DOTTORATO DI RICERCA IN
Università degli Studi di Cagliari
Facoltà di scienze economiche, giuridiche e politiche
DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO DEI CONTRATTI
XXVIII ciclo – anno accademico 2012 - 2013
Il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo: alternativa al testamento?
Settore scientifico disciplinare di afferenza Ius/01
Presentata da: dott.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx Coordinatore Dottorato: prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx
Tutor: prof.ssa Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx
Esame finale anno accademico 2014 – 2015
Al mio adorato fidanzato
L'ASSICURAZIONE DE LA VITA
Dice ch'a Roma c'è 'na compagnia de gente ch'assicureno la vita;
io 'sta frescaccia nu' l'ho mai capita e dico ch'è 'na gran minchioneria.
Xxxx me pare propio un'eresia, perché quanno ch'è l'ora stabbilita ch'er Padreterno la vó fa' finita, che t'assicuri? l'ossa de tu' zia?
E' 'na speculazzione immagginata Pè fà sordi a le spalle de la gente che ce crede e ciaresta buscarata.
L'ha provato er sor Checco, er mi parente: co' tutto che se l'era assicurata
è morto tale e quale, d'accidente.
Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx (Trilussa) Tratto da Sonetti Romaneschi – Roma, 1909
INDICE
Abstract p. 6
Introduzione p. 7
Capitolo I
Pianificazione successoria: la ricerca di alternative al testamento
1. Premessa. | p. 12 |
2. Pianificazione successoria: attualità di una necessità antica. | p. 13 |
3. Il sistema successorio e il testamento tra vecchie e nuove esigenze. | p. 17 |
3.1 Le principali caratteristiche del testamento ritenute causa della sua crisi. | p. 21 |
3.2 I limiti alla libertà testamentaria, elementi di debolezza? | p. 25 |
(segue): a) la tutela dei legittimari. | p. 25 |
(segue): b) i patti successori. | p. 29 |
(segue): c) la donazione: brevi cenni sulle implicazioni pratiche. | p. 36 |
4. La ricerca di alternative tra prassi negoziale e interventi normativi. | p. 39 |
Capitolo II
Il contratto di assicurazione sulla vita: natura e disciplina
1. Il contratto di assicurazione in generale: evoluzione normativa, dalla definizione
codicistica alla classificazione in rami. p. 49
2. Il contratto di assicurazione nel codice civile: concezione unitaria e dicotomica
e l'inquadramento del contratto di assicurazione sulla vita. p. 56
3. Il contratto assicurativo sulla vita e interferenze con il regime successorio. p. 61
4. Il contratto di assicurazione sulla vita come atto mortis causa (critica): dall'atto
(inter vivos con effetti) post mortem al negozio trans mortem. p. 62
5. Assicurazione sulla vita a favore di terzo e contratto a favore di terzo. p. 73
Capitolo III
Gli elementi strutturali del contratto nell'analisi sull'alternatività al testamento
1. Premessa. p. 78
2. L'atto di designazione, struttura, natura dell'attribuzione e modalità di indicazione del
del beneficiario. p. 78
3. L'attribuzione della somma e la premorienza del beneficiario all'assicurato. p. 93
4. La revoca del beneficio. p. 98
5. Il privilegio dell'intangibilità e la tutela degli eredi e dei creditori. p. 102
5.1. Segue: Operatività temporale dell'intangibilità. p. 106
5.2. Segue: Intangibilità delle somme assicurate e fallimento del contraente. p. 110
5.3. Segue: Limiti all'intangibilità. p. 114
6. L'interesse dello stipulante e la funzione “indiretta” del contratto. p. 116
Capitolo IV
Il contratto di assicurazione sulla vita tra vecchie e nuove polizze: crisi del testamento o del contratto assicurativo?
1. Premessa. p. 126
2. Le tradizionali forme assicurative sulla vita. p. 127
3. L'evoluzione del contratto assicurativo: dalle polizze tradizionali alle linked. p. 135
4. La natura delle nuove polizze assicurative: il declino dei privilegi? p. 140
5. Polizza vita e testamento tra ieri e oggi, uno sguardo tra i numeri. p. 156
6. Casi pratici: una concreta analisi per comprendere la presunta funzione successoria
del contratto assicurativo sulla vita. p. 168
Capitolo V
Affinità e spigolature tra il contratto di assicurazione sulla vita e il testamento: i rispettivi vantaggi e svantaggi dei due istituti
1. Premessa. p. 181
2. La flessibilità ed il controllo nella destinazione della ricchezza. p. 181
3. L'inviolabilità della somma assicurata in rapporto al suo risultato concreto e alla
realizzazione di una liberalità. p. 192
4. La segretezza dell'operazione negoziale. p. 206
5. L'incidenza dell'imposizione fiscale nei meccanismi che influenzano il trasferimento
della ricchezza. p. 212
6. Tra esigenze e prospettive (inattuate) di cambiamento con uno sguardo oltre il confine p. 225
6.1 Segue: a) in tema di patti successori p. 227
6.2 Segue: b) in tema di successione necessaria. p. 237
Conclusioni p. 244
Bibliografia p. 250
Giurisprudenza p. 265
Abstract
Life insurance contract is a well-fitted instrument to ensure wealth transmission as an alternative to last will and testament. The possibility to state or revoke the beneficiary indication by will and its effectiveness since the death of the insured, gives the opportunity to avoid the ban of succession agreements or necessary succession. In addition, the social security aim, which characterizes this kind of contract, allows guaranteeing the insured amount of money and a favourable tax application. These reasons are suitable to make it a reasonable choice to optimize wealth distribution despite of or in accordance to last will and testament. The synergic adoption of these two options, which show to compensate the respective disadvantages, allows guaranteeing an optimal wealth distribution, in the case that the judicial system would continue to recognize the reserved share of an estate, assigned by law, to a specific relative regardless of the content of the will.
Il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo stipulato per il caso di morte è considerato uno dei principali strumenti di trasmissione della ricchezza alternativi al testamento. Sebbene non realizzi attribuzioni mortis causa, la possibilità di designare e revocare il beneficiario attraverso il testamento e la decorrenza dei suoi effetti dalla morte dell'assicurato, lo fanno ritenere idoneo a superare gli ostacoli rappresentati dal divieto di patti successori e dalla successione necessaria. Il fine previdenziale che caratterizza tale contratto consente un privilegio di intangibilità sulla somma assicurata e un trattamento fiscale di favore, ragioni ulteriori che ne stimolano la scelta per ottimizzare la futura distribuzione patrimoniale, in concorso o in alternativa, rispetto al testamento. Se il ricorso allo strumento contrattuale è rivolto alla realizzazione di una liberalità non potrà comunque eludere i diritti dei legittimari. Le conseguenze pratiche derivanti dall'aleatorietà e il fine indiretto che avvolge il contratto assicurativo evidenziano come solo in alcuni casi sia possibile raggiungere una appagante sistemazione della ricchezza in funzione ereditaria, soprattutto se integrato dal testamento. I due negozi, infatti, presentano caratteristiche che portano alla compensazione dei rispettivi svantaggi, mostrandosi capaci di assicurare una ottimale distribuzione della ricchezza qualora l'ordinamento proseguisse la strada verso il riconoscimento di una legittima di natura obbligatoria.
INTRODUZIONE
La presente tesi, dal titolo Il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo: alternativa al testamento?, articolata in cinque capitoli, sviluppa un programma di ricerca mirato ad analizzare il rapporto tra il diritto successorio e il contratto di assicurazione sulla vita.
Il lavoro persegue l’obiettivo di verificare, sia sul piano pratico che scientifico, se il contratto di assicurazione sulla vita possa rivestire una funzione successoria, tanto da giungere ad essere considerato una valida ed efficace alternativa al testamento.
L'annosa problematica si evidenzia e si affronta soprattutto nella quotidianità dei trasferimenti della ricchezza – quale rilevabile nell’ordinaria attività notarile e, specialmente, attraverso l’analisi della giurisprudenza – e al loro interno, nella costante ricerca di strumenti che consentano di aggirare le norme in materia successoria, specie quelle sottese alla tutela dei legittimari.
Al fine di offrire una valutazione delle tematiche in esame, il primo capitolo deve necessariamente occuparsi, da un lato, di inquadrare il fenomeno della pianificazione successoria che, oggi più di ieri, viene programmata in via anticipata attraverso atti inter vivos e, dall'altro, di verificare se siano davvero ipotizzabili una crisi del negozio testamentario e/o del sistema successorio, cause (quanto meno concorrenti) di una sempre più frequente ricerca di strumenti alternativi al testamento.
In primo luogo, dunque, partendo da una analisi della realtà dei traffici quotidiani, la tesi volge a chiarire le implicazioni negative, sul piano dei trasferimenti immobiliari, dei classici mezzi di trasmissione della ricchezza quali la donazione o l’espressione della volontà testamentaria, in particolare, mettendo in luce la non infrequente insufficienza di detti mezzi ad appagare in maniera soddisfacente il desiderio del donante/testatore di beneficiare un determinato soggetto, a superare le difficoltà di accesso al credito e garantire il rispetto del principio di libera circolazione dei beni che giustificano la alternative al testamento. Si avrà così modo di illustrare i limiti alla libertà testamentaria e le ulteriori questioni che spingono a sostenere che si assista, ai giorni nostri, ad una crisi del testamento ovvero dell'intero sistema successorio.
A fronte di un problema che anima da oltre un ventennio il dibattito dottrinale, il legislatore ha tentato, con sporadici interventi, di dar vita a strumenti che consentissero uno spostamento della ricchezza in maniera più confacente alle intenzioni dei disponenti, quali il patto di famiglia, la rinuncia all’opposizione alla donazione, gli atti di destinazione. La dottrina,
invece, ha percorso la via della mutuazione di strumenti da altri ordinamenti, quale il trust, affermandone la compatibilità col nostro sistema successorio.
L’esito, ancora controverso, di tali interventi e la mancanza di soluzioni condivise e appaganti sulle nuove proposte teoriche ha, quindi, indirizzato la ricerca verso l’approfondimento di quello che, nella dottrina dominante, appare come il nodo irrisolto, ossia se possa ancora giustificarsi nel nostro ordinamento una disciplina così rigorosa in favore della categoria dei legittimari e, ancor prima, se abbia ragione di preservarsi una categoria costituita esclusivamente sulla base dei vincoli di sangue e non di quelli degli affetti, analizzando l’opinione di quella parte della dottrina che si è spinta sino all’ipotesi di abrogazione della successione necessaria. Ed è evidente che una soluzione così estrema non possa accogliersi senza un’ulteriore, approfondita, riflessione sulla perdita delle profonde ragioni che giustificavano la rigidità delle regole successorie e sull’evidente emersione di interessi oggi differenti.
Il secondo e il terzo capitolo prendono atto della attuale situazione normativa, l'attività di ricerca è finalizzata all’individuazione dei tratti essenziali del contratto di assicurazione sulla vita e, in particolare, tra le varie tipologie contrattuali, si è soffermata maggiormente sulle assicurazioni per il caso di morte a favore di terzo, poiché è proprio in relazione al suo ruolo di alternativa alla delazione testamentaria che dottrina e giurisprudenza dibattono. La trattazione di questi aspetti costituisce un antecedente logico e indispensabile rispetto alle problematiche connesse alla presunta funzione successoria del contratto assicurativo.
Per comprendere, quindi, l’essenza del contratto de quo e la sua ratio, si è reso necessario studiarne le origini e le successive applicazioni che paiono essere parzialmente mutate, evidenziando talvolta un prevalente scopo finanziario in luogo dell’originario ed esclusivo intento previdenziale, dando conto della tradizione letteraria e dei più recenti interventi giurisprudenziali.
Viene, poi, approfondita l’annosa questione ricostruttiva della natura dell’attribuzione derivante dal contratto di assicurazione sulla vita. Al riguardo si dà conto del tradizionale dibattito dottrinale, esaminando con l'ausilio della dottrina specialistica, la tesi di coloro che ritengono che l’attribuzione del beneficio, in caso di morte, possa valere come attribuzione mortis causa, sia l'opposta tesi, sicuramente dominante, sostenuta da coloro per i quali la designazione, sebbene possa avvenire per testamento, determini comunque una attribuzione inter vivos in cui l’evento morte rappresenterebbe il termine a quo per l’esecuzione della prestazione da parte dell’assicurazione. Del pari, si dà conto della vexata quaestio inerente la qualificazione del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo tra le tesi di coloro che, in prevalenza, ritengono che sia da ricondurre nella più ampia e generale categoria del
contratto a favore di terzo, nonostante la particolare struttura e funzione giustifichino la presenza di alcune norme derogatorie rispetto alla disciplina speciale e la tesi di coloro che, diversamente, ritengono si tratti di una fattispecie tipica.
Altro tema analizzato, è la revoca della assegnazione del beneficio, stante la sua assimilabilità alla revocabilità del testamento. La dottrina che aderisce alla tesi per cui il contratto di assicurazione sulla vita sia in grado di rappresentare una alternativa al testamento, infatti, vede nella revocabilità del beneficio sino alla morte del contraente un indice del rispetto della libertà testamentaria e nella rinunzia alla revoca di cui all’art. 1921, comma secondo, c.c., una deroga al divieto dei patti successori. Una ulteriore questione, anch'essa particolarmente discussa, è quella relativa alla designazione successiva, alla sua ammissibilità anche laddove non fosse prevista nel contratto originario e della sua natura, stante la contrapposizione tra quanti ritengono che la designazione di un beneficiario sia sempre possibile e mai necessaria, atteso che il contratto di assicurazione può essere stipulato sia in proprio favore che in favore di un terzo, e coloro che, in via minoritaria, sostenendo che nell’assicurazione sulla vita, per il caso morte, sia sempre implicita la stipulazione a favore di terzo, ritengono che una designazione successiva sia sempre ammessa, ancorché non prevista nella polizza.
La ricerca, quindi, si è orientata alla tematica della natura del diritto del beneficiario e sulle modalità della sua designazione per verificare se esso venga acquisito come diritto originario o derivato dal patrimonio del disponente e sulla natura della designazione fatta per testamento per appurare, posto che è proprio questo caso che ha portato parte della dottrina ad assimilare il contratto in esame con le fattispecie mortis causa, se da essa discenda davvero l’assimilazione e, dunque, l’applicazione della disciplina successoria, oppure si atteggi a una mera modalità di designazione al pari di quella contrattuale.
La risposta al primo quesito appare semplice ove si consideri che nell'ultimo comma dell’art. 1920 c.c. si legge che, per effetto della designazione, il terzo acquista un <<diritto proprio>>. Per comprendere tale scelta legislativa si è reso necessario, in ogni caso, approfondirne il percorso evolutivo per saggiarne le ragioni e concludere, anche sotto questo aspetto, nel senso di una esclusione di un acquisto iure successionis.
Lo studio prosegue con l'approfondimento di quella che è una prerogativa del contratto in esame, ovvero l'intangibilità della somma assicurata – prerogativa della sola assicurazione sulla vita – privilegio per cui non è possibile sottoporre le somme dovute dall’assicuratore ad azioni esecutive o cautelari, percorrendo la dottrina specialistica: dalla teoria che ne ravvisa il fondamento nell’interesse nei confronti di atti di previdenza e di formazione del risparmio alla teoria che vede salvaguardata l’esigenza dell’impresa di non
vedere turbata la sua attività di capitalizzazione; in parallelo, si è potuto rilevare come i più recenti orientamenti giurisprudenziali tendano a non estendere l'applicabilità di tale privilegio ai nuovi prodotti assicurativi presenti nel mercato, facendo così registrare la perdita di un beneficio che sembrava garantire al contratto assicurativo una posizione di privilegio rispetto alla figura testamentaria.
Il contratto di assicurazione sulla vita, specie quando la prestazione è da eseguirsi dopo la morte dell'assicurato, in determinati casi può effettivamente evidenziare una maggiore propensione a realizzare gli interessi della famiglia nella distribuzione della ricchezza, tenuto conto delle nuove esigenze di cui questa oggi necessiti alla luce della diversa consistenza dei patrimoni, della diversa composizione della famiglia moderna e dell'annoso ostacolo dei patti successori. E' veramente così?
Nel tentativo di dare soluzione al dubbio, si è dedicato il capitolo IV alla valutazione delle nuove formule contrattuali in tema di assicurazione sulla vita, nonché all'evoluzione giurisprudenziale e normativa che le ha travolte, mettendo in luce la natura giuridica di queste tipologie contrattuali, il mutamento dell'originaria funzione previdenziale, le caratteristiche strutturali delle polizze, anche al fine di verificare l'applicabilità del principio di intangibilità e di saggiare l'utilizzabilità di queste a fini successori.
Il rilievo della questione si pone concretamente anche per gli operatori finanziari, quali brokers, agenti e subagenti, nonché consulenti assicurativi, i quali, oggi ancora più responsabilmente, hanno precisi doveri di informativa al fine di non ingenerare confusione nei contraenti circa le peculiarità e le conseguenze applicative dei prodotti proposti.
Il quinto capitolo analizza in parallelo il testamento e il contratto di assicurazione sulla vita al fine di verificare se esista una vera alternativa nella trasmissione della ricchezza tra i due strumenti negoziali ed inoltre se possano effettivamente essere considerati di pari rango.
Valutati vantaggi e svantaggi – o meglio – punti di forza e di debolezza del testamento rispetto al contratto assicurativo, verificato se sia ancora uno strumento realmente necessario e sentito come garantista da parte del testatore/disponente o se davvero sia ormai divenuto uno strumento obsoleto, si sono potute sintetizzare alcune considerazioni conclusive.
In particolare, si sono raffrontati alcuni aspetti peculiari del testamento, quali la maggiore flessibilità delle destinazione dei beni, la segretezza dell'operazione, l'incidenza del profilo fiscale; si è poi è affrontata la problematica inerente all’individuazione dell’oggetto delle liberalità indirette, delle modalità attuative delle stesse, dedicando un esame approfondito alle relazioni esistenti tra liberalità e legittimari, agli strumenti a loro tutela, nonché al principio dell’intangibilità della legittima e alla ratio posta a suo fondamento.
In ultima analisi, prendendo atto dell'attuale impianto normativo, delle difficoltà e delle esigenze di mutamento in un contesto di “ribellione” verso le ferree regole del diritto successorio, ci si è rivolti verso una approfondita e accurata analisi della copiosa letteratura sulle principali soluzioni offerte ed elaborate nel corso degli ultimi trent'anni, dalla tesi di coloro che auspicano una riforma del diritto delle successioni alla soluzione estrema di coloro che ipotizzano una totale abrogazione della successione necessaria.
La tesi, quindi, si propone, anche in chiave comparatistica, di evidenziare i riflessi che la riforma può avere sulle concrete aspettative dei contraenti offrendo spunti di riflessione nell’ottica di una complessiva ma omogenea riscrittura della disciplina codicistica della successione necessaria.
Il lavoro si conclude, quindi, con le considerazioni personali che, partendo da una valutazione generale del nostro sistema e passando, alla luce della ricerca compiuta, all'esclusione di un riconoscimento al contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo di una valida alternativa al testamento sic et simpliciter, giungono a ritenere che il contratto in questione, sebbene in alcuni, forse rari, casi possa raggiungere risultati più confacenti alle aspettative dei singoli rispetto al testamento; su un piano più generale, le finalità raggiunte non saranno comunque equiparabili a quelle conseguibili con il testamento.
CAPITOLO I
Pianificazione successoria: la ricerca di alternative al testamento
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Pianificazione successoria: attualità di una necessità antica. – 3. Il sistema successorio e il testamento tra vecchie e nuove esigenze. - 3.1 - Le principali caratteristiche del testamento ritenute causa della sua crisi. - 3.2 I limiti alla libertà testamentaria, elementi di debolezza?: (segue): a) la tutela dei legittimari; (segue): b) i patti successori; (segue): c) la donazione: brevi cenni sulle implicazioni pratiche. - 4. La ricerca di alternative tra prassi negoziale e interventi normativi.
1. Premessa.
In questo capitolo, si illustreranno le ragioni che hanno indotto chi scrive allo studio e alla ricerca di soluzioni rispetto ai casi pratici in cui è capitato di imbattersi nella quotidianità dei traffici immobiliari, durante la pluriennale esperienza in ambito notarile.
Nella società odierna le esigenze dei consociati si palesano assai diverse rispetto a quelle di precedenti generazioni: non si percepisce più un vero attaccamento al bene materiale, non sembra più esserci un interesse alla trasmissione generazionale della ricchezza e del patrimonio di famiglia, se non limitatamente per i beni dal singolare valore affettivo. Si avverte, sempre più forte, l'esigenza di velocità nella trasmissione del beni accompagnata dalla certezza e sicurezza nella circolazione degli stessi.
Specie nella prassi si avverte la necessità di porre in essere atti di dismissione della ricchezza che, sebbene avvengano inter vivos, siano altresì in grado di soddisfare - ora per allora – gli interessi di chi dispone, cercando soluzioni inattaccabili e definitive tali da non generare future controversie ed evitando così il timore, sino al passaggio a miglior vita, di aver creato situazioni potenzialmente conflittuali tra i posteri.
Con frequenza è capitato di assistere a situazioni di disagio che altro non sono se non lo specchio della società in cui viviamo: casi di genitori desiderosi di premiare alcuni figli rispetto ad altri o, al contrario, di favorire soggetti estranei al nucleo familiare e maggiormente meritevoli, per l’amore e la cura loro prestati. Alle orecchie dell'operatore giuridico possono giungere, infatti, richieste come “non vorrei lasciare nulla ai miei figli” o ancora “vorrei tutelare un figlio ma non vorrei che in futuro vi fossero problemi con gli altri”.
I classici mezzi a cui si rimanda per la trasmissione della ricchezza sono quelli della donazione o del testamento, scelti prevalentemente anche per ragioni economiche, dato il loro minore costo, sebbene sia generale la consapevolezza che detti strumenti non consentano, talvolta, di realizzare in maniera soddisfacente il desiderio del donante/testatore di beneficiare, senza generare conflitti, un determinato soggetto.
E' noto, invero, che giuridicamente l'ordinamento non faccia alcuna distinzione tra i figli, riconoscendo loro pari diritti, per cui, onde evitare potenziali e fastidiose impugnazioni
in futuro, sarebbe opportuno che ciascun genitore provvedesse con donazioni o lasciti testamentari di egual valore a ciascuno di essi, siano o meno degni di tale atto di generosità. Non solo, è altresì noto come la donazione resti un atto potenzialmente impugnabile per l'eventuale lesione nella quota di legittima che potrebbe determinarsi, nei confronti dei legittimari non anche xxxxxxxx, al momento della successiva apertura della successione.
La conseguenza pratica è che laddove il donatario o suoi terzi acquirenti avessero bisogno di ricorrere all’accensione di un mutuo, l’istituto di credito non concederà facilmente il prestito a causa proprio dell'esperibile vittoriosa azione di riduzione dei soggetti lesi, attesa la perdita della garanzia sul bene oggetto di trasferimento. Ancora, non sono mancati istituti di credito che si sono mostrati restii alla concessione di finanziamenti laddove i donanti fossero in età da filiazione, stante l'eventuale possibilità di una successiva revoca della donazione per sopravvenienza di figli.
E’ sufficiente dare uno sguardo agli schemi che le banche stesse predispongono per la redazione delle relazioni notarili preliminari per rendersi conto di quanto siano scrupolose nell'accertare se nel precedente ventennio vi siano stati dei passaggi per donazione.
E' evidente che ciò scoraggi i donanti dal giovare un determinato figlio, seppur meritevole, o comunque, che siano così indotti, nel tentativo di soddisfare in ogni caso il loro intimo desiderio di beneficiare quel figlio con un determinato bene, ad eseguire in vita pari donazioni, talvolta anche in un unico contesto, al solo fine di rendere noto ai terzi che le liberalità compiute siano di pari valore.
Tuttavia, che accade quando non vi sono altri beni da destinare in vita o dopo la morte agli altri legittimari? Come soddisfare il desiderio di trasferire un bene ad un terzo estraneo? Ne sono esempi i trasferimenti in favore di conviventi o di assistenti domestiche.
Il compito del giurista, quindi, è quello di trovare soluzioni attraverso i mezzi che l’ordinamento mette a disposizione anche se, talvolta, le vie percorribili non sono così semplici.
2. Pianificazione successoria: attualità di una necessità antica.
Per pianificazione successoria si intende quel complesso di operazioni contrattuali volte a soddisfare precisi interessi dei privati e a realizzare un trasferimento di beni prima della morte del disponente, rinviando tuttavia il prodursi degli effetti sui beneficiari soltanto dopo di essa. Si tratta, quindi, di ipotesi di programmazione anticipata rispetto a quella che dovrebbe essere una trasmissione della ricchezza mortis causa e, come tale, produttiva degli effetti solo dopo la morte del disponente.
Il fenomeno della pianificazione successoria non è recente, basti pensare che illustre dottrina, negli anni settanta, evidenziava come già in quegli anni la trasmissione familiare della ricchezza avvenisse con forme diverse da quella testamentaria e, soprattutto, con modalità tali da rendere irrilevante la disciplina successoria1. Di tale mutamento sono stati artefici gli operatori pratici del diritto, quali i notai, chiamati in causa al fine di trovare strumenti attuativi dello spostamento della ricchezza inter vivos che non contrastino con il diritto ereditario e poiché la sistemazione degli interessi familiari può avvenire attraverso il testamento, oppure mediante lo strumento contrattuale, è principalmente negli studi notarili che pare essersi avvertita una crisi della successione mortis causa.
In ogni caso, si rende necessario valutare quelle che sono le opinioni, che già da allora aleggiavano, circa la presunta crisi del sistema successorio, specie del testamento, ritenuto da alcuni la principale causa e appurare se al giorno d'oggi esse possano essere confermate o se, in realtà, si tratti di un fenomeno solamente apparente.
Negli anni settanta, da un lato vi erano coloro che comunque continuavano ad esaltare il ruolo del testamento, evidenziandone il rilievo e la portata alla luce di un interesse generato dalla diffusione del benessere palesato dal contesto industriale fiorente dell'epoca che permetteva anche ai ceti più modesti di trasferire patrimoni2. Si assisteva, quindi, a un capitalismo ormai avanzato e ben consolidato che ricercava tuttavia anche nuovi strumenti che consentissero di conservare il patrimonio al fine di un successivo trasferimento, anche generazionale, ma con destinazioni precise e con costi ridotti, specie di natura fiscale.
Tra l'altro, il ricorso a mezzi indiretti o collegamenti negoziali con finalità di elusione fiscale è tipico di coloro che dispongono di cospicui patrimoni, ma, come giustamente osservato, il motivo fiscale non può essere l'unico elemento sufficiente a giustificare la ricerca di strumenti alternativi, oltre al fatto che ciò non spiegherebbe neppure la tendenza a ricorrere a sistemazioni patrimoniali ante mortem, disattendendo la successione mortis causa, anche da parte di piccoli e modesti possidenti3. Tuttavia, non si può nascondere l'incidenza dell'imposizione fiscale che, ancora oggi, spesso spinge a tramutare il bene immobile in elementi mobiliari, quali denaro, titoli e azioni, i cui trasferimenti per la loro natura incontrano minori ostacoli e godono di un trattamento fiscale più favorevole anche in ambito successorio. E' naturale, quindi, la tendenza alla ricerca di strumenti di circolazione nuovi o alla evoluzione di quelli già noti.
1 RODOTA' S., Ipotesi sul diritto privato, in Il diritto privato nella società moderna, a cura di Rodotà, Bologna, 1971, p. 9 ss..
2 FERRARI V., Successione per testamento e trasformazioni sociali, Milano, 1972, p. 55.
3 LENZI R., Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, Relazione al XXX Congresso nazionale del notariato, Montecatini Terme, ottobre 1988, in Riv. Not., 1988, p. 1209 ss..
Secondo taluni autori, ciò che interessava in realtà i titolari di consistenti patrimoni, non era tanto la trasmissione della ricchezza, quanto la trasmissione del potere al fine di ricavarne una utilità4. A ben vedere, tuttavia, erano i ceti più piccoli in fin dei conti a permettere, seppure solo a livello “quantistico”5, l'espansione del fenomeno successorio, stante il loro crescente interessamento alla trasmissione della ricchezza.
Quello che si vuole semplicemente sottolineare è la difficile convivenza ed anzi la contrapposizione, al momento del verificarsi dell'evento morte, tra il mantenimento del potere economico all'interno del nucleo familiare avente diritto alla successione e la confliggente esigenza di garantire l'organizzazione, il rafforzamento e la consolidazione dell'impresa attraverso la scelta del soggetto più idoneo, tra la riserva di posizioni precostituite e la tutela di quelle più deboli e meritevoli. Da ciò discende l'esigenza di individuare gli strumenti più adatti al perseguimento di detta finalità, sia nell'ambito del diritto successorio che, più in generale, nel più vasto campo dell'autonomia privata.
Tra le altre cause nelle quali si ravvisa la giustificazione del declino del sistema successorio vi sarebbe l'obsolescenza del sistema rispetto alle nuove esigenze di natura economica dettate anche dall'aumento della durata della vita media, dalla maggiore tendenza al risparmio, dal prevalere della ricchezza mobiliare e dalla necessità di specifiche competenze per la gestione della stessa, nonché dal mutamento di interessi delle famiglie moderne.
Nella letteratura giuridica si è ampiamente discusso circa la asserita scarsa evoluzione del sistema successorio rispetto ad altri settori del diritto, nonostante il diritto ereditario abbia
4 ASCARELLI T., Proprietà e controllo della ricchezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 573 ss.; v. anche FERRARI, Successione per testamento e trasformazioni sociali, cit., p. 55, il quale sostiene che “in un contesto industriale avanzato, nel quale il potere economico non si identifica o si identifica sempre meno con il diritto di proprietà (…), ciò che conta agli occhi dei titolari di tale potere è di trasferire agli eredi, appunto, il potere: di trasferire loro, cioè, gli strumenti che consentono di influire su certe strutture economiche e di derivarne un'utilità. Il trasferimento della titolarità formale del patrimonio appare al confronto, un problema secondario, quando non palesemente contrastante con quello principale”.
5 CAROTA L., Il contratto con causa successoria: contributo allo studio del patto di famiglia , Padova, 2008, Xxxxx, p. 3.
6 MENGONI L., Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx Xxxxxxxx, vol. XLIII, I, Milano, 1999, p. 11, osserva che la vera crisi è della “funzione politica tradizionale delle successioni a causa di morte, legata alla proprietà privata come fonte di potere e, quindi, criterio di organizzazione gerarchica della società”.
una notevole incidenza su istituti, quali la proprietà e la famiglia, settori che, al contrario, si sono nel tempo adattati alle evoluzioni sociali.
Non può negarsi, infatti, che le regole che disciplinano la successione a causa di morte siano le più datate rispetto agli altri settori del diritto privato. Gli istituti successori sono rimasti pressoché invariati nel tempo, nonostante siano evidenti dal 1942 ad oggi i tanti mutamenti che hanno coinvolto la società, sia a livello sociale che economico7. Siamo davanti, dunque, ad una sostanziale immutabilità del sistema successorio che, se da un lato parrebbe evidenziarne la solidità e compattezza, dall'altro, si dimostra oggi un ostacolo rispetto all'evoluzione di una società che tuttavia non può farne a meno ma, allo stesso tempo, cerca nuove tutele. Ecco perché si è riscontrata una perdita di interesse verso il diritto successorio, tanto da rendere legittimo il dubbio circa la sua attualità nella società contemporanea8.
A questo punto, è doveroso compiere un ulteriore passo, ovvero chiedersi se la ancora oggi percepita crisi da parte degli operatori giuridici, riguardi il negozio testamentario in sé e
7 Invero, fatta eccezione per le poche norme sostituite, (art. 591, comma 2 e art. 692), dichiarate incostituzionali (art. 592) o abrogate (artt. 593 – 595) in tema di capacità di testare e di ricevere per testamento, novità che riguardano tuttavia i soli soggetti, ad opera principalmente della riforma del diritto di famiglia, che ha valorizzato una categoria di successibili tra quelli che si ritenevano i soggetti maggiormente meritevoli di tutela, senza distinguere però sulla singola qualità della persona, dall'entrata in vigore della Costituzione ad oggi, sono seguiti alcuni interventi giurisprudenziali quali l'abolizione del divieto di donazioni tra coniugi, l'inclusione dei fratelli naturali tra i successibili e alcuni interventi legislativi, quali la riforma del diritto di famiglia con la legge n. 151/1975 e la successiva legge n. 219/2012, in vigore dal 1° gennaio 2013, che hanno rispettivamente migliorato la posizione successoria del coniuge e parificato anche a livello successorio i figli legittimi e naturali, la riforma sulle donazioni con la legge n. 80/2005 di conversione del cosiddetto “decreto legge sulla competitività” (D.L. n. 35/2005) che ha riformato gli artt. 561 e 563 c.c. nel tentativo di rendere più sicuri i traffici giuridici dei beni di provenienza donativa e l'introduzione della rinuncia all'opposizione della donazione, la nascita del patto di famiglia con la legge n. 55/2006 ed ancora, gli atti di destinazione e il trust. In dottrina, RUSCELLO F., Successione mortis causa e fenomeni <<parasuccessori>>, in Vita Notarile, 1998, I, p. 70 ss., evidenzia che “il legislatore ha avuto modo di intervenire in diversi settori del diritto civile adeguando le strutture codicistiche alle nuove esigenze a cui la società moderna, di volta in volta, doveva rispondere. Per contro, se si escludono i marginali interventi sopravvenuti con riguardo alla disciplina fiscale, la materia successoria rimane ancora la stessa nonostante che sempre più spesso emergano nuove istanze sociali”. Secondo l'Autore, “indubbiamente sulle scelte del legislatore del 1942 ha inciso il non poco dibattito sul ruolo della famiglia, sempre più intesa quale organizzazione social- privatistica affatto particolare (…). La disciplina familiare, quale istituto prevalentemente di natura <<civile>>, quale istituto fondato sugli affetti, su un vincolo non soltanto di sangue e attinente più alla sfera <<personale>> che non <<patrimoniale>> dell'individuo si trova, così ad interagire con la disciplina successoria a causa di morte quale vicenda, non più formalmente vincolata ai modi di acquisto della proprietà, come era sotto la vigenza del codice del 1865, ma sicuramente regolata per fronte a interessi di natura quasi esclusivamente patrimoniale”. Nello stesso senso, ZANCHI G., Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, in Jus Civile, 2013, 10, p. 703, osserva che “alla staticità intrinseca delle regole successorie, si è aggiunto il fatto che il legislatore italiano, e ancor prima quello europeo, negli ultimi decenni si è occupato dei rapporti interprivati quasi esclusivamente nel prisma del contratto. L’attenzione crescente alle dinamiche del mercato concorrenziale ha determinato l’affidamento al contratto del ruolo di strumento elettivo di regolazione dei suoi assetti in ragione della flessibilità ed adattabilità ai più svariati contenuti del congegno contrattuale, della sua neutralità valoriale, in ultima analisi della sua piena aderenza alle logiche individualistiche del mercato contemporaneo”.
8 XXXXXXX V., Persona umana e successioni. Itinerari di un confronto ancora aperto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1989, p. 387 ss., osserva che “questa reductio ad unum conseguita mediante astrazione dagli interessi umani sottesi dalla natura dei beni e dalle qualità dei soggetti si è tradotta in una sostanziale indifferenza della vicenda ereditaria per i problemi della persona e ha finito col relegare il diritto successorio a una funzione meramente patrimonialistica negativa (dare un titolare a un patrimonio che ne è rimasto privo), estraniandolo da ogni idea di funzione sociale ma anche da ogni istanza di promozione e crescita della persona umana (…)”. L'autore osserva altresì che questa assenza di riguardo verso le nuove realtà sociali ed economiche siano la causa dell'uso sempre più largo di schemi e congegni dispositivi inter vivos propriamente alternativi (cc.dd. successioni anomale per contratto).
quindi se esso si manifesti ormai incapace di soddisfare le esigenze di destinazione della ricchezza per il futuro, giustificando così la ricerca di mezzi alternativi, oppure se si tratti di un fenomeno più grande che coinvolge l'intero sistema successorio, tanto da giustificare le prospettate ipotesi di riforma o la più drastica xxx xxxxx xxxxxxxxxxx.
0. Il sistema successorio ed il testamento tra vecchie e nuove esigenze.
Nel nostro ordinamento, ai sensi dell'art. 457 c.c., l'eredità non può che devolversi per legge o per testamento, dando luogo ad una tipicità delle forme di delazione che non lascia alcuno spazio all'autonomia privata per regolare la successione a causa di morte mediante strumenti contrattuali, relegando così il negozio testamentario a rappresentare l'unica ipotesi di atto mortis causa9.
Il testamento, dunque, rappresenta l'atto mortis causa per eccellenza nel nostro ordinamento. Xx è ormai pacifico che la causa della successione sia sempre la morte del de cuius, mentre la volontà, manifestata nei limiti di legge, serva solo da indirizzamento degli effetti e non da elemento di origine10.
