OSSERVATORIO PERMANENTE SULLA COOPERAZIONE BRESCIA OSSERVATORIO PROVINCIALE FACCHINAGGIO
OSSERVATORIO PERMANENTE SULLA COOPERAZIONE BRESCIA OSSERVATORIO PROVINCIALE FACCHINAGGIO
IL CONTRATTO DI APPALTO: INDICAZIONI
PER UNA CORRETTA GESTIONE
PREMESSA
Il presente documento è rivolto alle imprese ed ha la semplice intenzione di proporre indicazioni per istau- rare un rapporto leale e corretto sotto il profilo contrat- tuale. È un piccolo manuale che intende far chiarezza sulle opportunità che il contratto d’appalto può offrire alle imprese che esternalizzano parte delle attività alla luce delle modifiche del Dlgs. 276/2003 (riforma del mercato del lavoro).
Gli Osservatori, promotori dell’iniziativa, sono il mo- mento di collaborazione tra Enti Pubblici, Organizza- zioni Sindacali e Datoriali alle quali è possibile rivol- gersi per delucidazioni e approfondimenti.
INDICE
1. Il contratto di appalto | p. | 4 |
2. La certificazione | p. | 11 |
3. Aspetti contributivi | p. | 19 |
4. Il regolamento interno delle cooperative | p. | 21 |
5. I servizi del Registro Imprese | p. | 24 |
1. IL CONTRATTO DI APPALTO
NORMATIVA IN TEMA DI APPALTI
Prima di affrontare la tematica relativa alla corretta ge- stione di un contratto di appalto, appare necessario fare un breve riferimento alla normativa precedente e particolarmente alla legge 1369/60 (abrogata dal d.lgs 276/2003).
Come risaputo, la legge 1369/60 vietava qualsiasi ac- cordo attraverso il quale il committente-appaltante affi- dava in appalto l’esecuzione di mere prestazioni di manodopera. Con l’utilizzo di tali accordi, espressa- mente vietati dalla norma, uno pseudo appaltatore od uno pseudo imprenditore, privo di un’organizzazione di mezzi necessari, non si assumeva il rischio di im- presa provvedendo a “vendere semplicemente mano- dopera”; ponendo a disposizione del committente solo le energie lavorative dei propri lavoratori.
L’impianto originario della 1369 ha resistito fino a metà degli anni ’90. Con la legge 196/97, infatti, si prende atto che il mercato del lavoro in Italia aveva bi- sogno di più di flessibilità e quindi si introduce nel no- stro ordinamento, per la prima volta, il lavoro interi- nale.
Gli articoli da 1 a 11 della legge 196/97 regolamenta- vano nel nostro ordinamento il lavoro interinale (unica concessione al generale divieto posto dall’allora vi- gente legge 1369), lecito solo se posto in essere da un’agenzia debitamente autorizzata dal Ministero del Lavoro.
Alla fine del 2003, il D.lgs 276/2003 (noto come “Leg- ge Biagi”) abroga la legge 1369/60 e introduce la somministrazione di lavoro prevedendo una nuova di- sciplina dell’appalto. In un primo momento si era pen- sato che, in seguito all’abrogazione della legge 1369/60, nel nostro ordinamento fosse scomparso il divieto di interposizione di manodopera.
Successivamente la dottrina e la giurisprudenza han- no subito chiarito che il divieto di interposizione di ma- nodopera, nonostante l’espressa abrogazione della legge 1369/60, è ancora immanente nel nostro ordina- mento. Infatti, quello che era regolato dalla 1369 è stato ora sostituito dalla somministrazione di lavoro e quindi continua ad essere vietato ad eccezione del- la ipotesi in cui la fornitura di manodopera venga svolta da un’agenzia di somministrazione regolar- mente autorizzata e iscritta all’albo del ministero del lavoro.
Possiamo quindi dire che quando si conclude, si ese- gue o si pone in essere un appalto: il divieto di inter- posizione di manodopera esiste ancora.
