltre, il fatto che questo sia privo di residui di fitofarmaci, è solo una conseguenza coerente con il metodo. Per meglio chiarire, un prodotto non è biologico perché non ha residui ma perché è stato realizzato con un particolare metodo produttivo. L’assenza di residui è “solo una conseguenza della valenza ambientale” del modello produttivo.
• Di filiera. Tutte le fasi della produzione e della commercializzazione devono essere governate dal sistema di controllo. Ogni operatore coinvolto a livello di qualsiasi fase del processo (mani- polazione, confezionamento, stoccaggio, ecc.), è disposto ad essere oggetto di controllo da parte degli Organismi di certificazione. Pertanto, il sistema prevede che ogni operatore consegni al successivo, lungo la filiera, un prodotto qualificato come biologico. Questo lo prenderà in carico e si impegnerà a garantire il mantenimento del requisito ereditato. La conformità del prodotto si trasferisce mediante dichiarazioni documentali ed è verificata mediante attività di controllo in termini gestionali e analitici. Sono elementi tracciati la conformità al metodo e l’origine delle
materie impiegate.
Per quanto attiene il campo di applicazione del metodo biologico, in base a quanto previsto dall’art.1, comma 2, del Reg. 834/2007, lo stesso si applica ai prodotti provenienti dall’agricoltura, nel senso più esteso del termine, e destinati al mercato. Include quindi prodotti agricoli di origine vegetale e animale (inclusa l’acquacoltura), trasformati o tal quale. Si applica anche ai lieviti se utilizzati come alimenti e ad alcune tipologie di “mezzi tecnici” agricoli: materiale di propagazione e mangimi. Quest’ultimo aspetto legato alla necessità di avere input coerenti con il sistema.
Ne risulta pertanto che ciò che ricade nel campo di applicazione si può avvalere del termine “biolo- gico” in riferimento al regolamento comunitario 834/2007. Quest’ultimo aspetto è comunicato me- diante l’apposizione del seguente segno distintivo:
Il simbolo non sarà utilizzabile su prodotti non compresi nel campo di applicazione, quali ad esempio prodotti cosmetici, tessili, edili.
Altro elemento di criticità è rappresentato di chi sono gli operatori tenuti ad assoggettarsi al controllo. Il regolamento 834/2007 all’art.1, comma 3 (campo di applicazione) ed all’art.28 (adesione al sistema di controllo), di fatto impone l’onere del controllo a tutti gli operatori che in qualsiasi maniera gesti- scono prodotti biologici. Partendo dalla produzione, attraverso la trasformazione, le lavorazioni per conto e/o a marchio di terzi, fino alla pura commercializzazione senza alcun contatto con il prodotto che è oggetto di transazione. Rimangono esclusi dal cambio di transazione e quindi dal controllo:
• gli operatori che effettuano vendita di prodotti preconfezionati destinati al consumatore finale senza alcun intervento di manipolazione e che li immagazzinano (DM 18354, art. 9 punto 2.4 e nota ministeriale 14017 del 20/06/2012);
• le attività di ristorazione collettiva (Reg. 834/2007, art. 1.3). Entrambe le casistiche possono però certificarsi volontariamente.
L’obbligatorietà del controllo è quindi estesa all’intero sistema produttivo e distributivo, lasciando pochissimi spazi liberi per la gestione dei prodotti e la comunicazione dei valori associati.
CAPITOLO 1.3 I prodotti agricoli certificabili
Agli albori l’agricoltura biologica era un tutt’uno di diversi elementi: tecniche, spinte ideali e politi- che, voglia di produrre in modo diverso. Oggi, invece, questi diversi aspetti sono per lo più distinti e a volte addirittura separati. È un effetto della crescita economica, culturale e tecnica del settore.
L’agricoltura biologica è soprattutto un metodo di produzione, definito dal punto di vista legislativo a livello comunitario con un primo regolamento, il Regolamento CEE 2092/91, sostituito successiva- mente dai Reg. CE 834/07 e 889/08 e Reg. CEE 1804/99, (il quale disciplina le norme e le modalità di conduzione dell’allevamento biologico), e a livello nazionale con il D.M. 220/95 e D.M. 18354/09. In Italia le imprese inserite nel sistema di certificazione per l’agricoltura biologica sono 59.959 di cui:
- 45.222 produttori esclusivi;
- 7.061 preparatori esclusivi;
- 7.366 che effettuano sia attività di produzione che di preparazione;
- 310 operatori che effettuano attività di importazione.
Ciò che viene controllato, dunque è il metodo di produzione ovvero le pratiche di coltivazione agrico- le. Il sistema di certificazione adottato dagli Organismi di controllo porta infatti alla certificazione di prodotti derivanti da agricoltura biologica e non ad una certificazione di prodotto biologico. Su scala mondiale, l’Organo di certificazione più grande è l’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), che rappresenta e coordina organismi, istituzioni ed associazioni dell’a- gricoltura biologica e definisce gli standard di riferimento dell’agricoltura biologica. Tali standard rappresentano il punto di riferimento per gli organismi certificatori.
L’operatore che intende produrre, preparare, commercializzare e importare prodotti agricoli biologici deve seguire una specifica procedura che consiste nel richiedere l’adesione al sistema di certifica- zione di un Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Dopo la richiesta e la verifica dell’idoneità da parte dell’Organismo di controllo, inizia il periodo di “conversione” del terreno aziendale, la cui durata varia a seconda della coltura precedente. A seguito di questa fase, la produzione è certificabile come “Prodotto da agricoltura biologica” e può essere accreditata in base alla norma UNI EN 45011. Prima che sia trascorso l’intero periodo di conversione, ma comunque non prima di 12 mesi dalla data iniziale, le produzioni possono essere certificate come “Prodotto in conversione all’agricoltura biologica”. Il Reg. CEE 2092/91, in particolare, prevede per l’azienda agricola che intende produrre secondo il metodo di agricoltura biologica, una fase di conversione che ha la durata di due anni, prima della semina, per le colture erbacee e di tre anni prima del raccolto per le quelle arboree. Questo periodo può essere allungato o accorciato dall’Organismo di controllo, sulla base delle condizioni precedenti, oggettivamente rilevate in azienda e comprovate da documentazione. In ogni caso il periodo minimo non può essere inferiore ad un anno, o meglio, alla chiusura del ciclo colturale, successivo alla presentazione della notifica, che non può ricevere al- cuna certificazione. Dal punto di vista tecnico, la fase di conversione è quel periodo in cui l’azienda, fino a quel momento gestita in modo convenzionale, crea le condizioni per praticare correttamente e convenientemente il metodo di agricoltura biologica. Così intesa, la fase di conversione ha tempi che difficilmente possono coincidere con quelli stabiliti dal regolamento ed interpretati dall’Organismo di controllo. Sicuramente molto diversi tra azienda ed azienda, tanto da poter parlare di “conversio- ne burocratica”, quella che permette di commercializzare i prodotti come provenienti da agricoltura biologica e “conversione agronomica”, quella che mira ad ottimizzare dal punto di vista tecnico ed economico, il metodo di agricoltura biologica in azienda.
L’obiettivo, anche dal punto di vista legislativo dell’agricoltura biologica è quello di sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo. Per salvaguardare la fertilità naturale di un terreno gli agricoltori biologici utilizzano materiale organico e, ricorrendo ad appropriate tecniche agricole, non lo sfruttano in modo
intensivo. Per quanto riguarda i sistemi di allevamento, si pone la massima attenzione al benessere degli animali, che si nutrono di erba e foraggio biologico e non assumono antibiotici, ormoni o altre sostanze che stimolino artificialmente la crescita e la produzione di latte.
Inoltre, nelle aziende agricole devono esserci ampi spazi perché gli animali possano muoversi e pa- scolare liberamente.
Per essere certificabili dunque i prodotti biologici devono rispettare la metodologia di produzione indicata dalle normative e superare il test dei controlli che ambiscono ad un prodotto “pulito”.
Affianco alla coltivazione biologica si sta diffondendo quella della “lotta integrata” una metodologia di produzione che sta a metà tra l’agricoltura convenzionale e quella biologica. Nata in origine dall’e- sigenza di contenere i costi dei trattamenti chimici sulle colture, la lotta integrata interviene con la chimica solo quando il potenziale danno arrecato al raccolto supera il costo del trattamento stesso. In ogni caso il prodotto da lotta integrata è più “pulito” di quello convenzionale e di minor impatto am- bientale. Analisi di laboratorio rilevano, infatti, quantità minime di residui di pesticidi perché i tratta- menti chimici, in lotta integrata, sono ridotti in media del 50 per cento. Il prodotto derivante dall’uso della lotta integrata non è certificabile, ma spesso rappresenta quel passaggio che il produttore deve fare per convertire il suo prodotto al biologico.
L’utilizzo di mezzi biologici di controllo, quali gli antagonisti naturali dei parassiti e di tecniche di lavorazione del terreno che ostacolano in modo naturale lo sviluppo delle erbe infestanti (pacciamatu- ra, adeguata irrigazione, e così via), fanno della lotta integrata un buon metodo di produzione, anello di congiunzione tra agricoltura convenzionale e biologica.
Infine, il prodotto proveniente da agricoltura biologica è garantito dalla presenza dell’etichetta, ovve- ro l’insieme di indicazioni relative al metodo di produzione biologico che rispettino quanto previsto dal Regolamento CE 834/07, Regolamento CE 889/08 e Regolamento CE 271/10 ed autorizzato da un organismo di controllo riconosciuto.
Al fine di inserire i riferimenti al biologico in etichetta, il prodotto deve essere stato ottenuto secondo le norme dell’agricoltura biologica e il ciclo produttivo libero da ogm.
Il logo europeo deve essere apposto solo ed esclusivamente ai prodotti confezionati ed etichettati dove il 95% di questi ultimi derivi da produzione biologica.
Oltre al logo europeo, occorre riportare:
- Nazione;
- metodo di produzione;
- codice operatore;
- codice Organismo di controllo autorizzato dal Mi.P.A.A.F.;
- luogo di conservazione dei prodotti.
CAPITOLO 1.3.1 Le coltivazioni
In agricoltura biologica non si utilizzano sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrit- togamici, insetticidi, pesticidi in genere). Alla difesa delle colture si provvede innanzitutto in via preventiva, selezionando specie resistenti alle malattie e intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate, come:
1. la rotazione delle colture: non coltivando consecutivamente sullo stesso terreno la stessa pianta, da un lato si ostacola l’ambientarsi dei parassiti e dall’altro si sfruttano in modo più razionale e meno intensivo le sostanze nutrienti del terreno;
2. la piantumazione di siepi ed alberi che, oltre a ricreare il paesaggio, danno ospitalità ai predatori naturali dei parassiti e fungono da barriera fisica a possibili inquinamenti esterni;
3. la consociazione: coltivando in parallelo piante sgradite l’una ai parassiti dell’altra.
Il ricorso a tecniche di coltivazione biologiche ricostruisce l’equilibrio nelle aziende agricole in quan- to si fa uso di fertilizzanti naturali così come per la difesa delle colture si interviene ove possibile con sostanze naturali vegetali, animali o minerali. Si rendesse ad ogni modo necessario intervenire per la difesa delle coltivazioni da parassiti e altre avversità, l’agricoltore può fare ricorso esclusivamente alle sostanze espressamente autorizzate e dettagliate dal Regolamento europeo (con il criterio della cosiddetta “lista positiva”).
CAPITOLO 1.3.2 Gli allevamenti
Anche l’allevamento biologico segue criteri normativi definiti dall’Unione Europea, attraverso il Re- golamento CE 1804/99 e a livello nazionale con il D.M. n.91436 del 4 Agosto 2000.
Gli animali devono essere alimentati secondo i loro fabbisogni con prodotti vegetali ottenuti con metodo di produzione biologico, coltivati di preferenza nella stessa azienda o nel comprensorio in cui l’azienda ricade. L’allevamento degli animali con metodo biologico è strettamente legato alla terra ed in relazione con l’estensione dei terreni condotti. I sistemi di allevamento adottati devono rispettare le biologiche necessità degli animali ed è prevista una rigida regolamentazione sull’uti- lizzo del trapianto degli embrioni e sull’utilizzo di ormoni per regolare l’ovulazione eccetto in caso di trattamento veterinario di singoli animali. Non è consentito l’impiego di razze ottenute mediante manipolazione genetica. Anche il trasporto del bestiame e le operazioni di carico e scarico devono effettuarsi in modo da affaticare il meno possibile gli animali ed è fatto divieto l’uso di calmanti du- rante il tragitto. Nella fase dell’abbattimento finalizzato alla macellazione si deve limitare la tensione all’animale ed offrire le dovute garanzie rispetto all’identificazione ed alla separazione degli animali biologici da quelli convenzionali. È preferibile allevare razze autoctone, che siano ben adattate alle condizioni ambientali locali, resistenti alle malattie e adatte alla stabulazione all’aperto. Le condizio- ni e le strutture di allevamento devono anch’esse rispettare le necessità degli animali, in particolare le strutture devono essere salubri, correttamente dimensionate al numero ed alla tipologia di bestiame e devono consentire ai capi che necessitano di cure mediche di essere isolati. Inoltre devono essere assicurato sufficiente spazio libero a disposizione degli animali. Per ogni specie e categoria di ani- mali il Regolamento CE 1804/99 definisce gli spazi minimi che devono essere garantiti sia al coperto (in stalle, ricoveri) sia all’aperto (paddock e altro). Quanto all’alimentazione del bestiame, la dieta deve essere bilanciata in accordo con i fabbisogni nutrizionali degli animali. Il 100% degli alimenti
dovrebbe essere di origine biologica controllata. Tuttavia, poiché ci possono essere delle difficoltà nell’approvvigionamento di alimenti biologici, è consentito l’impiego di alimenti non biologici fino al limite massimo del 10% per i ruminanti e del 20% per gli altri animali, calcolati sulla sostanza sec- ca della razione alimentare. Tale deroga era applicabile comunque solo fino al 24 agosto 2002. Non possono comunque mai essere somministrati agli animali allevati con metodo biologico: stimolatori di crescita o stimolatori dell’appetito sintetici; conservanti e coloranti; urea; sottoprodotti animali (es. residui di macello o farine di pesce) ai ruminanti e agli erbivori monogastrici, fatta eccezione per il latte e i prodotti lattiero-caseari; escrementi o altri rifiuti animali; alimenti sottoposti a trattamenti con solventi (es. panelli di soia o altri semi oleosi) o addizionati di agenti chimici in genere; organismi geneticamente modificati; vitamine sintetiche.
CAPITOLO 1.4 Gli enti certificatori
Le produzioni biologiche vengono certificate da quattordici Organismi di Controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Tali organismi di controllo sono soggetti privati e svolgono due mansioni fondamentali:
a) verificare l’idoneità e il percorso produttivo delle imprese che intendono aderire o già aderiscono al sistema di controllo per le produzioni con metodo biologico;
b) concedere l’uso dei relativi marchi alle imprese associate, da apporre sulle etichette dei prodotti controllati e sul materiale divulgativo che le stesse intendono realizzare.
