CAPITOLO X
CAPITOLO X
Il contratto di comodato
Sommario: 1. Nozioni generali. – 2. Questioni rilevanti. – 2.1. L’immobile adibito ad abi- tazione familiare. – 2.2. L’immobile adibito ad abitazione parafamiliare.
1. NOZIONI GENERALI
Il comodato è un contratto col quale una parte consegna all’al- tra una cosa mobile o immobile affinché quest’ultima se ne serva secondo l’uso pattuito o per il tempo determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta (art. 1803 c.c.).
La realità del contratto è, dunque, evidente e si evince dalla stessa definizione codicistica, là dove viene fatto specifico riferimento alla con- segna e non all’obbligo di consegnare.
Secondo giurisprudenza costante e risalente nel tempo, la consegna, richiesta per il perfezionamento del contratto di comodato, non deve ne- cessariamente rivestire forme solenni o avvenire materialmente, ma può avere luogo in qualunque modo che valga giuridicamente a porre il co- modatario in grado di servirsi della cosa.
Il comodato è un contratto unilaterale, con obbligazioni, cioè, a carico di una sola parte.
Altro requisito che connota il contratto di comodato è la gratuità, così come sancisce espressamente il Codice civile ex art. 1803, co. 2. La previsione di un corrispettivo è, dunque, incompatibile con lo schema causale del comodato.
Capitolo X – Il contratto di comodato
2. QUESTIONI RILEVANTI
2.1. L’immobile adibito ad abitazione familiare
Quesito
Il caso di comodato di immobile adibito ad abitazione familiare senza fis- sazione di termine, il comodante può esigere la restituzione immediata?
Notevole rilievo assume la questione, risolta dalla Corte di Cassa- zione a Sezioni Unite (sent. 20448/2014), del rapporto tra comodato a tempo indeterminato di un immobile, adibito ad abitazione familiare, e il provvedimento di assegnazione in sede di separazione dei coniugi.
Il tema è particolarmente delicato in quanto vede contrapporsi due interessi particolarmente rilevanti: quello del proprietario a godere del bene, e quello del coniuge assegnatario alla tutela dei figli attraverso la conservazione dell’habitat domestico.
La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, dalla terza sezio- ne civile, che auspicava un ripensamento all’orientamento, poi divenuto granitico, della sentenza resa, sempre a Sezioni Unite, nel 2004 (sent. n. 13603).
Quest’ultima sentenza ha affermato che, nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modi- fica la natura e il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del como- dato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’i- potesi di sopravvenienza di un urgente e impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c.
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La specificità della destinazione, impressa per effetto della concor- de volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza, che caratterizzano il comodato co- siddetto precario e che legittimano la cessazione ad nutum del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che questi, in caso di godimento concesso a tempo indeterminato, è tenuto a consentirne la continuazione fino a che non sia cessata la convivenza e in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.
Solo in alcuni casi isolati, la Suprema corte ha, invece, favorito il pro- prietario, ritenendo ammissibile l’applicazione dell’art. 1810 c.c. (c.d. comodato precario), essendo tale istituto caratterizzato dalla circo- stanza che la determinazione del termine di efficacia del vinculum iuris costituito tra le parti è rimessa in via potestativa alla sola volontà del comodante, che ha la facoltà di manifestarla ad nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza che assuma rilievo la circostan- za che l’immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra coniugi, all’affidatario dei figli.
Le Sezioni Unite, con la sentenza del 2014, hanno confermato l’in- dirizzo prevalente, ritenendo che il comodato di immobile, pattuito per soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, vada ri- condotto alla fattispecie di cui all’art. 1809 c.c., che concerne il comodato sorto a tempo determinato o per un uso che consente di stabilirne la scadenza.
Di conseguenza, il comodante può esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809, co. 2, c.c.); nelle ipotesi in esame, infatti, il contratto è sorto per un uso determinato e dunque per un tempo determinabile almeno per relationem.
La Corte, tuttavia, ha colto l’occasione per operare alcuni rilievi critici sulla sentenza resa, sempre a Sezioni Unite, nel 2004, laddove aveva inquadrato il fenomeno nello schema del comodato a termine indetermi- nato.
