ESECUZIONE E RINEGOZIAZIONE DEGLI APPALTI PUBBLICI REPORT ANNUALE - 2013 - ITALIA
ESECUZIONE E RINEGOZIAZIONE DEGLI APPALTI PUBBLICI REPORT ANNUALE - 2013 - ITALIA
(Marzo 2013)
Dott.ssa Xxxxxxxxx XXXXXXXXX
INDICE
1. PREMESSA
2. LE MODIFICHE UNILATERALI NEL DIRITTO PRIVATO
3. LE MODIFICHE UNILATERALI NEI CONTRATTI PUBBLICI
3.1 La revisione dei prezzi
3.2 Le varianti in corso d’opera
4. LE MODIFICHE BILATERALI
4.1 le modifiche bilaterali nel diritto civile
4.2 le modifiche bilaterali nel diritto europeo dei contratti pubblici
4.3 le modifiche bilaterali nel diritto nazionale dei contratti pubblici
5. LA TUTELA DEI TERZI AVVERSO LE MODIFICHE ELUSIVE
6. PROSPETTIVE COMPARATISTICHE E DE JURE CONDENDO
7. BIBLIOGRAFIA
1. PREMESSA
Alla fase di esecuzione dei contratti pubblici è stata riservata, da parte della letteratura scientifica, un’attenzione piuttosto sporadica. Il tendenziale disinteresse della dottrina pubblicistica1 si spiega alla luce di due orientamenti critici antitetici. Il primo attrae all’area del diritto civile tutta la fase dell’adempimento delle obbligazioni, ritenuta scevra di implicazioni pubblicistiche2, anche per quanto concerne il tema specifico dello ius variandi. Il secondo considera, invece, l’intera fase dell’esecuzione come una mera appendice
1 L’analisi della fase di esecuzione del contratto pubblico è spesso assente anche in studi di ampio respiro, come, ad esempio, in: ROEHRSSEN DI CAMMERATA, I contratti della pubblica amministrazione, Bologna, 1971, essendo invece più dettagliatamente trattata nella letteratura contabilistica (si veda, in particolare, BUSCEMA, Trattato di contabilità pubblica, Milano, 1981, 965 ss; BENTIVENGA, Elementi di contabilità di Stato, Milano, 1960, 119). Quali eccezioni allo scenario di disinteresse appena descritto, si veda invece: CAVALLO PERIN - RACCA, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2010, 325; COMBA, L’esecuzione di opere pubbliche. Con cenni di diritto comparato, Torino, 2012; nonché BENEDETTI, I contratti della pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino, 1999; MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, Pisa, 2011, 22.
2 Cfr. XXXXXXX, Principii di diritto amministrativo, Firenze, 1891; 359; il quale afferma che «nei rapporti giuridici patrimoniali, il diritto moderno, non che ammettere che alcuno sia superiore al diritto, non ammette neanche alcun regime di privilegio (…) Il patrimonio dello Stato, cioè l’insieme dei mezzi economici con cui esso sopperisce ai suoi bisogni, è sottoposto, come tutti i patrimoni privati, al diritto comune, salvo deroghe che naturalmente discendono dalla intima varietà dei rapporti, e che quindi, per ciò stesso, non vanno considerati come privilegi». .Di questo avviso anche X. XXXXXX, Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, 1937, 14, ove si argomenta l’estraneità della fase dell’esecuzione al diritto amministrativo propriamente inteso affermando che il carattere pubblico dell’attività negoziale rileva solo sul fronte delle decisioni di spesa e di individuazione del contraente assunte in via unilaterale dall’amministrazione. Viceversa «dopo questo stadio, la valutazione dell’interesse pubblico e quindi la funzione amministrativa propriamente detta si può considerare esaurita e quell’atto, di fronte al venditore o al locatore, appare come ogni altro negozio di compravendita o locazione e conseguentemente di diritto privato».
dell’attività amministrativa3 compiuta nella cd. ad evidenza pubblica, dunque non meritevole di particolare approfondimento scientifico.
A ciò si associa un limitato interesse mostrato anche dalla legislazione: alla fase di esecuzione è stata tradizionalmente dedicata una disciplina assai esigua e per lo più relativa al settore dei lavori (il riferimento è alla l. 109/1994 e s.m.i.). Anche con l’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici la situazione non è mutata: le norme inerenti la fase di esecuzione sono tuttora poche, e riguardano soprattutto il settore delle opere, ritenuto quello in cui le sopravvenienze rischiano di incidere maggiormente sul soddisfacimento dell’interesse pubblico implicato nella singola commessa.
A dispetto di ciò, il fenomeno dello ius variandi nelle fattispecie ad evidenza pubblica è assai complesso ed eterogeneo.
Esso si dipana lungo due direttrici alternative: quella della revisionabilità unilaterale, ossia imposta dal contraente pubblico, e quella della revisionabilità consensuale, caratterizzata dalla convergenza tra le volontà dei contraenti sulla modifica da apporre al contenuto negoziale.
La modificabilità unilaterale ha destato maggiore interesse presso la dottrina tradizionale, la quale, influenzata dalla teorica francese in tema di mutabilité del contrat administratif4, ha professato l’esistenza di un principio d’immanente revisionabilità
3 Si veda, in proposito, l’insegnamento di XXXXXXXXXX, Lo Stato e il codice civile, Firenze, 1882, 680, il quale, rifacendosi alle acquisizioni della dottrina francese in tema di contrats administratifs, giunge alla conclusione secondo cui «non è dunque e non può essere del tutto contrattuale lo stesso rapporto giuridico dell’impresario, avendola da fare con l’amministrazione, non meno come autorità, che come contraente. Donde interceda pur l’istrumento, i contratti dello Stato si preparano e concludono sempre e poi sempre per atto d’autorità».
4 I principali riferimenti sul tema sono a: JEZE, Théorie générale des contrats de l’Adimistration, in Rev. dr. pub., 1930, 130; XXXXX, Xxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, 291; PEQUINOT, Contribuition à la théorie gènèrale du contrat administratif, Montpellier, 1945, 364, in cui si legge che «est de reconnaitre que le contrat administratif ne lie pas l’administration de le meme maniére qu’un contrat ordinaire lie un particulier»;
unilaterale del contratto pubblico, quale conseguenza della supremazia di cui l’amministrazione risulterebbe depositaria anche quando agisce secondo moduli negoziali. Lo ius variandi, in quest’ottica, è stato quindi indagato attraverso la dialettica potestà/soggezione.
Assai più trascurata è stata la direttrice della modificabilità consensuale, nella quale, i profili problematici non interessano i rapporti di forza tra i contraenti, bensì i rischi di elusione delle procedure pro-concorrenziali di selezione del contraente privato, calibrate su un oggetto negoziale diverso da quello in ipotesi risultante dalla rinegoziazione.