L’attività degli organismi di controllo ricade, appunto, sotto la supervisione del Ministero delle Po- litiche Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF) e delle Regioni e delle Province Autonome, per le strutture situate nel territorio di propria competenza. Gli organismi di controllo devono presentare al Ministero e alle Regioni un “piano di controllo annuale”. Recenti disposizioni (Reg. CE 2491/2001, in vigore dal 18 febbraio 2002) hanno contribuito a rendere più rigoroso il sistema di controllo per gli agricoltori ma anche per gli organismi di controllo, ai quali si richiedono adempimenti precisi per quanto concerne la loro attività ispettiva in tutte le fasi della filiera produttiva che conduce il prodotto biologico “dalla terra alla tavola”, considerando, quindi, non solo la fase di produzione ma anche quella di condizionamento, trasformazione e commercializzazione.
In particolare, i controlli vengono effettuati su tutta la filiera produttiva ed il codice numerico dell’or- ganismo che ha operato il controllo deve essere riportato in etichetta.
Gli organismi di controllo che certificano le produzioni biologiche in Italia sono elencati nella tabella sottostante in calce alla presente pubblicazione; nel solo territorio della Provincia autonoma di Bol- zano sono riconosciuti anche altri organismi (Biko, IMO, QC&I).
L’attività ispettiva degli organismi di controllo si compone di visite ordinarie e straordinarie, operate con frequenza annuale.
• Ispezioni ordinarie annuali
Consistono in sopralluoghi all’azienda, ossia controlli “fisici” completi, effettuati con frequenza per- lomeno annuale, finalizzati al mantenimento della certificabilità. L’operatore riceverà comunicazione telefonica con adeguato preavviso e, in caso di impedimento, potrà delegare terza persona di sua fiducia. All’ispezione potranno partecipare soggetti esterni vincolati da segreto professionale ed in particolare ispettori SINCERT.
• Ispezioni straordinarie
Si tratta di ispezioni addizionali a quelle ordinarie finalizzate al miglior controllo delle attività. Du- rante le visite di controllo possono essere prelevati campioni per l’individuazione di situazioni non conformi alle disposizioni in materia di agricoltura biologica. I campioni sono analizzati preferibil- mente presso laboratori accreditati SINAL - ACCREDIA. Al termine di ogni visita viene compilata una relazione di ispezione controfirmata dal responsabile dell’unità sottoposta al controllo. Qualora siano riscontrate violazioni a quanto disposto dalla normativa Comunitaria e Nazionale nell’ambito dei prodotti biologici l’organismo di controllo provvederà a comunicare il fatto all’Autorità compe- tente. I provvedimenti sanzionatori possono essere applicati sia da parte dell’organismo di controllo sia dall’Autorità competente (REGIONE).
Le sanzioni previste dall’organismo di controllo variano in relazione alla gravità dell’irregolarità o infrazione e vanno dal richiamo scritto, al ritiro dell’attestato di conformità dell’azienda.
CAPITOLO 1.5 La dimensione e la struttura delle aziende che producono il biologico
La crescita della domanda dei prodotti biologici, come precedentemente descritta, non può che avere quale conseguenza un incremento, a livello mondiale, della superficie coltivata destinata alla pro- duzione Bio. Dagli ultimi dati riportati nel BIOREPORT 2016, redatto a cura del mipaaf e di crea nell’estate 2017, nel corso dell’anno 2014 sono stati condotti con tecniche bio 43,7 milioni di ettari in tutto il mondo, 500.000 in più rispetto all’anno precedente, di cui praticamente un quarto, 11,6 milioni di ettari, nella sola Europa.
Il nostro paese si classifica, a livello mondiale, al sesto posto con 1,4 milioni di ettari coltivati. Nono- stante questi numeri in forte crescita, tale superficie destinata alla produzione bio è solo l’1% di quella agricola mondiale ed il 2,4% a livello Europeo. In Italia tale percentuale è sensibilmente superiore alla media in quanto la superficie coltivata con metodi biologici risulta pari al 10,8% della superficie agricola complessiva. In ambito UE il dato ufficiale, fornito dall’Eurostat, sul numero di produttori è 271.552 mila oltre a 58.360 trasformatori concentrati per il 70% in Italia, Francia e Germania così come gli stessi paesi, più la Spagna, coltivano oltre la metà della superficie biologica dell’UE.
La dinamica dell’adesione e dell’abbandono, ovvero il turnover, del regime biologico è, invece, com- plessa e poco standardizzabile per la presenza di troppe variabili locali. Alte percentuali di ingresso e uscita dal settore si hanno in quei paesi dove la crescita delle aziende biologiche è cominciata più recentemente e non si è ancora verificata una stabilizzazione del settore. In media più del 10% e pic- chi dal 25 al 50%, rispettivamente in Slovacchia e Repubblica Ceca e Bulgaria, ma anche, ad esem- pio, in Grecia, dove lo sviluppo del settore è più recente rispetto ad altri paesi. Si hanno comunque tassi di ingresso annuo attorno al 10% per la maggior parte dei paesi, ma negli Stati Membri dove lo sviluppo del settore è avvenuto più precocemente (Austria, Danimarca, Finlandia, Olanda e Svezia) il tasso di ingresso è dimezzato. Le ragioni dell’abbandono possono essere ritrovate principalmente nelle difficoltà tecniche per la conduzione in biologico e nelle difficoltà di vendita del prodotto a prezzi remunerativi. Quest’ultimo problema può derivare da una scarsa ricettività del territorio, dalla mancanza di una strategia di esportazione, da una temporanea saturazione del mercato a causa di una temporanea recessione della domanda (es. crisi economica mondiale) o dall’impossibilità di trovare adeguati sbocchi di mercato. Caso diverso costituiscono invece le difficoltà di conduzione incontrate da quegli agricoltori che aderiscono al regime biologico solo per i premi PAC e non per l’elaborazione di una strategia aziendale.
Concentrandosi su quanto avviene tra le mura domestiche, si rileva come il trend di crescita sia molto marcato considerato che tra il 2014 ed il 2015 in Italia la superficie biologica è incrementata del 7,5% così come gli operatori sono aumentati dell’8,2%.
Come si può notare analizzando la tabella 3 il sud del paese ha raggiunto una posizione trainante in questo ambito dato che Sicilia, Puglia e Calabria, da sole, coltivano il 46,6% della superficie Bio italiana.
Un dato sorprendente è quello relativo all’estensione media delle aziende agricole del biologico che è pari a 28,4 ettari contro gli 8,4 ettari di quelle tradizionali, rilevate dai dati Istat. Inoltre è curioso rilevare come a livello medio nazionale la collina copra il 63,00% della superficie Bio, seguita dalla montagna con il 20,5% e dalla pianura 16,3% (il 45,4% se riferiamo il dato al solo Nord Ovest).
A livello di colture la crescita più significativa è tra quelle perenni e deriva dalle superfici destinate a vigneto dove il Bio cresce del 15,6%; tra le stagionali invece le leguminose 27% ed i cereali 11% sono le colture più in crescita.
Anche nella zootecnia il Bio sta prendendo piede e risultano essere in crescita gli allevamenti, di ogni specie, certificati. In tali aziende agricole aumenta l’estensione media della SAU (superficie agricola utilizzata) costituita prevalentemente da prati e pascoli. Anche il numero dei capi, in media, in au- mento è importante in quano al nord si toccano picchi di 84 UBA (unità di bestiame adulto).
Da un punto di vista prettamente economico si rileva, a parità delle altre condizioni tra le aziende, un reddito netto più alto per le aziende Bio rispetto alle aziende tradizionali; nelle aziende agricole Bio situate al sud il reddito può arrivare a raggiungere il 50% dei ricavi.
CAPITOLO 2
LA RETE D’IMPRESA
CAPITOLO 2.1 Introduzione
Le dinamiche economiche in continua evoluzione hanno spinto le aziende a cercare costantemente meccanismi adattativi tali da permettere risposte celeri ed efficaci ai mutamenti delle condizioni di mercato; la crisi economica, la concorrenza allargata, il costante aumento dei costi di produzione e di ricerca e sviluppo sono fattori che hanno spinto i soggetti economici a cercare con maggiore tenacia forme aggregative e collaborative per sfruttare economie di scala.
Va detto che i cambiamenti economici, culturali, sociali ci sono sempre stati nella storia ma oggi la velocità con cui si susseguono è aumentata esponenzialmente diventando una criticità ed il tessuto economico nazionale, costituito principalmente dalla piccola e media impresa, ha subito in molti casi queste evoluzioni economiche passivamente, non avendo la forza per fronteggiare i cambiamenti ed alcune realtà non hanno avuto la capacità adattativa, ad altre ancora è venuto meno il cambio genera- zionale con l’inevitabile risultato di una chiusura.
Le imprese hanno quindi la necessità di essere il più possibile elastiche e flessibili alle mutevoli con- dizioni di mercato pur conservando la propria indipendenza e la propria autonomia.
Il contratto di rete è senza dubbio uno strumento che risponde a queste esigenze imprenditoriali, si tratta infatti di uno strumento giuridico introdotto nel 2008 ma sostanzialmente disciplinato dal punto di vista della sua applicabilità dall’art. 3, commi 4-ter, 4-quater e 4-quinquies della Legge n. 33 del 9 aprile 2009, modificata poi dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010 e in estrema sintesi può essere definito come un accordo, tra due o più imprenditori, mediante il quale essi assumono l’impegno a collaborare al fine di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e competitiva sul mercato. Si tratta di uno strumento che mette a disposizione dei soggetti stipulanti le potenzialità delle aggregazioni di imprese da cui possono derivare vantaggi competitivi consentendo di mantenere però la propria totale indipendenza giuridica.
L’elemento cardine su cui poggia il funzionamento e la buona efficacia di un contratto di rete consiste nella fattiva volontà delle parti di collaborare e di condividere, con soggetti il più delle volte facenti parte della stessa filiera produttiva, fasi del ciclo produttivo, informazioni, obiettivi, mentre l’aspetto che più differenzia questa forma negoziale rispetto alle altre tipologie di aggregazioni imprenditoriali presenti nel nostro ordinamento è la totale autonomia aziendale, elemento che effettivamente esercita il maggior appeal per i soggetti interessati.
CAPITOLO 2.2 Riferimenti normativi
L’impianto normativo delle reti di imprese è relativamente recente. L’introduzione è avvenuta con il
D.L. n. 112 del 25/06/2008, convertito poi nella legge n. 133/2008, con cui il legislatore, all’articolo 6-bis, ha per la prima volta definito le reti di imprese “Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo dei servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse…”, promuovendone alcuni aspetti poi successivamente diventati punti cardine del contratto di rete.
È però con il D.L. n. 5 del 10/02/2009 – convertito con modificazioni nella legge n. 33 del 9/04/2009 ed ulteriormente modificato dalla legge n. 99 del 23/07/2009 – che si può dire sia stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico il “contratto di rete”. Il comma 4-ter dell’art. 3 del decreto citato definisce infatti le caratteristiche, gli elementi essenziali e le modalità di costituzione: “con il con- tratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura indu- striale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.
I successivi punti del comma 4-ter disciplinano inoltre gli elementi costitutivi del contratto di rete ovvero:
• la possibilità di istituire, tramite il contratto in oggetto, un fondo vincolato, definito dalla norma “fondo patrimoniale”, rimandando in tal caso agli artt. 2614 e 2615 del codice civile, che disci- plinano nel dettaglio la costituzione del fondo consortile e la responsabilità dei componenti del consorzio verso i terzi;
• l’eventuale possibilità di acquisizione di soggettività giuridica da parte della rete ed in questo caso ciò che ne consegue in termini di adempimenti civilistici ai sensi dell’art. 0000-xxx xxx xxxxxx xxxxxx, xxxxx la redazione della situazione patrimoniale ed il relativo deposito presso il Registro delle Imprese. In tale caso vi è inoltre l’obbligo di redazione del contratto per atto pubblico o con scrittura privata autenticata, con necessaria iscrizione presso il Registro delle Imprese, nel rispetto degli adempimenti pubblicitari di legge, indicando in atto:
• il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale dei soggetti aderenti alla rete;
• gli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti alla rete e le modalità attraverso le quali si possa misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
• la definizione del programma di rete, ovvero i diritti e gli obblighi di ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura ed i criteri dei conferimenti iniziali, degli eventuali contributi successivi e le regole di gestione dello stesso;
• la durata del contratto di rete, le modalità di adesione e di recesso anticipato;
• l’eventuale previsione di un organo comune, i poteri di gestione e rappresentanza conferiti a tale organo, nonché le modalità di sostituzione;
• le regole di assunzione delle decisioni dei partecipanti alla rete su ogni materia.
Al successivo comma 4-quater il decreto disciplina poi le modalità di iscrizione e pubblicazione nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante dando efficacia al con-
tratto nel momento in cui viene eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico dei sottoscrittori. Il legislatore è successivamente ritornato sull’argomento “reti di imprese” nel 2010, modificando, con l’art. 42 del D.L. n. 78 del 31/05/2010, convertito nella Legge n. 122 del 30/07/2010, alcuni elementi dei commi 4-ter e 4-quater del D.L. n. 5/2009 e rafforzando la volontà di diffusione di tale tipo di aggregazione imprenditoriale attraverso incentivi di carattere fiscale, amministrativo e finanziario che via via vengono regolarmente rinnovati o prorogati.
Le modifiche introdotte dal decreto non hanno solamente cambiato le caratteristiche della struttura della rete, disciplinando in maniera più attenta elementi come l’oggetto, il fondo patrimoniale e la gestione, ma hanno soprattutto fornito una netta demarcazione al contratto di rete, ricollocandolo in un ambito più “negoziale” ovvero cercando di sottolinearne la propria peculiarità ed andando a preve- dere, solo come un’eventualità, l’ipotesi di costituzione di un nuovo soggetto giuridico che si collochi molto vicino alle tipologie già previste dal nostro ordinamento.
Il D.L. 78/2010 ha di fatto ridefinito l’aspetto civilistico delle reti ed ha contemporaneamente intro- dotto un provvedimento di natura fiscale che ne ha amplificato gli effetti desiderati.
È in seguito intervenuta l’Agenzia delle Entrate specificando, con la circolare n. 4/E del 15/02/2011, che “l’adesione al contratto di rete non comporta l’estinzione, né la modificazione della soggetti- vità tributaria delle imprese che aderiscono all’accordo in questione, né l’attribuzione di soggetti- vità tributaria alla rete risultante dal contratto stesso”, mentre la circolare ministeriale n. 15/E del 14/04/2011 ha successivamente fornito chiarimenti in merito ai presupposti per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali sopra citate in favore delle imprese aderenti ad un contratto di rete.
Nell’anno 2012 il legislatore è ritornato a trattare la materia e con il D.L. 83 del 22/06/2012, conver- tito nelle legge n. 134 del 7/08/2012, ha posto una distinzione in termini di adempimenti pubblicitari presso il Registro delle Imprese per le reti dotate o meno di soggettività giuridica; ha specificato la responsabilità limitata al fondo patrimoniale per le obbligazioni contratte dall’organo comune ed ha inserito l’obbligo di deposito di una situazione patrimoniale, stabilendo che “se il contratto prevede l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune destinato a svolgere un’atti- vità, anche commerciale, con i terzi: 1) la pubblicità di cui al comma 4-quater si intende adempiuta mediante l’iscrizione del contratto nel registro delle imprese del luogo dova ha la sede la rete; 2) al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile; in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune; 3) entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale l’organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha la sede; si applica in quanto compatibile, l’articolo 2615-bis, terzo comma, del codice civile”.