Il testamento, quindi, proprio per questa sua unicità ha indotto parte della dottrina a ritenere che nel tempo si sia rivelato uno strumento insufficiente e talvolta inidoneo a portare a compimento un adeguato assetto di interessi per lo più determinati dall'evoluzione sociale con la quale il disponente si confronta o dalla modificazione della consistenza della ricchezza,
9 Vi è da precisare, tuttavia, che in dottrina, sul piano concettuale, vi è chi non limita al genus degli atti mortis causa la sola figura del testamento, tanto da ritenere che l'atto mortis causa rappresenti una categoria più ampia nella quale sia compreso il testamento, così XXXXXXXXXXX X. voce Atto <<mortis causa>>, in Enciclopedia del Diritto, IV, Milano, 1959, p. 232; XXXXXXXXX E., Xx definizione di testamento (art. 587 cod. civ.), in Riv. Not., 2011, 4, p. 736, osserva come in tale nozione vi “possa rientrare anche il contratto, con una disposizione a causa di morte, o con altre figure le quali, per tradizione, non sono peraltro ammesse nel nostro ordinamento (più per scelta politica che per loro natura)”; secondo XXXXX, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, cit., p. 1218, ne rappresenterebbe una conferma il fatto che il diritto tedesco, così come lo svizzero e l'austriaco, ammettano e xxxxxxxx il contratto successorio; PALAZZO A., Testamento e istituti alternativi, in Trattato teorico-pratico di diritto privato, diretto da Xxxxx Xxxx e Xxxxxxxxx Xxxxx, 2008, I, p. 251, osserva che “se è vero che il nostro ordinamento ha scelto il testamento quale unico strumento per l'attribuzione patrimoniale mortis causa è pure vero che in astratto esistono altri strumenti giuridici diretti alla realizzazione dell'attribuzione patrimoniale mortis causa validi per gli altri ordinamenti giuridici, quali l'Erbvertrag dell'ordinamento tedesco (…). D'altra parte sono nate nella storia del nostro diritto privato varie ipotesi di attribuzione patrimoniale mortis causa non testamentari. Una era quella del c.d. patto di lucro dotale (…). Un'altra ancora è la donazione de residuo si praemoriar”; LIPARI N., Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, p. 35, benché condivida la distinzione, ritiene che tuttavia essa “perde valore nel nostro sistema, il quale, negando validità al contratto a causa di morte, riduce l'ambito del negozio mortis causa appunto al settore dell'atto di ultima volontà”.
10 Tra i tanti in dottrina, GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 40, il quale osserva che il testamento ha “a proprio contenuto il regolamento di una situazione giuridicamente rilevante dopo la morte del suo autore”; IRTI N., Disposizione testamentaria rimessa all'arbitrio altrui, Milano, 1967, p. 156, osserva che il testamento “si definisce mortis causa proprio perché la situazione è prodotta dalla morte e, come tale, delineata in un'autonoma ipotesi normativa”; XXXXXXXX P., Le successioni testamentarie. Nozioni generali, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Xxxxxxxx, I, Padova, 2010, p. 728, parla di “efficienza causale della morte in ordine agli effetti”; XXXXXXXXX, La definizione di testamento, cit., p. 735, osserva che “la morte è assunta a punto di origine e di individuazione del complessivo effetto successorio; e pertanto anche del testamento”.
nonché a seguito della frequente instabilità delle unioni matrimoniali e dal mutamento degli affetti.
In realtà, non può che evidenziarsi come le principali critiche derivino dalla lentezza nella sistemazione, successivamente alla morte, delle situazioni giuridiche soggettive dismesse dal de cuius e, soprattutto, dalla contraddittorietà di un sistema generale che mentre ammette uno strumento che dovrebbe rappresentare la massima espressione dell'autonomia privata, dall'altro, limita la libertà dispositiva del titolare della ricchezza a vantaggio di soggetti il cui “merito” consiste in uno status.
Le alternative testamentarie sarebbero, dunque, artifici modellati e studiati ad hoc nel rispetto di un preciso assetto di interessi che dovrà produrre i suoi effetti soltanto dopo la morte di chi li pone in essere.
11 Secondo FERRARI, Successione per testamento e trasformazioni sociali, cit., p. 51 e ss., proprio la crescente ricerca e utilizzo di mezzi alternativi al testamento, dettati dalla società industriale, hanno messo in dubbio l'utilità della tipica funzione della successione, portando al ricorso di strumenti che giuridicamente sono diversi ma sociologicamente simili; v. anche XXXXXX K., Gli istituti del diritto privato e la loro funzione sociale. Un elemento o contributo alla critica del diritto civile, Bologna, 1981, p. 188 ss., il quale identificando nel giurista il soggetto a cui compete l'adattamento dei modelli codificati alla società che avanza, ritiene che anche senza grandi adeguamenti del sistema successorio, sia possibile, comunque, rivitalizzare gli istituti attraverso un mutamento della loro funzione sociale.
12 Xxxxx funzione socialmente secondaria del testamento ne è convinto FERRARI, Successione per testamento e trasformazioni sociali, cit., p. 73 ss., specie a seguito delle risultanze di una indagine svoltasi all'inizio degli anni 70 nella provincia di Milano, ove emerse che il ricorso al testamento nell'area milanese nell'arco degli anni 1955-1969 era assai ridotto, al di sotto del 10% delle successioni aperte e spesso con disposizioni ripetitive di regole legali, con andamento decrescente rispetto ad altri ordinamenti. In proposito, merita l'opinione di XXXXXXXX, Introduzione al
demografico; ed invero se in passato la minor durata della vita media faceva sì che i giovani figli potessero avvantaggiarsi in ogni caso del lascito ereditario degli ascendenti, attualmente, il prolungamento della vita media finisce con il rivolgere il beneficio alle generazioni successive. Per l'effetto, oggi il sostegno economico un tempo affidato al passaggio mortis causa cede il passo a forme di trasmissione immediate realizzate per via contrattuale.
A ben vedere, tuttavia, se un tempo il mutamento della realtà sociale si identificava principalmente con la diminuzione delle grandi concentrazioni di ricchezza e con il passaggio da una economia fondiaria a imprenditoriale, tale mutamento oggi deriva dall'esigenza di attuare il passaggio dell'impresa a favore di determinati soggetti e dalla possibilità di realizzare trasferimenti della ricchezza che tengano conto della nuova composizione delle famiglie, spesso allargate, vista la più frequente disgregazione e dissolubilità del matrimonio e della forte spinta verso il riconoscimento di altre forme di convivenza. Invero, è sempre più marcata l'esigenza che la sistemazione patrimoniale avvenga immediatamente con la partecipazione di tutti i successibili del nucleo familiare al fine di valutare le singole esigenze e attitudini e provvedere, conseguentemente, a una allocazione della ricchezza in funzione di una fattiva
codice civile, Bari, 1991, p. 98, il quale se dapprima sosteneva che il testamento perdesse terreno “in favore di mezzi più semplici e spediti di attribuzione dei beni, resi più agevoli dal prevalere della ricchezza mobiliare”, successivamente, giunge a ritenere che “la sensazione che il sistema positivo (…) attribuisca rilievo ad un istituto ormai svalutato, o almeno non apprezzato dall'ambiente come il mezzo più congegnoso per decidere il destino dei propri beni al di là della morte (…) ha un suo fondamento di verità, ma è constatazione esatta se la collochiamo addietro nel tempo, mentre ora accade che in paesi più avanzati dal nostro, nell'occidente industrializzato, vi è un notevole ritorno al testamento, rivalutato come il mezzo giuridico più utile per imprimere una certa destinazione ai beni oltre la vita della persona”, così in Attualità e destino del divieto dei patti successori, in AA. VV., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, p. 5;
v. anche BONILINI G., Autonomia negoziale e diritto ereditario, in Riv. Not., 2000, I, p. 795 ss., il quale evidenzia che il testamento in realtà non venga mai sfruttato in tutte le sue potenzialità. Osserva LENZI, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, cit., p.1209 ss., come la perdita di effettività del testamento sia il sintomo della crisi del sistema successorio di cui sia comunque complesso comprenderne le cause.
13 Parla di fenomeno successorio accusato dall'ideologia borghese che favorisce la ricchezza nelle mani di pochi, COMPORTI M., nelle Considerazioni conclusive e prospettive di riforma legislativa, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza: limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, 1995, Padova, Xxxxx, p. 179 ss., ove riconosce, tuttavia, che le critiche a quello che rappresenta il “pilastro dell'ordine liberale e individualista del secolo scorso” sono relative alla sua mancanza di apertura verso i nuovi criteri di socialità. Ciò per l'impossibilità di “eliminare il collegamento (…) fra la successione e la famiglia, nel senso di considerare la successione legittima e quella necessaria come una sorte di tutela della famiglia sia che si affermi che gli eredi avrebbero o iure sanguinis o iure nuptiarum il naturalistico diritto di ricevere i beni del defunto, sia che si ritenga che la trasmissione dei beni ai prossimi congiunti rappresenterebbe la logica continuazione dei doveri di mantenerli che faceva capo al de cuius finché questi era in vita, sia infine che si ravvisi il fondamento della successione legittima in una sorta di comunione etico-sociale e patrimoniale della famiglia, in una concezione solidaristica”.
Benché al diritto successorio sia affidato il compito di regolare le conseguenze giuridiche derivanti dalla morte di ogni individuo, ragione per cui sembrerebbe essere un settore marginale, in realtà, in esso trovano tutela i valori fondamentali della persona in cui si intersecano sia rapporti di diritto privato che di diritto pubblico.
La ragione giustificatrice dell'intero sistema successorio è generalmente attribuita agli artt. 40 e 42 Cost., nell'ottica della tutela della proprietà privata che trova, tuttavia, garanzia attraverso una riserva di legge; sarà la legge ordinaria, infatti, ad occuparsi di garantire la proprietà anche nel contesto successorio stabilendo le regole e i limiti sia della successione legittima che testamentaria15, tutela comunque subordinata alla condizione che la proprietà assolva una funzione sociale.
Tuttavia, già al tempo della codificazione, il legislatore decise di recepire le antiche esigenze etiche, sociali e giuridiche della successione mortis causa che da millenni derivavano dal mondo greco e romano e lo fece dando alle successioni un posto specifico nel sistema, il libro secondo, diversamente dal codice del 1865, con il preciso intento, non di trascurare la valorizzazione della successione a causa di morte come modo di acquisto della proprietà, quanto di esaltare un settore del diritto che garantisce e tutela la famiglia, così giustificando l'egemonia della successione necessaria sia su quella testamentaria che su quella legittima16.
Accanto all'interesse del singolo disponente di determinare la destinazione del suo patrimonio per il tempo successivo alla morte, vi è quello dell'ordinamento di controllare il continuo passaggio della ricchezza, affinché essa non resti priva di gestione, affinché vi sia certezza del tempo di adempimento delle obbligazioni sorte, subentrando altresì in qualità di erede in assenza di successibili entro il sesto grado e occupandosi, infine, del prelievo fiscale. Altri interessi coinvolti nel fenomeno successorio sono quelli dei successibili o di eventuali creditori che vantino diritti sul patrimonio relitto.
Stante la compresenza di tali interessi, il legislatore non poteva che organizzare una disciplina caratterizzata da un sistema autonomo, compatto ed autosufficiente, prevedendo
14 MARELLA M.R., Il divieto dei patti successori e le alternative convenzionali al testamento, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1991, II, p. 94, evidenzia che “uno di più grossi limiti che evidenzia il nostro sistema successorio, per cui si rende necessaria una ricerca di alternative convenzionali al testamento, sta nel fatto di non consentire una diversificazione dei beni in vista del tipo di trasferimento più idoneo alla loro specifica natura, così come quello di ignorare figure di successioni fra estranei al nucleo familiare”.
15 Ciò diversamente da quanto avviene, per esempio, nel sistema tedesco, ove proprietà e diritto ereditario sono entrambi oggetto di garanzia costituzionale.
16 Nella relazione al Re del Ministro Xxxxxxxxxxxxx si evince che il sistema successorio “rappresenta, di fronte alla vicenda transitoria della vita umana, il senso di perenne continuità della stirpe”.
A questo punto non resta, con i paragrafi a venire, che addentrarsi più nello specifico, individuando le ragioni che impediscono una libera e incondizionata circolazione e sistemazione dei futuri beni ereditari e analizzando quindi quelli che sono gli asseriti limiti del testamento in sé, nonché gli ostacoli alla libertà testamentaria, ovvero il divieto dei patti successori e la tutela dei legittimari, al fine di comprendere e giustificare la costante ricerca di alternative al testamento e giungere a valutare se, in particolare, tra esse, vi sia il contratto di assicurazione sulla vita, oppure se il testamento continui ad essere un istituto saldo, irrinunciabile e insostituibile del nostro sistema.
3.1 Le principali caratteristiche del testamento ritenute causa della sua crisi.
L'acquisto della nuova titolarità dei beni del de cuius è regolato da norme che lo disciplinano individuano dettagliatamente soggetti e quantità; tuttavia, la legge interviene in seconda battuta, in funzione suppletiva e/o integrativa, ovvero qualora non abbia già provveduto in tal senso il testatore19.
Non può che essere rassicurante il fatto di sapere che nulla è irreversibile e che si può cambiare idea sino alla fine della vita. L'uomo nella sua natura ha sempre cercato la libertà e questa non può che essere apprezzata; a maggior ragione, ciò accade quando si sceglie nei confronti di chi e in che misura si desideri essere liberali distribuendo il proprio patrimonio.
Per l'ordinamento, alla morte della persona consegue l'esigenza di garantire la continuità delle situazioni giuridiche facenti capo al de cuius, specie di natura economica, attuata in primo luogo con la previsione della disciplina della successione legittima, ma lasciando tuttavia aperta la strada al disponente di destinare liberamente ciò che gli appartiene,
17 In tal senso, XXXXXXX M.G., Diritto Successorio, Temi e problemi, vol. 1, Xxxxxxx, 2012, p. 13 ss..
18 In dottrina, XXXXXXXXX, La definizione di testamento, cit., p. 732, osserva che “la definizione dell'art. 587, 1° co., si qualifica come <<definizione stipulativa>> in quanto assegna (sottolineandone il carattere esplicativo e convenzionale) alla parola <<testamento>> un determinato significato tecnico-giuridico, a preferenza di altri, così risolvendo la vaghezza e le ambiguità della stessa nel linguaggio comune. Si pensi, ad es., al testamento spirituale, fatto di giudizi e consigli all'esito della vita; e al testamento biologico (living will), il quale sarà destinato ad avere efficacia prima della morte del suo autore; figure del tutto estranee alla nozione di testamento in senso proprio”.
19 Prevedendo la “possibilità di sostituire, al contenuto legale, un contenuto deciso dal de cuius”, così sottolinea IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all'arbitrio altrui, cit., p. 125.
senza indagare in ordine agli eventuali livelli di meritevolezza e, soprattutto, senza imporre obblighi.
Con ciò, si intenda, non si sta dimenticando la categoria dei legittimari, ma si vuole semplicemente osservare che, tutto sommato, il legislatore nel regolare la successione testamentaria, lascia ampia libertà di disposizione al testatore, non prevedendo che al momento in cui si esprimono le volontà, sia doveroso tenere conto dei limiti della riserva.
Essendo un atto personale, il negozio testamentario permette al solo disponente la scelta di regolare in maniera diversa la propria trasmissione della ricchezza, sia in termini soggettivi che oggettivi, con un intimo, spontaneo e segreto strumento che gli consenta di realizzare i propri desideri21, senza che vi sia la necessità di ottenere consensi o di raggiungere un accordo con i successibili22. Il profilo giuridico della personalità segna l'abilitazione del solo testatore a indirizzare gli effetti successori, essendo l'unico, in materia, ad esserne “competente”23, dovendo il testamento costituire lo specchio del volere di un solo soggetto24, così da escludere la validità di disposizioni rimesse all'arbitrio altrui.
La libertà testamentaria viene altresì garantita dall'unilateralità espressa nel
20 L'impugnazione del testamento, infatti, è comunque rimessa alla discrezione dei legittimari, i quali, nonostante l'eventuale lesione dei loro diritti, potranno, in ogni caso, onorare e rispettare la volontà del defunto non agendo in riduzione oppure, già nel verbale redatto dal notaio in sede di pubblicazione, mediante un atto di acquiescenza al testamento, garantendo così l'attuazione delle disposizioni ivi contenute.
21 In dottrina, XXXXXXXXX X., Testamento epistolare e volontà testamentaria, in Diritto Civile, Xxxxxx – Teoria pratica (Saggi), Milano, 1951, p. 614, osserva che il testamento, rispetto all'effetto successorio, si qualifica per essere una “decisione attuale sulla sorte di beni” per il tempo successivo alla morte.
22 Anche in giurisprudenza è oramai consolidato il principio per cui il testamento è un atto personalissimo con il quale il testatore manifesti in via esclusiva la sua volontà, senza che possano esserci influenze esterne di rappresentanti o intermediari, tanto da escludere che l'eventuale approvazione di una disposizione rimessa al destinatario, configuri volontà del testatore, x. Xxxx. Xxxxx, 00 aprile 1951, in Foro it., 1951, I, p. 1307.
23 IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all'arbitrio altrui, cit., p. 23 ss..
24 Così DELLE MONACHE S., Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587 – 590, in Il Cod. Civ. Comm., diretto da X. Xxxxxxxxxxx e F.D. Xxxxxxxx, Milano, 2005, p. 48.
25 La giurisprudenza è unanime nell'affermare l'unilateralità del testamento, recentemente Xxxx. Civ., 21 febbraio 2007, n. 4022, in Fam. pers. succ., 2007, p. 550, nella quale si ribadisce che “a dover essere individuata è la volontà del testatore, parte esclusiva dell'atto unilaterale mortis causa”. In dottrina, MARMOCCHI, La definizione di testamento, cit., p. 739, osserva il particolare significato della locuzione <<taluno dispone>> di cui all'art. 587, volto a indicare i requisiti soggettivi del testamento quali la “personalità” e la “unilateralità”, rilevabili “se si considera che il soggetto <<taluno>>, come pronome composto, indica (con l'articolo <<uno>>) la natura indeterminata della persona legittimata (<<uno>> come <<chiunque>> nel codice penale) e (assieme al pronome
<<tale>>) assegna alla persona un preciso valore determinativo ed esclusivo (<<tale>> come equivalente di
<<quello>> e non altri). E quindi <<taluno>> come <<quell'uno>>, e non altri, nel preciso significato di
Oltre a ciò, è noto che a corollario del principio di libertà testamentaria e a differenza di ogni altro mezzo di disposizione, il legislatore ha previsto un'altra importante caratteristica, la revocabilità, che attribuisce al testatore la facoltà di cambiare idea in ogni tempo, revocando in tutto o in parte quanto già raccolto nella scheda testamentaria.
La revocabilità, oltre ad emergere dal dettato normativo, si manifesta implicitamente anche nella nozione di testamento quale atto di ultima volontà, giustificato da un naturale e spontaneo evolversi dei motivi che possano animare il disponente, ritrattabili sino alla morte, e viene garantita come espressione di un principio di ordine pubblico, quale la libertà di testare26. Il codice vigente, tra l'altro, ha espressamente escluso la possibilità di rinunciare alla facoltà di revoca, pena l'inefficacia di ogni espressione in tal senso contraria (art. 679 c.c.) 27. Sarà l'interprete ad occuparsi, in caso di più testamenti, di interpretare le volontà testamentarie al fine di verificare quando si sia in presenza di una revoca totale, per incompatibilità assoluta con una precedente volontà, per cui far prevalere l'ultimo testamento, oppure di una volontà integrativa rispetto a precedenti disposizioni28. Operazioni che, tuttavia, si renderanno necessarie solo dopo l'apertura della successione nonostante si tratti di uno strumento già perfetto sin dal momento in cui viene in essere, sebbene ancora improduttivo di effetti verso i terzi. Si è osservato, infatti, che la revocabilità offrirebbe una conferma della perfezione dell'atto testamentario sin dalla sua formazione, sebbene resti privo di rilevanza giuridica esterna sino all'apertura della successione, tanto da non dover essere intesa come causa impeditiva di una fattispecie in fase di formazione, bensì un modo particolare di rilevanza rispetto ai terzi29.
<<personalità>> del testamento”.
26 In tal senso, Cass. Civ., 14 luglio 1983, n. 4827, in Riv. Not., 1984, p. 245.
27 BIANCA C.M., Diritto Civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2005, p. 820 ss.. In dottrina si è osservato che se si negasse la libertà di revocare le disposizioni aventi ad oggetto la propria successione, libertà riconosciuta inderogabile dall'art. 679 c.c. e indirettamente dagli artt. 589 (divieto di testamento congiuntivo o reciproco) e 635 (condizione di reciprocità) c.c., si finirebbe per abolire la stessa categoria degli atti di ultima volontà, così GROSSO G. - BURDESE A., Le successioni. Parte generale, Trattato di diritto civile italiano, diretto da X. Xxxxxxxx, XX, 0, Xxxxxx, 1977, p. 93. Occorre altresì considerare, infatti, che la revocabilità viene tutelata non solo dalle norme che la dispongono, bensì anche da altre norme che presidiano la spontanea autodeterminazione del testatore, come ad esempio il divieto di testamento congiunto (art. 589 c.c.), il formalismo (art. 601 ss c.c.), la rilevanza dell'errore sul motivo e del motivo illecito (artt. 624 ss.), il tutto nell'ottica di assicurare un controllo da parte dell'ordinamento sulla libera scelta del disponente, affinché essa non sia viziata ma reale, giustificando così la prevalenza della designazione testamentaria rispetto alla successione legittima.
28 In dottrina XXXXXXX, Diritto Successorio, Xxxx e problemi, cit., p. 117, osserva che non è necessario che “la consapevolezza della revocabilità debba risultare dal testamento olografo o che di essa debba essere fatta menzione nel testamento pubblico. Non significa neppure che sia opportuno, come talora si afferma, inserire la disposizione di revoca in ogni precedente testamento, tanto nel testamento per atto di notaio quanto nell'olografo, quasi fosse una semplice clausola di stile”. L'Autrice ritiene, anzi, che “costituisca una integrazione della volontà del testatore che deve essere accuratamente evitata se non richiesta espressamente”.
29 Così XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento., cit., p. 135. Osserva XXXXXXX M., La donazione come alternativa al testamento: prospettive di riforma, in Riv. Not., 2009, 1, p. 108, che “solo il testamento, per i caratteri che lo contraddistinguono (unilateralità, unipersonalità, non recettizietà, revocabilità, inefficacia e rilevanza prima della morte), non crea alcun vincolo giuridico tra il de cuius ed i beneficiari delle disposizioni prima dell'apertura della successione. Ne consegue che è preclusa l'applicazione di tutte le regole volte a salvaguardare l'affidamento dei terzi interessati alle disposizioni”; XXXXXXXXX, La definizione di testamento, cit., p. 736, evidenzia come dalla qualifica del testamento quale atto di ultima volontà sia possibile “contrapporre
Ebbene, parte della dottrina è concorde nel ritenere che la crisi del testamento abbia generato l'avvio verso la ricerca e l'utilizzo di alternative. Il declino del testamento risulterebbe percepito proprio per l'incapacità di questi suoi caratteri di unilateralità, revocabilità sino alla morte ed efficacia differita nel tempo, di consentire un adattamento al contesto in cui oggi opera. Invero, quanto all'unilateralità del testamento, essa contrasterebbe proprio con la sentita esigenza da parte dei moderni nuclei familiari di sistemare in via anticipata il patrimonio di famiglia con la partecipazione di tutti i successibili, allo scopo di pianificare al meglio la destinazione mobiliare e immobiliare, tenendo in considerazione le attitudini e le esigenze dei singoli, affinché non si generino le situazioni di conflitto che sono solite avverarsi alla morte del disponente.
Quanto alla libera revocabilità del testamento, se da un lato essa rappresenta per il testatore la sicurezza di poter cambiare la destinazione dei propri beni sino alla morte, per gli eredi è fonte di instabilità, sia in relazione alle loro aspettative che con riguardo alla segretezza del contenuto del testamento. Quanto agli effetti, l'interesse attuale di vedere definito il passaggio generazionale del patrimonio di famiglia verrebbe a mancare per l'impossibilità per il testamento di produrre effetti in data anteriore all'apertura della successione.
Un ulteriore aspetto ritenuto restrittivo è quello relativo al presunto limite che il testamento incontrerebbe nel momento in cui la articolata consistenza patrimoniale o le individuali situazioni soggettive dei membri della famiglia siano mortificate dalla sola possibilità di scegliere tra la qualità di erede e di legatario, con le conseguenti implicazioni in ordine all'acquisto dei beni, responsabilità e situazioni di comunione con altri chiamati.
Tra le critiche mosse all'attuale portata del testamento e alla sua crisi irreversibile, si indicano oggi asserite inefficienze di carattere funzionale, quali l'eccessivo formalismo, la scarsa pubblicità offerta dal registro generale dei testamenti, il fatto che molti testamenti non
gli atti <<di ultima volontà>>, come i testamenti, agli atti inter vivos, i quali legano in un rapporto giuridico due (o più) soggetti viventi, laddove il testamento, pur strutturalmente perfetto, rimane del tutto inefficace rispetto ai terzi fino alla morte del suo autore”.
30 PALAZZO, Testamento e istituti alternativi, cit., p. 279, osserva che “i congegni diretti all'attribuzione mortis causa sono la prova della delicata esigenza dell'autore dell'attribuzione o di assicurare ad alcuni soggetti la propria disponibilità a risolvere il loro problema mantenitorio o di evitare la dispersione dei beni organizzati per il raggiungimento di uno scopo che sono trasmissibili solo a soggetti di acclarate capacità. Xxxxxxxx che si vuole raggiungere attraverso il contratto che, a differenza del testamento, non può essere eliminato o modificato con una mera manifestazione di volontà disancorata dalla causa contrattuale”. Nello stesso senso anche MENGONI, Successioni per causa di morte, cit., p. 7.
vengano pubblicati, attesa l'impossibilità per il notaio presso il quale il singolo atto è depositato di avere notizia della morte dell'ereditando, la facile occultabilità dei testamenti olografi da parte di soggetti che non hanno, o ne hanno uno contrastante, interesse alla pubblicazione (così esponendosi, forse inconsapevolmente, a responsabilità di natura penale ex art. 490 c.p.). Infine, la non infrequente impossibilità di dare attuazione alle disposizioni, laddove il notaio non sia a conoscenza del domicilio dei beneficiari al fine di provvedere alle dovute comunicazioni ai sensi dell'art. 623 c.c.31.
A tali critiche, tuttavia, si vedrà a suo tempo se e come replicare. Allo stato attuale, in ogni caso, si evidenzia come il sistema positivo del codice civile continui a dare rilevanza ad uno strumento che, da valutazioni di natura sociologica, viene avvertito come svalutato e che quindi non sia apprezzato ormai come il mezzo più congruo per decidere il destino dei propri beni post mortem.
3.2 I limiti alla libertà testamentaria, elementi di debolezza? (segue): a) la tutela dei legittimari; (segue): b) i xxxxx successori; (segue): c) la donazione: brevi cenni sulle implicazioni pratiche.
Se le caratteristiche tipiche del testamento e la sua disciplina non sono altro che il riflesso dell'apprezzamento di una libertà che l'ordinamento riconosce all'ultima manifestazione di volontà, dopo aver evidenziato come queste sembrino sminuire l'interesse pratico verso il negozio testamentario, è necessario procedere con la valutazione di quelli che sono in realtà i veri ostacoli alla libertà esprimibile attraverso l'autonomia contrattuale e testamentaria nella realizzazione di precise volontà. Occorrerà, a tal fine, analizzare quegli elementi che impediscono di stabilire convenzionalmente verso chi e in che modo indirizzare la ricchezza, scongiurando nel contempo conflitti futuri. Si tratterà, quindi, di comprendere la ratio di determinate scelte legislative e di valutare se esse manifestino aspetti di debolezza che giustifichino la ricerca di alternative o se, invece, rappresentino il mezzo per tutelare principi tutt'ora sentiti come inviolabili e, perciò, immutabili.
segue: a) la tutela dei legittimari.
Il codice civile italiano in tema di successioni mortis causa è tutt'oggi ancorato ad una accentuata tutela della famiglia, sia essa legittima o naturale, non ammettendosi che modalità di pianificazione successoria possano vanificare tale tutela, neppure per accordo tra i
31 IEVA M., Circolazione e successione mortis causa, in Riv. Not., 2012, 1, p. 72.
La tutela dei legittimari, quindi, rappresenta un limite al potere dispositivo del testatore, operando financo contro sua la volontà, ogni qualvolta vengano attribuiti beni di valore inferiore alla quota di riserva, sia nella successione legittima che testamentaria, oppure nel caso di pretermissione in quella testamentaria. Al legittimario viene garantita la possibilità di conseguire una quota del patrimonio ereditario predeterminata ex lege a seconda del numero e del grado di prossimità rispetto al de cuius. Tutela che, tuttavia, è subordinata all'esercizio di un diritto potestativo da parte del legittimario leso o pretermesso che sarà quindi il solo interessato a valutare se quanto ricevuto corrisponda al quantum garantitogli dal legislatore e, conseguentemente, se agire affinché si riducano le disposizioni lesive nei suoi confronti o farvi acquiescenza stabilizzando così le attribuzioni.
Affermata in xxx xxxxxxxx xxxx'xxx. 000, xxxxx 0, x.x., xx xxxxx del quale le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare il diritto di riserva attribuito ex lege ai legittimari, la tutela di questa categoria si avvale anche del disposto di cui agli artt. 554 e seguenti che regolano l'azione di riduzione, dell'art. 550 c.c. (ove è contenuta la disciplina
32 Osserva XXXXXXX C., L'obsolescenza assiologica della successione necessaria, consultabile all'indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxx/xxxxxxx_xxxxxxxxxxxx.xxx, luglio 2013, p. 1, che “l'istituto della legittima costituisce il limite ultimo ed invalicabile posto dall'ordinamento all'autonomia del testatore a presidio dell'interesse dei prossimi congiunti, e più in generale, della famiglia” poiché “la figura del legittimario costituisce “la chiave di volta” dell'intero sistema successorio italiano, assurgendo a centro nevralgico dello stesso, di importanza preponderante, degna di una tutela forte ed inderogabile”.
33 BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Milano, 2011, p. 29.
34 Si pensi, ad esempio, anche alle attribuzioni di un bene da un ascendente direttamente al nipote, per effetto delle quali, saltando un passaggio ereditario, si evitano maggiori costi notarili e doppie tassazioni.
della c.d. cautela sociniana), dall'art. 551 (ove è regolato il legato in sostituzione di legittima) e dall'art. 549 c.c. (recante il divieto di pesi, oneri o condizioni sulla legittima), norme tutte da cui emerge il principio di intangibilità della riserva.
Detto principio si è notevolmente evoluto nel corso del tempo. Dal nostro sistema codicistico, infatti, è stato espunto il principio della legittima in natura, noto sotto la vigenza del codice abrogato (art. 804), che rendeva obbligatoria l'assegnazione al legittimario, a titolo di erede, di una porzione corrispondente quantitativamente alla frazione astratta del patrimonio ereditario ed avente la medesima composizione qualitativa di questo.
A conferma della definitiva prevalenza della nozione di legittima quantitativa può invocarsi la disposizione dell'art. 588 c.c., nel quale è disciplinata l'institutio ex re certa. In detta norma, convivono infatti tanto il riconoscimento della libertà del testatore di formare le quote con qualsivoglia bene del suo patrimonio, quanto l'affermazione della non divisibilità di beni estranei alla comunione, salvo la possibilità di conguagliare in denaro le eventuali
35 Cass. Civ., 12 settembre 2002, n. 13310, in Riv. Not., 2003, p. 234, “il principio dell'intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni - di qualunque natura - purché compresi nell'asse ereditario”; Cass. Civ., Sez. II, 12 marzo 2003, n. 3694, in Riv. Not., 2003, p. 629, “in relazione al principio di intangibilità della legittima, i diritti del legittimario devono essere soddisfatti con beni o con denari provenienti dall'asse ereditario, con la conseguenza che la divisione con cui il testatore disponga che le ragioni ereditarie di un riservatario siano soddisfatte dagli eredi, tra cui l'eredità è divisa, con la corresponsione di una somma di denaro non compresa nel relictum, è affetta da nullità ex articolo 735 del c.c.”, conferma a Cass. Civ., 23 marzo 1992, n. 3599, in Riv. Dir. Civ., 1994, p. 819. In passato, App. Milano, 7 giugno 1960, in Monitore Trib., 1960, p. 744, osservava che la porzione legittima era costituita da una quota di beni ereditari, con la conseguenza che, in difetto di espressa norma al riguardo, il diritto dei legittimari non poteva, di regola, essere soddisfatto mediante denaro; secondo Cass. Civ., 22 giugno 1969, n. 2202, in Xxxx Xxxxxx, 0000, I, p. 1000, se l’unico limite del testatore è soddisfare i diritti dei legittimari con beni provenienti dal relictum ereditario, la quota di un legittimario potrà essere soddisfatta anche soltanto con del denaro.
36 Così XXXXXXXX X., Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, p. 255, per il quale il legittimario non è un erede ma un successore a titolo particolare avente diritto ad una quota utile netta a prescindere dal fatto che il valore venga conseguito a titolo di eredità, legato o a titolo di donazione.
divergenze di valore. Ne deriva, pertanto, che ferma restando l'intangibilità del valore, permane l'assoluta autonomia nella scelta dei singoli beni, purché siano compresi nell'asse ereditario.
I legittimari, dunque, possono esplicare la loro tutela in vari modi: ottenendo la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della riserva, attraverso la riduzione di eventuali donazioni disposte in vita dal de cuius, facendo dichiarare la nullità delle disposizioni che contravvengono al divieto di cui all'art. 549 c.c..
Tuttavia, se in quest'ultimo caso il legislatore ha riservato alle disposizioni lesive la più immediata sanzione della nullità, con la conseguenza che il legittimario conseguirà l’attribuzione libera, come se eventuali pesi o condizioni non fossero stati apposti, qualche problema è determinato dalle modalità di attuazione della reintegrazione, in cui, diversamente, è eventuale e necessaria l'iniziativa di parte.
In particolare, un aspetto che verrà più nello specifico analizzato in seguito, riguarda il fatto che qualora l'azione di riduzione sia esercitata infruttuosamente sui beni ereditari, poiché magari già alienati, il legittimario potrà agire mediante l'azione di restituzione nei confronti di terzi acquirenti, i quali potrebbero liberarsi dall'obbligo di restituzione in natura pagando l'equivalente in denaro, prerogativa non concessa invece agli altri coeredi.
Le uniche eccezioni al principio di intangibilità sono individuabili nel Titolo IV del libro II, ovvero nella possibilità, riconosciuta al testatore, di disporre che la divisione dei beni non abbia luogo prima di 5 anni dall'apertura della successione, dando così la libertà di ritardare la divisione ereditaria anche in presenza di legittimari; altre eccezioni derivano dalla cautela sociniana, dal legato in sostituzione di legittima, dai diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e sui beni che la corredano in favore del coniuge, la sostituzione fedecommissaria e la indicata institutio ex re certa.
Al di fuori di tali eccezioni, il testatore non ha la possibilità di eludere le norme a tutela dei legittimari o di destinare i propri beni in modo da escludervi detta categoria.
Nel nostro ordinamento, nonostante il testamento sia espressione della massima volontà, la tutela della successione necessaria è molto forte, giungendo a salvaguardare gli stretti congiunti, sempre e comunque, prescindendo in maniera assoluta dalle singole qualità,
37 MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, continuato da Mengoni, XLIII, tomo 2, Milano, 2000, p. 90 ss..
esigenze o meritevolezze dei singoli. Tuttavia, il mutamento delle relazioni affettive nell'ambito della famiglia, i nuovi valori che caratterizzano quest'ultima, il mutamento delle esigenze economiche e gestionali del patrimonio, la nuova composizione della ricchezza, prevalentemente di natura mobiliare38, sono tutte ragioni per cui oggi, ancora più di ieri, diventa lecito domandarsi se questa forte tutela sia ancora sorretta dalle stesse ragioni che le abbiano dato vita e se si abbia ancora l'esigenza di porre un così forte limite alla circolazione della ricchezza. In altri termini, è utile domandarsi se la tutela dei legittimari, così come strutturata nel nostro codice, sia ancora giustificabile o se sia necessario intervenire al fine di soccorrere alle nuove problematiche che da tempo auspicano l'adozione di nuove sostanziali riforme, specie per la percepibile sofferenza nell'ambito familiare39.
Il problema è sempre lo stesso, la società e le sue esigenze sono cambiate, le norme ancora no.
Segue: b) i patti successori.
Agli albori della codificazione i compilatori si ritrovarono davanti all'annosa questione circa l'esigenza di attribuire alla successione legittima il ruolo di prevalenza rispetto a quella testamentaria allo scopo di tutelare maggiormente la famiglia. Tuttavia, come noto, questa intenzione non ebbe seguito e si preferì l'ormai millenaria tradizione romanistica che garantiva la compresenza di entrambe le forme di successione, riconoscendo una rilevanza primaria a quella testamentaria, seppure limitando l'autonomia privata ove si trattasse di tutelare i diritti degli stretti congiunti.
Nel medesimo contesto, si valutò anche la possibilità di ammettere una terza causa di delazione ereditaria, ovvero quella contrattuale, optando tuttavia per un divieto assoluto sanzionato con la nullità40. Sin dal principio, tuttavia, la dottrina si mostrò comprensiva nel
38 Basti pensare anche a quante donazioni vengono stipulate oggi senza un vero animus donandi, ma con l’unico scopo di evitare il peso fiscale e gestionale di seconde case.
39 Si pensi, ad es., al divorzio breve, recentemente introdotto con la legge 11 maggio 2015 n. 55, alla spinta verso la creazione dei registri delle unioni civili e al riconoscimento dei diritti successori anche alle convivenze more uxorio, ma anche alle maggiori difficoltà che oggi si incontrano per la tutela di soggetti socialmente deboli.
40 Già nel Code Napoléon i patti successori erano visti con sfavore anche se per ragioni diverse: punire le convenzioni volte a trasferire interi patrimoni con abusi da parte del disponente a discapito dell'uguaglianza tra gli eredi e, soprattutto, garantire la supremazia della legge come fonte di devoluzione mortis causa. In Italia, l'origine del divieto dei patti successori veniva sancito già dal codice del 1865, in conformità alla tradizione romana, in cui vigeva la supremazia della forma testamentaria e dell'assoluto rispetto della volontà del de cuius, garantita dalla revocabilità usque ad mortem e ove i patti aventi ad oggetto eredità future venivano considerati contrari al buon costume. Nella Relazione al Re, nei lavori preparatori del libro secondo, si legge: “affermato nell'art. 2 (457 c.c.) il principio fondamentale del nostro diritto successorio, per cui le forme di successione sono due, la legale e la testamentaria, ho considerato l'opportunità di escludere espressamente l'ammissibilità della terza possibile causa di delazione ossia del contratto come titolo di successione, stabilendo il divieto della cosiddetta successione pattizia o patto successorio” (Relazione n. 225). Ciò, diversamente, dai codici di tradizione germanica ove si ammetteva – e si ammette - il contratto successorio istitutivo (Erbvertrag), con il quale chiunque può attribuire irrevocabilmente ad altri diritti ereditari con effetto dispositivo port mortem. Sul punto, GANGI C., La successione testamentaria nel
riconoscere la sola nullità di xxxxx con i quali un soggetto si obbligasse ad istituirne un altro erede o legatario, in ragione del principio della libertà testamentaria, non ritenendo giustificabile la medesima rigidità anche in relazione ai patti di natura diversa con cui si disponesse o rinunciasse a diritti futuri41. La stessa giurisprudenza si è spesso mostrata restrittiva nel sanzionare talune fattispecie di accordo ricorrenti nella prassi, escludendo la loro riconducibilità tra i patti successori.