2. LE MODIFICHE UNILATERALI NEL DIRITTO PRIVATO
La modificabilità unilaterale del contenuto negoziale non è un fenomeno estraneo al diritto civile.
in termini sostanzialmente coincidenti anche XXXXXX DEVILLER, Cours de droit administratif, Montchrestien, 2001, 396, in cui si ribadisce che «le contrats administratifs échappent au charactère obligatoire de la convention at à son immutabilité puisque les obligations contractuelles ne naissent pas seulment xx xx xxxxxxx xxxxxxxxx xxx xxxxxxx xxxx xxxxxxx xx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx de l’administration». DE LABAUDERE, MODERNE, DEVOLVE, Traité des contrats administratifs, in LGDJ, 1983, 694, 700. Ancora, sul tema della modification unilatérale: XXXXXXX, Réflexions sur le pouvoir de modification unilatéral du maitre de l’ouvrage dans le marchés de travaux public set privés, Droit et ville, 1984, 50; LIBERT, Les modifications du marché en cours d’exécution, in AJDA, 1994, 65; DE LABAUDERE, Du pouvoir de l’administration d’imposer unilatéralement des changements aux dispositions des contrats administratifs, in RDP, 1954, 36 in cui per l’appunto si annovera la mutabilitè tra le «notions dominantes de la théorie de l’exécution des contrats administratifs. Più recentemente cfr. XXXXXXXXX, La modification du contrat administratif, Parigi, 2009; XXXXXXX XXXXXXXX, Liberté contractuelle des persone publiques, in AJDA, 1998, 643. Contra, ossia nel senso della necessità di superare la teorica della modificabilità unilaterale: XXXXXX, De l’inexistence d’un pouvoir de modification unilatérale dans les contrats administratifs, in JCP, 1963, 25; sulle tensioni tra la teorica della modificabilità e gli spunti proconcorrenziali dettati dal diritto europeo dei contratti pubblici: XXXXXXXXXXXXX, L’apport de la protection de la libre concorrence à la théorie du contrat administratif, in Rev. dir. pub., 2008, 2, 421.
Tre sono, in particolare, le categorie di norme privatistiche che si occupano del tema dello ius variandi nei rapporti di durata.
La prima categoria comprende le norme che vietano o limitano il fenomeno della modificabilità unilaterale, anche laddove essa sia stata preventivamente contemplata dalle parti in sede di stipulazione. Tra le norme maggiormente significative meritano di essere richiamate: l’art. 6 della l. 192/1998, che vieta la formulazione di clausole di ius variandi nei contratti di subfornitura; l’art. 333 co. 2 lett. m) del d.lgs.206/20055 (codice del consumo) che qualifica come presuntivamente vessatorie le clausole di ius variandi presenti nei contratti del consumatore e l’art. 118 del d. lgs. 385/1993 (T.U.B.), che per i contratti bancari subordina l’esercizio dello ius variandi da parte delle banche alla sussistenza di un giustificato motivo6.
La seconda categoria contempla norme che pongono in capo al contraente che subisce lo ius variandi l’alternativa tra l’accettazione della modifica unilateralmente predisposta e lo scioglimento anticipato del contratto. La dottrina parla, in proposito, di recesso in autotutela avverso lo ius variandi di controparte7. Si pensi all’art. 33 co. 4 del codice del consumo, che assegna al professionista il diritto di modificare il contenuto del contratto rimettendo alla controparte la scelta tra accettazione della modifica e diritto di recesso. Oppure agli artt. 1897 e 1898 c.c. relativi al contratto di assicurazione, in cui si consente a ciascun contraente, in presenza di determinati presupposti, il diritto di aumentare o ridurre il premio originariamente pattuito, fatto salvo, per la controparte, il diritto di recedere.
5 In tema di ius variandi nei contratti dei consumatori, cfr. SCARPELLO, La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010, 4.
6 Sullo ius variandi nei contratti bancari, cfr. GAGGERO, La modificazione unilaterale dei contratti bancari, Padova, 1999, 373
7 Cfr. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, 553
La terza categoria raggruppa, infine, norme che conferiscono ad una delle parti il diritto di imporre modifiche che, ove non recepite dall’altro contraente, determineranno a carico di quest’ultimo una situazione di inadempimento. Si pensi all’art. 1664 c.c., ove si prevede che in un appalto tra privati8, qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della manodopera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono pretendere la revisione del prezzo medesimo. O ancora, sempre in tema di appalto, si veda l’art. 1661 c.c., in forza del quale il committente può apportare variazioni al progetto, purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivo convenuto. O infine, nel contratto di trasporto, si veda l’art. 1685 c.c., che sancisce il cd. diritto al contrordine, ossia il diritto del mittente di “sospendere il trasporto (…) ovvero di ordinarne la consegna a un destinatario diverso da quello originariamente indicato o anche disporre diversamente”.
Nonostante la prima impressione, occorre rilevare come nessuna delle tre categorie di norme sinora menzionate annoveri fattispecie relative a modifiche autenticamente unilaterali.
Nel primo caso, infatti, si tratta di norme che incidono sull’autonomia negoziale, vietando o limitando le pattuizioni con cui le parti di comune accordo (e dunque non unilateralmente) assegnano lo ius variandi ad uno dei protagonisti del rapporto.
La seconda categoria, invece, raggruppa norme che attribuiscono ad uno dei contraenti il diritto di modificare il regolamento negoziale, assegnando però alla
8 Cfr. XXXXXXX, Sopravvenienze perturbative e rinegoziazione del contratto, Catania, 2006, 48, secondo cui l’art. 1664 c.c. detterebbe un principio generale di gestione dei rischi destinato ad operare non solo nell’ambito del tipo contrattuale contrassegnato dal nomen «appalto», ma in tutti i contratti di durata contrassegnati dal carattere specialistico della prestazione dedotta in contratto (che si traduce nella difficile surrogabilità del prestatore).
controparte uno speculare diritto di recesso, che neutralizza il carattere unilaterale – ossia autenticamente impositivo - dello ius xxxxxxxx0.
La terza categoria, infine, include norme che assegnano ad una delle parti un diritto di modifica non controbilanciato da alcun diritto di recesso. E tuttavia, anche in questo caso, non si tratta di fattispecie autenticamente unilaterali. Ciò in ragione del carattere dispositivo delle norme in questione10, la cui operatività può essere sterilizzata di comune accordo dalle parti. Se nei contratti in questione trova applicazione lo ius variandi previsto dalle norme civilistiche è dunque in ragione del fatto che le parti si sono tacitamente accordate al fine di non neutralizzare l’operatività delle norme attributive del predetto diritto di modifica. Ancora una volta, quindi, non si rintraccia l’attributo dell’unilateralità.
Il quadro appena tratteggiato porta a concludere che il diritto civile non contempla autentiche fattispecie di modificabilità unilaterale, stante il carattere dispositivo delle norme di ius variandi appartenenti alla terza categoria appena menzionata. In ciò risiede il principale tratto di discontinuità rispetto agli scenari relativi all’appalto pubblico, ove, di contro, le norme di ius variandi sono inderogabili, e perciò sottratte all’autonomia negoziale .
9 Contra, ossia nel senso che lo ius variandi di una parte, anche laddove bilanciato dal recesso della controparte, costituisca un fenomeno che avversa il principio di vincolatività ex art. 1372 c.c.: DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1999, 25; nonché VETTORI, La vincolatività, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, Torino, 2001, 5.
10 Cfr. XXXXXXXXXXX, Poteri unilaterali di modificazione (jus variandi) del rapporto contrattuale, in Giur. comm., 1992, 22; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2008, 768; XXXXXXXX, voce Appalto, in Enc. dir., Roma, 1991, II, 391.
3. LE MODIFICHE UNILATERALI NEI CONTRATTI PUBBLICI
La dottrina tradizionale, influenzata dalla letteratura scientifica francese, ha professato l’esistenza di un regime di mutabilità implicita del contratto pubblico, in forza del quale l’amministrazione potrebbe unilateralmente modificare le clausole negoziali, anche successivamente alla stipulazione e anche in assenza di una norma che le assegni esplicitamente tale potere. Queste tesi possono ormai considerarsi superate, anche in forza dell’art. 1 comma 1 bis della l. 241/9011, il quale impedisce di rintracciare, nell’ambito dell’attività consensuale, poteri pubblicistici non contemplati dalla legge. Il che, a sua volta, rappresenta una conseguenza ineludibile del principio di legalità, nella sua declinazione in termini di legalità-garanzia.
