COLLEGIO DI ROMA
COLLEGIO DI ROMA
composto dai signori:
(RM) MASSERA Presidente
(RM) MELI Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) SCIUTO Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) CARATELLI Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(RM) MONTESI Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXXX XXXXXXX
Nella seduta del 07/07/2016 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La società ricorrente riferisce di aver stipulato in data 05/06/2009 un contratto di mutuo agrario condizionato ai sensi degli artt. 38 e ss. e artt. 43 e ss. del TUB, con la resistente. In forza di tale contratto la banca concedeva alla società la somma di euro 1.300.000,00, a garanzia della quale veniva iscritta ipoteca a carico della rappresentante legale della società per un importo di euro 2.600.000,00, e le rate di ammortamento e preammortamento venivano determinate al tasso variabile del 3.49% nominale annuo.
Successivamente, in data 25/07/2012, le parti stipulavano il contratto definitivo di mutuo agrario e in tale sede la resistente poneva in essere una serie di irregolarità, per effetto delle quali, da un lato, la società si vedeva costretta a stipulare il contratto con un importo ridotto da euro 1.300.000,00 ad euro 1.289.000,00, dall'altro, la banca applicava 2 punti percentuali in più sul tasso di interesse rispetto a quanto pattuito nel contratto di mutuo condizionato.
Inoltre, rileva la ricorrente che con missive di luglio 2014 e gennaio 2015, la società chiedeva la sospensione del pagamento delle rate in virtù delle nuove misure per il credito alle PMI senza ottenere alcun riscontro. Nonostante la pendenza della richiesta, la società provvedeva comunque al saldo della rata di gennaio 2015. Al riguardo precisa che alla data di scadenza di tale rata (sabato 31/01/2015), sul c/c della società vi era la disponibilità della somma di euro 20.000,00, cui veniva aggiunta, in data 06/02/2015, l'ulteriore somma di euro 11.800.00, con specificazione nella causale che il versamento veniva effettuato per l’integrazione della disponibilità per il pagamento interessi della rata di mutuo scadenza al 31/01/2015. Tuttavia la somma versata veniva indebitamente imputata alla diminuzione dell'affidamento, revocato con lettera del 9 giugno 2015, adducendo motivazioni pretestuose e non chiare.
Secondo parte ricorrente la vicenda delineata mostra l’illiceità della condotta tenuta dalla banca, che in sede di stipula del contratto definitivo di mutuo le ha fatto accettare delle condizioni più sfavorevoli rispetto a quelle previste con l’originario accordo. Inoltre contesta la legittimità della revoca dell’affidamento in conto corrente e la destinazione delle somme versate al ripianamento dell’esposizione debitoria invece che al pagamento di una rata di mutuo come da intenzioni della società.
Nel contestare quanto sostenuto dalla banca in sede di risposta al reclamo, laddove viene rappresentato che la maggiorazione dei 2 punti percentuali del tasso di interesse sarebbe dovuta al fatto che l’ultimazione dei lavori è avvenuta con ritardo e che per venire incontro alle esigenze espresse dalla cliente, pur potendo procedere alla risoluzione del rapporto in forza dell’art. 2 del contratto, ha disposto ugualmente l'erogazione di credito, precisa che nessuna comunicazione circa l'asserito ritardo nell'ultimazione dei lavori è pervenuto alla mutuataria e conseguentemente nessuna richiesta di stipula del definitivo o risoluzione del condizionato.
Dichiara, al contrario, che solo a causa delle minacce verbali del direttore di filiale di risoluzione del contratto la società veniva costretta ad accettare la stipula di un contratto a condizioni più sfavorevoli. In conclusione ritiene che la banca abbia commesso un abuso di posizione dominante. Inoltre per quanto riguarda il mancato rinnovo dell’affidamento di euro 100.000,00, scaduto il 1° aprile 2014, la ricorrente rileva l’arbitrarietà della decisione e la mala fede del direttore di filiale il quale chiedeva insistentemente il saldo della rata per poi distrarre i fondi a diminuzione del fido, pur sapendo dell’avvenuta revoca.
Parte ricorrente chiede, quindi, al Collego di sospendere il rimborso delle rate di mutuo, come da richiesta formulata all’intermediario, la rimessione in bonis per l’affidamento concesso, di far cessare la condotta contraria ai principi di correttezza e buona fede e per l’effetto adottare ogni opportuno provvedimento nei riguardi anche degli operatori che hanno posto in essere le condotte oggetto di contestazione.
La banca nel resistere, chiede il rigetto delle domande formulate dalla ricorrente perché manifestatamente irricevibili e/o inammissibili, e, comunque, perché palesemente infondate, sia in fatto che in diritto.
