UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M. FANNO”
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA
PROVA FINALE:
“I DEPOSITI IVA ED IL CONTRATTO DI CONSIGNMENT STOCK”
RELATORE:
XX.XX XXXX. XXXXXXXX XXXXXXXX
LAUREANDO: XXXXXXX XXXXXX
MATRICOLA N. 1089965
ANNO ACCADEMICO 2016-2017
Sommario
CAPITOLO 1 – Depositi IVA ed introduzione al deposito doganale 9
1.2 Definizione e caratteristiche deposito IVA 9
1.3 Apertura del deposito IVA 10
1.4 Le operazioni agevolate 11
1.6 Introduzione dei beni in deposito 12
1.6.2 Introduzione dei beni da parte di un operatore nazionale 13
1.6.4 Introduzione dei beni da parte di un operatore extra UE 15
1.6.5 Cessioni di beni con conseguente introduzione in un deposito IVA: 16
1.6.6 Deposito IVA tra soggetti passivi d’imposta nazionale: 16
1.7 Custodia dei beni in deposito 17
1.8 Estrazione dei beni dal deposito 19
1.8.1 Estrazione con commercializzazione ovvero utilizzazione dei beni nel territorio dello Stato italiano: 19
1.8.2 Estrazione con spedizione in altro Stato Unitario: 21
1.8.3 Estrazione con esportazione in un paese terzo: 22
1.8.4 Estrazione e trasferimento dei beni in altro deposito: 22
CAPITOLO 2 – Il contratto di consignment stock 27
2.2 Definizione e normativa del contratto di consignment stock 27
2.3 Il trasferimento della proprietà nel contratto di consignment stock 28
2.4 Similitudini tra consignment stock e call-off stock 30
2.5 La stipulazione del contratto 31
2.6 Il profilo contabile del contratto di consignment stock 31
2.7 Il contratto di consignment stock nel caso di cessione intraUE 32
2.8 Il contratto di consignment stock nel caso di acquisto intraUE 34
2.9 Il contratto di consignment stock nelle operazioni triangolari comunitarie 34
2.10 Esportazioni e contratto di consignment stock 35
2.11 Importazioni e contratto di consignment stock 36
2.12 I vantaggi portati dal contratto di consignment stock in un assetto transnazionale 38
2.12.1 Vantaggi del cessionario: 38
2.12.2 Vantaggi del cedente 38
INDICE DELLE FONTI NORMATIVE 45
INTRODUZIONE
L’elaborato si propone di descrivere dettagliatamente il funzionamento del contratto “atipico” di consignment stock, evidenziando le virtuose sinergie che si possono creare dalla sua applicazione su merci vincolate in depositi fiscali ai fini IVA ovvero in depositi doganali; è organizzato in due capitoli, oltre ad una breve introduzione e conclusione.
Nel primo capitolo viene approfondita la disciplina riguardante i depositi IVA, con particolare riferimento all’evoluzione normativa che negli ultimi anni ha profondamente modificato il tema trattato; segue un’introduzione ai depositi doganali.
Il secondo capitolo è invece dedicato al contratto di consignment stock, con l’obiettivo di sottolineare i notevoli vantaggi che il suo impiego porta alle aziende, specie se combinato a depositi IVA ovvero doganali: ricopre un ruolo fondamentale nella gestione della supply chain, spingendo l’azienda ad avere scorte in magazzino pressoché nulle, con conseguente diminuzione degli oneri a proprio carico.
Nello svolgimento dell’elaborato particolare importanza viene data all’evoluzione interpretativa dell’Agenzia delle Entrate, nel tentativo di favorire gli scambi commerciali internazionali tra le imprese e di controllandone gli aspetti economici e fiscali.
Infatti il contratto di consignment stock la cui genesi è “industriale” nel senso che è stato elaborato dalla pratica al fine di favorire gli scambi di merce, è stato via via riconosciuto e normato ai fini fiscali elevandosi a strumento non solo a contenuto contrattuale ma anche in grado di integrarsi alla normativa fiscale vigente, raggiungendo così anche il riconoscimento di “strumento di ingegneria fiscale”.
CAPITOLO 1 – Depositi IVA ed introduzione al deposito doganale
1.1 Introduzione
I depositi IVA sono stati introdotti nel nostro ordinamento giuridico nazionale dall’art. 50 bis del Dl.
n. 331/1993 e sono divenuti pienamente operativi dopo il recepimento della Direttiva n. 95/7/Ce (Seconda Direttiva IVA), con Legge n. 28 del 18 febbraio 1997 e successivo Regolamento n. 419 del 18 dicembre 1997.
I depositi fiscali ai fini IVA rispondono alla duplice esigenza del legislatore europeo di favorire l’introduzione di beni in una specifica Nazione con sistemi sospensivi riguardanti l’IVA e di promuovere lo sviluppo dell’intero mercato europeo, prestando attenzione ad eventuali politiche aggressive realizzate da paesi extraeuropei.
1.2 Definizione e caratteristiche deposito IVA
Un deposito IVA è definito come un luogo fisico, situato nel territorio Italiano, nel quale operatori nazionali ed unitari possono introdurre, custodire e sottoporre a lavorazioni in appositi spazi adibiti ed autorizzati a deposito beni nazionali ed unitari, nonché beni extra UE dopo l’immissione dei suddetti in libera pratica con il pagamento dei dazi doganali, secondo le modalità specificate nel proseguo della trattazione1.
I beni introdotti non possono inoltre essere destinati alla vendita al dettaglio all’interno del deposito stesso.
Il deposito IVA differisce quindi dal deposito doganale, di cui si dirà più avanti, in quanto quest’ultimo tratta beni extra UE, anche se può contestualmente assolvere le funzioni di deposito IVA.
Il legislatore italiano fa specifico riferimento ad un luogo fisico, per cui non si potrà parlare di deposito IVA in assenza di un locale idoneo, in quanto non sono consentiti depositi virtuali, come confermato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 15/E/2015 la quale definisce il deposito IVA come “un luogo fisico nel quale la merce viene introdotta, staziona e poi viene estratta”2.
1 Le modalità di immissione in libera pratica sono espresse nell’art. 201 del Regolamento n. 952/2013/Ue.
2 X. Xxxxxxxxxx, “Depositi IVA e depositi doganali”, Gruppo Sole 24 Ore, 2017.
La caratteristica peculiare che rende i depositi IVA degli strumenti agevolativi consiste nel fatto che per i beni introdotti in un deposito il momento in cui si dovrà assolvere l’imposta non coincide con l’introduzione del bene, bensì con l’estrazione: questo rinvio al futuro agevola sensibilmente gli scambi tra operatori.
1.3 Apertura del deposito IVA
Per aprire un deposito IVA conto proprio è necessario richiedere l’apposita autorizzazione al direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate (o delle provincie autonome di Trento e Bolzano ovvero della Valle d’Aosta), la quale deve anche essere inoltrata, per conoscenza, all’Ufficio delle Entrate competente.
L’Amministrazione Finanziaria, verificati i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti di cui si dirà più avanti, ha un termine di 180 giorni dalla data in cui la richiesta è pervenuta per rilasciare o negare l’autorizzazione.
Sono esonerati da tale richiesta soggetti che già operano con depositi doganali, depositi franchi, imprese esercenti magazzini generali con autorizzazione doganale e depositi fiscali per prodotti soggetti ad accisa: questi soggetti devono solamente comunicare l’apertura del deposito IVA alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate e, per conoscenza, all’Ufficio doganale, il quale ha l’obbligo di vigilanza e di verifica del rispetto dei requisiti soggettivi ed oggettivi.
L’autorizzazione può in ogni caso essere revocata nei casi in cui vengano meno i requisiti, ovvero nei casi di gravi irregolarità nella tenuta del deposito.
In particolare i requisiti oggettivi e soggettivi per ottenere l’autorizzazione sono:
Il richiedente non deve aver commesso violazioni gravi e reiterate nel rispetto della normativa sull’imposta sul valore aggiunto;
Il richiedente non deve essere sottoposto a procedimenti penali e non deve avere condanne per determinati reati finanziari3.
Il richiedente non deve essere sottoposto a procedure fallimentari, di liquidazione, di amministrazione controllata o di concordato preventivo;
Il richiedente deve aver la disponibilità di locali idonei ai fini di deposito IVA.
Nel caso in cui venga richiesta l’autorizzazione per un deposito conto terzi, devono essere rispettate ulteriori condizioni oggettive rispetto ai depositi conto proprio, in quanto l’art. 50 bis, comma 2, del
3 Ci si riferisce ai reati finanziari previsti dal Dlgs. n. 74/2000
Dl. n. 331/1993 prevede che il richiedente deve essere una società di capitali con capitale sociale non inferiore ad Euro 516.456,90 (1 miliardo di Lire, come riportato nella norma) ed il fondo di dotazione non deve essere inferiore a tale cifra: tuttavia queste ultime condizioni non sussistono in caso di esecuzione di un contratto di consignment stock, dove, come si vedrà più avanti, il cedente comunitario individua come cliente finale il depositario dei beni.
1.4 Le operazioni agevolate
Le operazioni riguardanti i depositi IVA non sono assoggettate all’imposta per l’intera durata del regime, pur essendo classificate come operazioni in campo IVA; non si tratta quindi di operazioni comparate a quelle con l’estero, per le quali vige il regime di non imponibilità, ma sono delle vere e proprie operazioni interne quindi, nel momento in cui i beni entrano in contatto con un soggetto passivo d’imposta, deve contestualmente essere emessa fattura contenente tutti gli elementi caratteristici ed essenziali previsti dall’art. 21 del Dpr. n. 633/1972, oltre alla dicitura che l’operazione non è soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4, del Dl. n. 331/19934.
A conferma del trattamento normativo riservato a dette operazioni, la circolare del Ministero delle Finanze n. 328 del 24 dicembre 1997 ribadisce che esse, in quanto definite imponibili, danno diritto alla detrazione dell’imposta pagata sui relativi acquisti.