A ulteriore corollario del principio di libertà testamentaria, anteriormente all'apertura della successione nessun diritto ereditario o aspettativa sul patrimonio del disponente può esser fatto valere dai successibili. Agli stretti congiunti sono riservate quote di patrimonio, ma il diritto a riceverle potrà sorgere solo al momento della morte dell'ereditando: fino ad allora, il titolare della ricchezza potrà accrescere, conservare o disporre liberamente del suo patrimonio e i futuri legittimari non potranno opporsi ad alcun atto, né compiere atti cautelativi, proprio perché privi di diritti sul patrimonio del disponente.
Per tal ragione, anche volendo disporre con atto inter vivos di diritti successori, la sistemazione mortis causa degli interessi familiari attraverso il contratto viene preclusa espressamente dal divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c. e implicitamente anche dall'art. 457 c.c. che impone la devoluzione dell'eredità per legge o per testamento, escludendo così ogni possibilità di trovare alternative testamentarie mortis causa dirette a regolare contrattualmente una successione a causa di morte.
I patti successori individuabili dal dettato normativo si distinguono in tre categorie:
vigente diritto italiano, I, Milano 1952, p. 39 ss., illustra come, diversamente dall'attuale codice italiano e da quello previgente e in contrasto con la tradizione romanista, già in passato i patti successori siano stati ammessi in altri ordinamenti, come dalle legislazioni tedesche (codice prussiano, codice sassone, codice tedesco e legge tedesca sui testamenti del 1931), dal codice svizzero, dal codice austriaco (seppur soltanto tra coniugi) e dal codice francese (in occasione di matrimoni).
41 In proposito, si veda XXXXXXXXX C., Il divieto dei patti successori, in Successioni e donazioni, I, a cura di Xxxxxx Xxxxxxxx, 1994, Padova, p. 25, che criticamente ritiene incongrua la soluzione della nullità rispetto allo scopo di tutelare la libertà testamentaria del disponente.
42 L'importanza del tema è stata evidenziata da Xxxx. Civ., Sez. II, 9 maggio 2000, n. 5870, con nota di XXXXXXX F.M., Xxxxx successori: conferma di una erosione, in Riv. Not., 2001, 1, p. 229, “perché dal riconoscere a un atto la natura di negozio mortis causa contrattuale dipende non solo un diverso atteggiarsi degli effetti, ma, in via di principio, la stessa validità. Il divieto dei patti successori pone il problema del confine fra contratti inter vivos con effetti post mortem (dove la morte di uno dei contraenti configura soltanto come termine o condizione, ovvero come evento per la piena attribuzione patrimoniale) e contratti in cui la morte assume rilevanza causale. E' evidente che soltanto questi ultimi, cadendo nel divieto, sono da ritenere nulli; poiché non tutti i contratti i cui effetti siano in qualche modo collegati con la morte di uno dei contraenti, assumono necessariamente carattere di disposizione a causa di morte”.
- i xxxxx xxxxxxxxxx, con i quali tra il disponente e un futuro erede intercorre un accordo per cui il primo si impegna a disporre del proprio patrimonio in favore del secondo, rinunciando alla revocabilità;
- i patti dispositivi, mediante i quali tra i successibili intercorre un accordo in forza del quale uno dispone di diritti relativi ad una successione non ancora aperta in favore dell'altro (Xxxxx conclude un contratto con Xxxx nel quale si impegna a vendergli l'eredità che gli perverrà alla morte dell'ascendente);
- i patti rinunciativi, infine, relativi a contratti, sempre tra i successibili, con cui un soggetto rinuncia a diritti provenienti da una futura successione in favore di un altro (Xxxxx si impegna con Xxxx a rinunciare all’eredità dell'ascendente non ancora pervenutagli).
Le ragioni dell'istituto non sono pacifiche. Infatti, se da un lato il divieto dei patti successori viene considerato come il più importante limite all'autonomia privata, dall'altro, rappresenterebbe, allo stesso tempo, il pilastro su cui fondare la tutela della libertà di testare.
In dottrina, specie in passato, alcuni autori individuavano la ratio del divieto nella espressa volontà del legislatore di ammettere la delazione solo per legge o per testamento, escludendo così una terza forma di natura contrattuale43, riconoscendo, conseguentemente, un fondamento unitario per tutte e tre le tipologie di patto successori. I più, tuttavia, ritengono che la tipicità dei mezzi di delazione non possa rappresentare l'unica ragione del divieto e che sia opportuna una diversificazione, atteso il diverso contenuto tra esse e i soggetti coinvolti44.
In ordine al fondamento del divieto, si può affermare come in realtà sia ravvisabile una sufficiente spiegazione solo in ordine al patto istitutivo che trova generalmente la sua ragione nel principio di assoluta libertà di testare e nella piena possibilità di revocare le volontà in ogni tempo, evitando così forme di aspettativa sui diritti successori in capo ai successibili45 e, in via minoritaria, nel fondamento della tipicità delle fonti della delazione indicate dall'art. 457 c.c., espressa letteralmente dal dato normativo.
43 XXXXXXXXXXXX X., Delle successioni – Disposizioni generali – Successione legittima, in Commentario al codice civile diretto da X. Xxxxxxx, II, tomo I, Torino, 1971, p. 21; XXXXXX e BURDESE, Le successioni, cit., p. 92; in giurisprudenza, Cass. Civ., 26 maggio 1963, n. 1559, in Gius. Civ., 1953, I, p. 1740 ss..
44 DE XXXXXX X.X., voce Patto successorio, in Enc. Dir., XXXII, Milano, 1982, p. 533, nell'osservare come la difficoltà di identificare tra le varie fattispecie concrete delle caratteristiche significative comuni renda difficoltosa la ricostruzione di una unitaria nozione di patto successorio, riferendosi a “chi si limiti al dato normativo”, rileva come “non risulti agevole comprendere la ragione di un divieto riferito a disposizioni il cui unico tratto comune è l'avere ad oggetto una successione non ancora aperta”; XXXXXX C., Il divieto dei patti successori nella giurisprudenza, in Dir. Priv., 1998, IV, Del rapporto successorio: aspetti, Padova, 1999, p. 343 ss.; XXXXX, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, cit., p. 1215 ss.; XXXXXXXX F., Il divieto del patto successorio istitutivo nella pratica negoziale, in Riv. Not., 1992, p. 1411; XXXXXXXXX, Il divieto dei patti successori, cit., p. 37; BIANCA, Diritto Civile, II, La famiglia e le successioni, cit., p. 556 ss.; XXXXXXX, Xxxxx successori: conferma di una erosione, cit., p. 232 ss.; XXXXXXXXX, Il divieto dei patti successori, cit., p. 25; XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto ereditario, cit., p. 799.
45 In dottrina, per tutti FERRI L., Delle Successioni. Successioni in generale, in Commentario del codice civile, a cura di Xxxxxxxx e Branca, artt. 456 – 511, Bologna – Roma, 1980, p. 93 ss.. In giurisprudenza, Cass. Civ., 21 aprile 1979, n. 2228, in Mass. Foro It., 1979, p. 464, riconosce che “la nullità dei patti successori è comminata dall'art. 458 c.c. al fine di conservare al testatore la libertà di disporre dei propri beni per tutta la durata della sua vita”.
Alcuni autori, criticando parzialmente tale ricostruzione, sull'assunto che il carattere della revocabilità sarebbe stato compatibile anche con una delazione di tipo contrattuale attraverso la previsione della facoltà di recesso ad nutum da parte del disponente, hanno osservato che ad essere proibito sarebbe il solo patto successorio irrevocabile, l'unico a limitare l'assoluta libertà di revoca46.
Il fondamento del divieto, quindi, più che nella garanzia della libertà di revoca, risiederebbe nella centralità del volere del disponente negli atti a causa di morte e deriverebbe dall'insieme delle regole che disciplinano il testamento, affinché la “volontà del de cuius sia l'unica cui avere riguardo per la disciplina del fenomeno successorio”47.
La scelta del legislatore sarebbe, dunque, quella di imporre che ogni negozio che regoli la delazione a causa di morte, privilegi, in sede di interpretazione ed esecuzione dell'atto, la volontà espressa dal disponente, rendendo per contro irrilevante sia la volontà espressa dai beneficiari, sia la tutela dell'affidamento dei terzi.
Invero, in dottrina, rivolgendo uno sguardo più ampio al sistema successorio, è stata ipotizzata una ratio più realistica nell'esigenza di assicurare al disponente la titolarità e disponibilità dei beni fino alla morte, consentendo il permanere della garanzia patrimoniale generica a tutela dell'affidamento dei creditori o delle aspettative dei congiunti.
Allo stesso modo, con riguardo alle aspettative dei beneficiari, queste troverebbero ragion d'essere laddove siano riconosciuti diritti di mantenimento o alimentari ai prossimi
46 FORMICHELLI T., Riflessioni sulla qualificazione del contratto di attribuzione dopo la morte, in Quadrimestre, 1993, p. 478 ss..
47 Così XXXXXXXXX, Il divieto dei patti successori, cit., p. 44, il quale osserva che “negandosi la possibilità di ricorrere a strumenti negoziali nei quali anche soggetti diversi dal de cuius assumano una posizione giuridicamente protetta, si è (…) creato il presupposto per poter sempre indagare senza limiti sulla esistenza di false rappresentazioni della realtà che abbiano perturbato il procedimento di formazione della volontà del disponente, così potendosi attribuire alle vere istanze di quest'ultimo una rilevanza piena, che prescinda da ogni riguardo alla buona fede dei terzi soggetti (…). Col bandire l'istituzione contrattuale si è anche escluso che, su colui che abbia disposto a causa di morte, possa incombere l'onere di portare a conoscenza del beneficiario l'eventuale revoca della disposizione”; XXXXXXXX, Il divieto del patto successorio istitutivo nella pratica negoziale, cit., p. 1417.
48 Così XXXXXXX, Diritto Successorio, Temi e problemi, cit., p. 144, la quale osserva che “la tutela delle ragioni dei creditori, in ossequio al principio della garanzia patrimoniale generica, non potrebbe costituire una ragione giustificatrice del divieto dei patti rinunciativi o dispositivi, dal momento che – in considerazione della sua eventualità – si tradurrebbe in un limite ingiustificato alla libertà di disporre”.
I patti dispositivi e rinunciativi, poiché intervengono tra i successibili e poiché con essi non si dispone della propria successione, non limitano la libertà del testatore50 e, per tal motivo, altra dottrina ritiene che la ragione del divieto debba essere ricercata altrove. Ciò diversamente dai sostenitori di una ratio unitaria del divieto che, anche in detti casi, sarebbe rappresentata dalla libertà di testare e di disporre fino alla morte, trattandosi comunque di patti strumentali all'esigenza di evitare che il disponente, consapevole dell'atto dispositivo o rinunciativo dell'ereditando, possa essere indotto ad adeguare il contenuto del testamento.
Tradizionalmente, quindi, viene ravvisata nell'esigenza di tutelare soggetti inesperti e prodighi dal rischio di dilapidazione affrettata di un patrimonio di cui ignorano la reale consistenza e che prevedibilmente riceveranno, evitando il loro futuro pentimento, il tutto nell'ottica di un esigenza di ordine pubblico a tutela dello stesso disponente51 ed evitando così che si finisca col disporre di beni altrui o futuri al di fuori dei casi consentiti per legge 52 e, specie in quest'ultimo caso, parallelamente al disposto in tema di donazione ex art. 771 c.c..
A tal proposito, essendo prevista nel nostro ordinamento l'invalidità della donazione di beni futuri, mentre è dettata una disciplina specifica per la vendita di cosa futura, parte della dottrina ritiene che il rischio di prodigalità possa costituire una ragione giustificativa del divieto con riguardo agli atti dispositivi a titolo gratuito – comunque vietati ex art. 771 c.c. – e ai patti rinunciativi, ma non per i negozi a titolo oneroso53. Altra dottrina, invece, data la validità di contratti onerosi aventi oggetto beni futuri, non trovando comprensibile la scelta di tutelare dal rischio di prodigalità solo in occasione di atti dispositivi a titolo oneroso di beni che dovessero pervenire da una successione futura54, ritiene che la ratio sia volta a proteggere
49 XXXXXXX, Diritto Successorio, Temi e problemi, cit., p. 144, osserva infatti che “risulterebbe quanto meno contraddittoria se riferita ai patti dispositivi e rinunciativi, dal momento che il divieto colpirebbe i beneficiari della tutela, negando loro proprio la realizzazione (pur anticipata) della aspettativa”. Secondo l'Autrice, quindi, “il divieto in esame, sia nella sua forma più generale che nelle sue speciali articolazioni, reca un tributo unicamente alla libertà ed alle esigenze del titolare della ricchezza, il quale trae vantaggio dal permanere di questa nella propria sfera giuridica fino all'ultimo istante della vita, sia perché di essa può liberamente disporre per sopperire a eventuali esigenze di vita o di assistenza, sia perché può, altrettanto liberamente, in ogni momento mutare parere in ordine al futuro assetto successorio”.
50 E' pacifico in dottrina e giurisprudenza che mentre i patti successori istitutivi siano strutturalmente atti inter vivos (trattandosi di contratti) ma funzionalmente mortis causa (poiché si dispone della propria successione), i patti dispositivi e rinunciativi siano da considerarsi strutturalmente e funzionalmente come atti inter vivos, proprio perché hanno ad oggetto diritti successori futuri, non ancora entrati nel patrimonio del disponente, quindi, non direttamente incidenti sul fenomeno successorio, non dando luogo ad una successione mortis causa, per tutti DE XXXXXX, voce Patto successorio, cit., p. 533.
51 XXXXX, Delle Successioni, cit., p. 93 ss.; DE XXXXXX, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, p. 3, 71.
52 DE XXXXXX, I xxxxx sulle successioni future, cit., p. 85, aggiunge che nei patti dispositivi e rinunciativi la deducibilità, come oggetto del negozio, di beni futuri, determinerebbe un vizio sull'oggetto, causandone l'illiceità, diversamente dai patti dispositivi in cui sarebbe riscontrabile una illiceità della causa.
53 XXXXXXXXX, Il divieto dei patti successori, cit., p. 46 ss..
54 XXXXXXX, Il divieto dei patti successori e le alternative convenzionali al testamento, cit., p. 91 ss..; EAD, Il divieto dei patti successori e le alternative convenzionali al testamento. Riflessioni sul dibattito più recente, all'indirizzo xxxx://xxx.xxx.xxxxx.xx/xxxxxxx/Xxxxxx/Xxxxxxx/Xxxxxxx-0000/xxxxxxx.xxxx, 1997.
Nel divieto dei patti successori non rientrano solamente le contrattazioni dirette, ovvero quelle attraverso le quali si dispone immediatamente della propria successione o si contratta in relazione a quella ancora da aprirsi, bensì anche quelle di natura obbligatoria56 e altresì quelle indirette, in cui il patto successorio rappresenti una attribuzione indiretta a causa di morte.
Sulla base di tali principi, anche in tempi più recenti, la giurisprudenza ha cercato di puntare l'attenzione, analizzando tra le alternative che, direttamente o indirettamente, possano contrastare con il divieto, su quelle che sono le vere e proprie intenzioni delle parti, giungendo a ritenere che configurino un patto successorio, sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede rivestita nella forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta
<<tali da far sorgere un vinculum iuris di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento>>57.
55 CARIOTA FERRARA L., Le successioni per causa di morte, Parte generale, Napoli, 1986, p. 45; XXXXXX, Diritto Civile, II, La famiglia e le successioni, cit., p. 556 ss.; XXXXX, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, cit., p. 1216 ss., xxxxxxx che, ad una attenta riflessione, tali ragioni siano alquanto improbabili ed ingiustificate “in quanto il nostro ordinamento riconosce validità a numerose figure in cui alla morte di un soggetto sono riconnessi vantaggi economici per un altro (rendita vitalizia, donazione con patto di reversibilità, costituzione di usufrutto vitalizio, assicurazione sulla vita)”.
56 La dottrina afferma l'invalidità del testamento redatto in esecuzione di un patto successorio di natura obbligatoria, caratterizzato non dalla attribuzione a causa di morte ma dalla sola obbligazione di farla, poiché, in tal caso, mancherebbe la spontaneità della volontà del testamento, così CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, cit, p. 50; BIANCA, Diritto Civile, II, La famiglia e le successioni, cit., p. 556 ss.; XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 44.
57 Cass. Civ., sez. II, 9 maggio 2000, n. 5870, cit., p. 227, statuisce che “ricorre un patto successorio istitutivo, nullo ai sensi dell'art. 458 c.c., nella convenzione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta che costituisca l'attuazione dell'intento delle parti, rispettivamente, di provvedere in tutto o in parte alla propria successione e di acquistare un diritto sui beni della futura eredità a titolo di erede o legatario. Tale accordo deve essere inteso a far sorgere un vero e proprio vinculum juris di cui la successiva disposizione costituisce l'adempimento. Conseguentemente, deve essere esclusa la sussistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione e la persona della cui eredità trattasi abbia solo manifestato verbalmente all'interessato a terzi l'intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela legislativa”; più recentemente anche Xxxx. Civ., 19 novembre 2009, n. 24450, in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2010, vol. 39, fasc. 3, parte 1, p. 1149, con nota di MUSTO A., Il profilo identitario degli strumenti alternativi al testamento: l'unità assiologica nella variabilità strutturale degli atti inter vivos con funzione successoria vietata, in Giust. civ. 2010, 9, p. 1895, con nota di VIDIRI G., I difficili rapporti tra patti di famiglia e xxxxx successori; in precedenza, Xxxx. Civ., 21 aprile 1979, n. 2228, cit., p. 464. Recentemente, Cass. Civ., Sez. II, 27 novembre 2015, n. 24291, in Diritto & Giustizia, 2015, ha osservato che “per la configurabilità di un patto successorio c.d. istitutivo è sufficiente una convenzione con la quale alternativamente si istituisce un erede o un legato ovvero ci si impegna a farlo in un successivo testamento, cosicché nella prima ipotesi la convenzione stessa, in quanto avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta, è idonea ad integrare un patto successorio (ordinariamente vietato), senza alcuna necessità di ulteriori atti dispositivi” e statuendo in tema di patti rinunciativi che “ai fini della configurazione della violazione del divieto di
Il principale contributo per l'individuazione di un patto successorio vietato prende le mosse dalla giurisprudenza di legittimità che, con la sentenza del 22 luglio 1971, n. 2404 59, risulta essere il massimo modello di completezza nella definizione e indicazione degli indici rivelatori di un patto vietato e quindi nullo.
La Suprema Corte ha precisamente affermato che “per stabilire se una determinata pattuizione ricade sotto la comminatoria di nullità di cui all’articolo 458 occorre accertare:
1) se il vinculum iuris con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti successivi ad una successione non ancora aperta;
2) se le cose o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano, comunque, essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte alla propria successione, privandosi, così dello ius poenitendi; 4) se l’acquirente abbia contratto o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento dal promittente al promissario avrebbe dovuto aver luogo mortis causa e cioè a titolo di eredità o di legato”.
Il caso posto all'attenzione della Corte riguardava la vendita di un immobile dal padre ad uno dei figli, con successiva assegnazione del denaro ricavato a tutti i figli, compreso il figlio acquirente, ciò a tacitazione dei diritti sulla sua futura eredità, giungendo ad escludere il ricorrere di un patto successorio, nell'ottica di una indagine che il giudicante deve fare sulla volontà delle parti. In particolare, il fatto che la compravendita e la successiva ripartizione del
58 L'operatività del divieto, sebbene abbia avuto attuazioni oscillanti, sembra aver iniziato a stabilizzarsi e procedere sempre più verso la sua evanescenza ad opera della sentenza della Cass. Civ., 18 dicembre 1995, n. 12906, in Giur. It., 1996, I, 1, p. 1356, la quale sembra aver definito il divieto dei patti successori come un limite eccezionale all'autonomia privata, dunque, non suscettibile di applicazione analogica e non tanto un principio di ordine generale, negando così la sua incidenza sull'elemento causale del negozio e individuando il patto vietato mediante una indagine strutturale e non funzionale. Più recentemente, Cass. Civ. Sez. II, 11 novembre 2008, n. 26946, in Riv. Not., 2010, 1, p. 226, con nota di XXXXXXXXX X., Xxxxx successorio e convenzione tra donatari legittimari e Xxxx. Civ., Sez. II, 3 marzo 2009, n. 5119, in Notariato, 2009, 6, p. 622, con nota di LIGOZZI M.T., Xxxxx presunta erosione del divieto dei patti successori. Per un'ampia casistica in ordine all'interpretazione restrittiva o permissiva del divieto, si rimanda a XXXXXXXXX C. e XXXXXXXXX F., Il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv. Dir. Priv., 1997, I, note 1 e 3, p. 74 ss.; PALAZZO, Testamento e istituti alternativi nel laboratorio giurisprudenziale, in Rivista Critica del Diritto Privato, 1983, p. 435 ss.; XXXXXXX, Diritto successorio. Xxxx e problemi, cit., p. 145 ss.; PENE VIDARI F., Xxxxx successori e contratti post mortem, in Riv.
Dir. Civ., 2001, II, p. 245 ss.; XXXXXXXXX A., La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, diretta da Xxxxxxx, II, Delle successioni, tomo I, Art. 456‐586, Milano, 2009, sub. art. 458, p. 31 ss..
59 In Giust. Civ., 1971, I, p. 1536, più recentemente Cass. Civ., 16 febbraio 1995, n. 1683, in Vita Notarile, 1996, p.
260, che riprende pedissequamente il precedente della corte di legittimità.
denaro a tutti i figli, fossero avvenuti a breve distanza di tempo, seppure nel secondo atto si indicasse espressamente la provenienza della somma, non era sufficiente a mostrare una interdipendenza tra i due negozi che dovrebbe in realtà risalire “all'atteggiamento e agli intenti dei soggetti nei negozi, con riguardo alla loro comune volontà, che la sorte dell'uno debba essere, quanto alla volontà ed efficacia, subordinata alla sorte dell'altro”.
Xxxxxx, l'importanza di questa sentenza, oltre a fornire una precisa definizione del patto successorio, non può che essere rilevata in ordine alla volontà della Corte di andare oltre gli ostacoli posti dal divieto, qualora siano ravvisabili concrete esigenze meritevoli di tutela.
Nel caso di specie, queste sono ravvisate nell'intenzione di un padre agricoltore di far sì che il figlio più capace potesse continuare la coltivazione del suo terreno pur senza trascurare i bisogni degli altri figli, soddisfatti con somme di denaro. I giudici della Corte, nonostante l'evidenza che l'operazione fosse stata pianificata al fine di assicurare la destinazione di quel determinato bene, non ravvisavano una violazione del divieto, riconoscendo la vera esigenza del padre disponente, con il consenso degli altri figli, comunque soddisfatti con liquidità, di garantire integrità e continuità nella gestione di quel preciso bene. Ne emerge una interpretazione restrittiva del patto successorio, la quale dà vita a un orientamento giurisprudenziale che mirerà alla salvaguardia di interessi sottesi e meritevoli di tutela.
Queste esigenze si riscontrano in numerose fattispecie poste all'esame della giurisprudenza di legittimità: alcune di esse sono ricadute nel divieto dei patti successori, altre invece ne sono state escluse. Il più delle volte, tuttavia, si individua tra le righe l'implicito intento dei giudicanti di salvare gli effetti dell'operazione negoziale posta in essere alla luce della meritevolezza degli interessi comunque perseguiti, previa verifica della validità dello strumento adottato per soddisfare un bisogno immediato e non rinviabile post mortem, nonché nel tentativo di suggerire al legislatore di ripensare alle interrelazioni tra interessi attuali e futuri dei legittimari.
Nelle applicazioni giurisprudenziali, la meritevolezza delle istanze giustifica la limitazione della portata del divieto ma non può sopperire alle esigenze di sistemazione in vita del patrimonio tra gli eredi prescelti, considerata la perdurante attualità, nel nostro ordinamento, dei principi di libertà testamentaria e di revocabilità delle disposizioni di ultima volontà.
Segue: c) la donazione: brevi cenni sulle implicazioni pratiche.
Non sempre l'interesse del de cuius è quello di conservare il controllo del suo patrimonio fino al suo ultimo istante di vita. In qualche caso, può presentarsi l'esigenza di assegnare parte di esso con effetto immediato e in modo stabile, anticipando così quanto si realizzerebbe all'apertura della successione.
In tali casi, la donazione può rappresentare lo strumento idoneo a perseguire dette finalità sia nel caso di donazione a uno solo dei legittimari, che nel caso di liberalità di pari valore a favore di tutti gli aventi diritto. Si pensi al genitore che intenda donare ai propri figli delle abitazioni acquistate o costruite con sacrifici durante la vita, magari lasciando un usufrutto vitalizio al coniuge superstite. Tuttavia, la donazione che dovrebbe essere sorretta dall'animus donandi spesso trova la sua ragion d'essere in altre finalità60: oltre a quella prima indicata, la ragione giustificatrice potrebbe rinvenirsi nell'esigenza di sottrarsi alla pressione fiscale, nel volersi disfare nell'immediato di seconde case, nonché nel forte vantaggio economico derivante dalla scelta dello strumento liberale, rispetto alla vendita, ai fini del trasferimento della ricchezza. Eppure, l'economicità del mezzo, spesso non è sintomo di sicurezza e, il più delle volte, lo strumento donatizio si presenta in realtà come una insidia alla libera circolazione dei beni. E' noto, infatti, che la donazione sia una forma di anticipazione della successione a causa di morte in cui tuttavia il momento definitivo di regolazione degli interessi in gioco può giungere solo al momento della morte del disponente.
Essendo la tutela dei legittimari assicurata dall'azione di riduzione, rimedio caratterizzato da una retroattività di tipo reale che consente di travolgere persino i diritti degli aventi causa dal beneficiario di una disposizione lesiva, sia essa testamentaria o una donazione, è evidente che la provenienza donativa, per l'immediata trasmissione del bene, incida in maniera consistente sulla circolazione immobiliare, specie per le difficoltà di ordine pratico cui si va in contro in caso di accesso al credito bancario e di successiva alienazione di quanto ricevuto. Infatti, la retroattività reale comporta che il bene donato debba essere restituito libero da ogni peso o ipoteca di cui sia stato gravato nel frattempo61, motivo per il quale è semplice comprendere la scarsa propensione degli istituti di credito a concedere
60 In proposito, XXXXXXX, La donazione come alternativa al testamento: prospettive di riforma, cit., p. 113, osserva che “se si riconosce che ognuno si induce a donare non solo per un generico spirito di liberalità, richiesto dalla legge, ma per una determinata ragione, che non si identifica con la volontà di fare una attribuzione gratuita o con lo spirito di liberalità comunque inteso, non sia difficile ammettere che la volontà di regolare la futura successione possa rilevare nella donazione come semplice motivo”, pertanto, qualora tale volontà sia l'unica che abbia determinato il donante a perfezionare il contratto, ai sensi dell'art. 788 c.c., ove risulti dall'atto, questo può essere affetto da nullità per illiceità del motivo. Secondo XXXXXXX M., La donazione, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, diretto da X. Xxxxxxxx, 0, Xxxxxx, 2001, p. 1055, tale pericolo non è affatto remoto se si considera che l'espressione usata dall'art. 788 c.c., per cui il motivo illecito deve “risultare dall'atto”, non deve essere interpretato letteralmente, per cui è possibile che emerga anche attraverso l'interpretazione della sola volontà del donante.
61 Salvo ovviamente il disposto di cui al n. 8 dell'articolo 2652 c.c., per cui la sentenza che accoglie la domanda giudiziale di riduzione non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in base ad un atto trascritto o iscritto prima della trascrizione della domanda di riduzione, se quest'ultima è stata eseguita trascorsi dieci anni dall'apertura della successione.
finanziamenti quando nella storia ventennale del bene vi sia una provenienza donativa e magari non sia ancora ancora decorso il decennale periodo di prescrizione dalla morte del donante per l'eventuale esercizio dell'azione di riduzione da parte dei legittimari lesi.
In entrambe le ipotesi, infatti, le ragioni di tale diffidenza sono legate all’instabilità che caratterizza la donazione, ovvero al rischio cui va incontro il beneficiario della donazione proprio a causa delle conseguenze dell’azione di riduzione, disincentivando l’accesso al credito e scoraggiando a monte ogni intento liberale da parte del donante.
Il problema, di non facile soluzione, deriva dal fatto che la circolazione di immobili donati si trova a far fronte ad interessi contrapposti, quelli scaturenti dai principi della successione necessaria da un lato e la certezza dei rapporti giuridici e la stabilità dell’acquisto dall'altro. Infatti, alla luce dell'impianto normativo vigente, attesa la rilevanza della tutela dei legittimari, come poc'anzi ricordato, nel conflitto tra il legittimario agente in riduzione e l’avente causa dal beneficiario della donazione lesiva, vi sarà sempre la supremazia del primo, con soccombenza delle esigenze circolatorie.
Stante l'impossibilità di rinunciare all'azione di riduzione finché è in vita il donante (art. 557, comma 2, c.c.), è qui che si palesa la prassi negoziale nella ricerca di congegni atti ad aggirare l'ostacolo normativo e limitare il rischio dell’instabilità degli acquisti di provenienza donativa, ricorrendo per esempio a vendite simulate o allo scioglimento delle donazioni con successive vendite dei beni da parte dell'originario donante.
Stando così le cose, al fine di incentivare il ricorso alla donazione e limitare i suoi inconvenienti, il legislatore è intervenuto dapprima con la riforma delle imposte sulle successioni e donazioni63 eliminando l'imposta di successione e, successivamente, novellando gli artt. 561 e 563 c.c.64, con un intervento che tuttavia ha rimediato solo parzialmente
62 L'art. 536, comma 3, c.c., si ricorda, consente la facoltà al solo terzo acquirente e non anche agli eredi, di liberarsi dall'obbligo di restituire in natura il bene donato mediante pagamento in denaro dell'equivalente. Per un approfondimento sulle tematiche si rinvia a MAGLIULO, L'acquisto dal donatario tra rischi ed esigenze di tutela, in Notariato, 2002, I, p. 93 ss.; XXXXX X., Tutela dei legittimari e circolazione dei beni, in Acquisti in comunione legale e circolazione dei beni di provenienza donativa, in Notariato, Quaderni, Milano, 2011, p. 103 ss..
63 Legge 18 ottobre 2001, n. 383/2001, nota come “Tremonti-bis” che conclude il processo di soppressione dell’imposta di successione e donazione avviato con la Legge n. 342/2000.
64 Ad opera della legge 14 maggio 2005, n. 80, successivamente integrata con la legge 28 dicembre 2005, n. 263, con il “fine di agevolare la circolazione dei beni immobili già oggetto di atti di disposizione a titolo gratuito”. Per una critica alla riforma si rimanda genericamente a PALAZZO, Vicende delle provenienze donative dopo la legge n. 80/2005, in Vita not., 2005, 2, p. 762 ss.; DELLE MONACHE, Tutela dei legittimari e limiti nuovi all’opponibilità della riduzione nei confronti degli aventi causa dal donatario, in Riv. Not., 2006, p. 305 ss.; CAPRIOLI R., La circolazione dei beni immobili donati nel primo ventennio dalla trascrizione della donazione, in Contratto e
all'esigenza di ridurre gli ostacoli alla circolazione dei beni, stabilendo che i pesi e le ipoteche gravanti sui beni, nonché le alienazioni in favore i terzi, resteranno efficaci – quindi opponibili al legittimario leso - qualora sia decorso un ventennio dalla trascrizione della donazione, termine che può tuttavia essere sospeso ove si trascriva una domanda di opposizione alla donazione, ai sensi dell'art. 563, comma 4, c.c.65. Tuttavia, qualora entro dieci anni dalla apertura della successione venga domandata la riduzione, resta salvo l'obbligo per il donatario di compensare in denaro i legittimari, in ragione del conseguente minore valore dei beni, introducendo così un limite temporale all'efficacia retroattiva reale dell'azione di riduzione. Ciò nel tentativo di bilanciare l'esigenza di certezza dell'acquisto con le esigenze di tutela dl legittimario. Sulla base delle nuove regole, dunque, un acquisto per donazione si renderà sicuro sia per il legittimario che per i terzi se sono decorsi vent'anni dalla stessa senza che vi sia stata opposizione o qualora non si agisca in riduzione entro dieci anni dall'apertura della successione.
Il vigente sistema normativo, nonostante la novella, non sembra ancora in grado di garantire in toto la stabilità di tali acquisti a causa dell'impenetrabile tutela privilegiata dei prossimi congiunti garantita sempre dai principi che sorreggono l'intero sistema successorio, per cui, anche in questo campo, ogni tentativo posto in essere dagli strumenti contrattuali di porre il terzo acquirente al riparo dalle pretese dei legittimari finirebbe con il sottoporsi al vaglio dei principi della successione necessaria a tutela della famiglia.
4. La ricerca di alternative tra prassi negoziale e interventi normativi.
Se nel nostro ordinamento il testamento è l'unica fonte di devoluzione mortis causa, è naturale che si cerchino soluzioni alternative in strutture contrattuali note che vanno ad
impresa, 2008, p. 1079 ss.; XXXXXXXXX V., L’inutile riforma degli artt. 561 e 563 c.c., in Corriere giuridico, 2005, p. 1174 ss.; XXXXXXX, cit., p. 114 ss..
65 Opposizione che perde effetto se non viene rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione. Il diritto dell'opponente è tuttavia rinunciabile ma la rinuncia ha ad oggetto la sola opposizione e non anche il termine ventennale. Infatti, la rinuncia ha come effetto che il legittimario accetti “il rischio di perdere le caratteristiche di realità proprie dell'azione di riduzione, qualora, trascorso il termine ventennale stabilito dalla legge, il donante sia ancora in vita”, così TORRONI A., La reintegrazione della quota riservata ai legittimari nell’impianto del codice civile, in Giurisprudenza Italiana, vol. 164, Agosto-Settembre 2012, p. 1963. L'Autore rileva, inoltre, come “il legittimario che rinuncia a proporre opposizione alla donazione, perda, decorso il termine ventennale, la legittimazione alla restituzione. E' la legge stessa che ha ritenuto compatibile con i principi generali del diritto successorio che il legittimario accetti di degradare la sua posizione (…). La circostanza che il legittimario accetti tale modifica della sua forma di protezione in via immediata e non solo differita di un ventennio sembra non essere ostacolata da principi successori inderogabili” ciò in quanto, sarebbe la nuova legge ad ammettere “un'anticipazione di alcuni effetti tipicamente successori ad un'epoca precedente all'evento morte. L'art. 557 ha subito una riduzione della sua portata originaria da parte del legislatore stesso (...). Il legittimario conserverà, nonostante la rinuncia e nonostante il decorso del ventennio, tanto il diritto di agire in riduzione verso quel donatario quanto il diritto di recuperare, mediante azione di restituzione, il cespite che sia ancora nella titolarità del donatario. Il legittimario conserverà, inoltre, qualora il bene fosse stato alienato, il diritto ad escutere il patrimonio del donatario, al fine di ottenere il controvalore del cespite. Ciò che invece il legittimario andrà a perdere è il diritto di agire, in caso di incapienza del patrimonio del donatario, nei confronti del terzo avente causa”.
inserirsi in ciò che può essere considerata una via di mezzo tra un atto inter vivos e uno mortis causa. Come è stato infatti sapientemente osservato, l'ordinamento non è fatto solo di norme scritte, bensì anche dal “movimento che scorre sotto la crosta delle formule legislative, nutrendosi delle interpretazioni/applicazioni giudiziali, nonché delle prassi di autonomia privata”66.
L'insensibilità mostrata per lungo tempo dall'ordinamento alla parentela naturale, ai legami di fatto, ai nuovi processi economici in relazione alla qualità e bisogni dei singoli nella vicenda successoria, hanno portato necessariamente ad una caduta di interesse del fenomeno successorio e ad una conseguente ricerca di strumenti inter vivos che consentissero di superare la staticità e vetustà del sistema, sicuramente oggi percepito come troppo sacrificante, strumenti che, tuttavia, hanno dovuto da sempre confrontarsi con il divieto dei patti successori e con i limiti alla circolazione dei beni causati dalla tutela della legittima e dagli atti di provenienza donativa.
L'avvertita svalutazione del sistema successorio ha trovato, quindi, da un lato, una via di uscita attraverso il placet della giurisprudenza che, come evidenziato, più attenta alle esigenze dei singoli nelle fattispecie concrete, interpreta restrittivamente i limiti posti dal legislatore cercando di mantenere il “diritto vivente” cercando di portare così ad una lenta evoluzione dell'assetto successorio con una “limatura” del divieto dei patti successori.
Dall'altro lato, la dottrina cerca di valutare come più o meno attendibili i mezzi che via via si affacciano nel sistema contrattuale ad opera dell'autonomia privata per eludere i limiti del sistema successorio, evitando ostacoli alla circolazione della ricchezza o prevenendo successive situazioni litigiose.
Non è detto che si ricorra a scelte alternative in mala fede o in pregiudizio di un congiunto. Le motivazioni che possono spingere a fare determinate scelte possono essere le più varie, più o meno condivisibili, dipendenti da tanti e diversi fattori, spesso anche di natura personale, per i quali, oltre agli aspetti strettamente giuridici, occorrerebbe chiedersi fino a che punto è giusto indagare o giudicare. Non manca, tuttavia, chi riconosca nel ricorso a questi strumenti tipici anche un potenziale utilizzo con intento fraudolento, rilevando come l'erosione del divieto di patti successori, sebbene opportuna rispetto al passato, tuttavia, resti “affidata a valutazioni in fin dei conti discrezionali del giudice, considerando che l'autonomia privata ben sa evitare di dar vita ad operazioni palesemente contrarie al divieto”, suggerendo così un intervento più incisivo al fine di non continuare a restare in balìa della libera interpretazione giurisprudenziale67.