A sostegno delle proprie ragioni, in primo luogo, rileva come controparte abbia fornito una ricostruzione della vicenda totalmente distorta e fuorviante, tra l’altro manifestando le proprie doglianze solo a partire dal mese di agosto 2015, quando la società si era vista già recapitare, in data 09/06/2015, un sollecito per il pagamento della rata di mutuo scaduta il precedente 31/01/2015 e per il ripianamento dell'esposizione debitoria derivante dall'utilizzo di apertura di credito, scaduta il 01/04/2015.
Nel dettaglio, con riferimento all’aumento del tasso di interesse in sede di stipula del contratto definitivo chiarisce che il contratto di mutuo condizionato veniva concesso per finanziare la realizzazione di una cantina aziendale che la mutuataria si era espressamente impegnata ad ultimare entro il 30 aprile 2011. Invoca, in proposito, il disposto dell’art. 2 del contratto, il quale regolamentava le conseguenze connesse al mancato rispetto della data di ultimazione dei lavori, riconoscendo alla banca, tra le altre, anche la facoltà di procedere alla risoluzione del contratto con conseguente obbligo della parte mutuataria di restituire quanto eventualmente già erogatole oltre ai relativi interessi. L’intermediario sottolinea l'importanza della data di ultimazione dei lavori ai fini dell'economia del finanziamento di cui si discute, in quanto i tempi di recupero del capitale erogato incidono sulle valutazioni del tasso di interesse applicabile; uno slittamento della data di fine lavori originariamente prevista è non solo potenzialmente idoneo ad incidere sulla affidabilità del mutuatario ma comporta automaticamente anche un ritardo per l'inizio dell'ammortamento, con indubbi riflessi quindi sulle condizioni convenute sul presupposto che i tempi originariamente previsti venissero effettivamente rispettati.
Nel caso di specie i lavori oggetto di finanziamento vennero terminati con notevole ritardo rispetto ai tempi inizialmente previsti e, precisamente, in data 20/2/2012, nonostante la resistente avesse, regolarmente adempiuto alla propria obbligazione erogando, in tre riprese (in data 8/7/2009, 16/07/2010 e 30/11/2010), l'importo complessivo di euro 1.289.000,00 corrispondente, praticamente (se si eccettua il marginale residuo di euro 11.000,00) all'intera somma mutuata.
Tanto rilevato, la banca precisa che le nuove condizioni contrattuali ed, in particolare, la maggiorazione del tasso di interesse inizialmente pattuito nonché la rinuncia alla residua somma di euro 11.000,00, vennero proposte proprio dalla società ricorrente come da documentazione allegata. Tale richiesta conferma che lo stesso ricorrente riconosceva come la rinegoziazione delle condizioni contrattuali lo favorivano, evitando la ben più dannosa risoluzione del contratto.
Pertanto, la banca sostiene di non aver imposto le nuove condizioni contrattuali che, al contrario, sono espressione della libera scelta imprenditoriale.
Per quanto riguarda la richiesta di sospensione delle rate di mutuo, parte resistente ritiene che la domanda sia irricevibile, in quanto l’Arbitro non può sostituirsi a quest’ultima nel disporre
coattivamente la sospensione, sottolineando come l’accesso ai benefici previsti dall’accordo ABI/PMI non rappresenta un diritto soggettivo dell’impresa richiedente, implicando sempre una valutazione dell’intermediario. In punto di merito, peraltro, la banca rileva come il rifiuto tempestivamente comunicato dal direttore della filiale per le vie brevi al legale rappresentante della società, era pienamente giustificato dai considerevoli sconfinamenti presenti a carico della società già da marzo 2014.
Riguardo al pagamento della rata recante scadenza al 31/01/2015, la società sostiene che all'epoca vi fosse sul conto corrente una disponibilità di euro 20.000,00 e di aver integrato detta somma con un ulteriore versamento di euro 11.800,00 e che, nonostante ciò, la banca anziché imputare le suddette somme all'estinzione della predetta rata, avrebbe utilizzato il versamento di euro 11.800,00, per abbattere la esposizione debitoria in conto corrente. L’intermediario smentisce tale affermazione con l'estratto conto, dal quale si deduce che al momento della scadenza della rata (31/01/15), l’apertura di credito di euro 100.000,00, di cui godeva la società, risultasse già utilizzata per l'importo di euro 81.199,01, con un residuo ancora disponibile di euro 18.800,99. Al contrario rileva che la rata in contestazione ammontava ad euro 38.297,34 e che, quindi, sul conto corrente non esistesse, all'epoca, la provvista sufficiente per procedere al suo pagamento né tanto meno questa venne costituita con il successivo versamento di euro 11.800,00 effettuato il 09/02/2015.