Le operazioni agevolate possono essere schematicamente riassunte in questo modo:
Introduzione in deposito di beni in seguito ad acquisti intra UE;
Immissione in libera pratica di beni con assolvimento della fiscalità doganali;
Cessioni con introduzione in un altro deposito IVA;
Cessioni euro-unitarie ed extra UE di beni custoditi ovvero estratti dai depositi;
Esportazioni di beni estratti dai depositi;
Prestazioni di servizi sui beni custoditi in deposito, compreso il perfezionamento e le manipolazioni usuali. Possono anche essere eseguite in locali limitrofi purché le merci non permangano fuori dal deposito per un periodo superiore ai 60 giorni.
4 Per un approfondimento sulle operazioni in campo IVA e sulle operazioni con l’estero si rimanda a X. Xxxxxx, “Principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza”, X. Xxxxxxxxxxxx Editore, 2016.
1.5 I soggetti
Il depositario ed il depositante sono le due figure chiave nel regime dei depositi IVA, in quanto sono funzionali ed essenziali all’esecuzione del contratto stesso, assumendo reciprocamente una serie di obblighi e diritti riferibili alle fasi di introduzione, stazionamento ed estrazione dei beni dal deposito5.
Al depositario vengono inoltre richiesti determinati adempimenti contabili per ricoprire questo ruolo: il comma 3 dell’art. 50 bis del Dl. n. 331/1993, prevede che il depositario debba rilevare le varie operazioni d’introduzione e di estrazione dei beni custoditi in un apposito registro, custodito ai sensi dell’art. 39 del Dpr. n. 633/1972 e tenuto secondo le modalità specificate dal Dm. n. 419 del 18 novembre 1997; non devono invece essere rilevate in detto registro le operazioni che avvengono all’interno del deposito, in quanto è sufficiente conservare i documenti amministrativi emessi dai singoli operatori, i quali devono comunque essere scrupolosamente controllati dal depositario6.
In particolare nel registro devono essere riportate tutte le caratteristiche atte al riconoscimento ed alla corretta classificazione dei beni quali: quantità, qualità, corrispettivo o valore nominale, provenienza di quelli introdotti e destinazione di quelli estratti, soggetti per conto dei quali i beni vengono introdotti od estratti; molte di queste informazioni entrano direttamente nella sfera conoscitiva del depositario tramite i documenti consegnati dal depositante, i quali devono essere sottoposti a controllo per evitare eventuali dichiarazioni mendaci.
Si passa ora ad analizzare gli obblighi in capo al depositario ed al depositante in relazione alle fasi di introduzione, custodia ed estrazione dei beni dal deposito.
1.6 Introduzione dei beni in deposito
È la fase durante la quale avviene la sospensione dell’obbligo di versare l’imposta sul valore aggiunto, a patto che siano soddisfatti determinati requisiti.
E’ utile distinguere le varie casistiche che possono presentarsi:
1.6.1 Introduzione dei beni in un deposito da parte di un operatore identificato in altro Stato Membro: affinché si possa applicare il particolare regime fiscale, il depositante deve
5 Obblighi e diritti previsti dalla disciplina dei depositi IVA che costituiscono una rilettura “fiscale” del contenuto naturale del contratto di deposito, civilisticamente definito dall’ all’art. 1766 del Codice Civile, come quel contratto mediante il quale “una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla”.
6 Come si analizzerà successivamente specifiche responsabilità in capo al depositario nella fase di estrazione dei beni dal deposito sono state recentemente introdotte dal Dl. n. 193/2016.
rispettare determinati requisiti soggettivi che il depositario deve verificare, tra i quali spicca l’obbligo di quest’ultimo di richiedere al primo se dispone di una propria posizione IVA nel territorio italiano: infatti nel caso in esame si tratta di una condizione necessaria per introdurre i beni in deposito.
Se l’operatore non possiede detta posizione IVA, ai sensi dell’art 17 del D.P.R. 633/1972 può, alternativamente7:
Nominare un rappresentante fiscale;
Identificarsi all’ufficio competente ai fini IVA, con conseguente attribuzione di un codice identificativo;
Istituire una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
Solitamente l’operatore decide di nominare un rappresentante fiscale, che può essere il depositario stesso: l’istituto prevede che la nomina risulti da atto pubblico, scrittura privata autenticata o da comunicazione effettuata all’ufficio competente IVA e deve essere antecedente l’esecuzione delle operazioni.
Nel caso in esame la rappresentanza è definita “leggera”, in quanto consente al soggetto non residente di porre in essere atti fiscalmente rilevanti nel territorio italiano e di mantenere ancora lo status di soggetto non residente.
In particolare ai sensi dell’art. 17 del Dpr. n. 633/1972 è stabilito che detta rappresentanza vale per le operazioni intra UE, per le importazioni e le operazioni che non comportano il pagamento delle imposte, come chiarito dalla circolare n. 12/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate8.
1.6.2 Introduzione dei beni da parte di un operatore nazionale: il depositario deve verificare la sussistenza di uno dei seguenti casi, condizione senza la quale il soggetto non può introdurre i beni in un deposito IVA9:
Vengono introdotti beni di origine extra UE che l’operatore ha personalmente provveduto ad immettere in libera pratica nel territorio nazionale o di altro Stato Membro. Merita attenzione il procedimento di immissione in libera pratica di beni provenienti da paesi extra UE, condizione sine qua non per usufruire delle
7 “Shipping & Fisco 2° ed.”, 2011, a cura di Agenzia delle Entrate, Spediporto, Camera di Commercio di Genova.
8 X. Xxxxxxxxxx, “Depositi IVA e depositi doganali”, Gruppo Sole 24 Ore, 2017.
9 Casi previsti dall’art. 50 bis del D.L. n. 331/1993.
agevolazioni derivanti dai depositi IVA, di cui si dirà parlando del contratto di
consignment stock;
I beni introdotti sono stati acquistati da un soggetto identificato ai fini IVA in un altro stato membro: si tratta di un acquisto euro-unitario, di cui si dirà più avanti;
I beni introdotti vengono ceduti ad un operatore unitario identificato ai fini IVA o ad altro operatore nazionale ovvero extra UE. Contestualmente all’introduzione l’operatore emetterà una fattura senza imposta, dato che i beni saranno assoggettati al regime del deposito IVA.
Merita attenzione la possibilità per l’operatore nazionale di introdurre in un deposito IVA dei beni acquistati da un operatore unitario in virtù di un contratto di consignment stock, di cui si dirà più avanti.
1.6.3 Acquisto intra UE: affinché si possa applicare la disciplina relativa ai depositi IVA si deve trattare di un acquisto oneroso di beni mobili che intercorre tra un operatore nazionale ed un soggetto identificato ai fini IVA in un altro Stato Membro, con conseguente introduzione degli stessi in un deposito, rispettando le condizioni poste dall’art.38 del Dl. n. 331/199310.
In particolare il depositante, nominando un rappresentante fiscale “leggero” (può essere lo stesso depositario, come specificato precedentemente), può porre in essere atti fiscalmente rilevanti nel territorio italiano.
Grazie a questo potere di rappresentanza il depositario, conservando ed integrando le fatture intra UE emesse dal depositante e presentando i modelli Intra 2 e 2 bis in dogana (riepilogativi delle operazioni intra UE), riesce a regolarizzare le operazioni di acquisto e la relativa introduzione dei beni in deposito, senza tuttavia presentare la dichiarazione IVA e tenere i relativi libri.
Per parlare di acquisto intra UE devono essere rispettati contemporaneamente tre requisiti espressamente previsti dall’art.38 del Dl. n. 331/1993, la cui mancanza fa venir meno detta qualifica:
1. Soggettivo: I soggetti effettuanti le operazioni devono essere entrambi identificati ai fini IVA nei rispettivi territori nazionali, in quanto la mancanza di detto requisito
10 X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, “IVA nei rapporti con l’estero: operazioni intra UE e triangolazioni. Elenchi Intrastat. Esportazioni abituali e depositi IVA. Comunicazione operazioni black list”, Gruppo Sole 24 Ore, 2012.
configura operazioni che rientrano nel sistema IVA interno, come le cessioni che avvengono verso privati.
Fanno eccezione le vendite effettuate a privati per corrispondenza, in quanto l’art.41 del Dl. n. 331/1993 stabilisce che dette operazioni si considerano imponibili nello stato di destinazione a patto che nell’anno solare il loro ammontare verso un determinato stato non superi una determinata soglia (in Italia il limite è di Euro 30.000), superata la quale l’operazione viene posta a tassazione in Italia11.
2. Oggettivo: l’operazione deve comportare il passaggio oneroso da un operatore all’altro della proprietà o di altro diritto reale di godimento, in quanto le operazioni gratuite sono assoggettate ad imposta nel paese del cedente, e di conseguenza non sono mai classificate come operazioni intra UE.
3. Territoriale: deve esserci il passaggio dei beni da un territorio all’altro, in quanto in caso contrario l’operazione sarà soggetta al sistema IVA interno.
Nel medesimo articolo sono previste delle deroghe, in quanto:
Pur in presenza dei tre requisiti appena menzionati non sono mai considerati acquisti intra UE quelli relativi ad impianti o macchinari con installazione nel territorio italiano da parte del fornitore; quelli relativi a beni assoggettati ad esonero nello stato del cedente in quanto relativi alla disciplina delle piccole imprese; quelli relativi a lavorazioni come manutenzione o manipolazione nel caso in cui i beni al termine siano reintrodotti nello Stato del committente.
Sono invece sempre considerati acquisti intra UE, pur in assenza dei requisiti sopra menzionati, i semplici trasferimenti di beni da uno Stato all’altro da parte di un operatore unitario per le esigenze della propria impresa a patto che nomini un rappresentante fiscale che regoli le operazioni. Sono sempre considerati intra UE anche gli acquisti di mezzi di trasporto nuovi, le cui condizioni sono fissate nello stesso Dl. n. 331/1993.