Vendere manodopera, porre semplicemente a dis- posizione del committente la propria forza lavoro
senza assumersene nessun rischio, non è oggi, come ieri, possibile.
Esaminiamo brevemente le disposizioni di legge che regolamentano l’appalto: l’articolo 1655 del codice ci- vile e l’articolo 29 del D.lgs 276/2003. L’art. 1655 cod. civ. prevede che “l’appalto e’ il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi neces- sari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. L’art. 29 d.lgs. 276/03 prevede che “…..il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 cod. civ., si distingue dalla sommi- nistrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche ri- sultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del ser- vizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere or- ganizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impre- sa…….”.
Dall’esame dei due articoli ed in particolare dall’arti- colo 29 che disciplina l’appalto in ambito lavoristico possiamo vedere che requisiti fondamentali per un re- golare e corretto contratto di appalto, sono:
1) la sussistenza del rischio d’impresa;
2) l’organizzazione dei mezzi necessari che può ri- sultare anche (in relazione all’opera o servizio) dal solo esercizio del potere direttivo.
Il rischio di impresa sussiste allorquando l’appalta- tore potrebbe anche non ricevere un utile economico dall’appalto intrapreso per diversi motivi: il corrispet- tivo stabilito non copre i costi dei materiali, delle at- trezzature e della manodopera in caso di eventi so- pravvenuti.
Altro importante indizio per stabilire la concretezza del rischio di impresa si intravede nel momento in cui l’ap- paltatore viene remunerato effettivamente per il risul- tato finale concordato indipendentemente dal quan- tum delle ore o dei giorni lavorati dai propri dipendenti.
L’organizzazione dei mezzi presuppone la disponi- bilità da parte di un vero imprenditore delle attrezza- ture, dei macchinari, nonché della esistenza di una vera e propria organizzazione tecnico gestionale.
A tal fine, si evidenzia che l’organizzazione dei mezzi può risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotta in contratto, anche dal solo eser- cizio del potere direttivo. Tale esercizio del potere di- rettivo e organizzativo dell’appaltatore nei confronti del proprio personale utilizzato nell’appalto, costitui- sce sicuramente l’elemento più qualificante di un con- tratto di appalto lecito in quanto implica l’esclusione dell’intromissione del committente nell’esecuzione dell’appalto.
Trasportando questi due elementi nel concreto,
affinché si abbia un contratto di appalto lecito,
i lavoratori dell’appaltatore impiegati in un appal- to:
➢ non devono sostituire per nessuna ragione i di- pendenti del committente;
➢ non prendono ordini da soggetti diversi dall’appal- tatore;
➢ non sono soggetti al potere direttivo e di controllo del committente o di un suo dipendente;
➢ non possono essere allontanati ne’ sanzionati dal committente;
➢ non sono retribuiti dal committente;
➢ non sono a disposizione del committente ma del- l’appaltatore;
➢ non devono giustificare le proprie assenze al com- mittente;
➢ devono essere riconoscibili come lavoratori del- l’appaltatore (apposita divisa, dotazione dei DPI da parte dell’appaltatore, tessera di riconoscimen- to);
➢ nei luoghi di lavoro non devono confondersi con i lavoratori del committente;
➢ non devono essere impiegati in lavori diversi da quelli appaltati;
➢ devono, ove possibile, utilizzare propri strumenti ed attrezzature, meglio se identificabili (a tal fine si precisa che l’utilizzo di macchine e strumenti pro-
pri del committente è ammesso purché la consi- stenza di tale utilizzo non prevalga sulla comples- sa attività organizzativa della intera gestione dal- l’appalto da parte dell’appaltatore);
➢ non devono richiedere le ferie, permessi o giustifi- care ritardi al committente.
il committente:
➢ nell’esercizio della prevista e legittima attività di controllo, non può dirigere i lavori o esercitare il potere direttivo nei confronti dei lavoratori in capo all’appaltatore;
➢ non può sostituirsi all’appaltatore, riducendolo a mera entità di trasmissione delle proprie direttive;
➢ non decide volta per volta il numero dei lavoratori da utilizzare.