Le modifiche unilateralmente apponibili al contenuto del contratto pubblico sono, perciò, solo quelle previste dal diritto positivo. Gli istituti di maggiore di rilievo, in tal senso, sono quelli della revisione dei prezzi e delle varianti in corso d’opera.
11 Sull’applicabilità del novello co. 1 bis ai contratti ad evidenza pubblica, con conseguente superamento delle teoriche all’insegna della cd specialità intrinseca della disciplina del rapporto negoziale cfr. DE PRETIS, L'attività contrattuale della P.A. e l'art 1 "bis" della legge n. 241 del 1990: l'attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in Tipicità e atipicità nei contratti pubblici, a cura di Mastragostino, 2007, Bologna, 29.
3.1 La revisione dei prezzi12
In materia di appalti di lavori, l’art. 133 del Codice dei contratti pubblici impone il cd. sistema del prezzo chiuso, che non equivale a “prezzo immodificabile”, ma consiste nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d’asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza sia superiore al 2%, all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno previsto per l’ultimazione dei lavori. Tale percentuale è fissata con decreto del Ministero delle infrastrutture.
Tuttavia, in deroga a tale regime, il medesimo articolo prevede che, qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione superiori al 10% rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture nell’anno di presentazione dell’offerta si faccia luogo a compensazioni in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale superiore al 10%13.
L’istituto della revisione dei prezzi compare tanto nella disciplina degli appalti tra privati, quanto in quella degli appalti pubblici. La regolamentazione della revisione dei
12 Per una ricostruzione storica più dettagliata circa l’introduzione del meccanismo revisionale, cfr. VARANESE, La revisione dei prezzi, Milano, 1947
13 In base al co. 4 dell’art. 133, al di sopra del limite del 10% si deve comunque avere riguardo a non superare l’ammontare delle somme di cui al co. 7 del medesimo art. 133, in cui si prevede che «per le finalità di cui al comma 4 si possono utilizzare le somme appositamente accantonate per imprevisti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel quadro economico di ogni intervento, in misura non inferiore all'1 per cento del totale dell'importo dei lavori, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, nonché le eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento nei limiti della relativa autorizzazione di spesa. Possono altresì essere utilizzate le somme derivanti da ribassi d'asta, qualora non ne sia prevista una diversa destinazione sulla base delle norme vigenti, nonché le somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di competenza dei soggetti aggiudicatori nei limiti della residua spesa autorizzata; l'utilizzo di tali somme deve essere autorizzato dal CIPE, qualora gli interventi siano stati finanziati dal CIPE stesso».
prezzi nei rapporti tra privati e nei contratti pubblici ha conosciuto nel tempo notevoli oscillazioni, seguendo ciclici tragitti di avvicinamento e allontanamento. La differenza più significativa tra i due istituti omologhi, tuttavia, non risiede nel contenuto precettivo delle rispettive (e oscillanti) discipline, bensì in una caratteristica strutturale delle norme dedicate a ciascuno di essi. La revisione dei prezzi, nei contratti pubblici, è, infatti, un diritto indisponibile. L’amministrazione, così come l’impresa aggiudicataria di un contratto pubblico, non possono rinunciare preventivamente al diritto di pretendere la revisione dei prezzi in aumento o in diminuzione. Ciò per evidenti ragioni di tutela dell’interesse pubblico14, inteso come interesse ad una utile allocazione delle risorse (pubbliche) investite nel contratto, mediante un bilanciamento efficiente tra qualità (del bene o del servizio acquisito) e risparmio.
La revisione dei prezzi di un contratto pubblico è dunque una prerogativa autenticamente unilaterale15, giacché le parti, in sede di stipulazione, non possono efficacemente accordarsi nel senso della inoperatività della disciplina legale dedicata a tale istituto16.
14 nel senso che l’istituto della revisione dei prezzi risponda a finalità pubblicistiche sconosciute alla disciplina dell’omonimo contratto tra privati: Cons. St., 12 ottobre 0000, x 000; in Mass. Compl. Cons. Stato, 1984, 371; nonché Corte dei conti, sez. controllo per la regione Sardegna, n. 55/2009/PAR.
15 Nel senso che la revisione del prezzo degli appalti pubblici consisterebbe in un atto di esercizio di un potere pubblicistico che dall’esterno incide sul contratto, XXXXXXXX, Corso di diritto amministrativo, cit., 85 e NICOLÒ, Diritto civile, in Enc dir., Milano, 1964, XII, 916.
16 Diversamente, negli appalti tra privati «la norma che disciplina la revisione dei prezzi nel contratto di appalto (art. 1664 c.c.) non ha carattere imperativo, per cui le parti hanno facoltà di derogarvi, sia limitando la revisione e modificandone le condizioni di legge, sia anche escludendola completamente», così Cass. civ., 12 giugno 1987, n. 5148, in Rep., voce Appalto 1987, n. 42.
3.2 Le varianti in corso d’opera
L’art 132 del codice dei contratti pubblici consente all’amministrazione appaltante di imporre varianti all’opera in corso di esecuzione, purché sia soddisfatta una triplice condizione.
La prima consiste nella sussistenza di una delle situazioni tassativamente previste dallo stesso art. 13217: sopravvenienze normative, errori progettuali, etc. Questo regime di tipizzazione concerne, però, solo le varianti in aumento. Per quelle in diminuzione, che determinano risparmi di spesa per le amministrazioni e minori guadagni per l’appaltatore, tale regime di tipizzazione è escluso dall’art. 162 co. 1 del d.P.R. 207/2010. Per converso, nell’appalto tra privati il diritto del committente di imporre varianti in corso d’opera non è sottoposto ad alcun regime di tipizzazione dei presupposti.
La seconda condizione riguarda il quantum della variante, che può essere imposta dalla stazione appaltante pubblica nel limite di un quinto del valore complessivo dell’affidamento18, laddove invece, nei contratti tra privati, tale soglia coincide con un sesto19 (art. 1661 c.c.).
17 Nei settori dei servizi e delle forniture la tipizzazione dei presupposti di apponibilità delle varianti è dettata dal’art. 311 co. 2 del regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici.
18 Una regola del tutto analoga è dettata all’art. 311 co. 4 con riferimento ai contratti di servizi e forniture.
19 Secondo alcuni degli Autori che si sono cimentati nello studio di questi temi, il diverso ammontare della soglia di imponibilità denuncerebbe cioè la natura pubblicistica dell’istituto, e dunque il carattere provvedimentale dell’atto in cui esso si esprime. Così, XXXXXXXXX Profili civilistici del contratto di diritto pubblico, cit., 131; XXXXXXX XXXXXXX, La nozione di appalto pubblico, Milano, 1999, 51. Contra, ossia nel senso della inidoneità della differenza quantitativa a denunciare la presunta connotazione pubblicistica della variante apposta a contratto pubblico: BENEDETTI, Contratti della pubblica amministrazione, cit., 202.
Infine, la terza condizione concerne il carattere non essenziale della variante, la quale non potrà determinare alterazioni sostanziali dell’oggetto dell’affidamento. Limite, quest’ultimo, introdotto per la prima volta dalla legge Xxxxxxx, la quale ha determinato, sotto tale profilo, una convergenza rispetto alla disciplina degli appalti tra privati, in cui il divieto di apporre varianti essenziali è sancito dall’ art. 1661 c.c.