66 Così XXXXX X., Per una riforma del divieto dei patti successori, in Rivista di diritto privato, 1997, I, p. 6.
67 Specie se “in una materia così strettamente legata alla volontà, quale è quella successoria, l'indagine sul motivo comune potrebbe dunque condurre alla nullità del contratto, a prescindere dal fatto che esso sia tra vivi sotto modalità di morte e se tale modalità fosse collegata all'operare di un vantaggio patrimoniale”, così XXXXXXX,
Cosa fare, dunque, quando un padre di famiglia intenda ripartire il suo modesto patrimonio, magari tra più agguerriti figli, laddove senta il dovere morale di avvantaggiarne uno rispetto agli altri? E' superfluo evidenziare che finché sarà in vita il disponente tutto tacerà, ma al momento della dipartita, il carattere umano si insinua e quelle volontà potranno essere successivo oggetto di contestazione davanti ai tribunali.
Si potrebbe suggerire, per esempio, il ricorso ad un contratto di mantenimento. E’ chiaro che se l’intenzione del disponente è quella di beneficiare, in segno di gratitudine, una determinata persona, questo contratto potrebbe indirettamente rappresentare un mezzo con il quale destinare altresì un determinato bene. Si realizza un trasferimento inter vivos di un bene in cambio di assistenza morale. Non vi è dunque alcun pagamento di prezzo, obbligazione che giustamente si vuole evitare quando il trasferimento è sorretto, in ogni caso, seppure non direttamente, da un intento liberale o comunque da un interesse che non è certamente quello di lucro. Sebbene questo contratto eviti il passaggio di denaro tra genitori e figli e si renda meno esposto ai rischi derivanti da una donazione, tuttavia, anche questo contratto ha il suo punto debole. I legittimari possono invero impugnare il contratto qualora non vi sia corrispondenza tra quanto ricevuto dal beneficiario rispetto al valore dell'assistenza prestata. E’ evidente lo squilibrio che si genera qualora si trasferisca un appartamento e l'assistenza si riduca ad appena qualche anno. La classe notarile quindi sconsiglia il ricorso a questa tipologia contrattuale in presenza di persone gravemente malate o particolarmente anziane, attesa l'assenza di aleatorietà e l'alta possibilità di stipulare un contratto nullo.
Non è mancata la fantasia di chi ha fatto stipulare degli affitti perpetui dietro un presunto pagamento in denaro già quietanzato – dissimulando una donazione di usufrutto vita natural durante - soluzione che, al di là del fatto che un conto è concedere un bene in locazione e un conto è trasferire un diritto di proprietà, tuttavia, garantisce quantomeno il godimento a vita del bene, salvo il tentativo, ove ve ne siano i presupposti, di agire per provare l'intervenuta simulazione di una donazione.
L'ipotesi tuttavia più frequente è la vendita simulata. Se l'unico scopo di un genitore è quello di destinare un determinato bene privilegiando il figlio meritevole, nessun prezzo deve essere corrisposto in favore del genitore. Attese, tuttavia, le insidie note riguardo alla provenienza donativa, sia in termini di certezza dell'acquisto, sia di successiva circolazione del bene, anche nell'ottica di un eventuale finanziamento, la donazione resterà per lungo tempo incapace di assicurare stabilità all'acquisto e rappresenterà quindi un titolo che non mette nell'immediato il beneficiario in una botte di ferro.
Xxxxx successori: conferma di una erosione, cit., p. 239; XXXXXXXX X., voce Frode alla legge, in Enc. Dir., XVIII, Milano, 1969, p. 73 e 85, ritiene che il ricorso a congegni negoziali tipizzati non costituisce ostacolo alla realizzazione della fraus legis, potendo essere perseguita se l'uso di detti strumenti “sia operata procedendosi (…) alla “diversione” dello strumento rispetto al fine tipico in relazione al quale è stato strutturato normativamente”.
Soprattutto in data anteriore alla riforma Bersani68 si assisteva ad atti di compravendita tra genitori e figli ove risultava un prezzo già interamente pagato. Non esistendo l’obbligo di rintracciabilità della somma corrisposta appariva particolarmente difficile dimostrare la presenza di una eventuale donazione dissimulata e così agli occhi dei terzi appariva una compravendita, un titolo apprezzato da banche e difficilmente attaccabile da eventuali legittimari. Oggi, tuttavia, per effetto delle nuove normative in tema di antiriciclaggio e di tracciabilità delle somme, i negozi simulatori sul prezzo sono praticamente impercorribili e, quindi, quali altri strumenti possono permettere di raggiungere determinati scopi?
Non bisogna dimenticare, inoltre, che un atto di donazione, stante l’animus che lo sorregge, non potrà dare luogo all'esercizio di uno jus poenitendi. E’ noto che la revoca di una donazione possa avvenire solo per sopravvenienza di figli o per ingratitudine, ma è altresì noto che spesso le donazioni vengano fatte da genitori ormai anziani che sicuramente non hanno intenzione di avere ulteriori figli e allo stesso tempo non è semplice riuscire a dimostrare l'eventuale ingratitudine dei donatari, attesa comunque la severità delle norme in proposito.
Non sono infrequenti i casi di genitori che pentiti del gesto fatto, stante il cambiamento di atteggiamento da parte dei beneficiati, vorrebbero riappropriarsi del loro bene ma non possono farlo. Ecco, dunque, in questi casi l'esigenza di trovare un sistema che consenta sì di destinare il bene ma di mantenerne in ogni caso la massima disponibilità.
Si pensi anche ai trasferimenti immobiliari che avvengono in sede di separazione o divorzio in favore di coniuge o figli. La causa di questi trasferimenti non è contrassegnata dallo spirito di liberalità al pari delle donazioni, ma vi è una controprestazione rispetto al trasferimento che emerge dall'adempimento all'obbligo di mantenimento nella forma una tantum69. Ebbene, non essendo giuridicamente classificabili come donazioni, in caso di nuove nozze e di nuova famiglia, i trasferimenti potranno essere in qualche modo oggetto di impugnativa da parte dei nuovi legittimari?
Gli esempi di situazioni che non soddisfano compiutamente le attuali esigenze familiari potrebbero continuare all'infinito. Ciò che occorre è uno strumento che consenta di trasmettere la ricchezza con sicurezza ma che non si identifichi con il testamento, che ammetta la possibilità di ripensamento con permanenza dei beni nella sfera giuridica del titolare sino all'apertura della successione, momento in cui avverrà un pianificato e preciso passaggio agli eventi diritto. Forse si chiede troppo, o forse no, in ogni caso ciò è segno di una società che cambia e manifesta nuove paure, diversi interessi ed esige tutele più forti.
68 D.L. n. 223/2006 convertito con modificazioni dalla Legge 4 agosto 2006 n. 248.
69 Si legga in tal senso, Trib. Cagliari, 19 ottobre 2004, pres. Pisotti, est. Cabitza, reperibile per esteso su xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx.
Se il compito del giurista è quello di guardare dietro i dogmi del diritto e vedere quale sia l'evoluzione sociale ed economica della materia regolata, valutandone l'idoneità e la coerenza rispetto ai conflitti e alle esigenze della realtà, non potrà che rilevarsi la sempre più manifesta esigenza dei consociati di anticipare con atti tra vivi la regolamentazione della successione, senza dover attendere la morte del disponente.
Da qui la sempre più sentita ricerca di strumenti contrattuali alternativi in grado di soddisfare quelle esigenze non concretamente realizzabili attraverso il negozio testamentario tra i binari degli atti inter vivos validi e gli atti strutturalmente inter vivos ma con funzione successoria vietata70. Come è stato puntualmente osservato, il fenomeno della trasmissione mortis causa della ricchezza rimane ancorato alle suggestioni create dal richiamo alla garanzia della proprietà e alla tutela della famiglia, trascurando ciò che ormai è una costatazione, ovvero che si è in presenza di una marginalizzazione della vicenda ereditaria così come voluta dal legislatore71.
I rilievi della dottrina, sulla scorta dei riflessi negativi imposti dai limiti alla circolazione della ricchezza, hanno permesso di trovare alternative per lo più nei contratti con effetti dopo la morte, tenendo ben presente quella che si considera essere l'opera di erosione del divieto dei patti successori ad opera della giurisprudenza. Sovente, infatti, sono state portate all'attenzione della corte di legittimità convenzioni in cui l'evento morte ha destato il problema di individuazione del confine tra validità ed invalidità di quanto stipulato. Spesso, l'opera della giurisprudenza è giunta a salvare le fattispecie riconducendo l'elemento morte a mero dato temporale e non causale del negozio, vietando così tutte quelle convenzioni che palesavano come unico scopo quello di disciplinare il regolamento successorio.
Nel sistema di civil law benché il precedente giudiziario non detti legge, il legislatore non può continuare ad escludere i sempre presenti e importanti contributi di dottrina e giurisprudenza che spingono verso l'adattamento del sistema alle evoluzioni della prassi, suggerendo in che termini sia auspicabile un intervento. Emerge, quindi, come l'interessamento all'ammissibilità di strumenti alternativi non costituisca una problematica solo
70 Secondo MUSTO, Il profilo identitario degli strumenti alternativi al testamento, cit., p. 1158, “l'annosa quaestio trae origine, in una connessione biunivoca, dall'impiego di tecniche alternative al testamento nella allocazione delle risorse patrimoniali del disponente e dalla natura “composita”, per così dire binaria, di atti strutturalmente inter vivos, ma funzionalmente mortis causa, i quali, pur nella diversità delle costruzioni di autonomia negoziale, risultano cedevoli innanzi alla scure del tralaticio divieto delle pattuizioni successorie”.
71 XXXXXXX X., Quid novi in tema di successioni mortis causa?, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1997, II, p. 13, osserva che sul tema le trattazioni giungono a una ripetitività che scoraggia il giurista e osserva altresì che “varrebbe richiamarsi all'attenzione, ormai prevalente, prestata dagli studiosi, ai c.d. strumenti alternativi di trasmissione della ricchezza, giacché tali strumenti, proprio perché alternativi, nulla hanno a che vedere con il sistema dell'eredità, tanto che è davvero curiosa l'ospitalità che, in quanto volta ad illustrare le possibili regolamentazioni riguardanti la trasmissione per atto tra vivi di beni che sarebbero destinati a far parte di un'eredità, dà conferma alla propensione, propria dei giorni nostri, alla condivisione di una concezione, per così dire larga e permissiva, della legalità, tale da non compiere alcun disfavore verso modelli, verso strategie perseguite come utili ad aggirare l'applicazione delle regole canoniche e vigenti, presentato nello stesso contesto volto ad illustrare tali regole”.
teorica e marginale della vita pratica derivante dalla fantasia degli operatori del diritto e dall'autonomia contrattuale.
Tra i mezzi di trasmissione della ricchezza familiare in grado di assumere una funzione alternativa al testamento e ritenuti non contrastanti con i patti successori ed in grado di aggirare i limiti dettati dalla tutela dei legittimari, sono stati individuati strumenti quali l'intestazione di beni al futuro erede, la cointestazione di titoli, depositi e conti correnti a firma disgiunta, tutti strumenti che nonostante soddisfino lo spirito di liberalità del disponente e diano una certa sicurezza e stabilità al beneficiario, tuttavia, differentemente dal testamento, comportano l'immediata dismissione del bene da parte del disponente, che perde così la possibilità di cambiare idea nel tempo. Anche la donazione conserva questa utilità, non per nulla è considerata una successione anticipata, anche se la sua possibilità di revoca, come si è detto, è alquanto limitata alle sole due ipotesi previste per legge.
Si sono apprezzate la donazione sotto condizione di morte (si moriar), o della premorienza (si praemoriar) del donante73, la donazione cum moriar, in cui la morte funge non da condizione ma da termine iniziale della attribuzione, trattandosi di schemi negoziali caratterizzati dall'efficacia post mortem, così ancora la donazione con riserva di usufrutto vita natural durante74, il mandato post mortem exequendum, ovvero quello concluso in vita dal de cuius e che il mandatario deve eseguire alla morte del mandante75, la rendita vitalizia, il patto di opzione da far valere dopo la morte del promittente, le clausole di consolidazione o di continuazione (per le società di persone) e le clausole di gradimento, di prelazione e di
72 In materia di successioni anomale contrattuali, tra i tanti contributi: XXXXXXXXX, Xxxxx successori: il sottile confine tra nullità e validità negoziale, in Notariato, 1995, p. 552 ss.; XXXXXXXX M., Xxxxxxx mortis causa o post mortem, in Giust. Civ., I, 1991, p. 956; DELLE MONACHE, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, cit., p. 58 ss.; IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, in Successioni e donazioni, a cura di Xxxxxx Xxxxxxxx, I, Padova, 1994, p. 54 ss; XXXXXXXX, Il divieto del patto successorio istitutivo nella pratica negoziale, cit., p. 1411 ss.; XXXXXXX, Il divieto di patti successori e le alternative convenzionali al testamento. Riflessioni sul dibattito più recente, cit.; PALAZZO, Testamento e istituti alternativi nel laboratorio giurisprudenziale, cit., p. 435 ss.; ID., Attribuzioni patrimoniali tra vivi e assetti successori per la trasmissione della ricchezza familiare, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, p. 17 ss.; XXXXXXX A., Contributo allo studio delle disposizioni testamentarie <<in forma indiretta>>, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, II, p. 919 ss..
73 Cass. Civ., 9 luglio 1976, n. 2619, in Mass. Giust. Civ., 1976, p. 1130; Cass. Civ., 16 giugno 1966, n. 1547, in
Giust. Civ., 1967, I, p. 1351.
74 Cass. Civ., 13 ottobre 1958, n. 3240, in Mass. Foro. It., 1958, p. 661, poiché l'acquisto della nuda proprietà è attuale ed immediato ed essendo successiva alla morte del donante solo l'immissione possesso.
75 Si veda Cass. Civ., 4 ottobre 1962, n. 2804, in Foro it., 1963, I, p. 49, che ha stabilito il criterio per differenziare il mandato post mortem nullo dal mandato post mortem exequendum valido, consistente nel verificare se “l'incarico abbia avuto ad oggetto il trasferimento di beni o cose dell'eredità. In tal caso il mandato, da qualificarsi post mortem, è nullo, mentre è valido quando si limita all'incombenza della consegna materiale dei beni o delle somme dopo la morte del mandante”.
opzione (per le società di capitali), con gli eredi del socio defunto. In tali strumenti, la morte del disponente rappresenta il momento di inizio di efficacia della attribuzione e, quindi, non la causa della stessa, ciò che consente di escludere il ricorrere del patto successorio e di garantire la sicurezza dell'attribuzione; ne resterà esclusa solo la possibilità di revoca per il disponente.
Compatibili con i patti successori risultano anche il contratto a favore di terzo con prestazioni da eseguirsi dopo la morte dello stipulante ex art. 1412 c.c.76, nonché, avvicinandoci a quello che è specifico oggetto di ricerca, il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo.
Sarebbe scorretto, a questo, punto non fare un breve richiamo a quelli che sono stati sino ad oggi gli sforzi del legislatore che, pressato da una così travolgente necessità di cambiamento, non è rimasto inerme. Sebbene abbia agito mediante singoli interventi di settore, senza affrontare il problema in linea generale ha introdotto una serie di strumenti che dovrebbero garantire uno spostamento della ricchezza in maniera più confacente alle richieste dei consociati, quali il patto di famiglia, il trust, gli atti di destinazione e la riforma in tema di opposizione alla donazione. A ciascuno di essi, pare opportuno fare un breve cenno, quantomeno al fine di raffrontarne l'utilità e il maggior vantaggio rispetto al contratto di assicurazione sulla vita.
Il trust viene considerato da parte della dottrina come uno strumento che offre una grande duttilità nella regolazione di particolari interessi, persino in materia successoria77, evitando così il ricorso a simulazioni e artificiosi mezzi che continuano a destare dubbi di
76 Infatti, il terzo acquista immediatamente il diritto per effetto della semplice conclusione di un contratto di cui non è parte e l'evento morte rappresenta unicamente il termine iniziale di esecuzione e non di efficacia dello stesso. Ne consegue, in questo caso, che qualora il terzo premorisse allo stipulante la prestazione dovrebbe essere eseguita a favore degli eredi del terzo in considerazione del fatto che il terzo era già divenuto creditore della prestazione sin dal momento della conclusione del contratto, così XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Xxxxxxxx generali del diritto civile, Napoli, 1980, p. 218; PADOVINI F., Fenomeno successorio e strumenti di programmazione patrimoniale alternativi al testamento, in Riv. Not., 2008, 5, p. 1007 ss.; XXXXXX, Diritto Civile, II, La famiglia e le successioni, cit., p. 564. Si è osservato altresì che l'art. 1412, comma 1, c.c., dispone che “se la prestazione deve essere fatta dal terzo dopo la morte dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest'ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca”, da cui discende che ove lo stipulante conservi il potere di revoca, l'attribuzione non potrà rivestire i caratteri di un patto successorio in quanto non viene limitata la facoltà di disporre liberamente per testamento, ma quando vi sia una rinuncia esplicita a detto potere in tale ipotesi può configurarsi un patto successorio istitutivo vietato, così XXXXX, Delle successioni, cit., p. 96. In giurisprudenza, in tema di contratto a favore di terzo e patto successorio, x. Xxxx. Civ., 17 agosto 1990, n. 8335, con nota di DI XXXXX X., Xxxxx successori, donazioni mortis causa e contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante, in Giustizia Civile, 1991, I, p. 1791, che riconosce l'esistenza di un patto successorio nullo e con nota di XXXXXXXX, Negozio mortis causa o post mortem?, cit., p. 956 che, difformemente, esclude il patto vietato riconducendo la fattispecie ad un contratto a favore di terzo con effetti post mortem valido; sulle ipotesi elaborate in dottrina e giurisprudenza si legga anche il contributo di XXXXXXX, Il divieto dei patti successori e le alternative convenzionali al testamento, cit. p. 94 ss..
77 La Convenzione de L’Aja, ratificata con legge 16 ottobre1989 n. 364, contiene alcuni espressi riferimenti alla materia successoria, in particolare l’art. 2, comma 1, afferma che il trust può essere istituito con atto mortis causa, l’art. 4 prevede che la Convenzione non si applichi a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti, l’art. 11, lett. c), prevede che il riconoscimento implica che i beni del trust non facciano parte della successione del trustee, l’art. 15 si interessa della devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima e infine l’art. 18 prevede la non applicazione delle disposizioni della Convenzione qualora queste si manifestino incompatibili con l’ordine pubblico.
validità. Tuttavia, sebbene da alcuni è considerato lo strumento più idoneo a rappresentare una alternativa al testamento, altri vi riscontrano delle criticità78, in ragione del vincolo di indisponibilità che comporta sui beni del disponente, per il contrasto con il principio di responsabilità e per la facile eludibilità di diritti di riserva79.
Relativamente agli atti di destinazione80, particolare apprezzamento suscita l'opponibilità ai terzi del vincolo che destina determinati beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, sebbene limitati a enti, pubblici o privati, o a persone fisiche con disabilità. E' evidente che le vicende successorie sorgeranno, in questo caso, solo quando cadranno in successione i beni sottoposti al vincolo e comporteranno l'indagine sulla natura di quest'ultimo per valutarne la compatibilità con la tutela dei legittimari e il divieto di cui all'art. 549 c.c. sulla apposizione di pesi e condizioni sulla legittima. Invero, il potere di autonomia negoziale ravvisabile nell'art. 2645 ter, che può portare ad un vincolo che duri anche tutta la durata della vita del beneficiario, rendendo così i beni non aggredibili da parte dei creditori per i debiti estranei alla prevista finalità di destinazione, non può tuttavia spingersi fino a derogare il divieto di pesi e condizioni sulla legittima. Ne deriverebbe il non gravare del vincolo di destinazione in danno del legittimario sulla parte dei beni che costituiscono la legittima.
La più significativa innovazione da parte del legislatore avviene nel 2006 con il patto di famiglia col preciso obiettivo di ridurre la portata del divieto dei patti successori e di venire incontro alle esigenze del pater familias di gestire il passaggio generazionale della propria impresa, trasferendo ad uno o più discendenti l'azienda o le quote di partecipazione, senza che vi possano essere contestazioni in sede di eredità, poiché le questioni inerenti i diritti successori vengono affrontate contestualmente81.
Attraverso il patto di famiglia, l'imprenditore anticipa con atto tra vivi, seppur solo relativamente all'impresa, gli aspetti attributivi di una successione legittima o testamentaria. Il patto si caratterizza per alcune deroghe al diritto successorio, in primo luogo per l'espressa esclusione dello stesso dai patti successori enunciata nell'incipit dell'art. 768 bis, ma anche il fatto che i partecipanti al patto debbano imputare alla legittima quanto ricevuto, anche se
78 Per una visione in generale, AA.VV., Moderni sviluppi dei Trusts, Atti del V° Congresso Nazionale dell’Associazione “Il trust in Italia”, Xxxxxx Xxxxxxx, 0000 – in Quaderni della Rivista Trusts e attività fiduciarie n. 11, 2011. Si rimanda altresì per un approfondimento alla dottrina specialistica PALAZZO, I trusts in materia successoria, in Vita Not., 1996, 2, p. 671; PICCOLI P., I trusts e figure affini in diritto civile. Analogie e differenze, in Vita Not., 1998, 2, p. 785, LUPOI M., Trusts e successioni mortis causa, in Jus, 1997, p. 279.
79 Così XXXXXXX, Diritto successorio. Temi e problemi, cit., p. 190. In tema di compatibilità del trust con il divieto dei patti successori per l'immediatezza del trasferimento e revocabilità delle disposizioni PENE VIDARI, Trust e divieto dei patti successori, in Riv. Dir. Civ., 2000, II, p. 851 ss.; ID., Xxxxx successori e contratti post mortem, cit., p. 245 ss..
80 Di cui all'art. 2645 ter, introdotto dall'art. 39 d.l. n. 273/2005, convertito in legge n. 51/2006.
81 Come osservato da PADOVINI, Fenomeno successorio e strumenti di programmazione patrimoniale alternativi al testamento, in Riv. Not., 2008, 5, p. 1025, ciò non deve “indurre a pensare che il patto di famiglia sia assimilabile al modello tedesco dell'Erbvertrag: non vi è, infatti, alcuna istituzione di erede; non vi è, anzi, nemmeno un atto destinato ad avere efficacia in ragione della morte di un contraente; non vi è, insomma, un atto mortis causa”.
Le considerazioni che precedono rendono evidenti, se ancora occorresse, le difficoltà anche del legislatore di muoversi nella fitta ragnatela del diritto successorio, un sistema unitario e compatto in cui le norme, dal patto successorio alla tutela dei legittimari, trovano tra loro tutte giustificazione e collegamento. In tal senso, è sufficiente ricordare l'interdipendenza tra l'art. 457, comma 3, c.c., ove si afferma che le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari, con tutte le regole dirette alla ricostruzione del patrimonio relitto, ivi comprese le liberalità indirette di cui all'art. 809 c.c., tra il generale divieto di patti successori anteriori all'apertura della successione e le norme che ne ampliano la portata (in particolare, l'art. 557, comma 2, c.c., vieta che i legittimari possano rinunciare ad agire in riduzione finché è in vita il donante).
82 In dottrina, IEVA, Circolazione e successione mortis causa, cit., p. 70, ha osservato che la disciplina del patto di famiglia “abbia natura di norma eccezionale e che, sul piano della valutazione degli interessi, si tratti di una norma posta a tutela di interessi super-individuali, non è un contratto ereditario, ossia uno strumento per ampliare le possibilità operative del disponente nella trasmissione della ricchezza, bensì uno strumento concepito con la finalità esclusiva di assicurare l'integrità e il mantenimento dell'efficienza delle unità produttive nella delicata fase del passaggio generazionale. Conseguentemente si ritiene che tale contratto debba avere ad oggetto il trasferimento dell'attività d'impresa e non possa essere utilizzato (stante la sua natura eccezionale) per il trasferimento di mera
<<ricchezza imprenditoriale>>”; sul patto di famiglia come alternativa al testamento si rimanda a XXXXXXXXXX A., Il Patto di famiglia a raffronto con gli strumenti negoziali alternativi al testamento o comunque con funzione successoria, in Il patto di famiglia - Profili civilistici del patto di famiglia, in Trattato Notarile diretto da Xxxxxxx Xxxxxx - Atti Notarili e diritto comunitario internazionale, vol. 4., diritto comunitario, 2011, p. 1790 ss. e in AA.VV., Patti di famiglia per l'impresa, I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato consultabile all'indirizzo xxxx://xxxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx.xxx?xxxx00/0000&xxx0.
83 Secondo PADOVINI, Fenomeno successorio e strumenti di programmazione patrimoniale alternativi al testamento, cit., p. 1026, “il patto di famiglia è uno strumento: coerente con la progressiva erosione del divieto dei patti successori nell'ordinamento italiano; complesso nella sua attuazione e che esige la disponibilità di mezzi per soddisfare i legittimari non assegnatari; non reversibile per l'imprenditore, ma incapace di pianificare tutta la successione di una persona, oltreché esposto ai rischi nel caso di legittimari sopravvenuti”; per un'ampia critica al patto di famiglia, x. XXXXXXX, Diritto successorio. Xxxx e problemi, cit. p. 202 ss..
A dare coerenza al sistema, vi è poi il principio di unitarietà della successione, diretto a impedire la frammentazione della vicenda ereditaria quale derivante dall'ammissione di tipologie contrattuali che sfuggirebbero agli attuali istituti di collazione e riduzione che rappresentano l'estremo baluardo a tutela dei legittimari.
La ricerca di soluzioni alternative, dunque, non è facile e ne è riprova il ricorrente tentativo di dottrina e giurisprudenza di trovare un giusto equilibrio tra contrapposte esigenze: la libertà negoziale e la tutela dei legittimari.
Allo stato non sono ammessi e sono quindi sanzionati con la nullità, i negozi e le alternative convenzionali che trovano il loro fondamento nella morte di una parte, mentre hanno qualche successo le alternative attraverso le quali si attribuiscono inter vivos diritti o beni ad un soggetto, sebbene il negozio possa manifestare i suoi effetti solo dopo l'apertura della successione del disponente (negozi cosiddetti con effetti post mortem).
Da tanto deriva l'ampia considerazione che viene rivolta al contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo, l'unico strumento da taluno ritenuto vera alternativa al testamento85, in forza delle sue caratteristiche di attualità del trasferimento, di gestione dell'operazione negoziale, di libertà di designazione e di revocabilità dell'attribuzione anche mediante testamento, nonché di piena efficacia della disposizione solo alla morte dell'ereditando.
84 IEVA, Limiti operativi imposti dal divieto dei patti successori: negozi <<mortis causa>> e negozi <<post mortem>>, in I fenomeni a rilevanza successoria. Un'analisi dell'evoluzione del sistema successorio alla luce dei recenti interventi del legislatore, Biblioteca di diritto privato ordinata da Xxxxxx Xxxxxxxx, n. 57, Napoli, 2008, p. 20 ss., il quale evidenzia che “il problema fondamentale in una ricerca di strumenti negoziali alternativi al testamento sia certamente quello di verificarne la validità alla luce del disposto dell'art. 458 prima parte cod. civ.”.
85 Rientrante, secondo XXXXXXXXXXX, Il contenuto atipico del testamento, cit., in una “dichiarazione atipica testamentaria” e considerata una vera alternativa al testamento da IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, cit., p. 69 e da PENE VIDARI, Xxxxx successori e contratti post mortem, cit., p. 245 ss.; XXXXXXXX, Fenomeno successorio e strumenti di programmazione patrimoniale alternativi al testamento, cit., p. 1028; PALAZZO, Testamento e Istituti alternativi, cit., p. 335 ss..
CAPITOLO II
Il contratto di assicurazione sulla vita: natura e disciplina
SOMMARIO: 1. Il contratto di assicurazione in generale: evoluzione normativa, dalla definizione codicistica alla classificazione in rami. - 2. Il contratto di assicurazione nel codice civile: concezione unitaria e dicotomica e l'inquadramento del contratto di assicurazione sulla vita. - 3. Il contratto assicurativo sulla vita e interferenze con il regime successorio. - 4. Il contratto di assicurazione sulla vita come atto mortis causa (critica): dall'atto (inter vivos con effetti) post mortem al negozio trans mortem. - 5. Assicurazione sulla vita a favore di terzo e contratto a favore di terzo.
1. Il contratto di assicurazione in generale: evoluzione normativa, dalla definizione codicistica alla classificazione in rami.
Per comprendere al meglio in che modo il contratto di assicurazione sulla vita possa rivestire una funzione successoria, si rende in primis necessaria una breve introduzione sui profili storico-evolutivi dell'istituto per procedere alla valutazione di quelli che sono gli aspetti essenziali della struttura contrattuale che la rendono simile al testamento e per coglierne, quindi, la natura e le finalità nella sua evoluzione applicativa86.
In questo contesto, conoscere le origini del contratto assicurativo sulla vita non può che rivelarsi risolutivo per trovare una risposta al quesito; solo apprendendo i motivi che ne hanno determinato l'origine è possibile saggiare la sua ratio, la sua portata e valutare se essa sia riscontrabile anche oggi nelle sue forme evolutive. Nonostante le incertezze dottrinali, l'istituto rileva la sua rispondenza non solo a finalità lucrative e individualistiche, ma anche e, soprattutto, previdenziali legate alla tutela della persona.
Già Trilussa, agli inizi del XX secolo, nel suo ironico sonetto si prendeva gioco dell'assicurazione sulla vita. In effetti, come disconoscere il fatto che sebbene si assicuri la vita, non si è al riparo dalla morte? Ironia a parte, l'aleatorietà del contratto assicurativo è nota ma è preferibile godersi la vita terrena in tranquillità e ricorrere al contratto assicurativo
86 Fra i contributi di carattere storico sul contratto di assicurazione in generale e sul contratto di assicurazione sulla vita, cfr. LA TORRE A., L'assicurazione nella storia delle idee. La risposta giuridica al bisogno di sicurezza economica: ieri e oggi, 2000, Milano, Xxxxxxx; XXXXXXX X., voce Assicurazione sulla vita, in Enc. Dir., III, Milano, 1958; ALPA G., GALLONE G., Le assicurazioni private (a cura di), volume 1, 2009, Torino, Utet; FERRARI, Le assicurazioni sulla vita, in I contratti di assicurazione contro i danni e sulla vita, in Trattato di diritto civile del consiglio nazionale del notariato, Xxxxxx, XX, 0000; DONATI A. – VOLPE PUTZOLU G., Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, Xxxxxxx, 2012; DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, III, Milano, 1956; COTTINO G., L’assicurazione: l’impresa e il contratto, volume X, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da X. Xxxxxxx, 2001; XXXXXXX A., Finalità e tendenze attuali delle assicurazioni sulla vita in Assicurazioni, 1985, I; GASPERONI N., Le assicurazioni, in Trattato di diritto civile diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano, 1966; ID., voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), in Enciclopedia Giuridica Treccani, III, Roma, 1998, p. 1 ss.; PIETROBONO F., Le assicurazioni sulla vita, in Manuale di tecnica delle assicurazioni, a cura di Candian A.D. e Paci S., tomo II, 2002.
piuttosto che vivere nell'incertezza di non riuscire a far fronte all'avverarsi del rischio temuto87.
Parlare di assicurazione quindi significa soddisfare, nel miglior modo possibile, un bisogno che l'uomo sente come primario, ovvero la sicurezza di tranquillità per sé stesso o i propri cari in un futuro che può essere minato da infortuni, malattie e sinistri, morte prematura che spesso una semplice misura di prevenzione non è in grado di attenuare o impedire.
Un modo alternativo per fronteggiare a tali rischi è l'accumulo di ricchezza anche se questa via non è sicuramente la più semplice da percorrere ed invero quasi sempre il ricorso alle forme assicurative nasce proprio dall'incapacità o dall'impossibilità di far economicamente fronte ai rischi man mano che si presentino.
L'assicurazione serve proprio a questo. E' un contratto con il quale un assicuratore, a fronte di premio, costituito da una piccola parte della ricchezza del singolo, si impegna a mantenere indenne l'assicurato dal realizzarsi dell'evento dedotto, se e quando si verificherà. L'assicurazione è basata essenzialmente sulla mutualità, quindi, sulla associazione di più persone esposte al medesimo rischio che decidono di contribuire al pagamento dei sinistri mediante versamento, da parte di tutti, di una certa somma. Il rischio, così, si neutralizza per il singolo e si fraziona tra gli associati affinché l'onere sopportato dal singolo risulti quasi impercepibile rispetto all'entità del rischio temuto.
Si denota subito una funzione morale del contratto assicurativo, ovvero il suo spirito di previdenza che mette al riparo da situazioni di pericolo, anche nell'interesse di terzi, come proprio nel caso della assicurazione sulla vita, nella variante del caso morte, sottoscritta a favore degli eredi, nonché la creazione di sicurezza, per esempio, del capofamiglia che vuole garantire ai congiunti un futuro sereno in caso di sua morte prematura.
Può tranquillamente evidenziarsi anche la sua generale funzione di raccolta di capitali e di sostegno del credito; basti pensare al caso di immobile ipotecato colpito da incendio, ove una assicurazione contro tale sinistro consente al creditore ipotecario di vedere in ogni caso soddisfatta la posizione debitoria.
Storicamente, le prime esigenze di porsi al riparo dai rischi legati alla morte venivano tutelate attraverso forme di associazione, specie nell'antico Egitto, in Persia e in Palestina, ove si garantivano spese di sepoltura o aiuti ai superstiti dietro pagamento di una somma di denaro, nonché nell'antica Roma, dove nascevano delle corporazioni di operai che si proponevano di aiutare i soci e le loro famiglie in caso di malattie e morte, in cui le somme
87 La fantasia ormai non ha più limiti, basti scorrere pagine di gossip per avere notizia dei casi più eclatanti: vi è chi si è fatto assicurare il matrimonio nel caso venisse rimandato all'ultimo momento o per il danneggiamento dell’abito nuziale causato dall’invitato ubriaco, o star del cinema che provvedono ad assicurarsi singole parti del corpo; non manca chi ha contratto un’assicurazione con la Xxxxx’x of London per tutelarsi dal rischio di un eventuale rapimento alieno con polizze che sfiorano premi da un milione di sterline. Sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, si trova menzione di una classifica delle cose più strane mai assicurate nel mondo.
occorrenti per fronteggiare gli eventi dannosi provenivano da un fondo comune formato dai contributi dei partecipanti.
La vera nascita e la diffusione del fenomeno assicurativo, tuttavia, inteso come contratto che comporta il trasferimento di un rischio dietro corrispettivo, è dovuta allo svilupparsi delle attività economiche, specie nel traffico mercantile italiano della prima metà del Trecento, grazie all'attività di genovesi, pisani e fiorentini che stipularono le prime forme di assicurazione88 in favore di commercianti o di capitani di nave con il preciso scopo di alleviare gli stessi dai quotidiani rischi di viaggio89. Anche le prime leggi furono italiane e, la più antica, di matrice genovese, fu un decreto del Doge Xxxxxxxx Xxxxxx del 22 ottobre 1369.
Grazie al traffico italiano, l'assicurazione fiorì e si diffuse rapidamente anche in altri paesi come la Spagna, che prese il dominio a partire dalla scoperta dell'America, passando il timone appena due secoli dopo all'Inghilterra da cui ebbe inizio il vero sviluppo del contratto assicurativo nella concezione tipica della società moderna90 ad opera della Lloyd's che sviluppò anche le assicurazioni terrestri e che segnò il passaggio dalla contrattazione in forma individuale a quella di massa,91 sebbene ancora si trattasse di assicurazioni con finalità lucrative intese a realizzare un profitto dalla distribuzione dei rischi assunti.
Ulteriore sviluppo giunse nella seconda metà del XVII secolo grazie al francese Xxxxxx Xxxxxx e allo studio sul calcolo delle probabilità, allo svizzero Xxxxxx Xxxxxxxxx per la legge dei grandi numeri e all'inglese Xxxxxx Xxxxxx per la creazione delle prime tavole di mortalità che consentirono il fiorire anche dell'assicurazione sulla vita.
La diffusione del contratto assicurativo fu certamente dovuto alle nuove esigenze di solidarietà nate dalla rivoluzione industriale, che portò all'esigenza di tutelare l'individuo nell'ambito lavorativo sia per l'assistenza sanitaria che per il riparo da sinistri dovuti alla meccanizzazione del lavoro. L'assicurazione sulla vita comincia quindi a non essere più un semplice contratto avente interesse economico, ma diventa un vero strumento che assolve esigenze assistenziali e previdenziali legate alla persona e al suo nucleo familiare.
Invero, in origine, l’assicurazione sulla vita, sebbene nacque quasi contestualmente al fenomeno assicurativo, non fu molto apprezzata e applicata se non addirittura vietata, in
88 Il più antico contratto di assicurazione risale al 18 febbraio 1343, trovato a Genova dall'illustre storico economista Xxxxxxxx Xxxxx, attualmente conservato presso l'archivio di stato del capoluogo ligure insieme ad altri contratti risalenti a quel periodo.
89 Questi primi contratti erano esclusivamente di carattere speculativo stante l'assenza di basi tecniche per il calcolo delle probabilità di rischio, che quindi era affidato all'alea e all'intuito dell'assicuratore. Si trattava, tra l'altro, di danni alle cose, così intendendosi per esempio anche la perdita di schiavi durante il tragitto.
90 Nasce così la polizza, di regola con atto notarile, successivamente si afferma il requisito dell'interesse dell'assicurato all'assicurazione, quindi che i beni siano esposti a un rischio reale. Diversamente dalla scommessa, si sviluppa la progressiva professionalizzazione dell'attività assicurativa mediante i primi brokers.