1.6.4 Introduzione dei beni da parte di un operatore extra UE: purché non espressamente previsto dall’art.50 bis del Dl. n. 331/1993, può succedere che un soggetto extra UE abbia interesse ad introdurre della merce in un deposito IVA.
In questo caso dovrà aprire una posizione IVA in Italia, a meno che l’operazione sia senza imposta, in quanto, la circolare n. 12/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che in quest’ultimo caso il depositario può essere nominato rappresentante fiscale “leggero”.
11 Si tratta di una deroga all’art.7 del Dpr. n. 633/1972.
1.6.5 Cessioni di beni con conseguente introduzione in un deposito IVA: mentre una volta le condizioni per ottenere i benefici dell’art. 00 xxx xxx Xx. x. 000/0000 xxxxx che la cessione dovesse avvenire con introduzione dei beni in un deposito IVA ed il cessionario dovesse essere esclusivamente soggetto passivo d’imposta in uno Stato Membro, con il Dl. n. 193/2017 ed a decorrere dal 1° aprile 2017 dette agevolazioni sono state estese ad ogni tipo di cessione eseguita mediante introduzione in un deposito IVA.12
Si pensi ad un operatore nazionale che, dopo aver ceduto determinati beni ad un operatore appartenente ad altro Stato Membro, introduca gli stessi in un deposito IVA. Non si tratta assolutamente di una cessione intra UE ma di un’operazione interna senza assoggettamento dell’IVA: in particolare il cedente nazionale emetterà la fattura a favore dell’operatore UE specificando il titolo di non assoggettamento ad IVA ed il codice identificativo dell’acquirente ed introdurrà personalmente i beni nel deposito; non trattandosi di cessione unitaria non saranno nemmeno dovuti gli adempimenti riguardanti i modelli Intrastat.
Il depositario inoltre dovrà, oltre agli obblighi visti precedentemente, verificare la correttezza della fattura ricevuta, la quale deve riportare un codice identificativo dell’acquirente ed annotarla nell’apposito registro del deposito.
Il cessionario invece non avrà nessun adempimento ai fini IVA in quanto ha posto in essere un’operazione per lui fuori campo in quanto non è presente il requisito soggettivo: potrà dunque effettuare le operazioni necessarie sulle merci depositate senza alcun obbligo IVA, sino al momento della loro estrazione.
1.6.6 Deposito IVA tra soggetti passivi d’imposta nazionale: mentre una volta dette transazioni potevano eseguirsi solo se aventi ad oggetto beni specifici (i beni interessati erano indicati all’allegato A bis del Dl. n. 331/1993), a partire dal 1° aprile 2017 viene rimosso ogni limite riguardante le caratteristiche dei beni trattati, estendendo il non assoggettamento ad IVA a tutte le operazioni che avvengono nei confronti di un soggetto passivo identificato in Italia, con conseguente introduzione dei beni in un deposito. Come nel caso precedente il cedente nazionale dovrà limitarsi a fatturare la cessione specificando il titolo di non assoggettamento all’imposta e procederà all’introduzione dei beni nel deposito.
Il cessionario nazionale dovrà invece annotare sul registro degli acquisti la fattura, indicando semplicemente, al posto dell’IVA, il titolo di non assoggettamento.
12 X. Xxxxxxxxxx, “Depositi IVA e depositi doganali”, Gruppo Sole 24 Ore, 2017.
Il depositario, una volta presi in carico i beni dall’operatore nazionale dovrà verificare che la fattura indichi il titolo di non assoggettamento ad IVA ed annotarla nell’apposito registro, indicando come proprietario ed acquirente il relativo cessionario.
1.7 Custodia dei beni in deposito
I beni introdotti in un deposito IVA possono, ai sensi dell’art. 50 bis del Dl. n. 331/1993 essere oggetto di prestazioni di servizio o cessioni senza assoggettamento ad imposta solamente nel lasso di tempo in cui permangono all’interno del deposito stesso; questo è possibile per favorire le esigenze degli operatori interessati ad effettuare vendite a catena ed in particolare, essendo l’agevolazione di carattere oggettivo, prescinde dal soggetto che pone in atto l’operazione, agevolando gli operatori non residenti (si intendono sia i soggetti UE che extra UE) in quanto non sorge nessun adempimento IVA nei loro confronti. 13
L’unica eccezione è che non sono consentite, all’interno del deposito IVA, vendite di beni al minuto, in quanto si tratterebbe di un sistema atto all’evasione dell’imposta.
L’obbligo di versare l’imposta nascerà quindi solo nel momento dell’estrazione dei suddetti beni dal deposito, come specificato dalla Direttiva n. 2006/112/Ce.
Il legislatore italiano non ha nemmeno posti limiti alle prestazioni di servizio realizzabili all’interno di un deposito IVA, tra le quali spiccano le trasformazioni, le intermediazioni e le manipolazioni (in altri stati europei sono ammesse le sole manipolazioni).
Detta caratteristica dei depositi IVA attribuisce loro l’accezione di “black box”, le cui operazioni, come specificato dalla Dichiarazione IVA 2016, non devono essere considerate “fuori campo IVA” in quanto sono comunque dovuti gli adempimenti ai sensi del Dpr. n. 633/1972.
Distinguiamo in particolare gli adempimenti in capo ai vari soggetti passivi d’imposta:
o Operatore soggetto passivo d’imposta in Italia: per le operazioni attive (passive) deve emettere fattura (autofattura), registrarla con relativo titolo di non assoggettamento ad IVA, riepilogare le operazioni nella dichiarazione IVA e farle rientrare nel volume d’affari (nel solo caso delle operazioni attive).
13 X. Xxxxxx, “I depositi IVA: modalità operative e vantaggi economico-finanziari”, Editoria Aziendale Diamint, 2011.
Per quanto riguarda le sole operazioni attive, come specificato nella circolare n. 328/E/97 dell’Agenzia delle Entrate, non contribuiscono mai alla formazione del plafond e danno diritto alla detrazione dell’imposta sostenuta dal cedente.
o Operatore soggetto passivo d’imposta in altro Stato, euro-unitario od extra UE: sia le operazioni attive che quelle passive non comportano nessuna obbligazione ai fini IVA.
Durante la custodia l’obbligo preponderante in capo al depositario consiste nel tener sotto controllo tutti i beni depositati e di conservare adeguatamente i relativi documenti, oltre ad evitare che essi vengano consumati, cosa vietata in quanto le transazioni aventi ad oggetto i beni custoditi avvengono senza pagamento dell’imposta.
In particolare il depositario nel caso di cessione o prestazione di servizi dovrà richiedere e conservare un documento riportante tutte le caratteristiche oggettive e soggettive dei beni riguardanti l’operazione ed i soggetti interessati, una fattura od autofattura e, nel caso in cui siano trattati alle borse merci, una distinta dove sono riportati i vari passaggi dei titoli di credito. Dovrà inoltre monitorare le operazioni effettuate sulle merci in deposito, al fine di controllare l’eventuale incisione sul loro valore.
Il deposito dovrà essere gestito con una contabilità analitica ed informatica, in modo da avere la situazione sotto controllo anche per le verifiche da parte delle istituzioni competenti.
Per quanto riguarda le prestazioni di servizi la normativa prevede che possano essere effettuate anche nei locali limitrofi al deposito, con il fine di consentire eventuali lavorazioni effettuabili solo in specifici luoghi: è una possibilità limitata ad un arco temporale di 60 giorni.14 Il depositario deve inoltre annotare su apposito registro di carico e scarico i beni che lasciano il deposito, quelli che vi rientrano e la durata dell’operazione, per scongiurare ogni intento evasivo in quanto si tratta comunque di un’estrazione.
Problematica è la definizione geografica attribuibile a “locali limitrofi”, e sul punto l’Agenzia delle Entrate è intervenuta dapprima con la risoluzione n. 149/E/2000 e poi con la circolare n. 12/E/2015 definendoli come “locali che pur non costituendo parte integrante del deposito son a questi funzionalmente e logisticamente collegati in un rapporto di contiguità e comunque rientranti nel complesso aziendale del depositario, qualunque sia il titolo di detenzione, con esclusione, in ogni caso, di locali gestiti da soggetto diverso dal depositario”.
Specificando l’assoggettamento a detta agevolazione da parte dei soli beni custoditi in deposito, si escludono tutte quelle realizzate in un periodo estraneo a quello della custodia, pur se riferito agli
14 Possibilità prevista dall’art. 50 bis, comma 4, lett. h), del Dl. n. 331/1993.
stessi beni (si pensi a prestazioni effettuate prima dell’introduzione o dopo l’estrazione); sono ad esempio incluse le spese di trasporto dal deposito ad un locale limitrofo per un’eventuale lavorazione delle merci, mentre sono escluse le spese di trasporto dal cedente al cessionario, con conseguente introduzione dei beni nel deposito. L’Agenzia delle Entrate ha anche specificato che non possono considerarsi incluse le spese per l’immissione in libera pratica dei beni.
Con la circolare n. 12/E/2015 ha inoltre specificato che si intende esteso il regime del deposito IVA anche ai beni che, una volta presi in carico dal depositario, vengano direttamente custoditi nel deposito limitrofo per subire le prestazioni di servizi necessarie, e solo successivamente introdotti in deposito, a meno che non si intenda immediatamente rivenderli (si pensi ad un carico di petrolio che prima di esser stoccato nel deposito deve essere raffinato in un locale limitrofo): questo non contrasta con la caratteristica del deposito IVA, considerato un luogo fisico dove i beni devono essere introdotti fisicamente, non virtualmente.
Ulteriore limite che si ricava implicitamente dalla natura del deposito IVA, nonostante non sia menzionato dalla normativa italiana e unitaria, consiste nell’impossibilità di effettuare prestazioni di servizi che mutino le caratteristiche della merce, come la classificazione e la natura.