Il divieto di introdurre varianti essenziali è però ispirato da obiettivi differenti: nei rapporti tra privati esso è posto a presidio del principio di affidamento e di tutela del contraente “debole”; negli appalti pubblici, invece, esso presiede anche ad obiettivi di trasparenza e concorrenzialità delle gare, ad evidente beneficio dei terzi non aggiudicatari. Ciò spiega, ancora una volta, il fatto che nei rapporti tra privati la regola in questione sia derogabile con il consenso delle parti, mentre nei rapporti pubblicistici, essa non possa essere consensualmente rivisitata20.
In ciò risiede il più autentico tratto di discontinuità rispetto agli omologhi istituti civilistici di ius variandi, i quali, quand’anche dovessero essere disciplinati in modo identico a quanto previsto per le fattispecie pubbliche, sarebbero comunque distinguibili da esse in ragione della derogabilità della relativa disciplina. Lo stesso dicasi per i limiti quantitativi (cfr. il limite di un quinto oltre il quale la variante non può essere imposta dall’amministrazione) ed eziologici (cfr. la tipizzazione della condizioni di apponibilità della variante) che assistono l’istituto delle varianti pubblicistiche, le quali non possono essere pattiziamente ridisciplinate in ragione dei potenziali rischi sul fronte dell’effettività
20 Da ultimo, in giurisprudenza: Cons. St., sez. III, 9 maggio 2012, n. 2685, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx. Peraltro, l’inderogabilità delle norme relative alla modificabilità del contratto pubblico è stata, talvolta, espressamente puntualizzata dal legislatore: cfr. ad esempio il previgente art. 33 della l. 41/86, in cui si dettava la disciplina relativa alla revisione dei prezzi negli appalti di lavori, puntualizzando la nullità di ogni pattuizione contraria.
dei principi di buon andamento (inteso quale efficienza economica degli acquisti pubblici) e imparzialità nel mercato dei pubblici affidamenti21.
Dal quadro sinora tratteggiato emerge una rinnovata accezione del concetto di specialità, quale attributo delle fattispecie contrattuali pubbliche. Se tradizionalmente si è ritenuto che il diritto dei contratti pubblici fosse un diritto privato speciale perché foriero di prerogative di vantaggio (ossia di “privilegio”) in capo al contraente pubblico22, a tutt’oggi sembra più verosimile accogliere una accezione “diminutiva” del predicato della specialità. Quest’ultima, a ben vedere, si compendia in un ridimensionamento delle prerogative pubbliche, stante l’impossibilità, per l’amministrazione, di rinunciare allo ius variandi assegnatole dalle norme sull’esecuzione, ovvero di ridefinirne in via pattizia il contenuto.
21 Cfr. Tar Umbria, sez. I, 7 giugno 2008 n. 247, in Urb. app., 2008, 1176, in cui si denuncia come «le varianti in corso d’opera comportano un vulnus ai principi della concorsualità e della par condicio, come ogni altra ipotesi di rinegoziazione a trattativa privata fra l’appaltante e l’aggiudicatario, e rappresentano dunque una lesione degli interessi legittimi degli altri concorrenti; d’altra parte, in quanto sottratte alla verifica della gara, rappresentano un pericolo per gli interessi della stessa stazione appaltante. In questa luce, la figura della variante in corso d’opera (…) è ammissibile solo come rimedio eccezionale nell’ipotesi che si debba far fronte a sopravvenienze impreviste e imprevedibili».
22 Cfr. RESTA, Sulla natura speciale del contratto di appalto. Sulla natura speciale del contratto di appalto per l’esecuzione di opere pubbliche e sulla proponibilità dell’azione giudiziaria di adempimento dell’amministrazione, in Foro amm., 1932, II, 189, in cui, coerentemente con le premesse ispiratrici della teorica pubblicistica, l’Autore puntualizza come «il noto principio che di fronte ad un potere discrezionale non sussistono diritti subiettivi perfetti, ma solo interessi legittimi, non può conciliarsi con la sussistenza di rispettivi diritti ed obblighi giuridici creati dai contraenti in virtù dell’incontro dei reciproci consensi». Di qui la negazione del carattere genuinamente contrattuale dell’appalto pubblico. Su posizioni analoghe anche: VITALE, Appalti: commento alle note che riguardano l’esecuzione delle opere pubbliche, Milano, 1938, 10; FRAGOLA, Il collaudo di opere pubbliche, Napoli, 1955, 8. Tra i detrattori della nozione di diritto privato speciale figura invece AMORTH, Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa di diritto privato, in Arch. dir. pubbl., 1938, 478 e 479 il quale puntualizza come l’ordinamento di diritto comune sia «fondamentalmente stabilito a tutela degli interessi dei privati, pei quali domina il principio dell’uguaglianza, ove l’amministrazione agisca secondo le sue norme essa deve, per forza di cose, perdere quella condizione di superiorità che le compete altrimenti, per la tutela di quei particolari interessi collettivi che essa persegue.»
Sotto questa veste, pertanto, la situazione dell’amministrazione, lungi dall’accostarsi agli orizzonti concettuali della supremazia (cfr. supra), ricorda piuttosto quella del c.d. contraente debole, al quale il diritto comune sottrae ambiti di autonomia negoziale (quelli afferenti alla possibilità di rinunciare o disporre dei propri diritti) in ragione di una “congenita” limitazione della libertà di autodeterminarsi. Limitazione che, per il contraente pubblico, è impressa dal vincolo di funzione, inteso come necessario perseguimento dell’efficienza degli investimenti pubblici e, dunque, come divieto di porre in essere iniziative negoziali diseconomiche ovvero eccessivamente rischiose.
4. LE MODIFICHE BILATERALI
4.1 Le modifiche bilaterali nel diritto civile
L’ordinamento civile italiano, a differenza di quello di molti stati europei23, nonché delle principali esperienze di diritto transnazionale24, non contempla alcuna regola
23 Si veda, in proposito, il codice civile tedesco, il quale oggi rimette al giudice, in caso di mancato accordo tra le parti, il potere di modificare il contenuto del contratto divenuto eccessivamente oneroso in corso di esecuzione (è il cd. istituto dell’Anpassung).La regola appena enunciata è stata introdotta con la legge sulla modernizzazione del diritto delle obbligazioni (Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts del 26 novembre 2001), la quale sul punto ha recepito una consolidata tendenza giurisprudenziale che già riteneva possibile l’intervento correttivo del giudice in forza di una interpretazione estensiva della clausola di buona fede oggettiva di cui ai § 157 e 242 BGB (cfr. su questi temi AMBROSOLI, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, 366) Per una puntuale analisi della epocale svolta adottata nel 2001 dall’ordinamento tedesco in tema di revisione giudiziale del contenuto del rapporto, si rinvia a XXXXXXXX, La codificazione tedesca della Störung der Geschäftsgrundlage, in la riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e contratti?, a cura di Cian, Padova, 2004, 10; DI MEMMO, Il nuovo modello tedesco della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, cit., 821; CIAN, Significato e lineamenti della riforma dello Schuldrecht tedesco, in Riv. dir. civ., 2003, 1, 9; TRAISCI, Sopravvenienze contrattuali e rinegoziazione nei sistemi di civil law, Napoli, 2003. Nella stessa direzione si è mossa anche la riforma del recente codice civile olandese (New Burgerlijk Wetboek – nuovo codice civile - del 1992) che all’art. 11 stabilisce che il giudice, su istanza di parte, possa modificare il contratto ogni qualvolta si verifichino eventi tali da non rendere più conforme a giustizia ed equità l’esecuzione delle
in forza della quale una delle parti di un contratto di durata, in caso di sopravvenienze idonee ad alterare l’equilibrio economico del sinallagma, possa pretendere, eventualmente anche in sede giurisdizionale, la rinegoziazione del contratto. Ciò si desume dall’art. 1467 c.c., che dispone che il contraente svantaggiato dalle sopravvenienze possa ottenere solo lo scioglimento anticipato del rapporto, salvo che la controparte spontaneamente offra di modificare equamente le condizioni del contratto. Il che implica, con ogni evidenza, l’assenza di un regime di rinegoziazione obbligatoria e coercibile.