91 La Lloyd's nasce nel 1686 ad opera del signor Xxxxxx Xxxxx, titolare di un café a Londra che ebbe l'idea di pubblicare un bollettino contenente tutte le notizie sulle navi in arrivo e in partenza, informazioni utili riguardo al carico merci, prezzi, eccetera che erano di ausilio a commercianti e armatori di passaggio.
quanto degenerò presto in speculazioni sulla vita, oltre a non essere ben distinta dalla scommessa; la struttura del contratto era ancora ambigua, non si pensava ancora ad un interesse dello stipulante. Non esisteva, in pratica, il fine previdenziale, oggi normalmente perseguito. Fu proprio con l'applicazione dei metodi statistico-matematici e delle tabelle probabilistiche legate al tasso di mortalità, che si giunse al concetto attuale di assicurazione sulla vita92. Iniziarono così poi a comparire le prime forme contrattuali standardizzate sui danni e sulla vita che contemperavano gli interessi di entrambe le parti e che troveranno nel Codice del Commercio del 1882 le prime norme regolatrici agli artt. 449-45393.
L'Italia, sebbene madre dell'assicurazione, perse il suo dominio per lungo tempo, più che altro per la frantumazione in più Stati e solo nell'ottocento vide la nascita delle prime grandi imprese di assicurazione94, cui seguì l'interessamento dello Stato mediante la creazione, con la legge 4 aprile 1912, n. 305 di una disciplina compiuta dell'assicurazione sulla vita e con la nascita dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, cui venne affidato l'esercizio di tali attività in regime di monopolio. Tentativo, questo, con il quale l'xx. Xxxxxxxx cercò di dare sostegno alle associazioni sociali, di stimolare la coscienza previdenziale degli italiani e, con il risparmio assicurativo, di raccogliere risorse finanziarie. Il monopolio sarebbe dovuto diventare operativo dopo un periodo di transizione di dieci anni durante il quale le precedenti compagnie potevano continuare ad esercitare la loro attività. Tuttavia, a scadenza, il progetto non andò in porto: agli inizi del novecento operavano circa 25 imprese di assicurazione che, dopo la prima guerra mondiale, divennero 214. Le assicurazioni sociali si svilupparono autonomamente, non necessitavano di aiuti da parte dello Stato e così si abbandonò l'idea del monopolio con il regio decreto del 29 aprile 1923, n. 966 che, introducendo un regime di libera concorrenza, provvedeva altresì ad una prima disciplina organica della materia, giunta poi al codice civile del 1942 che, ancora oggi, regola le assicurazioni terrestri, demandando le marittime e le aeronautiche al codice della navigazione.
92 Detti criteri permisero di aprire la strada per una equa organizzazione dell'attività assicurativa vita, anche se successivamente, in periodo illuministico, ci si distaccò dal profilo previdenziale, in considerazione del pericolo di abusi ispirati a finalità meramente lucrative, tanto da non tenerne considerazione sia nel Code Napoleòn del 1804 che nel codice civile del 1865.
93 Il codice civile del 1942 ha colmato alcune lacune lasciate dalla precedente codificazione per renderla più confacente alle evidenziate esigenze operative sia in dottrina che giurisprudenza. In particolare, è stato introdotto quello che è attualmente l'art. 1924 c.c., regolando le sorti del contratto in caso di mancato pagamento dei premi, introducendo una risoluzione ipso iure del contratto, rimedio eccezionale rispetto alle regole in tema di inadempimento ex art. 1453 c.c. che consentono quantomeno l'adempimento tardivo. Viene introdotto anche l'art. 1925, in tema di riscatto e riduzione della somma assicurata, mentre invariato è rimasto il principio di intangibilità delle somme da parte di eredi e di creditori di cui all'attuale art. 1923. Ulteriore aspetto di interesse è l'indicazione, nell'art. 1920 delle modalità di individuazione del terzo beneficiario di una assicurazione sulla vita, aspetto per il quale il codice del commercio nulla diceva, ribadendo così la possibilità di una contrattazione a favore di un terzo consentendogli espressamente l'acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione.
94 Come l'Istituto Trentino-Alto Adige per Assicurazioni nel 1821, la Società Reale Mutua di Assicurazioni nel 1828; le Assicurazioni Generali nel 1831.
Con il d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 9 agosto 1992, n. 359 si realizzò la progressiva privatizzazione dell'I.N.A. che da ente pubblico diventò una società per azioni concorrente con le altre imprese assicuratrici private.
Nella società in evoluzione il ricorso all'assicurazione è diventato un evento abituale della vita quotidiana e così in più riprese si è reso necessario l'intervento del legislatore anche al fine di controllare lo svolgimento di attività di così tanto rilievo, ma mentre la disciplina codicistica sulla struttura e la regolamentazione del contratto è rimasta sostanzialmente invariata, fatta eccezione per l'ingresso di leggi speciali, quali per esempio in tema di assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli, l'esercizio dell'attività assicurativa invece si è notevolmente evoluta, a dimostrazione di un fenomeno che cresce e si evolve con i tempi e che ha subìto un continuo processo di modifiche anche ad opera del contesto europeo.
L'impianto normativo è stato poi vittima di continui cambiamenti, soprattutto a seguito del recepimento di direttive europee, con le quali si è dato via ad un turbinio di interventi legislativi specie in tema di condizioni generali del contratto, di meccanismi tariffari e riserve matematiche. In primo luogo, con la legge del 10 giugno 1978, n. 295 per il ramo danni e la legge 22 ottobre 1986, n. 742 per quello vita, si è data attuazione alle direttive 24 luglio 1973,
n. 239 e 5 marzo 1979, n. 267 con le quali si è sostanzialmente accantonato il Testo Unico del 1959.
Con i decreti legge del 15 gennaio 1992, n. 49 e 23 dicembre 1992, n. 515, si è data attuazione alle direttive n. 357/1989 e n. 619/1990 per regolare la libera prestazione di servizi assicurativi all'interno della comunità europea. La direttiva n. 618/1990, nel frattempo, modificava in tema di assicurazione obbligatoria civile le precedenti direttive 239 e 357 indicate, trovando attuazione con il d.lgs. 23 dicembre 1992, n. 509.
Un ulteriore cambio di rotta avviene con l'attuazione delle direttive n. 49 e 96 del 1992 con le quali si travolge completamente il quadro normativo già delineato: il d.lgs 17 marzo 1995, n. 174 in materia di assicurazione sulla vita, volto a garantire la corretta e adeguata informazione della parte debole del contratto, abroga la citata legge n. 742/1986 e il decreto n. 515/1992. Ancora, il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, relativo alle assicurazioni diverse da quelle vita, abroga la legge n. 295/1978, il decreto n. 509/1992 e, quasi interamente, il d.lgs. n.
95 In seguito, con la Legge 22 ottobre 1986, n. 742 si è recepita la direttiva CEE79/267, atta a porre una serie di condizioni e controlli a garanzia della solidità patrimoniale delle imprese che esercitano l’assicurazione vita.
49/1992. Rimasero immuni la legge in tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile dei veicoli e dei natanti (seppure comunque modificata ad opera del decreto n. 175/1995) e la legge 12 agosto 1982, n. 576 (modificata poi dalla legge 9 gennaio 1991, n. 20, per regolare le partecipazioni rilevanti e di controllo delle società assicurative), istitutiva dell'ISVAP96. Con il d.lgs n. 58/1998 che introduce il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (TUF), si giunge ad ammettere la possibilità di stipulare contratti assicurativi vita mediante polizze rivalutabili, collegate a gestioni separate, indici o fondi comuni di investimento. L'evoluzione continua con il d.lgs. del 7 settembre 2005, n. 209, noto come il Codice delle Assicurazioni Private (CAP), che interessa marginalmente anche il ramo vita, con il quale ai sensi dell'art. 354 si abroga il d. lgs. 174/1995 provvedendo così a modificarne la disciplina.
Il codice delle assicurazioni, quindi, introduce nuove disposizioni che si aggiungono a quelle già previste nel codice civile agli artt. 1882-1932, creando così un duplice impianto normativo. Tuttavia, poiché, l'art. 165 cod. ass. dispone che <<fermo restando quanto diversamente disposto dal presente codice, i contratti di assicurazione (…) rimangono disciplinati dalle norme del codice civile>>, può evidenziarsi la intenzionale scelta del legislatore di non creare un unico corpus normativo, perdendo così l'occasione di consegnare una disciplina organica e completa97.
Tuttavia, è bene sin d'ora osservare come il ramo assicurativo possa oggi essere considerato un pilastro del mercato finanziario, soprattutto a seguito dei nuovi prodotti offerti, dell'affacciarsi di nuovi operatori nel settore e della capitalizzazione del risparmio che consente ulteriori investimenti anche in altri settori del mercato.
Sul fronte europeo, la disciplina comunitaria è intervenuta principalmente regolando l’esercizio dell’attività assicurativa estendendosi altresì sulla vigilanza del mercato nell'ottica anche della tutela dei consumatori98. Da qui, la sempre più emergente esigenza di trasparenza
96 Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private, nato con la Legge 12 agosto 1982 n. 576, attualmente sostituito nei poteri e funzioni dall'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), con il D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con la Legge 7 agosto 2012 n. 135, dal Governo Xxxxx che lo ha sottoposto alla vigilanza della Banca d'Italia.
97 Per le ragioni che hanno indotto a tale scelta, si rimanda a CANDIAN A.D., Il nuovo Codice delle Assicurazioni e la disciplina civilistica del contratto di assicurazione: tendenze e <<resistenze>> , in Contratto e Impresa, 2006,
p. 1289 ss.; in senso critico anche AMOROSINO S., Profili sistemici e pubblicistici del codice delle assicurazioni, in Il nuovo codice delle assicurazioni. Commento sistematico, a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Milano, 2006,
p. 29 ss.; diversamente, XXXXXXX, Note critiche sulla bozza del codice delle assicurazioni private, in Giur. Comm., 2004, p. 1036 ss., atteso il carattere prettamente pubblicistico del nuovo corpo normativo, ritiene corretto il non inserimento delle tradizionali norme di natura strettamente privatistica del codice civile.
98 E' evidente che la molteplicità degli interventi di matrice europea che hanno coinvolto anche il settore vita abbiano determinato una integrazione degli stessi modelli contrattuali nell'ottica di maggior chiarezza e trasparenza per il consumatore. Sul punto, v. ALPA-GALLONE, Le assicurazioni private, cit., p. 17 ss., il quale osserva che “al di là della tutela degli interessi dei consumatori e in generale di ogni cliente, derivante dalla stabilità dell’impresa, molteplici sono le aree in cui la Comunità ha assunto iniziative rivolte a questo scopo. Ad esempio, nell’ambito del diritto contrattuale, alla informazione precontrattuale, alla conclusione del contratto e alla sua esecuzione”.
L'elencazione di cui all'art. 2 cod. ass., ripartita in ramo vita (comma 1) e ramo danni (comma 3), evidenzia sin da subito una tipologia di operazioni negoziali sicuramente più vasta e quindi non coincidente con quella desumibile dalla semplice definizione offerta dall'art. 1882 c.c., mettendo in evidenza il riconoscimento di una serie di nuove figure contrattuali che si discostano dal tradizionale contratto assicurativo in senso stretto. In particolare, per quanto è qui di interesse, nei rami vita la classificazione è la seguente:
Xxxx X - Assicurazioni sulla durata della vita umana; Xxxx XX - Assicurazioni di nuzialità e di natalità;
Xxxx XXX - Assicurazioni, di cui ai Rami I e II, le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici i ad altri valori di riferimento (ovvero, Unit e Index linked);
Xxxx XX - Assicurazioni malattia e assicurazioni contro il rischio di non autosufficienza che siano garantite mediante contratti di lunga durata, non rescindibili, per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia o a infortunio o a longevità;
Xxxx X - Operazioni di capitalizzazione (assicurazioni finanziarie non dipendenti dalla vita umana, che prevedono il pagamento di un capitale alla scadenza del contratto);
Xxxx XX - Operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa.
Nel ramo vita, quindi, emergono con evidenza contratti che seppur per volontà legislativa rientrino nell'oggetto sociale delle imprese di assicurazione, in realtà le loro prestazioni sono collegate a fattori di rischio finanziario e non al mero rischio assicurativo, caratterizzante il contratto assicurativo disciplinato dal codice civile (rami III e V). Si inseriscono, dunque, contratti prevalentemente, se non esclusivamente, di natura finanziaria, naturalmente soggetti alle regole del codice delle assicurazioni ma non altrettanto chiaramente anche a quelle del codice civile100, specie nel caso di assicurazioni sulla durata della vita umana, come meglio verrà illustrato in seguito.
99 Per una approfondita analisi sulla tutela dell'assicurato, si rimanda a CORRIAS P., La disciplina del contratto di assicurazione tra codice civile, codice delle assicurazioni e codice del consumo, in Resp. Civ. e Prev., 2007, 9, p. 1755 ss..
100 Salvo, in ogni caso, il disposto di cui all'art. 165 cod. ass. e l'applicabilità in via analogica di norme compatibili.
Il problema che quindi sarà affrontato è relativo allo sviluppo del contratto assicurativo vita nella sua concezione e al mutamento della sua natura, quali dipendenti dallo sconfinamento delle ragioni per cui vi si ricorreva in passato, tanto da indurre, in certi casi, a dubitare dell'attuale valenza dello scopo previdenziale che cede allo scopo finanziario e dal quale deriva l'applicazione delle norme tipiche dei contratti finanziari.
L'analisi, quindi, oltre a verificare se il contratto di assicurazione sulla vita possa essere considerato uno strumento di trasmissione della ricchezza mortis causa, si occuperà di accertare se tale funzione possa affermarsi o meno anche in relazione ai nuovi prodotti vita offerti nel mercato.
2. Il contratto di assicurazione nel codice civile: concezione unitaria e dicotomica e l'inquadramento del contratto di assicurazione sulla vita.
La nozione di contratto assicurativo in generale è data dall'art. 1882 c.c, a tenore del quale “l'assicurazione è il contratto col quale l'assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.
Nonostante l'apparente linearità, si ritiene in dottrina che il dato normativo presenti alcune ambiguità, attribuite alla circostanza che oltre alla indicata bipartizione, tra le assicurazioni contro i danni cagionati da un sinistro (da cui consegue un risarcimento) e quelle attinenti la vita umana (da cui deriva il pagamento di una somma) e alla previsione di alcune disposizioni di applicazione comune, la disciplina legislativa è in realtà differente per i due tipi contrattuali. Da ciò il contrasto sull'inquadramento dell'assicurazione sulla vita.
Parzialmente diversa è la soluzione di altri autori i quali, pur nell'ambito della ricostruzione unitaria e, dunque, della funzione risarcitoria dei tipi in esame, hanno sostenuto
101 In particolare, tra i sostenitori della teoria indennitaria XXXXXXXXX, Sul concetto unitario del contratto di assicurazione, in Saggi giuridici, Milano, 1949, p. 397, il quale considera come sinistro la morte, in cui i danneggiati sarebbero coloro cui verrebbe a mancare una fonte di reddito o la sopravvivenza, quando l'assicurato, benché in vita, potrebbe aver necessità di ulteriori fonti di sostentamento qualora si ritrovi con una ridotta o assente capacità di produrre reddito. In tal senso, anche XXXXXX, Trattato del diritto delle assicurazioni private, II, Milano 1954, p. 21; XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 427.
che, in entrambe le fattispecie, l'evento dannoso determinasse un bisogno che l'assicurato aveva interesse ad eliminare (c.d. teoria del bisogno eventuale), liberandosi in tal modo dal peso economico che sarebbe derivato dall'evento102. Il contratto di assicurazione, quindi, anche in questa ipotesi, rappresenterebbe un modello unico ed inscindibile.
Diametralmente opposta è la posizione di coloro che rilevando proprio l'assenza del profilo indennitario nell'assicurazione vita, ritenuto tipico solo dell'assicurazione per danni, sostengono una concezione dicotomica del contratto assicurativo103. In particolare, quanto alla tesi indennitaria è stata eccepita la difficoltà di ricondurre ad un'unica categoria gli eventi attinenti alla vita umana, poiché non in tutti è possibile riscontrare un evento suscettibile di valutazione economica (come ad es. nelle ipotesi di natalità o di longevità). Relativamente alla teoria del cosiddetto bisogno eventuale, si sottolinea come esso finisca con il coincidere con il concetto di danno, esponendosi così alle stesse obiezioni rivolte alla teoria indennitaria e, soprattutto, non consentendo di distinguere l'assicurazione dai contratti con funzioni affini (quali ad es. la fideiussione).
I sostenitori della tesi dualistica rilevano come, sia nell'assicurazione danni che nell'assicurazione di eventi attinenti alla vita umana, l'assicuratore assuma sempre un’obbligazione di dare, la quale si configura diversamente a seconda dell'evento dedotto in contratto, come risulterebbe anche dalla diversa disciplina applicabile alle due distinte fattispecie.
Ritengono, infatti, che solo nell'assicurazione per danni ricorrerebbe l'interesse a ricevere la copertura del danno verificatosi, a differenza dell'assicurazione sulla vita, il cui scopo principale è quello di ricevere un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente la vita umana. Precisano, inoltre, che sebbene al verificarsi della morte o della sopravvivenza della persona, sia ravvisabile un interesse economico, consistente in una liberalità verso un terzo o un pagamento di un debito, in una forma di risparmio o di capitalizzazione, a prescindere dalla somma investita, in realtà, nell'assicurazione vita lo scopo principale è di natura previdenziale.
Per i sostenitori dell'opinione in esame, il dettato normativo testimonierebbe la compresenza di due tipologie assicurative dal fondamento differente, cui corrisponde anche
102 XXXXXXXX X., voce Assicurazione, sub. art. 1882 c.c., in Commentario al codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e
X. Xxxxxx, Bologna-Roma, 1979, p. 179 ss..
103 In giurisprudenza, Cass. Civ., 21 giugno 1971, n. 1941, in Assicurazioni, 1972, II, p. 124, riconosce nell'assicurazione sulla vita la funzione di risparmio e capitalizzazione, lasciando la funzione indennitaria alla sola assicurazione contro i danni. In dottrina, XXXXXXX G., Le assicurazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, I, Xxxxxxx, XXXVI, Milano, 1973, p. 461 ss.; XXXXXXXX M., Il diritto delle assicurazioni, vol. I, L'impresa di assicurazione. Il contratto di assicurazione in generale, Cedam, 2011, p. 750; FERRARI, Le assicurazioni sulla vita, cit., p. 146.
una diversa disciplina104; l'unico elemento comune ad entrambe e che le differenzierebbe dalla scommessa105 è che nel contratto di assicurazione non si deve mai “determinare il sorgere di un interesse al verificarsi dell'evento dedotto in rischio”106.
Nell'assicurazione sulla vita si sarebbe in balìa di un evento futuro che ha una incertezza temporale durante la quale l'assicurato o il beneficiario non potranno far nulla per evitare l'evento morte (nessuno potrebbe “allungarsi” la vita per incassare la rendita o l'indennità). L'entità della prestazione dovuta dall'assicuratore è già determinata al momento della conclusione del contratto e, soprattutto, differente è il rischio assicurato.
L'assicurazione sulla vita, quindi, proprio sul fatto che le parti sono libere di determinare l'entità della prestazione non può che ritenersi estranea al principio indennitario per cui il ristoro del danno deve corrispondere effettivamente alla lesione subita.
Se nell'assicurazione per danni, la nozione di rischio descrive non tanto la possibilità di un evento futuro ed incerto, quanto la possibilità di un danno, il rischio non è rinvenibile nell'incertezza del sinistro quanto nell'incertezza dei danni che ne possono derivare, evidenziando così un interesse di natura patrimoniale, ovvero una proiezione funzionale alla tutela totale o parziale del patrimonio dell'assicurato108. Diversamente, nelle assicurazioni relative alla vita umana, l'interesse tutelato è prettamente personale e non economico e ancor di più, nell'ipotesi specifica di assicurazione sulla vita di cui all'art. 1919 ss. c.c., emerge la spiccata funzione previdenziale volta a tutela di bisogni individuali della persona, ritenuti meritevoli di tutela a cui il legislatore riconosce altresì particolari disposizioni di favore, anche rispetto ai creditori.
104 Invero, tra le norme comuni di cui agli artt. 1882 – 1903 c.c., benché siano norme di carattere generale, in realtà, molte appaiono di completamento della sola assicurazione per danni, escludendosi così l'applicabilità delle stesse anche al contratto di assicurazione sulla vita.
105 ASCARELLI, Sul concetto unitario del contratto di assicurazione, cit., p. 430, rileva in realtà una affinità dell'assicurazione sulla vita con la scommessa poiché l'assicurato ha interesse a conseguire la prestazione economica in caso di sua sopravvivenza.
106 Così XXXXXXX, Le assicurazioni, cit., p. 88; GASPERONI, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 2 ss..
107 Saranno oggetto di valutazione da parte della compagnia assicuratrice lo stato di salute, l'età anagrafica, il tipo di attività lavorativa svolta, dati utili a comprendere orientativamente, in base alle tavole di mortalità, sino a che punto la compagnia può accettare il rischio. Le assicurazioni sulla vita, differentemente da quelle contro i danni, per il calcolo dei premi, infatti, si avvalgono di tecniche rigorose per calcolare l'equivalenza tra le prestazioni.
108 Così CORRIAS, La causa del contratto di assicurazione: tipo assicurativo o tipi assicurativi?, in Rivista di diritto civile, 2013, 1, p. 59-60.
- polizza caso vita, in cui l'assicuratore si impegna al pagamento di un capitale o di una rendita vitalizia nel caso in cui l'assicurato, o anche un terzo, sia ancora in vita alla scadenza pattuita. Rientrano in questa categoria: 1) assicurazioni a capitale differito, ove dietro pagamento di un premio, per l’intera durata del contratto, l’assicuratore si obbliga a corrispondere il capitale assicurato se l’assicurato è ancora in vita alla data prestabilita; 2) assicurazioni di rendita vitalizia che, a loro volta, possono variare in immediata, differita o temporanea a seconda che l’assicuratore si obblighi a corrispondere una rendita sin dalla stipulazione del contratto o da un termine successivo, fino a quando il contraente sia ancora in vita, sino al suo decesso o fino ad una scadenza prestabilita;
- polizza caso morte, ove il pagamento di un capitale al beneficiario avviene alla morte dell'assicurato. La polizza caso morte può essere temporanea, se il contratto prevede che il pagamento sia effettuato qualora il decesso dell'assicurato avvenga nel corso della durata del contratto oppure a vita intera, se il pagamento del capitale avviene comunque alla morte dell'assicurato, indipendentemente dal momento nel quale essa si verifica. Può altresì essere una assicurazione di sopravvivenza, ove il capitale o la rendita verranno corrisposte dall’assicuratore solo nell’ipotesi di sopravvivenza di una persona rispetto ad un’altra e infine assicurazione su più teste, ove in presenza di due soggetti assicurati in alternativa l’uno rispetto all’altro, la prestazione verrà eseguita nei confronti di quello che sopravvive alla morte dell’altro;
- polizza mista, che garantisce il pagamento di un capitale o di una rendita vitalizia se l'assicurato è in vita al termine della durata del contratto (assicurando così una rendita risparmio allo scadere del contratto) e, al tempo stesso, il pagamento di un capitale se l'assicurato muore prematuramente nel corso di detta durata (garantendo un benessere economico per i beneficiari), coprendo così sia il rischio di mortalità che quello di longevità.
109 In ogni caso, per una completa e dettagliata analisi delle varie tipologie e delle specifiche varianti del contratto assicurativo sulla vita, tra i tanti contributi, si rimanda sin d'ora a DONATI – VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, cit., p. 185 ss.; FERRARI, Le assicurazioni sulla vita, cit., p. 365 ss.; MIANI S., L'assicurazione vita: inquadramento logico e classificazione, in I prodotti assicurativi e previdenziali, (a cura di), in Studi di Economia degli Intermediari Finanziari, collana diretta da X. Xxxxxx x X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 81 ss.; XXXXXXX E., I prodotti vita tradizionali, in I prodotti assicurativi e previdenziali, cit., p. 99 ss.; PIETROBONO, Le assicurazioni sulla vita, cit. p. 1405 ss..
All'interno di queste polizze si possono configurare: a) le miste ordinarie con pagamento unico iniziale in cui l'impresa assicuratrice si impegna a corrispondere una determinata somma di denaro allo stipulante, se in vita al momento della scadenza del contratto, o agli eredi e/o beneficiari in caso di sua morte prematura; risultano dalla combinazione di una polizza temporanea caso morte e una caso vita a capitale differito, garantendo il pagamen to di una rendita o di un capitale sia al verificarsi della sopravvivenza che alla morte entro una data predeterminata; b) le polizze miste a termine fisso in cui l'impresa assicuratrice , si impegna ad eseguire la propria prestazione nei confronti dello stipulante, se quest’ultimo risulta essere ancora in vita, o a favore degli eredi e/o beneficiari in caso contrario entro una data prestabilita nel contratto; tuttavia, in caso di morte prematura dell’assicurato, la compagnia assicurativa non avrà il beneficio di riscuotere i premi annui non ancora scaduti.
Queste tipologie, caratterizzate per il fatto che gli oneri a carico delle parti contrattuali sono predeterminati anche nella loro futura entità sin dal momento della conclusione del contratto, fanno fronte ad esigenze di natura previdenziale.
Tuttavia, nel tempo, si è valutato un ulteriore potenziale del contratto di assicurazione sulla vita, riconosciuto non più solo come uno strumento atto a tutelare da eventi della vita umana, bensì come ulteriore mezzo di allocazione ed incremento del risparmio. Per assolvere a questa ulteriore funzione, cominciarono ad affermarsi nel mercato nuovi prodotti assicurativi. Sebbene influenzati dal rischio demografico, tali prodotti risultavano particolarmente variabili nel loro andamento e maggiormente sensibili alle variazioni monetarie legate all'evoluzione dei tassi di interesse; caratterizzati da una continua evoluzione sono risultati particolarmente interessanti sotto il profilo finanziario e di investimento, così aggiungendo e, in alcuni casi, sostituendo al rischio demografico, un rischio finanziario. Tali prodotti possono così raggrupparsi:
- polizze rivalutabili, caratterizzate da un rendimento che l'assicuratore ottiene investendo i premi raccolti. Questi ultimi vengono immessi in una particolare gestione separata rispetto al complesso delle attività dell'impresa; i rendimenti ottenuti vengono consolidati ogni anno e quindi aumentano la prestazione garantita secondo una determinata percentuale stabilita in contratto;
- polizze linked, caratterizzate da una forte componente finanziaria che ha dato vita ad alcuni contrasti giurisprudenziali e dottrinali circa la natura e conseguente disciplina applicabile, in cui la prestazione dell'assicuratore è legata all'andamento di un particolare indice in genere espressivo dell'evoluzione dei mercati azionari (index) o al valore delle quote di un fondo di investimento interno o esterno all'impresa di assicurazione (unit).
3. Il contratto assicurativo sulla vita e interferenze con il regime successorio.
Dai brevi cenni in ordine alla classificazione delle tipologie di assicurazione sulla vita, emerge subito che le assicurazioni per il caso morte si distinguono in ragione del fatto che l'evento morte condiziona la prestazione dell'assicuratore, mentre nelle assicurazioni per il caso vita l'impresa assicuratrice si impegna ad eseguire la propria prestazione solo se alla scadenza prestabilita l'assicurato è sopravvissuto.
E' proprio l'evento morte che ha indirizzato l'interesse della dottrina verso l'ipotesi di una funzione alternativa al testamento, poiché nelle polizze caso morte saranno necessariamente gli eredi e/o i beneficiari designati dall'assicurato a godere della somma dovuta, tanto da farla sembrare un lascito mortis causa. Più precisamente, la fattispecie che maggiormente depone a favore dell'assimilazione e su cui dottrina e giurisprudenza dibattono, è l'ipotesi del contratto di assicurazione sulla vita con designazione a favore di un soggetto diverso dal contraente ai sensi dell'art. 1920 c.c., che considera valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo.
La funzione politico-legislativa del contratto di assicurazione sulla vita caso morte presenta una stretta somiglianza con quella del testamento, motivo per cui il tema centrale di ogni discussione, specie in passato, era incentrato sulla natura giuridica dell’attribuzione derivante dal contratto de quo, al fine di ravvisarvi o meno una ulteriore ipotesi di trasmissione della ricchezza mortis causa, accanto a quello che ancora oggi è l'unico negozio ammesso dal nostro ordinamento.
Gli elementi che hanno condotto parte della dottrina a ritenere che l’attribuzione del beneficio “in caso di morte” potesse valere come attribuzione “a causa di morte” sono principalmente due: il potere del contraente di designare il beneficiario anche per testamento e la revocabilità del beneficio sino alla morte del contraente. Elementi che, singolarmente, evidenzierebbero una similitudine con la volontà testamentaria, stante l’asserito rispetto della libertà del testatore di disporre, nonché la possibilità di revocare la disposizione stessa fino all'ultimo istante di vita. La morte del disponente, dunque, costituirebbe la causa dell’attribuzione al pari del fenomeno successorio. In questa prospettiva, il testamento non rappresenterebbe l’unica figura negoziale attraverso cui disporre del patrimonio per il tempo successivo alla morte, ma esisterebbero altri fenomeni di istituzione contrattuale di erede o comunque convenzioni attraverso le quali realizzare il trasferimento di beni ereditari.
A ben vedere, attraverso il testamento si esprimono delle volontà liberamente revocabili che consentono di destinare come meglio si desidera il patrimonio per quando si sarà cessato di vivere; attraverso l'assicurazione sulla vita è comunque possibile prevedere che
nel caso di decesso dello stipulante una determinata somma vada a beneficio di un preciso destinatario che potrà essere comunque modificato nel tempo.
Invero, con il contratto di assicurazione sulla vita, il contraente si impegna a corrispondere dei premi affinché, alla sua morte, la somma assicurata vada a beneficiare il terzo designato, il che parrebbe simile a un testamento del seguente tenore: “alla mia morte lascio tutti i denari a Xxxxx” oppure “nomino eredi Xxxxx e Xxxx ma dispongo che nella quota di Tizio siano compresi tutti i denari”. Che accade alla morte di Xxxxx? In tutti i casi Xxxx riceverà la somma di denaro.
Espressi in questi termini, i due istituti parrebbero in perfetta coincidenza, sia per quanto riguarda il termine di decorrenza degli effetti, rappresentato dal decesso, sia per quanto riguarda il risultato pratico, consistente nel trasferimento del beneficio economico in capo al designato. Se ciò induce a ritenere che l’assicurazione sulla vita sia uno strumento incidente nel fenomeno successorio, tale da poter rappresentare un surrogato del testamento quale atto mortis causa, in realtà, analizzando più nello specifico le singole caratteristiche dei due istituti, non si può che rilevare la sostanziale differenza tra gli stessi, trovando al limite una minima similitudine riguardo agli effetti che potrebbero essere, nel singolo caso concreto, più o meno confacenti rispetto a quelli desiderati. Xx è su questi due aspetti che occorre una diversificazione, da un lato la struttura contrattuale che induce a condividere la tesi, dominante in dottrina, secondo la quale la designazione del beneficiario nel contratto assicurativo, determini sempre e comunque una attribuzione inter vivos in cui l’evento morte rappresenti semplicemente il termine a quo per l’esecuzione della prestazione da parte dell’assicurazione, dall'altro il piano degli effetti poiché sebbene sia, in ogni caso, opportuno ritenere che il contratto in questione non sia funzionalmente e strutturalmente predisposto a realizzare una successione ereditaria, è proprio per i risultati concreti che viene sentito come una alternativa al testamento. Entrambe le argomentazioni, tuttavia, richiedono un’ulteriore riflessione.
4. Il contratto di assicurazione sulla vita come atto mortis causa (critica): dall'atto (inter vivos con effetti) post mortem al negozio trans mortem.
Nel considerare l'assicurazione sulla vita uno strumento di trasmissione della ricchezza alternativa al testamento, quando l'evento assicurato sia la morte, lo studioso che durante la vigenza del codice del 1865 si è occupato di studiarne la natura, giungendo a ricondurlo tra i negozi mortis causa, è Xxxxxxx, il quale, sulla base di alcune considerazioni di natura pratica riscontrabili anche nella figura testamentaria, sosteneva che <<nel caso di assicurazione sulla vita con terzo beneficiario siamo completamente fuori, nei rapporti con
questo terzo, dal campo contrattuale>>110. Questa esclusione prende le mosse dalla considerazione che lo stipulante di un'assicurazione sulla vita mantiene un'estesa libertà di gestione della prestazione, restando nella piena disponibilità della somma assicurata, conservando la possibilità di cedere ad altri il credito spettante, di riscattare la polizza, di ridurla e concederla in garanzia, di revocare e modificare il beneficiario sino alla morte.
La morte, quindi, poiché ambulatoria est voluntas defuncti usque ad vitae supremum exitum, rappresenterebbe il momento ultimo in cui questa libertà verrebbe meno, dando una definizione alla fattispecie assicurativa e identificandosi così nella causa di attribuzione di un diritto al beneficiario.
Secondo l'Autore, quindi, il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo rientrava necessariamente tra i negozi mortis causa in cui si ha una attribuzione patrimoniale de residuo revocabile sino alla morte, definendo “la designazione del beneficiario dell'assicurazione a vita intera una vera e propria disposizione di ultima volontà”.
Il più ampio contributo successivo deriva dagli studi di Xxxxxxxxxxx sulla natura delle prestazioni da eseguirsi nei confronti di un terzo dopo la morte dello stipulante e dalla distinzione da lui elaborata tra i negozi mortis causa e quelli inter vivos con effetti post mortem, a seconda dell'incidenza dell'evento morte.
Tradizionalmente, stando alla ricostruzione dell'Autore, si individuano i negozi mortis causa in quelli ove l'evento morte rappresenta l'elemento causale dell'attribuzione, ovvero nei negozi che hanno la funzione di “regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, e che nessun effetto, nemmeno prodromico o preliminare, è perciò destinato a produrre, e produce, prima di tale evento”111. L'atto avrebbe come contenuto il regolamento di una situazione rilevante giuridicamente dopo la morte del suo autore e sarebbe così volto a regolare “rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione”112.
110 MANENTI C., Il contratto di assicurazione sulla vita con designazione di un terzo beneficiario, in Riv. Dir. Civ., 1909, p. 589 ss.. L'autore esprimeva una contrarietà nei confronti della ammissibilità di contratti a favore di terzo ove il diritto alla prestazione venisse acquistato dal beneficiario al momento della stipulazione, per il contrasto con il potere di revoca riconosciuto allo stipulante, posto che finché l'assicurato è libero di modificare la designazione, i beneficiari originariamente indicati “non hanno alcun diritto né verso l'assicuratore, né verso l'assicurato”, poiché “non vi possono essere contemporaneamente due padroni dello stesso diritto”. L'autore riteneva espressamente che “il contratto d'assicurazione a vita intera a favore dei propri eredi o di una determinata persona non è affatto un contratto a favore di terzi, nel senso in cui ciò si afferma dalla dottrina dominante un'eccezione al principio sanzionato all'art. 1128, comma 1 c.c., ossia nel senso che da un contratto conchiuso fra due persone un terzo completamente estraneo ad esso acquisti, pur rimanendo tale, un diritto sino dal momento della conclusione del contratto e per semplice effetto di essa”.
111 Così, GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, cit., 37 ss..
112 GIAMPICCOLO, voce Atto <<mortis causa>>, cit., p. 232; ID., Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 37 ss.. L'Autore nella distinzione tra negozi mortis causa e inter vivos con effetti post mortem, parte dalla distinzione tra contenuto atipico, patrimoniale e non, del testamento, in cui il primo sussisterebbe in ogni negozio costituito in vita che non è in grado di avere rilevanza per i terzi poiché non è ancora identificato il soggetto destinatario
E' l'evento morte, quindi, a determinare il sorgere di un rapporto dapprima inesistente nel quale verrebbero identificati in quel momento sia gli elementi soggettivi (destinatari), sia quelli oggettivi (beni o diritti oggetto di attribuzione).
Indici di un negozio mortis causa sarebbero la sopravvivenza del beneficiario al disponente, la considerazione del bene oggetto dell'attribuzione come entità patrimoniale commisurata al tempo della morte del disponente, l’intrasmissibilità ai terzi della situazione giuridica di cui il beneficiario è titolare, nonché la revocabilità dell’atto, tutti elementi tipici di un testamento.
Tuttavia, Xxxxxxxxxxx, diversamente da Xxxxxxx, riteneva che relativamente al contratto assicurativo vi fosse un distinguo tra i mezzi di designazione del beneficiario a seconda che la fonte fosse un contratto o il testamento, riconoscendo dunque che non fosse possibile l'applicazione tout court delle norme di matrice successoria al contratto assicurativo113. Per tal ragione, solo quando la designazione del beneficiario fosse contenuta in una clausola testamentaria, l’Autore qualificava il contratto di assicurazione sulla vita come idoneo a realizzare una attribuzione mortis causa114. In tale ottica, il contratto assicurativo sarebbe funzionalmente realizzato in vista della morte del disponente e avrebbe come unico scopo quello di determinare la sorte dei beni dell’assicurato, posto che esclusivamente l’evento morte farebbe sorgere gli effetti giuridici.
Giampiccolo, inoltre, osserva come l’unilateralità della volontà espressa, diretta a realizzare vincoli sui beni ereditari, fosse condizione necessaria e sufficiente affinché l’atto potesse produrre i propri effetti ma poiché nel nostro ordinamento, non è ammesso il contratto
dell'attribuzione e poiché è all'autore del negozio che viene lasciata la possibilità di modificare, sostituire e revocare l'attribuzione stessa. Il testamento, quindi, è il mezzo per identificare o modificare il soggetto beneficiario e gli effetti del negozio costituito in vita saranno soggetti agli effetti dei negozi mortis causa, diversamente da quanto avviene nei negozi inter vivos ove la morte rappresenta la condizione per il verificarsi degli effetti rispetto, tuttavia, ad una situazione nella quale sono già stati identificati i soggetti e l'oggetto della attribuzione. Inoltre, in questo caso, gli effetti si produrranno immediatamente alla morte del disponente indipendentemente dall'esistenza di un testamento, differentemente dalle altre ipotesi ove a quest'ultimo è dato il compito di completare quel contenuto mancante del negozio costituito in vita.