Nello stesso anno con il D.L. 179 del 18/10/2012, convertito nella Legge n. 221 del 17/12/2012, il legislatore ha posto un altro tassello nel quadro normativo, andando a specificare che “il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte” ovvero apposita manifestazione di volontà da parte delle imprese aderenti, esplicitata mediante pubblicità presso il Registro delle Imprese.
Al fine di fornire ulteriori chiarimenti in merito l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 20/E del 18/06/2013, ha prodotto una sorta di riassunto del contratto di “rete di imprese”, ripercorrendo tutto l’iter normativo fino ad arrivare al bivio in cui si trova l’imprenditore che decide di costituire una rete di imprese: l’adozione di uno strumento contrattuale puro (rete-contratto) che preserva la totale autonomia giuridica di ogni singolo aderente, oppure la scelta di un nuovo “modello aziendale”, di- stinto dalle imprese che hanno sottoscritto il contratto e dotato di autonomia propria (rete-soggetto). A tal proposito la circolare ministeriale ha fornito precisazioni sia con riferimento alle imposte dirette, sia nell’ambito delle imposte indirette, concludendo con un’ulteriore integrazione della precedente circolare n. 15/E del 2011.
Per dare ulteriore impulso alle reti di imprese, soprattutto nel settore agricolo, il D.L. n. 91 del 24/06/2014, convertito nella legge n. 116 del 11/08/2014, ha specificato che “per le imprese agricole, definite come piccole e medie ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, nei contratti di rete, di cui all’articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009 n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e successive modificazioni, formati da imprese agricole singole ed associate, la produzione agricola derivante dall’esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete, può essere divisa fra i contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete”.
Risulta evidente che l’intenzione del legislatore è stata quella di favorire la cooperazione e la recipro- ca collaborazione delle imprese agricole, ma anche quella di potenziare lo strumento “rete” attribuen- do allo stesso un ruolo fondamentale in tale processo aggregativo.
Il D.L. 91/2014 è stato inoltre oggetto di consulenza giuridica n. 958-84/2015 a seguito di istanza presentata dalla Confagricoltura in data 17/11/2015, ripresa peraltro integralmente dalla recente Ri- soluzione n. 75/E del 21/06/2017, in base alla quale la Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate ha precisato “che l’acquisto a titolo originario della produzione agricola è subordinata alle seguenti condizioni:
- che tutti i singoli retisti svolgano attività agricole di base e che le eventuali attività connesse, non solo non risultino prevalenti, ma siano legate alle prime ad un rapporto di stretta comple- mentarità; che la messa in comune dei terreni sia obbligatoria e che sia significativa per tutti i partecipanti alla rete;
- che la partecipazione al conseguimento dell’obiettivo comune, mediante divisione della medesi- ma tipologia di prodotto, si realizzi mediante apporti equivalenti e condivisione dei mezzi umani e tecnici, che siano proporzionati alla potenzialità del terreno messo in comune, con divieto di monetizzazione delle spettanze;
- che la divisione della produzione tra i retisti avvenga in maniera proporzionata al valore del contributo che ciascun partecipante ha apportato alla realizzazione del prodotto comune; che i prodotti oggetto di divisione non vengano successivamente ceduti tra i retisti, da momento che la ratio di tale tipologia di rete è il fatto che essa è finalizzata alla produzione”.
Fatte salve queste condizioni risulta quindi applicabile sotto il profilo fiscale la ripartizione a titolo originario secondo le quote determinate nel contratto di rete “agricolo”. Per comprendere la conside-
xxxxxx rilevanza di questo assunto si rimanda al capitolo dedicato alla fiscalità delle reti in agricoltura.
CAPITOLO 2.3 La rete contratto e la rete soggetto
Come già evidenziato in precedenza il Legislatore ha dato la possibilità di costituire due tipologie di “reti di imprese” con caratteristiche nettamente differenti, che qui di seguito vengono esaminate distintamente.
Rete “contratto”
Il contratto di rete consente a “più imprenditori”, almeno due (siano essi imprenditori individuali, società o imprenditori pubblici, che abbiano o meno come esercizio esclusivo o principale un’attività commerciale o agricola, anche sottoforma di cooperative o consorzi) di varie dimensioni (piccoli, medi o grandi), sparse sul territorio italiano e operanti anche in settori diversi, di concordare ed eser- citare un programma comune (definito programma comune di rete).
Attraverso un piano generale d’azione, si realizza pertanto l’obiettivo comune di favorire la collabo- razione fra le imprese le quali, attraverso forme di aggregazione, possono incrementare la competiti- vità sul mercato italiano senza tuttavia rinunciare alla loro autonomia.
Il contratto deve essere stipulato sotto forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente con firme autenticate dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò auto- rizzato ai sensi dell’art. 25 D.lgs. 82/2005 (Codice Amministrazione Digitale).
Nel contratto di rete risulta fondamentale la creazione di un programma di rete con individuazione dei diritti e obblighi di ciascun partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune.
Il comma 4 quater del D.L. 5/2009 dispone inoltre che “il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.
Il fondo patrimoniale e la nomina dell’organo comune incaricato di gestirlo, in nome e per conto dei partecipanti, non costituiscono elementi essenziali ai fini della validità di un contratto di rete.
L’organo comune può essere formato da un singolo soggetto in composizione monocratica oppure da una pluralità di membri in composizione collegiale e ha il mandato per l’esecuzione del contratto o di una o più parti di esso.
Può essere coadiuvato da:
• soggetti esterni alla rete;
• singole imprese partecipanti per lo svolgimento di attività specifiche;
• specifici gruppi di lavoro composti ad hoc sia dai partecipanti che da soggetti terzi per l’esecuzio- ne di singoli progetti.
In particolare, l’organo comune ha l’incarico principale di gestire, in nome e per conto dei parteci-
panti al contratto, l’esecuzione del contratto di rete o di singole parti o fasi dello stesso: non esiste un potere rappresentativo di per sé delegato all’organo comune.
L’estensione dei poteri dipende dalla volontà contrattuale; sono infatti i contraenti a stabilire quali siano i suoi poteri di gestione e rappresentanza e, ad esempio, se conferire all’organo comune un mandato con rappresentanza ovvero un mandato senza rappresentanza.
Nella rete contratto la titolarità di beni, diritti, obblighi ed atti è riferibile, quota parte, alle singole imprese partecipanti; pertanto, la titolarità delle situazioni giuridiche rimane individuale dei singoli partecipanti, sebbene l’organo comune possa esercitare una rappresentanza unitaria nei confronti dei terzi.
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 4/E del 15 febbraio 2011 ha riconosciuto che “l’adesione al contratto di rete non comporta l’estinzione, né la modificazione della soggettività tributaria delle imprese che aderiscono all’accordo in questione, né l’attribuzione di soggettività tributaria alla rete risultante dal contratto stesso”.
Rete “soggetto”
Si parla di rete “soggetto” per identificare un contratto di rete dotato di un fondo patrimoniale e di un organo comune, che acquisisce soggettività giuridica, attraverso la facoltativa e condizionata iscri- zione del contratto di rete nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede.
Le imprese della rete, infatti, mediante tale iscrizione, danno vita ad un nuovo soggetto di diritto, giuridicamente autonomo rispetto alle singole imprese aderenti al contratto.
Dispone, infatti, il comma 4-ter che “il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo pa- trimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte.”
L’acquisizione di soggettività giuridica da parte del contratto di rete prevede che l’organo comune agisca anche in rappresentanza della rete e non solo dei singoli imprenditori individuali. Si affianca pertanto, accanto alla creazione di un modello contrattuale “puro” di rete di imprese (c.d. “rete con- tratto”), la creazione di un nuovo soggetto giuridico (cosiddetta “rete-soggetto”).
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 20/E del 18 giugno 2013, è prontamente intervenuta a precisare che, dal punto di vista tributario, “qualora la rete acquisisca soggettività giuridica, la stessa diventa un autonomo soggetto passivo d’imposta con tutti i conseguenti obblighi tributari previsti ex lege in materia di imposte dirette ed indirette”, come se fosse una vera e propria società.
Sotto il profilo civile, pertanto, la rete-soggetto costituisce un soggetto “distinto” dalle singole impre- se partecipanti; anche sotto il profilo tributario diventa un autonomo soggetto passivo di imposta, nei confronti del quale il presupposto di imposta si verifica in maniera unitaria e autonoma.
Se la rete-soggetto svolge attività economica, essa stessa si identifica come ente commerciale di cui all’art. articolo 73, comma 1, lettera b), a cui si rendono applicabili le disposizioni relative alle so- cietà e agli enti commerciali residenti. Se invece le reti soggetto non esercitano l’attività commerciale in via principale o esclusiva, le stesse rientrano tra gli enti non commerciali di cui al citato articolo 73, comma 1, lettera c), e si rendono applicabili le disposizioni relative agli “Enti non commerciali residenti”, di cui agli articoli 143 e seguenti del TUIR.
Più precisamente, l’Agenzia delle Entrate afferma espressamente che la “rete-organizzazione” è sog- getta all’imposta sul reddito delle società o degli enti non commerciali residenti, all’IRAP e all’IVA, ed è altresì obbligata alla tenuta delle scritture contabili qualora svolga attività commerciale.
Ai fini IRAP, la rete soggetto determina la propria base imponibile ai sensi dell’art.5 oppure ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs n. n. 446 del 1997 a seconda che sia o meno un soggetto che svolga attività commerciale.
Ai fini IVA, la rete-soggetto rientra tra i soggetti nei cui confronti ricorre il presupposto soggettivo di cui all’articolo 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, qualora svolgano attività commerciale o agricola e fermo restando che l’applicabilità della stessa imposta dipende anche dal verificarsi degli altri due presupposti (oggettivo e territoriale).
La soggettività passiva ai fini IVA comporta l’attribuzione di un numero di partita IVA proprio della rete: gli eventuali adempimenti contabili ai fini dell’imposta saranno effettuati autonomamente dalla rete.
Nella rete soggetto ciascun partecipante effettua i conferimenti in un soggetto “distinto” cui compete l’effettiva realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete.
Con il conferimento al fondo patrimoniale della rete-soggetto, quindi, l’impresa aderente assume lo status di partecipante. La contribuzione al fondo patrimoniale da parte delle imprese aderenti al contratto di rete comune assume la qualifica di “partecipazione” alla rete soggetto che rileverà, al pari dei conferimenti in società, sia contabilmente sia fiscalmente.
CAPITOLO 2.4 Aspetti civilistici e fiscali delle reti di impresa in agricoltura
La costituzione delle reti di imprese agricole rappresenta un importante innovazione del sistema di conduzione dei fondi agricoli, in talune situazioni è possibile evitare infatti il ricorso agli strumenti tipici di carattere societario/aggregativo, rivolgendosi ad un istituto, il contratto di rete agricolo, che porta numerosi vantaggi sotto differenti punti di vista. Brevemente si può far cenno all’importanza della possibilità offerta nell’ambito dei rapporti di lavoro con la possibilità ammessa della codatoria- lità dei dipendenti assunti con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso o nell’ambito fiscale con l’irrilevanza ai fini dell’imposta sul valore aggiunto dell’attribuzione ad ogni retista della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete, essendo a titolo originario.
Il dettato normativo di cui all’art. 1-bis, comma 3, D.L. n. 91/2014, richiama espressamente i contratti
di rete “di cui all’articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”. In primis, quindi, il contratto di rete agricolo deve rispettare i requisiti normativi stabiliti dall’articolo 3, comma 4-ter, D.L. 5/2009, il quale ha introdotto e disciplinato l’istituto del contratto di rete.
Premesso quanto sopra, si sottolinea come il Legislatore abbia inteso definire l’ambito soggettivo del contratto di rete agricolo rivolgendosi ad imprese agricole di cui all’art. 2135 del Codice Civile:
- “singole ed associate”, conseguentemente sia ad imprenditori individuali che società di persone/ capitali, cooperative, consorzi, etc.;
- “definite come piccole e medie ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008”, con riferimento quindi alla categoria delle PMI, così come intese dal regolamento (CE) n. 800/2008, che accoglie le imprese occupanti meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
Relativamente all’ambito oggettivo del contratto di rete agricolo il Legislatore, al comma 3 dell’art. 1-bis del decreto legge n. 91/2014, pone l’attenzione sull’aspetto della “produzione agricola derivan- te dall’esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete”.
Con riferimento a tali requisiti essenziali, a seguito di richiesta di consulenza giuridica1 concernente l’interpretazione più in generale del già citato art. 1-bis, comma 3, D.L. n. 91/2014, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) ha fornito alcuni chiarimenti, successivamente ripresi nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 75/E del 21/06/2017.
Requisito fondamentale, sottolineato dal Ministero, è che le imprese agricole mettano in comune i fat- tori della produzione (know how, risorse umane, ma anche attrezzature che, in agricoltura, hanno una fortissima rilevanza sul processo produttivo) per il raggiungimento dello scopo comune dichiarato nel contratto di rete: la realizzazione di una produzione agricola che favorisca la crescita imprenditoriale delle imprese partecipanti, in termini di innovazione e competitività.
Il contratto di rete agricolo deve quindi essere finalizzato alla produzione e deve definire:
- gli obiettivi di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le mo- dalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
- gli obiettivi specifici che costituiscono il presupposto dell’individuazione delle attività necessarie per il conseguimento degli obiettivi generali;
- un programma di rete che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune.
Relativamente a quest’ultimo aspetto, il MIPAAF, ha sottolineato l’importanza della pariteticità in termini di assetto del contratto di rete tra gli imprenditori partecipanti, sia con riferimento agli obiet- tivi che alle posizioni nell’assetto produttivo. In tal senso, viene specificata la necessità di prevedere
1 Si veda in tal senso istanza n. 954-84/2015 presentata il 17/11/2015 dalla Associazione/Ordine Confederazione Generale dell’Agri- coltura Italiana con oggetto “Trattamento tributario delle reti agricole” ai fini IVA ed Imposte Dirette.
accordi tra imprese agricole dello stesso segmento di filiera (accordi orizzontali) e non già lungo l’in- tera filiera (accordi verticali), pur mantenendo ciascun retista la propria autonomia giuridica, senza necessità di procedere quindi alla creazione di un nuovo soggetto giuridico (rete contratto).
Alla luce di quanto esposto, secondo il MIPAAF il contratto di rete agricolo può beneficiare della spe- ciale disciplina solo quando l’attività svolta dai singoli contraenti, oltre che agricola, sia la medesima per tutti (ad esempio, produzione ortofrutticola, lattiero/casearia, vitivinicola, etc.).
Il comma 3 dell’art. 1-bis del decreto legge n. 91/2014 termina stabilendo che la produzione agricola ottenuta a seguito dell’esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete, “può essere divisa fra i contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete”.
Viene quindi stabilito che la modalità di ripartizione del prodotto agricolo comune deve essere chiara- mente definita nel contratto di rete e soprattutto che la divisione del prodotto ottenuto fra i contraenti in natura avviene con l’attribuzione a ciascuno a titolo originario.