Il corrispettivo dovrà essere pattuito in funzione della realizzazione dell’opera o del servizio e non delle ore effettive di lavoro eseguite dai lavoratori dell’appalta- tore.
Si evidenzia che il rispetto delle prescrizioni riportate comportano come conseguenza immediata la distin- zione del regolare contratto di appalto dalla sommini- strazione. Pertanto, va da sé, che in caso contrario, le parti contrattuali (committente e appaltatore) incorre- ranno nelle sanzioni penali e amministrative previste per la somministrazione illecita di mano d’opera.
OBBLIGHI CONCERNENTI LA SICUREZZA SUL LAVORO
Infine per quanto riguarda gli obblighi in materia di si- curezza sul lavoro è previsto che il datore di lavoro committente deve:
➢ verificare che l’appaltatore sia in possesso dei necessari requisiti di idoneità tecnico-professiona- li;
➢ valutare i rischi dell’attività oggetto dell’appalto ed elaborare un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze d’appalto;
➢ fornire all’appaltatore informazioni dettagliate sui rischi specifici dell’ambiente di lavoro e sulle mi- sure di prevenzione necessarie;
➢ promuovere e realizzare la cooperazione e il coor- dinamento delle misure di prevenzione con l’ap- paltatore.
2. LA CERTIFICAZIONE
L’istituto della certificazione dei contratti di lavoro è di- sciplinato dagli artt. 75 e segg. del D.Lgs. 276/03. Scopo primario della certificazione è la riduzione del contenzioso in materia di qualificazione del contratto di lavoro.
Tale procedura si attiva attraverso una istanza comu- ne dei soggetti parti di un contratto di lavoro o di ap- palto, le quali in concreto chiedono volontariamente agli organi di certificazione preposti, la verifica della conformità del tipo di contratto di lavoro o di appalto prescelto al rapporto che in concreto intendono in- staurare.
La certificazione, in sintesi, evidenzia una utilità prati- ca soprattutto in riferimento a quei contratti di lavoro che si pongono nelle zone grigie tra autonomia e su- bordinazione e in relazione ai contratti di appalto, spesso utilizzati strumentalmente per fini diversi da quelli consentiti.
L’iter procedurale si conclude con un atto amministra- tivo, l’atto di certificazione (o un provvedimento di ri- getto della certificazione) che conferisce una efficacia rinforzata alla qualificazione contrattuale stabilita dalle parti.
Ai sensi dell’art. 5 della L. 30 /2003 al provvedimento di certificazione viene attribuito piena forza legale.
L’atto di certificazione, come qualsiasi altra certifica- zione amministrativa, possiede la forza giuridica della certezza pubblica e deve quindi essere assun- ta da tutti come conforme all’ordinamento.
L’atto di certificazione non è semplicemente un mero atto amministrativo, ma costituisce un giudizio di con- formità del contratto voluto dalle parti ad un determi- nato tipo legale e che per tale giudizio e per tale quali- tà si impone anche ai terzi.
La certificazione può riguardare tutti i contratti di lavo- ro subordinato e autonomo, le collaborazioni coordi- nate e continuative, quelle a progetto, le associazioni in partecipazione e i contratti di appalto.
Oltre a qualificare il contratto, con i particolari effetti previsti, la Commissione di certificazione svolge un ulteriore ruolo, altrettanto importante, come quel- lo della consulenza e della assistenza alle parti.
Tale funzione di consulenza e assistenza potrà essere svolta sia in fase di stipulazione del contratto che du- rante lo svolgimento del rapporto.