113 MANENTI, cit., p. 604, infatti, con una posizione più radicale rispetto a Xxxxxxxxxxx, sosteneva che nel contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo, in qualunque modo avvenisse la designazione, l’attribuzione del beneficio non avesse mai natura di atto inter vivos, considerandolo in ogni caso come contratto mortis causa equivalente al testamento. Oltre alla tesi di Xxxxxxxxxxx, si veda anche quella espressa da XXXXXXXXX L.V., in Il contratto a favore di terzi, in Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, 2012, p. 160, che riconosce nel contratto di assicurazione a favore di terzi un negozio a causa di morte un ruolo eccezionale rispetto ai patti successori. L'autore, in parziale modifica alla sua precedente opinione, ritiene che ove la designazione del terzo beneficiario sia effettuata mediante una disposizione testamentaria, e solo in tale circostanza, si determina l'assoggettamento dell'atto a “certe regole primarie del testamento”, tra cui la revocabilità sino al momento della morte irrinunciabile perché “non si può neppure in astratto configurare una rinuncia al potere di revocare una precedente designazione attuata mediante testamento che, proprio in ragione dello strumento con cui è realizzata, non può che restare inefficace sino alla morte del testatore”, nonché il differimento degli effetti alla morte del disponente. Secondo l'autore, quindi, la conseguenza sarebbe che il contratto a favore di terzi con prestazione post mortem, in presenza di una dichiarazione testamentaria, costituirebbe un atto mortis causa.
114 Evidenziava anche XXXXXX X., Attribuzioni patrimoniali post mortem e mortis causa, in Vita not., 1971, p. 148 che “quando parliamo di attribuzione mortis causa intendiamo anzitutto riferirci ad attribuzioni patrimoniali” in cui “la morte assurge ad elemento causale” della fattispecie negoziale in quanto l'atto attributivo “regola un rapporto che non è preesistente, ma trova la sua origine soltanto nella morte di una persona”.
a causa di morte, usando le parole dell'illustre studioso, “non v’è negozio mortis causa che non sia anche di ultima volontà”.
Invero, osserva che nel contratto a favore di terzo, l’art. 1411, secondo xxxxx, c.c. prevede che il terzo acquisti il diritto al beneficio per effetto della stipulazione, quindi, al momento stesso della conclusione del contratto, ovvero con un atto inter vivos. Inoltre, la revoca del beneficio, qualora venga eseguita mediante atto inter vivos, non è nuovamente revocabile poiché, l’art. 1411, terzo comma, c.c. dispone che in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di volerne profittare, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo risulti diversamente dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto, determinando così il consolidamento dell'acquisto in capo allo stipulante stesso. In caso di ripensamento, dunque, per ricostituire il beneficio in favore del terzo non sarebbe possibile intervenire con la revoca della revoca o mediante una nuova designazione del beneficiario, ma si dovrebbe necessariamente ricorrere ad un nuovo accordo con il promittente. Tuttavia, quando la prestazione deve essere eseguita dopo la morte dello stipulante, la revoca del beneficio potrà essere contenuta anche in un testamento e, come tale, sarà improduttiva di effetti fino alla morte ma liberamente revocabile fino a tale momento.
Nel contratto assicurativo, invece, l’art. 1920, secondo comma, c.c., prevede espressamente che la designazione possa avvenire non solo per contratto, come avviene nel contratto a favore di terzo, bensì anche per mezzo del testamento e altresì che la revoca possa realizzarsi con le medesime modalità, per cui anche attraverso il testamento, mantenendo così l'espressa libertà di revoca sino alla morte.
Xxxxxxxxxxx precisa, tuttavia, che il contratto assicurativo, quale mezzo per arricchire un terzo, funzioni come alternativa al testamento solo nel caso in cui vi sia la possibilità di
115 La configurabilità del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo come negozio mortis causa dovuta all'assimilabilità dell'art. 1921 all'art. 1412 in tema di revocabilità della designazione del beneficiario, è sostenuta anche da XXXXX E., in Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile, vol. 31, ristampa a cura di
X. Xxxxx, Napoli, 1994, p. 312, nota 3, ove osserva che “L'art. 1412 cod. civ. contempla un'attribuzione mortis causa operata mediante contratto a favore di terzo. Che essa sia da qualificare come atto mortis causa si arguisce con sicurezza dal fatto che lo stipulante, secondo il citato articolo <<può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare>>: revocabilità, che non sarebbe consentita se si trattasse di una attribuzione inter vivos. E' ammessa soltanto la rinunzia al potere di revoca verso il terzo, da farsi in forma scritta: rinunzia che con la dichiarazione del terzo, rende irrevocabile l'attribuzione. Nel che è da ravvisare una deroga al divieto dei patti successori enunciato dall'art. 458”.
revocare sino alla morte la designazione e che tale ipotesi possa ravvisarsi esclusivamente nell’ipotesi di assicurazione sulla vita caso morte o, eventualmente, in quella in forma mista.
Nell’ipotesi di assicurazione per il caso di sopravvivenza, qualora alla prima designazione, ne seguisse un’altra inter vivos, quest'ultima non fungerebbe da revoca implicita della prima, non determinando così il mutamento del beneficiario; qualora tuttavia una designazione inter vivos non sussistesse, significherebbe che il beneficio è entrato nel patrimonio dell’assicurato e, alla sua morte, si trasferirebbe al terzo a titolo derivativo117.
La coincidenza con l'art. 1412 c.c., sarebbe solo parziale ed eventuale perché questa norma ammette solo la designazione mediante contratto, a differenza dell'art. 1920 c.c. che ammette un contratto con beneficiario in bianco; solo nel primo caso, pertanto, la revoca della designazione, salvo patto contrario, comporta il consolidarsi del beneficio in capo allo stipulante.
L’Autore, dunque, considerando che attraverso la designazione contrattuale il beneficio viene acquistato per effetto della designazione stessa, diversamente da quando la fonte sia il testamento, incapace di produrre effetti prima della morte dell’assicurato, nega l’equivalenza dei mezzi di designazione del beneficiario, distinguendo a seconda che la fonte sia il contratto o il testamento e ritenendo negozio mortis causa l’assicurazione sulla vita a favore di terzo solo se realizzata a mezzo di designazione testamentaria.
Ne sarebbe conferma, secondo Xxxxxxxxxxx il fatto che l'art. 1923 c.c., preveda una serie di strumenti a tutela degli eredi, quali riduzione, collazione e imputazione relativi ai premi pagati, tipici mezzi posti a tutela dei legittimari nell'ambito delle successioni a causa di morte; ciò limiterebbe l'applicazione dei suddetti rimedi al caso di assicurazione per il caso morte, nell'ipotesi in cui designazione e revoca avvengano per testamento.
Nel caso di designazione contrattuale, qualora sussista uno spirito di liberalità, potrebbe configurarsi una attribuzione indiretta tra vivi, in tal caso, soggetta eventualmente a revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli e a riduzione e collazione per i premi pagati.
116 GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 305.
117 In tal caso, per l'Autore si realizzerebbe un legato avente ad oggetto l’indennità assicurativa e non una liberalità indiretta. Così anche XXXXXXXX, I legati, in Cod. Civ. Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, 2001, p. 136 ss..
Nel caso di designazione per testamento, invece, si riscontrerebbe una attribuzione indiretta mortis causa, poiché il terzo non potrebbe acquistare alcun diritto se non dalla morte del disponente118.
Secondo questa ricostruzione, sarebbe così inapplicabile alla disciplina del contratto assicurativo l’art. 1412, ultimo comma, c.c.119, ipotesi che troverebbe invece una regola speciale nell'art. 1920, ultimo comma, c.c., ove si dispone che il terzo beneficiario acquisti il diritto proprio per effetto della designazione e perché ciò avvenga, la designazione deve produrre i suoi effetti.
Sebbene le riflessioni di Xxxxxxxxxxx siano suggestive ed interessanti, non si può non rilevare come alcune conseguenze pratiche, nonché le considerazioni sulla ratio e sul dettato normativo che disciplina il contratto assicurativo, inducano dottrina e giurisprudenza alla pacifica esclusione del contratto di assicurazione sulla vita dal novero dei negozi mortis causa. Ed invero, partendo dalla considerazione di Xxxxxxxxxxx, non si qualifica mortis causa ogni atto che acquista efficacia con la morte del disponente, ma solo quello con il quale una
118 GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 307, il quale aggiunge che in questo caso “il testatore ha approntato in vita quel mezzo di attribuzione indiretta che è appunto la polizza di assicurazione con destinatario del beneficio in bianco. E' nel suo potere rivolgere il beneficio all'una o all'altra persona, o ancora non compiere designazione veruna, nel qual caso – com'è pacifico, e come del resto si argomenta dall'art. 1411, 3° comma, c.c. - la somma assicurata sarà compresa nella sua eredità e spetterà jure hereditario agli eredi legittimi o testamentari. Ma quando perciò egli compie la designazione, che altro fa se non destinare il beneficio di una determinata persona, procurandole un vantaggio patrimoniale? In breve, che altro effettua se non un'attribuzione? E se detta attribuzione è fatta per testamento, non è essa un'attribuzione a causa di morte, dal momento che opera alla morte e per la morte dell'attribuente?”.
119 Secondo cui la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato e lo stipulante non abbia diversamente disposto.
120 GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 306 ss.; in tal senso, anche DE XXXXXX, I patti sulle successioni future, cit., p. 88, la quale ritiene che l'art. 1920, comma secondo, c.c., relativo alla designazione per testamento del beneficiario, configuri una ipotesi di negozio mortis causa diverso dal testamento, in quanto la designazione produce effetti solo dopo la morte dello stipulante, non esistendo prima l'identificazione del soggetto a cui favore gli effetti devono prodursi.
persona dispone dei suoi diritti patrimoniali non attualmente, ma per il tempo in cui, avendo cessato di vivere, non potrà più conservarne la titolarità.
Non ogni convenzione in cui si insinua l'evento morte, quindi, è da considerarsi mortis causa; il discrimine rispetto alle convenzioni inter vivos risiede nella circostanza per cui nell'atto a causa di morte l'elemento morte non è contemplato come termine o condizione di efficacia della stipulazione, bensì entra nel congegno causale determinandone la connotazione, incidendo sull'oggetto e sul soggetto121.
Se la morte del titolare del diritto impone che si disponga la sorte di quest'ultimo, l'atto di disposizione è mortis causa; mentre se l'atto si perfeziona e diviene vincolante indipendentemente dalla morte, viene meno qualsiasi legame tra morte e atto di disposizione, dando così sempre luogo ad un atto inter vivos, nonostante il differimento della sua efficacia avvenga al momento della morte.
Affinché un negozio in cui si insinua l'elemento morte possa essere escluso dal divieto dei patti successori, è necessario che l'oggetto della convenzione sia una situazione preesistente, con una attribuzione attuale e non de residuo. L'atto mortis causa è fino alla morte del suo autore incapace di offrire alcuna aspettativa nei confronti dei terzi, non crea una relazione giuridica tra il disponente e il terzo ma rileva solamente come ultima volontà del defunto che, come tale, deve formarsi liberamente senza condizionamenti esterni.
Non si può negare che il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo sia uno strumento che possa essere utilizzato con fini successori, sebbene entro certi limiti e con aspetti peculiari che, in ogni caso, lo tengono ben distinto dalle disposizioni mortis causa, ed invero, a fronte dell'illustrata autorevole dottrina, esistono valide argomentazioni per escludere che questo contratto sia qualificabile come mortis causa.
Diversamente opinando, la principale conseguenza che ne deriverebbe sarebbe la necessaria applicazione delle regole del diritto successorio al contratto assicurativo cui seguirebbe il problema di giustificare e risolvere le eventuali incompatibilità normative tra le due differenti fattispecie.
L’analisi del contratto assicurativo non può prescindere dalla considerazione che esso sia nato con il preciso scopo di realizzare finalità previdenziali e solo a seguito dell'ampio ricorso ad esso nella prassi, sia stato normativamente impiegato anche per incentivare il risparmio, motivo per cui la disciplina che lo regola, se letta alla luce di tali presupposti,
121 Così, XXXXXXX, Xxxxx presunta erosione del divieto dei patti successori, nota a Xxxx. Civ., sez. II, 3 marzo 2009, n. 5119, cit., p. 622.
evidenzia uno spiccato favor tertii che ne contraddistingue la differenza con altre forme assicurative122 ed anche con il contratto a favore di terzo123.
Tra gli aspetti che vengono messi in luce per escludere l'assimilabilità del contratto assicurativo al testamento assume principale rilievo la loro differente funzione. Diversamente dal testamento, infatti, nel contratto assicurativo, la funzione non è quella di trasferire dei beni dal contraente-disponente al beneficiario, bensì una funzione essenzialmente previdenziale che mira a soddisfare un bisogno futuro proprio (nell’assicurazione caso sopravvivenza) o di terze persone (nell’assicurazione caso morte o miste), nei confronti delle quali si ha interesse a garantire una tutela.
L’istituto, quindi, ha come funzione principale quella di garantirsi, dietro il sostenimento di un costo, dalle conseguenze patrimoniali dannose di un evento futuro e incerto, conseguenze che verranno ripartite tra una pluralità di soggetti esposti al medesimo tipo di rischio. La sua funzione porta quindi a soddisfare un bisogno futuro tramite l’adempimento di una prestazione contrattuale ad opera dell’assicuratore. Quindi, mentre nel contratto assicurativo vi è un rapporto sinallagmatico per cui a fronte di un vantaggio futuro vi è la necessità di sostenere un costo, nell'ipotesi testamentaria nessuna spesa viene sostenuta da parte del disponente, il quale continuerà a permanere nella piena titolarità e disponibilità dei propri beni e delle proprie risorse.
Ne discende che non è possibile ravvisare nel contratto in questione un fenomeno successorio in senso tecnico in quanto esso non realizza lo scopo di trasferire beni dal de cuius contraente al beneficiario124. Infatti, giuridicamente, non vi è un trasferimento di beni dal contraente a vantaggio del beneficiario, ma il pagamento di premi da parte dello stipulante a favore dell'assicurazione affinché questa si impegni a eseguire una determinata prestazione quando si verificherà l'evento dedotto in contratto ed economicamente, la prestazione dovuta dall'impresa (rectius pagamento dell'indennità) non corrisponde al peso sostenuto dal disponente pari ai premi versati, bensì a una somma calcolata in base alla tecnica assicurativa e alle regole sulla compensazione dei rischi che disciplinano il mercato assicurativo125.
Emerge, quindi, una rilevante differenza tra il contratto assicurativo e il negozio testamentario e, soprattutto, che il trasferimento realizzatosi, seppure trovi il suo punto di
122 Secondo la dottrina prevalente, infatti, come visto, le assicurazioni danni alla persona si caratterizzano per una funzione diversa anche quando è assicurato l'evento morte, ovvero indennitaria e non propriamente previdenziale. 123 Si pensi alla possibilità di designazione generica nel contratto assicurativo, di designazione successiva anche per testamento o ai privilegi di cui all'art. 1923 c.c..
124 VOLPE PUTZOLU G., Il contratto di assicurazione quale strumento successorio, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, p. 86 ss..
125 VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, disposizioni a causa di morte e atti di liberalità, in Scintillae Juris, Studi in memoria di X. Xxxxx, III, Milano, 1994, p. 2099 ss..
origine nella morte del disponente, in realtà, non corrisponde minimamente ad una attribuzione mortis causa assimilabile al testamento.
Sicuramente alcuni aspetti della disciplina prestano il fianco ad una qualificazione del beneficio quale attribuzione a causa di morte ma confermare tale assunto condurrebbe necessariamente ad alcune problematiche di natura pratica, oltre a dover ammettere che il contratto assicurativo in questione rappresenti una eccezione al divieto dei patti successori ogni qualvolta sia presente una clausola di irrevocabilità.
Ed invero, finché nel nostro ordinamento vige il divieto dei patti successori, non si può non indagare sulla conformità o meno della fattispecie negoziale rispetto agli indici tipici dell'atto di ultima volontà, essendo il contratto a causa di morte radicalmente nullo ai sensi dell'art. 458 c.c.; ne deriva, pertanto, la necessità di escludere ogni forma negoziale alternativa al testamento che seppur produca effetti solo dopo la morte del disponente, non ammetta la possibilità di revocare liberamente la propria volontà.
La dottrina maggioritaria che si è occupata del problema relativo alla natura giuridica dell'attribuzione scaturente dal contratto assicurativo ha evidenziato che in realtà la questione sia frutto di una serie di equivoci, susseguitisi nel tempo, dovuti all'asserita incompatibilità, con la natura di atto tra vivi del contratto de quo, della (ordinaria) revocabilità del beneficio da parte dello stipulante sino alla sua morte e della possibilità di una designazione testamentaria del beneficiario126.
Si è osservato che il punto debole della minoritaria benché ammirevole ricostruzione è costituito proprio dalla natura che viene riconosciuta alla designazione del beneficiario, ritenuta infatti una vera e propria attribuzione patrimoniale, anziché un semplice negozio unilaterale, non costitutivo di un diritto, dal mero valore integrativo di una volontà.
La designazione, quindi, costituirebbe una dichiarazione negoziale di volontà che non avrebbe la funzione di regolare la sorte del patrimonio dello stipulante, bensì quella di individuare il beneficiario dell'attribuzione stessa, soggetto nei confronti del quale gli effetti si produrranno, sebbene solo alla morte dell'assicurato e dunque post xxxxxx000.
Ai fini di una corretta distinzione tra trasferimento inter vivos e passaggio a causa di morte il dato principale da cui partire è il titolo dell’arricchimento. La fonte del diritto del beneficiario, nel contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo, è da individuarsi
126 Così PALAZZO, Testamento e istituti alternativi, cit., p. 336 ss..
127 Così PALAZZO, op. ult. cit., p. 344; v. anche XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 658, il quale osserva che si tratti sempre di negozio inter vivos anche quando “il beneficiario viene designato per testamento, perché l'assicurato non compie un atto di disposizione di un suo diritto di credito verso l'assicuratore ed il beneficiario non acquista il diritto al pagamento dell'indennità a titolo di legato o di quota ereditaria, ma in base alla promessa di pagare all'indeterminato beneficiario fatta dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, integrata dalla designazione successiva; alla morte dell'assicurato sono subordinati solo gli effetti del negozio che non può perciò essere incluso fra gli atti o negozi mortis causa”.
proprio nel contratto d'origine e non nella mera designazione. La morte, in altre parole, non può essere considerata la causa attributiva del beneficio, bensì un semplice elemento temporale da cui inizieranno a prodursi gli effetti voluti dal disponente in sede contrattuale.
Sotto questo profilo, quindi, rispetto alla costruzione di Manenti non si è in presenza di un contratto mortis causa e, rispetto alla visione di Xxxxxxxxxxx, non ha rilevanza la distinzione tra designazione fatta con atto tra vivi o mediante testamento, posto che il negozio testamentario rappresenterebbe soltanto uno strumento attraverso il quale effettuare la designazione, un semplice contenitore a cui non deve essere data alcuna valenza attributiva. L'unico effetto, dunque, determinato da una designazione fatta per via testamentaria, è quello di rimandare la produzione degli effetti contrattuali al momento della morte del disponente, senza tuttavia che vi si debba ricollegare l'applicazione delle norme in materia testamentaria.
Se quindi con l'espressione atto mortis causa si indica una fattispecie in cui la morte è la causa della attribuzione, dando vita ad un rapporto dapprima inesistente e poi identificato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggetti, quando la morte è in realtà dedotta in condizione o comunque è indicata come termine per la produzione degli effetti giuridici, il rapporto negoziale sotteso è in realtà già costituito e l'evento morte assurgerà solo ad elemento che inciderà solo sugli effetti. Si è, quindi, in presenza di un atto inter vivos che produrrà i suoi effetti solo post mortem128.
L’attribuzione mortis causa trova, quindi, la sua fonte in un atto volontario posto in essere dal soggetto interessato a programmare la trasmissione dei propri beni in previsione della morte e quest’atto volontario, nel nostro ordinamento, può essere esclusivamente il testamento, unico meccanismo giuridico attraverso il quale può realizzarsi una vera attribuzione patrimoniale mortis causa129.
In sintesi, nell'atto mortis causa l'attribuzione avviene in funzione della morte, nell'atto post mortem l'attribuzione si realizza giuridicamente prima della morte, ma quest'ultima incide sul verificarsi del concreto momento attributivo130.
128 Secondo PALAZZO, op. ult. cit., p. 252, nota 32, è preferibile adottare l'espressione atti con effetti post mortem anziché atti post mortem per evitare il rischio di confusione terminologica attesa in dottrina (CAPOZZI G., Successioni e donazioni, I., Milano, 1983, p. 420 ss.) l'individuazione in questi ultimi delle disposizioni di carattere non patrimoniale che possono essere contenute nel testamento.
129 XXXXXX, Attribuzioni patrimoniali post mortem e mortis causa, cit., p. 148-149, sostiene che attribuzioni mortis causa siano <<quelle disposizioni che sul piano degli effetti si risolvono in uno spostamento patrimoniale da una sfera giuridica ad un’altra, escludendo quindi quegli atti (che possono anche essere atti non negoziali) che hanno natura di atti mortis causa, ma che non hanno la forma del testamento o possono non averla (...). Sono atti questi che secondo la legge possono essere fatti sia con atto formalmente non testamentario sia con testamento. E sono tuttavia mortis causa perché sono diretti a regolare una situazione che trova origine soltanto nella morte. Però questi atti, pur qualificandosi <<mortis causa>>, non sono atti attributivi, dimodoché può essere accettata come vera la premessa (…) che nel nostro sistema giuridico, le attribuzioni patrimoniali mortis causa in senso tecnico trovano la loro fonte unicamente nel testamento>>.
130 PENE VIDARI, Xxxxx successori e contratti post mortem, cit., p. 245 ss.. Così anche PALAZZO, op. ult. cit. p. 252, il quale osserva che “dal punto di vista oggettivo, ciò che connota l'attribuzione mortis causa è l'essere una attribuzione del residuo (quod superest), la cui entità è determinata solo al momento della morte; tutte le volte in
La dottrina, al giorno d'oggi, si mantiene costante nella distinzione tra atti inter vivos e atti a causa di morte, così come delineata sin dai primi commentatori dell'attuale codice, al fine di verificare quali accordi siano vietati e quali validi alla luce del divieto dei patti successori, ovvero per l'esigenza di individuare, tra gli istituti alternativi al negozio testamentario, quello che possa avere legittimo asilo nell'ordinamento.
Da un lato, quindi, si colloca il testamento che con la sua assoluta revocabilità, viene considerato nel nostro sistema positivo l'unico atto di ultima volontà131, dall'altro si pone l'autonomia privata espressa per via contrattuale che, al contrario, postula l'irrevocabilità unilaterale del raggiunto accordo, stante la possibilità di sciogliere il contratto solo per mutuo consenso o nei casi espressamente previsti per legge (art. 1372 c.c.).
Tuttavia, il confine tra le fattispecie post mortem valide e mortis causa invalide nel rispetto del divieto dei patti successori, non è sempre facilmente individuabile, sebbene l'attenta riflessione giuridica operata da Xxxxxxxxxxx, come si è visto, si sia rivelata chiarificatrice e fondamentale nella distinzione tra le due modalità di attribuzione.
La definizione operata dall'illustre Autore, sebbene sia stata il punto centrale per l'individuazione delle fattispecie ammissibili nel nostro ordinamento, non è risultata scevra da alcuni correttivi proposti da chi, accanto a queste due categorie, nell'intento di individuare strumenti negoziali alternativi al testamento in grado di regolare situazioni patrimoniali post mortem, nell'ambito delle cc.dd. successioni anomale contrattuali, riconduce la possibilità di realizzare risultati altrimenti raggiungibili con il testamento, in una terza categoria, quella del cosiddetto negozio trans mortem132, nella quale inserisce proprio il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo, ritenendo questa figura giuridica ideale per escludere i caratteri del patto successorio istitutivo e individuarne una valida alternativa testamentaria, rispetto ai negozi a causa di morte e a quelli con effetti post mortem133.
131 Evidenzia XXXXXX X., Xxxxxxxxx e atto mortis causa, in Percorsi di diritto privato e pubblico. Al crocevia tra tradizione e rinnovamento, Xxxxx, 2007, p. 241 che “il testamento è essenzialmente revocabile non perché attraverso la possibilità di revoca è garantita la libertà di disporre mortis causa, bensì perché il testamento è atto di ultima volontà e come tale la manifestazione di volontà rileva al momento ultimo di vita del disponente”
132 La definizione, in particolare, si deve a PALAZZO, op. ult. cit., p. 241 ss.; IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, cit., p. 53 ss.; ID., Divieto di xxxxx xxxxxxxxxx, in Commentario del codice civile diretto da X. Xxxxxxxxx, Utet, Milano, 2009, p. 51; XXXXXXXX, Il divieto del patto successorio istitutivo nella pratica negoziale, cit., p. 1411 ss.; RUSCELLO, Successione mortis causa e fenomeni <<parasuccessori>>, cit., p. 70 ss.; BOITI C., Assicurazione sulla vita e rendita vitalizia come negozi trans mortem, in Vita Notarile, 2006, I, p. 518 ss.; contrariamente, invece, ZOPPINI, Contributo allo studio delle disposizioni testamentarie <<in forma indiretta>>, cit., p. 1077 ss., il quale dubita che la categoria dei negozi trans mortem sia una via utile a superare l'ostacolo, sostenendo che anche tali atti possano comunque rientrare nella categoria degli atti post mortem.
133 PALAZZO, Attribuzioni patrimoniali tra vivi e assetti successori per la trasmissione della ricchezza familiare, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza, cit., p. 61 ss.; PENE VIDARI, Xxxxx successori e contratti post mortem, cit., p. 245 ss., XXXXX XXXXXXX, Il contratto di assicurazione quale strumento successorio, cit., p. 85 ss.; XXXXXXX, Il divieto dei patti successori e le alternative convenzionali al testamento. Riflessioni sul dibattito più recente, cit., par. 3, la quale osserva che “i requisiti del negozio transmorte sono (…) integrati dal contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo (…) maggiormente adatto a realizzare finalità mantenitorie
La dottrina, quindi, ha elaborato una figura che, in particolare, presenta alcune peculiarità individuate nel fatto che il bene oggetto di attribuzione fuoriesce dal patrimonio del disponente immediatamente o comunque prima della sua morte, l'attribuzione diverrà definitiva solo dopo la morte del disponente e, sino a quel momento, il disponente, la cui morte ne condiziona gli effetti, beneficerà di uno jus poenitendi che gli consentirà di modificare e rendere inoperante quanto disposto in precedenza. La dottrina che se ne è occupata evidenzia come il negozio transmorte si differenzi per il requisito della revocabilità, ovvero per la possibilità data al disponente di modificare o revocare l'attribuzione patrimoniale sino alla morte, elemento che eviterebbe lo scontro con i patti successori. Pertanto, saranno da considerarsi nulli, i patti dai quali si evinca che il disponente abbia inteso disporre della propria successione rinunciando al diritto di revoca, l'acquisto avvenga a causa di morte e non a diverso titolo e il beneficiario abbia contratto come avente diritto alla successione.
Nel negozio trans mortem la struttura è tipica di un atto inter vivos, l'elemento morte attiene solo al profilo dell'efficacia sia essa sotto forma di condizione o di termine o comunque ad un profilo accidentale, specie se afferisce alla sfera dei motivi; soprattutto, in esso la individuazione sia dell'oggetto dell'attribuzione patrimoniale sia del soggetto beneficiario è esattamente predeterminata già al momento di formazione della fattispecie, salva, come si diceva, la successiva produzione in tutto o in parte degli effetti negoziali.
5. Assicurazione sulla vita a favore di terzo e contratto a favore di terzo.
La disciplina del contratto di assicurazione sulla vita ammette che questa possa stipularsi sia in favore proprio che in favore di un terzo, ma un conto è il soggetto alla cui morte o vita è collegata la conclusione del contratto, altro è invece il terzo soggetto che ne trarrà vantaggio. Il beneficio nei confronti del terzo sarà certamente inevitabile quando sia dovuto per il caso di morte; ciò non toglie però che possa beneficiarne anche nell'ipotesi di assicurazione mista ove, in previsione dell'evento, la designazione di un beneficiario precluda allo stipulante di fruire della somma in suo favore.
In linea generale, quando ci si riferisce alla assicurazione sulla vita a favore di terzo, viene del tutto naturale associare subito il pensiero al contratto a favore di terzo di cui all'art. 1411 e ss. c.c. ma, in realtà, tra le due figure, più che analogie, vi sono evidenti differenze.
Sebbene possa sembrare logico il contrario, l'origine della fattispecie di cui all'art.
1411 c.c. è dovuta al contratto di assicurazione sulla vita.
anche in favore di persone estranee al nucleo familiare”.
Ed invero, durante la vigenza del codice civile del 1865, l’ammissibilità del contratto a favore di terzi era esclusa dal vigere del principio “alteri stipulari nemo potest”, di cui all'allora art. 1128 c.c.134; tuttavia, nella prassi era particolarmente frequente il ricorso a questa tipologia contrattuale, tanto da trovare un parziale riconoscimento nel Codice del commercio del 1882135 che riguardava solo l'ipotesi di designazione contrattuale.
Davanti al limite normativo si poneva quindi il dubbio circa la provenienza in capo al terzo della somma assicurata, se essa provenisse dall'assicuratore o derivasse dall'assicurato. Fu, tuttavia, l’imporsi della prassi applicativa a portare dottrina e giurisprudenza ad una interpretazione estensiva della norma136, facendo concludere per la validità di una designazione a favore di un terzo, anche se successiva al contratto, purché tale ipotesi fosse espressamente contemplata.
Si giunse così a porre le premesse per capovolgere l’originario divieto e avviarsi con il codice civile del 1942 al riconoscimento del contratto a favore di terzo, alla cui più ampia e generale categoria viene oggi dai più ricondotto anche il preesistente contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo; la disciplina, non del tutto uniforme, si giustifica in ragione della particolare struttura e funzione dei due contratti.
In particolare, le principali differenze riscontrabili tra le due fattispecie, si riscontrano nel fatto che nella previsione di cui all'art. 1411 c.c. il terzo deve essere necessariamente determinato, mentre nel contratto assicurativo può anche essere generico o determinabile. In sede di stipulazione del contratto a favore di terzo è discusso se lo stipulante possa riservarsi la facoltà di nominare successivamente il beneficiario con le stesse modalità concesse nel contratto assicurativo, ovvero con successivo atto separato o mediante testamento. Inoltre, nell’assicurazione sulla vita la prestazione dovuta gode di particolari privilegi quali l'impignorabilità e insequestrabilità, differenze da ricondurre al particolare favor tertii circoscritto alla disciplina assicurativa. Nell'assicurazione sulla vita la revocabilità della designazione è più ampia rispetto a quella concessa nel contratto a favore di terzo, in quest'ultimo caso, infatti, la dichiarazione del terzo di volerne profittare fa venire meno il potere di revoca in capo allo stipulante, mentre nell'assicurazione sulla vita la revoca può essere effettuata anche dopo tale dichiarazione, purché l'evento dedotto in rischio non si sia già
134 L’art. 1128 del Codice Civile del Regno d’Italia recitava testualmente: <<Nessuno può stipulare in suo proprio nome, fuorché per sé medesimo>>.
135 L'art. 453 cod. comm., stabiliva che in caso di morte o di fallimento del contraente, i vantaggi dell'assicurazione sarebbero rimasti ad esclusivo vantaggio della persona designata nel contratto.
136 Così evidenzia XXXXXXX, voce Assicurazioni sulla vita, in Novissimo Digesto Xxxxxxxx, X, 0, Xxxxxx, 1958, p. 1397, il quale osserva che “l'elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza dei principi regolatori dell'assicurazione sulla vita a favore di terzi (…) è servita a rimuovere dalle strettoie dell'art. 1128 cod. civ., del 1865 ed a porre su nuove e ben più larghe basi la disciplina generale del contratto a favore di terzi, le cui norme fondamentali (artt. 1411, 1413, cod. civ. vigente) riproducono oggi su di un piano più vasto i risultati precedentemente conseguiti nel nostro limitato settore”. v. anche LA TORRE, L’assicurazione sulla vita a favore degli eredi. Cinquant’anni col diritto (saggi), in Diritto delle assicurazioni, II, Milano, 2008, p. 403 ss..
verificato oppure, ai sensi dell'art. 1921 c.c., il contraente abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca.
Altra divergenza tra il modello generale e quello speciale, si rinviene nell'interesse dello stipulante, espressamente richiesto nel contratto a favore di terzo e probabilmente implicito nell'assicurazione sulla vita. In dottrina, tuttavia, alcuni xxxxxx000 ritengono che nel contratto di assicurazione a favore di terzo in realtà vi sia un interesse a trasferire un vantaggio economico e quindi che non possa definirsi un negozio caratterizzato dall’astrattezza causale; ciò poiché il requisito dell’interesse sarebbe assorbito all’interno della funzione dell’istituto, essendo il beneficio sempre concesso al soggetto che lo stipulante vuole favorire.
Ulteriore differenza tra i due istituti viene individuata nel titolo di acquisto, ovvero dal fatto che il beneficiario godrebbe non di un diritto ma di una aspettativa che, nel contratto di assicurazione a favore di terzo, non deriva dalla conclusione, come nel generale contratto a favore di terzo, bensì dal momento della designazione in suo favore.
Tuttavia, al di là di alcuni differenti caratteri strutturali, se l'inquadramento nel generale contratto a favore di terzo appare uniforme, non altrettanto pacifico è il legame tra il modello generale ex art. 1411 c.c. e quello speciale ex art. 1920 c.c..
Dall’altro lato, infine, si pone la posizione estrema di chi, in ragione della tipicità del contratto di assicurazione sulla vita qualora sia stipulata per il caso di morte a favore di un
137 BAZZANO C., Il contratto di assicurazione, Milano, 1991; LA TORRE, L’assicurazione sulla vita <<a favore degli eredi>>, in Assicurazioni, 1996, II, p. 88 ss.; XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920, c.c., in Commentario al codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, 1966, p. 393 ss..
138 DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 593; DE XXXXXXXX - XXXXXXX, Il contratto di assicurazione, in Diritto delle assicurazioni, II, testo riveduto, integrato e annotato da Xxxxxxx Xx Xxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1987, p. 220; GASPERONI, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 12; XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920, x.x., xxx., x. 000; XXXXXXX S., La situazione giuridica del beneficiario nell'assicurazione sulla vita a favore di terzo, in Diritto Privato, IV, Padova, 1998, p. 215; BAZZANO, L'assicurazione sulla vita, Milano, 1998, p. 183.
139 XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 655.
terzo, ritiene che in questo caso il vantaggio verso il beneficiario sia talmente connaturato nella fattispecie da negare che sia riconducibile al mero contratto a favore di terzo, essendo questo un semplice modo di contrarre e non un tipo negoziale autonomo140. Più nello specifico, nel valorizzare la funzione previdenziale del contratto e dando maggior rilievo alle norme che lo regolano, evidenziano che sebbene la clausola a favore di terzo possa essere apposta in ogni contratto, l’art. 1920 x.x., xxxxxxxx xxxx xxxxxxxxxxxxx xxxx xxxxx, xx xx xx xx xxxxxx xxxxxxxxxxxx strutturali con la disciplina del contratto a favore di terzo, in realtà, regoli un fenomeno diverso se l’evento in rischio è la morte dell’assicurato. In queste particolari polizze, infatti, la funzione previdenziale sarebbe naturalmente diretta ad un altro soggetto e non al contraente stesso.
Le conclusioni non sono univoche: alcuni sostengono quindi che essendo la stipulazione in favore del terzo insita nel contratto, questo debba necessariamente essere sempre considerato un contratto a favore di terzo; altri, più radicalmente, ritengono che non si sia davanti ad un modo di contrarre, ma ad un contratto che per sua natura non può che essere a vantaggio di un terzo e, dunque, a una fattispecie tipica.
Ne discende, ovviamente, che nel primo caso si potranno richiamare in xxx xxxxxxxxxxx xx xxxxx degli artt. 1411 e ss. c.c., nel secondo no. Aderendo, tra l’altro, alla tesi estrema della tipicità, non avrebbe operatività l’art. 1412, secondo xxxxx, c.c., secondo cui, nel contratto a favore di terzo, in caso di premorienza del terzo al disponente, la prestazione deve essere eseguita in favore degli eredi del terzo.
Sembrerebbe più logico, invece, secondo questa impostazione, che nell’assicurazione operi il principio opposto per cui, salvo diversa disposizione del disponente, l’attribuzione, poiché finalizzata a realizzare un atto di previdenza, sia destinata ad analoga attività o segua le ordinarie regole successorie, piuttosto che a favore degli aventi causa del terzo premorto, nei cui confronti potrebbe non ricorrere quella finalità che aveva giustificato la prima disposizione.
Ulteriore questione che emerge da queste considerazioni e che trova risvolti diversi a seconda dell'orientamento a cui si intende adire, è se la designazione del terzo successiva al contratto, con l’effetto di attribuire un diritto proprio, possa ammettersi anche laddove non fosse prevista nel contratto originario.
Coloro che aderiscono all’orientamento tradizionale, posto che il contratto di assicurazione può essere stipulato sia in proprio favore che in favore di un terzo, ritengono che la designazione di un beneficiario sia sempre possibile e mai necessaria. Conseguentemente, nell’ipotesi più specifica, di assicurazione caso morte a favore di terzo, in mancanza di
140 Così BIONDI B., Le donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1961, p. 971 ss.; VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, disposizioni a causa di morte e atti di liberalità, cit., p. 2105.
designazione originaria del beneficiario, alla morte dello stipulante, le somme assicurate verrebbero acquisite nel patrimonio di quest’ultimo e passerebbero così al terzo successivamente designato jure successionis. Inoltre, laddove ab origine manchi la clausola a favore di terzo, una eventuale successiva designazione, non trasformerebbe il contratto stipulato in contratto a favore di terzo, posta l’inammissibilità di una modifica unilaterale. Pertanto, colui che dovesse subentrare con una successiva designazione in forma testamentaria, essa non potrebbe che determinare una attribuzione mortis causa, quindi, un diritto derivato dal patrimonio del disponente.