Questa definizione, si obietta, non riconduce il rapporto negoziale qui descritto al contratto senza determinazione di durata, cioè al precario cui
all’art. 1810 c.c., avendo essa riguardo alla configurazione di un termine non prefissato, ma desumibile dall’uso convenuto; ipotesi ben distinta da quella in cui le parti abbiano stabilito un termine finale di godimen- to del bene, come può accadere sia quando venga fissata una data di scadenza, sia, si deve ora aggiungere esemplificativamente, qualora il comodante abbia ceduto l’alloggio ad un comodatario (ad esempio un figlio) stabilendo che possa abitarvi fino al matrimonio di altro figlio, o fino alla conclusione dei lavori di costruzione e restauro di casa di proprietà, o fino all’acquisto di un immobile analogo.
Secondo le Sezioni unite nel 2014, a questo comodato, chiaramente connesso con le finalità solidaristiche che sono state tratteggiate dall’in- tervento del 2004, mal si attaglia la natura instabile della situazione ne- goziale di cui all’art. 1810 c.c..
L’espressione contenuta nella sentenza del 2004, nata dall’obiettiva difficoltà di descrivere un comodato a durata indefinita e comunque non determinata con scadenza fissa, ancorché determinabile per relationem, va intesa nel senso di ricondurre la fattispecie al contratto in cui il termine risulta dall’uso cui la cosa è stata destinata.
La pronuncia ha comunque avuto il pregio di fare alcune importanti precisazioni:
– in primo luogo, ha invitato i giudici di merito a valutare la sussisten- za della pattuizione di un termine finale di godimento del bene, che potrebbe emergere dalle motivazioni espresse nel momento in cui è stato concesso il bene e che impedirebbe di protrarre oltre l’occupa- zione;
– in secondo luogo, ha precisato che la concessione per destinazione a casa familiare implica una scrupolosa verifica della intenzione delle parti, che tenga conto delle loro condizioni personali e sociali, della natura dei loro rapporti, degli interessi perseguiti.
Ciò significa che il comodatario, o il coniuge separato con cui sia convivente la prole minorenne o non autosufficiente, che opponga alla richiesta di rilascio la esistenza di un comodato di casa familiare con sca- denza non prefissata, ha l’onere di provare, anche mediante le inferenze probatorie desumibili da ogni utile fatto secondario allegato e dimostrato, che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento.
che il giudice deve compiere quando valuta il bisogno fatto valere con la domanda di restituzione e lo compara al contrapposto interesse del comodatario.
Schema riepilogativo
→ ORIENTAMENTO MAGGIORITARIO:
si tratta di un comodato precario.
→ ORIENTAMENTO MINORITARIO:
comodato a termine (stabilito per relationem).
SOLUZIONE OFFERTA DALLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE (SENT. N. 20448/2014)
si tratta di un comodato precario cosicché il comodante può chiedere la restituzione solo in presenza del sopravvenire di un urgente e impreveduto bisogno che non deve essere grave, ma solo imprevisto, quindi sopravve- nuto rispetto al momento della stipula, serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto e urgente.
2.2. L’immobile adibito ad abitazione parafamiliare
Quesito
Il caso di comodato di immobile adibito ad abitazione familiare senza fissazione di termine, il comodante può esigere la restituzione imme- diata?
La Suprema corte, con una recente sentenza (Cass. civ. 17971/2015), ha stabilito che, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il genito- re collocatario dei figli minori, nonché assegnatario della casa familiare, esercita sull’immobile un diritto di godimento assimilabile a quello del comodatario, la cui opponibilità infranovennale è garantita, pur in assenza di trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione, anche nei confronti dei terzi acquirenti consapevoli della pregressa condizione di convivenza.
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A tale approdo la Corte giunge richiamando l’orientamento giurispru- denziale secondo cui la convivenza “more uxorio”, quale formazione so- ciale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comu- ne, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente, ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, avente titolo in un negozio giuridico di tipo familiare.