1.8 Estrazione dei beni dal deposito
Fulcro della disciplina dei depositi IVA riguarda il momento dell’estrazione dei beni, momento delicato come quello dell’introduzione in quanto viene meno la condizione sospensiva riguardante l’imposta e sorge l’obbligo di versarla, se dovuta, nella stessa misura e nello stesso modo che si sarebbe dovuta versare in assenza del particolare regime sospensivo.15
In particolare l’estrazione coincide sempre con il venir meno del regime sopracitato, tranne nei casi di trasferimento dei beni in locali limitrofi al deposito per ricevere una o più prestazione di servizi (di cui si è detto prima) o nel caso di trasferimento degli stessi in un altro deposito IVA: entrambe le eccezioni sono espressamente previste nell’art. 50 bis, comma 4, del Dl. n. 331/1993.
Nel perfezionare l’operazione è opportuno individuare la destinazione giuridica e commerciale dei beni, in quanto mutano sostanzialmente gli adempimenti necessari. I casi che si possono presentare sono i seguenti:
1.8.1 Estrazione con commercializzazione ovvero utilizzazione dei beni nel territorio dello Stato italiano: in questo caso l’operatore che estrae i beni deve rispettare il requisito di essere un
15 Si fa riferimento all’art. 16 della Direttiva n. 388/77/Cee.
soggetto passivo d’imposta italiano (dunque si escludono operazioni effettuate da operatori privati ovvero intra UE/extra UE), in quanto solo quest’ultimo ha la facoltà di calcolare, liquidare e versare l’imposta.
Nel calcolare la base imponibile dalla quale partire per calcolare l’imposta dovuta si considerano, oltre al valore intrinseco dei beni, anche le spese sostenute per eventuali cessioni, prestazioni di servizio ed in ogni caso tutte le spese relative al deposito che sono state addebitate dal depositario. In particolare nel caso di estrazione dei beni da parte di operatore nazionale, il soggetto passivo dovrà fornire al depositario l’autofattura o fattura integrata riguardante i beni estratti con indicazione della base imponibile nel caso in cui i beni vengano commercializzati in Italia, una fattura di cessione intracomunitaria se vengono destinati verso altri Stati Membri o, infine, una fattura con relativa bolla di esportazione in caso di destinazione verso Paesi Terzi.
Non è preclusa la possibilità ad un operatore intra UE od extra UE di estrarre beni dal deposito, a patto che assumano una posizione IVA attraverso l’istituto della rappresentanza fiscale: si tratterà di una rappresentanza definita “pesante”, in quanto l’operatore dovrà assolvere al pagamento dell’imposta attraverso il depositario con un versamento diretto con modello F24, inviando contestualmente al soggetto che estrae l’attestazione di avvenuto pagamento. Quest’ultimo invece dovrà emettere un’autofattura ai sensi dell’art. 17 del Dpr. n. 633/1972, la quale verrà registrata assieme all’attestazione del pagamento. Nel caso in cui chi estrae sia un esportatore abituale, l’operazione avverrebbe senza pagamento dell’IVA in quanto si utilizzerebbe il plafond messo a disposizione. Se si tratta di beni immessi in libera pratica in quanto provenienti da paesi extra UE, l’imposta non verrà pagata tramite il depositario, bensì il soggetto che estrae dovrà presentare un’adeguata garanzia, l’esonero da essa come ai sensi dell’art. 90 del Tuld oppure dimostrare il possesso dei requisiti per ricoprire il ruolo di Operatore Economico Autorizzato.
Il depositario non è esente da responsabilità, in quanto è solidalmente responsabile sulla mancata od irregolare applicazione dell’imposta e delle relative norme vigenti, e nel caso in cui il bene venga utilizzato e commercializzato in Italia è tenuto esso stesso al pagamento dell’imposta (tramite modello F24) con divieto di compensazione, in nome e per conto del depositante16. Il depositario deve inoltre annotare sul registro del deposito i documenti riguardanti l’estrazione del bene e la sua destinazione.
16 In particolare questo è stato previsto con il Dl. n. 193/2016, divenuto operativo dal 1° aprile 2017.
Bisogna comunque specificare che l’Erario deve, in ogni caso, rivalersi in principio sul debitore principale e, solo in un secondo momento ed in caso di insoddisfazione, sul depositario. Nonostante questa previsione, se il depositario ha agito secondo buona fede applicando la diligenza richiesta dall’operazione, non è possibile attribuirgli nessuna solidarietà se dimostra di non aver partecipato all’eventuale evasione adottando tutte le misure attribuitegli per legge: questa impostazione è stata rafforzata con la sentenza del 21 dicembre 2011 della Corte di Giustizia e recepita anche dall’Agenzia delle Entrate.
Più recentemente, in base a quanto previsto dal Dl. n. 193/2016, il depositario risponde in solido, per omesso o parziale versamento dell’imposta, al soggetto che estrae i beni un caso di commercializzazione degli stessi in Italia, e dovrà versare, oltre a quanto dovuto, anche una sanzione pari al 30%.
L’importanza della figura del depositario come garante delle operazioni che avvengono in regime di deposito IVA è rimarcata dal fatto che le violazioni degli obblighi posti in capo ad esso possono portare a conseguenze anche gravi nei suoi confronti, in quanto ai sensi dell’art. 50 bis del Dl. n. 331/1993 può essere revocata l’autorizzazione del deposito IVA.
1.8.2 Estrazione con spedizione in altro Stato Unitario: si tratta di una cessione intra UE, compresa tra le operazioni previste dall’art.50 bis, comma 4 del Dl. n. 331/1993 che non comportano l’assoggettamento all’imposta in fase di estrazione.
In particolare affinché si possa parlare di cessione intra UE devono essere contemporaneamente presenti i requisiti soggettivi, oggettivi e territoriali (di cui si è detto prima) e l’operatore che intende estrarre i beni, per usufruire del non assoggettamento all’imposta, dovrà rispettare tutti gli adempimenti previsti nella disciplina IVA intracomunitaria, oltre alle regole previste per i depositi IVA.
Se ad estrarre è un operatore nazionale, affinché la cessione si perfezioni l’operatore dovrà emettere fattura a favore dell’acquirente appartenente ad altro Stato Membro, registrare la stessa nel proprio registro delle fatture emesse e compilare i modelli Intra 1 ed Intra 1 bis, riepilogativi degli acquisti intracomunitari17.
Se ad estrarre è invece un operatore non residente, sia esso euro-unitario od extra-unitario, dovrà farsi nominare da un rappresentante fiscale “leggero”, il quale emetterà la fattura a
17 X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, “IVA nei rapporti con l’estero: operazioni intra UE e triangolazioni. Elenchi Intrastat. Esportazioni abituali e depositi IVA. Comunicazione operazioni black list”, Gruppo Sole 24 Ore, 2012.
favore del soggetto che acquista i beni, conserverà la fattura emessa e compilerà i modelli Intra 1 ed Intra 1 bis.
Nelle casistiche appena esposte il depositario è sempre chiamato a ricoprire la funzione di garante, come nel caso precedentemente presentato.
1.8.3 Estrazione con esportazione in un paese terzo: si tratta di un’operazione che, ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4, del Dl. n. 331/1993, non prevede l’assoggettamento ad imposta.
Se il soggetto che estrae i beni è un operatore nazionale deve rispettare tutti gli adempimenti previsti dal Codice Doganale UE, dalle disposizioni riguardanti le importazioni con i beni terzi e le regole riguardanti i depositi IVA, in base alle quali dovrà emettere la fattura (dove sarà inserito il titolo di non imponibilità), registrare la fattura emessa in apposito registro e presentare in dogana la dichiarazione di esportazione (Dau- EX).
Se chi estrae i beni è invece un operatore unitario od extra-unitario dovrà assumere una posizione fiscale in Italia e, come specificato dalla circolare n. 12/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate, potrà assolvere agli obblighi IVA tramite la nomina di un rappresentante fiscale “leggero”. Anche in questo caso dovrà emettere la fattura, registrarla e presentare in dogana la dichiarazione di esportazione.
Il depositario deve, oltre a fungere le funzioni precedentemente viste, controllare se sono state rispettate le disposizioni IVA nel caso di estrazione dei beni con conseguente trasporto in un Paese Terzo.
1.8.4 Estrazione e trasferimento dei beni in altro deposito: non si tratta di una mera estrazione dei beni dal particolare regime in quanto al comma 4, lett.i), dell’art.50 bis del Dl. n. 331/1993 è previso che detti trasferimenti sono effettuati senza pagamento dell’imposta relativa, comprese le eventuali prestazioni di servizio.
Il trasferimento dovrà essere accompagnato da un documento di trasporto redatto ai sensi del Dpr. n. 472/1996, con il quale si vince la presunzione di acquisto e di vendita in quanto sarà indicata la causale del trasferimento con la specificazione che i beni restano sottoposti al regime del deposito IVA.
Nell’analizzare le motivazioni che portano a compiere l’operazione, emerge quanto segue:
Necessità di sottoporre i beni a lavorazioni realizzabili solo all’interno (o in locali limitrofi) ad altro deposito;
Possibilità di far visionare i beni a determinati acquirenti appartenenti ad una distinta area geografica;
Revoca dell’autorizzazione al primo deposito: mentre nel caso in questione è consentito il trasferimento in altro deposito per non perdere le agevolazioni riguardanti il particolare regime, se i beni rimangono nel deposito per il quale è venuta meno l’autorizzazione essi si considerano estratti, con conseguente tassazione dei beni.
1.9 Il deposito doganale
Si tratta di un luogo fisico dove possono essere introdotte delle merci extra unitarie senza che si debbano pagare i dazi da importazione, l’IVA o qualsiasi altra imposizione o restrizione prevista per l’immissione in libera pratica. Ciò risponde alle esigenze degli operatori che lavorano su scala internazionale, i quali possono stoccare, movimentare e manipolare le merci rientranti in detto regime senza l’assolvimento dei dazi o delle imposte di cui sopra.