Le sedi di certificazione, oltre a fornire alle parti l’attivi- tà consultiva relativamente alla formulazione e al rag- giungimento di un accordo, possono indicare anche interventi modificativi al regolamento negoziale intra- preso, consentendo alle parti di ridefinire il rapporto in modo da farlo corrisponderlo a quello che effettiva- mente le stesse hanno inteso costituire.
Attraverso la certificazione si interviene in modo assi- stito sul programma negoziale. E’ bene precisare che il fine ultimo della funzione di consulenza e assistenza
rimane quello di verificare l’accordo raggiunto dalle parti affinché risulti conforme alla legge e al contratto collettivo applicato.
Pertanto, sulla scorta delle considerazioni sopra ripor- tate, si può tranquillamente affermare che i principali vantaggi della certificazione sono:
1) consulenza e assistenza delle parti nella quali- ficazione del contratto;
2) la qualificazione del contratto certificata resi- ste alle contestazioni degli organi di vigilanza e conserva efficacia fino alla sentenza del Tri- bunale.
Come si deduce dall’art. 79 D.Lgs. 276/03 l’effetto del- la certificazione consiste nella temporanea inefficacia di qualsiasi atto che presuppone una qualificazione del contratto diversa da quella certificata. Tale effetto può essere superato esclusivamente attraverso una successiva e diversa valutazione del giudice.
Infatti, nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi, (tra questi anche gli organi di vigilanza del Mini- stero del Lavoro, INPS, INAIL ecc.) nella cui sfera giu- ridica l’atto produce effetti, possono proporre ricorso presso l’autorità giudiziaria di cui all’art. 413 cpc (Tri- bunale civile) per erronea qualificazione del contratto oppure per difformità tra il programma negoziale e la sua successiva attuazione o per vizi del consenso.
Inoltre potrà essere presentato ricorso al Tribunale amministrativo Regionale contro l’atto certificatorio per
violazione del procedimento o per eccesso di potere. Si evidenzia, allo scopo di sottolineare la funzione preminente della certificazione, che gli organi di vigi- xxxxx non potranno provvedere alla riscossione di sanzioni amministrative e o civili o a recuperi contribu- tivi, in caso di diversa valutazione del rapporto di lavo- ro, se non dopo aver esperito positivamente l’autorità giudiziaria.
Si precisa, inoltre, che, in caso di contratto di appalto certificato, qualora dovessero essere accertate even- tuali violazioni, le quali, come risaputo, hanno tutte ri- lievo penale, l’organo di vigilanza, pur non potendo autonomamente procedere alla applicazione di recu- peri contributivi e alla riscossione di sanzioni civili, proprio per la esistenza di fattispecie suscettibili di va- lutazione da un punto di vista penale (ipotesi di reato), è tenuto comunque a comunicare ai sensi degli artt. 331 e 347 cpp la notizia di reato, rimettendo così al- l’autorità giudiziaria il compito di esaminare la situa- zione concreta accertata.
Sono organi di certificazione:
1. Commissione di certificazione presso la direzione provinciale del lavoro
2. Commissioni di certificazione presso le Province
3. Commissioni di certificazione presso enti bilaterali
4. Commissione di certificazione presso le università pubbliche e private registrate in un apposito albo
5. Commissione di certificazione presso il Ministero del Lavoro - direzione Generale della tutela delle
condizioni di lavoro
6. Commissione di certificazione presso l’ordine pro- vinciale dei consulenti del lavoro.
PROCEDIMENTO DI CERTIFICAZIONE NELLA PROVINCIA DI BRESCIA
Allo stato, nell’ambito del territorio provinciale di inte- resse, risulta pienamente operativa solo la Commis- sione di certificazione presso la DPL di Brescia, men- tre è stata da poco tempo costituita la Commissione di certificazione presso l’Ordine Provinciale dei Consu- lenti del Lavoro.
La commissione di certificazione presso la DPL è composta da cinque membri di diritto (dirigente della DPL in funzione di presidente, due funzionari della DPL, un rappresentante INPS e un rappresentante INAIL) e da diversi membri consultivi in rappresentan- za della Agenzia delle Entrate, dell’Ordine dei Consu- lenti del Lavoro, dell’Ordine degli Avvocati, dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri.