Il MIPAAF ha precisato che la norma in commento non introduce un’ulteriore ipotesi di acquisto della proprietà rispetto a quelle già previste dall’art. 922 del Codice Civile2, atteso che il termine “divisione” presuppone necessariamente una preesistente proprietà indivisa del bene. In tal senso, la ripartizione tra i contraenti non produce effetti traslativi, in quanto sono i retisti stessi ad aver con- tribuito alla produzione del bene comune. Viene quindi sottolineato come il programma di rete non possa in alcun modo contemplare una funzione di scambio tra i retisti, in quanto in tale ultimo caso il contratto diverrebbe inquadrabile tra quelli aventi natura generale, con la conseguente inapplicabilità della speciale disposizione di attribuzione a titolo originario del prodotto.
Come già indicato precedentemente nel capitolo riguardante i riferimenti normativi l’Agenzia delle Entrate, alla luce dei chiarimenti forniti dal MIPAAF, ha elencato nella già citata risoluzione le diverse condizioni che devono essere rispettate per poter considerare il prodotto ottenuto a titolo originario:
- tutti i singoli retisti svolgano attività agricole di base e le eventuali attività connesse, non solo non risultino prevalenti, ma siano legate alle prime da un rapporto di stretta complementarietà (ad esempio, non sarà configurabile tale tipologia di rete, nel caso in cui vi siano produttori di uva ed uno che faccia esclusivamente trasformazione);
- la messa in comune dei terreni sia obbligatoria e sia significativa per tutti i partecipanti alla rete;
- la partecipazione al conseguimento dell’obiettivo comune, mediante divisione della medesima tipologia di prodotto, si realizzi mediante apporti equivalenti e condivisione dei mezzi umani e tecnici, che siano proporzionati alla potenzialità del terreno messo in comune, con divieto di mo- netizzazione delle spettanze;
- la divisione della produzione tra i retisti avvenga in maniera proporzionata al valore del contribu- to che ciascun partecipante ha apportato alla realizzazione del prodotto comune;
2 Art. 922 Codice Civile “La proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge”.
- i prodotti oggetto di divisione non vengano successivamente ceduti tra i retisti.
Con riferimento a quest’ultimo punto, il Ministero chiarisce che nel caso in cui i prodotti oggetto di divisione vengano ceduti ad altro retista non è possibile godere della speciale disciplina del contratto di rete agricolo “dal momento che la ratio di tale tipologia di rete è il fatto che essa è finalizzata alla produzione”.
Esemplificando, all’interno di un contratto di rete agricolo destinato alla produzione vitivinicola, secondo l’Agenzia delle Entrate, non è possibile che un retista ceda ad un altro partecipante il frutto delle vigne coltivate secondo il comune programma di rete per la successiva trasformazione. È evi- dente conseguenza che il contratto di rete agricolo risulti quindi fortemente limitato, in quanto spesso accade che tra i retisti vi siano imprese che, oltre a contribuire alla produzione agricola del bene co- mune, si occupino delle successive fasi della catena, quali la trasformazione del prodotto, etc.
In conclusione, verificata la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi richiesti dalla norma, alla luce anche dei recenti chiarimenti ministeriali intervenuti, i retisti possono procedere alla ripar- tizione del prodotto ottenuto in natura con l’attribuzione a ciascuno a titolo originario, senza effetti traslativi tra le imprese contraenti, affiancando quindi, attraverso l’utilizzo del contratto di rete, ai vantaggi sin qui enunciati, importanti benefici in ambito tributario, non solo con riferimento all’im- posta sul valore aggiunto, ma anche nel campo delle imposte dirette.
Imposta sul valore aggiunto
La ripartizione della produzione agricola (prodotto finito) tra i partecipanti alla rete, in quanto divi- sione in natura dei prodotti a titolo originario, non assume rilevanza ai fini dell’imposta in esame, venendo a mancare gli effetti traslativi della proprietà. Così anche le operazioni poste in essere in esecuzione del programma di rete, consistenti, ad esempio, nell’apporto di sementi e fertilizzanti o nelle lavorazioni dei terreni effettuate con macchine agricole, non sono assoggettabili ad IVA.
Una volta ritirata la propria quota di prodotto, le singole imprese possono provvedere direttamente a completare il ciclo di produzione o di vendita dei prodotti a soggetti terzi.
In tal caso, come specificato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 75/E del 21/06/2017, per i retisti in regime speciale di cui all’art. 34 D.P.R. n. 633/1972 la cessione dei propri prodotti a soggetti terzi, in quanto ottenuti a titolo originario, può continuare a scontare le percentuali di compensazio- ne3.
Qualora, invece, i retisti demandino ad una capofila la vendita dei prodotti a terzi4, mediante mandato senza rappresentanza, quest’ultima, se in regime speciale, potrà applicare le percentuali di compen- sazione solo in relazione ai propri prodotti. La capofila dovrà invece applicare il regime normale di determinazione dell’imposta, previa separazione delle attività, ai sensi dell’articolo 36 del D.P.R. n.
3 I prodotti devono essere ricompresi nella Tabella A, parte I, allegata al D.P.R. n. 633/1972 per godere della speciale disciplina.
4 Per approfondimenti si veda la circolare ministeriale n. 20/E del 18 giugno 2013.
633/1972, per le cessioni relative ai prodotti dei mandanti. Questi ultimi, in sede di ribaltamento, fat- tureranno autonomamente la propria quota alla capofila in base al proprio regime adottato5, facendo riferimento in fattura al mandato o al contratto di rete stipulato.
Nel caso in cui la capofila agisca, invece, in presenza di mandato con rappresentanza, gli effetti si produrranno direttamente in capo ai mandanti, che fattureranno direttamente, applicando ovviamente il proprio regime.
Imposte dirette
Per quanto concerne le imposte dirette, posto che il contratto di rete “agricolo” non determina la creazione di un soggetto fiscalmente autonomo, occorre ricondurre il sistema di determinazione del reddito nell’ambito dello svolgimento dell’attività agricola in forma associata ex art. 33, comma 2, del TUIR. Ciascuna impresa agricola che aderisce al contratto di rete, in virtù dell’accrescimento del- la produzione mediante l’esercizio in comune delle attività previste nell’accordo, risulta conduttore, oltre che del proprio terreno, anche del fondo di proprietà delle altre imprese agricole partecipanti alla rete per la quota stabilita nel contratto.
Al fine della determinazione del reddito agrario da imputare a ciascun retista, ex art. 33, comma 2, del TUIR, l’Agenzia delle Entrate nella citata risoluzione ha ritenuto ragionevole come criterio di calcolo quello che prevede la sommatoria dei redditi agrari dei singoli terreni messi in comune e la sua suc- cessiva ripartizione tra i retisti in base alle rispettive quote di spettanza previste dal contratto di rete. Conseguentemente, in sede di dichiarazione dei redditi, ciascuna impresa retista deve indicare ogni terreno e la corrispondente quota di reddito agrario calcolata in base alla quota stabilita nel contratto.
Reddito agrario terreni di proprietà del singolo retista | Sommatoria redditi agrari dei terreni dei singoli retisti | Quote di prodotto spettanti a ciascun retista | Quote di reddito agrario da dichia- rare | |
Impresa A | 850,00 | 3.750,00 | 15% | 562,50 |
Impresa B | 1.700,00 | 55% | 2.062,50 | |
Impresa C | 1.200,00 | 30% | 1.125,00 |
Imposte dirette
Il contratto di rete di imprese rientra tra gli atti soggetti a registrazione ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Occorre applicare l’imposta di registro in misura fissa di cui all’articolo 11 della Tariffa, parte prima, pari ad euro 200,00.
CAPITOLO 2.5 La gestione comune del personale
In ambito giuslavoristico, il contratto di rete (rete-contratto) prevede la possibilità di effettuare il di- stacco del lavoratore e porre in essere la codatorialità.
Si tratta di fattispecie che si configurano come situazioni di trasferimento o condivisione del potere direttivo tra più datori di lavoro consentendo di usufruire delle prestazioni lavorative di un determi- nato dipendente contemporaneamente.
Tale scelta organizzativa richiede la presenza di un requisito fondamentale ai fini della sua legittima- zione: presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive inserite nella finalità che si propone di realizzare il contratto stesso.
L’elemento di novità rispetto al passato è rappresentato dal contratto di rete stesso il quale si confi- gura come strumento idoneo al miglioramento delle performance economico-finanziarie ed operative dell’azienda rappresentando, pertanto, l’elemento giustificativo su cui, automaticamente, si fonda il distacco del personale.
La portata dell’innovazione normativa assume un rilievo determinante con l’introduzione, ad opera del Decreto Legge n. 76/2003, del comma 4-ter dell’art. 30, Decreto Legislativo n. 276/2003 rappre- senta la spinta decisiva all’utilizzo di forme congiunte di gestione del personale.
In particolare, il comma 4-ter dispone: “Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il con- tratto di rete stesso”.
Una prima lettura del dato testuale parrebbe individuare due diversi strumenti utilizzabili dalle impre- se retiste al fine di “condividere” le proprie risorse umane.
Invero il legislatore, con il Decreto Legge n. 76/2003, inserisce anche i commi da 3-bis a 3-quinquies dell’articolo 31, Decreto Legislativo n. 276/2003 i quali disciplinano le assunzioni congiunte da parte delle imprese agricole appartenenti ad un medesimo gruppo o i cui titolari siano legati da rapporti di parentela. Il comma 3-ter, in particolare, dispone che l’assunzione congiunta “può essere effettuata anche da imprese legate da un contratto di rete, quando almeno il 40% di esse sono imprese agricole”. Il distacco dei lavoratori rappresenta un istituto ampiamente utilizzato contrariamente a “codatoria- lità” e “assunzioni congiunte”.
Per la definizione dei contenuti giuridici ed operativi delle varie forme di gestione comune del perso- nale nonché per ulteriori approfondimenti si veda la circolare della Fondazione Centro Studi Ungdcec “Il contratto di rete e la gestione comune del personale” a cura di Sansalvadore F., Coppo M. e il Quaderno Knos n. 6 – Area Societaria “Aspetti operativi per la creazione dei contratti di rete di im- prese” a cura della Commissione di Studio UNGDCEC “Reti di Imprese”.
CAPITOLO 2.6 Gli aspetti formali burocratici ed operativi per la costituzione
In questo capitolo vengono esaminati gli aspetti meramente formali ed operativi per la stipula, la re- gistrazione e di conseguenza la costituzione delle reti tra imprese.
Come già detto il contratto di rete può essere stipulato tra imprese senza limitazioni relative a forma giuridica o dimensione; le imprese partecipanti devono essere almeno due anche situate in diverse parti del territorio italiano e imprese estere operative in Italia, anche operanti in settori produttivi di- versi (con le limitazioni viste, dal punto di vista fiscale, per quelle in agricoltura).
È previsto che le parti predispongano in prima battuta il c.d. programma di rete quale piano generale d’azione, che può prevedere tre tipi di attività:
- la collaborazione in ambiti attinenti l’esercizio delle proprie aziende;
- lo scambio di informazioni o di prestazioni di qualsiasi natura: industriale, commerciale, tecnica e tecnologica;
- l’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto delle rispettive aziende. Successivamente sarà redatto il contratto di rete vero e proprio e verranno formalizzati i rapporti di collaborazione così come definiti nell’impegno, l’investimento e il tipo di legame da adottare tra le aziende partecipanti.
In particolare il contratto contiene:
- le modalità di realizzazione del programma comune;
- gli strumenti per misurare l’avanzamento verso gli obiettivi strategici di innovazione e di in- nalzamento della capacità competitiva;
- i diritti e gli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante;
- le regole di gestione dell’eventuale fondo patrimoniale comune;
- la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi succes- sivi che ciascun partecipante si obbliga a versare;
- l’eventuale organo comune, i suoi poteri di gestione e di rappresentanza e le regole relative alla sua sostituzione;
- le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune, che non rientrino nei poteri di gestione conferiti all’eventuale organo comune, (maggio- ranza semplice, maggioranza qualificata oppure l’unanimità dei partecipanti su tutte o su alcune decisioni);
- viene definita la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori ed eventual- mente le cause di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto.
La Stipula e la Registrazione del Contratto
La legge precisa che il contratto di rete deve essere stipulato da più imprenditori, scegliendo tra:
- la stipula di un contratto per atto pubblico, con l’intervento di un notaio che redige l’atto;
- scrittura privata autenticata, circostanza che richiede sempre la presenza di un notaio, ma in questo caso solo per l’autenticazione delle firme di tutti gli imprenditori partecipanti;
- atto sottoscritto con la firma elettronica o qualsiasi altro tipo di firma avanzata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 25 D.lgs. 82/2005 (Codice Amministrazione Digitale).
Nel caso in esame di rete non dotata di personalità giuridica, rete contratto, può essere anche utiliz- zato il servizio messo a disposizione da InfoCamere che consente di predisporre, senza in questo caso l’ausilio del Notaio, per via telematica, un contratto di rete in modo semplice e guidato, in con- formità al modello standard tipizzato, riportato nell’allegato A del D.M. n. 122/2014 del Ministero di Giustizia, con la firma digitale ai sensi dell’art. 24 D.lgs. 82/2005 (Codice Amministrazione Digitale).
L’atto deve indicare obbligatoriamente gli elementi già precedentemente citati ed esplicati nel pa- ragrafo relativo ai riferimenti normativi, quali: le imprese partecipanti, gli obblighi strategici, il programma di rete e la durata, le modalità di adesione, le regole per l’assunzione delle decisioni.
Informazioni ulteriori ed obbligatorie sono necessarie in caso di una rete soggetto quali: l’organo comune, il fondo patrimoniale, la denominazione, la sede, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti, le cause di recesso anticipato, la modificabilità a maggioranza del programma di rete e le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica.
La Registrazione presso l’Agenzia delle Entrate
Prima di trasmettere il contratto al Registro delle Imprese è necessario provvedere alla sua registra- zione presso l’Agenzia delle Entrate a tassa fissa di registro pari ad Euro 200,00.
Nel caso di atto pubblico o scrittura privata autenticata solitamente è il Notaio che si occupa dell’a- dempimento. In caso di contratto redatto in conformità al modello standard tipizzato, il soggetto che si è impegnato alla sua registrazione deve presentare ad un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate:
- il file XML firmato digitalmente (e marcato) e il file PDF contenente la “rappresentazione a stam- pa dell’originale informatico”, copiati su un supporto informatico non modificabile;
- la stampa della corrispondente “rappresentazione a stampa” dell’atto;
- il Modello 69 - RICHIESTA DI REGISTRAZIONE compilato;
- la prova dell’avvenuto pagamento dell’imposta di registro e di bollo, con data di emissione non successiva alla data di stipula.
Nella ricevuta di registrazione saranno riportati gli estremi di registrazione che, assieme al numero di repertorio notarile o agli estremi del modello standard tipizzato, costituiranno gli estremi identifi- cativi del contratto di rete privo di soggettività giuridica ai fini dell’iscrizione nel Registro Imprese.
Comunicazioni al Registro delle Imprese
La rete contratto è soggetta ad iscrizione nell’apposita sezione del registro delle imprese in cui è iscritta ciascuna impresa partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori ori- ginari.