Il puntuale richiamo agli artt. 2 e 3 della Costituzione, su cui si fon- da l’assimilazione della posizione del convivente more uxorio rispetto all’immobile di cui l’altro convivente sia proprietario, consente l’imme- diato collegamento con l’altro basilare principio di diritto riguardante l’e- quiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio a quelli nati all’interno di esso, solo di recente attuazione normativa (con la L. 212/2012 e il D.Lgs. 154/2013), ma ampiamente realizzato dalla giurisprudenza costituziona- le e dalla giurisprudenza di legittimità.
Con specifico riferimento all’assegnazione della casa familiare, i giudici di legittimità richiamano la sentenza della Corte Costituzionale 166/1998 che costituisce il sostegno primario dell’ermeneusi costituzio- nalmente orientata, successivamente consolidatasi nella materia.
In tale sentenza la Corte ha evidenziato che l’interpretazione siste- matica dell’art. 30 Cost., in correlazione agli artt. 261, 146 e 148 c.c., impone che l’assegnazione della casa famiglia nell’ipotesi di cessazio- ne di un rapporto di convivenza more uxorio, allorché vi siano figli mino- ri o maggiorenni non economicamente autosufficienti, deve regolarsi mediante l’applicazione del principio di responsabilità genitoriale, il quale postula che sia data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello status.
Il diritto dei figli minori, nati fuori del matrimonio, alla conservazione dell’habitat familiare costituisce una soluzione interpretativa costituzio- nalmente necessitata secondo questa rilevante pronuncia.
Tale indicazione ha trovato puntuale e costante conferma nella giu- risprudenza di legittimità (Cass. civ. 10102/2005), secondo la quale, in tema di famiglia di fatto e nell’ipotesi di cessazione della convivenza
Capitolo X – Il contratto di comodato
“more uxorio”, l’attribuzione giudiziale del diritto di (continuare ad) abita- re nella casa familiare al convivente cui sono affidati i figli minorenni – o che conviva con figli maggiorenni non ancora economicamente autosuf- ficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà – è da ritenersi possibi- le per effetto della citata sentenza 166/1998 della Corte Costituzionale. Tale diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne sussistano i presupposti di legge ed è tale da comprimere temporane- amente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell’indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare o contitolare l’altro genitore, in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell’habitat dome- stico anche dopo la separazione dei genitori.
Il principio ha avuto costante conferma ed è stato di recente ribadi- to da Cass. civ. 18863/2011, nella vigenza dell’attuale regime giuridico dell’affido condiviso.
In conclusione, alla luce dei consolidati principi sopra illustrati può affermarsi che, anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l’immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti, anche se non proprietario dell’immo- bile o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all’immobile. Egli, peraltro, in virtù dell’affectio che costituisce il nucleo costituzionalmen- te protetto (ex art. 2 Cost.) della relazione di convivenza, è comunque detentore qualificato dell’immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente.
Con riferimento all’opponibilità di tale posizione all’avente causa dell’ex convivente cui è stata trasferita la proprietà del predetto bene, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. un. 13603/2004; Cass. civ., sez. un. 20448/2014), ha stabilito, ancorché in tema di rapporto xxxxx- xxxx, che il coniuge affidatario di figli minori e assegnatario della casa fa- miliare può opporre al comodante l’esistenza del provvedimento di asse- gnazione. Il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c, sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile “per relationem”,
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con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniu- gale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l’assegna- zione dell’immobile.
Tali consolidati principi trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui l’originario proprietario dell’immobile (terzo o componente della coppia è irrilevante) abbia trasferito la proprietà del bene medesimo, rimanendo immutato e senza soluzione di continuità il vincolo costituito dal como- dato preesistente, giustificato da un doppio qualificato titolo detentivo: il primo costituito dalla convivenza di fatto con il proprietario xxxxx causa, il secondo dalla destinazione dell’immobile a casa familiare, prima della alienazione a terzi, e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo me- diante l’assegnazione della casa familiare. La relazione con l’immobile, in virtù di tale destinazione non ha natura precaria ma, al contrario, è caratterizzata da un vincolo di scopo che si protrae fino a quando le figlie minori o maggiorenni non autosufficienti conservino tale habitat do- mestico.
La L. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost. e recato la disciplina delle convi- venze di fatto.
Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’u- nione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
Per «conviventi di fatto», secondo la nuova legge, si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di pa- rentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.