Infine con riferimento alla revoca dell’affidamento, la banca rileva che l’ apertura di credito era stata concessa dalla banca a tempo determinato e che la scadenza era intervenuta in data 01/04/2015, data entro la quale la stessa avrebbe dovuto essere estinta dalla correntista. Pertanto, alcuna revoca è stata disposta a danno della società alla quale con lettera del 09/06/2015 veniva semplicemente richiesto di rientrare dell’esposizione debitoria maturata. Alla luce di ciò la domanda di rimessione in bonis formulata da controparte deve essere dichiarata irricevibile in ragione del fatto che il rifiuto della banca di concedere una nuova apertura di credito attiene alla propria discrezionale valutazione, sottolineando, peraltro, come esistessero al riguardo delle ragioni oggettive quali segnalazioni di sconfinamento in CR effettuate da altri istituti di credito e lo stesso inadempimento in merito al pagamento delle rate del mutuo alla stessa concesso.
DIRITTO
Parte ricorrente contesta innanzitutto la condotta tenuta dalla resistente in sede di stipula dell’accordo definitivo sulle condizioni di ammortamento del mutuo agrario condizionato in precedenza contratto.
Eccepisce in particolare che la resistente, abusando della propria posizione, l’avrebbe indotta ad accettare condizioni più sfavorevoli rispetto a quelle in origine contrattate.
La resistente riporta che tale maggiorazione sia motivata dal ritardo con il quale si è addivenuti a tale accordo definitivo rispetto a quanto in origine pattuito e che il comportamento tenuto ha avuto la sola finalità di favorire il proprio cliente, ben potendo risolvere il contratto ai sensi dell’art. 2 dell’accordo sottoscritto tra le parti.
Ebbene, la lettura del citato art. 2 rileva che tra le facoltà spettanti alla banca non è ricompresa in caso di ritardo nell’ultimazione dell’investimento la ricontrattazione delle condizioni di ammortamento.
Tuttavia, il fatto che la banca non possa imporre una modifica delle condizioni pattuite non preclude alle parti di addivenire a tale modifica liberamente, cosa in effetti avvenuta nel caso di specie. Appare, peraltro, rilevante sottolineare come dalla documentazione in atti risulti che la maggiorazione del tasso di interesse sia stato formalmente proposto dalla medesima ricorrente e poi oggetto di specifico accordo.
In sostanza la sussistenza di un inadempimento della ricorrente e di un’effettiva ragione giustificatrice a fondamento della modifica contrattuale concordata escludono che si possa attribuire un comportamento abusivo della banca, tale da indurre coercitivamente la controparte alla accettazione delle predette condizioni contrattuali.
La società ricorrente chiede, inoltre, che venga accolta la richiesta dalla medesima avanzata a luglio 2014 e poi a gennaio 2015 volta ad ottenere la sospensione delle rate del mutuo in forza dell’Accordo ABI - PMI.
La domanda così formulata non può trovare accoglimento, in quanto mira ad ottenere un provvedimento di condanna della banca ad un facere specifico, estraneo alla competenza di questo Arbitro (cfr. Collegio di Milano, decisine n. 5235/2016).
Per quanto riguarda la richiesta di riapertura dell’affidamento in conto corrente, si rileva in base alla documentazione contrattuale agli atti che l’apertura di credito era a tempo determinato e che, perciò, non è intervenuto alcun recesso della banca. La banca, al contrario, ha deciso di non rinnovare l’affidamento in favore della ricorrente, scelta che attiene al merito creditizio in alcun modo sostituibile con un provvedimento dell’Arbitro (per tutti Collegio di Roma, decisione n. 1876/2016).
Infine nel ricorso è evidenziata una generale scorrettezza della banca nella gestione del rapporto con il cliente. In particolare viene contestato, ad esempio, il fatto che la banca abbia imputato delle somme destinate al pagamento della rata del mutuo a copertura invece dell’esposizione debitoria relativa all’affidamento e viene richiesto al Collegio di far cessare la condotta contraria alla buona fede e alla correttezza nonché l’assunzione dei provvedimenti più opportuni anche nei confronti del personale dell’intermediario.
In proposito si ritiene che la richiesta così formulata sia generica, non consentendo l’esatta identificazione della condotta della banca di cui si chiede la cessazione e, peraltro, in parte
estranea alla competenza dell’Arbitro laddove si fa riferimento a provvedimenti nei confronti del personale dell’intermediario.
P.Q.M.
Il Collegio respinge il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1