4.2 Le modifiche bilaterali nel diritto europeo dei contratti pubblici
Neppure la legislazione sui contratti pubblici contempla alcuna regola dedicata alla rinegoziazione: sia per quanto concerne la sua praticabilità, sia per quanto riguarda i suoi eventuali limiti, sia, infine, per quanto attiene alla sua procedimentalizzazione.
prestazioni nei termini e alle condizioni originariamente pattuite. Di tenore analogo è anche l’art. 373 del codice civile greco del 1946. In tema di rinegoziazione “coatta” si veda altresì il progetto di riforma del codice civile francese, ove si prevede l’introduzione di una regola per cui, al verificarsi di sopravvenienze tali da modificare in modo significativo l’originario sinallagma, il giudice possa ordinare alle parti una nuova negoziazione (cfr. l’art. 1335 co. 2 dell’avant projet di riforma del diritto delle obbligazioni francesi redatto su iniziativa del Xxxx. Xxxxxx). Sui tentativi di riforma dell’ordinamento civile francese si veda: XXXXXXX, Buona fede e rimedi conservativi del contratto nel sistema francese e nell’avant projet di riforma del diritto delle obbligazioni. In medio stat virtus?, in Rass. dir. civ., 2009, 2, 591. XXXXXXXXX-XXXXXX, La réforme du droiot francais des contrats, in Rev. contr., 2006, 15.
24 Si vedano, in particolare, i Principi Unidroit, che contemplano la famosa clausola di hardship (art. 6.2.3), su cui, in dottrina, si veda VOLPE, I principi Unidroit e l’eccessivo squilibrio del contenuto negoziale, in Riv. dir. priv., 1999, 40. Sempre in tema di progetti di codificazione transnazionale recanti norme in tema di rinegoziazione obbligatoria, meritano di essere menzionati anche i progetti di codificazione del cd. diritto privato europeo (Principi Lando, art. 6.111) e il Code européen des contrats, elaborato dall’Accademia dei giusprivatisti europei guidata dal Xxxx. Xxxxxxxx.
Questo vuoto normativo non può essere arginato in alcun modo dal diritto civile. Non solo perché esso, come si è visto, non ha sinora espresso alcuna regola esplicita riguardo a tale fenomeno25. Ma anche, e soprattutto, perché la rinegoziazione delle fattispecie pubbliche intercetta un tema estraneo agli orizzonti dei rapporti tra privati, quello relativo alle possibili elusioni delle regole di imparzialità che presiedono al processo di individuazione del contraente.
Più utili, sul punto, risultano gli spunti offerti dalla giurisprudenza, in particolare da quella comunitaria, la quale a più riprese ha stigmatizzato come attraverso la rinegoziazione di clausole essenziali del contenuto negoziale spesso si realizzino surrettizie (ed illegittime) aggiudicazioni senza gara, in evidente pregiudizio delle situazioni dei terzi aspiranti aggiudicatari.
La Corte di giustizia, ispirata dalla recente giurisprudenza federale americana26, ha proposto nel tempo un duplice paradigma di essenzialità.
Dapprima la Corte ha considerato dirimente ai fini dell’apponibilità della modifica la sua incidenza sull’originario equilibrio economico tra le prestazioni dedotte in contratto. I giudici del Lussemburgo praticavano cioè il cd. scope of the contract test, il quale tendeva
25 La dottrina civilistica, nel dibattito che ha preceduto la codificazione del 1942, aveva formulato autorevoli suggerimenti e indirizzi in favore della positivizzazione dell’obbligo di revisione del contratto di durata divenuto eccessivamente oneroso. Si veda, in particolare, il celebre scritto di XXXXXXXX, Revisione delle dottrine sulla sopravvenienza contrattuale, in Riv. dir. civ., 1938, 309 ss., in cui l’Autore sosteneva la necessità di introdurre nell’emanando codice una norma che imponesse alle parti, a fronte di notevoli sopravvenienze, la rinegoziazione del contratto di durata.
26 Cfr. J.A. Constr. x. Xxxxxx XxXxxxxx Bovis Inc., 89 P.3d 1009 (Nev. 2004), Xxxxxxx Law firm Co. V. United States, 81 Fed. Cl. 323, 2008 U.S. Claims Lexis 92.
a considerare essenziale, e dunque non apponibile, la modifica idonea a stravolgere l’economia del contratto, ossia il baricentro dell’originario sinallagma27.
In tempi più recenti, tuttavia, i giudici europei si sono orientati verso un diverso tipo di scrutinio, che ravvisa l’essenzialità della modifica (e dunque l’antigiuridicità della stessa) all’esito di una prognosi postuma, ossia di una verifica ex post sulla attitudine della modifica a compromettere, secondo un metaforico tragitto a ritroso, l’imparzialità della procedura di selezione del contraente privato originariamente celebrata.
Le pronunce più recenti in tema di rinegoziazione hanno cioè accolto il criterio funzionale (i.e. pro concorrenziale) dello scope of the competition test28 per far sì che la rinegoziazione, pur non rappresentando un istituto espressamente contemplato dal diritto positivo, si conformi ai principi fondanti tutta la disciplina dei contratti pubblici, primi fra tutti l’imparzialità e la trasparenza nel mercato delle commesse
27 Cfr. Xxxxx xx xxxxx., Xxxxxxxxxx x. Xxxxxx, 0 ottobre 2000, C-337/984, in Racc., 2000, I, 8377. L’adozione del criterio economico, da parte della giustizia europea, si pone in linea di continuità con la giurisprudenza del Conseil d’Etat che ha tradizionalmente censurato con rigore le modifiche idonee a determinare cd. bouleversement de l’économie du contract initial, con ciò anticipando il vigente art. 20 del Code des marchés publics (« sauf sujétions techniques imprévues ne résultant pas du fait des parties, un avenant ou une décision de poursuivre ne peut bouleverser l’économie du marché ou de l’accord-cadre, ni en changer l’objet»).
28 Cfr. Corte di giust., Commissione v. CAS Succhi di frutta SpA, 29 aprile 2004, C-496/99, in Foro amm., 2004, 985; id., Presstext Xxxxxxxxxxxxxxxxxx Gmbh, 19 giugno 2008, C-454/06, in xxx.xxxxxx.xx. Su questa falsariga si esprime anche la Commissione europea nella comunicazione interpretativa C(2007) 6661 sulla applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI).
4.3 Le modifiche bilaterali nel diritto nazionale dei contratti pubblici
Le norme di diritto interno relative alla fase di esecuzione forniscono una ulteriore conferma della maggiore persuasività dell’accezione funzionale (i.e. pro concorrenziale) del concetto di essenzialità della modifica. Un primo spunto a riprova della maggiore “sintonia” dell’ordinamento vigente rispetto ad un paradigma pro-concorrenziale di essenzialità riguarda le cd. modifiche peggiorative, ossia quelle che comportano una revisione del contenuto negoziale non vantaggiosa per il contraente privato.