Quanto all’attività di manipolazione preme sottolineare che questa è limitata unicamente alle manipolazioni usuali volte ad assicurare la conservazione ovvero migliorare la presentazione e la qualità commerciale dei beni18; non sono ammesse infatti trasformazioni o lavorazioni come invece è consentito per i beni presenti all’interno dei depositi IVA.
In particolare il deposito doganale è disciplinato dal Regolamento n. 952/13 /Ue, dove è specificato che:
Possono essere immesse in un deposito doganale merci extra UE, senza che siano assoggettate ai relativi dazi all’importazione ovvero eventuali misure di politica commerciale. Possono inoltre essere introdotte merci unitarie per le quali è previsto un beneficio connesso all’eventuale esportazione delle stesse;
Un deposito doganale è un luogo autorizzato e sottoposto al controllo dell’autorità doganale, nel quale le merci possono essere immagazzinate solo se si rispettano le condizioni stabilite. Non è inoltre fissato un termine massimo per la permanenza delle merci nel regime.
Affinché si possa aprire un deposito doganale servono essenzialmente tre condizioni, ovvero rilascio dell’autorizzazione da parte della Direzione Regionale competente per territorio, prestazione di apposita garanzia a copertura dei dazi e delle imposte che rimangono sospese per il tempo di giacenza
18 Tipicamente trattasi di operazioni di conservazione, confezionamento, trattamenti obbligatori.
dei beni in deposito (solitamente fideiussione assicurativa o bancaria) e giustificazione economica sul perché si sfrutta il particolare regime.
La disciplina è stata profondamente revisionata dal 1° maggio 2016, sostituendo la precedente classificazione dei depositi con una semplice divisione tra depositi privati (utilizzati per stoccare i soli beni del depositario) e pubblici (utilizzati per immagazzinare i beni di chiunque lo richieda).
Particolare novità riguarda la possibilità di vendere i beni via Internet (con l’assolvimento dei relativi dazi), in quanto solitamente la vendita al dettaglio è preclusa dal titolare di un deposito doganale, ma ai sensi dell’art. 201 del Reg. UE n. 2446 del 2015 tale divieto non opera nel caso in cui le merci siano vendute a breve distanza, anche via internet: con l’apertura verso l’e-commerce sono agevolate le imprese che servono consumatori al dettaglio che si trovano nel territorio comunitario ovvero in zone limitrofe, in quanto possono stoccare un quantitativo ingente di merci per poi corrispondere la fiscalità doganale solo al momento della loro vendita nel primo caso, mentre nel secondo la fiscalità doganale non verrà mai corrisposta.
Per quanto riguarda le responsabilità del depositario e del depositante, si rinvia a quanto detto in materia di depositi IVA, ed in particolare il gestore del deposito deve garantire che i beni non siano sottratti alla vigilanza doganale e deve inoltre rispettare gli obblighi derivanti dal regime.
1.10 Conclusioni
Dalla descrizione appena presentata sui depositi IVA e sui depositi doganali emerge la possibilità di sfruttare al massimo le agevolazioni ponendo in essere scambi intra UE ed extra UE, grazie all’opportunità di sospendere rinviando nel tempo l’assolvimento della fiscalità nazionale o di eventuali dazi da importazione. In questo modo le aziende che lavorano abitualmente con operatori al di fuori del confine nazionale riescono a pianificare al meglio il proprio fabbisogno finanziario, e ciò è particolarmente importante in periodi di crisi economica in quanto, con il ridursi del sostegno da parte delle banche, è fondamentale pianificare ed ottimizzare l’uso delle risorse finanziarie aziendali.
Come si vedrà nel capitolo successivo i due istituti appena presentati possono combinarsi virtuosamente con i contratti di consignment stock: in questo modo si sfruttano al massimo le regole di non assoggettamento all’imposta IVA ovvero alle obbligazioni che normalmente sorgono in dogana tipiche dei depositi IVA, con superamento del limite temporale proprio del contratto di consignment stock.
È comunque opportuno sottolineare che tali benefici devono essere rapportati agli eventuali costi caratterizzanti l’introduzione dei beni nei depositi ed ai vincoli tipici del particolare contratto, tra i quali spiccano quelli relativi alla giacenza in magazzino, alla garanzia da prestare, ad eventuali manutenzioni periodiche, ecc.
CAPITOLO 2 – Il contratto di consignment stock
2.1 Introduzione
Il “consignment stock” è un contratto commerciale atipico che si sta velocemente diffondendo negli ultimi anni, grazie al quale le aziende riescono a gestire in maniera efficiente ed efficace le scorte delle merci di cui necessitano ottenendo indubbi benefici nella pianificazione della supply chain con l’obiettivo primario di minimizzare i costi19.
In particolare è la stessa normativa italiana a prevedere, ai sensi dell’art.1322 del Codice Civile, che sotto il profilo giuridico le parti possano concludere contratti non appartenenti alla forme giuridiche tipiche previste dal legislatore, a patto che essi realizzino interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Per analizzare correttamente l’evoluzione normativa ed interpretativa riguardante detto contratto e gli adempimenti in capo al cedente ed al cessionario, verrà presa in considerazione l’evoluzione della linea di pensiero da parte dell’Agenzia delle Entrate e dal Ministero delle Finanze.
2.2 Definizione e normativa del contratto di consignment stock
Il contratto di consignment stock prevede che un fornitore trasferisca al cliente, presso un deposito da lui gestito o conto terzi ed in un’unica soluzione, uno stock di beni superiore rispetto alle esigenze che ha il cliente in quel determinato momento, con l’accordo che quest’ultimo provvederà al pagamento delle stesse solamente nel momento dell’effettivo prelievo, che può essere effettuato in blocco ovvero frazionatamente in base alle proprie esigenze ed a prescindere dall’uso che intenda farne: in particolare il cessionario può essere l’utilizzatore della merce oppure può semplicemente rivenderla, limitandosi a commercializzare detti beni con il grande vantaggio di non assumersi alcun rischio commerciale o finanziario finché essi giacciono nel deposito.20 Spesso le parti prevedono di mantenere lo stock di merci ad un determinato livello, con obbligo di ripristino della giacenza al di sotto di una determinata soglia, ovvero con modelli di gestione che implicano una quantità o un periodo fisso di riordino.
Nella fase di definizione di un contratto di consignment stock è fondamentale chiarire ogni singolo aspetto della transazione, in quanto i vari adempimenti obbligatori secondo la nostra normativa fiscale
19 X. Xxxxxxxx, “Il contratto di consignment stock”, in Euroconference News, 2015.
20 M. L. Xxxx, “L’accordo internazionale di consignment stock”, Editoria Aziendale Diamint, 2011.
possono contrastare con particolari legislazioni di altri Stati comunitari che non accettano la sospensione dei relativi adempimenti IVA o lo consentono per tempi relativamente brevi.
Non era chiaro se il magazzino presso il quale viene stoccata la merce dovesse essere di proprietà dell’acquirente o potesse anche essere un deposito conto terzi, e nonostante con la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.44/E/2000 sia stato chiarito che in un deposito conto terzi non è possibile immettere beni interessati da un contratto di consignment stock in virtù del fatto che il depositario non si identifica anche come il destinatario dei beni stessi e quindi non ne avrebbe la piena disponibilità diretta, questo limite sembra essere superato in quanto sempre più spesso l’Amministrazione Finanziaria ammette che i beni interessati da consignment stock possano essere introdotti in un deposito conto terzi, a patto che l’acquirente ne abbia accesso esclusivo e che i beni vengano presi in carico su apposito registro sia dall’acquirente che dal gestore del deposito.
Questa tipologia presenta numerose analogie con i contratti reali ad effetti differiti ed in particolare con il contratto estimatorio, disciplinato agli artt.1556 – 1558 del Codice Civile, in base al quale “con il contratto estimatorio una parte consegna una o più cose mobili all'altra e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito”. Questo consente di estendere alcune clausole tipiche del contratto estimatorio anche al consignment stock, con le opportune modifiche: in particolare con la Risoluzione del Ministero delle Finanze n.235/E/1996 si stabilisce che, ai sensi dell’art.6 del Dpr. n. 633/1972 relativo al contratto estimatorio, si estende anche al contratto di consignment stock l’interpretazione secondo la quale si può considerare effettuata la cessione intracomunitaria dei relativi beni “all’atto della loro rivendita a terzi ovvero, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine convenuto tra le parti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione”: si presume dunque che l’acquisto intracomunitario si realizzi solo nel momento del prelievo dei beni ed, in ogni caso, non oltre un anno dalla consegna degli stessi.
2.3 Il trasferimento della proprietà nel contratto di consignment stock
Si tratta a tutti gli effetti di un contratto di vendita ad effetti differiti stipulato tra due parti appartenenti a diversi Stati, per cui le caratteristiche riguardanti il trasferimento della proprietà sono condizionate dalle rispettive norme nazionali.
Nell’ordinamento italiano, per quanto riguarda i beni mobili, vige il principio consensualistico, in base al quale la proprietà si trasla tra cedente e cessionario con il semplice consenso.
Deroga a questo principio è proprio rappresentata dal contratto di consignment stock, in quanto la proprietà dei beni si trasferisce solo con l’estrazione degli stessi dal deposito da parte dell’acquirente, come specificato anche dal Ministero delle Finanze con la Risoluzione n.235/E/1996.21
Nella definizione del contratto dovrà essere stabilito un termine entro il quale l’acquirente ha la facoltà di utilizzare la merce o restituirla. In particolare dette cessioni, i cui effetti possono prodursi in un momento posteriore rispetto alla consegna dei relativi beni, sono considerate effettuate solo nel momento in cui si perfezionano, con l’unico limite che i beni possono rimanere depositati per massimo un anno. Risulta quindi evidente l’asimmetria presente tra trasferimento dei beni e passaggio della proprietà, in quanto quest’ultima si trasferisce solo con il prelievo dei beni e solo in quel momento sorge l’obbligo per l’acquirente di pagare il relativo prezzo. 22
Detta condizione sospensiva ha una duplice funzione: soddisfa il produttore in quanto può efficientemente ed efficacemente pianificare il suo sistema di produzione e di distribuzione con elevati benefici riguardanti i costi di trasferimento e di gestione dei magazzini, riuscendo a sfruttare i benefici derivanti dalle economie di scala; soddisfa anche l’acquirente in quanto ha a disposizione uno stock di merci senza doverle necessariamente pagare contestualmente al loro arrivo, ma solo al momento in cui vengono utilizzate, con la possibilità di averle a propria disposizione in un deposito per prelevarle secondo le proprie esigenze.