Al fine di evitare duplicazioni di adempimenti in capo a tutte le imprese partecipanti al contratto di rete è necessario identificare un’unica impresa di riferimento, incaricata della predisposizione e presentazione delle pratiche al Registro Imprese.
Il concetto di impresa di riferimento non coincide necessariamente con l’eventuale impresa manda- taria o capogruppo: è esclusivamente un’identificazione al fine della presentazione dei dati da
iscrivere nel Registro delle Imprese, come riportato nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Eco- nomico del 18 ottobre 2013 e relativa circolare 3663/C del 22 ottobre 2013 e sulle istruzioni per la compilazione della modulistica ministeriale (circolare 3668/C del 27 febbraio 2014 sempre del Mini- stero dello Sviluppo Economico). L’impresa di riferimento può essere cambiata, senza alcun vincolo, assegnando questo ruolo ad altra impresa partecipante al contratto di rete, tramite comunicazione all’ufficio del Registro delle Imprese.
Iscrizione della Rete Contratto
Per iscrivere una rete contratto al Registro Imprese ogni impresa partecipante, purché iscritta al Registro delle Imprese, deve compilare e inviare una pratica telematica, firmata digitalmente, di comunicazione unica di variazione all’ufficio del registro delle imprese ove ogni impresa ha sede.
La domanda di iscrizione si produce utilizzando il modello informatico S2 se società, oppure il mo- dello informatico I2 se impresa individuale, indicando:
- nel riquadro B/ESTREMI DELL’ATTO:
√ la forma SCRITTA se il contratto è stato redatto con il modello standard tipizzato altrimenti
SCRITTURA PRIVATA AUTENTICATA o ATTO PUBBLICO;
√ il codice atto A27-CONTRATTO DI RETE;
√ la data dell’atto che, in caso di contratto tipizzato corrisponde alla data della marcatura tem- porale se il file XML firmato è marcato, altrimenti alla data stessa di registrazione presso l’Agen- zia delle Entrate;
√ il numero di repertorio dell’atto notarile oppure gli estremi del contratto di rete tipizzato;
√ gli estremi di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate;
- nel riquadro RETI DI IMPRESE le informazioni richieste per il contratto di rete, indicando il tipo di adempimento:
√ A-ISCRIZIONE CONTRATTO-IMPRESA RIFERIMENTO per l’impresa di riferimento;
√ B-ISCRIZIONE CONTRATTO-IMPRESA ADERENTE per le altre imprese aderenti.
L’impresa di riferimento deve compilare tutti i dati del contratto di rete (la scadenza, gli obiettivi, il programma, la durata, l’organo comune e il fondo patrimoniale se istituiti, la denominazione del con- tratto, la modalità di assunzione delle decisioni) nonché indicare nell’apposita sezione del riquadro RETI DI IMPRESE l’elenco completo di tutte le imprese partecipanti iscritte al R.I., fornendo, per ognuna, il codice fiscale, la denominazione e l’indicazione se trattasi o meno del soggetto mandatario o di riferimento.
Le eventuali imprese estere non iscritte al R.I. potranno essere citate come partecipanti solo nel te- sto libero che descrive gli obiettivi e/o il programma della rete. Infatti le imprese estere prive di sede secondaria in Italia e perciò non iscritte al R.I. non possono presentare una comunicazione unica di variazione utilizzando il modello informatico S2 o I2.
Le altre imprese partecipanti iscritte al R.I. devono compilare solo il codice dell’adempimento, la denominazione del contratto e gli estremi identificativi dell’impresa di riferimento (il codice fiscale,
la denominazione e l’indicazione se trattasi o meno del soggetto mandatario).
Il campo relativo alla denominazione del contratto di rete è obbligatorio, perciò se questa non fosse stata definita, va inserita la dicitura ASSENTE; la normativa prevede l’obbligo di definire la denomi- nazione solo se è stato costituito un fondo patrimoniale comune.
L’attribuzione del codice fiscale al contratto di rete non è obbligatoria; va richiesta all’Agenzia delle Entrate non attraverso la comunicazione unica. Dopo l’attribuzione il codice fiscale deve essere co- municato al Registro Imprese.
Alla pratica di comunicazione deve essere allegato il documento che rappresenta il contratto di rete; se il contratto è stato redatto secondo il modello standard tipizzato deve essere allegato il file XML firmato o eventualmente marcato con codice B07 e descrizione ATTO XML.
Iscrizione della Rete Soggetto
L’iscrizione di una rete soggetto alla sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circo- scrizione è stabilita la sua sede, in quanto contratto di rete che acquista soggettività giuridica, deve essere obbligatoriamente predisposta e inoltrata dal Notaio. Le modalità sono quelle previste per la costituzione dei consorzi: la domanda d’iscrizione si presenta in forma telematica con firma digitale tramite una Comunicazione Unica al Registro delle Imprese, all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’INAIL.
La domanda di iscrizione si presenta tramite i consueti modelli informatici:
- il modello S1;
- un modello intercalare P per ogni persona a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la legale rappresentanza della rete;
- un modello S per ogni impresa partecipante;
- il modello S5 per la denuncia dell’attività dell’impresa.
-
In particolare nel modello S1 si devono compilare i seguenti riquadri:
- 4/FORMA GIURIDICA con codice RC CONTRATTO DI RETE DOTATO DI Soggettività GIU- RIDICA;
- 10/OGGETTO SOCIALE descrivendo gli obiettivi del contratto di rete e il programma;
- 15/POTERI ORGANI SOCIALI IN CARICA per la modalità di assunzione delle decisioni.
Le Modifiche Successive
Le modifiche al contratto relativo ad una rete soggetto sono redatte e depositate dal notaio o dal le- gale rappresentante, secondo le modalità standard previste per i consorzi.
Le modifiche alla rete contratto, concernenti gli obiettivi, il programma, la durata, l’organo comune, il fondo patrimoniale, etc., sono redatte e depositate per l’iscrizione, solo a cura dell’impresa di rife- rimento, nella sezione del Registro delle Imprese ove essa ha sede.
Le altre imprese partecipanti non sono tenute ad effettuare alcuna comunicazione presso l’ufficio del
registro delle imprese ove sono iscritte.
È l’ufficio del registro delle imprese che provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre imprese partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d’ufficio della modifica.
Anche la comunicazione di modifica al contratto di rete si produce utilizzando il modello informatico S2, se società, oppure il modello informatico I2‚ se impresa individuale, con i riquadri B/ESTREMI DELL’ATTO e RETI DI IMPRESE. Il codice adempimento da indicare è D/MODIFICA CONTRAT- TO-IMPRESA RIFERIMENTO.
Nel caso la modifica comporti l’iscrizione:
- dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, è obbligatorio indicare nel riquadro B/ ESTREMI DELL’ATTO gli estremi di registrazione, il numero di repertorio e il codice atto A27- CONTRATTO DI RETE;
- del contratto redatto secondo il modello standard tipizzato, è obbligatorio indicare nel riquadro B/ESTREMI DELL’ATTO gli estremi di registrazione, gli estremi del modello (pv e numero rea dell’impresa di riferimento) e il codice atto A27-CONTRATTO DI RETE.
-
La necessità di ripresentare un nuovo atto aggiornato del contratto di rete, o la possibilità di presenta- re una semplice comunicazione, dipende dal contenuto dell’informazione da iscrivere e dalle relative modalità pubblicitarie previste o meno nell’atto costitutivo del contratto di rete. Ad esempio l’atto costitutivo del contratto di rete potrebbe indicare una modalità semplificata per l’adesione di un’ulte- riore impresa al contratto, senza necessità di modificare formalmente l’atto costitutivo; in questo caso l’adempimento a carico dell’impresa di riferimento sarebbe una comunicazione di adesione di nuovo partecipante, senza la necessità di aggiornare l’ultimo atto iscritto del contratto di rete.
Nel riquadro RETI DI IMPRESE devono sempre essere indicati:
- il numero di registrazione e di repertorio del precedente atto iscritto per lo specifico contratto, essenziale per l’identificazione del contratto di rete al quale si richiede di apportare le modifiche;
- la denominazione del contratto di rete; nel caso non sia stata definita va inserita la dicitura AS- SENTE.
Un’impresa può aderire o recedere a posteriori al contratto di rete: se l’atto costitutivo non stabilisce modalità specifiche anche in questi casi, se non ci sono istruzioni specifiche riguardo la modalità, è sufficiente un adempimento da parte dell’impresa di riferimento per l’aggiornamento della lista delle imprese partecipanti al contratto; le altre imprese partecipanti non devono presentare alcuna comu- nicazione.
Nel caso in cui l’adesione sia permessa solo in seguito ad una modifica formale dell’atto istitutivo del contratto di rete, alla richiesta di iscrizione della nuova impresa va allegata la copia conforme notarile del contratto di rete aggiornato con l’ingresso della nuova impresa.
Le informazioni relative a tutte le imprese partecipanti devono essere ripresentate solo in occasione di eventuali nuove adesioni, recessi, modifica dell’impresa di riferimento o eventuale modifica del
mandatario comune.
L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 70/E del 30 giugno 2011, ha stabilito che ai fini ope- rativi il contratto di rete può richiedere l’attribuzione del codice fiscale, che deve essere comunicato dall’impresa di riferimento, appena disponibile.
Se cambia l’impresa di riferimento, la nuova impresa di riferimento deve presentare un adempimento di modifica completo di tutti i dati del contratto, utilizzando il codice D-MODIFICA CONTRATTO- IMPRESA RIFERIMENTO.
Ogni altra informazione che dovesse richiedere comunicazione, va riportata nel riquadro ALTRI ATTI E FATTI SOGGETTI A ISCRIZIONE E A DEPOSITO del modello S2 per società o I2 per imprese individuali, con il codice 025-CONTRATTI DI RETE, oppure compilando il riquadro RETI DI IM- PRESE indicando il codice adempimento H-ALTRE COMUNICAZIONI.
Chiusura del Contratto
Solo l’impresa di riferimento presenta la comunicazione di cessazione del contratto presso l’uffi- cio del registro delle imprese ove tale impresa di riferimento ha sede.
L’ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione della avvenuta cessazione del con- tratto di rete a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre imprese partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d’ufficio della cessazione.
Anche la comunicazione di cessazione del contratto di rete si produce utilizzando il modello in- formatico S2 se società, oppure il modello informatico I2 se impresa individuale, con i riquadri B/ ESTREMI DELL’ATTO e RETI DI IMPRESE. Il codice adempimento da indicare è G-CESSAZIONE CONTRATTO.
Il riquadro B/ESTREMI DELL’ATTO deve indicare almeno la data e la forma, che in caso di chiusura del contratto per naturale estinzione, può essere una semplice comunicazione. Tuttavia se la chiusura del contratto comporta l’iscrizione dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata è obbliga- torio indicare gli estremi di registrazione, il numero di repertorio e il codice atto A27-CONTRATTO DI RETE.
Il numero di registrazione e di repertorio del precedente atto iscritto per lo specifico contratto, devono sempre essere dichiarati nel riquadro RETI DI IMPRESE in quanto l’informazione dell’ultimo nu- mero di registrazione e di repertorio è essenziale per l’identificazione del contratto di rete al quale si richiede di apportare l’aggiornamento delle informazioni.
Anche la denominazione del contratto di rete va sempre indicata: nel caso non sia stata definita va inserita la dicitura ASSENTE.
Nel caso la modifica comporti l’iscrizione:
- dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, è obbligatorio indicare nel riquadro B/
ESTREMI DELL’ATTO il numero di registrazione ed il numero di repertorio e il codice atto A27- CONTRATTO DI RETE;
- del contratto redatto secondo il modello standard tipizzato, è obbligatorio indicare nel riquadro B/ESTREMI DELL’ATTO gli estremi di registrazione, gli estremi del modello (pv e numero rea dell’impresa di riferimento) e il codice atto A27-CONTRATTO DI RETE.
Non è necessario presentare l’elenco completo di tutte le imprese partecipanti.
Nel caso il contratto venga trasformato in contratto con soggettività giuridica, iscrivendo la posizio- ne con codice di forma giuridica RC-Contratto di rete dotato di soggettività giuridica l’impresa di riferimento individuata dall’ultima iscrizione del contratto nella forma standard, deve presentare una pratica di chiusura di contratto, sempre con codice G-CESSAZIONE CONTRATTO.