Le parti che intendono avviare la procedura certifica- toria devono presentare un’apposita istanza in marca da bollo utilizzando di norma il fac-simile allegato alla circolare n. 48/2004 reperibile dal sito internet del Mi- nistero del Lavoro e allegare il contratto da certificare. Successivamente un componente della commissione, in qualità di relatore, istruisce la intera pratica ed esa- mina la documentazione agli atti.
Subito dopo viene obbligatoriamente, nel rispetto della prevista ed essenziale funzione di assistenza e con- sulenza, convocata una apposita audizione delle parti interessate tenute a presentarsi davanti alla commis- sione di certificazione al fine di meglio chiarire gli aspetti del contratto voluto e eventualmente cogliere gli eventuali suggerimenti proposti.
Nel temine ordinatorio di 30 giorni dalla presentazione della istanza, la commissione provvede alla definizio- ne del procedimento.
La commissione, nel valutare la opportunità di proce- dere alla certificazione del contratto sottoposto e, quindi alla esatta qualificazione di esso, deve rifarsi alle c.d. linee guida approvate con regolamento inter- no visionabili in qualsiasi momento da chiunque fosse interessato.
Per quanto concerne il contratto di appalto, all’esito di una esperienza che decorre ormai dall’anno 2005, vengono considerati come elementi essenziali, allo scopo di distinguerlo dalla mera somministrazione di lavoro, i seguenti punti:
➢ descrizione completa e precisa dell’oggetto del contratto, della durata e del luogo di lavoro,
➢ descrizione dei mezzi necessari alla realizzazione dell’appalto a disposizione dell’appaltatore con la conseguente necessità di indicare e verificare le risorse strumentali ed umane idonee per una completa ed autonoma esecuzione dell’opera o
del servizio dedotto in contratto;
➢ indicare la tipologia contrattuale per mezzo della quale l’appaltatore ha provveduto alla assunzione dei lavoratori interessati ai lavori in questione (normalmente la commissione ha ritenuto di fon- damentale importanza il rapporto di lavoro subor- dinato);
➢ sistemi di rilevazione delle presenza lavorative se- parate rispettivamente per i lavoratori dell’appal- tante e quelli dell’appaltatore;
➢ riconoscibilità immediata circa l’appartenenza dei lavoratori all’appaltatore o all’appaltante (es.: divi- se distinte, strumentazione in dotazione, cartellini di riconoscimento ecc.);
➢ esibire il regolamento interno, se trattasi di impre- sa cooperativa rientrante nella disciplina di cui al- l’art. 6 L. 142/01;
➢ direzione dei lavoratori impiegati nella esecuzione dell’appalto esclusivamente da parte dell’appal- tatore;
➢ divieto assoluto per l’appaltante di impartire diretti- ve al personale dell’appaltatore ;
➢ divieto di compresenza nei luoghi di lavoro del personale appartenente al committente e all’ap- paltatore (di solito viene allegata una mappa dei luoghi di lavoro con la esatta indicazione dei set- tori in cui opereranno distintamente i lavoratori dell’appaltatore e quelli del committente);
➢ presenza in capo all’appaltatore dei requisiti previ- sti dal d.lgs. 81/2008 in termini sia di idoneità tec- nico-professionale che per le informazioni relative alle norme di igiene e sicurezza sui luoghi di lavo- ro;
➢ negli appalti edili, produzione del DURC;
➢ negli appalti che hanno per oggetto lo svolgimento di lavori di facchinaggio, il rispetto dei limiti e degli obblighi contenuti nel D.M. 221/2003;
➢ assunzione del rischio di impresa in capo all’ap- paltatore, in genere derivante dalla previsione di un compenso normalmente pattuito in funzione del risultato e indipendentemente dal numero di ore impiegate o dal numero di lavoratori utilizzati.