I mezzi tecnologici disponibili attualmente facilitano poi gli scambi di dati, in modo che il fornitore possa essere costantemente aggiornato sull’effettivo prelievo dei beni da parte del cliente per provvedere contestualmente alla loro fatturazione ed eventualmente, in accordo con il cliente, provvedere ad inviare ulteriori beni: si tratta, per il cliente, di adottare una tecnica di organizzazione aziendale definita buffering, in base alla quale per proteggersi dalla variabilità dell’ambiente si crea una riserva di risorse utili alla propria azienda, le quali possono fare da cuscinetto in particolari momenti di necessità, di crisi o di difficoltà nel reperimento dei prodotti.
Detto contratto sembra quindi non offrire adeguate protezioni al venditore, ma in realtà una prima garanzia è costituita dal fatto che, in caso di danneggiamento, perimento o qualsiasi altro danno subito dalle merci sia responsabile colui che le ha ricevute ed una seconda garanzia è propria del contratto, in quanto le merci non utilizzate devono essere restituite nel caso in cui il termine inizialmente concordato spiri. Non di minore importanza il fatto che su tali beni non possono essere avanzate
21 X. Xxxxxxx, “Passaggio della proprietà nella vendita internazionale”, in Fiscalità e Commercio Internazionale n.11/2012.
22 X. Xxxxxxxxxx, “Depositi IVA e depositi doganali”, Gruppo Sole 24 Ore, 2017.
azioni quali pignoramenti e sequestri per l’intera durata del particolare regime, in quanto ancora appartenenti alla sfera giuridica del venditore.
Nel contratto di consignment stock, così come nel contratto estimatorio, si pone il problema del momento del pagamento dell’imposta IVA, in quanto bisogna preoccuparsi se anch’essa gode della condizione sospensiva propria dei depositi IVA, data l’asimmetria presente tra spedizione dei beni e traslazione dei diritti di proprietà. In particolare il legislatore, prima con l’art.6 del Dpr n. 663/1972 e poi con l’art. 39 del Dl. n. 331/1993 ha chiarito che l’operazione si considera effettuata (ed è dunque dovuta l’imposta) solo al momento in cui avviene concretamente il passaggio della proprietà; nel caso di beni mobili opera inoltre una presunzione legale in base alla quale, per scoraggiare ed evitare qualsiasi tipo di fenomeno evasivo, decorso un anno dalla spedizione o consegna dei beni si presume effettuata la cessione al cliente, a prescindere dal verificarsi o meno del passaggio di proprietà, anche nel caso in cui le parti avessero pattuito un periodo più lungo23.
2.4 Similitudini tra consignment stock e call-off stock
Il contratto di consignment stock non è disciplinato da una normativa sovranazionale, per cui si riscontrano spesso delle incongruenze a livello linguistico, anche a causa della sua rapida diffusione. In particolare viene spesso erroneamente accostato all’accordo di call-off stock in base al quale, osservando l’interpretazione proposta dalle autorità doganali del Regno Unito, un’azienda appartenente ad uno Stato Membro apre un deposito merci presso un altro Stato Membro dal quale i propri clienti, dietro pagamento del prezzo, hanno la facoltà di estrarre i beni ogni qualvolta lo richiedano: la merce viene dunque messa a disposizione dei clienti24.
La definizione di consignment stock proposta sempre dal Regno Unito prevede invece che la merce, inviata presso un magazzino estero, sarà gestita per conto del cedente finché la vendita non sarà perfezionata in suo nome e per suo conto in quel determinato Stato, con il fine di avere un canale diretto con la clientela ed avvicinarsi ai mercati di sbocco: i beni non sono quindi messi a disposizione del cliente, ma restano nella disponibilità del fornitore con il fine di venderli.
Queste definizioni sono ben diverse dall’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sul contratto di consignment stock, dove il fornitore si impegna ad inviare un quantitativo di merce presso un deposito proprio dell’acquirente o gestito da terzi e quest’ultimo ne deve avere accesso esclusivo (è una
23 Per approfondire il tema riguardante le presunzioni legali si rimanda a X. Xxxxxx, “Principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza”, X. Xxxxxxxxxxxx Editore, 2016.
condizione sine qua non in quanto è l’unico legittimato, in virtù delle caratteristiche del contratto, ad estrarre i beni dal deposito).
2.5 La stipulazione del contratto
Il principio dell’autonomia contrattuale consente alle parti di determinare il contenuto del contratto nel limiti imposti dalla legge25.
In particolare nella definizione di un contratto di consignment stock dovranno essere riportate:
Caratteristiche soggettive delle parti stipulanti il contratto: venditore, acquirente ed eventuale terzo depositario;
Specifiche della merce trattata come prezzo, quantità, qualità, ecc.;
Termine massimo del contratto entro il quale la merce potrà essere utilizzata (in ogni caso non può essere superiore all’anno, a meno che non venga introdotta in un deposito IVA ovvero doganale, come si dirà più avanti);
Modalità di pagamento ed altri obblighi posti in capo al cessionario, tra i quali la comunicazione da effettuare al cedente ogni qualvolta si prelevi dal deposito, le eventuali penali in caso di restituzione della merce, l’obbligo in capo a quest’ultimo di fatturare i beni prelevati;
Eventuali altre peculiarità relative al singolo contratto, come stock minimo di fornitura, periodo di riordino, eventuali assicurazioni e responsabilità in capo al depositario, eventuali spese accessorie, ecc.
2.6 Il profilo contabile del contratto di consignment stock
Nonostante gli effetti patrimoniali ed economici si producano solo con il trasferimento della proprietà e quindi con l’estrazione dei beni da deposito, grava comunque sull’impresa, in sede di relazione del bilancio d’esercizio, l’obbligo di evidenziare le operazioni interessate da contratti di consignment stock. Fino alla modifica normativa introdotta dal Dlgs. n. 139/2015 di recepimento della Direttiva n. 2013/31/Ue che ha previsto l'eliminazione dei conti d'ordine dagli schemi di bilancio, le operazioni di consignment stock rappresentando rischi, impegni e beni di terzi presso l’azienda dovevano essere indicati nello Stato Patrimoniale in una specifica colonna ed in modo separato dagli elementi
25 Principio riconosciuto dal diritto internazionale con il Regolamento n. 593/2008/Ce.
dell’attivo e del passivo (solo se i beni venivano poi estratti dal deposito l’operazione andava stornata dal relativo conto d’ordine influenzando di conseguenza sul risultato d’esercizio).
Dal 01 gennaio 2016, entrando in vigore le nuove disposizioni in materia di bilancio, delle operazioni di consignement stock va data evidenza unicamente nella Nota Integrativa al bilancio in apposita sezione.
L’obbligo di indicare queste operazioni nei conti d’ordine prima, ed ora nella Nota Integrativa, è da ricercare nel fatto che esse, pur non incidendo attualmente sul risultato economico e sulla gestione patrimoniale dell’azienda, lo faranno probabilmente in un momento successivo.
Si passa ora all’analisi delle casistiche che si possono prospettare in virtù di un contratto di
consignment stock.
2.7 Il contratto di consignment stock nel caso di cessione intraUE
Nella cessione intraUE un operatore italiano invia i beni nel deposito di un altro operatore unitario, ed il Dpr. n. 633/1972 specifica che l’operazione si considera effettuata solo al momento dell’estrazione dei beni dal deposito stesso o, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine concordato, in ogni caso non superiore all’anno. Dunque il contratto di consignment stock è assimilabile ad una cessione intraUE che si perfeziona solo con il prelievo dei beni dal deposito stesso o con lo spirare del termine precedentemente concordato, linea confermata con la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 235/E/199626.
Sorge però in capo al venditore l’obbligo di dimostrare che la presunzione di cessione, prevista dall’art. 1 del Dpr. n. 441/1997 ed in base alla quale si presumono ceduti i beni che “non si trovano nei luoghi in cui il contribuente esercita la propria attività”, non opera in quanto i beni non sono stati effettivamente ceduti con il loro invio presso il magazzino del cliente.
Detta presunzione può essere vinta solo fornendo delle prove contrarie e nel caso specifico l’operazione deve risultare, indifferentemente, da:
Apposito registro riguardante i beni mobili scambiati con operatori euro-unitari con differimento del passaggio di proprietà;
Libro giornale nel quale sono indicate le caratteristiche intrinseche dei beni e la specificazione che sono interessati da contratto di consignment stock;
Documento di trasferimento con relativa causale.
26 X. Xxxxxxxxxx, “Depositi IVA e depositi doganali”, Gruppo Sole 24 Ore, 2017.
Al momento dell’estrazione dei beni dal deposito il cliente dovrà tempestivamente darne notizia al fornitore, il quale provvederà ad emettere una fattura non imponibile (ai sensi dell’art. 41 del Dl. n. 331/1993) entro il mese successivo e, con le stesse tempistiche, presenterà il modello Intrastat 1-bis all’Agenzia delle Dogane, con il quale si riepilogano le cessioni intraUE di beni e servizi.
Nel caso in cui il cliente decida di restituire la merce al cedente, non avviene il passaggio di proprietà per cui non sorge alcun adempimento obbligatorio ai fini IVA, mentre se scade il termine convenuto senza che il cliente abbia manifestato nessun tipo di volontà riguardante la merce, si intende perfezionato il contratto di consignment stock con relativo passaggio della proprietà e conseguenti adempimenti fiscali.