Aderendo, invece, alle tesi minoritarie per cui nell’assicurazione sulla vita per il caso morte sia sempre implicita la stipulazione a favore di terzo, una designazione successiva sarebbe sempre ammessa, ancorché non prevista nella polizza. Ciò poiché il terzo acquisterebbe il diritto proprio per effetto della designazione. Pertanto, in assenza di una clausola a favore di terzo, il beneficiario acquisterebbe sempre jure proprio un diritto di credito e, in mancanza della designazione, a beneficiare jure proprio sarebbero gli eredi del contraente. Alla luce della funzione previdenziale, infatti, la sola ragione che induce una persona a concludere una assicurazione per la propria vita a causa di morte è quella di beneficiare un terzo determinato oppure i propri eredi.
CAPITOLO III
Gli elementi strutturali del contratto nell'analisi sull'alternatività al testamento
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L'atto di designazione, struttura, natura della dell'attribuzione e modalità di indicazione del beneficiario. – 3. L'attribuzione della somma e la premorienza del beneficiario all'assicurato. – 4. La revoca del beneficio. – 5. Il privilegio dell'intangibilità e la tutela degli eredi e dei creditori. - 5.1. Segue: Operatività temporale dell'intangibilità. - 5.2. Segue: Intangibilità delle somme assicurate e fallimento del contraente. - 5.3 Segue: Limiti all'intangibilità. –
6. L'interesse dello stipulante e la funzione “indiretta” del contratto.
1. Premessa.
Preso atto, in linea generale, che dottrina e giurisprudenza riconoscono che il contratto di assicurazione sulla vita non assuma mai la struttura di un negozio mortis causa, ma presenti i veri e propri caratteri di un negozio tra vivi con effetti post mortem o, come da alcuni definito, del negozio trans mortem, pare opportuno, in questo capitolo, analizzare più precisamente i singoli aspetti che hanno dato luogo al dibattito.
Xxxxxx, ricordando che la funzione alternativa al testamento è stata sostenuta con fermezza da quella dottrina che vede nell’attribuzione del beneficio in caso di morte una attribuzione mortis causa, in particolare per il potere di designazione attraverso il testamento e per la revocabilità della stessa sino alla morte del contraente, occorre verificare anche se tali elementi di contiguità non siano sufficienti, come sostiene l'orientamento dominante, ad affermarne l'analogia con il testamento.
Inoltre, nell'analisi delle ragioni che inducono i più a sostenere che si tratti di una attribuzione inter vivos, è doveroso prendere le mosse dal dibattito sorto sulla natura del diritto del beneficiario, se esso sia un diritto originario o derivato dal patrimonio del disponente, nonché analizzare gli aspetti strutturali del contratto, valutando le conseguenze discendenti dall'eventuale applicazione della disciplina successoria, per proseguire poi nella valutazione della idoneità o meno di trasferire, direttamente o indirettamente, ricchezze appartenenti al disponente al pari del testamento o se, ridimensionandone la portata, il contratto in questione sia un mezzo adatto al raggiungimento di altri scopi.
2. L'atto di designazione, struttura, natura dell'attribuzione e modalità di indicazione del beneficiario.
Al fine di comprendere se le clausole attraverso cui la somma corrisposta dall'assicuratore vada a beneficio di un terzo diano vita ad una attribuzione a causa di morte, oppure completino semplicemente una fattispecie inter vivos priva di un elemento sino alla designazione, il primo problema che si pone all'attenzione dell'interprete è quello di verificare
la natura di tale designazione, potendo il disponente indicare già nel contratto chi sia il beneficiario, oppure rimandarne l'individuazione a un momento successivo, sino all'apertura della successione qualora provveda tramite testamento.
L'art. 1920, comma secondo, c.c., infatti, stabilisce che la designazione può essere fatta originariamente nel contratto di assicurazione o, successivamente, mediante dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, oppure attraverso il testamento.
In dottrina e giurisprudenza è pacifico che, a prescindere dalla modalità impiegata, la designazione sia un negozio unilaterale dal carattere non recettizio, per cui, ai fini della sua efficacia, non è richiesta l'accettazione dell'assicuratore (al quale deve essere semplicemente comunicata), né del beneficiario (a cui è riconosciuta la facoltà di profittarne o meno)141. La comunicazione della designazione all'assicuratore, dunque, rappresenta un requisito di efficacia e non di validità del negozio ed è sufficiente che sia concretamente giunta a conoscenza, essendo diretta solo a individuare la persona in favore della quale deve essere eseguita la prestazione.
Non altrettanto pacifica è la natura della designazione. Il punto di partenza è costituito dalla considerazione secondo la quale lo scopo del contratto di assicurazione sulla vita non è quello di trasferire dei beni dal de cuius al beneficiario, ma quello di assicurare il soddisfacimento di determinati bisogni futuri dell’assicurato o di terzi (funzione essenzialmente previdenziale). La causa originaria dell’acquisto del beneficiario sarebbe, dunque, rappresentata dal rapporto assicurativo stesso, il quale farebbe sorgere un diritto di credito che diventerà esigibile per effetto della morte dello stipulante, ragione per la quale si sostiene che la designazione, anche se effettuata per testamento, determinerebbe comunque una attribuzione inter vivos e la morte rappresenterebbe soltanto il termine a quo per l’esecuzione della prestazione da parte dell’assicuratore.
141 Cass. Civ., 25 ottobre 1978, n. 4833, in Assicurazioni, 1979, II, p. 129, osserva che “la dichiarazione con la quale l'assicurato sulla vita, dopo la stipulazione del contratto e ai sensi dell'art. 1920, designi o sostituisca il terzo beneficiario, integra un negozio unilaterale, che non richiede accettazione dell'assicuratore, tenuto a conformarvisi pedissequamente, né è destinato a fondersi con la volontà del terzo di approfittarne”. In dottrina, XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 658, fa derivare la non recettizietà da una esigenza di uniformità della natura giuridica degli atti di designazione essendo possibile, infatti, effettuare la designazione tramite testamento; essendo esso un atto non recettizio, non sarebbe coerente considerare in modo diverso la natura degli altri tipi di designazione. La comunicazione all'assicuratore avrebbe come unico effetto quello di renderla opponibile all'assicuratore stesso; così anche PALAZZO, in Istituti alternativi al testamento, in Trattato di diritto civile a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Napoli, ESI, 2003, p. 117; ID., Testamento e Istituti alternativi, cit, p. 353; GASPERONI, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), cit., p. 12; con specifico riferimento all'ipotesi di designazione fatta anche per testamento VOLPE PUTZOLU, Assicurazioni sulla vita, disposizioni a causa di morte e atti di liberalità, cit., p. 2099 ss., la quale ribadisce “la natura e la funzione unitaria della designazione in tutte le sue forme” escludendo che quella fatta per testamento possa configurarsi come disposizione a causa di morte non avendo come funzione quella di far acquistare al terzo un diritto nuovo alla morte del disponente”; diversamente, XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920 x.x., xxx., x. 000, xxxxxxx xxx xx xxxxxxxxxxxx xxx un atto recettizio destinato all'assicuratore necessario per far sorgere il diritto in capo al terzo beneficiario.
A detta conclusione si perviene attraverso l'interpretazione e l’analisi più dettagliata delle norme che regolano il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo. E' la stessa disciplina positiva all’art. 1920, ultimo comma, c.c., a disporre che il terzo acquista un diritto
<<per effetto della designazione>>, il che significa che l’acquisto del diritto non nasce a causa dell’evento morte in capo al disponente, come nei negozi mortis causa, né dalla stipulazione del contratto, come nei contratti a favore di terzo, bensì dalla designazione del beneficiario. Ancora, il carattere peculiare del contratto in esame risiede nella circostanza che, sempre per espressa previsione dell'art. 1920, ultimo comma, c.c., il beneficiario dell'assicurazione acquista in conseguenza della designazione <<un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione>>.
L'attuale tratto normativo nasce da una precisa e complessa evoluzione che ha condotto il legislatore del 1942 ad attribuire il beneficio della somma assicurata in maniera propria, nel senso di voler evidenziare che si è davanti non ad un'aspettativa, ma a un concreto diritto che giunge al beneficiario anche se ignaro (benché sotto la condizione risolutiva di una eventuale successiva revoca), quasi a voler chiaramente esplicitare che il beneficio è “proprio” del beneficiario e che è a lui destinato in virtù della mera designazione in suo favore.
Nella vigenza del codice del 1865, come già ricordato, l’ammissibilità del contratto a favore di terzo era preclusa142, sebbene nella prassi applicativa fossero frequenti forme di assicurazione sulla vita. In un sistema normativo che ignorava la possibilità di stipulare in favore di terzi, nel tentativo di trovare la via per una regolamentazione, ci si scontrava necessariamente con la difficoltà di un suo inquadramento, in quanto emergeva una divergenza soggettiva tra il contraente assicurato che si impegnava a pagare i premi e colui che beneficiava della somma assicurata, pur non facendo parte del negozio.
Il principale ostacolo derivava dall’incertezza del soggetto da cui provenisse il beneficio, se direttamente dall’assicuratore o giungesse dall’assicurato; soprattutto, era dubbio se l’acquisto avvenisse iure proprio in base a un atto inter vivos, oppure iure hereditatis in base ad atto mortis causa, proprio perché il diritto a ricevere il capitale assicurato era esercitabile solo dopo la morte del contraente.
In dottrina, non mancarono varie soluzioni, tutte tendenti a giustificare l’autonomia dell’acquisto del beneficiario. Ciò principalmente nella sentita esigenza di salvaguardare la finalità previdenziale del contratto assicurativo e consentire così che la somma assicurata,
142 Si aggiunge qui che l'allora art. 1128 prevedeva tuttavia una eccezione pattuendo che “ciascuno può stipulare a vantaggio di un terzo, quando con ciò formi condizione di una stipulazione che fa per sé stesso, o di una donazione che fa ad altri”; LA TORRE, L'assicurazione nella storia delle idee, Roma, 1995, p. 191 ss., ricorda come nel lavori preparatori al codice civile del 1942 si evince che “la regola della nullità del contratto a favore di terzi pervenne al codice del 1865 dal diritto romano classico, con i temperamenti che in questo e nel giustinianeo aveva gradualmente ricevuti (ma ciò) aveva generato dispute gravi e dissensi profondi, sia sul principio enunciato (…) sia sul significato e sulla portata delle eccezioni (ritenendo così) di capovolgere il principio, in conformità appunto del diverso concetto moderno che non conosce le cause per le quali era sorto nel diritto antico questo divieto”.
La vera soluzione giunse dapprima con il codice del commercio, ove si stabilì per la prima volta con l’art. 453 che <<i vantaggi dell’assicurazione restano ad esclusivo beneficio della persona designata nel contratto>>144 per poi essere consacrata nella formula dell’attuale art. 1923 c.c.145, ove si prevede l'intangibilità della somma assicurata da preservarsi in coerenza con la funzione previdenziale del contratto.
La ratio di questa scelta legislativa, infatti, si rinviene nel fine che caratterizza l’assicurazione sulla vita. Lo scopo essenzialmente previdenziale che deriva dal forte desiderio di garantire una somma a terzi affinché abbiano un sostegno economico in vista di una futura dipartita, è sempre stato considerato meritevole di tutela. Ciò giustifica quindi che il contraente, a garanzia di una sicurezza economica in favore di determinate persone, si impegni a pagare dei premi, affinché l’impresa assicuratrice, alla sua morte, provveda a corrispondere una somma alla persona designata.
Da questa impostazione emergono già alcuni elementi che dimostrano come vi siano importanti differenze tra quanto avviene nella trasmissione mortis causa di un bene e quanto,
143 Per una ricostruzione e critica alle soluzioni proposte in dottrina si rimanda a XXXXXX M., L’assicurazione sulla vita a favore di xxxxx, in Saggi di Diritto Commerciale, Milano, Xxxxxxx, 1937, p. 23 ss., il quale, in particolare, alla teoria che ricostruiva il passaggio della somma assicurata in due momenti, ovvero un primo in cui questa fa capo allo stipulante e un secondo ove, offerta al beneficiario, diventa irrevocabile con l'accettazione di quest'ultimo, osservava criticamente come ravvisando nel terzo un avente causa dell'assicurato, il beneficio diventasse un bene proveniente dallo stipulante e, come tale, sarebbe stato esposto comunque all'azione di creditori e, soprattutto, il meccanismo offerta-accettazione non avrebbe ben funzionato qualora il terzo non fosse stato a conoscenza dell'attribuzione o fosse sopraggiunta l'incapacità legale, poiché l'operazione non poteva considerarsi conclusa. Ne conseguì il tentativo di aggirare l'ostacolo riconoscendo che fosse il promittente, in virtù dell'obbligazione assunta verso lo stipulante, ad offrire la somma al beneficiario, il quale accettando avrebbe acquistato il diritto direttamente dall'assicuratore e non dall'assicurato. Alla morte di quest'ultimo, quindi, sarebbe nato il diritto in capo al beneficiario, ma senza passare per il patrimonio dello stipulante. Tale ricostruzione viene ancora criticata da XXXXXX, cit., p. 28 ss., poiché il diritto del terzo non nasceva dalla designazione, ma dall'offerta che dopo la morte dello stipulante l'assicuratore avrebbe dovuto proporre al beneficiario. Sarebbe, infatti, stato sufficiente che il terzo non ne fosse a conoscenza e che l'assicuratore non facesse l'offerta per impedire l'attribuzione voluta dallo stipulante ma, soprattutto, era complicato giustificare come fosse possibile che alla morte dello stipulante, il diritto alla somma assicurata potesse non entrare in successione prima che l'assicuratore ne avesse fatto l'offerta, posto che l'offerta nasceva da un obbligo verso lo stipulante il cui corrispondente diritto cade necessariamente in successione.
144 Nacque sull'esempio della legge belga sulle assicurazioni dell'11 giugno 1874 ove all'art. 13 si prevedeva: “la somma il cui pagamento è convenuto per la morte dell'assicurato appartiene alla persona designata nel contratto, senza pregiudizio dell'applicazione delle norme di diritto civile relative alla collazione e alla riduzione, per ciò che concerne i versamenti fatti dall'assicurato”.
145 Ciò passando prima per la legge 4 aprile 1912, n. 305 che, in tema di provvedimenti per l'esercizio della assicurazioni sulla vita da parte dell'I.N.A., all'art. 19 prevedeva che “le somme dovute dall'istituto per effetto di contratti di assicurazione sulla vita non possono essere assoggettate a pignoramento o sequestro, salvo le disposizioni dell'art. 453 del Codice del Commercio”, principio successivamente ripreso dall'art. 5 del Regio Decreto legge 29 aprile 1923, n. 66, in tema di esercizio delle assicurazioni private, per transitare infine nell'art. 1923 del codice vigente.
invece, si realizzi nel contratto assicurativo in esame. Rispetto alle tipiche trasmissioni mortis causa che presuppongono la messa a disposizione e l’acquisto di beni facenti parte del patrimonio ereditario, in questo caso, l’unico addebito in capo all’assicurato può essere quello relativo al costo dell’operazione, ovvero ai premi effettivamente pagati dal contraente. Verificatosi l'evento morte il diritto alla somma assicurata nasce come diritto proprio in capo al beneficiario, ovvero come suo autonomo diritto di credito verso l'assicuratore, senza che la somma transiti per il patrimonio dell'assicurato; la prestazione dovuta dall’assicuratore, dunque, non è rappresentata da somme facenti parte del patrimonio ereditario, bensì da capitali di cui dispone l’impresa assicuratrice. Ne consegue che il beneficio non proviene dal de cuius ma, in forza della stipulazione tra i contraenti originari, dall’assicuratore. Ciò sempre che il contraente paghi regolarmente i premi e che non revochi la designazione compiuta.
Ancora, il diritto alla somma assicurata sorge sin dal momento della designazione, quindi, ancor prima che il terzo abbia dichiarato di volerne profittare e solo il beneficiario avrà la potestà di agire contro l'assicuratore per ottenere il quantum dovuto. La somma assicurata, infine, essendo frutto di un atto di previdenza che la legge vuole preferire, rimane intangibile proprio perché al terzo è dovuta ab origine dal promittente come diritto autonomo e non già dallo stipulante assicurato, sottraendosi quindi agli eventuali attacchi di creditori o eredi di quest’ultimo.
Altro profilo che ha animato la dottrina è quello relativo alle modalità di designazione del terzo consentite dall’art. 1920, comma secondo, c.c., per cui ove non avvenga contestualmente al contratto, possa comunque farsi successivamente con una dichiarazione scritta o mediante testamento.
Poiché l'assicurazione sulla vita, stando al dettato degli artt. 1919 – 1920 c.c., può essere stipulata in favore proprio o in favore di xxxxx, in dottrina si è evidenziata una divergenza di opinioni a seconda che il contratto sia stato stipulato sin dall'origine in favore di un terzo rispetto al caso in cui la scelta di designare un terzo manchi e avvenga successivamente.
Oggetto di discussione è la possibilità di riconoscere un acquisto proprio in capo al terzo anche quando il contratto sia stato originariamente stipulato in favore dell'assicurato e nulla sia previsto in ordine alla designazione del terzo, allorché la clausola non sia stata prevista, la designazione vi sia ma è fatta in favore proprio, il contraente si sia riservato di individuare il beneficiario in un successivo momento senza però provvedervi prima della morte o, ancora, nel caso di revoca della designazione cui non sia seguita una successiva nomina.
Le soluzioni proposte variano, in corrispondenza dell'orientamento cui ciascuno aderisca. Pertanto, coloro i quali ritengono che l'assicurazione sulla vita per il caso di morte sia in rapporto di specie-genere rispetto al contratto a favore di terzo, considerano la designazione del beneficiario elemento naturale e non essenziale del contratto: questa è sempre possibile e mai necessaria; tuttavia, se manchi, il contratto si intenderà stipulato in favore proprio, mentre la designazione successiva farebbe acquistare il diritto al terzo non come diritto proprio, ma come derivato dal patrimonio del disponente, come ogni altro acquisto mortis causa e soggetto alla relativa disciplina146. Si sottolinea, infatti, come un atto di designazione successiva, compiuto senza l'espressa previsione ab origine del beneficio per il terzo sarebbe inidoneo a configurare la fattispecie contemplata nell'art. 1920 c.c., sussistendo una modifica unilaterale del contratto147 e la designazione, seppur valida, darà luogo a una ordinaria attribuzione a titolo derivativo, passante per il patrimonio del contraente defunto, esattamente come avverrebbe qualora mancasse completamente148.
Qualcuno, in posizione intermedia, ha proposto la possibilità di ipotizzare la trasformabilità della polizza conclusa dal contraente inizialmente a proprio favore in una polizza a favore di terzo, in cui l'assicuratore dovrebbe accettare la designazione successiva alla stipulazione, ovvero realizzando una modifica del contratto, sicché l'accettazione da parte
146 SCALFI G., Manuale delle assicurazioni private, Milano, 1994, p. 229; MORA A., Il beneficiario dell'assicurazione sulla vita a favore di terzi, in Resp. civ. e prev., 1988, p. 333; XXXXXXXX X. xx, L'assicurazione sulla propria vita a favore di terzo e l'attribuzione per testamento della somma assicurata, in Assicurazioni, 1952, I, p. 35; DE XXXXXXXX - XXXXXXX, Il contratto di assicurazione, cit., p. 225; XXXXXXXXX, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), cit., p. 13.
147 Così XXXXXXXX X. xx., cit., p. 35.
148 Evidenzia XXXX X., in La premorienza del beneficiario nell'assicurazione sulla vita, in Banca borsa e titoli di credito, 2013, 5, parte I, p. 627, che secondo questa teoria sarà quindi discrezione del contraente stabilire se far acquisire una somma ad un terzo iure proprio oppure riservarla per sé stesso (e trasmetterla poi ai suoi eredi per successione).
149 XXXXXXX, Assicurazione sulla vita a favore di xxxxx e fallimento, in Riv. Dir. Comm., 1965, I, p. 42; v. anche VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, cit. p. 2105, la quale osserva che “la destinazione dell'indennità ad un terzo beneficiario deve intendersi connaturata al contratto, nel senso che in mancanza di designazione espressa, il contratto deve considerarsi stipulato a favore degli eredi dell'assicurato, i quali conseguentemente acquistano il diritto iure proprio”.
dell'assicuratore consentirebbe il passaggio iure proprio della somma assicurata mentre, in difetto, il diritto alla prestazione deriverebbe mortis causa dal patrimonio del contraente150.
A parere di chi scrive, alcuni problemi potrebbero sorgere anche dalle modalità con cui viene redatto il contratto di assicurazione. Invero, le polizze sono solitamente dei modelli o formulari standard precompilati nei quali il contraente si limita ad apporre segni di adesione o a compilare dati personali. Spesso già contengono una sezione nella quale è necessario indicare solo il nome del beneficiario, per cui solitamente non si pone il problema di stabilire se il contratto preveda o meno la possibilità di essere concluso a favore di un terzo, semmai quello di capire se possa esservi una differenza di acquisto, tra iure proprio o iure successionis e nei confronti di quali soggetti, laddove per esempio si accetti la stipulazione in favore del terzo senza tuttavia indicarne il nominativo (che potrebbe far intendere l'intenzione di una successiva indicazione) rispetto al caso in cui il disponente abbia lasciato completamente in bianco quella parte della proposta contrattuale. Il problema che si porrà, naturalmente, sarà quello di comprendere le intenzioni del disponente.
Relativamente alle modalità attraverso cui procedere alla designazione del terzo parrebbe, stando al dettato normativo, che non vi sia differenza alcuna riguardo alla forma scelta dal contraente assicurato, il quale può aver già chiaro al momento della sottoscrizione della polizza chi sarà il soggetto beneficiario della somma assicurata, oppure può riservarsi di indicarlo successivamente e, altresì, di modificarlo sino alla morte.
Per l’assicuratore, quindi, la designazione non è altro che il mezzo attraverso cui individuare il soggetto nei confronti del quale dovrà essere eseguita la prestazione al realizzarsi dell’evento dedotto in contratto. Tuttavia, non si è giunti assai pacificamente a questa conclusione se non ricollegandosi anche alle superiori argomentazioni, tra l'opinione di chi, seppure in xxx xxxxxxxxxxx, xxxxx sostenuto che la forma attraverso la quale lo stipulante designi il beneficiario influisca sulla natura intrinseca della designazione e l'opposta critica che evidenzia l'equivoco di confondere tra la causa e il termine dell'acquisto151.
Il legislatore lascia al contraente la massima libertà di scelta in ordine alle modalità di designazione del beneficiario senza però indicare se detta modalità comporti o meno una
150 L'ipotesi è stata prospettata da DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 602 ss.. Si può osservare, infatti, come sia riconosciuto uniformemente in dottrina che l'art. 1920, secondo comma, c.c., non essendo tra le norme dichiarate inderogabili dall'art. 1932 c.c., possa liberamente essere derogata dalla volontà delle parti, per cui potrebbero essere regolate anche diversamente le modalità di esercizio della designazione, ammettendo dunque la previsione di una accettazione, da parte dell'assicuratore, della designazione effettuata dal contraente, per cui le due dichiarazioni potrebbero essere interpretate come lo svolgimento di una sequenza proposta-accettazione all'interno di una struttura contrattuale; così anche POLOTTI DI ZUMAGLIA A., Un'ulteriore precisazione in tema di designazione del beneficiario nell'assicurazione vita, nota a Xxxx. Civ., 14 maggio 1996, n. 4484, in Dir. Econ. Ass., 1997, I, p. 338 ss..
151 Così, in particolare, XXXXXX, cit., p. 41 ss., evidenzia che tale coincidenza può valere per l'erede che acquista contemporaneamente mortis causa e tempore mortis ma non anche per il beneficiario della polizza sulla vita ove la morte dell'assicurato è il momento in cui si consolida il diritto costituito comunque in vita ed infatti “il titolo che egli accampa come fattore costitutivo del diritto è il contratto di assicurazione (…) che è sempre un atto tra vivi”.
differente disciplina. Così, da un lato, si potrebbe supporre che la diversità sia implicita, data la evidente differenza tra una nomina contrattuale e una testamentaria, dall’altro, si potrebbe ipotizzare che siano solo modalità esemplificative e, come tali, soggette in ogni caso allo stesso regime, tanto più che se il diritto alla somma assicurata è per definizione un diritto autonomo e proprio del beneficiario, si dovrebbe conseguentemente convenire che la designazione, a prescindere dal mezzo utilizzato, abbia la sola funzione di determinare la persona a cui eseguire la prestazione.
Partendo, infatti, dall'art. 1920, secondo xxxxx, c.c., lo stesso legislatore sembra aver indirizzato verso un'unica via quando ha espressamente disposto che <<equivale a designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona>>, quasi a voler proprio significare che tra le due modalità non vi sia alcuna differenza; diversamente non si spiegherebbe il motivo di una tal preoccupazione, posto che è ben noto che tra un testamento e una semplice dichiarazione scritta operino regole giuridiche tra loro diverse. Sembrerebbe, quindi, che il legislatore abbia così voluto specificare che anche nel caso di designazione a mezzo del testamento si configuri, in ogni caso, un acquisto iure proprio e non iure successionis.
A tale conclusione può giungersi altresì considerando che l'attribuzione difficilmente potrebbe valere come disposizione testamentaria avendo ad oggetto un bene che non appartiene al contraente, bensì all'assicuratore e che, stante l'acquisto di un diritto proprio, esso non passa neppure per il patrimonio del disponente che, pertanto, non potrebbe disporne. Non può che rilevarsi, dunque, come la designazione testamentaria non abbia una natura diversa dalle altre forme di designazione, ma rivesta soltanto la funzione di individuare il destinatario della prestazione. Essa, inoltre, non potrà considerarsi una disposizione a causa di morte perché la sua funzione non è quella di far acquistare al terzo un diritto nuovo alla morte del contraente, ma darà diritto a pretendere la prestazione da parte dell’assicuratore, diritto che, al pari di quanto avviene anche nelle altre forme di designazione, nasce dalla funzione tipica del contratto di assicurazione caso morte.
In dottrina, infatti, alcuni autori definiscono il testamento come un semplice contenitore152 della designazione e, come tale, non comportante alcuna diversificazione della disciplina applicabile.
La giurisprudenza di legittimità ha anch'essa osservato che la “menzionata designazione concreti mera specificazione del criterio di individuazione dei beneficiari, esplicitante che il contraente, pur avendo voluto attribuire il beneficio direttamente a persone determinate, ha indicato queste stesse per relationem, predeterminando il criterio per la loro
152 Così VOLPE PUTZOLU, in Assicurazione sulla vita, cit., p. 2107.
individuazione (per cui) non può rinvenirsi la connotazione tipica del negozio mortis causa, e cioè la manifestazione della volontà di disporre, a favore dei propri eredi, di un bene del quale si presupponga l'appartenenza – presente o futura – al proprio patrimonio”153.
L’indicato orientamento può senz’altro condividersi e da esso deriva che nella valutazione tra successione a causa di morte e trasferimento inter vivos, risulta neutra la circostanza che il riempimento154 avvenga con un atto di ultima volontà che rappresenta solo un mezzo alternativo di designazione, poiché ciò che conta è sempre e comunque il titolo dell'arricchimento, ovvero il contratto assicurativo155.
Da queste considerazioni emerge come dottrina e giurisprudenza maggioritarie escludano che il rapporto tra beneficiario e assicuratore sia disciplinato dalle norme successorie ed anzi ritengano che esso ne sia completamente escluso anche nel caso in cui i terzi designati siano gli eredi legittimi o testamentari.
L'acquisto del diritto proprio trova la sua origine nel contratto e non nella successione dello stipulante che segna soltanto il momento da cui il beneficiario può esigere quanto dovuto dall'assicuratore, per cui non può che confermarsi che il contratto di assicurazione sulla vita sia un atto inter vivos con effetti post mortem. Anche nel caso in cui la designazione avvenga per testamento, non si configurerebbe come una convenzione successoria in quanto non svolgerebbe affatto una funzione attributiva di beni dal contraente al beneficiario, ma sarebbe soltanto il mezzo attraverso il quale identificare il destinatario dell'attribuzione che comunque giungerà dal patrimonio del promittente. Il titolo dell'arricchimento è e sarà sempre rintracciabile nel contratto stipulato156.
153 Cass. Civ., 14 maggio 1996, n. 4484, in Riv. Not., 1996, p. 1490 ss. e in Giust. Civ., 1997, I, p. 167.
154 PUTORTI' V., Promesse post mortem e patti successori, in Riv. Dir. Civ., 1991, p. 804 ss..
155 Così anche PALAZZO, Testamento e istituti alternativi, cit., p. 351, osserva come “i problemi posti dai diversi modi di designazione del beneficiario dell'assicurazione sulla vita siano risolvibili non già distinguendo una diversa natura – e, soprattutto, diversi effetti – della designazione a seconda del mezzo impiegato per effettuarla, bensì alla luce di una ricostruzione <<unitaria>> dell'atto unilaterale di designazione quale dichiarazione negoziale determinativa del soggetto avente diritto alla riscossione del credito assicurativo”.
156 In giurisprudenza, sempre Xxxx. Civ., 14 maggio 1996, n. 4484, cit., p. 1490 ss., nel confermare la natura autonoma del diritto acquistato dal beneficiario di un'assicurazione sulla vita ai sensi dell'art. 1920 c.c. e la mancanza in detta fattispecie della connotazione tipica del negozio mortis causa ha statuito che “nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato è titolare di un diritto proprio alla prestazione cui è tenuto l'assicuratore e cioè di un diritto che gli deriva dal contratto di assicurazione (…)” in cui i beneficiari “divengono titolari di un diritto autonomo, che trova la sua fonte nel contratto”; Cass. Civ., 2 dicembre 2000, n. 15407, in Giust. Civ., Mass., 2000; Cass. Civ., 23 marzo 2006, n. 6531, in Giust. Civ., Mass., 2006. In dottrina, allo stesso modo, XXXXXXX FERRARA, Le successioni a causa di morte, cit., p. 405 ss.; LA TORRE, L'assicurazione sulla vita “favore degli eredi”, cit., nota a Xxxx. Civ., 14 maggio 1996, n. 4484, in Assicurazioni, 1996, II, p. 88 ss.; PALAZZO, in Istituti alternativi al testamento, cit., p. 102 ss., precisa che “il terzo acquista immediatamente un credito nei confronti dell'assicuratore promittente, la cui determinazione avviene per relationem, dipendendo dalla durata della vita dell'assicurato e, in parte, dai premi da questi versati”; XXXXX R., I confini tra attribuzioni successorie e prestazioni assicurative, in Assicurazioni, aprile-giugno 2010, vol. 77, 2, p. 260 ss.; ID., L'assicurazione sulla vita, in Il contratto di assicurazione – fattispecie ed effetti, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Xxxxxxx Xxxxxxxx, IV, 2012, Milano, p. 166 ss.; XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 661; GASPERONI, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), cit., p. 12; SIRI, La premorienza del beneficiario nell'assicurazione sulla vita, cit., p. 620 ss.; XXXXXXXX X., Contratto a favore di xxxxx e patti successori, alcuni orientamenti a confronto, in Vita Notarile, 2011, 3, p. 1799 ss; XXXX S., Assicurazione sulla vita a favore di terzo, in Manuale pratico delle successioni, Padova, 2005, p. 921; PERANO G., Assicurazione
Diversamente ragionando, infatti, dovremmo ammettere l’applicazione di discipline diverse al medesimo contratto solo perché si siano adottate diverse forme di designazione.
Più precisamente, se applicassimo le regole del diritto successorio alla designazione testamentaria dovremmo necessariamente dire che se il testamento fosse nullo, nulla sarebbe la designazione, ma è noto che questo profilo lo si scoprirebbe soltanto alla morte del disponente. A chi spetterebbe allora la somma assicurata? Dovremmo pensare ad una mancata designazione e quindi ad un vantaggio che, passando per il patrimonio dello stesso disponente, arriverebbe iure successionis agli eredi del contraente, magari disattendendo completamente la reale volontà del de cuius in ordine al soggetto beneficiario della disposizione. L'esclusione delle norme sottese alla validità del testamento consentirebbe, invece, di ammettere la validità della designazione a prescindere da eventuali vizi del testamento che costituirebbe solo il veicolo emissivo di detta dichiarazione157.
Posta poi la libertà di revoca del testamento, la quale può avvenire sempre mediante forme testamentarie, si dovrebbe dedurre che qualora vi sia una prima nomina testamentaria, eventuali revoche dovrebbero avvenire nelle medesime forme. Ne deriverebbe una soluzione assai costosa per il disponente che si trovi nell’esigenza di modificare il solo beneficiario, salvo non debba provvedere anche a modifiche di carattere strettamente patrimoniale, o sia capace di redigere un valido testamento olografo. Tuttavia, lo stesso art. 1921 c.c. indica che la designazione è revocabile con le forme con le quali può essere fatta, il che farebbe pensare che non vi sia una corrispondenza di forma tra designazione e relativa revoca e che quindi il legislatore stesso equipari le varie forme di revoca consentite.
Ancora, per via testamentaria non sarebbe ammessa alcuna designazione generica, dovrebbero applicarsi le norme in tema di incapacità a ricevere per testamento in capo al beneficiario e, soprattutto, dovremmo considerare legittimato a ricevere la prestazione il beneficiario che accetti l’eredità158. Infine, l'indennizzo dovuto in caso di morte dovrebbe essere soggetto alle imposte di successione159.
Da queste brevi considerazioni sembra potersi escludere che il titolo da cui far discendere l’attribuzione della somma assicurata sia da ravvisarsi nella determinazione volitiva del contraente a seconda che sia o meno formalizzata in una scheda testamentaria.
sulla vita e clausole <<a favore degli eredi>>, in Rassegna di diritto civile, 2009, 3, p. 644 ss.; VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, cit., p. 2099 ss..
157 Xxx XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 609 ss.; ID., Assicurazione sulla vita a favore di terzi e fallimento, cit., p. 658, la designazione resterebbe valida anche se contenuta in un testamento nullo come tale, purché contenga gli estremi di una valida dichiarazione espressa.
158 v. ancora Xxxx. Civ. 14 maggio 1996, n. 4484, cit., p. 1490 ss., secondo la quale qualora il contratto di assicurazione per il caso morte preveda “che l'indennizzo debba essere corrisposto agli eredi “legittimi o testamentari”, tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi (la successiva) rinuncia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi”.
159 Ipotesi, invece, espressamente esclusa dalla normativa fiscale, di cui meglio infra.
In conclusione, si può dedurre che la designazione costituisca una mera indicazione del criterio di individuazione dei beneficiari che possono essere indicati originariamente nel contratto o successivamente con diverse forme; beneficiari, tra l’altro, che dovranno rivestire, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all’eredità, senza che rilevino eventuali accettazioni o rinunce da parte degli stessi.
La designazione contenuta nel testamento, quindi, non rappresenterà altro che una disposizione di carattere non patrimoniale di cui all’art. 587, secondo comma, c.c., senza che ciò comporti l’implicazione di profili di carattere successorio.
Il legame con le regole di diritto successorio, sebbene sotto i profili analizzati appaia superato, in realtà, torna a riproporsi avanti in relazione alle possibili modalità di indicazione del beneficiario. In presenza di clausole ove si indichino quali beneficiari gli “eredi” occorre infatti comprendere se, in tal modo, si faccia riferimento atecnico a coloro che sarebbero eredi se la successione si aprisse al momento della conclusione del contratto di assicurazione o, invece, ai chiamati all’eredità secondo le regole successorie. Sebbene, per quanto fin qui esposto, possa dirsi ormai indiscussa la non applicabilità al contratto assicurativo delle regole di diritto successorio, il problema in realtà non è di poco conto atteso che, in questo caso, siamo al di fuori del problema dell'individuazione della natura attributiva della somma assicurata. Qui la questione è prettamente pratica e, stante l'assenza di una indicazione da parte del legislatore, è sufficiente la semplice constatazione delle soluzioni contrapposte.
L'art. 1920 c.c., infatti, laddove prevede che la designazione <<è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente>>, non richiede una espressa indicazione del beneficiario al momento della designazione, ben potendosi quindi ammettere una individuazione per relationem, con formule quali “i miei figli”, “il mio coniuge”, “i miei eredi”, eccetera.
Innanzitutto, sembra che la dottrina quasi unanime160 non abbia sollevato particolari obiezioni in merito all'individuazione del beneficiario dell'indennità quando la formula usata dal contraente assicurato sia “il coniuge”. Invero, l'individuazione pare essere concordemente riferita al soggetto che rivesta detta qualità al momento della designazione e non a quello della morte del disponente, considerato che l'acquisto si produce per il solo effetto della designazione.
In effetti, non si può non osservare che tale formula, stante il divieto di bigamia nel nostro ordinamento, consenta di individuare una ben precisa e determinata persona. In tal caso, quindi, il soggetto a cui il disponente desideri sicuramente far pervenire il beneficio non
160 XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920, cit., p. 396; XXXXXXX, voce Assicurazioni sulla vita, cit.,
p. 1401; XXXXXXXXX, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), cit., p. 13; XXXXXX, cit., p. 230; DONATI,
Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 605.
può che essere chi al momento della designazione rivesta la qualità di coniuge. In caso di premorienza del coniuge designato, dunque, si dovrebbe sostenere - e la dottrina maggioritaria così si esprime - che il diritto alla prestazione dovuta dall'assicuratore passi iure successionis agli eredi del coniuge premorto e ciò anche qualora il contraente sia nel frattempo passato a nuove nozze. Sicuramente tale considerazione nasce dall'esclusione delle regole successorie, per effetto delle quali, diversamente, il beneficiario dovrebbe essere il soggetto che abbia lo status di coniuge all'apertura della successione.