Se si accoglie l’accezione pro-concorrenziale di essenzialità, si deve coerentemente ritenere che le modifiche peggiorative non possano considerarsi essenziali29, in quanto inidonee a conferire in via diretta all’aggiudicatario alcun illegittimo vantaggio. Il diritto positivo interno conferma questa ipotesi: il d. lgs. 163/2006 e il relativo regolamento, infatti, tratteggiano un regime in cui l’apposizione della variante in diminuzione risulta sensibilmente più agevole rispetto all’apposizione della variante suppletiva, la quale comporta non solo il maggior esborso di denaro pubblico, ma anche (e di conseguenza) il riconoscimento in capo al contraente privato di un “vantaggio” potenzialmente configgente con i principi di imparzialità che regolano i pubblici affidamenti.
Lo stesso atteggiamento di rigore nei confronti delle modifiche migliorative si rinviene poi negli istituti dell’affidamento dei cd. lavori complementari e servizi analoghi (art. 57 d. lgs. 163/2006), anch’essi costellati di una serie di limiti e divieti30 ispirati, per
29 Spunti, in questo senso, si rinvengono in XXXXXXXXX, Atto di aggiudicazione e potere di rinegoziazione della pubblica amministrazione in Giorn. dir. amm., 2003, 505.
30 Particolarmente puntuale ed esaustivo è il parere n. 19 del 29 aprile 2010 (fruibile nel sito della Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) laddove si puntualizza che «possono ritenersi complementari [e dunque affidabili in via diretta, ove siano rispettati gli ulteriori requisiti legali] soltanto le opere che da un punto di vista tecnico costruttivo rappresentano un’integrazione delle opere principali». Deve, perciò, trattarsi di lavori rientranti nel piano dell’opera originario, privi in quanto tali di «una propria individualità distinta da quella dell’opera originaria». In proposito giova inoltre evidenziare come la norma sui servizi analoghi sia applicabile solo a fronte di commesse originariamente affidate con procedura aperta o ristretta (così dispone esplicitamente l’art. 57 co. 5
l’appunto, dall’esigenza di contrastare la potenziale anticoncorrenzialità della modifica “additiva”.
E ancora, un analogo regime restrittivo caratterizza la disciplina delle modifiche temporali. Si pensi all’art. 23 co. 2 della l. 62/2005, recante un tendenziale divieto di proroga dei contratti di durata. La prorogabilità, in particolare, viene consentita dalla norma in questione solo nel rispetto di una duplice limitazione. La prima è di tipo cronologico: la proroga veniva consentita solo per i contratti già scaduti o in scadenza nei sei mesi successivi all’entrata in vigore della legge del 2005, a condizione che essa non superasse comunque i sei mesi e purché il bando per il successivo affidamento fosse pubblicato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge medesima. La seconda è di tipo finalistico: la proroga era infatti ammessa solo nella misura in cui risultasse necessaria alla predisposizione delle procedure di gara strumentali all’affidamento di nuovi contratti.
Prescindendo dai risvolti più tecnici delle varie norme sinora menzionate, la sensazione che si ritrae da quanto sinora evidenziato è la seguente: il diritto positivo tratteggia un regime di maggiore apertura verso le modifiche peggiorative/diminutive, mentre esprime regole più severe quando si tratta di modifiche additive/migliorative. Ciò a conferma del fatto che la problematicità delle modifiche post-aggiudicazione si esprime soprattutto quando la revisione diventa lo strumento per assegnare al contraente privato un “supplemento” di contratto che, a ben vedere, si identifica con una nuova e distinta commessa.
lett. b). La regola si spiega, evidentemente, con la volontà del legislatore di arginare i rischi di anticoncorrenzialità insiti nell’istituto dei servizi analoghi, prevedendo, per l’appunto, che a beneficiare di tale affidamento diretto possano essere solo gli operatori che abbiano con successo già superato una competizione ispirata alla massima apertura e concorrenzialità. In giurisprudenza si veda: Tar Lombardia, sez. III, 3 novembre 2004, n. 5575, in Foro amm., 2004, 2838, ove il giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo (poiché non sussumibile nell’alveo dell’art. 57 co. 5 lett. a) del d. lgs. 163/2006) l’affidamento in favore del contraente originariamente selezionato della costruzione di svincoli stradali ulteriori rispetto a quelli compresi nell’oggetto dell’originaria commessa.
Ad ulteriore conferma del maggior favore accordato alle fattispecie di revisione “diminutiva”, ossia comportante minori volumi di spesa per l’amministrazione, giova menzionare anche la recente riforma introdotta dalle cd. norme sulla spending review. Il riferimento concerne l’art. 1 co. 13 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, che assegna al committente di un appalto di servizi o forniture il diritto di recedere dai contratti che il contraente privato si rifiuti di rinegoziare “al ribasso”, ossia in modo da adeguare la fattispecie alle condizioni
– più convenienti per la committenza – proposte da Consip dopo il perfezionamento del singolo contratto. La regola, pertanto, non solo non avversa l’apposizione di modifiche peggiorative della situazione negoziale del privato, ma addirittura la incentiva fortemente, assegnando al committente un diritto di recesso con funzione di “deterrenza” avverso gli atteggiamenti non collaborativi della controparte privata.
Anche da tale recente intervento di riforma risulta corroborata la tesi che individua l’essenzialità della modifica, e dunque la sua antigiuridicità, in funzione dell’attitudine della rinegoziazione ad attribuire indebiti vantaggi al contraente privato, selezionato mediante una procedura non coerente con l’oggetto effettivo del contratto eseguito.
Accogliendo tale presupposto, si può allora tentare di individuare, anche al di fuori degli istituti positivizzati, qualche ulteriore esemplare di modifica contrassegnata dall’attributo dell’essenzialità, nell’accezione funzionale/proconcorrenziale sinora accolta.
L’adozione dello standard pro-concorrenziale induce, ad esempio, a ritenere sempre essenziali le modifiche che comportino un incremento del valore del contratto idoneo a far superare la soglia di rilevanza comunitaria. In questo casi, il rilievo economico della modifica apposta in corso di esecuzione non rileva quale fattore di sovvertimento dell’equilibro economico del rapporto, bensì quale “figura sintomatica” della potenziale anticoncorrenzialità della fattispecie, la quale sia stata affidata secondo le regole – meno rigorose - del sottosoglia.
Di contro, l’accoglimento del parametro pro- concorrenziale dovrebbe condurre a ritenere praticabili tutte quelle modifiche che siano state in qualche modo “preventivate” nel bando. Ciò, ovviamente, a condizione che il bando sia formulato in modo da rendere
effettivamente xxxxxx i concorrenti reali o potenziali del contenuto concreto della modifica apponibile in corso di esecuzione31.
Anche in materia di contratto misto, ossia contrassegnato da prestazioni ascrivibili a più settori (lavori, servizi, forniture) il concetto di essenzialità riveste un ruolo rilevante. L’art. 14 del codice dei contratti pubblici, in sintonia con il contenuto della dir. 18/2004, dispone che per individuare la disciplina settoriale applicabile in fase di aggiudicazione si debba fare riferimento al settore prevalente dal punto di vista funzionale32, dovendosi tuttavia sfruttare, quale indice presuntivo di tale prevalenza funzionale, il parametro delle proporzioni economiche tra i valori delle componenti settoriali della commessa. Pertanto, dovrà ritenersi essenziale la modifica che, sovvertendo tali proporzioni economiche ovvero agendo direttamente sul rilievo funzionale di ciascuna componente settoriale, alteri i rapporti di prevalenza tra le prestazioni dedotte nella commessa considerata, rendendo ex post illegittima la procedura di selezione in origine celebrata per l’individuazione del contraente.