È opportuno sottolineare come la disciplina fiscale nei vari Stati Membri non sia omogenea; in particolare non tutti i paesi permettono questi accordi e, nel caso specifico in cui non sia previsto il contratto di consignment stock, il venditore dovrà:
Aprire, nello Stato del cessionario, una propria posizione IVA;
Contestualmente all’invio della merce emettere una fattura sulla propria partita IVA estera, il cui importo concorrerà alla formazione del plafond IVA di cui si dirà più avanti;
Compilare i modelli Intrastat cessioni ed Intrastat acquisti rispettivamente dalla partita IVA Italiana ed estera: è opportuno specificare che il Sistema Intrastat assolve alle funzioni di controllare fiscalmente gli scambi intraUE di beni e servizi, oltre a fornire informazioni utili ai fini di eventuali statistiche;
Cedere i beni al cliente: si tratterà di una semplice cessione interna e non più euro-unitaria, in quanto avviene tra soggetti le cui rispettive posizioni IVA sono aperte nel medesimo Stato; il cedente avrà dunque l’obbligo di rivalsa dell’imposta nei confronti del cessionario ed, in capo a quest’ultimo, sorgerà il diritto alla detrazione.
Per quanto riguarda gli adempimenti in capo al depositante non residente esso non avrà nessun obbligo IVA nei confronti del sistema fiscale italiano ma dovrà attenersi alle eventuali obbligazioni richieste dalla propria legislazione; in particolare a seguito della consegna dei beni esso dovrà limitarsi a monitorarne i movimenti tramite le informazioni provenienti dal depositario e, se richiesto, agire di conseguenza (esempio emissione della fattura non imponibile in un momento contestuale a quello del prelievo dei beni o di una parte di essi).
2.8 Il contratto di consignment stock nel caso di acquisto intraUE
Valgono le stesse norme riguardanti le cessioni intraUE per cui il contratto si perfeziona solo con il prelievo dei beni ovvero con la scadenza del contratto, rispettando il limite massimo di durata fissato in un anno. In questo caso il cessionario italiano dovrà annotare in un registro le movimentazioni relative alle merci ed informare il cedente sugli eventuali prelievi, cui seguirà emissione della fattura, registrazione della stessa e compilazione del modello Intra 2.
Il legislatore fiscale ha inoltre previsto la possibilità di immettere i beni in un deposito IVA, stabilendo ai sensi dell’art. 50 bis, comma due del Dl. n. 331/1993 che se i beni vengono introdotti in un deposito IVA da parte di un soggetto appartenente ad un altro Stato Unitario e sono destinati ad essere ceduti al depositario (condizione sine qua non), detto acquisto si verifica solamente al momento dell’estrazione degli stessi dal deposito: dunque la condizione essenziale affinché ci sia traslazione in avanti dell’acquisto è costituita dall’identificazione del depositario nell’acquirente destinatario dei beni oggetto della transazione27.
La circolare n. 12/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito ogni dubbio sul superamento temporale di 1 anno previsto dalle disposizioni IVA, specificando che l’adempimento scatta solo nel momento di estrazione dei beni dal deposito, per cui non sono posti limiti temporali per i beni immessi in un deposito IVA e riguardanti un contratto di consignment stock (a patto che non sia stato previsto un limite in sede di stipulazione del contratto).
Altra semplificazione riguarda uno specifico deposito IVA che custodisce solo beni destinati al depositario (e dunque in virtù di uno o più contratti di consignment stock), in quanto non deve rispettare alcune caratteristiche proprie dei depositi conto terzi, come il limite minimo riguardante il capitale sociale, il fondo minimo di dotazione di Euro 516.456,90 (un miliardo di Lire) o la particolare forma giuridica di società di capitali od ente.
2.9 Il contratto di consignment stock nelle operazioni triangolari comunitarie
Risultava dubbia la posizione dell’Agenzia delle Entrate di fronte ad un’operazione partecipata da tre diversi soggetti appartenenti ad altrettanti stati unitari; in particolare con la risoluzione n. 49/E/2008, riguardante la possibilità di effettuare tramite consignment stock un’operazione dove un soggetto italiano Alfa acquista da Beta, appartenente ad un altro Stato Membro, determinati beni ed indichi a
27 X. Xxxxxxx, “Depositi IVA: irrilevanti il tempo di giacenza e lo scarico dei beni dai mezzi di trasporto”, in Fiscalità e Commercio Internazionale n. 11/2012.
quest’ultimo di inviarli direttamente al proprio cliente Gamma appartenente ad un terzo Stato Membro, l’Agenzia ha chiarito che l’operazione non è tipica delle transazioni intraUE in quanto tra il venditore ed il cedente-cessionario non c’è una cessione intraUE dato che non c’è nessun trasferimento della proprietà tra i due soggetti, bensì solo tra il primo ed il terzo: per questo motivo l’operazione non può essere assoggettata al particolare regime previsto per il consignment stock, in quanto l’effetto sospensivo deve ritenersi valido solo se operante tra cessioni intraUE bilaterali28.
2.10 Esportazioni e contratto di consignment stock
Con la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 58/E/2005 riguardante un contratto di consignment stock vigente tra un operatore comunitario ed uno extraUE, l’Agenzia ha espresso parere favorevole allo stesso trattamento normativo e fiscale spettante alle esportazioni intraUE, in particolare sottolineando come gli effetti traslativi riguardanti la proprietà o altro diritto reale di godimento si producono solamente al momento del prelievo dei beni dal deposito.
Il cedente italiano dovrà quindi inviare la merce presso il deposito dell’acquirente ovvero un deposito conto terzi, adempiendo inoltre alle formalità doganali riguardanti la cosiddetta “esportazione definitiva”: è infatti obbligatorio presentare in dogana una dichiarazione attestante le caratteristiche dei beni che si intende esportare e, una volta ottenuto lo svincolo, si hanno 90 giorni di tempo per esportare le merci.
In particolare viene anche specificato che l’operazione, essendo in genere effettuata da una società che fa import-export e classificata come assimilabile ad una cessione all’esportazione (art.8 del Dpr.
n. 633/1972), contribuisce alla formazione del plafond messo a disposizione agli esportatori abituali solamente nel momento e nella misura in cui i beni risultano prelevati dal depositario acquirente e, come contropartita, fatturati dal fornitore.
Per usufruire di dette agevolazioni è opportuno analizzare lo status di esportatore abituale, classificato come un soggetto che, nell’anno solare precedente, ha registrato una quota pari o superiore al 10% del proprio volume d’affari in operazioni con l’estero (nel nostro caso esportazioni): ad esso è consentito effettuare operazioni come importazioni, acquisto di beni o servizi senza pagare l’IVA nel limite massimo dell’ammontare delle operazioni effettuate con l’estero registrate in un periodo precedente che può coincidere con l’anno solare (si parla di plafond fisso) o con i dodici mesi precedenti (plafond variabile), salve alcune eccezioni come la non utilizzabilità dello stesso in caso
28 X. Xxxxxxxxxx, “Non ha effetto sospensivo il consignment stock in una triangolazione comunitaria”, in Corriere Tributario n.15/2008.
di acquisti con IVA parzialmente detraibile o indetraibile (nel primo caso si potrà utilizzare solamente per la quota detraibile)29.
Rispetto alle cessioni intraUE qui non opera la presunzione di cessione, per cui non è prevista la tenuta degli strumenti necessari sopra menzionati per vincere detta presunzione.
2.11 Importazioni e contratto di consignment stock
Nonostante queste operazioni siano effettuate sotto il regime traslativo del consignment stock, che normalmente consente all’operatore di traslare al momento dell’estrazione dei beni dal deposito il pagamento dell’IVA, l’introduzione di beni da uno Stato extraUE comporta l’espletamento delle relative formalità doganali con l’immissione in libera pratica dei beni, tra le quali il pagamento di eventuali dazi e dell’IVA: in particolare la normativa comunitaria prevede che l’IVA debba essere versata in Dogana contestualmente all’inserimento dei beni nel territorio comunitario, per evitare ogni possibile intento evasivo.
Detto adempimento, pur sembrando inappropriato in quanto l’operatore dovrebbe pagare l’imposta anche su beni non rientranti nella propria sfera giuridica di appartenenza, in realtà è stato confermato con la Rm. n. 346/E/2008, con la specificazione che l’imposta versata è detraibile, come previsto dall’art.19 del Dpr. n. 633/1972, previa annotazione nel registro degli acquisti della bolletta doganale. Dunque in questo caso l’IVA non verrà più corrisposta al momento del prelievo dei beni, per cui l’eventuale estrazione sarà seguita da autofattura emessa dall’acquirente, indicante imponibile, IVA ed estremi della bolletta doganale, con l’unica funzione di documentare l’operazione.
Si pone dunque il problema delle determinazione del valore dei beni in dogana che, ai sensi dell’art. 29 del Codice del Consumo, è dato dal prezzo effettivamente pagato o che verrà pagato per le merci; in particolare per calcolare l’imposta IVA da versare in dogana la base imponibile corrisponderà alla sommatoria tra il valore della transazione e l’ammontare dei dazi (solitamente rappresentato da una percentuale sul valore predeterminato). Potrebbe tuttavia accadere, dato che la proprietà viene traslata solo al momento dell’estrazione dei beni dal deposito, che il prezzo effettivo al momento dell’estrazione sia superiore a quello precedentemente dichiarato: in tal caso dovrà essere revisionato l’importo dei dazi e, una volta determinata la nuova base imponibile, verrà versata l’imposta per la sola differenza dovuta.
29 X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, “Lo status di abituale fa scattare il plafond”, in Plusplus24 (Il Sole 24 Ore), 2015.
In particolare con l’immissione dei beni in libera pratica, ai sensi dell’art. 201 del Codice Doganale Europeo, si attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria a merce che prima non lo era; sono dunque dovute le formalità previste per l’importazione di una merce sopracitate, con conseguente pagamento dei dazi dovuti. I dazi possono anche non essere liquidati a fronte di un’apposita garanzia prestata in Dogana e corrispondente ad un deposito, ad un titolo di debito garantito dallo Stato ovvero da una fideiussione bancaria o assicurativa che copra l’intero importo dovuto.