CAPITOLO 3
LA RETE D’IMPRESA PER LA COMMERCIALIZZAZIONE E L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL PRODOTTO BIO
CAPITOLO 3.1 Introduzione
La riduzione progressiva delle barriere al commercio internazionale e la crescente integrazione dei mercati richiedono l’adozione di strategie adeguate da parte delle imprese per fronteggiare un conte- sto più competitivo in condizioni di minore protezione. D’altra parte, lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e delle infrastrutture (trasporti e logistica) consente di intraprendere più agevol- mente un percorso di internazionalizzazione che rappresenta una possibile risposta per l’impresa che voglia mantenere la competitività anche sul mercato interno. Sebbene il concetto di internazionaliz- zazione non abbia una definizione univoca, le sue realizzazioni a livello aziendale sono ben note e comprendono, oltre all’esportazione (di beni, servizi, capitali, lavoro, ecc.), anche l’approvvigiona- mento dei fattori di produzione e l’estensione dell’attività aziendale con la localizzazione all’estero di sue parti, sia commerciali che produttive. Benché con modalità e intensità diverse, si tratta di rea- lizzazioni che possono interessare tutte le tipologie di imprese, grazie alla crescente integrazione dei mercati che ha modificato i rapporti tra imprese e contesti di riferimento. La globalizzazione ha infat- ti unificato gli spazi competitivi costringendo le imprese ad adattare i propri orientamenti strategici per poter operare in situazioni di maggiore competizione. E, in generale, ciò risulta vero sia per le aziende di grandi dimensioni, sia per quelle più piccole che in passato si rivolgevano in maniera pres- soché esclusiva ai mercati interni: la minore protezione accordata a questi ultimi nell’ambito degli accordi internazionali ha reso inevitabile la proiezione delle imprese oltreconfine, indipendentemente dalla loro dimensione, dal settore di riferimento, dal paese di origine. Nel caso dei prodotti agroali- mentari biologici italiani, la proiezione internazionale delle imprese rappresenta un’importante op- portunità soprattutto considerando le attuali dinamiche della domanda che, sebbene in crescita gene- ralizzata, si concentra in alcuni paesi nord europei e statunitensi, rimanendo l’Italia uno dei paesi comunitari con il più basso consumo interno. La crescita della domanda, d’altra parte, pone le impre-
se biologiche che affrontano il mercato internazionale in condizioni potenzialmente più vantaggiose rispetto alle altre imprese del settore che operano invece in un contesto di contrazione dei consumi alimentari complessivi, tenendo anche conto che la qualità delle materie prime e dei prodotti finali, le caratteristiche organolettiche, l’appeal del brand “Made in Italy”, soprattutto sull’alimentare, costitu- iscono indubbi fattori di competitività per il sistema agro-alimentare italiano. La premessa da cui è partito questo lavoro rende particolarmente complesso trarre delle conclusioni: la carenza di informa- zioni specifiche sull’internazionalizzazione delle imprese biologiche ha di fatto condizionato lo stu- dio qui presentato, a partire dalla duplice necessità di esaminare la questione secondo ottiche diverse, per renderne la rappresentazione più compiuta, e di delimitare il campo di indagine, con la selezione di alcuni prodotti su cui concentrare l’analisi empirica. Tuttavia è necessario ridurre ampiezza e com- plessità delle analisi svolte, in primo luogo, per cercare di raffigurare il fenomeno in maniera sintetica e, in secondo luogo, per ricondurre i risultati delle analisi agli obiettivi specifici della ricerca. Le di- verse prospettive di lettura con cui è stato affrontato il tema dell’internazionalizzazione hanno con- sentito di delineare seppure parzialmente il contesto nel quale le imprese biologiche operano e rispet- to al quale si misurano, di identificare alcuni dei principali fattori che ne influenzano il processo di internazionalizzazione e di definire il quadro delle politiche e degli strumenti potenzialmente utili a supportare le imprese nella complessa operazione di espansione oltreconfine. A livello del sistema produttivo, è stato innanzitutto verificato come alcuni elementi strutturali che caratterizzano il settore agricolo nazionale siano presenti anche nella sua componente biologica; nonostante presentino una dimensione economica e una potenzialità occupazionale maggiori, le imprese agricole che producono in particolare vino e olio biologici mostrano infatti una frammentazione elevata, carattere in grado di condizionare anche forma e intensità del processo di internazionalizzazione. Rispetto all’insieme delle imprese agricole, hanno inoltre un grado elevato di diversificazione produttiva e commerciale, con un orientamento spiccato alla vendita diretta, modalità che consente di valorizzare meglio la pro- duzione in alcune condizioni, come nel caso di volumi produttivi ridotti. Non si dispone di informa- zioni ufficiali sulle esportazioni dei prodotti biologici ma, per il complesso delle aziende, i dati cen- suari dimostrano come vino e olio rappresentino, per un verso, settori produttivi con un rilevante interscambio con l’estero e, per altro verso, settori dove è elevato l’utilizzo di marchi a indicazione geografica. Dalla stessa fonte emerge che questi ultimi sono utilizzati anche da una quota non trascu- rabile di imprese biologiche per le quali il connubio tra i due tipi di certificazione può rappresentare una modalità rilevante di valorizzazione dei prodotti sui mercati esteri. La carenza di informazioni già lamentata non ha invece consentito di raffigurare la situazione per le imprese biologiche produttrici di pasta. E’ noto tuttavia che, in linea generale, i pastifici non si identifichino con le aziende agricole che producono la materia prima (frumento duro), considerato che solo raramente si realizza un’inte- grazione di filiera che comprende tutte le fasi produttive ed è altresì noto che, per quanto riguarda i flussi commerciali, la pasta rappresenta uno dei prodotti italiani più esportati. Sul fronte del mercato, lo studio ha evidenziato come la straordinaria crescita dei consumi dei prodotti biologici registrata nell’ultimo decennio in tutti i paesi sviluppati sia stata accompagnata da un’evoluzione dei canali distributivi che ha visto aumentare il rilievo dei negozi specializzati e dei supermercati convenziona- li. Ciò ha determinato una maggiore accessibilità ai prodotti biologici e ha favorito la differenziazio- ne dell’offerta attraverso sia l’approvvigionamento di prodotti biologici tipici di altre latitudini (caffè, tè, frutta tropicale, ecc.), sia di prodotti ortofrutticoli fuori stagione provenienti dall’emisfero oppo- sto, sia di prodotti di nicchia o specialità locali. In quest’ultimo segmento si collocano anche alcuni prodotti biologici tipici dell’agroalimentare italiano che appartengono perlopiù alla categoria dei pro-
dotti trasformati, tra i quali la pasta, il pomodoro trasformato, l’olio d’oliva, il vino. Su questi prodot- ti si è quindi concentrata l’indagine da noi condotta presso le grandi catene di supermercati in due paesi, Regno Unito e Francia, per verificarne il posizionamento. Si è potuto così accertare l’esistenza di un elemento rilevante della strategia della grande distribuzione nella commercializzazione dei pro- dotti biologici, ovvero la loro vendita quasi esclusiva attraverso un marchio proprio (private label, PL), derivante perlopiù da processi di integrazione orizzontale (accordi commerciali con i confezio- natori) e, solo raramente, frutto di un’integrazione verticale. Tale strategia comporta un abbassamen- to significativo del prezzo dei prodotti biologici riducendone il differenziale rispetto a quello del prodotto convenzionale e confermando quindi l’utilità della grande distribuzione ai fini dell’accessi- bilità a tali prodotti. Va considerata, d’altra parte, la potenziale minore convenienza per i produttori rispetto ad altri canali dove venga garantito un prezzo più elevato, sebbene tale aspetto vada valutato congiuntamente ai vantaggi dell’uso della PL che, tra l’altro, consente di ridurre le barriere che i pro- duttori incontrano nell’espandere la commercializzazione dei propri prodotti (a causa dei bassi volu- mi offerti, dei costi per la promozione, dei costi per la competizione sugli spazi negli scaffali, ecc.) e garantisce qualità e innovazione lungo la filiera. La nostra analisi ha consentito inoltre di verificare i principali competitors per i prodotti tipici italiani sui mercati inglese e francese e di evidenziare alcu- ne differenze. Mentre sul mercato inglese vi è un assoluto posizionamento del prodotto italiano per quanto riguarda la pasta e i derivati di pomodoro, non altrettanto può dirsi per il mercato francese dove scontiamo la competizione con il prodotto locale per ambedue i prodotti a causa della quale il prodotto biologico italiano non compare sui banchi della grande distribuzione. Nei negozi specializ- zati, invece, si riscontra la presenza di pomodori trasformati di origine spagnola ma a prezzi più alti del prodotto italiano. Diverso è il caso dell’olio d’oliva extravergine. Sia nel Regno Unito che in Francia, il prodotto italiano è in concorrenza con quello spagnolo, con quello tunisino e con quello di origine genericamente comunitaria, oltre che con quello nazionale, nel caso francese. A livello micro, sul fronte delle imprese che producono ed esportano alcuni dei prodotti tipici del Made in Italy già esaminati (pasta, olio e vino), l’indagine condotta ha messo in evidenza alcuni elementi che ne carat- terizzano gli indirizzi strategici. In generale, si tratta di imprese orientate al mercato secondo un ap- proccio competitivo e di controllo, anche se parziale, della filiera, considerato che, ai fini della sele- zione, sono state scelte imprese che esportano prodotti trasformati di elevata qualità. Sono condotte da figure imprenditoriali esperte e dinamiche, poiché operano da lungo tempo nel settore, mostrano una buona propensione agli investimenti e sono proiettati verso un ampliamento degli orizzonti com- merciali esteri o comunque verso il consolidamento del processo di internazionalizzazione, utilizzan- do proprio la leva del Made in Italy, magari in un contesto di rete. Tuttavia, i rapporti che le imprese hanno con i mercati esteri sono perlopiù semplici e poco diversificati, con l’esportazione indiretta come forma principale di internazionalizzazione – in linea d’altronde con la tendenza generale delle piccole e medie imprese italiane – e con la conseguente scarsa possibilità di controllo del processo da parte dell’impresa. Anche nei casi di esportazione diretta, realizzata perlopiù tramite eventi interna- zionali (fiere), le strategie commerciali si presentano poco sviluppate (strategia di nicchia) e con limi- tati adattamenti organizzativi. Tra gli elementi di ‘debolezza’ del collettivo di imprese osservato, è inoltre emersa una bassa propensione a relazionarsi con altri soggetti, espressa anche mediante l’uti- lizzo prevalente del marchio aziendale per la commercializzazione e uno scarso ricorso al supporto istituzionale. Eppure, i risultati dell’analisi svolta hanno evidenziato la rilevanza della capacità rela- zionale per l’espansione internazionale delle imprese (confermando quanto già rilevato dalla lettera- tura in tema), sebbene abbiano anche mostrato come i fattori a carattere ‘individualistico’, insieme
all’esperienza nell’export, siano rilevanti nello stimolare le imprese meno proiettate all’estero ad aumentare la quota esportata di prodotto bio. Da sottolineare infine come l’esperienza nella produzio- ne biologica non abbia correlazione positiva con la propensione all’esportazione, considerato che sono le aziende bio più giovani a mostrare un maggiore orientamento verso i mercati esteri, e come per molte delle imprese osservate l’attività di esportazione sia partita contemporaneamente all’avvio della produzione biologica. Diverso è il caso delle imprese agricole che producono mele biologiche (anche) per l’esportazione, altro caso indagato, per il quale si è evidenziata una strategia di interna- zionalizzazione ben distinta dalle precedenti o, per meglio dire, è la stessa filiera internazionale che si differenzia dai casi precedenti. Concentrazione territoriale, specializzazione produttiva e piccola dimensione caratterizzano infatti queste imprese, favorendo forme associative (cooperative) per lo svolgimento di alcune delle funzioni imprenditoriali, tra cui la definizione e l’attivazione delle strate- gie commerciali internazionali. In questo caso, tra i fattori che condizionano, ostacolandolo, il proces- so di internazionalizzazione, emergono come più rilevanti quelli finanziari (accesso al credito) e di conoscenza (informazione sui mercati e ricerca). competizione su piani diversi da quello del solo prezzo. Su questo fronte, a supporto delle azioni avviate dalle imprese per gli adattamenti del caso, l’intervento esterno sarà diretto tra l’altro a individuare formule combinate di certificazione tali da contenere gli oneri per le imprese. Le altre componenti del piano dovranno confluire, per rimuoverli, sui fattori di criticità che ostacolano le imprese. Innanzitutto appare opportuno agire sul fronte dell’of- ferta, aumentando e concentrando i volumi produttivi che altrimenti risultano esigui data l’estrema frammentazione e dispersione delle imprese. A tal fine, l’aumento delle dimensioni aziendali, laddove possibile, potrebbe porre questioni di coerenza e compatibilità con i principi fondanti del biologico che promuovono la diversificazione produttiva di piccola scala. Ma l’aumento di scala è approccio ormai necessario per competere sui mercati internazionali: la presenza di innumerevoli, piccoli pro- duttori e di soggetti in diversi stadi evolutivi lungo il processo di internazionalizzazione ostacola in- fatti il coordinamento delle attività commerciali verso l’estero riducendo la visibilità dei prodotti italiani a vantaggio delle grandi organizzazioni distributive che tendono ad indebolire il legame con le zone di produzione (ad esempio con le private label). La soluzione al ‘dilemma’ dimensionale ri- siede nelle aggregazioni di imprese: queste sono potenzialmente in grado di realizzare obiettivi (come per le strategie commerciali internazionali, ma anche ricerca e sviluppo dell’innovazione, ad esem- pio) per i quali è necessaria quella dotazione di risorse incluse l’esperienza e la competenza che la singola impresa non possiede a livelli adeguati. Oltre a rendere disponibili gli strumenti contrattuali idonei e a provvedere per un’informazione capillare, in questo caso gli interventi esterni saranno fi- nalizzati a ridurre i comportamenti individualistici delle imprese migliorando il sistema di incentivi per l’aggregazione. Considerando inoltre che la dispersione delle imprese potrebbe costituire un osta- colo in tal senso, è necessario intervenire anche per assicurare una dotazione adeguata di strumenta- zione ICT, con relativa formazione, per fare in modo che la tecnologia sopperisca al difetto di prossi- mità fisica.
CAPITOLO 3.2 Il prodotto Bio in alcune filiere mediterranee e la globalizzazione del sistema agroalimentare
Per delineare le caratteristiche strutturali dei settori osservati (vino, olio di oliva e frumento duro), è stata condotta una sintetica analisi preliminare in base ai dati del Censimento, effettuando anche un confronto tra le caratteristiche delle aziende Bio appartenenti ai settori indagati e quelle del relativo
universo. Dai dati del Censimento, sono state identificate le aziende con vite Bio e con olio Bio, men- tre per l’identificazione delle aziende produttrici di frumento duro Bio, è stato necessario considerare solo quelle aziende che presentano una superficie a frumento duro superiore al 90% del totale cereali, non essendo disponibile dettaglio ulteriore. I dati censuari sono stati integrati con dati di altra fonte, e in particolare con dati di fonte SINAB, i quali forniscono informazioni circa superfici e imprese operanti nel comparto del biologico. Va rilevato che la fonte Istat e la fonte SINAB hanno obiettivi, struttura e approccio metodologico diversi, pertanto i relativi dati spesso presentano scostamenti ta- lora anche significativi.