31 Corte di giust., Commissione europea x. Xxxxxx, 00 aprile 2010, C- 423/07, in Racc. 2010, I, 3429. Anche nella precedente decisione resa dalla Commissione relativamente all’appalto di lavori per la costruzione della metropolitana di Londra aveva menzionato, tra i vari argomenti a riprova della legittimità della condotta rinegoziativa posta in essere dalla stazione appaltante, il fatto che «the possibility of post selection changes was made known to all bidders in advance» (decisione della Commissione del 2 ottobre 2002 C(2002) 3578, in GUCE C309 del 2002, 14). Si vedano, in commento alla decisione appena menzionata, le osservazioni di ZANETTINI, Le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici nel Regno Unito, in Le gare pubbliche: il futuro di un modello, cit., 248 ss.
32 Prima dell’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, il criterio per l’individuazione della disciplina settoriale da applicarsi in fase di aggiudicazione era di tipo economico: Il riferimento più significativo è all’art. 1,
l. 18 dicembre 1998, n. 415 (cd. Merloni ter), in cui si stabiliva che «nei contratti misti di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendano lavori accessori, si applicano le norme della presente legge [i.e. le norme sul settore dei lavori] qualora i lavori assumano un valore economico superiore al 50%». Il criterio quantitativo fissato dalla Merloni ter aveva determinato l’apertura di una procedura di infrazione (n. 2001/2182) nei confronti dell’Italia, a causa del contrasto della normativa interna con il criterio funzionale previsto dal 16 considerando della cd. direttiva servizi (successivamente ribadito dalla dir. 18/2004).
Infine, se si accoglie l’idea per cui l’essenzialità della modifica rifletta il potenziale elusivo della modifica stessa, occorrerà considerare anche il rapporto tra rinegoziabilità del contratto e il tasso di “rigidità” della procedura di aggiudicazione celebrata, intesa come maggiore o minore apertura all’apporto degli offerenti nella determinazione del contenuto negoziale. L’essenzialità della modifica, infatti, risulta un predicato naturalmente destinato ad insistere soprattutto sulle modifiche che interessano le porzioni del contratto oggetto dell’apporto creativo/propositivo dell’offerente, in quanto idonee ad orientare in favore di questi l’aggiudicazione della commessa in gara. La flessibilità della procedura, in altre parole, pare inversamente proporzionale alla rinegoziabilità del contratto stipulato all’esito della procedura medesima: maggiore è la flessibilità della fase di aggiudicazione, minori parrebbero essere i margini di revisionabilità del successivo contratto.
5. LA TUTELA DEI TERZI AVVERSO LE MODIFICHE ELUSIVE
Se si conviene sul fatto che lo scrutinio sull’essenzialità della modifica presidia il valore della imparzialità delle aggiudicazioni, il problema che conseguentemente si pone è quello di definire i percorsi di accesso alla tutela dei soggetti lesi dalla rinegoziazione, ossia i terzi non aggiudicatari.
Su questo fronte i profili controversi sono due.
Il primo concerne il novero dei terzi dotati di adeguata legittimazione attiva. Occorre cioè verificare se sia necessaria, ai fini dell’accesso alla tutela, la previa partecipazione alla procedura di aggiudicazione oppure se vadano tutelati anche i cd. offerenti potenziali, con xxxxxxx rischi di ulteriore oggettivizzazione del rito appalti. Il diritto europeo, in sintonia con la giurisprudenza federale americana, apre la fruizione della tutela anche ai cd. perspective bidders, purché dimostrino che, ove la gara fosse stata
originariamente bandita alle mutate condizioni (i.e. alle condizioni risultanti dalla rinegoziazione) essi avrebbero avuto serie chance di aggiudicarsi la commessa33.
Più altalenante risulta invece la giurisprudenza interna, tendenzialmente ancorata al presupposto legittimante della previa partecipazione alla procedura di affidamento34 .
Il secondo profilo controverso riguarda i rimedi azionabili . I terzi, in quanto tali, non sono dotati di strumenti civilistici idonei a contrastare la rinegoziazione: osta, in tal senso, la regola della res inter alios acta. I percorsi astrattamente praticabili, per i terzi in questione, sembrano piuttosto riconducibili a due opzione alternative.
La prima consiste nel ritenere che il terzo, ove si assuma leso da una rinegoziazione elusiva del principio di gara, possa impugnare presso il giudice amministrativo la modifica elusiva, quale implicito atto di aggiudicazione in favore dell’impresa già affidataria della originaria commessa35.
33 Cfr. Corte di giust., Presstext Xxxxxxxxxxxxxxxxxx, cit.. Tra i commenti a tale rilevantissima pronuncia si segnala: XXXXX, When Do Changes to an Existing Public Contract Amount to the Award of a New Contract for the Purposes of the EUProcurement Rules? Guidance at Last in Pressetext Xxxxxxxxxxxxxxxxxx GmbH (Case C- 454/06) in Public Procurement Law Review, 2008, 253. Sul fronte americano si veda: Xxxxxxxx x. Xxxxxxx, 5Fed Cl. 443, 456, 2001; HDM Corp x. X.X., 0 giugno 2005 Lexis 431; CCL. Inc. v. U.S., 3Fed. Cl. 780, 79, 1997; Memorex Corporation, 23 ottobre 1981, 81-2 CPD 334)
34 Per una visione d’insieme sul tema in questione si veda Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4.
35 Cfr. GOISIS, Principi in tema di evidenza pubblica e di rinegoziazione successiva del contratto: conseguenze della loro violazione sulla serie pubblicistica e privatistica, autotutela e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2011, n. 815, il quale propende per l’impugnazione dell’atto implicito (i.e. della rinegoziazione facente funzione di aggiudicazione) dal cui accoglimento deriverebbe, secondo l’Autore, l’invalidità (sub specie di nullità) del contratto accessivo all’atto gravato. La soluzione dell’impugnazione dell’atto di modifica, inteso alla stregua di un autentico provvedimento amministrativo, è stata ampiamente sperimentata dall’ordinamento francese, presso il quale hanno a lungo trovato seguito le suggestioni ascrivibili alla teorica degli actes detachables (letteralmente atti separabili). Per comprendere il fondamento del meccanismo di separazione appena evocato giova premettere che nel contesto d’oltralpe il contenzioso sul contrat administratif è interamente devoluto al juge du pleine
La seconda consiste invece nell’idea per cui il contratto rinegoziato possa essere censurato in via diretta, facendone valere dinanzi al giudice ordinario la nullità per violazione di norme imperative36 (quelle che impongono la celebrazione di procedure ad evidenza pubblica coerenti con l’oggetto e l’entità dell’affidamento).