Una deroga a quanto appena esposto è costituita dai beni immessi in libera pratica e assoggettati al regime di un deposito IVA, in quanto l’operatore ha la facoltà di introdurre i beni senza la liquidazione immediata dell’imposta, a patto che sia presentata un’opportuna garanzia; nella dichiarazione doganale di introduzione dovrà inoltre essere indicato che la destinazione finali dei beni è costituta dal deposito IVA: in questo modo anche un’importazione di beni extracomunitari può configurare notevoli benefici sul piano economico e fiscale. Il depositario dovrà inoltre, al momento del ricevimento dei beni, prenderli in carico ed inviare alla Dogana copia dell’attestazione della presa in carico, necessaria per chiudere l’intera operazione.
Nel caso in cui l’acquirente, in virtù del contratto di consignment stock, decida di restituire i beni ricevuti in deposito, l’Agenzia delle Entrate ha specificato, sempre nella Risoluzione n. 346/E/2008, che l’operazione deve essere classificata come una cessione all’esportazione, nonostante non ci sia un effettivo trasferimento della proprietà od altro diritto reale di godimento: l’operazione andrà dunque documentata con l’emissione di una fattura non imponibile.
L’operatore cliente potrebbe essere interessato all’introduzione dei beni interessati da un contratto di consignment stock in un deposito doganale per risolvere il problema della rideterminazione del valore dei beni in dogana: in particolare gli verrebbe consentito di traslare nel tempo l’obbligazione doganale, in quanto i beni sarebbero classificati come esteri sino al momento del loro prelievo dal deposito. Oltre a detto beneficio l’acquirente è anche facilitato nel caso di restituzione dei beni al cedente in quanto, grazie al particolare regime vigente all’interno del un deposito doganale, finché essi non vengono estratti con relativo passaggio della proprietà non si può parlare di importazione definitiva30.
30 X. Xxxxxxxxxx, “Depositi IVA e depositi doganali”, Gruppo Sole 24 Ore, 2017.
2.12 I vantaggi portati dal contratto di consignment stock in un assetto transnazionale
A prima vista l’unico soggetto che sembra trarre benefici da questa forma contrattuale è il cessionario, ma in realtà anche il cedente, seppur in maniera minoritaria, riesce a trarre dei vantaggi, altrimenti il contratto non avrebbe ragione d’esistere. Analizzando le rispettive posizioni emerge quanto segue:
2.12.1 Vantaggi del cessionario: indubbiamente dal punto di vista finanziario c’è una miglior pianificazione dell’intera gestione della liquidità, con un minor ricorso alle linee di credito e conseguenti minori oneri dovuti; detti benefici saranno ancora maggiori se il cessionario sceglie di vincolare i beni in un deposito IVA o in un deposito doganale, in quanto viene meno il limite imposto dalla normativa italiana di un anno per la rimanenza dei beni, con conseguente traslazione in avanti delle obbligazioni in capo al cessionario.
Dato che le recenti interpretazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria offrono la possibilità di inserire i beni in un deposito conto terzi, questo può tradursi in un beneficio in quanto il cessionario potrebbe ricercare un soggetto terzo che metta a sua disposizione un luogo dove stoccare la merce, risparmiando sui costi per la gestione di un deposito proprio, soprattutto in casi particolari dove detti costi possono essere ingenti (esempio stoccaggio di beni deperibili, dove servono appositi locali al loro mantenimento).
Il cessionario può utilizzare detto contratto anche per combattere eventuali fluttuazioni dei prezzi di mercato, facendo incetta di prodotti nei momenti convenienti ed eventualmente restituendo i beni nei limiti previsti contrattualmente nel caso di contrazioni della domanda di mercato, controllando efficacemente i rischi relativi al settore operativo dato che non sono stati sostenuti impieghi finanziari per l’acquisto dell’intero stock.
A livello organizzativo grazie alle opportunità offerte da questo particolare contratto l’operatore potrà perseguire una strategia di produzione definita “just in time”, diminuendo sensibilmente i costi di gestione del magazzino in quanto andrà a produrre ciò che effettivamente andrà venduto. Questo è particolarmente importante per le aziende che operano in settori interessati da rapida obsolescenza dei prodotti o con consumatori finali “love of variety”, dove avere ingenti scorte di prodotti finiti (e anche di materie prime) può rilevarsi controproducente.
2.12.2 Vantaggi del cedente: nonostante il cessionario riesca ad usufruire di benefici maggiori rispetto al cedente dall’esplicazione degli effetti del contratto di consignment stock, quest’ultimo riesce a raggiungere i vantaggi ottenibili dalle economie di scala grazie alla
produzione in stock delle merci ed evita gli eventuali costi di trasporto su tanti invii frammentati (che possono essere ingenti). Inoltre per il cedente non ci sarà l’obbligo di aprirsi una partita IVA nello stato estero o di dotarsi di un rappresentante fiscale, in quanto potrà operare direttamente su tale territorio proprio in virtù del contratto di consignment stock. Ovviamente i benefici saranno tanto maggiori quanto più il cedente riuscirà a trovare clienti affidabili, e per raggiungere tale obiettivo dovrà cercare di fidelizzarli, proponendo merci che soddisfino tutte le loro richieste ed esigenze.
Il cedente è inoltre tutelato da nostro ordinamento giuridico in quanto l’onere di custodire la merce, con relativo rischio di perimento, grava sul cessionario (ed in caso di deposito della stessa presso un deposito gestito da terzi la responsabilità è solidale tra il cessionario ed il terzo soggetto) ed inoltre non possono essere avanzate pretese sulla merce in deposito da parte di eventuali creditori del cessionario in quanto non ne è il legittimo proprietario sino al momento della loro estrazione.
Per bilanciare le posizioni dei due soggetti, è prassi contrattualizzare la prestazione di idonee garanzie al cedente da parte del cessionario. Xxxxxxxx che vanno dalla semplice tutela dell’integrità del bene ma soprattutto in merito al buon esito del contratto ed invero al perfezionamento dell’acquisto31.
31 Esempio polizza fideiussoria con la quale un soggetto terzo ristora il cedente nel caso in cui la cessione non venga perfezionata.
CONCLUSIONI
L’elaborato che è stato predisposto è stato suddiviso in due parti:
- La prima parte analizza due importanti strumenti per la gestione degli scambi commerciali che godono di una particolare regolamentazione fiscale: depositi fiscali ai fini IVA e depositi doganali.
- La seconda parte approfondisce le sinergie che possono derivare dalla combinazione dei due strumenti di cui sopra con il contratto di consignment stock.
In sintesi dall’analisi degli aspetti economici, finanziari, logistici dei depositi fiscali ai fini IVA e dei depositi doganali sono emersi i seguenti vantaggi per la gestione aziendale:
a) Gli effetti sospensivi ai fini della fiscalità nazionale ed unitaria tipici dell’introduzione dei beni in un deposito IVA e/o in un deposito doganale, rinviando l’obbligazione tributaria al momento in cui i beni verranno estratti dai depositi stessi, producono i benefici derivanti da una dilazione di pagamento consentendo ripercussioni positive sulla liquidità aziendale;
b) La flessibilità di modalità e tempistiche previste per lo stoccaggio e l’estrazione dei beni dai depositi, consentono di controllare l’andamento del mercato inserendosi nei momenti in cui le fluttuazioni dei prezzi sono favorevoli con effetti positivi sull’economicità della gestione aziendale;
c) La possibilità di introdurre i beni in un deposito, consentendo al cessionario di visionarli, di sottoporli a prestazioni di servizi, e di averli comunque a disposizione nei momenti di necessità, semplificano i rapporti con il cedente ed ottimizzano la gestione della supply chain aziendale.
Questi benefici prevalentemente relativi alla gestione della fiscalità nazionale ed unitaria possono essere amplificati combinando tali strumenti con il contratto di consignment stock.
In contratto di consignment stock è un accordo che prevedendo l’invio di un quantitativo di beni che verranno stoccati presso un deposito dell’acquirente o conto terzi con effetti non traslativi della proprietà fino all’estrazione con pagamento dei beni, estrazione che dovrà avvenire secondo un termine concordato, ma in ogni caso mai superiore ad un anno, consente all’acquirente di avere a disposizione un quantitativo di beni pagandoli solo “al bisogno” e cioè sede di estrazione.
Se il deposito destinatario dei beni oggetto di un contratto di consignment stock si qualifica quale deposito ai fini IVA o deposito doganale, gli effetti positivi del contratto di consigment stock si combinano con gli effetti positivi dei depositi fiscali in quanto verranno traslati sia il momento di pagamento del corrispettivo di fornitura che il momento di pagamento della relativa fiscalità.
Questa combinazione non solo somma i benefici ma addirittura consente il superamento del limite temporale massimo secondo cui nel consigmment stock i beni devono essere estratti al massimo entro un anno dal deposito. Infatti l’estrazione di beni da un deposito fiscale nell’ambito di un contratto di consigment stock non pone limiti temporali.
Ai seppur innegabili benefici sopracitati, vanno comunque contrapposti gli oneri derivanti dall’allestimento, proprietà o possesso dei depositi, costi di produzione, costi per le garanzie necessarie, ecc. che potrebbero ridurre la convenienza nell’utilizzare gli strumenti analizzati.
Il estrema sintesi il consignment stock è uno schema negoziale atipico che trova largo utilizzo nel contesto del commercio internazionale e, abbinato ai depositi fiscali ai fini IVA ed ai depositi doganali, mette a disposizione dell’imprenditore, il cui obiettivo è sempre quello di ottimizzare il proprio business equilibrando costi, ricavi e rischi, uno strumento che consente da un lato flessibilità, dall’altro caratteristiche idonee a controllare opportunità e minacce che, essendo spesso imprevedibili, potrebbero minare gli eventuali vantaggi competitivi ottenibili.
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