La globalizzazione trova i suoi presupposti tecnico-economici nello sviluppo dei sistemi di traspor- to, comunicazione e conservazione, e quelli politico-economici nella tendenza alla liberalizzazione degli scambi anche in un settore fino a non molti anni fa oggetto di particolare attenzione e protezio- ne commerciale. Nell’ambito dell’agroalimentare, essa si è manifestata non solo sull’aumento degli scambi internazionali di prodotti finiti, ma (anche a seguito della frantumazione e ri-localizzazione dei processi produttivi in numerose filiere) su quello delle materie prime e dei semi-lavorati, nonché sulla circolazione del fattore lavoro e del capitale, e sui flussi informativi e di know-how. Queste forze stanno profondamente modificando la struttura delle imprese e dei settori, il tipo di relazioni interne al sistema, i rapporti di potere, la dimensione e direzione degli scambi, la qualità dei processi e dei prodotti, le modalità di consumo. In particolare si assiste a: un ampliamento dei mercati (di approvvi- gionamento e di sbocco) e quindi della possibilità di realizzare economie di scala e specializzazione produttiva da parte delle imprese (anche agricole); un aumento della delocalizzazione delle attività produttive operato sulla base dei differenziali di costo del lavoro, delle materie prime, della fiscalità, della stabilità del paese, della vicinanza a mercati di sbocco, delle competenze e know-how, etc.; una maggiore flessibilità negli approvvigionamenti (rottura dei legami di approvvigionamento su scala locale); un aumento del fabbisogno informativo (e dei pericoli derivanti dalla presenza di crescenti asimmetrie informative); un aumento del fabbisogno di coordinamento tra imprese (diffusione di for- me di integrazione contrattuale, joint-ventures, fusioni e acquisizioni, etc.); un aumento del ricorso a standard di qualità di processo e di prodotto, soprattutto di natura privata. Congiuntamente si assiste a processi di concentrazione delle imprese dell’industria e della distribuzione agro-alimentare, e so- prattutto allo sviluppo di buyer-driven supply chains, ovvero allo spostamento del controllo strategico delle filiere verso le imprese della moderna distribuzione (GDO), in grado oggi di dirigere il cambia- mento dei sistemi agroalimentari su scala planetaria. La globalizzazione non è un fenomeno recente, tuttavia alcune caratteristiche delle recenti tendenze rendono peculiare l’attuale fase. Infatti, oggi prima di tutto è molto diversa dal passato la tipologia delle innovazioni tecnologiche, un tempo essen- zialmente legate ai sistemi di trasporto e oggi molto più legata alle comunicazioni e al trasferimento dell’informazione. Diverse sono anche le condizioni di partenza: un mondo sostanzialmente omoge- neo, relativamente povero e agrario in passato, mentre oggi il mondo è diviso tra ricche economie in- dustrializzate e paesi poveri in cui l’agricoltura svolge ancora un ruolo cruciale. Questo implica anche una differente composizione dei flussi commerciali tra vecchia e nuova globalizzazione, con l’attuale fase molto più specializzata in produzioni manifatturiere e caratterizzata da rilevanti fenomeni di commercio intra-industriale, “spacchettamento” dei processi di produzione industriale e delocalizza- zione delle attività produttive. Molto diverse sono oggi anche le condizioni istituzionali con la presen- za di processi di integrazione commerciale (trade blocks) e organismi sovranazionali (come il Gatt, prima, e il Wto, dopo) che rendono l’attuale panorama economico e culturale profondamente diverso rispetto al mondo degli Stati-nazione e degli imperi coloniali, propri della prima fase di globalizza-
zione. Proprio gli accordi commerciali internazionali, ma anche gli accordi bilaterali o multibilaterali di libero scambio, dipingono uno scenario di fondo che rende sempre più globale l’arena competitiva, ma nel contempo sono suscettibili di rendere più complessi alcuni flussi di scambio. Infine sono più importanti che in passato gli investimenti diretti all’estero e l’entità dei movimenti di capitali e della finanziarizzazione dell’economia mondiale, favorite sia dalle innovazioni nelle tecnologie informa- tiche, sia da politiche di liberalizzazione della circolazione dei capitali. Come conseguenza di questi cambiamenti, la possibilità di accedere ai mercati internazionali è diventata per un numero crescente di imprese, anche nel sistema agro-alimentare che è più tradizionalmente “introverso” rispetto a molti settori manifatturieri e dei servizi, una necessità più che un’opportunità. Inoltre la progressiva globa- lizzazione dei mercati ha evidenziato come sia sempre più necessario, soprattutto per le imprese dei paesi cosiddetti avanzati, sottrarsi ad una concorrenza incentrata solo sul prezzo, in direzione di stra- tegie di differenziazione più adatte a mercati maturi e basate sui diversi attributi di qualità dei processi e dei prodotti, anche maggiormente in linea con l’evoluzione dei consumatori, sempre più attenti alla presenza di attributi di sicurezza alimentare e di qualità. La crescente diffusione di standard pubblici e soprattutto privati di qualità su scala globale risponde proprio a queste esigenze. Questi standard regolano diversi aspetti, che possono riguardare sia il rispetto di norme di produzione obbligatorie, sia altri ambiti tra cui la tutela ambientale, le qualità organolettiche dei prodotti, la tutela dei lavoratori, i metodi di produzione, e l’origine territoriale. Il rapido successo ottenuto dagli standard di qualità privati – la maggior parte dei quali promossi dalle imprese della moderna distribuzione – non è sol- tanto frutto dell’esigenza di riconquistare la fiducia dei consumatori per quanto attiene ai requisiti sulla sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, ma deriva anche dalla scelta della GDO di utilizzare gli standard come strumenti di differenziazione per competere con maggiore efficienza sul mercato finale. Dal lato dei consumi, dunque, si registra in generale nelle società affluenti un aumento della richiesta di prodotti differenziati sia orizzontalmente (prodotti della stessa qualità ma con caratteristi- che diverse) che verticalmente (caratterizzati da livelli qualitativi diversi), e un’attenzione crescente ad aspetti legati a variabili esplicative diverse dalle fondamentali economiche (prezzo, reddito), e derivanti dall’azione vuoi di variabili di natura socioeconomica che di natura socio-culturale. Le va- riabili di natura socio-economica riguardano aspetti che influenzano sia la dimensione organizzativa che quella intersoggettiva del consumo (aspetti demografici e sociali che incidono sulla struttura delle famiglie, evoluzione delle condizioni generali di consumo quali l’urbanizzazione, ecc.). L’azione di queste variabili ha influenza ad esempio sulla quantità di servizi incorporati nel prodotto (grado di trasformazione del prodotto, modalità di erogazione del servizio distributivo), favorendo sempre più prodotti “pronti all’uso”, ma anche sulla velocità di reperimento delle informazioni. Le variabili di natura socio-culturale interessano invece il sistema di valori del consumatore. Si tratta dell’aumentata possibilità del consumatore di esprimere la propria soggettività mediante atti di consumo. In questo contesto il consumatore mostra una maggiore attenzione agli equilibri socio-ambientali, che si espli- ca tra l’altro in una crescente sensibilità rispetto all’impatto diretto e indiretto di ciò che si consuma sull’ambiente naturale, e una maggiore attenzione sui riflessi che ciò che si consuma può avere sulla propria salute. Gli andamenti dei consumi derivanti dall’azione delle variabili socio-culturali, e il fat- to che queste tendano a variare e spesso anche a coesistere nell’ambito di un medesimo consumatore, fanno sì che le imprese si trovino di fronte una situazione di crescente complessità. Allo stesso tempo aumentano per esse le possibilità di diversificare la propria offerta.
L’apertura ai mercati esteri è considerata sempre più uno strumento che contribuisce alla soprav- vivenza e alla crescita delle imprese, sebbene la letteratura non sia conclusiva al riguardo, come
evidenziato da uno studio dell’Unione europea. Di conseguenza, anche il dibattito sui fattori che condizionano il processo di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, determinandone forma e dimensione, è cresciuto nel tempo ed è particolarmente vivace. I fattori che influenzano la scelta dell’impresa riguardo all’approccio al mercato estero sono molti e riguardano sia l’ambiente esterno sia quello interno all’impresa. Tra i primi, i caratteri dei paesi e dei mercati di consumo han- no naturalmente grande peso come i fattori socioeconomici generali, le dimensioni e la struttura del mercato, la presenza di servizi ma sono rilevanti anche alcuni fattori del paese dove l’impresa opera, fattori che possono condizionare le sue capacità di proiettarsi all’estero, agendo da deterrenti o, al contrario, facilitando il processo di internazionalizzazione. Dimensioni e caratteristiche del mercato d’origine sono tra questi, come anche l’immagine del paese che ‘accompagna’ il prodotto all’estero, oltre a fattori più specifici, quali i programmi di promozione, gli oneri amministrativi, la logistica e i costi di trasporto associati all’esportazione. Sul fronte interno, gli obiettivi aziendali rappresentano il primo elemento alla base del percorso di internazionalizzazione, a cui si affiancano fattori legati alle risorse disponibili (tecnologiche, di conoscenza, umane, finanziarie, ecc.) e al tipo di prodotti che si vuole esportare. Il recente rapporto europeo sulla competitività delle piccole e medie imprese traccia alcune tendenze di carattere generale che riguardano tra l’altro anche i rapporti tra le imprese e i mercati esteri. Si conferma innanzitutto che l’esportazione rappresenta la forma di internazionaliz- zazione più utilizzata in questo ambito per il ridotto impiego di risorse e per i rischi più contenuti che tale processo richiede e come le strategie siano diverse in relazione alle caratteristiche dell’impresa e ai fattori esterni. A fattori interni, in particolare, fanno capo le dimensioni dell’impresa, il livello di competenze e quello relativo alle innovazioni. Studi empirici hanno infatti dimostrato che imprese più grandi hanno non solo maggiori probabilità di esportazione ma che quest’attività dà anche mi- gliori risultati; ciò è attribuito alle maggiori risorse di tali imprese in termini finanziari, oltre che di conoscenza e di esperienza manageriale. Anche l’introduzione di innovazioni è considerata un driver rilevante ai fini dell’internazionalizzazione, sebbene il rapporto di causalità non sia sempre unidire- zionale: in alcuni casi l’innovazione (di prodotto) emerge quale prerequisito per l’espansione estera, in altri casi l’avvio dell’espansione estera è successiva all’introduzione dell’innovazione. Ancora, il processo di espansione estera è favorito dall’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione: le reti informatiche, come Internet, consentono di acquisire informazioni sui mercati esteri e di avere contatti diretti con soggetti oltreconfine, facilitando le relazioni internazionali senza il ricorso degli intermediari. Tra i fattori esterni si ascrivono caratteri sia del paese di origine, sia del paese di de- stinazione. Assumono rilevanza, tra gli altri, le dimensioni dei mercati nazionali e esteri, la distanza geografica e culturale, le normative sulle attività produttive e quelle sull’esportazione, gli aspetti di natura fiscale, la qualità delle infrastrutture di trasporto. La carenza di assistenza a livello nazionale e una normativa sfavorevole costituiscono ostacoli rilevanti ai fini dell’internazionalizzazione; la nor- mativa sull’esportazione, in particolare, può comportare oneri di esportazione non irrilevanti (spese burocratiche, spese per lo sdoganamento e le ispezioni, ecc.) a cui si aggiungono i costi relativi a si- curezza, etichettatura, imballaggio. Fattori esterni rilevanti nell’influenzare il processo di espansione estera delle piccole e medie imprese sono i Programmi di promozione alle esportazioni attivati nel paese di origine a cui fanno capo:
1. azioni per la costruzione dell’immagine-paese (pubblicità ed eventi promozionali);
2. servizi di sostegno alle esportazioni (formazione e assistenza tecnica);
3. marketing (fiere e missioni di esportazione);
4. ricerca e pubblicazioni (generali, di settore, informazioni a livello di impresa, informazioni sui
mercati di esportazione);
5. sostegno finanziario (crediti all’esportazione, assicurazione).
CAPITOLO 3.3 Indirizzi per le strategie di internazionalizzazione
La sintetica rappresentazione sopra riportata lascia emergere alcuni dei fattori critici che contrastano l’attivazione di strategie di internazionalizzazione efficaci. Su tali fattori, siano essi interni alle im- prese che riferiti al contesto esterno, è opportuno concentrare gli interventi con un approccio tale da raccordare le iniziative promosse per rendere più favorevole il contesto con quelle avviate dall’impre- sa e tenendo conto della specificità del settore. Un possibile piano di azioni per l’internazionaliz- zazione delle imprese biologiche dovrà in primo luogo partire dal rafforzamento di quello che è il punto di forza del settore, vale a dire la qualità certificata dei suoi prodotti, estendendola ad esempio ad altri caratteri di sostenibilità sociale e ambientale e/o a marchi di tipicità, e dovrà puntare a comunicazione e informazione efficaci riguardo a qualità, cultura d’origine, funzione d’uso dei prodotti, ecc.. In questo modo si potrà realizzare un recupero di valore, considerato che la maggiore differenziazione spinge l’azienda agroalimentare market oriented alla conoscenza del mercato e degli strumenti di marketing. In molte imprese esiste una conoscenza tacita su come produrre, comuni- care e vendere dettata dal buon senso e dall’esperienza, ma purtroppo non sempre sufficiente per affrontare con piena professionalità le sfide di un’economia globalizzata e in continuo mutamento. Gli imprenditori che, per la crescita della propria azienda, non considerano ancora con la dovuta at- tenzione le opportunità offerte dagli strumenti di management sono ancora numerosi: fermandosi ad un approccio “old economy”, essi rischiano di non cogliere potenzialità e benefici che tecnologie e conoscenze nate con la “new economy” possono apportare alle loro imprese. Va evidenziato che le imprese agroalimentari - soprattutto quelle caratterizzate da una dimensione media, da uno spicca- to orientamento alla commercializzazione e, complessivamente, da una configurazione tipicamente “imprenditoriale” - si trovano di fronte a una crescente complessità gestionale. Il personale delle aziende agroalimentari di dimensioni medie e medio-piccole non sempre possiede, ad esempio, le necessarie competenze per “dialogare alla pari” con i responsabili degli uffici acquisti della GDO. Si riscontrano in tale ambito limitate conoscenze circa il canale e i suoi bisogni, i principali indicatori di redditività e di produttività utilizzati dai retailer (indice di rotazione, produttività al metro quadro, ecc.), le esigenze in termini di packaging, nonché l’evoluzione degli strumenti di visual merchandi- sing e le modalità di fissazione dei prezzi di vendita. Infatti oggi il mercato richiede ad un imprendi- tore “consapevole” competenze relative: al Trade marketing, per un’efficace gestione dei rapporti con la GDO e con i dettaglianti tradizionali. al Business marketing (B2B), per la gestione delle relazioni con le altre imprese; al Consumer marketing (B2C), in generale per quanto attiene la distribuzione del prodotto ed in particolare qualora sviluppi rapporti diretti con il consumatore finale. Fra i diversi strumenti di management, il marketing rappresenta una risorsa preziosa e in continua evoluzione, su cui investire per migliorare i prodotti/servizi e stabilire un legame duraturo con i clienti. Il marketing d’impresa è parte di una strategia di mercato proattiva, dove è l’azienda a proporre prodotti e servi- zi sul mercato tramite precisi processi di analisi e tecniche di comunicazione. Per l’imprenditore è utile considerare il marketing come una disciplina orientata a fornire un set di strumenti analitici e operativi che permettono di conoscere e soddisfare bisogni e desideri dei clienti, tramite soluzioni efficaci e vantaggiose per entrambi. Il concetto di marketing può essere scomposto in due dimensioni
principali: il marketing strategico ed il marketing operativo. Il marketing strategico è l’insieme delle alternative di mercato in linea con gli obiettivi strategici dell’azienda. Il marketing strategico implica la stesura di un vero e proprio piano di marketing (comprendente obiettivi, previsioni, budget, strate- gie, programmi, procedure) o il ricorso ad un’analisi del mercato finalizzata almeno a:
1. conoscere i punti di forza e di debolezza della propria azienda;
2. conoscere i punti di forza e di debolezza della concorrenza;
3. comprendere i bisogni degli attuali e dei potenziali clienti.
Infatti, solo detenendo queste informazioni, l’imprenditore può elaborare una strategia efficace che stabilisca gli obiettivi di breve, medio e lungo termine e le modalità per raggiungerli in rapporto alle risorse disponibili quali competenze, denaro, tempo e andamento del mercato di riferimento al fine di ottenere un vantaggio competitivo e difendere nel tempo i fattori critici ottenuti a scapito della con- correnza. Le principali strategie che un’azienda può perseguire in termini di marketing sono basate sul vantaggio competitivo (leadership di costo, differenziazione, focalizzazione); sulle discipline del valore (eccellenza operativa, leadership di prodotto o stretto rapporto con il cliente); sui prodotti/ mercati. Tra queste ultime la più diffusa è la Matrice di Ansoff, anche nota come matrice prodotto- mercato. Elaborata dall’economista Xxxx Xxxxxx negli anni ’50, permette di determinare quattro strade per incrementare il proprio business attraverso prodotti (e/o servizi) esistenti o di nuova concezione, in mercati e/o territori esistenti o nuovi. La matrice di Ansoff si basa su quattro strategie: 1) penetra- zione del mercato, tramite l’introduzione di un prodotto esistente in un mercato esistente. In questo caso si tratta di attivare, ad esempio, politiche di prezzo o campagne pubblicitarie e di promozione. Ovviamente non è possibile ipotizzare l’adozione di questa strategia per aumentare in modo conti- nuativo la propria quota di mercato. 2) Sviluppo del prodotto, qualora un’azienda che controlla già un mercato decide di lanciare nuovi prodotti. Per consentire ad un’azienda di rimanere competitiva, lo sviluppo di nuovi prodotti è di cruciale importanza. 3) Sviluppo del mercato, laddove un’azienda decida di lanciare un prodotto esistente in un nuovo mercato: un prodotto esistente in un dato merca- to può essere ad esempio esportato in un segmento diverso di consumatori, a livello geografico o di settore. 4) Diversificazione, quando si tratta di trovare un nuovo prodotto e di inserirlo in un nuovo mercato. Questa strategia è caratterizzata da un alto rischio e da alti investimenti, ma in caso positivo garantisce i migliori risultati.