Si informa che, per i contratti di appalto concernenti servizi di vario genere resi nell’ambito di strutture sa- nitarie o RSA, la commissione di certificazione della DPL di Brescia, ha elaborato un fac-simile di contratto di appalto con la specificazione di alcuni requisiti fon- damentali da riportare per poterlo distinguere dalla somministrazione di lavoro illegittima (esito di uno studio approfondito, anche con l’ausilio di esperti, sulla materia trattata).
3. ASPETTI CONTRIBUTIVI
LA SOLIDARIETÀ
In presenza di un contratto di appalto lecito, di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appal- to, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retribu- tivi e i contributi previdenziali dovuti.
Il limite dei due anni è inteso solo nel caso in cui sia il lavoratore ad invocare tale norma per avere il rico- noscimento del trattamento retributivo o previden- ziale da parte del committente appaltante.
Nel caso,viceversa, sia l’INPS ad applicare la norma della solidarietà il limite temporale è di cinque anni dalla cessazione dell’appalto (sent. Corte di Cassa- zione Sez. Lavoro N° 996 17/01/2007).
Quindi nel caso in cui l’appaltatore, per i lavoratori impegnati nei lavori oggetto dell’appalto, non versi i relativi contributi o li versi in misura inferiore al dovu- to, l’INPS può richiedere quanto dovuto all’appaltan- te quale obbligato solidale.
Tale richiesta, naturalmente, decorre dal compimen- to dei termini dati all’appaltatore per provvedere alla regolarizzazione della sua posizione contributiva.
ILLECITA SOMMINISTRAZIONE
In presenza di appalto illecito, vale a dire appalto pri- vo dei requisiti richiesti dal codice civile, ed in assen- za di autorizzazione da parte del Ministero del Lavo- ro per l’esercizio dell’attività di somministrazione di mano d’opera, si incorre nelle sanzioni di illecita somministrazione di mano d’opera. Oltre alle san- zioni previste dall’art 18 del DL 276/2003, i lavoratori impegnati in quel determinato appalto saranno con- siderati come dipendenti dell’appaltante o commit- tente. In questo caso l’INPS provvederà ad addebita- re per intero all’utilizzatore i contributi dei lavoratori utilizzati. L’addebito sarà fatto sulla scorta della retri- buzione prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore di riferimento a cui fa riferimento il committente. La legge prevede una norma di salva- guardia nei confronti dell’utilizzatore, infatti nei casi di addebito contributivo tutti i pagamenti effettuati dall’appaltatore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma ef- fettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal sommi- nistratore per la costituzione o la gestione del rap- porto, per il periodo durante il quale la somministra- zione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.
4. IL REGOLAMENTO INTERNO DELLE COOPERATIVE
Il regolamento è tradizionalmente il principale stru- mento utilizzato nelle cooperative per disciplinare le modalità di scambio mutualistico tra socio e cooperati- va. In termini generali, il regolamento obbliga tutti i soci al loro rispetto, tanto che la violazione delle rego- le in esso contenute costituisce una classica ipotesi di esclusione dalla società, nonché fonte di responsa- bilità patrimoniale del socio nei confronti della coope- rativa.
Per quanto riguarda l’approvazione del regolamento vale, in termini generali, quanto previsto dall’attuale formulazione dell’articolo 2521 u. c. del codice civile, secondo cui “I regolamenti, quando non costituiscono parte integrante dell’atto costitutivo, sono predisposti dagli amministratori e approvati dall’assemblea dei soci con le maggioranze previste per le assemblee straordinarie”. In tale prospettiva, si può dire allora che il regolamento è espressione della democraticità della cooperativa, in quanto manifestazione della vo- lontà di autoregolamentazione dell’assemblea dei soci.