Allorché, invece, designato sia un coniuge, ma al momento dell'apertura della successione lo status appartenga a persona diversa, quest'ultima potrebbe ricevere il beneficio solo se la prima designazione fosse stata revocata e vi sia una nuova designazione in suo favore, sempre che il disponente sia ancora in grado di poterla fare161. Con riferimento a dette eventualità, tutt'altro che improbabili, in assenza di indicazioni legislative, la soluzione va individuata negli accordi delle parti e, soprattutto, nel ricorrere di un dovere di informazione gravante sull'assicuratore e sulle sue responsabilità contrattuali, affinché il contraente sia reso edotto delle conseguenze di una formula come sopra espressa.
In realtà, la soluzione preferita dalla dottrina relativa alla designazione del coniuge, suscita qualche perplessità. A parere di chi scrive, parrebbe più logico considerare che il coniuge beneficiario sia naturalmente l'ultimo che ha presenziato alla vita del disponente e che solo qualora si voglia diversamente si provveda ad una revoca o modifica della designazione.
A ben vedere, difatti, se è vero che è ammesso revocare la designazione è anche vero che, probabilmente, in caso di nuove nozze, la successiva nomina ricadrà nuovamente sul coniuge. La controversia, quindi, tra i due soggetti designati si risolverà in favore di quello designato posteriormente.
In caso di nuove nozze, specie se a seguito di divorzio, è quasi logico pensare che nessun interesse si abbia a che l'ex coniuge riceva il beneficio (che appunto non è più coniuge ma stando all'interpretazione maggioritaria, essendolo al momento della designazione, diverrebbe comunque beneficiario). A parte il caso di premorienza, in cui in assenza di nuova designazione, il beneficio potrebbe giungere con tutta probabilità a eventuali figli della coppia, essendo per entrambi soggetti legittimari, in caso di nuove nozze sarà sempre e comunque necessario apportare una modifica alla designazione.
Pertanto, attesa la possibilità di revoca, secondo la modesta opinione di chi scrive, in realtà, sarebbe più costruttivo ed eviterebbe equivoci in capo al contraente ritenere che il momento più corretto per identificare il coniuge beneficiario sia il momento della morte del
161 Ci si riferisce al caso limite in cui nonostante nuove nozze sia nel frattempo sopraggiunta un'incapacità che renda impossibile una modifica della designazione, oppure al caso di rinuncia per iscritto al potere di revoca.
A conferma della suesposta considerazione si vuole osservare che la dottrina maggioritaria, nel caso in cui la designazione generica sia rivolta ai “figli”, ritiene invece operante l'opposto criterio di identificazione163, ovvero tale designazione generica sarebbe valida nei confronti di coloro che al momento del verificarsi dell'evento rivestano la qualità di figli, siano essi naturali, legittimi o legittimati. Perché in questo caso non si prende in considerazione il momento della designazione? Sicuramente, in questo caso la dottrina è più attenta al fatto che lo status di figlio non viene a mancare, per cui la clausola generica avrebbe modo di comprendere anche tutti i figli sopravvenuti. Viene però spontaneo osservare che il contraente ben potrebbe invece riconoscere il beneficio ai soli figli presenti al momento della designazione e allora, dunque, perché ampliare forzatamente la portata della designazione? Pur condividendo che il momento più corretto per la loro identificazione sia l'apertura della successione, tuttavia, non si ritiene che lo stesso criterio debba essere escluso allorquando il designato sia il generico “coniuge”.
In ogni caso, al di là dell'opinione personale, sicuramente ciò che sarebbe opportuno fare al fine di evitare difficoltà interpretative è quella di evitare l'uso di formule così generiche, salvo l'essere perfettamente consapevoli delle conseguenze che ne derivino. Non sarebbe, quindi, sbagliato se le polizze assicurative presentassero nel foglio illustrativo dei consigli su come procedere all'individuazione del soggetto beneficiario.
Si condivide pienamente, nel caso in cui si rinvenga una disposizione genericamente rivolta a “favore dei miei eredi”, che il termine eredi non possa che essere inteso nel senso di chiamati alla eredità e quindi di soggetti che verranno concretamente identificati al momento dell'apertura della successione a prescindere dal fatto che lo siano per legge o per testamento164. Ciò poiché l’indicazione dei soggetti nei confronti dei quali la prestazione debba
162 Non si condivide, quindi, la tesi di XXXX, cit., p. 922, per il quale, invece, quando la formulazione riguardi il “coniuge” o i “figli”, il momento cui si dovrebbe fare riferimento per l’individuazione degli aventi diritto, diversamente da quello valido per “i miei eredi”, in entrambi i casi, dovrebbe essere quello della data di designazione e non quello della morte, ciò in quanto il beneficiario acquista un diritto proprio al momento della designazione e poi perché qualora subentrino nuove nozze o sopravvengano nuovi figli e il contraente può comunque modificare o revocare la precedente destinazione.
163 XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920, cit., p. 396; XXXXXXX, voce Assicurazioni sulla vita, cit.,
p. 1401; XXXXXXXXX, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), cit., p. 13; XXXXXX, cit., p. 230; DONATI,
Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 605.
164 Ulteriori problemi, infatti, si porrebbero qualora si applicassero le regole di natura successoria ove si renda necessario distinguere tra eredi legittimi o testamentari per l'individuazione dei soggetti designati. Si pensi al caso in cui nella polizza assicurativa vengano indicati quali beneficiari gli eredi legittimi e in realtà poi corrispondano altresì agli eredi testamentari, i quali accettando l'eredità assumerebbero lo status di erede testamentario, ragion per cui si dovrebbe allora negare la somma assicurata poiché spettante all'erede legittimo, oppure al caso di designazione in favore di eredi testamentari a cui non segua testamento, oppure al caso in cui i designati siano gli “eredi” e questi non accettino l'eredità, situazioni nella quale, a rigore, non dovrebbe discendere l'attribuzione della somma in assenza della qualità di eredi, contrariamente al fatto che l'acquisto iure proprio voluto dal legislatore prescinde dalla accettazione dell'eredità. Per una disamina di queste problematiche, x. XXXXXX, cit. p. 667 ss..
essere eseguita sarebbe espressa in maniera già sufficiente per una successiva corretta identificazione.
Al di là di questo parallelismo con il diritto successorio, non è ulteriormente necessario richiamare altre regole o principi di questo in ordine alla legittimazione al ricevimento della somma assicurata, non avendo rilevanza che i designati accettino o rinuncino l’eredità acquisendo lo status di eredi166. La vicenda assicurativa resta insensibile rispetto a quella successoria tanto che il beneficiario sarà libero di rinunciare all’eredità e di avvantaggiarsi del solo beneficio dato dalla somma assicurata167.
165 Diversamente, vi è chi ritiene che vi sia un ragionamento contraddittorio nel momento in cui si afferma che l'acquisto del beneficiario avvenga per effetto della semplice designazione, salvo poi ritenere che, qualora il designato sia indicato nell'erede, si renda necessario attendere usque ad vitae supremum exitus per procedere alla sua definitiva individuazione, così XXXXXX, xxx., x. 000 ss., ritiene che “qualora i beneficiari dell'assicurazione siano indicati negli eredi dello stipulante, l'accertamento del titolo richiesto dalla polizza deve avvenire al momento della designazione, mediante l'individuazione dei soggetti ai quali sarebbe riconosciuta la qualità di successori a titolo universale ove il decesso dell'assicurato si verificasse alla data dell'investitura del terzo”, così anche CICU A., Successioni per causa di morte. Parte generale (Delazione e acquisto dell'eredità), in Tratt. Dir. Civ. Comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1954, p. 70, osserva che se il beneficio è acquistato direttamente dal terzo “tutto ciò vale anche per il caso che l'assicurato abbia designato come beneficiari i suoi eredi, od abbia stipulato per sé ed eredi (…), la qualità di erede vale qui unicamente per determinare la persona (o le persone) del beneficiario”; si pone in contrasto con l'opinione dominante anche CALVO, I confini tra attribuzioni successorie e prestazioni assicurative, cit., p. 263 ss., il quale criticamente ritiene che essa sia “contraddittoria, giacché entra in aperto dissidio con la giusta premessa da cui muove, a mente della quale il diritto di credito in questione trae la propria base logica dal contratto, fungendo la morte del contraente da mero accadimento (futuro e incerto in punto quando) che non innerva la causa dell'attribuzione. Inoltre, allontana irrazionalmente la disciplina del contratto di assicurazione sulla vita dalla matrice, cui pare sistematicamente riconducibile, offerta dall'art. 1411 c.c.. Xxxxxxx allora riconoscere che il diritto di credito alla prestazione nell'assicurazione sulla vita si acquista al momento dell'accordo, laddove la morte dello stipulante assurge a evento futuro che rende esigibile il pagamento a favore del beneficiario. Il diritto in questione entra immediatamente nel patrimonio del beneficiario stesso, ed è quindi trasmissibile (…) ai suoi successori ove egli premuoia allo stipulante”.
166 Contraria è l'opinione di XXXXXXX, La situazione giuridica del beneficiario nell'assicurazione sulla vita a favore di terzo, cit., p. 225, la quale osserva: “vero è che in caso di designazione generica questa produrrà i suoi effetti ed il diritto del terzo diverrà esigibile solo allorché questi sia determinato o determinabile al momento del verificarsi dell'evento. Pertanto, ove il chiamato in via legittima o testamentaria rinunci all'eredità, questi non acquisterà mai la qualità di erede pertanto non potrà risultare il designato. In tal caso il diritto alla prestazione dell'assicuratore non potrà che essere colui il quale risulterà essere il vero erede del contraente”.
167 v. Trib. Lamezia Terme, 24 luglio 1978, in Assicurazioni, 1980, II, p. 27, “il beneficiario della polizza assicurativa, designato con la formula “a favore degli eredi legittimi”, non è l'erede, in quanto tale, ma la persona che in un determinato momento (morte dell'assicurato) riveste in astratto tale qualifica, con contestuale esaurirsi della funzione locativa e senza la minima implicazione di carattere successorio”; Cass. Civ., Sez. II, 23 marzo 2006,
n. 6531, in Resp. Civ. Prev., 2006, n. 10, p. 1734, “poiché nel contratto di assicurazione per il caso di morte il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1921 c.c., un diritto proprio derivante dal contratto alla prestazione assicurativa (salvi gli effetti dell'eventuale revoca della designazione ex art. 1921 c.c.), l'eventuale designazione dei terzi beneficiari con la categoria degli eredi legittimi o testamentari non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, atteso che tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi”;
Ne è conferma il fatto che, diversamente opinando, si giungerebbe a conseguenze contrastanti. Invero, se il diritto di accettare l’eredità si prescrive nel termine decennale, il diritto del beneficiario del contratto di assicurazione, che fino a poco tempo fa si prescriveva in un anno, dovrebbe ritenersi condizionato alla accettazione dell’eredità168. Ancora, più negativo è quanto avverrebbe per l’ipotesi di rinuncia. Se il diritto a ricevere la somma assicurata nasce dalla designazione e, quindi, prima di una eventuale accettazione della eredità, tuttavia, può venire meno qualora il beneficiario rinunci al beneficio. Ne deriverebbe che la somma sarebbe dovuta se non si è rinunciato all’eredità, mentre sarebbe negata a rinunzia avvenuta; per l’effetto, l’assicuratore che prima paga avrebbe diritto alla ripetizione della somma e, soprattutto, qualora la rinuncia del terzo facesse venire meno l'attribuzione a suo favore, si porrebbe il problema di comprendere a chi destinare la somma, atteso che va escluso che resti in capo all'assicuratore, cui procurerebbe un indebito arricchimento.
E' verosimile pensare che qualora vi sia una rinuncia da parte dell'erede, questa nasca per la presenza di una eredità dannosa alla quale, salvo una accettazione con beneficio d'inventario, seguirebbero ulteriori rinunce, con l'effetto, di certo non voluto dallo stipulante, di far giungere il beneficio ai chiamati in subordine e persino allo Stato. Inoltre, poiché la retroattività della rinuncia all'eredità nel diritto successorio comporta che colui che rinunci sia considerato come se non fosse mai stato chiamato all'eredità, quindi, come se non avesse mai rivestito la qualità di erede, il rinunciante perderebbe il diritto di ricevere la prestazione. In realtà, la rinuncia dell'erede, oltre al fatto di essere revocabile, non priva quest'ultimo di eventuali donazioni o legati e, soprattutto, la retroattività in campo successorio ha lo scopo di evitare il formarsi di res nullius in un congegno proprio della successione mortis causa che quindi non può interpretarsi allo stesso modo in situazioni giuridiche che nascono inter vivos.
Nell'assicurazione sulla vita a favore di terzo, infatti, il diritto proprio si acquista per effetto della designazione, la quale, seppure fatta per relationem, ha già spiegato i suoi effetti, posto che alla morte dello stipulante, la designazione è ormai divenuta irrevocabile. A ragion del vero, l'art. 1921, comma 1, c.c., riconosce proprio che il beneficio non può essere revocato
recentemente, Cass. Civ., Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19210, in Diritto & Giustizia, 2015, n. 35, p. 95 ss., di cui meglio infra.
168 L'attuale formulazione dell'art. 2952 c.c., stabilisce che “il diritto al pagamento delle rate di premio si prescrive in un anno dalle singole scadenze. Gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda, ad esclusione del contratto di assicurazione sulla vita i cui diritti si prescrivono in dieci anni”, comma così sostituito dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134 che ha portato la prescrizione a due anni e dal successivo art. 22, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con L. 17 dicembre 2012,
n. 221 che ha previsto per la sola assicurazione vita la prescrizione decennale. Recentemente, Trib. Sassari, Sez. I., 20 ottobre 2014, in Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, 2014, ha evidenziato che poiché il diritto alla prestazione del terzo beneficiario della polizza vita trova la propria fonte in via immediata e diretta nel contratto di assicurazione, il beneficiario, pertanto, potrà esercitare il proprio diritto “dal momento del decesso dell'assicurato ex art. 2552 c.c. Tale possibilità va ancorata alla mera possibilità legale di agire e non a vicende di natura soggettiva o circostanze la cui verificazione dipende unicamente dal soggetto interessato”, dichiarando prescritto, nel caso di specie, il diritto del beneficiario che aveva invece sostenuto la decorrenza dal ritrovamento del contratto di assicurazione.
Per tali e condivisibili motivi, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie riconoscono che in presenza di una generica designazione in favore degli eredi, il momento della loro individuazione non possa che essere la morte del disponente170, senza che tale evento comporti un rinvio e alla applicazione di norme di origine successoria, anche in tema di accettazione e rinuncia dell'eredità, evidenziando la totale indipendenza dell'attribuzione del beneficio al terzo rispetto alla vicenda successoria del contraente.
3. L'attribuzione della somma e la premorienza del beneficiario all'assicurato.
Il richiamo alle regole di diritto successorio sebbene venga genericamente escluso si insinua quando ad essere designati siano gli eredi e ciò poiché è alquanto difficile intendere diversamente il significato di un termine tecnico che nasce proprio nel diritto successorio. Allo stesso modo, non è semplice riuscire a disciplinare l'attribuzione della somma assicurata prescindendo totalmente dalle regole successorie in presenza di aspetti che comunque ruotano intorno ad un de cuius e a una disposizione testamentaria, quantunque sia chiaro che la fonte dell'attribuzione sia contrattuale. Ne è riprova, infatti, un recente mutamento giurisprudenziale in ordine alla ripartizione in quote della somma assicurata qualora vi siano più eredi designati.
169 Come sapientemente osservato da LA TORRE, L'assicurazione sulla vita a favore di xxxxx, cit., p. 103, “nulla perciò giustifica l'analogia o l'estensione di una norma sulle successioni (art. 521 cod. civ.), alla materia delle assicurazioni: il rinunziante sarà pure da considerare come “mai chiamato” all'eredità, ma ciò non toglie che egli, come beneficiario, era e resta per sempre “identificato” agli effetti assicurativi”.
170 LA TORRE, L'assicurazione sulla vita a favore degli eredi, cit., p. 98 ss.; XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920, cit., p. 395 ss.; XXXXXXX, voce Assicurazioni sulla vita, cit., p. 1401; DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 605; VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, disposizioni a causa di morte e atti di liberalità, cit., p. 2107 ss.; MORA, Il beneficiario dell'assicurazione vita a favore di terzi, cit., p. 338; XXXXX XXXXXXX G., Evoluzioni del diritto delle assicurazioni e rapporti con il diritto delle successioni, in Riv. Dir. Civ., 2005, II, p. 437 ss..
171 La giurisprudenza di legittimità, infatti, chiamata più volte in proposito, ha sempre affermato che “mentre l'individuazione dei beneficiari-eredi va effettuata attraverso l'accertamento della qualità di erede secondo i modi tipici di delazione dell'eredità (testamentaria o legittima: art. 475, I comma e 565 c.c.), le quote fra gli eredi, in mancanza di uno specifico criterio di ripartizione, devono presumersi uguali, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto e non applicandosi, quindi, la disciplina codicistica in materia di successione con le relative quote”, così Xxxx. Civ., 5 marzo 2001, n. 3160, in Foro Italiano, 2001, I, p. 2871; in tal senso, così già Cass. Civ., 10 novembre 1994, n. 9388, in Giur. It., 1995, I, 1, p. 1220, ove osserva che qualora nel contratto si preveda la liquidazione in favore dei “beneficiari designati o, in mancanza, agli eredi, detta clausola va interpretata nel senso che essa preveda un duplice meccanismo di designazione contrattuale, con la conseguenza che per la determinazione della quota di indennizzo spettante a ciascuno degli eredi non si deve fare riferimento alle norme sulla successione, essendo la fonte regolatrice della controversia costituita esclusivamente dal contratto; ove questo non prefiguri uno specifico criterio di ripartizione delle quote fra i beneficiari, le quote medesime si presumono uguali”. In dottrina, si esprimeva contrariamente VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, cit., p. 2108,
La Corte di legittimità, confermando l'orientamento riguardo all'identificazione degli eredi, si discosta in relazione alle modalità di attribuzione della liquidazione della somma, statuendo il principio per cui “quando in un contratto di assicurazione sulla vita sia stato previsto per il caso di morte dello stipulante che l'indennizzo debba corrispondersi agli eredi - tanto con formula generica, quanto a maggior ragione con formulazione evocativa degli eredi testamentari o in mancanza degli eredi legittimi -, tale clausola dev'essere intesa sia nel senso che le parti abbiano voluto tramite dette espressioni individuare per relationem con riferimento al modo della successione effettivamente verificatosi negli eredi chi acquista i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore, sia nel senso di correlare l'attribuzione dell'indennizzo a più soggetti così individuati come eredi in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto secondo la modalità di successione effettivamente verificatasi, dovendo invece escludere, per la mancata precisazione della clausola contrattuale di uno specifico criterio di ripartizione che a quelle modalità di individuazione delle quote faccia riferimento, che le quote debbano essere dall'assicuratore liquidate in misura eguale”172.
La recente sentenza pur tenendo conto della consolidata giurisprudenza e della dottrina del diritto delle assicurazioni in merito, tuttavia, reputa privo di giustificazione “l'assunto che clausole simili si debbano interpretare nel senso che impongano, ai fini della individuazione del beneficiario, soltanto l'individuazione secondo le regole della successione verificatasi e contemplata dalla clausola, di chi sia erede dello stipulante per il caso di morte, ma non, in mancanza di espresso riferimento anche alla posizione di erede quanto alla ripartizione dell'eredità (e, dunque, alla ripartizione secondo le regole della successione legittima o secondo le regole della successione testamentaria)” ciò in quanto “secondo il senso letterale dell'espressione “erede”, tanto se l'eredità sia stata devoluta ab intestato quanto se sia stata devoluta per testamento, l'evocazione con detta espressione della figura dell'erede non può che implicare un riferimento non solo al modo in cui tale qualità è stata acquisita e, quindi, alla fonte della successione, ma anche alla dimensione di tale acquisizione e, dunque, al valore della posizione ereditaria secondo quella fonte”. Ciò anche tenendo conto di quella che può essere l'interpretazione della comune intenzione delle parti, poiché è sufficiente riflettere sul fatto che “quando lo stipulante e la società assicuratrice
secondo la quale in mancanza di designazione espressa, invece, “la somma assicurata, ancorché acquistata iure proprio, vada ripartita in base alle quote ereditarie. E' logico dedurre presumere che la mancanza di designazione espressa sottintende la volontà del contraente di ripartire la somma assicurata secondo le regole dalla successione”; così anche secondo XXXX, cit., p. 923, “solo nell'ipotesi in cui manchi una designazione espressa dovrebbe ritenersi che la somma assicurata vada ripartita in proporzione delle quote ereditarie, ancorché i beneficiari acquistino il beneficio iure proprio e ciò in quanto la mancanza di designazione può essere interpretata come volontà tacita del contraente di ripartire l'indennità secondo le regole della successione”.
172 Cass. Civ., Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19210, in Diritto & Giustizia, 2015, n. 35, p. 95 ss., con nota di XXXXXXXXX X., Se i beneficiari sono gli eredi: la ripartizione è per stirpi in caso di subentro per rappresentazione”.
prevedono per il caso di morte dello stipulante come beneficiari gli eredi legittimi in mancanza di eredi testamentari, la comune intenzione delle parti non può che essere se non quella di voler alludere alla misura in cui la successione secondo l'uno a l'altro titolo si verificherà”.
Il ragionamento operato dalla Corte – al quale si aderisce – va a colmare un aspetto pratico non regolato dal legislatore, assumendo che la scelta di una attribuzione per quote uguali fosse dovuta alla necessità di agevolare il compito dell'assicuratore al quale sarebbe stata sufficiente la sola dimostrazione della qualità di erede per un rapido pagamento dell'indennizzo in quote eguali, evitando così che l'individuazione delle quote spettanti secondo i criteri successori allungasse i tempi di liquidazione. Tuttavia, se è vero che è la fonte contrattuale a regolare l'acquisto del diritto, tale rapporto lega soltanto l'assicuratore e il terzo, per cui a parere della Corte, ammettere che il richiamo agli eredi sia riferibile solo ai fini della individuazione dei beneficiari e non anche al valore della posizione ereditaria, sarebbe una ingiustificata forzatura della volontà del testatore.
L'assunto non può che condividersi alla luce anche delle problematiche che sorgono intorno agli aspetti non espressamente disciplinati, ancorché creino maggiori problemi applicativi: si pensi alla semplicità di una ripartizione tra eredi in parti uguali rispetto alla ripartizione per stirpi in caso di premorienza del designato e di subentro per rappresentazione di altri soggetti; alla maggiore semplicità operativa se ne contrappone una più complessa ma maggiormente aderente alla realtà ereditaria alla quale si applica.
Resterebbe, a questo punto, da chiedersi se il menzionato criterio di ripartizione per stirpi operi solo quando ab origine il disponente indichi quali beneficiari gli eredi o se possa estendersi anche laddove la nomina non sia generica ma il beneficiario premuoia. Chi subentra e in che misura? Invero, un aspetto sul quale manca totalmente un riferimento normativo è quello della premorienza del beneficiario allo stipulante173. E' evidente che affinché il beneficiario possa acquistare il proprio diritto è necessario che sia in vita al momento della morte dell'assicurato.
Il problema che si pone nella prassi negoziale consiste nel verificare la sorte della somma assicurata, ovvero a quali soggetti dovrà essere liquidata, se agli eredi del beneficiario o agli eredi dell'assicurato e con quali modalità venga dunque successivamente trasmessa, atteso che non è pacifico se gli eredi del beneficiario premorto acquistino iure hereditatis o iure proprio. Nel silenzio del legislatore, quindi, dottrina e giurisprudenza si sono animate nella ricerca del criterio solutorio di eventuali controversie.
173 Per chi dovesse approcciarsi per la prima volta nella lettura di una polizza assicurativa, dovrà tenere presente che quando si fa riferimento alla premorienza essa non deve essere intesa in questi termini, ma come morte dell'assicurato prima della scadenza contrattuale.
Secondo i sostenitori della natura mortis causa dell'attribuzione, l'ipotesi della premorienza sarebbe necessariamente regolata dalle norme successorie evidenziando, anche in questo caso, come il contratto di assicurazione sulla vita realizzi una trasmissione mortis causa del beneficio in funzione alternativa al testamento. La ragione di questa considerazione viene riscontrata nel fatto che l’acquisto del diritto da parte degli aventi causa del beneficiario coinciderebbe con la morte dell'assicurato (successiva a quella del beneficiario), che in questo caso non rappresenterebbe solo una condizione per esigere la prestazione, ma costituirebbe proprio il punto di origine del diritto; fino a tale momento, non si sarebbe potuto instaurare un rapporto obbligatorio giuridicamente vincolante, attesa l’incertezza in ordine al beneficiario della somma assicurata.
Esclusa tale ricostruzione dalla dottrina maggioritaria, i sostenitori dell'applicabilità delle norme del contratto a favore di terzo al contratto di assicurazione sulla vita risolvono il primo quesito richiamando proprio l'art. 1412, comma secondo, c.c., per cui <<la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo>>, mostrando, tuttavia, una non pacificità di opinioni in ordine alla natura dell'attribuzione. Infatti, per alcuni gli eredi del terzo beneficiario acquisterebbero un diritto iure successionis174, essendo trasmesso direttamente dal loro dante causa per effetto della stipulazione in suo favore dallo stipulante, per altri l'acquisto avverrebbe, invece, iure proprio175. La giurisprudenza ha evidenziato le stesse perplessità176.
E' chiaro che comprendere quale natura rivesta l'attribuzione abbia una rilevanza pratica di rilievo, poiché acquistare iure proprio, come visto, implica diventare titolari di un
174 Tra i sostenitori dell'acquisto iure hereditatis, DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 612; BAZZANO, L'assicurazione sulla vita, cit., p. 190; XXXXXXX, La situazione giuridica del beneficiario nell'assicurazione sulla vita a favore di terzo, cit., p. 222 ss; GASPERONI, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita) cit., p. 13; XXXXXXXX, voce Dell'assicurazione, sub. art. 1920, cit., p. 397; DE XXXXXXX A., Natura del credito del beneficiario di assicurazione sulla vita e sua impignorabilità in sede ordinaria e fallimentare, in Assicurazioni, 1956, II, 2, p. 96; COTTINO, L’assicurazione: l’impresa e il contratto, cit., p. 231. Tra i sostenitori di questo orientamento vi è chi comunque esclude l'applicazione delle regole di diritto successorio, per cui non potrà darsi luogo ad esempio alla rappresentazione, POLOTTI DI ZUMAGLIA, voce Vita (assicurazione sulla), in Dig. Disc. Priv., Torino, 1990 p. 444, criticato da SIRI, La premorienza del beneficiario nell'assicurazione sulla vita, cit., p. 633, il quale osserva che ne deriva “implicitamente che siano gli eredi del beneficiario a subentrare nel medesimo, così come accade nell'impostazione dell'acquisto iure proprio”. Si verificherebbe così una forma anomala di rappresentazione rispetto all'art. 467 c.c., limitandola al solo caso in cui il beneficiario “non possa accettare” e facendola operare a favore di qualsiasi erede e non soltanto ai discendenti.
175 Sostengono invece l'acquisto iure proprio XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 45, FUNAIOLI C.A., Xxxxx impignorabilità del diritto del beneficiario di assicurazione sulla vita e degli eredi del beneficiario premorto, in Assicurazioni, 1958, II, 2, p. 36; XXXXX, I confini tra attribuzioni successorie e prestazioni assicurative, cit., p. 183; PERANO, cit., p. 665; FERRARI, Le assicurazioni sulla vita, cit., p. 443.
176 x. Xxxx. Xxxxxx, 00 luglio 1944, in Assicurazioni, 1945-1946, II, 2, massima n. 32; Trib. Milano, 20 marzo 1956,
in Assicurazioni, 1956, II, p. 93; Trib. Firenze, 4 dicembre 1968, in Assicurazioni, 1970, II, p. 250 che richiamando l'applicazione della disciplina di cui all'art. 1412, comma secondo, c.c., concludono a favore dell'acquisto iure hereditatis, senza tuttavia darne motivazione; in senso opposto, App. Milano, 29 luglio1957, in Assicurazioni, 1958, II, p. 33, in riforma a Trib. Milano, 20 marzo 1956, cit., sostiene che applicando l'art. 1412, comma secondo, c.c., si va a creare una nuova designazione rispetto a quella originaria: se il legislatore avesse voluto che il beneficio passasse iure successionis agli eredi del beneficiario premorto, sarebbe stato sufficiente richiamare i principi successori (v. rappresentazione), in luogo della disposizione di cui all'articolo 1412 c.c.. Per cui all'inerzia dello stipulante in caso di premorienza del beneficiario si deve presumere la sua volontà di estendere agli eredi del designato il diritto all'attribuzione.
diritto autonomo rispetto a quello vantato dall'assicurato. Il diritto non transita nel patrimonio di quest'ultimo, bensì si trasferisce attraverso la fonte contrattuale, per cui la somma non è parte dell'asse ereditario dell'assicurato e conseguentemente non potrà essere oggetto delle regole di diritto successorio. Non sarà necessario accettare l'eredità e il beneficiario acquisterà il diritto in virtù di un obbligo contrattuale e non a titolo di quota ereditaria. La somma, dovrebbe probabilmente ancora essere distribuita in parti uguali tra i beneficiari, ancorché subentranti in caso di premorienza, salvo diversa disposizione dello stipulante e salvo non vi sia stata designazione generica da cui, secondo il recente orientamento, far discendere una attribuzione per stirpi.
L'orientamento prevalente in dottrina pare essere quello che sostiene la natura iure proprio dell'acquisto e tra le varie opinioni vi è quella di chi ritiene che la premorienza del beneficiario interrompa la formazione progressiva del contratto assicurativo che quindi non si concluderà utilmente in favore del terzo designato177. Ne discende il quesito per cui se il diritto alla polizza, in questo caso, ritorni in capo al contraente oppure giunga, in ogni caso, agli eredi del beneficiario premorto. Secondo questo orientamento, l'art. 1412, secondo xxxxx, c.c., istituirebbe ex novo il beneficiario della polizza sostituendo al designato originale gli eredi del beneficiario, i quali acquisterebbero il diritto alla somma iure proprio e non iure successionis. Pertanto, in assenza di una decisione contraria dello stipulante, la polizza non potrebbe che essere intesa a favore degli eredi del beneficiario, i quali acquisteranno il diritto iure proprio in virtù del contratto di assicurazione178.
Un orientamento minoritario179, sebbene accolto dalla giurisprudenza di merito180, tenuto conto che l'assicurazione sulla vita è finalizzata a realizzare un atto di previdenza a favore di un terzo determinato e non a favore dei suoi aventi causa, ritiene debba applicarsi il principio opposto rispetto a quello dell'art. 1412, comma secondo, c.c., escludendone così una applicazione analogica automatica. Secondo tale dottrina, salvo diversa disposizione del contraente, il diritto del beneficiario, in considerazione della natura personale dell'attribuzione, prima della morte deve intendersi intrasmissibile e, non applicandosi la regola per cui la prestazione, in caso di premorienza, deve essere eseguita nei confronti degli eredi del terzo beneficiario, ne esclude così in loro favore la trasmissibilità iure proprio e ne deduce la trasmissione agli eredi dell'assicurato, in quanto il diritto alla polizza ritornerebbe in capo all'assicurato fino a quando questo non provvederà a nuova nomina.
177 XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 45.
178 Così anche FUNAIOLI e POLOTTI DI ZUMAGLIA, sebbene, diversamente da XXXXXXX, ritengano che non vi sia alcuna interruzione nella formazione del contratto assicurativo.
179 VOLPE PUTZOLU, Assicurazione sulla vita, cit., p. 2106.
180 v. App. Firenze, 6 giugno 2011, in Assicurazioni, 2011, II, p. 555.
La soluzione, tuttavia, a modesto parere di chi scrive, sebbene sembri apprezzata da recente – benché ancora isolata - giurisprudenza di merito, potrebbe non essere condivisibile se la motivazione dovesse essere ricondotta alla sola convinzione di non poter applicare le norme del contratto a favore di terzo o dalla considerazione che l'assicurazione è finalizzata a realizzare un atto di previdenza in favore solo di un determinato soggetto e non a favore dei suoi aventi causa. Si ritiene, infatti, che l’assicurazione sulla vita a favore di terzo, possa raggiungere il suo scopo previdenziale anche quando, a seguito della morte del beneficiario, il capitale o la rendita assicurati vengano acquistati come diritti iure proprio dagli aventi causa dello stesso, ciò perché è fatta salva la possibilità per il contraente di escludere tale eventualità. Xxx, infatti, si potrebbe obiettare che in caso di premorienza del beneficiario, il disponente conservi la possibilità di revocare o modificare la designazione qualora non voglia che il beneficio giunga agli eredi del designato premorto. L'inerzia dovrebbe quindi essere intesa, più probabilmente, come volontà di far sì che la somma sia destinata, in ogni caso, a quel ramo familiare piuttosto che nel proprio; diversamente, basterebbe già provvedere a designare i propri eredi o a non designarne alcuno.
4. La revoca della designazione.
L'art. 1921 c.c. dispone che la designazione del beneficiario da parte dello stipulante possa essere revocata con le medesime forme con le quali può essere fatta.
La revoca, inoltre, non può essere compiuta dagli eredi dopo la morte del contraente, nell'ipotesi di assicurazione caso morte, né dopo che, verificatosi l'evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficio, nel caso di assicurazione di sopravvivenza. Più esattamente, considerato il tenore complessivo dell'art. 1921, comma primo, c.c., la revocabilità non può che essere riferita a polizze di assicurazione per il caso vita 181 allorché l'evento dedotto non si sia ancora verificato e nelle polizze per il caso morte con riferimento all'ipotesi di revoca mediante testamento, fermo restando, in ogni caso, il diritto del beneficiario di rinunziare al beneficio, in applicazione dei principi generali dell'ordinamento.
La revoca della designazione, dunque, consente allo stipulante di mantenere la più ampia libertà nell'individuare il soggetto beneficiario dell'attribuzione della somma assicurata, sia nell'ipotesi di assicurazione caso morte che di sopravvivenza, lasciandogli il potere di controllo degli eventuali designati e la possibilità di rivedere le proprie decisioni o anche di decidere di non destinare più ad un terzo soggetto la prestazione del promittente.
181 Esempio: Xxxxx stipula un contratto di assicurazione prevedendo che se egli sopravviva a Xxxx, l'assicurazione corrisponderà una determinata somma al figlio di Xxxx alla data del raggiungimento della maggiore età da parte di questi. Dopo la morte di Xxxxx, i suoi eredi non potranno revocare il beneficio a favore del figlio di Xxxx.
Il diritto proprio ed autonomo che il terzo acquista per effetto del contratto, sebbene sia dovuto sin dal momento della designazione, in realtà, troverà la sua stabilità al momento in cui si realizzerà l'evento dedotto in contratto, sebbene solo nel caso di assicurazione caso morte, con la dipartita dello stipulante assicurato cesserà il potere di revoca, mentre nelle altre tipologie questo potrà ancora essere esercitato anche dopo l'evento assicurato purché il designato non abbia già dichiarato di voler profittare del beneficio.
Nel contratto assicurativo, tra l'altro, il potere di revoca della designazione, rispetto alla disciplina del contratto a favore di terzo, presenta una portata maggiore. In quest'ultimo, invero, la dichiarazione del beneficiario di voler profittare fa venire meno il potere di revoca; nell'assicurazione sulla vita, invece, la revoca potrà essere effettuata anche successivamente a tale dichiarazione, purché non si sia già verificato l'evento e non vi sia stata la rinuncia per iscritto al relativo potere da parte dello stipulante. Pertanto, la sola dichiarazione del beneficiario di volerne profittare non sembra essere in grado, in questo caso, di impedire una successiva revoca. Invero, la disciplina di cui all'art. 1921 c.c., sembra rifarsi a quella dell'art. 1421, comma primo, c.c., in cui <<se la prestazione deve essere effettuata al terzo dopo la morte dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest'ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca>>. Pertanto, affinché la dichiarazione del terzo renda definitiva la designazione è necessario che sia già avvenuta la rinuncia dello stipulante al potere di revoca o il sopravvenuto evento assicurato182.
Nel principio di revocabilità del beneficio sino alla morte del disponente si esprime il fine prettamente previdenziale dell'assicurazione sulla vita. Proprio la possibilità data al contraente di valutare con attenzione quali siano i bisogni che intenda maggiormente soddisfare, costituisce la principale caratteristica dell'assicurazione sulla vita, quella che più la avvicina al testamento.
La dottrina che aderisce alla tesi per cui il contratto di assicurazione sulla vita sia in grado di rappresentare una alternativa al testamento, infatti, vede nella revocabilità del
182 Così in dottrina, DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, cit., p. 608; XXXXXXXXX, voce Assicurazione (Assicurazione sulla vita), cit., p. 13; XXXXXXX, voce Assicurazione sulla vita, cit., p. 662; DE XXXXXXXX-XXXXXXX, Il contratto di assicurazione, cit., p. 225; XXXXXXX, voce Assicurazioni sulla vita, cit., p. 1402; XXXXXXXX, Dell'assicurazione, sub. art. 1920, cit., p. 399; VOLPE PUTZOLU, L'assicurazione, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxxx, XIII, Torino, 1985, p. 106; SCALFI, Manuale delle assicurazioni private, cit., p. 213; BUGIOLACCHI L., Assicurazione sulla vita e nuova designazione del beneficiario per disposizione testamentaria incompatibile: il rapporto tra forma e natura dell'atto di designazione, nota a Trib. Palermo, 22 gennaio 2003, in Resp. Civ. e Prev., 2004, II, p. 831 ss., osserva che “il meccanismo è il seguente: in assenza di dichiarazione scritta di irrevocabilità, opera il primo comma dell'art. 1921 c.c., il quale prevede appunto che la revoca possa sempre farsi a meno che l'evento dedotto in rischio si sia verificato ed il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficio. Se, invece, l'indicazione del beneficiario è stata dichiarata irrevocabile per iscritto, come previsto dal secondo comma dell'art. 1921 c.c., l'irrevocabilità produce solo un effetto limitato, quello cioè di non consentire la revoca solo a partire dal momento in cui il beneficiario abbia dichiarato al contraente di volerne profittare, e ciò anche prima del verificarsi dell'evento”.