La commercializzazione dei prodotti biologici è ancora una questione irrisolta per molti agricoltori e produttori. Si tratta di un settore relativamente piccolo nel quale marketing e commercializzazione non si sono sviluppati sufficientemente per soddisfare le aspettative di tutti coloro che partecipano alla filiera, dai produttori ai consumatori.
I canali di distribuzione utilizzati fino ad ora per commercializzare questa tipologia di produzione sono cooperative di consumatori, vendita diretta al pubblico nei mercatini e nelle fiere, negozi bio- logici ed erboristerie. Le grandi compagnie che lavorano anche con i prodotti dell’agricoltura con- venzionale sono impegnate nell’export e contano sull’aiuto delle amministrazioni per promuovere i loro prodotti. Ci sono molti fattori che impediscono lo sviluppo commerciale dei piccoli produttori. Il principale è la mancanza di supporto da parte delle amministrazioni per la promozione del consumo interno. Secondo gli analisti del settore, il mercato mondiale di queste produzioni è cresciuto ininter- rottamente negli ultimi anni, ed è previsto che continui a crescere in futuro, grazie ai consumatori che sono sempre più interessati alla loro salute, piuttosto che all’ambiente, e più esigenti verso le aziende
di produzione.
Un aspetto positivo è che nuove opportunità commerciali sono nate proprio grazie allo sviluppo di canali di commercializzazione alternativi. Le nuove tecnologie offrono ai produttori illimitate possi- bilità. La vendita diretta online dei prodotti biologici, ad esempio, è consolidata come un’opportunità flessibile di vendita. I canali alternativi di distribuzione e vendita sono basati su un contatto diretto tra produttori e consumatori: è il caso dei mercati locali, della vendita diretta in azienda, delle fiere e dei gruppi di acquisto. L’obiettivo del marketing è quello di fare nel miglior modo possibile quello che si aspetta il cliente, tenendo presenti le sue esigenze ed obiettivi. I consumatori hanno l’esigenza di entrare in contatto con le organizzazioni (compagnie, aziende, ecc.) ed i loro prodotti al fine di realiz- zare “gli affari”. La determinazione delle condizioni con le quali i prodotti raggiungono il consuma- tore finale (prezzo, trasporto, imballaggio, posto in cui i prodotti possono essere trovati) fanno parte del processo complessivo di commercializzazione. Per i produttori è importante avere in mente tutte queste variabili quando elaborano una strategia di marketing, al fine di renderla efficace e praticabile sulla base delle risorse disponibili. Il primo passo è quello di conoscere il profilo del cliente o dei po- tenziali clienti. Questo permetterà di “capire” i loro bisogni, le aspettative e gli obiettivi riguardo alle produzioni biologiche, cosa si aspettano dal loro acquisto e, conseguentemente, di “aggiustare il tiro” ed offrire quello che permetterà di soddisfare questi bisogni. Il cliente “decide tutto”. In molti casi i consumatori sono inconsapevoli o non sono in grado di distinguere il valore aggiunto dei prodotti biologici, il loro reale valore ed il loro contributo alla sostenibilità rurale ed ambientale. È necessario comunicare tutte queste informazioni in modo che il cliente “senta” che vale le pena di acquistare prodotti biologici.
CAPITOLO 3.4 La commercializzazione del prodotto Bio
La commercializzazione dei prodotti biologici rappresenta un punto debole della filiera che va dal produttore al consumatore. Parte del problema può nascere all’inizio della fase di commercializza- zione: quando i produttori coltivano solo pochi ettari ed in forma non associata, privilegiando gli aspetti della qualità della vita rispetto a quelli economici. Ciò che più conta, specialmente all’ini- zio dell’attività, è l’acquisizione delle conoscenze sulle tecniche produttive. L’interesse principale dell’agricoltore è focalizzato sul rispetto degli standards al fine di ottenere la certificazione biologica delle produzioni. Tuttavia, una volta che si è risolto questo primo problema, è importante risolvere i problemi commerciali perché altrimenti cosa si fa poi con i prodotti ottenuti? I produttori cercano un contatto diretto con i consumatori, al fine di definire il prezzo migliore senza bisogno di intermediari e consulenti. Le principali forme di vendita diretta sono: quella in azienda e quella nei mercatini di strada. Tuttavia, anche se queste soluzioni sono di successo, possono richiedere grandi risorse per la gestione della vendita, che può diventare impossibile da gestire da soli. Inoltre, esiste un limite all’e- spansione della vendita diretta.
È bene ricordare che la filiera produttiva si compone di diversi passaggi: produzione, raccolta, con- servazione, trasformazione, vendita e consumo. Il consumo costituisce l’ultimo anello della catena. Un’attenzione particolare va riposta in quest’ultima fase, decisiva per l’assicurazione di un’alta qua- lità dei cibi e delle bevande, in grado di soddisfare i requisiti di freschezza e bontà che si attendono
i consumatori. Questa appena descritta viene considerata la filiera agroalimentare “lunga”. Con la filiera corta è più facile avere prezzi contenuti e, grazie al contatto diretto tra produttore e consuma- tore, è più facile capire quanto i costi di produzione incidano sul prezzo finale. Spesso gli alti prezzi sono infatti legati ai forti ricarichi effettuati dai distributori; con la filiera corta i produttori ricevono la giusta ricompensa al proprio lavoro ed i consumatori pagano il giusto.
Mercatini locali
In ogni caso la forma più efficace di marketing per la commercializzazione dei prodotti biologici rimane la vendita diretta. Le peculiarità del consumatore tipo di prodotti biologici fanno di questa tecnica la più importante ed efficace. Il contatto diretto tra produttore e consumatore è una delle ca- ratteristiche chiave della commercializzazione dei prodotti biologici.
Modelli alternativi di distribuzione
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza dei consumatori delle conseguenze delle loro scelte di acquisto sull’ambiente in generale e sulla loro salute in particolare. Inoltre il consumatore ha la grande possibilità di scegliere dove comprare. Alcune grandi catene di negozi al dettaglio hanno in- cluso alcuni prodotti biologici nella loro gamma di prodotti, sia nazionali che internazionali. Alcune commercializzano anche con il proprio marchio prodotti biologici, al fine di soddisfare tutte le diverse richieste della propria clientele. Questo dà anche maggiore prestigio al loro marchio.
CAPITOLO 3.5 Fattori che influiscono sulla scelta del canale distributivo
La vicinanza o lontananza dai centri di distribuzione cambia i costi di trasporto che l’agricoltore deve sostenere per conferire la produzione ai suddetti centri. In base al grado di coinvolgimento dell’a- gricoltore nella fase di distribuzione (se vi provvede da solo oppure se ha qualcuno che l’aiuta nella vendita), sarà più o meno facile mettere a punto tutti gli aspetti legati alla commercializzazione. Sulla scelta del modello di distribuzione influisce anche il suo livello di coinvolgimento sulle tematiche ecologiche. Molti agricoltori biologici non accettano il modello di agricoltura convenzionale ed il connesso modello distributivo: tengono infatti a cuore l’impatto ambientale, l’equità, combattono la globalizzazione, ecc.. In questi casi viene preferito un canale commerciale alternativo. Impatta anche il profilo del cliente: se sei un consumatore responsabile, sarai certamente meno sensibile alle differenze di prezzo e sarai più disposto a sopportare il disagio comportato dall’utilizzo dei canali di commercializzazione diretta (per esempio, in viaggio verso la fattoria), al contrario, se il cliente è un consumatore occasionale di prodotti biologici sarà più restio a modificare le sue abitudini di acquisto e, quindi, se il prodotto viene commercializzato al supermercato, può essere più disposto a comprarlo.
I mercati degli agricoltori vengono utilizzati in particolare per vendere prodotti freschi, ma è an- che possibile trovare prodotti trasformati. I prodotti freschi vengono praticamente venduti lo stesso giorno in cui sono stati raccolti, preservandone in tal modo il valore nutrizionale e divenendo quindi maggiormente attrattivi per il consumatore. Esistono anche dei risparmi considerevoli nei costi di tra- sporto, non essendo necessario far “viaggiare” molto il prodotto che deve raggiungere il consumatore.
L’e-commerce rappresenta poi un’opportunità unica per la commercializzazione dei prodotti. E-
commerce si riferisce a quelle transazioni realizzate attraverso Internet. Ci sono varie tipologie di e-commerce. Per i prodotti biologici quelle più conosciute sono:
Dall’azienda al cliente finale. Prevede che un’azienda venda direttamente i suoi prodotti ad un cliente finale. La vendita avviene direttamente attraverso un sito web, nel quale vengono inserite le infor- mazioni sull’azienda, sul processo produttivo, su come acquistare, i termini di consegna, ecc.. Per esempio nel caso di un’azienda che produca pomodori il consumatore può richiedere direttamente attraverso il sito web la cassetta di pomodori di cui ha bisogno. Queste cassette vengono poi spedite all’indirizzo dei clienti che, in alternativa, possono andarsele a prendere direttamente in azienda.
Dall’azienda ad un’altra azienda. Le aziende mettono direttamente i loro prodotti a disposizione di altre aziende o di industrie di trasformazione che necessitano di acquistare la materia prima. Per esempio, se un’azienda aderisce ad una cooperativa agricola che raggruppa produttori di verdure fresche ed ortaggi, è possibile dare ai ristoranti della zona la possibilità di acquistare questi prodotti attraverso Internet
L’agricoltore che vuole attivare un negozio virtuale, necessita di avere un sito web. Questo deve con- tenere le informazioni sui prodotti di cui necessitano la cooperativa od i gruppi di produttori, insieme ai quali l’azienda vuole effettuare le vendite a distanza. Per realizzare un negozio virtuale sulla pagina web è necessario:
1. Avere un servizio di hosting, che supporti i data base.
2. Acquistare un certificato SSL o Server di sicurezza. Questo permette di gestire in sicurezza i dati dei clienti e delle transazioni commerciali con la banca.
3. Realizzare una vetrina virtuale o “carrello di vendita”.
La maggior parte dei provider Internet offrono questi servizi. Per permettere ai clienti di pagare con le carte di credito, in quanto venditore, l’agricoltore deve aprire un conto presso una banca od ente fi- nanziario, che sarà la “porta” attraverso cui transiteranno i pagamenti del negozio virtuale. Quando di entra in un negozio virtuale “sicuro” questo viene indicato da un piccolo lucchetto chiuso che appare nella parte bassa della pagina web.
ELENCO ORGANISMI DI CONTROLLO AUTORIZZATI PER LE PRODUZIONI BIOLOGICHE
(aggiornato al 6 dicembre 2016)
Codice | Denomina- zione | Via | CAP | Comune | Prov. | Sito Web | Produzioni | |
1 | IT-BIO-002 | CODEX Srl | Xxx Xxx X. Xxxxxx 0 | 00000 | Xxxxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione | |
2 | IT-BIO-004 | Suolo e Salute Srl | Sede Legale: Xxx Xxxxx Xxx- xxxxxxx 00/x | 00000 | Xxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione | |
Direzione Tecnica: Xxx Xxxxxxxx 00 | 00000 | Xxxxxxx | XX | |||||
3 | IT-BIO-005 | BIOS Srl | Xxx Xxxxxxxx- xx 0 | 00000 | Xxxxxxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Acquacoltura Preparazione Importazione | |
4 | IT-BIO-006 | ICEA | Xxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx 00 | 00000 | Xxxxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Acquacoltura Preparazione Importazione | |
5 | IT-BIO-007 | Bioagricert Srl | Xxx xxx Xxxx- xxxxxxx 0 | 00000 | Xxxxxxxxxxx xx Xxxx | XX | www.bioagricert. org | Vegetale Vino Zootecnico Acquacoltura Preparazione Importazione |
6 | IT-BIO-008 | Ecogruppo Italia Srl | Via Xxxxxx Ma- scagni 79 | 00000 | Xxxxxxx | XX | www.ecogruppoi- xxxxx.xx | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione |
7 | IT-BIO-009 | CCPB Srl | Xxxxx Xxxxxx 00 | 00000 | Xxxxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Acquacoltura Preparazione Importazione | |
8 | IT-BIO-012 | SIDEL CAB SPA | Xxx Xxxxxx 00 | 00000 | Xxxxxxxxx xx Xxxxxxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione | |
9 | IT-BIO-013 | ABCERT Srl | Xxx Xxxxxxxxx 00 | 00000 | Xxxxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione |
10 | IT-BIO-014 | QC Srl | Villa Parigini località Ba- sciano | 53035 | Monteriggioni | SI | Vegetale Vino Zootecnico Acquacoltura Preparazione Importazione | |
11 | IT-BIO-015 | Valoritalia Srl | Sede legale: Xxx Xxxxx 00 | 00000 | Xxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione | |
Sede Operativa: Xxxxxx Xxxx 00 | 00000 | Xxxx | XX | |||||
12 | IT-BIO-016 | SIQURIA SPA | Xxx Xxxxxxxxx 00 | 00000 | Xxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione | |
13 | IT-BIO-017 | CEVIQ Srl | Xxx Xxxxxxxx 0 | 00000 | Xxxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione | |
14 | IT-BIO-018 | Agroqualità SPA | Xxx Xxxxxx Xxxxxx 000 | 00000 | Xxxx | XX | Vegetale Vino Zootecnico Preparazione Importazione |
ELENCO ORGANISMI DI CONTROLLO AUTORIZZATI
PER LE PRODUZIONI BIOLOGICHE NELLA SOLA PROVINCIA DI BOLZANO
Codice | Denomina- zione | Via | CAP | Città | Stato | Sito Web | Produzioni | |
1 | ITBIO001BZ | BIKO - Tirol | Xxxxxxx-Xxxxx- Xxxxxx 0 X | 0000 | Xxxxxxxxx | XXXXXXX | Vegetale Vino Zootecnico | |
2 | ITBIO002BZ | IMO - Institut für Marktöko- xxxxx | Xxx-Xxxxxxxxx- Xxx., 00 - X | 00000 | Xxxxxxxx | XXXXXXXX | www.imo-control. net | Vegetale Vino Preparazione |
3 | ITBIO003BZ | QC&I GmbH | Xxxxxxxxxxxxxx 000 X | 00000 | Xxxx | XXXXXXXX | Vegetale Vino Preparazione |
BIBLIOGRAFIA
Regolamento (CE) n.834/2007, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti bio- logici, che abroga il regolamento (CEE) n.2092/91
Regolamento (CE) n.889/2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n.834/2007, per quanto riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli
La certificazione dei prodotti biologici, Ferrucci D., Articolo, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, n.208 - Mar- zo 2015
I sistemi di certificazione dei prodotti agroalimentari, Ferrucci D., Articolo, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx,
n.217 - Settembre 2015
Fonti dati, studi ed analisi: ISMEA, sito internet Coldiretti, sito internet Assobio, Bioreport 2016