Inserendosi nel solco della “tradizione”, la legge n.142/2001 ha reso obbligatoria l’adozione di uno spe- cifico regolamento in quelle cooperative (c.d. di lavo-
ro) in cui il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio: in altri termini, destinatarie dell’obbligo sono quelle coo- perative in cui i soci aspirano ad un’occupazione a condizioni tendenzialmente migliori rispetto a quelle reperibili sul mercato. A scanso di equivoci, è bene evidenziare che tale regolamento si applica solo nei confronti dei soci che lavorano per la cooperativa e non anche nei confronti di coloro che, pur lavorando nella cooperativa, non ne sono soci.
Nelle intenzioni del legislatore, tale regolamento do- vrebbe contribuire a rendere più trasparenti i principi organizzativi della compagine societaria e le regole del rapporto di lavoro che il socio instaura con la coo- perativa, nonché ad individuare un nucleo minimale di diritti (retributivi, previdenziali e sindacali) a favore dei soci lavoratori della cooperativa. In tal senso, appare significativo il vincolo posto dall’art.3 della L. n.142/01, a mente del quale “le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla con- trattazione collettiva nazionale del settore …”; pari- menti, si consideri che l’art.2 stabilisce che “Ai soci la- voratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordi- nato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori: n.d.r.)”, seppure con alcuni ag- giustamenti in considerazione del peculiare stato del socio lavoratore.
L’art. 6 della Legge n.142/01 indica i contenuti minimi del regolamento e, cioè:
1) L’indicazione delle tipologie dei rapporti di lavoro attuabili in forma alternativa tra socio e cooperati- va (in forma subordinata o autonoma o in qual- siasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collabo- razione coordinata non occasionale).
2) Il richiamo ai contratti collettivi applicabili (per i rapporti di natura subordinata).
3) L’indicazione delle modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative dei soci, in relazione all’or- ganizzazione aziendale della cooperativa ed ai profili professionali dei soci, anche nei casi di tipo- logie diverse di lavoro da quella subordinata.
4) Il richiamo espresso alle normative di xxxxx xxxxx- ti per i rapporti di lavoro diversi da quello subordi- nato.
5) L’attribuzione all’assemblea della facoltà di delibe- rare un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati i livelli occupazionali e siano previsti la possibilità di ridurre temporaneamente i ristorni ed il divieto di distribuire utili.
6) L’attribuzione all’assemblea della facoltà di delibe- rare, all’interno del piano di crisi, forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, in proporzione alle disponibilità e capacità finanzia- rie.
Infine, una volta approvato, il regolamento deve esse- re depositato presso la Direzione Provinciale del La- voro competente per territorio.
5. I SERVIZI DEL REGISTRO IMPRESE
Al fine di conoscere requisiti, documentazione, costi e modalità di presentazione di un'istanza telematica e per l'avvio di un'attività di imprese di facchinaggio e movimentazione merci o di un'attività di impresa di pu- lizie, disinfezione, derattizzazione, sanificazione e di impiantistica si rimanda alle istruzioni comuni della Regione Lombardia riportate nei manuali sotto se- gnalati.
Il prontuario è reperibile sul sito web della Camera di Commercio, xxx.xx.xxxxxx.xx, alla pagina:
Registro Imprese >> Istruzioni e procedure >>
Deposito pratiche telematiche
Il prontuario è reperibile sul sito web della Camera di Commercio, xxx.xx.xxxxxx.xx, alla pagina:
Xxxx, registri, elenchi e ruoli >> Qualifiche tecniche >>
Facchinaggio
Il prontuario è reperibile sul sito web della Camera di Commercio, xxx.xx.xxxxxx.xx, alla pagina:
Xxxx, registri, elenchi e ruoli >> Qualifiche tecniche >>
Imprese di pulizia
Il prontuario è reperibile sul sito web della Camera di Commercio, xxx.xx.xxxxxx.xx, alla pagina:
Xxxx, registri, elenchi e ruoli >> Qualifiche tecniche >>
Impiantistica