Le soluzioni appena prospettate sono entrambe astrattamente idonee a garantire il medesimo risultato, ossia la fruizione della tutela da parte di soggetti estranei al contratto. Tuttavia, vi sono sufficienti elementi per ritenere che la prima di tali opzioni sia più conforme alle linee ispiratrici del vigente ordinamento in materia di contratti pubblici. La soluzione della nullità introdurrebbe, infatti, una notevole vischiosità tra la fase pubblicistica e quella negoziale, in contrasto con le istanze di separazione perseguite dal diritto europeo, ad esempio mediante l’introduzione dei termini di standstill.
contentieux, il quale, fino al recente passato, poteva essere adito solo dalle parti contraenti. Questa circostanza poneva un duplice ordine di problemi. Il primo riguardava i terzi non aggiudicatari, che, in quanto tali, non potevano agire al cospetto del predetto giudice. Il secondo riguardava il tipo di rimedio accordabile dal giudice in questione, il quale, a ridosso della stipulazione, poteva decidere della validità del contratto ma non annullare le singole iniziative modificative, come invece avrebbe potuto fare il juge administratif al cospetto di un ricorso pour excés de pouvoir. In questo contesto il ricorso all’archetipo della separabilità si è rivelato un efficace strumento per scongiurare il pericolo del vuoto di tutela. Paradigmatica, in questo senso: Cons. Et., Ass., 2 febbraio 1987, Societé TV6, in RFDA, 1987, 29, in cui si legge che «le recours pour excés de pouvoir n’est pas recevable contre le contrat administratif mais il lest dans certaines conditions contre les actes detachables du contrat notamment. En l’espce, le REP- est recevable contre les actes postrieurs la conclusion du contrat».
36 Cfr. XXXXX, Rinegoziazione del contratto dopo l’aggiudicazione e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2004, 1168, il quale sostiene che della nullità in questione debba conoscere il giudice ordinario, quale giudice cui spetta la cognizione sulle vicende della fase di esecuzione. sul fronte giurisprudenziale non può essere omesso il riferimento alle affermazioni, alquanto contraddittorie, del Consiglio di Stato nel noto caso della Centrale del latte (sentenza del 14 luglio 2003, sez. V, n. 4167, in Cons. Stato, 2003, 1586) ove la nullità del contratto interessato dalla rinegoziazione (connotata in termini di essenzialità) viene argomentata in forza della presunta incapacità d’agire delle amministrazioni rispetto al perfezionamento di xxxxx xxxxxxxxxxxxx. La tesi dei giudici, evidentemente, oltre a rinnegare un principio ormai acquisito come quello della capacità generale di diritto privato dei soggetti pubblici, smentisce anche il regime civilistico di invalidità del contratto concluso dall’incapace, il quale è annullabile su iniziativa della sola parte interessata dall’incapacità (cfr. artt. 1425 e 1441 c.c.).
Di contro, l’impugnazione della modifica elusiva, in quanto equivalente ad una aggiudicazione diretta, risulta maggiormente persuasiva, giacché presidia un più generale principio di uguaglianza nella fruizione della tutela giurisdizionale. Per questa via l’ordinamento verrebbe, infatti, a predisporre gli stessi strumenti di reazione tanto per gli espliciti ed illegittimi atti di aggiudicazione diretta, quanto per le surrettizie iniziative di affidamento senza gara. Diversamente, se si optasse per il rimedio della nullità, si potrebbe godere – per ogni modifica corrispondente ad una implicita aggiudicazione diretta – di un regime di imprescrittibilità dell’azione, laddove invece, rispetto alle aggiudicazioni senza gara esplicitate in appositi atti amministrativi, la tutela dovrebbe soggiacere agli stringenti limiti decadenziali vigenti nel rito degli appalti.
6. PROSPETTIVE COMPARATISTICHE E DE JURE CONDENDO
Presso l’ordinamento francese vige una norma che procedimentalizza la scelta di apporre modifiche di significativo valore economico. Il riferimento concerne l’art. 8 l. 8 febbraio 1995, n. 127, ove si stabilisce che ogni progetto di modifica di un appalto pubblico che comporti un incremento di prezzo pari almeno al 5% del prezzo originario debba essere sottoposto al parere obbligatorio ma non vincolante da parte della commissione di gara che aveva decretato l’aggiudicazione.
La scelta di disciplinare un sub procedimento di modifica risponde all’esigenza di garantire l’attenta ponderazione di una decisione ricca di implicazioni problematiche anche sul fronte extracontrattuale, come, per l’appunto, la revisione del contenuto negoziale. In particolare, la scelta di coinvolgere nel processo decisionale l’originaria commissione di gara denota la consapevolezza dell’attitudine delle modifiche post-aggiudicazione a compromettere l’imparzialità dell’originario processo di selezione delle offerte.
Tuttavia, il sub-procedimento in questione si snoda lungo un percorso decisionale interno all’amministrazione contraente. Non sono cioè previsti istituti volti a sottoporre ad uno standard minimo di pubblicità le iniziative di revisione del contenuto negoziale, in modo da consentire ai potenziali controinteressati di reagire ad esse non solo in sede
giurisdizionale, ma anche mediante la partecipazione al procedimento di decisione della modifica, con auspicabili effetti deflattivi del contenzioso.
L’introduzione del predetto principio di informazione costituirebbe un traguardo di notevole interesse anche per l’ordinamento italiano, il quale, a differenza di quello d’oltralpe, non reca neppure alcuna disciplina dedicata al sub-procedimento di revisione37.
Sullo sfondo di quanto sinora si è detto vi è la proposta di riforma delle direttive unificate del 2004, in cui vengono per la prima volta presi in considerazione i problemi connessi alla rinegoziazione in corso di esecuzione dell’appalto pubblico(cfr. art. 72 della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio presentata a Bruxelles il 20 dicembre 2011).
La nuova norma, invero, non reca significative novità: non impone alcun regime di pubblicità della modifica, e neppure formula in termini stringenti i contorni della nozione di essenzialità, rispetto alla quale vengono semplicemente riprodotti gli indici elaborati dalla giurisprudenza. In particolare vengono qualificate come essenziali, e dunque antigiuridiche, le modifiche che:
- introducano condizioni che, se fossero state contenute nel primo appalto, avrebbero consentito la selezione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o avrebbero consentito l’aggiudicazione dell’appalto ad un altro offerente;
- cambino l’equilibrio economico del contratto in favore del contraente privato
37 La mancata procedimentalizzazione delle decisioni di revisione è stata peraltro sfruttata come argomento utile in tema di riparto di giurisdizione sulle iniziative post-aggiudicazione. Il riferimento è ad ALESIO, Il Consiglio di Stato distingue l’esecuzione dall’adempimento del contratto. Privatizzazioni, c’è giurisdizione esclusiva del G..a., in Dir. e giust., 2003, 32, ove l’Autore propende per la giurisdizione dell’a.g.o. sulle fattispecie rinegoziative, menzionando, quale elemento in favore della predetta tesi, proprio la mancata predisposizione di una apposita disciplina procedimentale, circostanza – quest’ultima – che varrebbe a denunciare l’afferenza delle fattispecie de qua alla dialettica tra le situazioni creditizie dei protagonisti del rapporto.
- estendano notevolmente il campo di applicazione del contratto comprendendo forniture, servizi o lavori inizialmente non previsti.
Si tratta, evidentemente, di indici a largo spettro di applicazione, la cui portata viene, peraltro, significativamente ridimensionata dal novero dei limiti, eccezioni e deroghe rintracciabili presso gli ulteriori paragrafi del medesimo articolo.
Il quesito da porsi riguarda quindi l’utilità di questo tipo di positivizzazione, che anziché dettare una regola di certezza, ripropone una serie di meri indici sintomatici, il cui concreto funzionamento pare comunque rimesso all’apprezzamento della giurisprudenza.
La sensazione è quella di una “norma manifesto”, che vuole testimoniare l’attenzione europea al tema della rinegoziazione e la consapevolezza dei rischi ad essa connessi, senza tuttavia cimentarsi nella formulazione di una precisa regola di comportamento.
Si tratta, dunque, di una pseudo positivizzazione, che non comprime affatto il ruolo della giurisprudenza, tuttora ritenuta, il soggetto più idoneo ad indagare la natura mutevole e plastica dei fenomeni elusivi sottesi alla realtà della rinegoziazione.